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da "L'Espresso", n°9, anno XLIX, 27 febbraio 2003
“Sconti senza frontiere”
Per legge i produttori possono fare riduzioni ai farmacisti non superiori al 33 per cento. Ma
si arriva al 60
di Francesco Bonazzi
Guardi dottore, sull'Aciclovir il 50 per cento di sconto lo fa la Merck, ma sul resto dei
generici le possiamo fare anche di più, dalla Ranitidina alla Ticlopidina...
Al telefono, non si fa troppi problemi l'agente di zona della Teva, multinazionale israeliana
specializzata in farmaci generici (quelli non "griffati"). Basta spacciarsi per un farmacista
dei centro a caccia di super saldi. Funziona in tutta Italia e con tutte le principali case
farmaceutiche. Peccato che sia illegale: il tetto massimo di sconto al farmacista è infatti
fissato per legge al 33 per cento. Ma in realtà è facilissimo spuntare ribassi tra il 40 e il 60
per cento con qualunque casa, dalla Ratiopharm alla Merck Generics, dalla Faulding alla
K24 Pharmaceuticals, solo per citarne alcune.
I farmacisti lo sanno bene. Chiunque di loro abbia una casella di posta elettronica riceve
periodicamente offerte di «extra sconto», dall'8 per cento in su. E qualsiasi farmacista
(vedi scheda) può ordinare via Internet i generici dei quali ha bisogno a prezzi stracciati.
Ma quell'extra sconto, come lo chiamano pudicamente le case, in che maniera viene
riconosciuto? Solo le aziende più piccole (quelle che magari vendono una sola molecola) e
i farmacisti più spericolati si fanno emettere fatture dalle quali risultino sconti superiori al
33 per cento. Oppure commettono l'imprudenza di farsi saldare a rate e ricorrere a
fantomatiche consulenze. Nella maggior parte dei casi, lo sconto illegale viene invece
trasformato in regali.
Di solito, si tratta di viaggi per due alle Mauritius da una settimana o più. Valore medio 510 mila euro. Ma gli omaggi più graditi, come racconta un "sollecitatore", sono i personal
computer e i televisori con schermo al plasma (5-10 mila euro, a seconda di marche e
dimensioni). Tutta roba che finisce nelle abitazioni private, perché se rimanesse in
farmacia andrebbe inventariata. Il fenomeno è talmente diffuso che risulta quasi
incredibile come Federfarma e Fofi (gli organismi di categoria) non se ne siano ancora
accorti.
Ovviamente, il maggior sconto praticato alle farmacie non ha alcuna ricaduta positiva sul
prezzo che viene poi imposto alla clientela. E lascia invariata la spesa farmaceutica
nazionale (nel 2002 pari a 11,7 miliardi di euro): quella a carico dei paziente, come quella
rimborsata dal Servizio sanitario nazionale. In sostanza, tutti gli sconti eccedenti il 33 per
cento di legge sono soldi che potevano essere risparmiati dalla collettività. Come in tutti i
casi di economia sommersa, non è facile quantificare con esattezza il giro d'affari creato
da questa prassi dell'extra sconto. Ma qualche cifra generale può aiutare a capire la posta
in gioco.
Nel 2001, quando anche in Italia è scattata la vendita dei generici, il ministero della Salute
pensava di risparmiare almeno 500 milioni di euro l'anno. La legge prevede che questi
farmaci, commercializzati con il solo nome del principio attivo, in tutto e per tutto
equivalenti a quelli di marca, siano venduti a prezzi inferiori almeno del 20 per cento a
quello dei cugini griffati. Casualmente i produttori di generici hanno messo a punto listinifotocopia che rispettano appena il tetto di legge. Nel primo anno i generici hanno
raggiunto una quota di mercato dell'uno per cento. Poca cosa rispetto a nazioni come
Germania e Gran Bretagna, dove i farmaci non più coperti da brevetto rappresentano
rispettivamente il 39 e il 22 per cento della spesa. Secondo una recente ricerca della
Dorom (gruppo Pharmacia), «in Italia, nel 2002, i generici sono riusciti a ridurre la spesa
farmaceutica di soli 100 milioni di euro».
Ma i risparmi effettivi dovuti al loro lancio sono ben più ampi se si considera che alcuni
concorrenti griffati hanno dovuto sforbiciare i listini anche della metà. Il caso più eclatante
è quello dell'Aulin, che per difendersi dalle tante Nimesulide ha ridotto il prezzo del 60 per
cento. Tenendo conto anche di questo, il ministero della Salute ha quantificato in 200
milioni di euro il risparmio complessivo dovuto all'effetto generici. Secondo gli ultimi dati di
Ims Health, istituto internazionale di statistiche sul consumo di farmaci, nei primi otto mesi
del 2002 gli italiani hanno speso 84 milioni di euro per acquistare i generici. Vuol dire che
in un anno, nonostante i medici siano ancora poco inclini a prescrivere prodotti non
pubblicizzati, il mercato vale almeno 120 milioni. Destinati a raddoppiare di anno in anno,
secondo le stime di Assogenerici. Il giochetto dei super sconti, quindi, già oggi vale decine
di milioni.
Si può fare qualcosa? Le inchieste giudiziarie alla "colpirne uno per educarne cento" non
bastano. Bisognerebbe creare le condizioni per una vera concorrenza che, trattandosi di
principi attivi esattamente eguali tra loro, non può che giocarsi sul prezzo finale. I margini
sono ampi, come dimostrano la storia dei maxi sconti e il prezzo delle preparazioni
galeniche. La medicina preparata dal farmacista costa circa la metà dei generico stesso,
nonostante (Dio solo sa perché) le si applichi un'Iva del 20 per cento anziché del quattro.
Se volesse, il governo avrebbe tre rimedi a portata di mano. Primo, liberalizzare
completamente il prezzo dei generici, togliendo dalla legge quel riferimento a un meno 20
per cento rispetto ai farmaci griffati. Secondo, abolire dalle ricette quella diabolica dicitura
"farmaco non sostituibile" con cui il medico lega le mani al farmacista che volesse far
risparmiare il cittadino proponendogli il cambio con un generico. Terzo, spingere il
galenico rendendolo mutuabile. L'effetto immediato di queste tre mosse sarebbe un
abbattimento massiccio della spesa farmaceutica nazionale. II tutto senza dover ricorrere
a misure impopolari come i ticket.
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