Empedocle. I suoi misteri svelati in biblioteca

Storia di un testo scomparso
Empedocle. I suoi misteri svelati in biblioteca
di Franco Volpi (La Repubblica, 13 nov. 1998)
“Quale che fu la sua nascita, e come venne in terra, non lo sa persona. Apparve presso le rive
dorate del fiume Acragas, nella bella città d'Agrigento... Se ne deve arguire, forse, ch’era figlio di se
stesso, come si conviene a un dio. Ma i suoi discepoli assicurano che aveva già trascorso quattro esistenze nel nostro mondo, e ch'era stato pianta, pesce, uccello e fanciulla”.
Comincia così, tra mito e mistero, la vita di Empedocle immaginata da Marcel Schwob. In realtà il divertissement letterario dello scrittore francese riprende fedelmente fonti antiche, dalle quali la figura del filosofo presocratico vissuto nel V secolo a. C. risulta scissa da un'insanabile crepa. Insieme
ai tratti del pensatore, dello scienziato e perfino dell'ingegnere la tradizione gli attribuisce quelli dell'iniziato e dello sciamano. Lo considera inventore della retorica, maestro di Gorgia e Pausania, ma al
tempo stesso teurgo e conoscitore delle erbe che fanno impazzire. Racconta di suoi prodigi di ingegneria, come quando, per purificare la città di Selinunte da una pestilenza fece deviare le malsane
acque del fiume che l'attraversava. Credeva nella trasmigrazione delle anime, predicava l'astinenza
dalle carni, guariva gli ammalati, ed era venerato come un dio da un gran numero di adepti. La leggenda vuole addirittura che richiamasse in vita la bella Pantea—nobile fanciulla che gli aveva offerto
la sua verginità, senza che vi siano prove che lui, divinamente insensibile, l'accettasse—quand'ella
s'era mortalmente ammalata. Non stupisce che alcuni medioevali lo considerassero autore del Libro
dei XXIV maestri, un aureo trattato attribuito da altri a Ermete Trismegisto. Perfino Hegel lo chiamava
«taumaturgo e mago», ed Ernest Renan gli fa eco definendolo «mezzo Newton e mezzo Cagliostro».
Un analogo dualismo rende difficile conciliare le due opere che gli vengono attribuite, Sulla natura e le Purificazioni o Poema lustrale, in tutto ben 5000 versi. La prima tratta di filosofia della natura
e di cosmologia, I'altra invece ha un carattere magico religioso, narra di spiriti e demoni costretti per le
loro colpe a incarnarsi in corpi mortali, a diventare piante animali, uomini. Purtroppo di tali scritti si sono conservati solo 450 esametri, giunti a noi per tradizione indiretta attraverso le citazioni che ne fanno gli autori antichi. Un destino, questo, comune a tutti i pensatori greci vissuti prima di Platone, tra il
VII e il V secolo a. C.
Una sensazionale scoperta fatta nella Bibliotèque Nationale et Universitaire di Strasburgo dal
grecista belga Alain Martin modifica ora profondamente questo stato di cose e getta nuova luce sull'enigmatico filosofo presocratico. In un papiro databile intorno alla fine de I secolo d. C. Martin ha identificato i resti di un libro antico di qualità contenente il poema Sulla natura di Empedocle, che offrirebbe
la prima trasmissione diretta dell'opera, antica di 2500 anni, restituendocene insperatamente ben 74
esametri. Martin ne ha curato l'edizione e il commento insieme all'antichista tedesco Oliver Primavesi:
L'Empedocle de Strasbourg. Introduction, édition et commentaire, de Gruyter, XII-396 pagg., 6 tavole.
La storia del prezioso papiro si perde nella notte dei tempi, ed è difficile ricostruire con certezza tutte le tappe del miracoloso cammino che lo ha portato fino a noi. Si sa che nel 1904 esso fu acquistato dall'archeologo tedesco Otto Rubensohn per conto del «Deutsches Papyruskartell» presso un
antiquario nella città egiziana di Achmim, I'antica Panopoli. Arrotolato e piegato a ciambella, il papiro
fu utilizzato come sostegno rigido per una corona funebre, assieme alla quale venne comperato.
Quando fu tolto dalla corona e ridisteso, si lacerò in 52 frammenti. Finì, illeggibile, a Berlino, dove si
procedette all'estrazione a sorte per distribuire tra gli enti partecipanti al «Deutsches Papyruskartell» i
materiali raccolti dalla spedizione. Gli inservibili lacerti del papiro furono assegnati alla Biblioteca di
Strasburgo, allora sotto l'impero tedesco. Qui furono «provvisoriamente» catalogati con la sigla P.
Stras. gr. Inv. 1665-1666, in verità definitivamente abbandonati al tempo e alla polvere. Fino a quando, nel 1990, sull'inestimabile reperto ha messo gli occhi Martin, che è riuscito a ricomporlo e a individuare, nella primavera del 1994, l'autore dei versi.
Ci sono voluti quattro anni per approntare l'edizione, che si distingue da quelle tradizionali perché, in considerazione dell'eccezionalità della scoperta, è accompagnata da un ampio commento che
illustra tutte le fasi del ritrovamento e ricostruisce con dovizia di particolari la storia del testo e il suo
ambito storico-archeologico di appartenenza. Vengono avanzate tra l'altro varie ipotesi sul copista che
vergò il manoscritto, gli eruditi che lo collezionarono e annotarono, I'artigiano che trasformò in corona
funebre, la mummia cui la corona era destinata, le necropoli greco-romane di Panopoli e la vita cultu-
rale dell'antica città. In preparazione dell'edizione si è tenuto ad Agrigento anche un simposio organizzato da Gabriele Giannantoni, i cui atti appariranno nella rivista Elenchos (Bibliopolis).
Non è difficile prevedere che i 74 esametri scoperti—25 dei quali coincidono con quelli noti per tradizione indiretta, mentre gli altri vengono alla luce per la prima volta—apporteranno un contributo fondamentale alla conoscenza dell'enigmatico filosofo, anche se è ancora presto per dire quale. Sappiamo che Empedocle pone a fondamento di tutte le cose quattro «radici» (rhizòmata) o «elementi»
(stoicheia) terra, acqua! aria e fuoco sui quali agiscono, esercitando un'azlone di unione o divisione,
due forze cosmiche opposte: Amore (Philìa) e Odio (Neikos). La vita nasce dall'unione degli elementi
sotto l'influenza di Amore, la morte dalla loro dissociazione per l'influenza dell'Odio. Inizialmente tutto
è unito nello Sfero originario, tenuto assieme dall’Amore. Il papiro permette di stabilire che questo stato non è da considerare un inizio assoluto e unico, ma risulta da un processo di unificazione ed è a
sua volta inserito in un ciclo. Soprattutto, il papiro consente di integrare in questo ciclo cosmologico il
racconto demonologico delle Purificazioni, in modo che i due aspetti apparentemente contrastanti,
quello scientifico e quello magico-religioso, non risultino in contraddizione fra loro, ma in un rapporto
di complementarità. Si affaccia anche la congettura che i due titoli riportati dalla tradizione non si riferiscano a due opere diverse, bensì alla stessa. Poema fisico e lustrale recita sapientemente il titolo
dell'edizione di Carlo Gallavotti per la Fondazione Valla. Ma su questo punto l'apporto del papiro non è
definitivo. Esso conferma invece che per Empedocle l'umanità del suo tempo viveva in un Ciclo dominato dall'Odio, che avrebbe presto condotto a una frammentazione cruenta. Il vate non volle però attendere la catastrofe. Se è vera l'antica leggenda tramandata da Eraclide Pontico, e messa in versi da
Holderlin, salì sulle pendici dell'Etna e si precipitò nel rutilante cratere per ricongiungersi con gli elementi.
Poeta, medico e profeta. Filosofo greco di Agrigento (483-82 a. C. -423 circa), Empedocle è
anche poeta, oratore, profeta, taumaturgo e medico (gli si attribuisce la scoperta del labirinto dell'orecchio interno). Caduto in disgrazia presso i suoi concittadini, lascia la patria e muore nel Peloponneso. Secondo una leggenda, si getta nel cratere dell'Etna per far credere, con la sua sparizione, di essere stato assunto tra gli dei, ma il cratere - rigettando uno dei suoi sandali bronzei - avrebbe palesato
la verità.
Due scritti gli vengono attribuiti con certezza: Della natura e Le purificazioni o Carme lustrale,
un poema di argomento mistico e ispirato all'orfismo. Empedocle vi espone la teoria della metempsicosi: gli esseri scontano i loro delitti attraverso una serie di reincarnazioni, solo gli uomini che sapranno puriflcarsi potranno tornare a dimorare tra gli dei.
Come Parmenide, anche Empedocle espone in versi le sue dottrine, esempio che nell'antichità
verrà seguito solo da Lucrezio col De rerum natura, il celebre poema che tra l'altro contiene un elogio
del filosofo di Agrigento.
Nei suoi versi, Empedocle formula per primo la teoria dei quattro elementi o «radici» di tutte le
cose: terra, acqua, aria, fuoco. Riconosce la necessità e la perennità dell'essere, ma la sua originalità
consiste nel tentativo di conciliare questa posizione con il divenire, con il cangiamento» che l'esperienza testimonia.
Empedocle dedica una somma eccezionale di osservazioni ai fenomeni naturali, dalla botanica
alla zoologia e alla fisiologia, e in ogni caso l'interpretazione dei suoi scritti è sempre apparsa controversa e difficile. In particolare, gli studiosi hanno discusso sulla connessione tra i due poemi, i cui contenuti (naturalistico il primo, religioso il secondo) sembrano difficilmente concliabili.