EMPEDOCLE Perché Empedocle è importante nella storia del pensiero filosofico? INTRODUZIONE La filosofia nasce quando la sapienza primordiale si allontana, la filosofia è il desiderio di avvicinarla, di farla ancora sua. La sapienza originaria traspare dalla poesia, dal mito, dalla tragedia. In queste manifestazioni dello spirito, i confini tra comprensione ed esclusione, tra ordine e caos sono netti anche se non esplicitamente razionalizzati. Platone chiama “filosofia”, amore della sapienza e guarda con venerazione al passato, a un mondo in cui erano esistiti davvero i “sapienti”. Per Platone infatti, amore della sapienza non significava aspirazione a qualcosa di mai raggiunti, bensì tendenza a recuperare quello che era già stato realizzato e vissuto. Non c'è quindi uno sviluppo continuo, omogeneo tra sapienza e filosofia. Assai incerta è l'estensione temporale di quest'epoca della sapienza ma è indubbio che è alla più remota tradizione della poesia e della religione greca che bisogna rivolgersi, anche se l'interpretazione dei dati non può che essere filosofica. “...... il re del tempio, Apollo l'obliquo coglie la visione attraverso il più diritto dei confidenti, l'occhiata che conosce ogni cosa” Un tempo gli uomini hanno affidato a un Dio la conoscenza chiara e completa della realtà: all'uomo, non resta che un frammento da interpretare. Orfeo Cioè dal pensiero dei sofisti e poi di Platone il logos filosofico acquisisce autonomia. Il VI secolo, l'età in cui nasce la filosofia, segna una svolta per l'intera umanità. E' il secolo di Confucio e di Lao Tzu in Cina, di Buddha in India, di Zoroastro in Persia. *Integrazione per l'articolo sulla rivista Il VI secolo a.C. Periodo della nascita del pensiero filosofico greco, rappresenta un'era decisiva nella storia dell'umanità, definita da Karl Jasper “età assiale”. In quest'arco di tempo, sono accaduti eventi spirituali pressoché indipendenti gli uni dagli altri distanti migliaia di chilometri tra loro che “hanno originato la coscienza della quale ancora oggi viviamo” e “furono posti i fondamenti religiosi e filosofici e date le risposte che ancor oggi ci vincolano”. Il pensiero umano dall'est all'ovest vede la crescita di autonomia e consapevolezza di sé rispetto alla sfera sacra e divina. Oggi, grazie anche ad una migliore conoscenza della letteratura dell'antico Oriente, viene messo in rilievo come alcuni elementi fanno pensare ad un rapporto dei primi filosofi greci dell'Asia minore, di Mileto e di Efeso soprattutto, con la cultura orientale. Si può rilevare un influsso dell'Oriente sulla ricerca di Anassimandro e Anassimene, di Pitagora di Samo e di Eraclito di Efeso, dovuto all'emigrazione dei Magi, potente casta di sacerdoti teologi, dalla Media a Babilonia e dall'Asia minore. Questa emigrazione fu dovuta all'annessione di queste regioni alla Persia da parte di Ciro il Grande nel 549 a.C. . Questi sapienti trasmisero elementi della loro cultura babilonese, iranica e indiana, tra questi è interessante ricordare la dottrina sulla reincarnazione delle anime (Pitagora), l'idea dell'infinito, àpeiron (Anassimandro), l'idea del continuo fluire della realtà e la tensione verso la liberazione spirituale (Eraclito). Infine, i rapporti tra mondo greco e orientale non possono sottacere però le differenze di fondo che caratterizzano le due civiltà. La filosofia greca degli inizi ha come oggetto principale di ricerca la conoscenza della natura e delle sue forze, la speculazione orientale, in particolare quella indiana, è volta soprattutto verso i problemi esistenziali e religiosi. L'Occidente approderà poi ad una visione meccanicistica del mondo, percepito diviso in cose singole e distinte, anche l'uomo è percepito come unità separata dotato di una mente che misura e classifica, l'Oriente invece elaborerà una visione del mondo organicistica per la quale tutte le cose e gli eventi percepiti dai sensi sono interconnessi e sono manifestazioni della stessa realtà ultima. * All'interno della cultura greca si sviluppa un originale movimento di pensiero, che pone come oggetto di indagine la natura, in greco PHYSIS. Aristotele chiama questi pensatori, Talete, Anassimandro, Anassimene, “fisici” o “fisiologi” studiosi della natura, “naturalisti” e con essi, come è noto, si è solito dae inizio alla filosofia. Occorre fare una precisazione rispetto al termine “natura”: in generale con questo termine si intende l'insieme delle cose e degli esseri esistenti. Per il pensiero antico, gli elementi della physis sono aria, acqua, terra, fuoco; da questi elementi fondamentali hanno origine gli animali, le piante, il sole, le stelle e l'uomo stesso. La natura però non è costituita da cose isolate, separate le une dalle altre, al contrario, per i “naturalisti”, queste esistono in quanto sono governate da “leggi”, ovvero ovvero manifestano un principio di esistenza ordinato e unitario. La parola physis infine, nel suo significato originario indica quel principio primo e fondamentale, che spiega tutte le cose. E' sempre Aristotele che presenta i filosofi del VI secolo come coloro che per primi studiano la natura, tentando di individuarne l'archè che designa sia ciò che viene prima per importanza, quindi l'origine, sia ciò che viene prima nell'ordine del tempo. Anche il termine greco Kòsmos , secondo l'uso introdotto per la prima volta da Anassimandro, significa insieme universo e ordine. Ciò che differenzia questi primi filosofi dagli scienziati del tempo, ad es gli Egiziani, con cui pure vennero a contatto è proprio questa attitudine ad affrontare il problema dei fondamentali, non solo della scienza, ma della realtà tutta. Questo interesse alla totalità costituirà anche in seguito una delle caratteristiche fondamentali del pensiero filosofico occidentale. A partire dal V secolo, dopo che le colonie dell'Asia minore erano state conquistate dai Persiani, sono le colonie della Magna Grecia, nell'Italia meridionale, ad ereditare lo splendore sia economico che culturale della provincia asiatica. Queste filosofie sono dominate dalla straordinaria figura di Parmenide di Elea, la cui riflessione mette al centro per la prima volta nel pensiero occidentale, il problema dell'essere. Viene abbandonata per ora la ricerca sull'unità e sui principi della natura che aveva caratterizzato i primi filosofi di Mileto, o meglio viene trasposta in una più complessa indagine sull'essere, affrontata con nuovi strumenti concettuali, logici e razionali. Parmenide e i suoi discepoli, Zenone e Melisso, elaborarono una filosofia che se non viola il primato della tradizione aristocratica a cui appartiene, è lontana dalla cultura fondata sul mito e sulla teologia e si sviluppa secondo una linea di rottura con la cultura religiosa. Inoltre si separa dalla sapienza sacerdotale, di cui ambisce di prendere il posto come depositaria privilegiata della verità ma anche del sapere comune degli uomini, cui era legata la riflessione della scuola di Mileto. Non più una filosofia “scientifica” rivolta a tutti ma aristocratica ed elitaria rivolta a pochi destinati all'iniziazione alla verità. La scuola di Elea, quindi, spostò lo sguardo dalla natura a un piano di realtà più profondo, che si sottrae alla nostra esperienza, in primo luogo a quella dei sensi. Pertanto non è importante scoprire di che cosa sia fatto il mondo, in quanto la realtà sensibile appare caotica, instabile e quindi ingannevole. La natura intorno a noi è pura apparenza “doxa” e per questo costituisce un velo che impedisce di arrivare alla verità. Secondo Parmenide, la via della persuasione che conduce alla verità, è quella che afferma l'essere; l'altra via, che conduce all'errore, è quella che afferma il non essere. Non c'è dubbio che siamo in presenza di una svolta decisiva nella ricerca filosofica in quanto che, prima di poter sostenere l'esistenza di qualsiasi elemento, occorre affermare che esso innanzitutto è. Così si esprime Parmenide: “Orbene io ti dirò e tu ascolta attentamente le mie parole, quali vie di ricerca solo le sole pensabili: l'una [che dice] che è e che non è possibile che non sia, è il sentiero della Persuasione (giacché questa tien dentro la Verità); l'altra [che dice] che non è e che non è possibile che non sia, questa io ti dichiaro che è un sentiero del tutto inindagabile: perché il non essere né lo puoi pensare (non è infatti possibile), né lo puoi esprimere. “Intorno alla natura” D28 B2 La questione del rapporto fra unità e molteplicità, già affrontato da Eraclito, diventa il problema fondamentale della filosofia. Parmenide nega il valore di verità della conoscenza sensibile e afferma il primato del pensiero, che è in grado di cogliere gli attributi veri della realtà: l'unicità e l'immutabilità. L'essere delle cose al di là del loro mutare apparente e divenire è uno e immutabile. Questa concezione contraddice com'è ovvio, la nostra esperienza comune che si basa sulla pluralità e sul divenire, proprio rifacendosi ad essa i pensatori chiamati “pluralisti” Empedocle, Anassagora, Democrito, si proporranno invece di salvare i fenomeni. Alla riflessione filosofica si porranno però due problemi di grande portata: il primo è il problema della conoscenza; il secondo è il problema dell'essere. I “pluralisti” riterranno che all'autorità della ragione, vada affiancata quella dei sensi per giungere ad una comprensione unitaria dei fenomeni naturali. Postulando infine, l'esistenza di una pluralità di elementi, dalle cui combinazioni hanno origine tutte le cose, questi pensatori avvieranno la riflessione scientifica sulla struttura della materia. DALL'UNO AL MOLTEPLICE La definizione di “pluralisti” si deve ad Aristotele che attribuisce a questi filosofi il merito di aver indagato per primi la causa del divenire, oltre al principio o ai principi di cui tutte le cose si compongono. Una pluralità di princìpi è alla base delle costruzioni cosmologiche tra loro concorrenti ad es. di Empedocle e Anassagora. EMPEDOCLE nacque ad Agrigento tra il 484-481 a. C. , discendente da una famiglia ostile alla tirannide, fu difensore del regime democratico. Poco interessato al potere personale, rifiutò le offerte fattegli dai concittadini per ricoprire cariche politiche. Dotato di carisma profetico, si fece portatore di un messaggio di liberazione dal dolore e di purificazione che è stato tramandato dal poema “Sulle purificazioni”, l'altra sua opera è il poema “Sulla natura”. Era medico, mago, ingegnere, praticava la “magia” della parola, sia della poesia che della retorica, la tradizione gli attribuisce come allievo il discepolo Gorgia. La sua difesa della democrazia, lo rese inviso alla classe aristocratica che riuscì a mandarlo in esilio: morì forse nel Peloponneso tra il 424 e il 421. secondo una leggenda, si sarebbe invece gettato nel cratere dell'Etna per far credere di essere stato assunto in cielo come un dio, ma il vulcano rivelò la sua impostura eruttando un suo calzare di bronzo. In età romantica la figura del poeta-filosofo che muore gettandosi nel cratere, diventerà il simbolo della tensione umana verso la riunificazione con l' Uno tutto della natura. Il grande poeta Holderlin, dedicherà ad Empedocle una famosa tragedia rimasta incompiuta ed una poesia: Empedocle cerchi la vita, cerchi, e ti sgorga splendendo divino fuoco dal fondo della terra, e tu, rabbrividendo di brama, ti scagli giù dall'Etna nelle fiamme. Così struggeva perle nel vino lo sfarzo insolente della regina; eppure le amava! Oh, non avessi la tua ricchezza, o poeta nel ribollente calice immolato! Ma severo tu mi sei, come la potenza della terra, che ti rapì o vittima temeraria! E ti vorrei seguire nella voragine, se non mi trattenesse l'amore, o eroe. (F. Holderlin, Poesie, 33) Il problema fondamentale sul quale riflette la filosofia dopo Parmenide, come già accennato, è quello del rapporto tra unità e molteplicità, ovvero tra l'esigenza di una spiegazione razionale e unitaria della natura e l'esistenza di una molteplicità di fenomeni. Se come Parmenide aveva affermato l'esse3re è uno e immutabile, come si deve giudicare ciò che i sensi e l'esperienza attestano? E ancora, se i fenomeni sono molteplici, è possibile una spiegazione unitaria del Mondo? Infine, se l'essere è uno, il molteplice delle cose empiriche è davvero non essere, puro nulla? I pensatori pluralisti vogliono dimostrare la validità del divenire e del mondo sensibile senza tuttavia rinunciare all'unità del reale affermata da Parmenide. Inoltre a differenza dei Milesii, essi distinguono i costituenti materiali dell'universo dal loro principio, introducendo seppure in modo non ancora pienamente definito, il concetto di una causa separata dagli elementi che essa ordina. Nell'opera “Sulla natura”, Empedocle afferma infatti che esiste una pluralità di enti eterni, indistruttibili e qualitativamente immutabili, chiamati radici (rhizòmata) che sono aria, acqua, terra e fuoco e che combinandosi e separandosi determinano il divenire di tutte le cose. Ogni ente è provvisto di qualità, ad esempio: il fuoco è caldo e secco. L'altro rispetto a ciascun essere non è il non essere come per Parmenide, è semplicemente un essere differente, diversamente qualificato, ma pur sempre un ente ad esempio: l'acqua. E' noto come già i filosofi precedenti avessero individuato come arché del mondo alcuni di questi elementi (Talete, Anassimandro, Anassimene) ma perché quattro radici? Nel caso di Empedocle, fu forse l'influenza della teoria pitagorica a suggerire che gli elementi dovessero essere in numero finito e piccolo. Il numero quattro aveva un significato simbolico per i pitagorici, essi ritenevano che l'ordine del cosmo fosse fondato sulla proporzione, infatti sono necessari quattro termini per costituire una proporzione. Nelle cose le radici sono presenti secondo precise relazioni quantitative, quindi aria, acqua, terra e fuoco sono divisibili in parti secondo la quantità, sono invece indivisibili secondo la qualità che è una e non molteplice. Sorge a questo punto la domanda: che cosa fa interagire tra loro le quattro radici? Per Empedocle due sono i princìpi esterni che determinano le combinazioni e le separazioni: l'amore (philìa) e l'odio (neikos), l'uno è forza attrattiva, l'altro principio di repulsione. Amore e odio tendono a sopraffarsi a vicenda, il loro conflitto determina lo sviluppo ciclico delle cose: dall'unità originaria alla disgregazione della molteplicità al ritorno all'Uno. I momenti del ciclo sono quattro: · lo sfero → Gli elementi sono mescolati insieme in un'unione completa(modello parmenideo dell'essere); · l'età dell'odio → L'odio penetra nello sfero e separa progressivamente ciò che in esso era unito; · Il caos → L'odio ho disgregato anche il cosmo. E' la fase dell'assoluta molteplicità, non c'è più alcun principio unitario che dia forma e struttura alle cose; · l'età dell'amore → L'amore ricostruisce progressivamente l'unità degli elementi, contro l'odio che resiste, fino a ricostruire lo sfero stesso. “E non finiscono mai, queste cose che perpetuamente trasmutano, ora di riunirsi tutto in uno per azioni di Amore, ora di essere trascinate ognuna per vie opposte dall'ostilità di Contesa” Simplicio, Physica, 31.B.17 Tutto si compone delle quattro radici, non soltanto gli uomini, anche l'anima è la proporzione risultante della mescolanza delle quattro radici. La conoscenza sensibile, relegata dagli Eleati nell'ambito dell'opinione, ha invece secondo Empedocle un fondamento oggettivo nella realtà delle cose. Essa avviene mediante un contatto tra elementi simili, tramite effluvi, elementi materiali che si dipartono continuamente da tutti i corpi. Dai frammenti delle Purificazioni ,emerge una visione etica e religiosa, in cui ricorrono alcuni grandi temi già presenti nella speculazioni di Anassimandro e dei pitagorici. Gli uomini sono presentati da Empedocle come demoni erranti, macchiatisi del delitto di aver preferito la contesa all'amicizia, il distacco al contatto, la separazione alla mescolanza, l'individualità al tutto; essi espiano questa loro colpa originaria nascendo sotto ogni forma di creatura mortale. “Perché già una volta io fui fanciullo e fanciulla, e arbusto e uccello e pesce muto che guizza fuori dal mare” Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, 31.B.117 Tutte le forme della vita cosmica, compreso l'uomo, quindi, si trasformano in un itinerario di purificazione che riscatti i peccati commessi, “per aver confidato nella folle Contesa” contro la forza dell'amore che tutto unisce. Espiare vuole dire rinascere, trasmigrare di corpo in corpo fino alla totale purificazione, la metempsicosi, come ritenevano gli adepti delle sette orfiche, ribadita da Pitagora e quindi da Empedocle. Il principio fondamentale del pensiero Empedocleo, ovvero la dialettica tra unità e molteplicità è proiettato pertanto sul pensiero religioso, e questo passaggio è visto come colpa originaria e caduta dell'anima mentre la salvezza è intesa come “ritorno” dei molti all'Uno, ovvero allo sfero. CONCLUSIONE “L'angolo di Empedocle” non è un libro di filosofia, ma trae spunto dalla figura di Empedocle per ripercorrere la formazione di due adolescenti: l'autore A.Bagnato e il pittore Salvatore Provino. Questa formazione avviene attraverso il rapporto con i rispettivi nonni che osservano la natura con l'occhio della meraviglia, quasi del Thauma, scoprendo i punti di contatto con il pensiero di Empedocle, che Bagnato e Provino scopriranno poi più tardi con lo studio della filosofia. Empedocle è il terzo nonno come scrive N. Siciliani nella prefazione. Il libro ci fa scoprire in maniera leggera, discorsiva e dimostrativa, l'attualità dei “ pluralisti” e può costituire uno stimolo a studiare la fase originaria del pensiero occidentale. Nota Con la nascita delle religioni monoteiste, in particolare del cristianesimo in seguito, il rapporto tra il sapere elaborato dai filosofi greci e la fede cristiana non sarà solo conflittuale. I primi pensatori cristiani ritrovarono nella filosofia greca, affermazioni, razionalmente dimostrate, che presentano importanti consonanze con i contenuti della propria fede, ad es: · L'immortalità dell'anima, il concetto di colpa originaria, la salvezza come percorso di purificazione. Quindi la ricerca razionale può fornire strumenti utili a chi crede, per rispondere alle domande suscitate dalla fede e avvicinarsi alla verità rivelata e comprenderla. In particolare la dottrine filosofiche della tarda età ellenistica, impregnate di spirito religioso ben si presteranno ad accostare gli uomini alla parola di Dio. Le verità razionali della filosofia saranno quindi interpretate come segni di un sapere che Dio stesso aveva reso possibile, donando agli uomini l'uso della ragione.