DIOCESI DI CREMONA Una riflessione pastorale per promuovere la partecipazione alla costruzione del bene comune I. INTRODUZIONE Nel mese di giugno, come cittadini saremo impegnati nelle consultazioni per l’elezione dei membri del Parlamento europeo, per il rinnovo di consigli comunali e provinciali e nell’elezione diretta di sindaci e presidenti delle province. Con il nostro voto esprimeremo democraticamente il nostro giudizio sull’operato delle amministrazioni in carica e contribuiremo a scegliere i progetti e le persone che disegneranno il futuro del nostro territorio. In vista di tale importante scadenza, la Diocesi di Cremona, sentito il Consiglio Pastorale Diocesano tramite la Commissione di Pastorale Sociale e del Lavoro, desidera ricordare ai fedeli laici come sia parte integrante della loro vocazione partecipare con fede e impegno all’amministrazione della cosa pubblica, e ricordare che la politica - come ebbe a definirla Paolo VI - rappresenta una «forma esigente di carità». La scadenza elettorale acquisisce una connotazione ancora più importante se si considera il momento di speciale bisogno che il nostro paese attraversa, a causa della crisi economica mondiale, delle profonde trasformazioni che investono la società e la cultura italiana e del diffuso e crescente senso di sfiducia della popolazione nei confronti della politica. Questo contesto di malessere non può lasciare indifferenti i cristiani, che sono chiamati a riscoprire con forza le motivazioni per un impegno serio e gratuito a favore della vita amministrativa delle loro comunità. Mentre la Chiesa in quanto tale «non è e non intende essere un agente politico» i[1], in questo momento risalta in modo particolare il compito dei fedeli laici nella ricerca di strade praticabili e condivise per trasformare, umanizzandoli in senso pieno, gli spazi della convivenza. Come ha più volte esortato anche Benedetto XVI, questo tempo di cambiamenti profondi richiede al laicato di portare il Vangelo nel mondo del lavoro, dell’economia e della politica, un compito che necessita anche «di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile»ii[2]. L’emergere di una nuova generazione di cristiani in politica, competenti e moralmente rigorosi, capaci di proporre soluzioni di sviluppo sostenibile - vale a dire di sviluppo che non dimentichi mai l’uomo e la sua dignità, che non dimentichi i più deboli, che sia rispettoso dell’ambiente - non può tuttavia rimanere solo un generico auspicio. Per divenire reale, esso deve tradursi in impegno convinto e sentito da parte della comunità ecclesiale del nostro territorio. L’avvicinarsi della scadenza elettorale rende opportuno rinnovare e precisare questa esortazione. II. PER UN RINNOVATO IMPEGNO DEI CRISTIANI IN POLITICA Crediamo che i fedeli cattolici non debbano rappresentare per le forze politiche un “territorio di caccia” per acquisire consenso elettorale, ma un bacino fecondo di idee, progetti e energie atti a contribuire all’animazione delle città e del Paese, capaci di ispirare le attività umane ai principi del Vangelo. Il credente infatti partecipa pienamente dell’umanità e del suo tempo, di cui condivide «gioie e speranze, tristezze e angosce» (Gaudium et spes, n.1). E il Convegno ecclesiale di Verona del 2006 ci ha ricordato che davanti alle sfide dell’oggi siamo chiamati a dare un volto concreto alla speranza, testimoniando il Vangelo nei luoghi in cui viviamo, attraverso un esercizio storico, personale e comunitario. Per dare speranza al mondo occorre rendere visibile il grande “sì” della fede nelle nostre vicende storiche, a partire dai territori che abitiamo, dagli ambiti, dai tempi e dai luoghi in cui si esprime la cittadinanza. Cioè nella sfera sociale e politica. Crediamo quindi opportuno invitare innanzitutto i laici cristiani della diocesi a vivere il momento di confronto pre-elettorale con serena e positiva partecipazione, esortandoli a dare ove possibile un contributo fattivo alla riflessione sul futuro dei loro territori. E invitiamo le comunità parrocchiali a seguire con attenzione il dibattito politico e a conoscere i diversi programmi e i candidati che si proporranno, per cercare di compiere scelte mature e informate. L’impegno delle parrocchie sui temi della politica deve essere coraggioso, perché è necessario il contributo dei cattolici a costruire una visione comune del futuro della nostra società. Poiché oggi il tessuto della convivenza civile mostra evidenti segni di lacerazione, ai fedeli è chiesto di «contribuire allo sviluppo di un ethos condiviso, sia con la doverosa enunciazione dei principi, sia esprimendo nei fatti un approccio alla realtà sociale ispirato alla speranza cristiana»iii[3]. Più in particolare, auspichiamo poi che maturino anche vocazioni specifiche di cristiani che si dedichino al servizio della comunità, offrendo la loro disponibilità a svolgere con onestà, rettitudine, gratuità e competenza il ruolo di amministratori pubblici nelle città, nei paesi e nei territori. Ciò può legittimamente avvenire anche in liste diverse o alternative tra loro. «La Chiesa — disse Giovanni Paolo II al Convegno ecclesiale di Palermo già nel 1995 — non deve e non intende coinvolgersi con alcuna scelta di schieramento politico o di partito, come del resto non esprime preferenze per l’una o per l’altra soluzione istituzionale o costituzionale, che sia rispettosa dell’autentica democrazia»iv[4]. L’impegno politico, lecito e doveroso, dei fedeli cristiani oggi può essere svolto anche in diversi schieramenti, a livello nazionale come a livello locale. Per questo può anche avvenire che membri della stessa comunità ecclesiale si trovino a confrontarsi nell’agone elettorale come candidati o sostenitori di liste o coalizioni alternative. Ciò non deve rappresentare un elemento di scandalo o di disorientamento per la comunità locale, né generare conflitti o divisioni. Piuttosto è un apprezzabile segno della ricchezza di vocazioni che ha saputo esprimere, laddove l’impegno delle persone sia competente, gratuito e guidato da una coscienza rettamente formata, illuminata dalla fede e dal Magistero della Chiesa. Infine, crediamo che tutti i cristiani – ovunque essi siano schierati – debbano avere come riferimento imprescindibile il Vangelo e la Dottrina sociale della Chiesa, e debbano adottare uno stile comune e riconoscibile nel vivere l’esperienza politica. Ci aspettiamo infatti che il cristiano in politica agisca con rettitudine esemplare, orienti le sue scelte alla carità e alla giustizia verso i fratelli, prenda le decisioni pubbliche sempre in spirito di servizio, mostri in ogni momento un rispetto incondizionato per l’altro, evitando di demonizzare l’avversario o chi non la pensa come lui. I cristiani che scelgono di agire in politica devono sempre ricordarsi che «il Vangelo chiede di mettersi dalla parte degli ultimi, senza i quali non potrà realizzarsi una società più giusta e fraterna» v[5]. In particolare, non dimentichino che la condivisione dell’unica fede e la comune appartenenza alla Chiesa precedono le pur legittime differenze nel proporre e nel realizzare soluzioni a questioni contingenti. III. I PRINCIPI IMPRESCINDIBILI PER UN POLITICO CRISTIANO Sembra utile ricordare alcuni principi che devono sempre e comunque ispirare l’agire dei laici cristiani in politica. 2 Mettere la persona al centro dell’azione politica. «La persona umana è fondamento e fine della convivenza politica» - ricorda il Concilio Vaticano II (GS 25) – intendendo così ricordare che per l’uomo la dimensione sociale non è qualcosa di accessorio: l’uomo per natura è creato per vivere in comunione con gli altri uomini. Perciò da un lato la comunità politica esiste grazie alle persone che si riconoscono cittadini e, dall’altro, la comunità politica chiede a ciascuno di offrire un contributo essenziale per una convivenza serena, perché nessuno è così povero da non poter offrire nulla agli altri e nessuno è così ricco da non aver bisogno degli altri. L’idea cristiana di persona non è dunque uguale a quella liberista di individuo, ripiegato su di sé e preoccupato di difendere i suoi interessi particolari davanti agli interessi degli altri individui. La persona collabora con tutti gli altri uomini, perché ritiene che ogni vita – anche se diversa dalla sua - è dono e ricchezza. Ogni persona merita l’attenzione della comunità, e la sua sola presenza è per tutti richiesta di promozione e tutela. Sappiamo che, nella cultura individualistica in cui siamo immersi, ciò non è affatto scontato. Da tempo assistiamo a tentativi volti a ridurre l’uomo a semplice prodotto della natura, mortificandone la dignità e la costitutiva vocazione alla trascendenza. Siamo provocati a recuperare e riproporre l’autentica unicità e grandezza della persona umana, dall’atto del suo concepimento fino alla sua morte naturale: in ogni suo aspetto, in ogni sua età, in ogni suo volto, razza, nazionalità o stato. Operare per il bene comune, non per interessi di parte. L’agire politico ha la finalità di perseguire il bene comune di tutte le persone che costituiscono la comunità. Esso però «non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale; essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro»vi[6]. Il bene comune non esiste in modo oggettivo, ma si concretizza storicamente attraverso la ricerca della migliore armonia possibile tra presenze culturali e interessi settoriali molteplici. Esso è frutto di uno stile di comunione, di dialogo e di condivisione (di progetti e intenti) che sappia anche mettere da parte gli interessi particolari, perché consapevole che solo insieme agli altri si costruisce la convivenza; richiede di anteporre le esigenze della giustizia agli interessi personali o di una categoria sociale o anche di uno Stato. Non spetta quindi certamente all’autorità politica in assoluta autonomia sebbene espressione di una maggioranza democraticamente eletta - dire cosa sia il bene comune e men che meno a un individuo o a un gruppo organizzato portatore di interessi corporativi. Il convegno ecclesiale di Verona ha ribadito con chiarezza che anche la Chiesa nell’occuparsi del bene della società umana deve agire «non per preservare un “interesse cattolico”, bensì per offrire il suo peculiare contributo per costruire il futuro della comunità sociale in cui vive e alla quale è legata da vincoli profondi»vii[7]. L’individuazione e l’edificazione del bene comune nella città terrena è invece un compito che – attraverso i meccanismi di partecipazione e confronto – deve impegnare e coinvolgere tutti i membri della società. Lo si raggiunge vivendo una responsabilità politica e amministrativa che si faccia carico di ricercare il «bene altrui come se fosse il proprio»viii[8] e che si sforzi di favorire la partecipazione democratica di tutti alla vita politica, attraverso la promozione del dibattito e del confronto, anche quando esistono differenti visioni o opinioni in merito alle questioni dibattute. Si tratta di comportamenti che dobbiamo esigere da chi ci governa. E per questo al momento di esercitare il diritto di voto è importante indirizzare il proprio consenso verso candidati che non abbiano palesi interessi personali che possano risultare in contrasto con il bene comune e che siano invece intenzionati a favorire la massima partecipazione democratica nell’amministrare la cosa pubblica. Agire secondo i principi della solidarietà e sussidiarietà. L’uomo singolo, la famiglia e le altre forme di libere aggregazioni sociali (i cosiddetti corpi intermedi) sovente non sono in grado di pervenire da se stessi al loro pieno sviluppo. Anche da ciò deriva la necessità di dotarsi di 3 istituzioni politiche, la cui finalità è quella di rendere accessibili alle persone i beni necessari – materiali, culturali, morali, spirituali – per condurre una vita veramente umana. Il principio di sussidiarietà ci ricorda che compito della comunità politica non è però sostituire l’iniziativa e la capacità delle persone, delle famiglie e dei corpi intermedi, ma invece occuparsi degli interventi necessari per sostenerle nelle loro necessità, provvedendo a ciò che esse da sole non sono in grado di fareix[9]. La sussidiarietà ha grande valore perché ogni persona, famiglia o istituzione ha qualcosa di originale da offrire alla comunità. L’amministrazione pubblica ha bisogno di far riferimento alla sussidiarietà come modo per sollecitare e promuovere la responsabilità sociale e la partecipazione di tutti al bene comune. Tale principio richiede a chi ci amministra il riconoscimento dell’importanza dell’apporto originale delle famiglie, degli enti e delle persone che contribuiscono effettivamente a offrire servizi e favorire relazioni all’interno della società. Il principio di sussidiarietà non può tuttavia divenire semplice giustificazione o difesa degli interessi di parte di alcuni gruppi a scapito del bene comune. Ai corpi sociali intermedi viene riconosciuto un ruolo sociale importante, ma sempre in vista dell’edificazione del bene comune. Ed è proprio il riferimento al bene comune dell’intera comunità a tenere in stretta relazione sussidiarietà e solidarietà. Quest’ultimo principio, quello della solidarietà, nasce dalla consapevolezza del debito che tutti gli uomini hanno nei confronti della società in cui sono inseriti. Dal punto di vista evangelico è “perdersi” a favore dell’altro. In politica si richiede che i programmi e le candidature facciano emergere anche un progetto di società, di convivenza civile, di qualità di relazioni e di servizi che non si limiti a favorire l’iniziativa dei gruppi più capaci o organizzati, ma che in nome della giustizia si faccia carico attivamente e direttamente delle persone più svantaggiate e isolate. In particolare, in questo frangente storico, la solidarietà richiede di dare priorità ai problemi di persone e famiglie che faticano a sostenersi a causa di precarie condizioni lavorative o scarse disponibilità economiche, indipendentemente dalla loro nazionalità, dalla religione, dai valori o dalle idee in cui essi credono. L’accesso alla casa, il diritto ad un lavoro, la possibilità di scegliere una scuola chiamano in causa la giustizia. Sono temi di giustizia sociale a cui i cristiani non possono sottrarsi. IV. ALCUNE QUESTIONI IMPORTANTI Infine, desideriamo porre all’attenzione dei fedeli laici che intendono candidarsi alcune questioni importanti che riteniamo meritino di essere prese in attenta considerazione in occasione della redazione dei loro programmi elettorali 1. Politiche familiari Si ritiene necessario, oggi, promuovere a ogni livello una cultura che riconosca la famiglia come soggetto sociale (e non semplice somma di individui) e che valorizzi e sostenga la maternità e la paternità, sottolineandone l’alto valore personale e sociale. La famiglia è infatti risorsa fondamentale della società e primo crocevia tra pubblico e privato. La famiglia fondata sul matrimonio costituisce un bene insostituibile, è luogo di dialogo tra le generazioni e prima scuola delle virtù sociali, generatrice per la società di una ricchezza che si esprime anche nelle varie forme di accoglienza e nell’accompagnamento educativo. La famiglia è altresì portatrice di originalità e di responsabilità nella ricerca di risposte a istanze sociali e al cambiamento della società. Tra i possibili ambiti in cui gli Enti locali possono concretamente intervenire, ricordiamo: la promozione di strutture residenziali per gestanti in difficoltà e madri sole; l’incremento degli asili nido, con differenziazione dell’offerta sia sul versante degli orari che su quello organizzativo; gli interventi non occasionali di supporto alle relazioni tra genitori e figli adolescenti; l’offerta di efficaci servizi a favore dell’infanzia e dell’adolescenza; la gestione di servizi domiciliari e residenziali rivolti agli anziani. Tali servizi pubblici potranno essere offerti direttamente da soggetti 4 pubblici oppure – laddove possibile – essere realizzati anche da soggetti privati sociali, in un’ottica di sussidiarietà, con il supporto finanziario e sotto uno stretto controllo dell’ente pubblico, che dovrà sempre e comunque essere garante della loro qualità davanti ai cittadini. Compatibilmente con il quadro normativo nazionale, anche la politica fiscale e tariffaria dei Comuni e delle Province dovrà essere pensata per favorire il più possibile le famiglie, soprattutto a basso reddito, con particolare attenzione a quelle con bambini, quelle monoparentali e quelle con anziani a carico. 2. Lavoro e sviluppo economico L’anno 2009 si presenta come contrassegnato da una crisi economica molto importante, che sta producendo i suoi effetti tanto a livello globale come a livello locale. I tempi che viviamo richiedono ai cristiani impegnati in politica di farsi carico sia dei problemi emergenti legati alla crisi, sia di interrogarsi in modo non ideologico sull’efficacia, la giustizia e l’eticità del modello di sviluppo economico che il mondo (e il nostro paese) ha adottato in questi decenni. Per quanto riguarda gli effetti a livello locale della crisi economica, gli enti locali devono essere pronti a dare aiuto ai cittadini che potrebbero perdere il lavoro, interrogandosi sugli strumenti più adeguati per supportare temporaneamente le persone e le famiglie nel momento della perdita o della riduzione sensibile del loro reddito. Ciò sarà possibile trovando soluzioni innovative sul piano dei servizi, delle tariffe e del prelievo fiscale. Inoltre – in questo momento eccezionale - gli enti locali potranno utilmente impegnarsi per studiare incentivi speciali a favore dello start-up o dello sviluppo di imprese che risultino veramente capaci di generare nei nostri territori nuovi “buoni” posti di lavoro (cioè stabili, sicuri e dignitosi), iniziative imprenditoriali socialmente responsabili, rispettose delle persone e dell’ambiente e con legami forti di “cittadinanza” col territorio. Sarà questo un modo per proporre una soluzione possibile a chi dovesse restare senza lavoro, ma soprattutto potrebbe rappresentare un segnale importante rispetto al modello di sviluppo economico verso cui guardare per il futuro. Ugualmente utile potrà essere il farsi carico, da parte della comunità politica, della tutela delle persone e delle famiglie in quanto consumatori e risparmiatori, al fine di offrire ai cittadini servizi integrativi di aiuto in caso di necessità. D’intesa coi patronati, coi sindacati e con le associazioni private che già svolgono assistenza legale e amministrativa di base, i comuni e le province potranno intensificare gli sforzi utili per aumentare le difese e le tutele per quei cittadini che – ultima ruota del carro di un’economia malata – rischiano di pagare ingiustamente, sul piano del reddito personale o dei diritti patrimoniali, per gli errori di grandi imprese, banche o assicurazioni. Tuttavia, se da un lato sono indispensabili provvedimenti che aiutino concretamente e subito chi è più colpito dall’incalzare degli eventi, dall’altro è ormai giunto il momento di ripensare al ruolo dell’economia nella società. Il momento di crisi richiede una riflessione lungimirante sul modello di sviluppo economico che come cristiani desideriamo per il mondo e per il nostro territorio. E’ infatti chiaro che l’economia di mercato, pur generando uno straordinario aumento della ricchezza, ha fallito rispetto ad alcuni compiti fondamentali: quello di assicurare una equilibrata crescita economica di tutti i paesi; quello di dare un lavoro stabile per tutti; quello di favorire una equa distribuzione della ricchezza prodotta. Negli ultimi due decenni si è spesso assistito, al contrario, a una crescente precarizzazione dei posti di lavoro; a una flessibilizzazione del lavoro a volte selvaggia; alla delocalizzazione degli stabilimenti; al sottrarsi delle imprese ai vincoli degli Stati, con lo spostamento nei paesi con normative favorevoli; alla diminuzione dei salari reali; alla riduzione del welfare; alla concentrazione sempre più spinta della ricchezza e del potere nelle mani di pochi; all’adozione di modelli di consumo non compatibili con la salvaguardia del creato; all’emergere di difficoltà per i giovani a dare una stabilità al loro reddito, che ha sensibilmente influenzato anche la loro propensione a dar vita a una nuova famiglia. Sono questioni che non riguardano solo la sfera (sentita da molti come lontana e inavvicinabile) della “grande economia globalizzata”, ma che toccano direttamente anche le nostre comunità e le scelte politiche locali. Occorre pertanto che anche a livello locale, in nome del bene comune, le 5 nostre comunità si impegnino insieme per costruire e promuovere dal basso (magari con scelte piccole, ma profetiche) un’economia più giusta e più solidale, cercando di adottare per il futuro un modello di sviluppo locale attento a coniugare la crescita economica con la coesione sociale. Più che preoccuparsi genericamente della crescita economica, da cristiani dobbiamo chiederci perché e come crescere. Questo non significa fermare il progresso economico, ma riorientarlo, chiedendosi dove stiamo andando e correggendo la rotta per raggiungere approdi migliori. Da cristiani, nel pensare il modello di sviluppo del territorio, occorre ridare priorità al lavoro, prima e al di sopra della finanza, perché questa sia al servizio dell’economia reale e dello sviluppo delle persone e delle comunità umane. Sui posti di lavoro, occorre ridare priorità alla persona, mettendo in atto sistemi che ne assicurino sicurezza, tutela della salute, attenzione alle esigenze di cura, perché il lavoro è per la persona, non la persona per il lavoro. In generale, nelle nostre comunità, occorre recuperare uno stile di consumo sobrio, essendone poi testimoni nel proprio stile di vita, nelle relazioni con gli altri e nei luoghi educativi. Di fronte a una società dominata dal possesso dei beni materiali e in cui erano presenti inaccettabili squilibri, già sedici anni fa Giovanni Paolo II ricordava che «per promuovere il benessere sociale, culturale, spirituale ed anche economico di ogni membro della società, è indispensabile arginare l'immoderato consumo di beni terreni e contenere la spinta dei bisogni artificiali. La moderazione e la semplicità devono diventare i criteri del nostro vivere quotidiano»10. 3. La scuola e il territorio La scuola è al servizio del bene comune, fonte di educazione e di cultura. L’autonomia scolastica ha accomunato scuola ed ente locale nel porsi l’obiettivo di qualificare l’offerta formativa alle famiglie. E’ importante che le amministrazioni, nel rispetto delle competenze connesse all’autonomia della scuola, sostengano e valorizzino le iniziative dei vari istituti scolastici del territorio (statali e non statali), attraverso il coordinamento di progetti che li coinvolgono, partecipando attivamente alle iniziative promosse dalle scuole, mettendo a disposizione risorse (umane ed economiche) nonché servizi integrativi che rendano effettivo il diritto allo studio dei bambini, ragazzi e giovani. Ovviamente il compito educativo della scuola si pone a sostegno di quello della famiglia. Va ribadita, a questo proposito, la libertà delle famiglie di scegliere la scuola a cui affidare i propri figli come esercizio concreto della libertà di educazione. Anche la singola istituzione scolastica non si deve costituire come unità chiusa in se stessa: ad essa si chiede di stabilire un rapporto diretto con il proprio territorio, capace di valorizzarne le vocazioni e le potenzialità. Scuola e enti locali devono saper cogliere insieme le nuove aspettative ma anche i pericoli che possono emergere a livello locale, affinché la scuola sia aiutata a “leggerli” per tempo e trovare ad essi risposte in termini formativi. Inoltre gli enti locali – in contatto con la scuola e con gli attori economici – devono farsi carico anche di interventi volti a favorire l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani diplomati, laureati e specializzati in cerca di lavoro. Ciò perché attivare un percorso rapido ed efficiente tra periodo dedicato alla formazione, inserimento nel mondo produttivo e ottenimento di un reddito stabile rappresenta un modo per aiutare insieme i giovani, le famiglie, le imprese e l’intera comunità locale a raggiungere livelli di benessere e sicurezza fondamentali per la coesione sociale. È questo un compito che risponde dunque alla ricerca del bene comune e che risulta ancor più critico in questi mesi di sofferenza del sistema economico e di riduzione dei posti di lavoro. 4. L’immigrazione come ricchezza L’arrivo degli immigrati, sempre più massiccio, è un forte richiamo alla comune responsabilità verso il diritto a una vita dignitosa per tutti. Ed è anche occasione che richiede un’intelligente politica di dialogo interculturale e interetnico, che favorisca la costruzione di ponti tra i popoli, nel rispetto dei diritti/doveri di cittadinanza garantiti dalla nostra Costituzione, dai Trattati europei e 6 dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. La centralità della persona, come principio ispiratore dell’agire del cristiano in politica, ha bisogno di essere declinata e riaffermata anche in questo campo. Il tema dell’immigrazione, infatti, non può essere affrontato solo a partire dal ruolo degli immigrati per la vita economica del Paese, né può essere confuso con la questione della sicurezza e della legalità, oppure ridotto a un mero problema di autorizzazioni all’ingresso e alla residenza nei nostri confini. L’immigrato è persona prima ancora che manodopera da impiegare in lavori che gli italiani non sono più disposti a fare. Le politiche di accoglienza vanno accompagnate da serie politiche di integrazione, che sono possibili soprattutto a partire dalla costruzione di una relazione e di uno scambio culturale. La scuola al riguardo può diventare luogo profetico di fraternità, di incontro con l’alterità e di educazione al confronto. In generale, anche l’accesso ai servizi può rivelarsi momento di conoscenza e di costruzione di reciproca fiducia, nella misura in cui, accanto alla qualità della prestazione, ci sia apertura all’ascolto e valorizzazione delle specificità della persona immigrata. Gli immigrati attivi nel nostro territorio e rispettosi della legalità possono essere portatori di originale e dinamico capitale sociale, che può anche favorire lo sviluppo dei propri paesi di origine. Si auspica pertanto che sia riconosciuta la ricchezza relazionale e sia promosso il potenziale di sviluppo delle comunità immigrate. 5. L’ambiente L’ambiente è un bene collettivo, destinato a tutti e da salvaguardare per le generazioni future, attraverso un esercizio di co-responsabilità che deve coinvolgere tutti i cittadini. Chi amministra gli enti locali deve esserne consapevole ed è auspicabile che si assuma espressamente come impegno davanti ai cittadini quello di perseguire uno sviluppo economico e urbanistico del territorio che sia sostenibile da un punto di vista ambientale. La compatibilità dello sviluppo con la tutela e la valorizzazione dell’ambiente dovrà essere assicurata attraverso interventi politici, coraggiosi ed efficaci, tesi a promuovere il risparmio idrico ed energetico, la promozione dell’uso di fonti energetiche rinnovabili, la diminuzione dell’inquinamento da traffico urbano e riscaldamento, il controllo delle emissioni inquinanti dei luoghi produttivi e in agricoltura, l’attenta valutazione dell’impatto ambientale dei nuovi insediamenti produttivi. Poiché in molti casi le scelte politiche in tema ambientale, benché supportate da argomentazioni tecniche, sono tuttavia soggette infine a valutazioni soggettive, si ricorda che in questo ambito deve valere il «principio di precauzione», secondo cui la decisione in condizioni di incertezza o incompletezza di informazione deve essere provvisoria e modificabile in base a nuove conoscenze11. Si deve evitare, con altre parole, che scelte prese oggi in condizioni di incertezza diventino irreversibili e rischino di compromettere definitivamente l’eredità ambientale lasciata alle successive generazioni. Periodicamente anche nel nostro territorio si accendono dibattiti su questioni riguardanti ad esempio lo smaltimento di rifiuti speciali (sovente tossici) o la collocazione di discariche potenzialmente pericolose. Premesso che non è accettabile la pretesa dei cittadini che vorrebbero le discariche collocate al di fuori del proprio territorio, si ritiene opportuno ricordare che simili decisioni devono essere prese seguendo alcuni criteri orientativi: innanzitutto il primato del bene e della salute delle persone e delle comunità direttamente interessate da simili operazioni rispetto a qualsivoglia argomentazione di convenienza economica o tecnica; inoltre il rispetto di una procedura che garantisca alla cittadinanza una informazione trasparente e corretta in merito ai termini dell’operazione, dando ad essa la possibilità di conoscere esattamente i contenuti dei progetti e di controllarne poi direttamente la realizzazione. Cremona, febbraio 2009 7 i ii [1] Benedetto XVI, omelia al Convegno ecclesiale di Verona, 19 Ottobre2006 [2] Benedetto XIV, Omelia durante la messa celebrata a Cagliari , davanti al Santuario di Nostra Signora di Bonaria, domenica 7 settembre 2008. iii [3] Conferenza Episcopale Italiana, “Rigenerati per una speranza viva” (1 Pt 1,3): testimoni del grande “sì” di Dio all’uomo”, Nota pastorale dell’Episcopato italiano, dopo il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale, 29 giugno 2007, n. 12 iv v [4] vi vii [6] viii ix [8] Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa,, n.167 [9] Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa,, n. 168. Giovanni Paolo II, Allocuzione ai Convegnisti, in L’Osservatore Romano, 24 novembre 1995, n. 10. [5] Conferenza Episcopale Italiana, “Rigenerati per una speranza viva” (1 Pt 1,3): testimoni del grande “sì” di Dio all’uomo”, Nota pastorale dell’Episcopato italiano, dopo il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale, 29 giugno 2007, n. 18 Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 164. [7] Conferenza Episcopale Italiana, “Rigenerati per una speranza viva” (1 Pt 1,3): testimoni del grande “sì” di Dio all’uomo”, Nota pastorale dell’Episcopato italiano, dopo il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale, 29 giugno 2007, n. 18 10 Giovanni 11 Paolo II, Messaggio in occasione della XXVI Giornata mondiale della pace, I gennaio 1993 Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa,, n. 469 8