Carlo Marx Il pensiero di Marx rappresenta una delle riflessioni più feconde dell’età moderna. La sua irriducibilità alla dimensione puramente filosofica (o puramente sociologica o economica), fa del pensiero marxiano un’analisi globale della società e della storia; il suo legame con la prassi, con l’impegno di trasformazione oltre che di interpretazione, ne fa un riuscito modello di “filosofia che fa”. L’edificazione di una nuova società, che tutta una tradizione di utopisti, filosofi, poeti, analisti del sociale, aveva teorizzato sin dall’antichità (a partire da Platone, o ancor prima dai pitagorici, fino a Comte), trova in Marx nuovo spazio nell’ambito di una ricerca condotta con metodo rigoroso e scientifico. I. La Vita. Karl Marx, nasce a Treviri nel 1818, da genitori ebrei. Di temperamento romantico, portato per gli studi umanistici, tralasciò quelli giuridici, intrapresi a Bonn per compiacere il padre, brillante avvocato, per la prestigiosa facoltà di filosofia di Berlino, dove solo cinque anni prima ancora insegnava Hegel. Gli anni dell’università, vissuti in modo intenso e vivace, terminano, con una tesi sul materialismo di Democrito a confronto con quello Epicureo, nel 1841. Entrato in contatto con il circolo dei giovani hegeliani di sinistra, subisce l’influenza teorica di Feuerbach. Dopo l’esperienza giornalistica presso il quotidiano liberale di Colonia, la “Gazzetta Renana”, diretto da Moses Hess,1 in seguito alla chiusura del giornale per intervento della censura, Marx decide di partire per Parigi, non prima di aver sposato il suo grande amore, Jenny von Westphalen e non prima di aver messo a punto la traccia di una critica dell’hegelismo, maturata negli anni dell’università.2. A Parigi incontrerà l’amico per la vita, Friedrich Engels, con il quale, insieme ad Arnold Ruge e Moses Hess, fonderà gli Annali Franco-tedeschi, dei quali uscirà un solo numero e per i quali Marx pubblicherà un estratto della sua critica ad Hegel (dal titolo Introduzione alla Critica della filosofia del Diritto di Hegel) e uno scritto sulla Questione ebraica. Costretto ad espatriare da Parigi solo due anni dopo, a causa di “cattive compagnie”, come il socialista Pierre-Joseph Proudhon e l’anarchico Michail Bakunin, e dietro espressa richiesta dello stato prussiano, Marx ripara a Bruxelles, dove, accolto a patto che non pubblichi nulla di “comunista”, matura il distacco polemico dall’intera filosofia tedesca, che si concretizza nelle Tesi su Feuerbach e soprattutto in L’Ideologia Tedesca, scritta nel 1846 in collaborazione con Engels e in cui vengono poste le basi del Materialismo storico. Con Engels aveva già pubblicato La sacra famiglia o Critica della critica“ critica”, uno scritto satirico su quegli hegeliani di sinistra che si illudevano di trasformare la società limitandosi a “criticarla”. In quest’opera Marx ed Engels, sposata la concezione dell’umanesimo reale di Feuerbach, mettono in ridicolo la genesi dell’astrazione idealistica della realtà sensibile e la mistificazione della realtà prodotta dall’hegelismo. In occasione del primo congresso della “lega dei comunisti”, tenutosi a Londra nel 1847, Marx ed Engels scrivono il “Manifesto del partito comunista”, un libricino di 23 pagine, dall’aspetto innocuo 1 2 Detto il “rabbino rosso”, per le idee socialiste e le origini ebraiche. Quella che diverrà la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico. che cambierà il corso della storia. Trasferitosi a Londra con la famiglia, lavorerà per il British Museum. Sono anni di studi fecondi e di ristrettezze economiche (Marx è talmente povero da doversi impegnare persino gli abiti). Nel 1864 Marx è tra i fondatori dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, di cui redige il programma (la prima Internazionale). Grazie al benevolo aiuto da parte dell’amico Engels, che lo sosterrà sempre anche dal punto di vista materiale, nel 1866 iniziò la stesura della sua opera monumentale, Il Capitale. Venuta a mancare l’adorata Jenny nel 1881, Marx si spegne a poco a poco e morirà nel 1883.3 I. La critica al misticismo logico di Hegel. Dal complesso rapporto che lega Marx alla filosofia tedesca emerge l’innegabile, profonda influenza che Hegel, in primo luogo, ha esercitato su Marx, sia per affinità, come vorrebbe Lukacs, sia per opposizione, come vorrebbe Althusser.4 Qualcosa del “verbo” hegeliano, come Marx stesso lo definì in uno scritto giovanile, resterà sempre. La filosofia di Hegel è lo “sfondo” senza il quale non sarebbe possibile alcuna comprensione del pensiero di Marx. Il primo testo in cui Marx si cimenta nel confronto col maestro, attraverso un’analisi del rapporto tra stato e società civile, è la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, pubblicata postuma e completa solo nel 1927, nella quale Marx sostiene la posizione di Feuerbach, per la quale Hegel avrebbe operato un arbitrario capovolgimento tra il soggetto e il predicato, tra concreto e astratto, uno stravolgimento nel quale concrete realtà individuali, empiriche, divengono semplici manifestazioni dello svolgersi necessario della vita dello Spirito. Ritenendo lo “Stato”, la totalità (in termini politici), il soggetto, del quale gli individui sono semplice predicato, niente altro che necessaria incarnazione dello Spirito, Hegel avrebbe messo in campo, secondo Marx, un ottimo stratagemma in grado di giustificare, in politica, “l’esistente”, rendendone impraticabile ogni critica. Lo stato prussiano, concreta realtà storica, viene da Hegel ipostatizzato, presentato come essenza immutabile, perciò intoccabile e ingiudicabile. Fallace sul piano filosofico, il metodo di Hegel, che Marx chiama “misticismo logico”, è dunque mistificatorio su quello politico, perché porta a “santificare” la realtà esistente, legittimandola come essenza universale. Mentre critica il “sistema” mistico, hegeliano (= “il reale è razionale”) bollandolo come giustificazionismo politico, indubbio merito Marx attribuisce invece alla visione “dialettica” della realtà, come “totalità storico-processuale”, costituita di elementi concatenati tra loro e mossa dalle opposizioni. Vedremo gli sviluppi di questo rapporto marxiano con la dialettica hegeliana, che originerà un nuovo metodo interpretativo delle articolazioni che regolano la vita concreta degli uomini nella società moderna. II. Gli Annali franco-tedeschi e la critica alla civiltà moderna. Gli anni trascorsi a Parigi sono quelli in cui Marx matura il passaggio definitivo al comunismo5. All’epoca egli frequenta i circoli operai parigini, entra in contatto con intellettuali e politici, tra cui i socialisti utopisti Proudon e Louis Blanc e collabora alla rivista “Annali franco-tedeschi” (diretta dal suo vecchio amico Moses Hesse anch’egli riparato a Parigi) con due articoli nel Febbraio del 1844: La Il buon Engels pronuncerà l’elogio funebre “Il 14 marzo, alle due e quarantacinque pomeridiane, ha cessato di pensare la più grande mente dell’epoca nostra [...] Così come Darwin ha scoperto la legge dello sviluppo della natura organica, Marx ha scoperto la legge dello sviluppo della storia umana…”. 4 György Lukács (1881-1971), è stato un filosofo ungherese. La sua visione umanistica del marxismo affronta in particolare il tema dell’alienazione dell’uomo nella società capitalistica. Influente è stata la sua interpretazione della filosofia nietzschana, ed in generale della cultura cosiddetta irrazionalista, come matrice ideologica del fascismo. Louis Althusser (1918 -1990) è stato un filosofo francese protagonista dello strutturalismo degli anni sessanta, assieme a Claude Lévi-Strauss, Jacques Lacan, Michel Foucault. 5 Dopo la rivoluzione sovietica, i termini “comunismo” e “socialismo” tendono ad essere distinti, indicando, il primo, le forze che s’ispirano direttamente a Marx e alla rivoluzione d’Ottobre, il secondo, quelle che respingono la posizione rivoluzionaria e il modello sovietico. In Marx i due termini sono ancora quasi equivalenti, anche se, dal 1848 in poi, preferirà l’uso del termine “comunismo”. 3 questione ebraica e l’Introduzione alla critica della filosofia hegeliana del diritto. Nel primo articolo Marx introduce il concetto di Rivoluzione sociale, come unico mezzo di liberazione umana, nel secondo quello di proletariato come classe in grado di attuarla. Nell’Introduzione alla critica, mentre riprende il tema della lotta alla discriminazione religiosa proposta nel primo articolo, Marx rielabora il concetto di scissione moderna tra Stato e Società civile, che era già di Hegel. Nella polis greca, rileva Marx, l’individuo viveva in unità sostanziale con la comunità di cui era parte e non conosceva l’antitesi tra privato e pubblico, tra società e stato; nel mondo moderno, invece, l’uomo vive diviso tra due ambiti, quello egoistico e particellare (= fatto di interessi particolari) della atomistica società civile, e quello universale dello Stato che, idealmente, dovrebbe innalzare la società al livello del “bene comune”. “Idealmente” e “dovrebbe”, sottolinea Marx, poiché, in realtà, lo Stato si rivela strumento di tutela delle classi più forti. Ben lontano dal perseguire mete d’interesse generale, lo Stato moderno, infatti, non fa che riflettere e proteggere gli interessi particolari di gruppi e classi. Per quanto i cittadini siano “formalmente”, politicamente e giuridicamente, uguali di fronte allo stato, “di fatto”, socialmente, non lo sono. La sfera politica delle “libertà” borghesi, sostiene Marx, attiene ad una società dominata dall’egoismo: il diritto alla “proprietà privata”, cardine delle libertà “democratiche”, di fatto non è che arbitrio di disporre del proprio senza curarsi delle necessità altrui. È evidente che il giovane Marx ha in mente una società ideale, differente; una democrazia sostanziale in cui, come nella polis greca, esiste perfetta compenetrazione tra individuo e comunità e nella quale ciascuno è veramente parte, momento dell’intero demos. In fondo è quel che teorizzava Hegel; ma, mentre per Hegel tale ideale si poteva attuare attraverso strumenti politici, quali le “corporazioni”, la burocrazia e lo Stato, per Marx questo modello di comunità solidale, la “società comunista”, come già la chiama, può realizzarsi soltanto attraverso l’eliminazione delle disuguaglianze reali, concrete, tra gli uomini e in particolare attraverso l’eliminazione del principio stesso su cui si fonda la disuguaglianza: la proprietà privata. La società che Marx ha in mente può divenire realtà non con strumenti politici, come il “suffragio universale”, ma con l’arma della rivoluzione sociale, di cui l’esecutore materiale può esser solo il proletariato. È proprio la classe priva di proprietà ad essere destinata a realizzare la nemesi storica nei confronti della cinica ed egoista civiltà dei proprietari. E così all’ideale dell’emancipazione politica, cui tendono i maggiori teorici dei vari Risorgimenti europei, miranti alla uguaglianza formale, (= alla conquista di libertà civili e di suffragi universali), Marx contrappone l’ideale di una emancipazione umana che mira ad una eguaglianza sostanziale. Nel giovane Marx cogliamo anche l’intento polemico nei confronti della critica speculativa che ha ridotto la filosofia ad un ruolo di spettatrice per troppo tempo. L’arma della critica non può sostituire la “critica” delle armi, la potenza materiale deve essere abbattuta dalla potenza materiale.6 La critica alla filosofia idealistica però non porta Marx al rifiuto della filosofia in toto ed al rifugio nella pura azione politica. La filosofia, esaurito il suo compito di critica speculativa, deve assumersi quello di arma teorica funzionale alla prassi, all’azione sociale. Anche la teoria diventa potenza materiale non appena si impadronisce delle masse.7 III. I Manoscritti economico-filosofici e la critica dell’economia borghese. Il problema dell’alienazione. Nell’intento di dare un’impostazione scientifica al suo pensiero, alla luce degli obiettivi che si è prefissato, Marx si dedica allo studio critico dell’economia politica. L’incontro tra la sua formazione filosofica con le leggi dell’economia politica porterà Marx alla formulazione delle nozioni di Alienazione e di Materialismo storico. I manoscritti, composti a Parigi, nel 1844 rappresentano 6 7 Marx, Introduzione alla critica della filosofia hegeliana del diritto. Marx, Introduzione alla critica della filosofia hegeliana del diritto. l’applicazione in sede economica dello schema che aveva utilizzato in campo politico, nella critica ad Hegel. L’idea di Marx è che l’economia politica “classica” assuma come dato a priori ciò che in realtà deve ancora spiegare, che assolutizzi contenuti empirici e li descriva come naturali. Proprietà privata, profitto, divisione del lavoro sono considerate dagli economisti inglesi (da Smith a Ricardo a Malthus), leggi economiche naturali, fatti metastorici, postulati assoluti; quindi, tutto ciò che da essi deriva è una conseguenza inevitabile.8 In realtà, dice Marx, le cosiddette “leggi generali” dell’economia politica classica sono soltanto regole particolari di una determinata società, che sono state arbitrariamente assunte come valide universalmente. Quello descritto dagli analisti classici altro non è che un meccanismo di produzione tra i tanti della storia, quello della società capitalistico-borghese. Per l’incapacità di collocarsi in prospettiva storica rispetto al fenomeno studiato, però, l’economia borghese ha prodotto una alterazione della verità, una mistificazione, che nasconde la contraddizione insita nel sistema capitalistico, ossia la conflittualità, l’opposizione tra Capitale e Lavoro salariato. Contraddizione individuata ed espressa da Marx attraverso il concetto di Alienazione .9 Il concetto d’Alienazione affonda le radici nella filosofia tedesca precedente. Per Hegel è il movimento stesso dello spirito, che si fa altro da sé, nella natura, per potersi ri-appropriare di sé in modo arricchito; è un peggioramento che da luogo ad un arricchimento. Per Feuerbach è la condizione dell’uomo religioso che aliena, le proprie caratteristiche migliori ad un essere da lui stesso immaginato, al quale si sottomette. Rifacendosi a Feuerbach, Marx concepisce l’alienazione come condizione patologica di “scissione”, di estraniazione, e di dipendenza; ma se per Feuerbach era un fatto coscienziale, derivante da un’errata interpretazione di sé, per Marx l’alienazione diventa un fatto di natura socio-economica, in quanto si identifica con la condizione storica del salariato nell’ambito d ella società capitalistico-moderna, mediante la quale l’operaio è ridotto a mero strumento, macchina per produrre una ricchezza che non gli appartiene. ▪ L’alienazione, per Marx, è una svalutazione del mondo degli uomini che cresce in rapporto al crescer di valore del mondo delle cose. L’operaio diventa tanto più povero quanto più produce ricchezza, quanto più la sua produzione cresce in potenza ed estensione. L’operaio diventa una merce tanto più crea delle merci.10 ▪ L’alienazione è conseguenza del sistema produttivo capitalista, basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, in quanto, in tale sistema, l’operaio viene espropriato: 1. del prodotto della sua attività, che non gli appartiene, ma è proprietà di un altro. 2. della sua stessa attività lavorativa, che all’interno del processo di produzione non è più “cosa sua”, ma di un altro. 3. della stessa sua essenza umana, che si dovrebbe distinguere da quella animale proprio nello svolgere un’attività consapevole e creativa, il lavoro. Questo nella società capitalistica non avviene, poiché l’uomo è ridotto a mero strumento, “bestia”, nell’eseguire un lavoro forzato, ripetitivo e unilaterale, frutto della divisione del lavoro, ossia della eccessiva specializzazione dell’operaio. Chi è questo altro che si appropria del lavoro? È il proprietario del “capitale”, il proprietario della fabbrica, per il quale l’operaio lavora come salariato. ▪ L’alienazione è un circolo vizioso: è l’espropriazione del lavoro, da parte del capitalista (il proprietario), che ha come conseguenza l’accrescimento di altra proprietà privata. La “divisione del lavoro”, problema classico dell’economia, è analizzato da Marx in termini di ingiustizia. Egli distingue tra la divisione sociale e la divisione tecnica o economica del lavoro. Mentre certe forme di divisione o cooperazione sono date per necessità tecnica, altre sono puramente il risultato di una funzione di controllo sociale da parte di una classe e di una struttura gerarchica. Se ad una classe sono assegnati solo lavori ripetitivi, monotoni e alienanti questo avviene perché la divisione del lavoro è (in buona parte) realizzata socialmente e influenzata da giochi di potere. 9 Per Rousseau indica la cessione dei diritti individuali a favore della comunità. 10 Marx, manoscritti enocomico-filosofici. 8 La proprietà privata è dunque frutto dell’espropriazione del lavoro ed è il presupposto delle attuali relazioni di lavoro, quindi causa dell’alienazione. ▪ Ragion per cui, l’eliminazione dell’alienazione del lavoro può avvenire soltanto sopprimendo la proprietà privata dei mezzi produttivi, sostituendo all’attuale sistema produttivo il Comunismo. Il Comunismo, per il giovane Marx dei Manoscritti, è auspicato come la soluzione dell’enigma della Storia, che è il luogo della perdita ma anche della possibile riconquista, da parte dell’uomo, della propria essenza. Dopo essersi smarrito nella “civiltà delle classi”, l’uomo ritrova la sua essenza nella società del comunismo; così come la “coscienza infelice”, nella Fenomenologia di Hegel, dopo essersi perduta in tante figure, ritrova se stessa nel momento dell’eticità e nello Spirito assoluto. Ancora una volta Marx fa i conti con il vecchio maestro, ma, nonostante gli riconosca il merito di aver colto ed evidenziato la dimensione storica dell’uomo e la natura dialettica della realtà, gli contesta il fatto che egli si è limitato a descrivere una storia ideale ed astratta che si svolge tutta nel cerchio del pensiero e che non presuppone degli interventi pratici sul mondo, né, coglie il processo di alienazione e disalienazione umana nella sua vera dimensione economica. Riepilogo: La proprietà privata, spacciata dall’economia come un principio “naturale” (un assioma indiscutibile), è presentata da Marx come prodotto del lavoro alienato. L’alienazione economica è un fatto concreto che è alla base di tutte le altre alienazioni, come quella politica e religiosa. L’unico modo per scongiurarla è un atto altrettanto concreto, e non soltanto pensato, quello della Rivoluzione e dell’instaurazione del Comunismo, descritto da Marx come attuazione di un pieno umanesimo, che restituirebbe l’uomo al suo genuino rapporto con la natura e con se stesso. IV. 1. L’Ideologia tedesca. Il distacco da Feuerbach. Il soggiorno a Parigi dura pochissimo, dall’ottobre del ’43 al febbraio del ’45. Agenti prussiani controllavano Marx, sospettato di attività sovversive. In effetti, frequenta i circoli comunisti francesi, consigli di fabbrica e quant’altro in odore di comunismo. In questo breve soggiorno ha modo, però, di rincontrare una sua vecchia conoscenza degli anni di Colonia, Friedrich Engels, col quale stringe un’amicizia che sarebbe durata fino alla sua morte. Da questo momento Engels sarà al suo fianco sempre, condividendo con lui il pensiero ed i momenti difficili, aiutandolo anche economicamente. Per esplicita richiesta del governo prussiano, Marx è espulso da Parigi e si trasferisce a Bruxelles con la famiglia, raggiunto dopo poco da Engels. Qui, i due, che non possono dedicarsi all’attività di pubblicisti su imposizione del governo belga, collaborano alla stesura dell’Ideologia Tedesca. Il manoscritto, abbandonato alla critica dei topi per anni e pubblicato in Unione Sovietica soltanto nel 1932, contiene la concezione materialistica della storia, ossia il nucleo centrale della teoria marxiana, della quale Engels riconoscerà il pieno merito teorico a Marx. L’obiettivo dell’opera è quello di analizzare la società, con la prospettiva di realizzare concretamente il comunismo, al quale entrambi, per vie diverse, sono teoricamente approdati. Al fine di ancorarsi a solide basi concettuali, indispensabile è ritenuto il confronto con i filosofi della loro formazione. In primis Feuerbach, l’altro caposaldo della cultura di entrambi. Dal maestro, Marx aveva anticipato il distacco nelle Tesi su Feuerbach del 1845. Nell’Ideologia tedesca il distacco è completo. Nonostante l’indiscutibile merito di aver teorizzato il rovesciamento materialistico di soggettopredicato, di concreto-astratto nei confronti dell’idealismo teologizzante di Hegel, di aver rivendicato la concretezza degli individui umani rispetto a un Soggetto spirituale infinito, Feuerbach, tuttavia, ha un demerito, rispetto a Hegel, ossia quello di aver perso di vista la storicità dell’uomo. Pur avendo “svelato” il meccanismo dell’alienazione religiosa, per la quale non è Dio a creare l’uomo, ma l’uomo a “proiettare Dio” sulla base dei propri bisogni, Feuerbach, a causa della sua concezione naturalistica dell’uomo, non è stato in grado di individuare le cause reali del fenomeno religioso, né di offrire validi mezzi per il suo superamento. A Feuerbach è, infatti, sfuggito che chi produce la religione non è un soggetto astratto, avulso dalla storia; non è un’essenza a-temporale, fornita di proprietà immutabili (l’uomo “in quanto tale”), bensì un tipo “storicamente determinato” di uomo, figlio di una società malata che produce un’umanità sofferente a causa delle ingiustizie. L’ingiustizia sociale, dunque, produce l’alienazione religiosa. La religione è allora Opium des Volks (= oppio dei popoli), narcotico delle masse, sintomo sociale di malessere, per eliminare il quale l’unica soluzione è il cambiamento delle strutture sociali che generano tale malessere. Ignorando l’aspetto pratico e attivo della natura umana, Feuerbach ha cercato la soluzione di problemi reali nella teoria, dunque il vecchio pensatore ha segnato sì il passaggio al materialismo, ma ad un tipo di materialismo umanistico e speculativo, al quale Marx intende opporre un nuovo materialismo, che considera l’uomo soprattutto come praxis, come azione, nella quale sola va ricercata la soluzione dei problemi. Nell’Ideologia Tedesca possiamo osservare il passaggio completo dall’umanismo di Feuerbach al materialismo storico che, nell’intenzione di Marx ed Engels presuppone una Il concetto di ideologia. contrapposizione tra scienza reale e ideologia. Per Marx l’ideologia è una rappresentazione mistificante e deformata del mondo stesso, una L’intento di Marx è quello di scoprire cosa sia costruzione intellettuale che maschera l’intenzione di l’umanità, intesa in modo “scientifico” e non dominio di una determinata classe. Morale, religione, “ideologico”. metafisica, sono forme ideologiche dipendenti dalle L’uomo è una specie evoluta, composta di attività e dalle relazioni materiali tra gli uomini. Ad esse, individui associati che si ingegnano per Marx ed Engels oppongono una visione scientifica della sopravvivere. La storia dell’uomo non è un realtà, volta a sbugiardare gli inganni in una dinamica evento spirituale, come voleva Hegel ma un prospettiva di mutamento concreto. La lotta contro fatto materiale fondato sulla dialettica l’ideologia costituisce uno degli scopi primari del bisogno-soddisfacimento. “Il vivere implica, marxismo, il quale presenta se stesso come”scienza reale prima di tutto mangiare e bere, abitare, vestirsi e positiva”. L’utilizzo del termine ideologia, nel senso di “sistema di idee”, per definire il pensiero di Marx è […]”. È proprio quest’azione materiale che dunque scorretto. umanizza l’uomo, in quanto egli si distingue dagli animali quando comincia a produrre i suoi mezzi di sussistenza. L’essenza dell’uomo, come specie, consiste nella capacità di produrre i mezzi per il suo sostentamento attraverso un’azione consapevole, “il lavoro”. In quanto “trasformazione della natura”, progettualità creativa e non semplicemente adattativa, il lavoro appartiene all’uomo come peculiarità. Vedremo tra poco che trasformando le loro condizioni materiali, gli uomini trasformano le loro idee, che non hanno storia indipendente dalla situazione (socio-economica) entro cui sono prodotte. IV. 2. Struttura e Sovrastruttura. Il Materialismo storico. La statica sociale. La storia umana, secondo Marx, si sviluppa secondo due elementi fondamentali, che rappresentano la statica della società: 1) Le forze produttive [Gli uomini che producono (= la forza lavoro); i mezzi che vengono utilizzati (le macchine, la terra, le materie prime); le conoscenze e le tecniche applicate]. 2) I rapporti di produzione [le relazioni che s’instaurano tra gli uomini nel corso del processo produttivo (= rapporti di proprietà)]. Forze produttive e rapporti di produzione costituiscono il “modo di produzione”, o “base economica”, che è la Struttura, ossia lo scheletro economico della società. Essa è il piedistallo concreto della totalità sociale, su cui si eleva la Sovra-struttura giuridico-economico-culturale. Il termine sovrastruttura (= Überbau) sta indicare i rapporti giuridici, le forze politiche, le dottrine etiche, artistiche, religiose, filosofiche di un popolo, le quali, secondo Marx, non possono essere intese, idealisticamente come delle realtà a sé stanti, ma soltanto come espressione più o meno diretta dei rapporti che definiscono la struttura di una certa società storica (Lettura brano 3. pag 277). Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva la sovrastruttura giuridica e politica, alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione nella vita materiale condiziona in generale il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza.11 ►Questo è il Materialismo storico di Marx, che si contrappone polemicamente all’idealismo storico: non sono le leggi, lo stato, le forze politiche, le religioni, le filosofie che determinano la struttura economica della società (= idealismo storico), ma è la struttura economica che determina le leggi, lo stato, le religioni, le filosofie (= materialismo storico). Con questa tesi, Marx intende rilevare la dipendenza dei fenomeni politici e culturali dalla base economica di una civiltà, non sminuirli nella loro portata storica. Marx, infatti, non nega che le idee possano influire sugli avvenimenti storici, ma ritiene che esse siano inevitabile riflesso di certi mutamenti interni alla struttura di base. Il materialismo in Marx ed Engels. È evidente che il termine “Materialismo”, usato da Marx per denominare la propria posizione filosofica, non si riferisca al termine nel senso metafisico tradizionale (= la tesi metafisica secondo cui la materia è la sostanza o causa dell’essere), ma al convincimento che le vere forze motrici della storia non siano di natura spirituale, bensì di natura socio-economica. La teoria marxista è conosciuta anche come “materialismo storico-dialettico”. E’ materialismo in quanto non riconoscendo la priorità dell’Idea o del Pensiero sull’azione, si contrappone all’idealismo dialettico di Hegel. E’ dialettico e storico poiché considera l’uomo non nella sua essenza immutabile, come il materialismo umanistico di Feuerbach, ma come essere sociale inserito nel ciclo della storia. Feuerbach. IV. 3. La “legge” della storia. La dinamica sociale. Le forze produttive e i rapporti di produzione non rappresentano soltanto la chiave di lettura della statica sociale sono anche lo strumento interpretativo della dinamica della società. Esse sono, infatti, la molla stessa dello sviluppo storico. Ad un determinato grado di sviluppo delle forze produttive, secondo Marx, corrispondono determinati rapporti di produzione e di proprietà (= ad esempio, rapporti di produzione di tipo feudale implicano forze produttive di tipo agricolo). I rapporti di produzione si mantengono stabili fino a che favoriscono le forze produttive, mentre tendono all’autodistruzione, quando divengono un ostacolo per tali forze. È inevitabile che le forze produttive, in connessione stretta con il progresso tecnologico, si sviluppino più rapidamente dei rapporti di produzione, i quali, esprimendo dei rapporti di proprietà, tendono a rimanere statici. Ne consegue un’inevitabile, periodica frizione dialettica fra i due elementi che genera periodi di conflitto sociale. Ad esempio, nella Francia del ‘700 lo scontro si ebbe tra il vecchio sistema basato sui rapporti di proprietà agricolo-feudali (= sui quali poggiava il potere dell’aristocrazia) e il nuovo sistema, espressione delle nuove forze produttive di tipo capitalistico (rappresentate dalla emergente borghesia). Con la rivoluzione dell’’89 la borghesia impose il suo modello di mondo, basato sui suoi rapporti di proprietà. Allo stesso modo, nel capitalismo moderno, si verificano le condizioni per l’esplosione di un conflitto tra le nuove forze produttive (gli operai che operano nella moderna fabbrica) e i rapporti di produzione, basati sulla proprietà privata del borghese-capitalista. La storia umana è dunque regolata da una legge di sviluppo, basata sulla contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione, che ha originato le grandi formazioni economico sociali (= grandi epoche storiche) identificabili in altrettanto grandi metodi produttivi e in specifici rapporti di proprietà, in corrispondenti istituzioni politiche e altrettali forme di coscienza. 11 Marx, prefazione a Per la critica dell’economia politica. Le grandi epoche storiche, di cui Marx parla, sembrano gradini di una sequenza che va verso un inevitabile perfezionamento. Dalla società primordiale, basata su forme comunitarie, a quella antica, fondata sulla schiavitù, a quella feudale (basata sui rapporti di vassallaggio e l’economia curtense) fino a quella borghese. La prossima epoca è orientata verso il ritorno ad una forma di comunismo, che riprende, perfezionandolo, quello primitivo. La storia umana si configura allora come una totalità processuale necessaria, dominata dalla contrapposizione e volgente ad un Fine. Da ciò emerge: 1) il carattere dialettico del materialismo storico; 2) il suo evidentissimo legame con Hegel. Con la differenza che Marx ritiene di aver fatto camminare la dialettica di Hegel sui piedi e non sulla testa, in quanto il soggetto di essa non è più lo Spirito ma la struttura economica societaria, ossia un fatto osservabile basato su opposizioni concrete e determinate. V. Il Manifesto. Scritto da Marx ed Engels, in occasione del congresso londinese della Lega dei comunisti del 1847, a pochi mesi dallo scoppio delle rivoluzioni europee del 1848, il Manifesto è concepito come un programma di lotta politica, semplice, chiaro, incisivo. Un breve libretto che rappresenta una stringata ma efficace summa della concezione marxista del mondo. L’incipit, notissimo: Uno spettro si aggira per l’Europa, lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della terra si sono alleate per dare la caccia a codesto spettro. […] E’tempo che i comunisti espongano innanzi a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro intenti, le loro tendenze, e che allo spettro contrappongano il manifesto del partito. Questi i punti salienti del manifesto. 1) L’analisi del ruolo storico della borghesia. 2) Il concetto di storia come “lotta di classe”. 3) Il rapporto tra proletariato e comunismo. 4) La critica dei socialismi utopistici. 1) La borghesia ha svolto un ruolo di profonda rottura con il passato, ha dissolto idee, credenze e antiche condizioni di vita feudali e patriarcali; ha favorito il progresso della conoscenza, ha modificato la faccia della terra con la sua intraprendenza, ha realizzato per la prima volta l’unificazione del genere umano sotto il segno del commercio. Ha creato strade, flotte e tecnologie inimmaginabili in passato. Ha stravolto le antiche civiltà contadine e creato metropoli. Ha costruito un mondo a sua immagine. Di più, il carattere rivoluzionario è connaturato ad essa che non può esistere se non a patto di rivoluzionare “continuamente” gli strumenti della produzione. 2) Tale forza creatrice della borghesia, però, somiglia al potere dello stregone che non riesce a dominare le potenze da lui evocate. La moderna forza produttiva, la classe operaia creata e oppressa dalla borghesia, ribellandosi contro i vecchi rapporti di proprietà, mette in opera una dura “lotta di classe”, volta al superamento del capitalismo stesso che l’ha generata. La lotta di classe è il vero soggetto della storia umana. da sempre liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, oppressori e oppressi furono continuamente in reciproco contrasto. 3) A Marx non va il merito di avere individuato nella lotta tra classi il motore dello sviluppo storico, ma quello di aver colto la necessità, da parte dei lavoratori della moderna società borghese, di una presa di coscienza, di un salto di qualità, che trasformi un semplice aggregato di individui, accomunati da una situazione economico-sociale similare, in un soggetto “rivoluzionario”solidale, che acquisisca la piena consapevolezza del proprio ruolo nell’accrescimento della ricchezza. Questo è possibile mediante l’adesione ad un Partito che lo tuteli, il partito comunista. L’originalità sta nel fatto che la lotta di classe innescata dal mondo capitalista è destinata secondo Marx a condurre ne-cessa-ria-men-te, attraverso la dittatura del proletariato, ad un rivolgimento epocale, alla soppressione di tutte le classi, ad una società senza classi. Non è un caso che Marx insista sull’Internazionalismo della lotta proletaria e che il Manifesto termini con il noto slogan rivoluzionario: Proletari di tutto il mondo, Unitevi! La funzione rivoluzionaria del proletariato acquista così valenza universale. La rivoluzione comunista verrebbe a coincidere con l’abolizione del potere dell’uomo sull’uomo. 4) Socialismo reazionario, borghese, utopistico; queste le tre forme di socialismo a-scientifico che Marx esamina. Nonostante le loro peculiarità, queste forme di socialismo pre-marxiano (alle quali senza dubbio Marx è debitore di certi concetti), partono tutte da presupposti utopistici, in quanto, o avrebbero la pretesa di rimediare agli “inconvenienti” sociali del capitalismo senza distruggere il capitalismo stesso (come in Proudhon, il quale si propone non di eliminare la proprietà stessa ma di distribuirla tra i lavoratori), oppure auspicando, come Saint-simon e Owen, una pacifica conciliazione tra i membri della società, non riconoscono nel proletariato la funzione rivoluzionaria cui è destinato. VI. “Il Capitale”. La rivoluzione che sconvolge l’Europa nel biennio1848-1849, vede Marx parteciparvi attivamente, a capo della Lega dei comunisti, prima a Parigi e in seguito a Colonia, dove fonda la “Nuova Gazzetta Renena”. La dura reazione seguita alla sconfitta della rivoluzione democratica travolge anche Marx. Espulso da Parigi è costretto, con la famiglia, all’esilio a Londra, dove è tenuto d’occhio dal governo prussiano. Sono gli anni in cui il teorico del comunismo matura l’opera più importante della sua attività concettuale, Il Capitale, una monumentale “critica dell’economia politica”. È un periodo difficile, anche economicamente, nel quale Marx si tiene lontano dall’attività politica, che riprenderà soltanto nel 1864, anno in cui parteciperà ai lavori della Prima Internazionale, di cui stilerà lo Statuto. Interpretare l’opera come una semplice indagine economica sul modo di produzione capitalistico, sarebbe riduttivo e fuorviante. Il Capitale è la rappresentazione di un’epoca storica, in tutte le sue determinazioni, in quanto la società è per Marx, come lo era per Hegel, una totalità organica storico– dialettica, e come tale va letta e interpretata a partire dalla sua struttura economica. Anche il metodo d’indagine deve essere storico e dialettico. Storico: perché il sistema si modifica continuamente e non può essere descritto in astratto. Gli elementi del ciclo economico non sono assiomi, eternamente dati (com’erano invece per gli economisti classici), ma elementi storicamente determinati in quanto ogni formazione sociale ha caratteri e leggi storiche specifiche. Dialettico: in quanto il sistema stesso è caratterizzato dal conflitto. È necessario studiare l’economia secondo lo schema dialettico hegeliano (opportunamente capovolto e depurato dai suoi elementi idealistici), interpretando il capitalismo come una totalità, i cui elementi risultano strettamente connessi in relazione conflittuale. La società borghese contiene in sé le contraddizioni che ne minano la solidità e i germi stessi della sua distruzione. Svelare le contraddizioni e indicare la possibilità di superamento del modo di produzione capitalistico resta l’obiettivo di Marx, un obiettivo politico dettato da istanze ideali: liberare l’essere umano dallo sfruttamento da parte dell’uomo. Destinato al movimento operaio, per costituire uno strumento di emancipazione culturale e lotta politica, e non all’ambiente accademico, Il Capitale è composto di tre libri, il primo pubblicato a Londra nel 1867, gli altri da Engels dopo la morte di Marx. A. Caratteristica specifica del modo capitalistico di produzione, rispetto alle società precedenti, è d’essere produzione di merci su larga scala. Il primo libro del Capitale tratta l’analisi della “merce”. B. Per merce intendiamo qualsiasi oggetto prodotto dall’uomo che possiede un duplice valore, di uso (in quanto deve servire a qualche cosa, essere utile) e di scambio (esso garantisce l’autentico valore della merce, la possibilità di essere scambiata con qualcos’altro, altre merci o il denaro). C. Come si stabilisce il valore di scambio di una merce? In base alla quantità di lavoro socialmente necessario a produrla. È questa l’equazione classica Valore=Lavoro. Più lavoro è D. E. F. G. H. I. J. necessario per produrre una merce e più essa vale. Le merci non sono entità aventi valore di per sé ma il frutto dell’attività umana e di determinati rapporti sociali. Nel sistema capitalistico, la produzione di merci non risulta finalizzata al consumo, ma all’accumulazione di denaro. Di conseguenza, il ciclo capitalistico non è quello delle società preborghesi, descrivibile con la formula M-D-M (Merce-Denaro-Merce), dove la merce serviva per acquisire denaro da scambiare con altra merce (il contadino vendeva parte del grano prodotto per comperare un vestito o una gallina = vendere per acquistare). Il ciclo capitalistico segue piuttosto la formula D-M-D' (Denaro-Merce- più Denaro), ossia la trasformazione di denaro in merce e nuova trasformazione della merce in denaro (il capitalista investe denaro in una merce, per ottenere alla fine più danaro = acquistare per vendere). Ma, si chiede Marx, da dove deriva quel più denaro (= più valore, essendo il denaro l’equivalente del valore) che il capitalista ottiene alla fine? Come è possibile che il denaro possa acquistare merce che produce una quantità di denaro superiore a quella iniziale? Da dove deriva questo più monetario, questo plus-valore (= D')? L’origine del plus-valore capitalistico va ricercata non a livello dello scambio delle merci, come nella vecchia società mercantile (dove i guadagni derivavano dalla vendita di prodotti acquistati a un prezzo inferiore), ma a livello della produzione stessa delle merci. Nella società industriale, il capitalista ha la possibilità di comperare ed usare una merce particolare, che ha come caratteristica quella di produrre valore. Questa “ merce” è l’operaio. Il capitalista compra la sua forza-lavoro (come una qualsiasi merce) pagandola, come una qualsiasi merce, con un salario, corrispondente ai mezzi che gli sono necessari per vivere, ossia per produrre questa forza-lavoro. La fonte del plus-valore capitalistico risiede nella capacità di produrre un valore maggiore di quello che gli è corrisposto con un salario. Ipotizziamo la giornata lavorativa di 10 ore dell’operaio, in cui produce merci per un valore pari a 10. Se il suo salario corrisponde a un valore in beni pari a 6, ciò significa che in sei ore l’operaio si sarebbe già guadagnato il suo salario; invece deve lavorare ancora per 4 ore, il che vuol dire che egli “regala” al capitalista 4 ore di plus- lavoro. Il plus valore deriva dunque dal plus-lavoro dell’operaio e si identifica con il valore del proprio lavoro offerto gratuitamente al capitalista. Questo sfruttamento della forza lavoro dell’operaio da parte del capitalista, è resa possibile dal fatto che quest’ultimo dispone dei mezzi di produzione, mentre il lavoratore dispone unicamente della propria energia lavorativa e per vivere è costretto a vendersi sul mercato. Il profitto del capitalista deriva dal plus-valore, che, a sua volta, consiste nel plus-lavoro; ma non tutto il plus-valore diventa profitto. Il capitale, infatti, è costituito da due parti: il capitale variabile (= il denaro investito in salari dei lavoratori), e il capitale costante, o fisso (= il denaro servito a comprare le materie prime, le macchine, gli impianti e così via). Con il plus-valore ricavato, il capitalista investe in altro capitale, sia variabile sia costante. Il profitto del capitalista scaturisce dal rapporto, espresso in percentuale, tra il plus-valore da un lato e la somma del capitale variabile e del capitale costante, dall’altro. Poiché il capitalismo si regge sullo schema D-M-D', Marx analizza il percorso del capitale lungo le vie da esso intraprese in vista del proprio auto-accrescimento, mostrando come tale sistema generi una serie di contraddizioni inevitabili, ad esso connaturate, che ne minano la sopravvivenza preparandone la futura distruzione. La prima strada percorsa dal capitale è quella del plus-valore assoluto, ossia l’aumento delle ore lavorative degli operai (15, 16, 18). Ovviamente una strada non percorribile, dato che la capacità produttiva dell’essere umano non si prolunga oltre un certo numero di ore. La seconda strada è quella della maggior produttività, in meno ore lavorative (plus-valore relativo). Da ciò però discende la necessità da parte del capitale di introdurre nuovi e più efficienti metodi e strumenti di lavoro e da ciò, dunque, il passaggio dalla cooperazione semplice, alla manifattura, fino alla grande industria. La nascita dell’industria meccanizzata è la grande svolta del modo capitalistico di produzione. Con l’introduzione nel ciclo lavorativo della macchina, capace di aumentare enormemente la K. L. M. N. quantità di merce prodotta nello stesso tempo e con lo stesso numero di operai, il capitale acquisisce maggior plus valore relativo. Se, dal punto di vista del capitalista, questo è un vantaggio, poiché, alleggerendo il carico delle operazioni lavorative, le macchine consentono l’impiego di mano d’opera non specializzata, quindi meno costosa, dal punto di vista dei salariati l’introduzione delle macchine riduce la creatività dell’intervento umano, rendendo l’operaio schiavo di una più sofisticata forma di alienazione, un “automa semovente”, un’appendice o un servo della macchina, che detta tempi, ritmi ed il sistema di produzione.12 L’introduzione delle macchine nel ciclo produttivo, nonostante la potenzialità civilizzatrice che questa implica (= l’innegabile risparmio di energia umana, la creazione di nuovi settori produttivi, di nuovi bisogni e il conseguente ampliamento delle conoscenze scientifiche), porta con sé alcune inevitabili contraddizioni, di cui la conflittualità con l’operaio è soltanto la prima. L’altra è il fenomeno delle crisi cicliche da sovrapproduzione provocato dall’aumento della produttività. Nel capitalismo la crisi è provocata, non dalla scarsità di beni e di merci, come nei secoli precedenti, ma dalla loro sovrabbondanza in circolazione. Il capitalismo, infatti, perlomeno quello dei tempi di Marx, è caratterizzato da una sostanziale anarchia produttiva per la quale l’imprenditore investe “alla cieca” nei settori dove si sono registrati i maggiori profitti, inflazionandoli di merce, eccessiva rispetto alle esigenze del mercato. Distruzione capitalistica dei beni che il consumo non può assorbire e disoccupazione degli operai che vengono licenziati, sono le più evidenti conseguenze della sovrapproduzione. La necessità di continuo rinnovamento tecnologico del capitalismo, inoltre, genera il fenomeno per cui accrescendosi il capitale fisso (le macchine e le materie prime) rispetto al capitale variabile (da cui deriva il profitto), quest’ultimo, per quanto elevato, progressivamente risulta sempre più scarso rispetto a tutto il capitale impiegato. Tale legge, osservata da Marx, e definita “caduta tendenziale del saggio di profitto” tende a mettere in difficoltà la borghesia e, sommandosi con i fenomeni dell’anarchia produttiva e della libera concorrenza, finisce per produrre quella decisiva tendenza del capitalismo a scindere la società in due sole classi antagonistiche. Secondo Marx, infatti, la situazione del capitalismo avanzato, in seguito al fenomeno aggressivo della concorrenza e delle crisi da sovrapproduzione genera il fenomeno di chiusura degli stabilimenti più piccoli (sparizione della piccola industria) e la tendenza alla concentrazione del capitale nelle mani di pochi. Si prospetta così un’evoluzione societaria per cui per cui ad una minoranza industriale, dalla gigantesca ricchezza e dall’immenso potere, si contrappone una maggioranza proletaria sempre più sfruttata. Situazione che, dato il carattere internazionale del capitalismo, tende a prodursi su scala mondiale e in cui il conflitto di classe diviene incontenibile. VII. La Rivoluzione e la dittatura del proletariato. Secondo Marx il capitalismo si trova di fronte alla stretta finale. La logica interna delle contraddizioni economiche del sistema (la tendenza alla progressiva caduta dei profitti, secondo la legge economica sopra descritta) e l’opposizione cosciente della classe operaia, tracciano la strada della trasformazione della società capitalistica in una nuova forma di società. La dissoluzione del capitalismo e il passaggio al comunismo è affidato alla classe lavoratrice, al proletariato, investito di una specifica missione “universale”. Dall’analisi scientifica del Capitale è emersa la contraddizione strutturale del sistema capitalistico, quella tra la proprietà privata dei mezzi produttivi e il carattere sociale delle forze di produzione. La risoluzione di tale conflitto consiste nella soppressione della proprietà privata dei mezzi produttivi e nella loro “socializzazione”. “L’espropriazione degli espropriatori”, per dirla con 12 Inevitabili le reazioni di ostilità da parte dei lavoratori nei confronti della macchina, soprattutto nei primi tempi dell’industrializzazione quando, incapaci di distinguere tra macchine e uso capitalistico delle stesse, gli operai reagivano distruggendole (Luddismo). le parole conclusive del I libro del Capitale, ossia la collettivizzazione dei mezzi di produzione e di scambio, è lo strumento tecnico per il passaggio al comunismo. Personalmente propenso a ritenere che una rivoluzione implichi sempre forme violente, Marx è disposto ad ammettere, soprattutto negli anni della maturità, dopo lo scioglimento dell’Internazionale socialista nel 1872, la possibilità di una via pacifica al comunismo, legata alle specificità storiconazionali (soprattutto di democrazie più evolute, come l’Olanda, la Gran Bretagna o gli Stati Uniti). Violenta o pacifica, la rivoluzione proletaria deve mirare ad un primo obiettivo, l’abbattimento dello Stato borghese e delle sue forme istituzionali. L’azione rivoluzionaria deve mirare non ad “impadronirsi” della macchina statale, manovrandola per i propri scopi, ma a “distruggerne” i meccanismi, in quanto essa esprime soltanto gli interessi della borghesia. Per Marx si tratta non tanto di “trasferire da una mano all’altra la macchina militare e burocratica” ma di “spezzarla”. E fino a qui la posizione di Marx non differisce da quella di Bakunin; ma, mentre l’anarchismo riteneva esaurita con la dissoluzione delle Istituzioni statali l’azione diretta del proletariato, per Marx qui si inserisce il problema della transizione al comunismo, per arrivare al quale, come meta finale, occorre, dopo l’abbattimento dello Stato borghese, instaurare un periodo di dittatura in cui il proletariato eserciti un controllo politico finalizzato alla trasformazione profonda della società e della sua coscienza. La “dittatura del proletariato”, la cui classica esposizione è data nella Critica al programma di Gotha,13 si configura come un periodo di transizione necessaria, in cui effettuare il passaggio dal capitalismo al comunismo. Questa fase di transizione economica prevede una corrispondente fase di transizione politica in cui, alla precedente dittatura “di classe” della borghesia è opposta una dittatura proletaria, in grado di parare le inevitabili mosse controrivoluzionarie. Questa fase di passaggio prevede ancora l’esistenza di uno Stato, ma non certo dello Stato borghese, bensì di quello operaio, in cui è avvenuta la socializzazione dei mezzi di produttivi.14 La proprietà, in questa fase, non è stata abolita, è soltanto passata di mano. È la fase amara, per lo stesso Marx, in cui la ricchezza è stata ridistribuita senza tener conto di eventuali meriti, capacità o reali bisogni. Questa società di passaggio, sia chiaro, non è ancora il Comunismo, il quale prevede il superamento dello Stato proletario e di qualunque altra forma di stato. La differenza tra il modello marxiano e quello anarchico di Bakunin, è che a differenza di quest’ultimo, Marx ritiene che l’auspicata società senza Stato non si possa raggiungere subito, ma solo in prospettiva futura. Soltanto quando l’edificazione del socialismo sarà compiuta lo Stato potrà veramente estinguersi e far posto a un ideale autogoverno di produttori associati, in cui secondo la nota espressione di Engels, attinta da Saint-Simon, “il dominio sugli uomini sarà sostituito dalla semplice amministrazione delle cose”. VIII. La Società comunista. La vera società comunista si avrà soltanto quando, all’interno della società, sarà soppressa la proprietà e dal cuore degli uomini il desiderio stesso della proprietà. Non è passata certo inosservata l’assenza in Marx di un modello dettagliato della futura società comunista, alla quale egli si è limitato ad accennare, in modo frammentario ed in scritti non destinati alla pubblicazione, nei manoscritti del 1844 o nella Critica al programma di Gotha del 1875. ▪ Per alcuni si è trattato di un comportamento in linea con il suo metodo scientifico e antiutopistico: egli si è rifiutato di “scrivere ricette per l’osteria dell’avvenire”, si è limitato a parlare del presente e ha lasciato agli uomini del futuro l’opportunità di realizzare il sogno di un “regno della libertà”. ▪ Per altri invece Marx avrebbe predicato tanto la distruzione del capitalismo senza aver in mente un modello preciso di società con cui sostituirlo. 13 La città di Gotha ospitò il I° congresso del Partito operaio Socialdemocratico Tedesco, nel 1875, occasione a cui Marx partecipò esponendo alcune critiche. 14 Lo stato borghese, non è un insieme di tecniche neutrali (che possono essere usate anche a vantaggio del proletariato). Ogni classe dominante deve forgiare la propria macchina statale, secondo le proprie esigenze. Proprio qui si inserisce la necessità di quel periodo di transizione che è la dittatura del proletariato. In realtà, Marx, nello scritto La guerra civile in Francia (1871), individua nella breve esperienza socialista della comune di Parigi (18 marzo-28 maggio 1871) la concretizzazione della dittatura proletaria. ▪Sostituzione dell’esercito regolare con l’organizzazione degli operai armati. ▪Soppressione del parlamentarismo. ▪Sostituzione del parlamento con delegati eletti a suffragio universale, direttamente responsabili del loro operato al popolo, retribuiti con salari corrispondenti a un normale salario operaio. ▪Eliminazione della separazione dei poteri. La comune doveva essere un organismo di lavoro, esecutivo e legislativo. Nei Manoscritti, Marx distingue fra due proposte di comunismo (= descrive due modi di intenderlo), nella Critica al programma di Gotha, invece, prevede due fasi di instaurazione di esso. La prima proposta, risalente alle scuole socialiste precedenti e presente ad esempio in Proudhon, tratta di un comunismo rozzo, la seconda, propria della dottrina di Marx , di un comunismo autentico. Nel primo modo di intendere il comunismo, la proprietà è formalmente abolita solo per essere trasformata in proprietà di tutti. La proprietà è nazionalizzata, attribuita alla comunità che assume il ruolo di grande capitalista . Nella visione di Marx, invece, il comunismo, inteso come definitiva soppressione della proprietà privata, è quella situazione in cui l’uomo ha superato completamente l’orizzonte sociale ed antropologico della proprietà e cessa di intrattenere con il mondo rapporti di puro consumo. All’uomo della civiltà proprietaria, ossessionato dall’avere Marx contrappone un uomo nuovo realmente libero dai desideri del possesso. Nella Critica al programma di Gotha le due fasi sono intese da Marx come susseguenti. In una prima fase, quella corrispondente alla necessaria dittatura proletaria, imperfetta, emerge l’impostazione della vecchia società. Il principio di uguaglianza che regge questo stadio comunista si rivela ancora borghese, poiché non tiene conto delle differenze individuali, dei meriti e della capacità di ciascuno, limitandosi ad annullare astrattamente le differenze. Di queste, capacità, potenzialità, attitudini, invece tiene conto invece il comunismo nella sua fase più matura, una fase di vera uguaglianza “in cui ognuno ha secondo le sue capacità e ognuno secondo i suoi bisogni”. Dopo che la società ha assunto il lavoro non come mezzo di vita, ma come sintomo di vita creativa ecco profilarsi la vera società comunista: senza divisione del lavoro, senza classi, senza proprietà privata, senza miseria, e senza Stato. Alcune brevi precisazioni Modello marxiano, socialdemocratico e anarchico a confronto Per i Socialdemocratici di Gotha occorre conquistare lo Stato dall’interno, senza rivoluzione, e utilizzare le istituzioni per gli scopi del proletariato (riformismo). Per Marx il proletariato deve distruggere la democrazia e il parlamentarismo borghesi, sostituendoli con una democrazia di tipo diretto. Per gli Anarchici di Bakunin, occorre distruggere immediatamente ogni forma di potere statale, subito dopo la rivoluzione proletaria, in quanto lo Stato, qualunque esso sia, non sarà mai in grado di fare gli interessi del popolo. Anche per Marx, il fine ultimo della rivoluzione comunista è l’abbattimento di ogni forma di Stato, ma tale fine non può essere raggiunto immediatamente; per attuarlo occorre passare attraverso un periodo di dittatura del proletariato. Inoltre, se per Bakunin, la rivoluzione, essendo spontanea e popolare, non può che essere violenta, per Marx può anche essere pensabile il trionfo del proletariato senza spargimento di sangue. Anche il soggetto rivoluzionario è differente. Se Bakunin credeva che l’unica possibilità rivoluzionaria fosse l’unione tra il ceto contadino e il proletariato, Marx vedeva nel proletariato industriale la spina dorsale della rivoluzione (e lo metteva in contrapposizione con una classe agricola reazionaria). Alienazione. Nel linguaggio giuridico si parla di alienazione di un bene o di un patrimonio a favore di qualcuno. Nel linguaggio medico si parla di alienazione mentale, come perdita delle proprie facoltà. Il termine, è stato usato da Rousseau, per indicare la cessione di diritti individuali a favore della comunità, ma è soprattutto con Hegel che il concetto assume una connotazione filosofica ben precisa. Tanto l’alienazione dell’uomo nella religione, di cui ha parlato Feuerbach, quanto l’alienazione dell’operaio nella società capitalistica, di cui parla Marx, presuppongono un impianto teorico tipicamente hegeliano. Al centro di tale impianto sta la scissione della coscienza all’interno di se stessa (= lo Spirito si perde nella Natura o nell’oggetto) che Hegel aveva posto a fondamento dell’intera Fenomenologia. La coscienza deve riprendere in sé ciò che ha alienato da sé e che è un suo prodotto (lo Spirito si ri-appropria di sé in modo arricchito). Per Feuerbach l’uomo deve riprendere in sé la propria essenza che ha alienato a Dio; in questo caso il processo di dis-alienazione, la riappropriazione di sé, s’identifica con la professione di ateismo. Per Marx l’operaio deve riprendere in sé il proprio lavoro, che ha alienato nel capitale. Nel caso di Marx, se l’alienazione deriva dal regime di proprietà privata la dis-alienazione si identifica con la sua abolizione, ossia con il comunismo. La divisione del lavoro. La radice storica del conflitto nel quale versano le classi della moderna società industriale è la proprietà privata, concetto appaiato a quello della divisione del lavoro. Secondo Marx è la divisione del lavoro a creare i conflitti da cui è afflitta la società moderna. Separazione tra lavoro industriale e commerciale da quello agricolo, porta con sé la separazione tra città e campagna e il contrasto dei loro interessi. Appena il lavoro comincia ad essere diviso, ciascuno ha una sfera di attività determinata ed esclusiva, che gli viene imposta e da cui non può sfuggire: pescatore, pastore, critico o cacciatore. Questa concezione è di matrice hegeliana che nella Filosofia dello spirito senese commenta la parcellizzazione del lavoro nella moderna società industriale in questi termini: l’abilità del singolo diventa sempre più limitata e la coscienza degli operai della fabbrica viene degradata fino alla estrema ottusità. Hegel concepisce il lavoro come l’essenza stessa dell’uomo, il mondo come risultato del lavoro dell’uomo, proprio come Marx. È ovvio che per quest’ultimo, il problema di una società diseguale e ingiusta nasce dalla mancata soluzione di uno specifico problema di fondo: la costruzione di un uomo integrale. La divisione del lavoro muove esattamente in una direzione opposta, sviluppa solo un aspetto della natura umana.