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Servono interventi per la ripresa
La Confederazione Europea dei Sindacati e l’analisi della crisi
“L’Europa si trova ad affrontare il pericolo del debito, della depressione e della deflazione. E’
necessario che la Commissione Europea, il Consiglio e le Banche Centrali assumano la guida
per evitare questo scenario ad ogni costo”.
Così si esprime John Monks, Segretario generale della Confederazione Europea dei Sindacati,
nel presentare il rapporto economico autunnale della CES, documento che affronta compiutamente
l’allarme per la situazione economica e la crisi finanziaria.
Il forte declino – già in essere e che sta producendo effetti devastanti nell'economia dei Paesi
europei, per milioni di lavoratori e di pensionati e con la crescita della disoccupazione - si
accentuerà nei prossimi mesi, con un forte calo dell’inflazione e l’ accentuazione di tutti gli effetti
negativi della crisi.
In questo numero della nostra newsletter riportiamo un’analisi di Roland Janssen, economista
della CES, presentata qualche giorno fa a Bruxelles.
La traduzione dall’inglese è di Monica Ceremigna. (A.M.)
Numero dodici - 4 dicembre 2008
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Un compito europeo:
affrontare la crisi con rapidità, coordinamento, innovazione.
I
L’occupazione e l’economia reale sono in grave pericolo
Nelle scorse settimane si è registrata una importante azione da parte dei governi in campo finanziario.
Per evitare un immediato tracollo del sistema bancario, i governi europei hanno redatto piani “coordinati”
per immettere centinaia di miliardi di euro nel sistema bancario (vedi tab. 1). A questo è seguito un
n e c e s s a r i o t a g l i o d e i t a s s i d i i n t e r e s s e d a p a r t e d e l l a B a n c a C e n t ra l e E u r o p e a .
Tabella 1: Programmi di salvataggio delle banche annunciati nell’ottobre 2008
fonte Natixis
Le notizie provenienti dal versante reale dell’economia sono allarmanti. La caduta del PIL nel secondo
quadrimestre è ora seguita da sviluppi preoccupanti, quali la chiusura temporanea dei grandi stabilimenti
automobilistici in tutta Europa ed il crollo di una grande percentuale di posti di lavoro nelle agenzie
interinali. Inoltre gli indicatori guida ciclici degli affari mostrano una severa flessione. L’indice di
propensione agli acquisti per la zona Euro (vedi grafico 1) ha raggiunto un livello che indica una forte
contrazione della produzione.
Grafico 1: Indice di propensione agli acquisti nella zona Euro 2004 – 2009
Alla luce di questi sviluppi e della gravità della compressione del credito, la Confederazione Europea dei
Sindacati (CES) prevede una crescita negativa dell’economia nella zona euro nel 2009, nonché una caduta
dell’inflazione al di sotto del 2%, con una continua decelerazione nel prossimo anno.
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Il cattivo stato in cui si trova oggi l’economia non deve essere una sorpresa. Oltre alla stretta creditizia
causata dai recentissimi fermenti nei mercati finanziari, il rallentamento del 2008 è stato delineato anche
dalle azioni e dalle non azioni dei decisori politico-economici degli ultimi mesi.
1.
La lunga serie di aumenti dei tassi di interesse applicati già dalla fine del 2005 ha avviato il boom
edilizio in paesi come l’Irlanda e la Spagna, cancellando uno degli elementi chiave alla base dei risultati
positivi della crescita nella zona euro.
2.
Negli anni scorsi i tassi di interesse non soltanto sono rimasti invariabilmente elevati, ma le
vicissitudini dei mercati finanziari hanno spinto i tassi di interesse bancari a tre mesi a livelli ancora più
alti a partire dalla metà del 2007. In questo modo è stato ulteriormente intensificato l’impatto delle
politiche monetarie urgenti.
3.
Le turbolenze dei mercati finanziari, non soltanto hanno spinto all’aumento i tassi di interesse,
ma hanno portato le banche a restringere le condizioni di accesso al credito. Tutto questo era già visibile
nei sondaggi della Banca Centrale Europea all’inizio del 2008.
E’ inoltre opinione comune che le conseguenze di una restrizione dell’accesso al credito si traducono
nell’economia reale in forma di fallimenti nell’arco di sei-nove mesi. Nonostante questo, i decisori politicoeconomici hanno deciso di non dare rilievo a questi segnali di allarme e quindi di non agire per tempo.
II
I piani di salvataggio delle banche hanno risentito di tutto questo
l’Europa sta pagando il prezzo delle disattenzioni verso le minacce all’economia reale. Quando è stato
messo insieme il piano multimiliardario europeo di ricapitalizzazione del sistema bancario all’inizio di
ottobre 2008, il suo scopo principale era quello di rompere il circolo vizioso di:
quindi
perdita del capitale bancario a causa di svalutazioni degli asset “tossici”;
vendite forzate per rispettare le percentuali di solvibilità secondo Basilea II;
ulteriore collasso dei prezzi, risultante da maggiori svalutazioni e perdite di capitale per le banche,
nuove vendite forzate.
I governi, immettendo grandi quantità di capitali nuovi nelle banche, cercavano di fermare questa spirale
discendente. Questo tuttavia non è riuscito completamente. Mentre il ritmo discendente della spirale è
rallentato, la spirale stessa non si è fermata. I mercati azionari e finanziari hanno continuato a distruggere
valore. La ragione di tutto questo è che i mercati finanziari, dopo una prima reazione di sollievo a seguito
dell’intervento dei governi, hanno iniziato a notare che i piani di salvataggio delle banche erano insufficienti
alla salvaguardia dell’economia reale e che i problemi dell’economia reale si sarebbero riversati nel settore
finanziario, aggiungendosi ai problemi bancari già esistenti. Il risultato è stato che la spirale ha ricominciato
a precipitare. Le previsioni di recessione economica hanno depresso i mercati azionari e finanziari,
distruggendo la parte restante del capitale bancario promesso dai governi. A causa del fallimento nella
stabilizzazione dell’economia reale, i governi rischiano ora di perdere la corsa tra forti immissioni di
capitale nelle banche e massicce svalutazioni del valore degli asset bancari.
III
Quattro lezioni dal Giappone: come evitare di essere intrappolati dalla deflazione
All’inizio degli anni ’90 il Giappone si trovò ad affrontare una situazione simile. Si era creata una bolla
economica ed il sistema privato giapponese, costruito sul debito, alimentava questa bolla. A seguito delle
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restrizioni della politica monetaria della Banca Centrale Giapponese, la bolla è scoppiata, i bilanci familiari
si sono ritrovati altamente indebitati e le banche hanno dovuto far fronte a crediti inesigibili.
Nel processo di riconduzione del debito a livelli ragionevoli, il Giappone ha commesso molti errori politici.
La sua economia è rapidamente caduta nella deflazione restando intrappolata in una crescita debole
proseguita per più di dieci anni.
Ecco di seguito alcune lezioni chei i decisori politici europei dovrebbero imparare dal processo deflazionistico
del debito in Giappone:
·
assicurarsi che la politica monetaria vinca la corsa contro la deflazione. Per ridurre il debito, il
settore privato inizia a risparmiare di più ed investire meno. Il rallentamento della domanda interna
trascina la crescita generale e genera sovrabbondanza, cui segue la disinflazione. Se lasciata incontrollata
e se i tassi di interesse non vengono ridotti in tempo utile a stabilizzare l’economia e bloccare questa
tendenza, la disinflazione può evolvere in deflazione. Da quel momento in poi i tassi di interesse nominale
prossimi allo zero lasciano il segno. I tassi di interesse reali iniziano ad aumentare nuovamente e la
politica monetaria perde molto, se non tutto, del suo potenziale di stimolo all’economia.
Lo stesso Giappone è stato intrappolato in una situazione di liquidità simile (vedi grafico 2). A partire
dal 1992 la Banca Centrale Giapponese ha tagliato gli interessi da quelli che erano livelli estremamente
elevati (8% con un inflazione corrente inferiore al 4%). Nel contempo, tuttavia, l’inflazione ha iniziato
a precipitare. Due anni dopo, i tassi di interesse nominale erano ancora al 2%, mentre l’inflazione era
arrivata allo zero e poi in negativo. Nel ridurre troppo lentamente i tassi di interesse, la politica monetaria
giapponese ha fallito l’opportunità di stabilizzare il processo deflazionistico in tempo utile. In questo
scenario non erano più possibili tassi di interesse reale negativi e l’economia giapponese ne ha pagato
il prezzo in termini di crescita debole e continuata.
Grafico 2: Tassi di interesse e inflazione in Giappone, 1988-2008
Lezione n. 1:
Bisogna evitare che l’inflazione arrivi allo zero prima che lo facciano i tassi di interesse nominale. Con
la restrizione del credito che innesca una fase di ristagno nell’economia reale, ci si può aspettare un
processo disinflazionistico. Le banche centrali europee hanno bisogno, per questo, di contrastare la
disinflazione e vincere la corsa deliberando tagli importanti e veloci ai tassi di interesse.
·
La flessibilità salariale discendente aggrava e prolunga la trappola deflazionistica.
L’attività economica depressa indebolisce la posizione contrattuale dei lavoratori e dei sindacati. In
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Giappone, tuttavia, questo indebolimento della posizione contrattuale dei lavoratori era esacerbato
dall’esistenza diffusa di sistemi di gratifica a livello aziendale, in aggiunta alle retribuzioni regolari o
convenzionali. Di fronte alla debole domanda di prodotti e servizi, le imprese giapponesi hanno iniziato
a tagliare i bonus ai lavoratori. Di conseguenza la deflazione è continuata, poiché sia la domanda interna
che l’inflazione da costi erano assenti.
Lezione n. 2:
Al giorno d’oggi molte economie europee sono caratterizzate da una rigidità salariale discendente nel
momento in cui la crescita salariale raggiunge il 2% (vedi grafico 3). In realtà questa è una cosa positiva:
fornisce una base discendente al processo di disinflazione e quindi contribuisce al mantenimento della
stabilità dei prezzi. Gli attori politici europei dunque, farebbero bene a non attaccare e demolire le
istituzioni di formazione del salario che determinano questa rigidità discendente in termini di salario
minimo, di accordi collettivi settoriali, di estensione legale degli accordi di contrattazione collettiva e di
limitazioni alle “opening clauses” a livello aziendale. Se gli attori politici europei decidessero diversamente
e cercassero di compensare la mancanza di una svalutazione delle valute locali competitiva attuando
tagli competitivi dei livelli salariali nominali, il processo di deflazione ne verrebbe rafforzato.
Grafico 3:
Salari contrattati collettivamente nella zona euro 1992-2006
·
Alcune riforme strutturali hanno peggiorato la situazione. Anche il Giappone ha risposto al
rallentamento continuo declassando la sua tradizione basata sull’occupazione permanente e altamente
sicura. I nuovi entrati nel mondo del lavoro, principalmente donne, furono costretti ad accettare i cosiddetti
lavori part-time. Questi tipi di lavori tuttavia, debbono essere analizzati nel contesto giapponese: in
Giappone un lavoro part-time significa un orario a tempo pieno retribuito come tempo parziale.
L’aumento di lavoro precario ha contribuito a minare i canali della trasmissione macroeconomica. Ogni
shock della domanda inizialmente positivo per l’economia, si rivelava debole e inefficace poiché i vantaggi
ottenuti si trasformavano immediatamente in profitti e non in salari. A causa della mancanza di qualunque
potere contrattuale da parte dei lavoratori precari, l’effetto moltiplicatore determinato dall’aumento di
posti di lavoro con il conseguente aumento del potere d’acquisto per i lavoratori e per le loro famiglie,
non funzionava più.
Lezione n. 3:
L’esperienza giapponese sul lavoro precario contiene anche un importante lezione per l’Europa. Infatti
in Europa l’utilizzo del lavoro precario si sta diffondendo in molti modi diversi: lavori scarsamente retribuiti,
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il ripetersi di contratti a termine, lavoratori interinali retribuiti diversamente - a parità di lavoro - dai
lavoratori dipendenti, contratti a tempo parziale non scelti liberamente, falsi lavoratori autonomi. Inoltre
le riforme attuali – come la revisione della Direttiva orario di lavoro e le fuorvianti riforme della flessicurezza
che usano il periodo di sei settimane previsto dalla bozza di direttiva sul lavoro interinale per attuare
un effetto di “porta girevole” – possono essere mal utilizzate per accelerare la pratica del lavoro precario
in Europa. Se accadesse questo, la depressione ed il processo di disinflazione/deflazione saranno più
lunghe.
·
Evitare la politica fiscale pro-ciclica restrittiva e consentire al settore pubblico di
compensare l’indebitamento privato. Un’economia che attraversa un processo di svalutazione del
debito nel settore privato deve saper accettare una compensazione in termini di aumento del debito
pubblico. Senza questo tipo di compensazione, l’attività economica ne risentirà sostanzialmente. In
assenza di investimenti pubblici a sostegno della domanda aggregata, gli sforzi del settore privato volti
all’aumento del risparmio e al taglio degli investimenti indebolirà la crescita generale. A loro volta, la
scarsa crescita e l’aumento della disoccupazione spingerà in alto il deficit. La politica fiscale diventa prociclica se cerca di tagliare questi deficit, prolungando e incrementando il ristagno. Il Giappone ci fornisce
ancora una volta una dimostrazione di questo processo. Per tagliare il deficit e mantenere il debito
pubblico nei limiti, nel 1998 il Giappone decise di aumentare le percentuali dell’IVA. I risultati furono
catastrofici: la ripresa economica svanì, la crescita rallentò fortemente e fu innescata la crisi finanziaria
asiatica.
Lezione n. 4:
In Europa il Patto di stabilità pone le basi per un altro potenziale circolo vizioso. La stasi economica
spinge l’aumento del deficit, le politiche fiscali reagiscono e a questo segue una maggiore depressione.
Per questo bisogna porre la massima attenzione nell’applicazione del Patto di stabilità. Certamente nella
fase attuale, in cui i governi hanno giustamente salvato il sistema bancario attraverso grandi immissioni
di capitale, c’è un elevato rischio che gli attori politici ricorrano a politiche fiscali restrittive pro-cicliche.
Il Patto di stabilità deve invece essere applicato con un’elevata dose di flessibilità per evitare irrigidimenti
fiscali.
IV
Una nuova miscela politica per salvare l’economia reale
L’economia reale si trova in tali difficoltà e la situazione è divenuta così urgente che la politica monetaria
non può più operare in tempi troppo dilatati, che vanno da uno a due anni. Questo significa che i tagli
sui tassi di interesse decisi oggi dalla Banca Centrale Europea sono arrivati troppo tardi. Lo stimolo
principale all’economia reale arriverà soltanto dopo che la crescita e l’attività economica saranno state
già depresse e la fiducia distrutta. Inoltre questi non sono “tempi normali”. I mercati finanziari non stanno
operando nel modo abituale, ma sono profondamente logorati. I tassi di scambio interbancari sono
altamente al di sopra dei tassi di interesse ufficiali, le banche diffidano l’una dell’altra e sono riluttanti
ad aiutarsi. La liquidità non è più trasformata in credito per investimenti ma viene dirottata verso categorie
di investimento sicure come titoli di stato e torna nuovamente nelle casse centrali come deposito.
In queste circostanze non c’è altra scelta che essere pragmatici e chiedere aiuto alla politica fiscale.
L’applicazione del tradizionale complesso delle politiche fiscali europee restrittive o semplicemente neutre,
bilanciate da una politica monetaria espansionistica, non funzionerà più. Quello di cui l’economia ha
bisogno oggi è un’altra serie di politiche in cui sia la politica fiscale che quella monetaria diventino
espansionistiche.
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Un nuovo complesso di politiche come questo offre molti vantaggi:
la politica fiscale, contrariamente a quella monetaria, ha un impatto diretto sulla domanda e
sull’economia reale. Se si agisce subito, la recessione del 2009 potrà essere gestita.
La politica fiscale, contrariamente alle decisioni sui tassi di interesse uguali per tutti, può essere
parametrata. Potrà e dovrà essere data priorità al reperimento e all’aumento di somme per gli investimenti
nel lungo periodo.
Tutto questo non solo aiuterà l’economia ad attraversare un periodo che altrimenti sarebbe di
pura e seria recessione, ma rafforzerà il suo potenziale di crescita nel lungo periodo. E’ un’opportunità
per unire la battaglia contro la crisi finanziaria all’agenda per gli investimenti nelle nuove industrie, nelle
energie razionali e sostenibili, nelle reti europee e nell’edilizia sociale.
Se la politica fiscale sarà condotta e/o coordinata a livello europeo, avrà un effetto moltiplicatore.
Se uno stato membro agisce da solo, una parte dell’incentivo sparisce nell’importazione da altri paesi
membri. Se invece tutti gli stati membri agiscono contemporaneamente e nella stessa direzione,
l’importazione di un paese sarà l’esportazione dell’altro, con il risultato che l’impatto del pacchetto
incentivante sulla domanda e sulla crescita sarà doppio.
Inoltre un recente studio del Fondo Monetario Internazionale dell’ottobre 2008 mostra che uno
stimolo dato dalla politica fiscale, accompagnata da una politica monetaria espansionistica, raddoppia
e talvolta triplica i normali moltiplicatori fiscali (vedi grafico 4, nel caso di adeguamento monetario,
ossia investimenti del governo). Una delle ragioni di questi risultati è che un tasso di interesse basso
rende possibile il finanziamento pubblico di tali misure, così le preoccupazioni sulla sostenibilità del debito
pubblico possono essere escluse.
Grafico 4: Effetto dell’espansione fiscale in una grande economia
Tutto questo sottintende la possibilità che l’Europa ha di andare oltre la tradizionale attività di controbilanciare
il sostegno e la stabilizzazione all’economia reale con il dare priorità a finanze pubbliche sane. Se il
programma di stimolo alla politica fiscale è ben finalizzato verso le categorie di investimenti che hanno
il maggior impatto sulla domanda e se la politica fiscale è coordinata o guidata a livello europeo, l’impatto
del programma stesso sull’economia reale potrà essere significativo per gli effetti di ritorno dell’aumento
delle entrate pubbliche che in realtà implicano un miglioramento della finanza pubblica in un lasso di
tempo breve.
V
Leadership europea per la spesa per investimento europea
Come può l’Europa attuare una miscela politica come questa, correlata anche agli investimenti?
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Il punto di partenza è identificare il fatto che le turbolenze finanziarie
Notiziario del Segretariato Europa
e la grande avversione al rischio hanno creato una seria
della Cgil nazionale
inadeguatezza nel sistema finanziario globale odierno.
Da un lato le banche e le imprese hanno urgente bisogno di nuovi
Corso Italia 25 - 00198 Roma Italia
capitali. Dall’altro, la liquidità globale e i risparmi vengono investiti
tel. +39 06 8476328
in attività che comportano rischi minimi o addirittura assenti. Gli
fax +39 06 8476321
investitori finanziari stanno acquistando principalmente titoli
e-mail: [email protected]
governativi o spostando liquidità in depositi bancari o, addirittura,
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nelle banche centrali.
Se non controllata, questa situazione continuerà a frenare la
Redazione a cura di:
crescita del credito, gli investimenti e la crescita economica generale.
Giulia Barbucci, Monica Ceremigna,
La fase di stallo può essere superata dalla creazione di un fondo
Antonio Morandi, Nicola Nicolosi
di investimento a livello europeo, il cui scopo sia quello di
investire in energie rinnovabili, nel risparmio energetico, nell’innovazione e nelle reti infrastrutturali
europee.
Le “bolle” o gli investimenti speculativi potrebbero quindi essere sostituiti da investimenti “verdi”, in
grado di funzionare come elemento conduttore nuovo e sostenibile per la crescita della domanda europea.
Un fondo di investimenti come questo, guidato per esempio dalla Banca di investimenti europea, potrebbe
emettere titoli di altissima qualità integrati da garanzie pubbliche.
Potrebbe inoltre correggere l’eccesso della domanda per investimenti a basso rischio nella situazione
attuale dei mercati finanziari globali e fornire finanziamenti convenienti per quegli investimenti di cui
oggi l’economia europea ha disperata necessità, sia nel breve periodo (superare la recessione) che per
gli obiettivi di lungo termine (trasformare la struttura della nostra economia in una più sostenibile). Infine
bisogna sottolineare che questa proposta di approccio europeo alla crisi offre agli attori d’Europa, come
la Commissione Europea, un’opportunità molto utile per dare prova della sua autorità, organizzando la
cooperazione economica in tutta Europa, anziché essere semplicemente spettattrice e lasciare che gli
stati membri competano l’uno con l’altro.
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