Volume - Camera di commercio di Torino

annuncio pubblicitario
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CONCORRENZA
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SLEALE
PIU INFORMATI
PIU PROTETTI
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Direzione scientifica della collana Guide ai diritti
Raffaele Caterina, Sergio Chiarloni, Lucia Delogu – Docenti del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino,
od
componenti della Commissione di regolazione del mercato, Came-
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ra di commercio di Torino
Questo volume è rilasciato sotto licenza Creative Commons Attri-
om
buzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0
Autore
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Rossella Rivaro
Coordinamento editoriale
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Claudia Savio, Carla Russo, Arianna Bortolotti – Settore Sanzioni
e Regolazione del mercato, Camera di commercio di Torino
Coordinamento grafico: Comunicazione esterna e URP, Camera di
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commercio di Torino
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Ideazione Grafica copertina: Art Collection Snc
Impaginazione e stampa: Zaccaria srl - Napoli
Finito di stampare: agosto 2014
Stampa su carta ecologica certificata
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Indice
Capitolo primo
La concorrenza
................................................
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5
1.2 Le fonti di disciplina della concorrenza sleale . . . . . .
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1.3 La concorrenza sleale nel codice civile
.............
9
.........................
10
.....................................
13
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diritto antitrust
od
........................................
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1.1 Libera iniziativa economica, concorrenza sleale,
1.4 Il rapporto di concorrenza…
1.5 …tra imprenditori
Capitolo secondo
...................................
om
La concorrenza confusoria
2.1 L’uso di nomi o segni distintivi del concorrente
...
17
..
21
.......................................
22
2.2 L’imitazione servile dei prodotti del concorrente
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Capitolo terzo
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2.3 Gli “altri mezzi”
La denigrazione e l’appropriazione di pregi
3.1 La denigrazione
................
25
.......................................
25
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3.2 La pubblicità comparativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
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3.3 L’appropriazione di pregi
.............................
31
Capitolo quarto
Gli altri atti non conformi ai principi della correttezza
professionale
..................................................
4.1 La concorrenza parassitaria
4.2 Il boicottaggio
35
.........................
35
.........................................
36
3
Indice
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4.3 La vendita sottocosto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
4.4 Lo storno di dipendenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38
..................
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4.5 La sottrazione di segreti aziendali
4.6 La violazione di norme di diritto tributario,
penale e amministrativo
.............................
Capitolo quinto
I rimedi
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........................................................
Appendice normativa
43
47
..............
49
Allegato 2 - D.Lgs. 2 agosto 2007, n. 145
.............
51
......................................................
63
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Allegato 1 - Codice civile artt. 2598-2601
Sitografia
4
............................
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4.7 La pubblicità ingannevole
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La concorrenza
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Capitolo I
1.1 Libera iniziativa economica, concorrenza sleale, diritto antitrust
od
La libertà di iniziativa economica comporta che sul mercato beni o servizi fra loro identici o simili siano offerti da
una pluralità di imprenditori, tutti naturalmente animati dalla
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volontà di realizzare il maggior profitto possibile. A questo
scopo ciascun imprenditore è libero di attuare le strategie
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che ritenga più efficaci non soltanto per richiamare la clientela ma anche per sottrarla ai propri concorrenti. È il gioco
della concorrenza.
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Lo spazio di manovra di cui godono gli imprenditori sul
mercato non è però senza confini.
Dopo l’affermazione tardo settecentesca del principio di
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libera iniziativa economica ed un primo periodo di concorrenza “selvaggia”, già nella seconda metà dell’Ottocento in
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Europa inizia a serpeggiare l’idea che sia necessario regolare
il comportamento sul mercato degli operatori economici in
modo da assicurare che i rapporti fra concorrenti si svolgano
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in modo leale.
Ciò a tutela degli interessi degli stessi imprenditori ma an-
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che nella convinzione, di matrice liberale, che il gioco della
concorrenza possa contribuire così ad assicurare il benessere
economico generale a condizione che a vincere la gara sia
l’imprenditore realmente più capace: cosa che a sua volta è
possibile esclusivamente se il pubblico dei potenziali destina-
tari dei beni o servizi – clienti professionali o consumatori –
5
Capitolo I
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sia in grado di dirigere la propria preferenza verso i prodotti
migliori per prezzo e qualità.
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Solo in un momento successivo si fa strada l’idea che il
mercato concorrenziale, una volta creato, debba essere anche preservato, impedendo che si trasformi in un regime monopolistico.
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Nasce così negli Stati Uniti, alla fine del XIX secolo, il diritto antitrust1.
Bisogna invece attendere il secondo dopoguerra perché
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anche i legislatori europei mettano mano ad una legislazione
antimonopolistica e addirittura il 1990 per veder approvata
me
la legge italiana a tutela della concorrenza e del mercato2.
Sino a quell’anno le sole regole antitrust vigenti in Italia
sono le disposizioni del Trattato istitutivo della Comunità Eco-
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nomica Europea (Trattato CEE), che ancora oggi costituiscono il fondamento della nostra disciplina antimonopolistica3.
Sono così oggetto di espresso divieto nell’ordinamento
La prima legge antitrust è lo Sherman Antitrust Act, emanato dal Con-
er
1
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Note
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italiano:
gresso degli Stati Uniti su proposta del senatore dell’Ohio John Sherman
nel 1890 ed applicato per la prima volta contro la Standard Oil del magnate
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Rockefeller nell’ambito di un lungo processo conclusosi solo nel 1911 con
una sentenza definitiva della Corte Suprema che ha portato ad un vero e
proprio smembramento dell’impero petrolifero.
2
Legge 10 ottobre 1990, n. 287 “Norme per la tutela della concorrenza
e del mercato”.
3
Si trattava degli artt. da 81 a 89 del Trattato CEE, oggi divenuti gli artt.
da 101 a 109 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).
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La concorrenza
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1. le intese fra imprese, ossia gli accordi che abbiano per
oggetto o per effetto di:
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a. impedire in maniera consistente la concorrenza: si
pensi all’accordo con cui due o più imprese concorrenti
suddividono un territorio in tanti mercati quante sono
le imprese partecipanti all’accordo stesso, prevedendo
od
che ciascuna di esse possa esercitare l’attività soltanto
all’interno della “propria” porzione di territorio ma, allo
stesso tempo, in modo del tutto indisturbato da ogni
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altro concorrente
b. restringere la concorrenza, come gli accordi volti a
me
introdurre listini di prezzo comuni o a fissare un prezzo
minimo dei prodotti o servizi offerti
c. falsare la concorrenza: tipica ipotesi è quella del for-
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nitore che pratica condizioni di vendita differenti allo
scopo di favorire alcuni imprenditori a scapito di altri.
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2. l’abuso da parte di una o più imprese di una posizione
dominante all’interno del mercato. Ha una posizione do-
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minante sul mercato l’impresa in grado di tenere comportamenti del tutto slegati da quelli degli altri agenti economici (concorrenti, clienti professionali, consumatori): il
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che normalmente è possibile per l’impresa che detiene
un’elevata quota di mercato. Naturalmente l’avere una
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posizione dominante è in sé assolutamente lecito. Illecito
ne è soltanto l’abuso.
A titolo esemplificativo, la legge ritiene che abusi della sua
posizione dominante l’impresa che:
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Capitolo I
impone prezzi di acquisto o di vendita o condizioni con-
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l
trattuali ingiustificatamente gravose
impedisce o limita l’accesso al mercato di altri impren-
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ditori, lo sviluppo tecnico o il processo tecnologico a
danno dei consumatori
l
applica per prestazioni equivalenti a contraenti diversi
od
condizioni diverse allo scopo di favorire alcuni clienti a
danno di altri
l
subordina la conclusione dei contratti all’accettazione da
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parte dell’altro contraente di prestazioni supplementari
che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non
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abbiano alcuna connessione con l’oggetto del contratto.
3. le operazioni di concentrazione fra imprese (fusioni o
om
costituzioni di gruppi societari) che comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul
mercato che, a sua volta, elimini o riduca in modo sostan-
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ziale e durevole la concorrenza.
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1.2 Le fonti di disciplina della concorrenza sleale
Il legislatore italiano si preoccupa per la prima volta di reprimere il fenomeno della concorrenza sleale nel 1926, quan-
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do estende al nostro Paese l’applicazione di una norma internazionale introdotta l’anno precedente nella Convenzione
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d’Unione a tutela della proprietà industriale stipulata a Parigi
nel 1883.
La norma del 1926 rimane immutata sino all’entrata in vi-
gore del codice civile del 1942, che agli artt. 2598 e seguenti
torna sul tema con disposizioni largamente ispirate a quelle
della Convenzione.
8
La Concorrenza
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Alle norme del codice civile si sono poi affiancati, nel corso
degli anni, diversi provvedimenti normativi, per lo più di de-
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rivazione comunitaria.
Si tratta, in particolare, dei decreti legislativi attuativi delle direttive sulla pubblicità ingannevole e comparativa e sulle
pratiche commerciali sleali4, dirette a proteggere in prima
od
battuta i destinatari dei beni o servizi offerti dalle imprese
(consumatori o clienti professionali), ma indirettamente an-
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che gli interessi degli stessi concorrenti.
1.3 La concorrenza sleale nel codice civile
me
Il codice civile mira a garantire che la competizione fra
imprenditori si svolga in maniera corretta e leale e a tal fine
vieta qualsiasi pratica di concorrenza sleale (art. 2598 c.c.).
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Il divieto colpisce chiunque:
1. compie atti di concorrenza confusoria (art. 2598, n. 1,
c.c.), e quindi:
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a. usa nomi o segni distintivi confusori
b. imita servilmente i prodotti di un concorrente
4
Note
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c. compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare
Sono il decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 74, attuativo della di-
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rettiva 84/450/CEE, successivamente modificata dalla direttiva 97/55/CE
(a sua volta attuata in Italia con il decreto legislativo 25 febbraio 2000, n.
67) nonché, da ultimo, i decreti legislativi 2 agosto 2007, n. 145 sulla pub-
blicità ingannevole e n. 146 relativo alle pratiche commerciali sleali tra im-
prese e consumatori, attuativi della direttiva 2005/29/CE dell’11 maggio
2005 e della direttiva 2006/114/CE del 12 dicembre 2006, provvedimento,
quest’ultimo, che ha sostituito la direttiva sulla pubblicità ingannevole e
comparativa del 1984.
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Capitolo I
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confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente
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2. diffonde notizie o apprezzamenti sui prodotti e sull’attività
di un concorrente idonei a determinarne il discredito (c.d.
concorrenza denigratoria: art. 2598, n. 2, c.c.)
3. si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un
od
concorrente (art. 2598, n. 2, c.c.)
4. si avvale di qualsiasi altro mezzo non conforme ai
principi della correttezza professionale e idoneo a
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danneggiare l’altrui azienda (art. 2598, n. 3, c.c.).
Quando una simile attività venga svolta, l’imprenditore
me
danneggiato potrà pretendere che il concorrente ponga fine
al suo comportamento, elimini gli effetti dannosi che si siano
verificati e risarcisca il danno causato (artt. 2599 e 2600
om
c.c.).
1.4 Il rapporto di concorrenza…
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La disciplina della concorrenza sleale presuppone anzitutto che l’autore e la vittima dell’illecito siano legati da un rap-
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porto di concorrenza.
Ma quando questo rapporto può ritenersi esistente?
Secondo l’opinione più accreditata un rapporto di con-
er
correnza si avrebbe quando due soggetti offrono sullo stesso mercato beni o servizi destinati a soddisfare bisogni
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identici o simili, mirando quindi alla medesima clientela.
Fra due imprenditori che producono e vendono succhi
di frutta esiste un rapporto di concorrenza: i beni prodotti
sono identici e uguali sono ovviamente anche i bisogni che
tali prodotti sono destinati a soddisfare.
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La concorrenza
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Tuttavia non è sempre facile capire quando beni o servizi
puntano a soddisfare bisogni identici o simili, soprattutto se i
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beni o i servizi messi a confronto sono soltanto simili fra loro.
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Succhi di frutta e bibite gassate sono bevande soltanto
simili fra loro, dal momento che i succhi di frutta sono bevande analcoliche con caratteristiche nutrizionali e salutari
che le bevande gassate non possiedono. Ciò nonostante
entrambi questi prodotti servono a soddisfare un analogo
bisogno di dissetamento.
La comunanza di clientela rileva inoltre anche quando
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semplicemente potenziale, quando cioè vi sia la concreta
probabilità che in un futuro non lontano uno dei due imprenditori decida di espandere il suo mercato di sbocco (c.d. con-
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correnza potenziale in ambito merceologico).
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Si pensi al rapporto esistente fra l’attività del produttore di materassi e quella di chi si limita a produrre molle
per materassi. Non vi è evidentemente coincidenza dei
beni fabbricati né questi mirano a soddisfare esigenze
identiche o anche soltanto simili fra loro: nessuno si accontenterebbe di addormentarsi su una molla invece che
su un comodo materasso!
Tuttavia i due imprenditori possono considerarsi concorrenti, tenuto conto della possibilità che il produttore di
molle decida un giorno di fabbricare egli stesso direttamente anche il prodotto finito.
Con la conseguenza che, anche prima dell’effettivo ampliamento dell’attività, se Tizio, produttore di molle,
diffonde notizie false e denigratorie sulla qualità dei materassi di Caio, quest’ultimo potrà agire in giudizio e chiedere il risarcimento del danno subito per effetto della de-
11
Capitolo I
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nigrazione. E potrà sostenere, in particolare, che Tizio si
è reso responsabile di un atto di concorrenza sleale come
se costui, già al momento dell’illecito, producesse anche
materassi e fosse un suo diretto concorrente.
Difficoltà nell’accertare l’esistenza di un rapporto di concorrenza possono pure presentarsi qualora i mercati delle
od
due imprese non coincidano sotto il profilo territoriale.
Non tanto qualora interessate siano imprese note e di
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grandi dimensioni: in questo caso si ritiene che l’estensione
territoriale del loro mercato coincida con la loro sfera di no-
me
torietà.
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Il mercato della pellicceria Annabella può ritenersi
esteso all’intero territorio italiano anche se l’unico punto
vendita si trova a Pavia. Annabella potrebbe pertanto far
causa al concorrente che diffondesse notizie false sulla
qualità dei suoi prodotti anche qualora si tratti, in ipotesi,
di una pellicceria silana distante oltre mille chilometri.
ad
Le difficoltà sorgono piuttosto per i piccoli e medi imprenditori. A questo proposito occorre però ricordare che anche
l’estensione territoriale del mercato (e non soltanto quella
er
merceologica) viene generalmente valutata con attenzione
sia al mercato attuale sia a quello potenziale: con la conse-
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guenza che un rapporto concorrenziale fra due imprese è ritenuto esistente altresì quando, pur operando esse in ambiti
territoriali diversi, vi sia la concreta possibilità per l’una di
accedere al mercato in cui opera l’altra (c.d. concorrenza
potenziale territoriale).
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La concorrenza
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Due piccole panetterie site alle opposte pendici di una
grande città non sono certamente in concorrenza tra di
loro. Il discorso è però diverso se riferito ad un forno con
un’organizzazione d’impresa tale da rendere altamente
probabile l’apertura di punti vendita in diverse zone della
città. Questo forno dovrà essere considerato potenzialmente in concorrenza con tutte le panetterie della città.
Con la conseguenza che qualora tale forno, magari per
“prepararsi il terreno”, inizi a vendere sotto costo i suoi
prodotti, contro di lui potrà agire in giudizio per concorrenza sleale qualsiasi panettiere della città.
me
1.5 …tra imprenditori
Secondo le prescrizioni di legge, il rapporto di concorrenza
deve intercorrere fra due soggetti che esercitino un’attività
om
d’impresa: non necessariamente di natura commerciale o
industriale o di dimensioni medio-grandi, potendo trattarsi
anche di attività agricola e di piccole dimensioni.
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Non è neppure necessario che i soggetti svolgano abitualmente l’attività d’impresa: si considera sufficiente anche l’e-
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sercizio occasionale.
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Esercita occasionalmente un’attività d’impresa anche
l’appassionato di viticoltura che, grazie ad una stagione estiva particolarmente favorevole, abbia ottenuto un raccolto
eccezionale che decide in parte di vendere al pubblico allestendo un banchetto sulla strada adiacente al suo filare.
Nel novero dei possibili autori e vittime dell’illecito con-
correnziale si comprende anche la pubblica amministra-
zione che svolga attività d’impresa in regime di concorrenza,
inclusi gli enti pubblici non economici.
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Capitolo I
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In diverse occasioni vittima di illecito concorrenziale è
stato riconosciuto l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.
L’Istituto, nella sua attività di editore e distributore della Gazzetta Ufficiale, pur essendo un ente pubblico non
economico, opera infatti in qualità di imprenditore. Su
queste premesse, la Corte d’appello di Roma ha concluso
che l’Istituto Poligrafico dello Stato merita tutela contro
gli atti di concorrenza sleale come un normale imprenditore. E ha pertanto condannato al risarcimento del danno
una casa editrice romana che pubblicava su una rivista di
informazione legale riproduzioni fotografiche della Gazzetta Ufficiale, nella stessa composizione e veste tipografica5.
È bene ricordare, inoltre, che un imprenditore diventa tale
già quando inizia ad organizzare l’attività di impresa e non
om
smette di esserlo sino alla definitiva cessazione dell’attività,
successiva alla chiusura delle operazioni di liquidazione. Per-
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tanto già in fase di organizzazione e in sede di liquidazione dell’impresa trova applicazione il divieto di concorren-
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za sleale.
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Tizio ha deciso di aprire una nuova trattoria a Torino,
in centro città. Ha trovato il locale, ma non può inaugurare
in tempi brevi l’attività perché prima deve effettuare alcuni lavori di ristrutturazione. Per non perdere tempo, da
subito comincia a diffondere volantini in cui pubblicizza la
prossima apertura del locale, anticipando che si tratterà
della sola trattoria dell’intero quartiere ad utilizzare prodotti a chilometri 0. Sennonché, da anni, Caio è titolare,
Note
5
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Cfr. Corte d’appello Roma, 26 marzo 1984.
La concorrenza
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nello stesso quartiere, di un ristorante che impiega esclusivamente prodotti biologici provenienti dalla collina torinese. Caio non sarà però privo di tutela di fronte alle false
informazioni diffuse da Tizio. Dal momento che il divieto
di concorrenza sleale opera già in sede di organizzazione
dell’attività di impresa, egli potrà trattare Tizio come un
concorrente e pretendere da lui l’immediata cessazione
della diffusione dei volantini, ancor prima che inauguri la
sua trattoria.
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Il divieto di concorrenza sleale trova peraltro applicazione,
a favore dell’impresa fallita, anche a seguito di fallimenl’attività d’impresa.
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to, qualora il curatore fallimentare eserciti in via provvisoria
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Quando è dichiarato il fallimento di un’impresa è nominato un curatore, con il compito di amministrare il patrimonio fallimentare e, se ritenuto necessario per evitare
un danno grave all’impresa, di proseguirne l’attività. Si
pensi al caso di un’impresa siderurgica e al danno che
questa potrebbe patire in conseguenza dello spegnimento
della cokeria, spegnimento che comunque impiegherebbe
un paio di mesi per arrivare a compimento. Durante l’esercizio provvisorio dell’attività il curatore incaricato della
gestione potrà difendere l’impresa da qualsiasi atto di
concorrenza sleale perpetrato contro di essa, come farebbe un normale amministratore nel pieno dell’attività.
Non è necessario, inoltre, che sia lo stesso imprenditore
a commettere l’illecito. Questi ne risponde anche quando
l’atto sia compiuto da altri su suo impulso o comunque consapevolmente nel suo interesse, a prescindere addirittura dal
fatto che colui che ponga concretamente in essere la con15
Capitolo I
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dotta sia un imprenditore: potrebbe essere anche un lavoratore dipendente, un ausiliario autonomo o un con-
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cessionario di vendita.
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Integra un atto di concorrenza sleale di cui risponde
anche la società datrice di lavoro il comportamento dell’ex-dipendente di una società di assistenza informatica
che induca la clientela della società dove aveva lavorato
a credere che l’unica nuova referente per la distribuzione
dei prodotti della sua ex-datrice di lavoro sia la nuova società alle cui dipendenze egli si è trasferito.
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La concorrenza
confusoria
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Capitolo II
2.1 L’uso di nomi o segni distintivi del concorrente
È atto di concorrenza sleale anzitutto ogni comportamen-
od
to idoneo a creare confusione con i prodotti o con l’attività
di un concorrente (art. 2598, c. 1, c.c.).
Se la possibilità di sottrarre ad altro imprenditore la sua
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clientela rientra senz’altro nel gioco della concorrenza, occorre tuttavia tener ben presente che il fine non giustifica
me
qualsiasi mezzo.
Ad un imprenditore non è concesso di richiamare a sé
nuovi clienti cercando di confonderli in relazione all’origine
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del prodotto o dell’attività, facendo cioè passare i propri prodotti per quelli di un concorrente. Un simile comportamento,
purtroppo frequente, è sleale perché sfrutta il successo concorrente.
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quistato sul mercato, magari con molta fatica, da un con-
ad
Vari sono gli strumenti di inganno utilizzati. Il legislatore
ne individua specificamente due.
Il primo si riferisce all’uso di nomi o di segni distintivi «ido-
er
nei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi
legittimamente usati da altri» imprenditori concorrenti.
Ca
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È questo il caso dell’imprenditore che ricorre ad un mar-
chio del tutto simile, o addirittura identico, a quello del
concorrente di maggior successo nel tentativo di sviarne almeno in parte la clientela.
17
Capitolo II
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Se Tizio decide di contraddistinguere gli occhiali da lui
prodotti artigianalmente con il marchio RayBan usurpa il
marchio altrui.
Il marchio MaraCamicie può ritenersi confondibile con
il più noto NaraCamicie.
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Accanto all’usurpazione o imitazione del marchio altrui, la
legge sanziona l’utilizzo di altri nomi e segni distintivi uguali
o, comunque, confondibili con quelli dei concorrenti. Per no-
me
a. il nome dell’impresa
rci
mi e segni distintivi si intendono infatti, oltre al marchio:
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Chi intenda aprire un nuovo negozio di prodotti per la
pulizia della casa e della persona non può adottare come
nome Saponi&Saponi se questa denominazione è già usata da un concorrente.
b. l’insegna che contraddistingue i locali dell’impresa: il ne-
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gozio di vendita o lo stabilimento
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er
Una caffetteria non potrà apporre all’ingresso del suo
locale la nota insegna circolare verde e bianca della catena americana “Starbucks Coffee”.
c. il nome a dominio del sito dell’impresa
Il nome del sito www.vivairossi.it non può essere utilizzato da un vivaista concorrente.
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La Concorrenza confusoria
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d. più in generale, qualsiasi segno (parola, figura, lettera
dell’alfabeto o numero) che venga ritenuto capace di
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contraddistinguere la provenienza di un bene o di un
servizio da un certo imprenditore (c.d. capacità distintiva), incluso lo slogan pubblicitario.
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L’uso da parte di un cioccolataio del noto slogan «La
carica del caffè più l’energia del cioccolato» potrebbe essere idoneo a confondere il pubblico degli amanti dei cioccolatini.
Ciò che la legge proibisce non è, peraltro, l’uso di qualun-
me
que segno distintivo in qualche modo simile a quello di un
concorrente: è necessario che la somiglianza sia tanto forte
da poter indurre il consumatore medio a confondere i segni
om
dell’uno con quelli dell’altro. E ciò naturalmente presuppone
che il segno imitato sia dotato di capacità distintiva. In altri termini, deve essere percepito come uno strumento che
ic
distingue i prodotti o servizi di un’impresa da quelli dei concorrenti; e non invece come il nome comune dei prodotti o
ad
servizi o come un’indicazione diretta a descriverne le caratteristiche (ad esempio la provenienza geografica, la qualità,
er
la quantità e via discorrendo).
Ca
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Chi è il consumatore medio?
È la persona di ordinaria attenzione, senza specifiche
conoscenze, che effettua normalmente le proprie scelte
sulla base di un esame rapido e sintetico del bene o del
servizio.
Occorre però tener conto sia della cerchia di consumatori sia delle caratteristiche del prodotto: se il prodotto è
destinato a operatori professionali oppure ha un prezzo
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Capitolo II
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particolarmente elevato o una specifica valenza tecnica si
deve supporre che la scelta avvenga con un grado di diligenza e attenzione maggiore.
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È stato ritenuto confondibile con il marchio Mars il marchio Master, ugualmente caratterizzato da una grafia un
po’ trasversale con bordo oro e utilizzato per un’analoga
merendina di cioccolato al latte ripiena di caramella mou,
tenuto conto della clientela cui il prodotto si rivolge, dell’ambito nel quale la scelta del prodotto avviene (bar, pasticcerie, supermercati) e, di conseguenza, della particolare rapidità che contraddistingue l’acquisto6.
Occorre però fare molta attenzione.
La possibilità di usare segni distintivi simili a quelli di un
om
imprenditore concorrente purché non confusori vale, infatti,
fin tanto che i segni del concorrente siano per così dire “normali”. Se infatti si tratta di segni distintivi “rinomati”, il
ic
divieto di utilizzare segni ad essi simili tende ad essere più
severo ed esteso.
ad
In particolare, se il concorrente è titolare di un marchio
registrato e questo marchio è dotato di rinomanza – vale a
dire, celebre (ad es. Barilla) o anche soltanto conosciuto da
er
una parte significativa del pubblico rilevante per una certa
categoria di prodotti o servizi (ad es. il marchio USAG per
Ca
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utensili professionali) – i concorrenti non possono utilizzare
segni distintivi a quello simili indipendentemente dal fatto
che risultino confondibili, qualora sia chiaro che in questo
Note
6
20
Il caso è tratto da Corte d’appello di Milano, 6 novembre 1987.
La Concorrenza confusoria
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modo vogliono esclusivamente approfittare dell’accreditamento sul mercato del marchio famoso altrui (c.d. parassi-
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tarismo).
Va infine ricordato che può invocare tutela solo l’imprenditore che utilizzi legittimamente il marchio o segno
distintivo in questione: non certo chi abbia a sua volta usur-
od
pato il segno distintivo di un concorrente!
2.2 L’imitazione servile dei prodotti del concorrente
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La seconda ipotesi di concorrenza sleale confusoria
espressamente considerata dal legislatore è la c.d. imita-
me
zione servile dei prodotti di un concorrente.
Non è però da considerarsi atto di concorrenza sleale l’imitazione di qualsiasi parte del prodotto.
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L’imitazione del prodotto altrui è sleale solo se è in grado
di far apparire agli occhi di un consumatore che un bene proviene da un imprenditore quando in realtà è prodotto da un
ic
concorrente. E allora ad essere rilevante è esclusivamente la
copiatura della forma esteriore: ad esempio, dell’involucro,
ad
della confezione o comunque dell’aspetto complessivo del
prodotto.
Ca
m
er
La bottiglietta ideata da Depero, a forma di tronco di
cono rovesciato e con superficie ruvida, per il Campari Soda è un marchio di forma che nessun altro produttore di
aperitivi può utilizzare così da sviare la clientela della
Campari7.
7
Note
È la decisione di Trib. Roma, 9 ottobre 1972.
21
Capitolo II
i no
Naturalmente deve però trattarsi di una forma non banale e capace di rendere il prodotto riconoscibile. Non si
iT
or
ha perciò imitazione servile quando vengono imitate forme
comuni o comunque caratteristiche di tutti i prodotti appartenenti ad un determinato genere: si pensi alla forma standard di una bottiglia o quella a bulbo di una lampadina.
od
Non sono invece tutelate quelle particolari forme che siano necessitate dalla funzione del prodotto.
om
me
rci
È stata negata la tutela per imitazione servile ad un
produttore di stendipanni composti da due cavalletti incrociati, con snodi, che sorreggono una “griglia” formata
da fili tesi in un telaio orizzontale, sul presupposto che tali
stendipanni avevano una forma necessaria al conseguimento dell’utilità pratica del prodotto8.
2.3 Gli “altri mezzi”
Il legislatore riconduce infine alla concorrenza sleale con-
ic
fusoria il compimento «con qualsiasi altro mezzo» di atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un
ad
concorrente.
Fra questi altri mezzi figurano spesso la copiatura di ca-
er
taloghi o listini, l’uso di autoveicoli per la distribuzione
del prodotto o la fornitura del servizio contraddistinti dallo
Ca
m
stesso colore adottato dal concorrente o, ancora, l’imitazione dell’arredamento dei locali di vendita, quando ciò
possa creare equivoci nel pubblico.
Note
8
22
Il caso è tratto da Corte d’appello di Milano, 25 novembre 1977.
La Concorrenza confusoria
Ca
m
er
ad
ic
om
me
rci
od
iT
or
i no
Potrebbe trarre in inganno il pubblico l’arredamento di
una profumeria che riproduca la grafica interna a righe
orizzontali parallele bianche e nere caratteristica dei punti
vendita della catena di profumerie Sephora.
23
24
rci
me
om
ic
ad
er
Ca
m
i no
iT
or
od
i no
Capitolo III
iT
or
La denigrazione
e l’appropriazione di pregi
3.1 La denigrazione
È inoltre atto di concorrenza sleale la diffusione di «notizie
od
e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente,
idonei a determinarne il discredito», ossia la perdita della
buona reputazione, agli occhi di clienti, fornitori, finanziatori
rci
o dipendenti (art. 2598, n. 2, c.c.).
Ai fini che qui interessano la denigrazione è però illecita
me
non per il semplice fatto di ledere l’altrui reputazione, ma
soltanto a condizione che procuri un danno concorrenziale:
ad esempio, una perdita di clienti, il rifiuto di un finanzia-
om
mento o le dimissioni di uno o più dipendenti.
Ca
m
er
ad
ic
Un discorso diverso vale per la lesione della reputazione commerciale dell’imprenditore che qualsiasi soggetto, anche non imprenditore, commette qualora getti
discredito sull’immagine che l’imprenditore si è costruito
agli occhi del pubblico, cagionandogli un danno patrimoniale.
E ancora diverso è il reato di diffamazione. Commette
infatti il reato di diffamazione chiunque offenda l’altrui reputazione a prescindere dal fatto che ciò abbia procurato
alla vittima un danno economico.
Le notizie negative diffuse possono indifferentemente
riguardare i prodotti o l’attività di un concorrente, una situazione nella quale l’impresa altrui si trovi (ad es. una situazione di difficoltà economica o produttiva) così come le
25
Capitolo III
i no
qualità personali dello stesso imprenditore (ad es. l’aver
riportato una condanna per truffa o per bancarotta).
iT
or
Per essere denigratorie le notizie diffuse devono essere
false o, se vere, comunque raccontate in modo non
obiettivo, ossia tendenzioso e scorretto, tale da ingenerare
nel pubblico un giudizio distorto. Classico è il caso della pub-
od
blicità che compara dati di per sé veri ma fra loro disomogenei.
om
me
rci
Tizio è editore di un quotidiano a diffusione regionale
e, per reclamizzare la sua leadership sul mercato, pubblica all’interno del giornale alcune tabelle in cui confronta i
dati di vendita del suo quotidiano con quelli relativi invece
a riviste settimanali. La comparazione di dati non omogenei integra una condotta denigratoria dell’attività delle case editrici dei periodici settimanali citati.
Lo strumento attraverso il quale più frequentemente si
ic
consumano casi di denigrazione dei prodotti e dell’attività di
concorrenti, come si vedrà nel prossimo paragrafo, è senz’al-
ad
tro rappresentato dalla pubblicità.
Ciò non significa però che sia l’unico. La denigrazione non
presuppone infatti necessariamente la divulgazione della no-
er
tizia ad un pubblico indefinito di destinatari, così come
avviene appunto quando si dirama un messaggio pubblicita-
Ca
m
rio attraverso la televisione, la radio, internet, un cartellone
o, più semplicemente, il volantinaggio.
Può trattarsi anche di una comunicazione rivolta ad una
cerchia più ristretta di persone, ad esempio, mediante
l’ormai diffuso strumento della mailing list o il più tradizionale invio di lettere circolari.
26
La denigrazione e l’appropriazione di pregi
od
iT
or
i no
Integra una condotta di concorrenza sleale denigratoria l’invio di e-mail ai titolari di una carta di credito concorrente nelle quali si chiede ai destinatari se abbiano già
pensato di «rottamare» la loro «vecchia» carta di credito,
rivolgendo loro la domanda: «Forse la tua attuale carta di
credito costa troppo, non è abbastanza sicura per fare acquisti su internet o non è flessibile sui rimborsi?»9.
E può consistere addirittura in una comunicazione limitata
ad una sola persona. Dissuadere un cliente dall’acquisto
rci
dei prodotti di un concorrente “parlandogli male” di quest’ul-
me
timo può senz’altro concretare un atto di concorrenza sleale.
er
ad
ic
om
Tizio si reca in una sartoria artigianale per ordinare la
confezione di una camicia per le sue nozze, ma, dopo aver
scoperto l’ammontare del prezzo, si lamenta con il sarto
Caio domandandogli le ragioni di un prezzo così salato a
confronto di quello praticato dal concorrente Sempronio.
Caio, per giustificarsi, risponde falsamente che Sempronio, contrariamente a quanto dice, non confeziona camicie
su misura, limitandosi ad apportare piccole modifiche su
camicie preconfezionate.
La condotta di Caio integra senza dubbio un atto di denigrazione a danno del concorrente Sempronio, anche se
la falsa informazione è comunicata ad una sola persona.
Ca
m
3.2 La pubblicità comparativa
Lo strumento attraverso il quale più spesso si consumano
casi di denigrazione dei prodotti e dell’attività del concorren-
9
Note
Così è stato deciso da Trib. Roma, 12 novembre 2003.
27
Capitolo III
i no
te è rappresentato dalla pubblicità, e in particolare da quella
che pone a confronto i beni e i servizi di un imprenditore con
iT
or
i beni e i servizi di un concorrente. È la c.d. pubblicità comparativa.
om
me
rci
od
È comparativa (e quindi soggetta alle condizioni di liceità che esamineremo fra poco) anche la pubblicità in cui
un imprenditore fa semplicemente riferimento ad un concorrente: ad esempio, perché invita ad acquistare il suo
prodotto oggetto di reclame tutti coloro che sino a quel
momento comprano l’analogo prodotto del concorrente.
Al contrario, non c’è comparazione se il messaggio
pubblicitario si limita a rivendicare l’unicità e il primato
del bene o del servizio reclamizzato oppure instauri il confronto con la generalità dei concorrenti. Si pensi al celebre
slogan «Dash, così bianco che più bianco non si può!».
Così grande era il timore di una degenerazione della lotta
concorrenziale che sino alla fine degli anni Novanta i margini
ic
di liceità della pubblicità comparativa erano molto stretti.
La comparazione era considerata lecita soltanto a condil
ad
zione che:
le informazioni diffuse, oltre ad essere veritiere, venissero
presentate in modo obiettivo e riguardassero dati squisi-
l
er
tamente tecnici
il confronto dei prodotti o dei servizi fosse il solo stru-
Ca
m
mento a disposizione dell’imprenditore per il “posizionamento” del prodotto o del servizio sul mercato.
Al di fuori di questi confini la comparazione era conside-
rata denigrazione.
Nel corso del tempo, però, ci si è resi conto dell’importan-
za che la pubblicità comparativa ha per la trasparenza del
28
La denigrazione e l’appropriazione di pregi
i no
mercato e la migliore informazione dei consumatori. E così,
prima il legislatore comunitario e poi anche quello italiano
iT
or
hanno espressamente sancito la liceità della pubblicità comparativa10.
od
Restano però ferme alcune condizioni.
1. In primo luogo, naturalmente, la pubblicità comparativa
non deve essere causa di discredito o denigrazione dei
rci
prodotti e dell’attività di un concorrente.
Il che non significa che un messaggio pubblicitario non
me
può mettere in risalto gli aspetti negativi dei beni o dei
servizi altrui, ma che ciò è possibile solo nei limiti in cui le
informazioni siano vere e servano ad illustrare i vantaggi
om
del prodotto o del servizio reclamizzato.
Ca
m
er
ad
ic
È scorretta la pubblicità che si limita a qualificare i prodotti di un concorrente come pedissequa imitazione dei
propri e di qualità nettamente inferiore11.
È stata inoltre ritenuta denigratoria la pubblicità relativa ad un sistema antincendio nella quale si enfatizzava
il disagio dell’utente per lo smaltimento delle sostanze antincendio utilizzate nei sistemi di un concorrente12.
10
Note
Cfr. gli attuali artt. 3-bis direttiva 84/450/CE e 4 d.lgs. 2 agosto
2007, n. 145.
11
Cfr. la decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
(AGCM) n. 8886, Boll. 45/00.
12
Cfr. AGCM, n. 17323, Boll. 33/07.
29
Capitolo III
i no
2. La pubblicità comparativa non deve contenere alcun mes-
iT
or
saggio ingannevole.
È ingannevole la pubblicità che pone a confronto i prezzi di tre supermercati senza identificare con chiarezza i
prodotti presi in considerazione13.
od
3. La pubblicità deve confrontare beni o servizi omogenei,
che soddisfano gli stessi bisogni o si pongono gli stessi
rci
obiettivi.
ic
om
me
È scorretta la pubblicità che mette a confronto gli effetti
benefici di una crema cosmetica con quelli di una pomata
medicinale, dal momento che il prodotto cosmetico e quello medicinale hanno finalità diverse, l’uno estetiche, l’altro
curative. E allo stesso modo è scorretta la pubblicità che
compara le prestazioni e le tariffe dei servizi di connessione a internet mediante fibra ottica e mediante ADSL14.
Quando la comparazione non riguarda due o più prodotti
ad
nella loro interezza ma è limitata a taluni specifici aspetti,
deve avere ad oggetto caratteristiche essenziali e pertinenti,
ossia rilevanti per l’apprezzamento del pubblico, rappresen-
er
tative e verificabili.
Ca
m
Scorretto è il confronto fra prezzi praticati da più super-
mercati se effettuato con riferimento ad un insieme di prodotti non precisamente identificati né in relazione alla marca
Note
30
13
Cfr. AGCM, n. 13582, Boll. 36-37/04.
14
Cfr. AGCM, n. 13979, Boll. 3/05.
La denigrazione e l’appropriazione di pregi
i no
né con riguardo alla loro quantità, come nel caso di un messaggio pubblicitario del seguente tenore: «Al Rewemarket la
iT
or
pasta costa il 30% in meno che al Realmarket».
5. La pubblicità non deve trarre indebitamente vantaggio
od
dalla notorietà del marchio altrui.
me
rci
È scorretta la pubblicità che, invece di mettere in risalto le caratteristiche che differenziano in meglio il prodotto
reclamizzato rispetto a quello del concorrente, indica soltanto gli aspetti che lo rendono del tutto simile all’altro.
Si pensi al caso di Tizio, produttore della Colabum che reclamizza la bevanda affermando che ha lo stesso sapore
della Coca Cola.
om
6. La pubblicità non deve presentare un bene o un servizio
come imitazione o riproduzione di beni o servizi altrui.
ad
ic
È scorretto il messaggio pubblicitario di un falegname
che affermi di produrre un modello di poltrona del tutto
identico alla famosa Poäng dell’Ikea.
er
3.3 L’appropriazione di pregi
La legge considera scorretto non soltanto il comportamen-
Ca
m
to di chi tenta di rovinare l’altrui buona reputazione ma an-
che quello di coloro che, per sviarne la clientela, “si accon-
tentano” di appropriarsi dei pregi dei prodotti o dell’impresa
dei concorrenti (art. 2598, n. 2, c.c.).
Appropriarsi dei pregi altrui non significa riprodurli: nella
misura in cui non sia da considerarsi confusoria o comunque
31
Capitolo III
i no
in altro modo contraria ai principi di correttezza professio-
nale, la riproduzione è infatti assolutamente lecita, se non
iT
or
addirittura auspicabile per il continuo miglioramento del mercato.
Per appropriazione si intende allora la semplice comunicazione al pubblico che la propria impresa o i propri pro-
od
dotti presentano gli stessi pregi dell’impresa o dei prodotti
di un concorrente, dove «pregio» è qualsiasi caratteristica,
anche non rara, che il mercato valuti positivamente e che sia
rci
pertanto capace di influire sulle scelte del pubblico.
Ovviamente, poi, tale autoattribuzione deve riguardare
me
pregi che in realtà non si posseggono.
ic
om
È il caso di chi descrive come realizzata con propri prodotti un’opera importante effettuata invece con i prodotti
di un concorrente o del meccanico che usa il marchio di
fabbrica di un noto costruttore di autoveicoli nella propria
insegna omettendo di specificare di non essere un’autofficina autorizzata.
ad
Una tipica ipotesi di appropriazione di pregi è l’uso indebito delle indicazioni di provenienza e delle denomi-
er
nazioni d’origine.
Ca
m
Usano indebitamente indicazioni di provenienza o denominazioni di origine la cremeria che offre gelati al gusto
“pistacchio di Bronte” o “limone di Sorrento” senza che
negli ingredienti vi sia alcuna traccia dell’uno o dell’altro
prodotto a Indicazione Geografica Protetta (IGP) così come il negozio che spaccia delle normali pagnotte come pane di Altamura a Denominazione d’Origine Protetta (DOP).
32
La denigrazione e l’appropriazione di pregi
i no
È piuttosto frequente inoltre che il concorrente si appropri
di pregi altrui proponendo al pubblico i propri prodotti come
iT
or
equivalenti a quelli di altro più noto imprenditore, del quale
usi anche i segni distintivi.
od
L’ipotesi più ricorrente consiste nell’apposizione sul
prodotto sia del proprio marchio sia di quello altrui preceduto dalla parola «tipo» o «modello»: «borsa modello
Birkin», «formaggio tipo Grana», ecc.
rci
È questo un caso di agganciamento: un imprenditore
“aggancia” i beni da lui prodotti o commerciati a quelli più
me
famosi e diffusi del concorrente per “mettersi in scia”, approfittando così in modo parassitario del lavoro e dell’investimento compiuto dall’altro per ottenere l’accreditamento
Ca
m
er
ad
ic
om
sul mercato.
33
34
rci
me
om
ic
ad
er
Ca
m
i no
iT
or
od
i no
Capitolo IV
iT
or
Gli altri atti non conformi
ai principi della
correttezza professionale
od
Il legislatore, dopo aver affermato l’illiceità degli atti di
concorrenza confusoria, denigrazione e appropriazione di
pregi dei prodotti o dell’attività del concorrente, stabilisce
rci
che in ogni caso compie un atto di concorrenza sleale chi «si
vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non
me
conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo
a danneggiare l’altrui azienda» (art. 2598, n. 3, c.c.).
In particolare sono da considerarsi comportamenti contrari
om
ai principi di correttezza professionale generalmente accettati
nel mondo degli affari e idonei a danneggiare l’altrui azienda:
la concorrenza parassitaria
l
il boicottaggio
l
le vendite sottocosto
l
lo storno di dipendenti
l
la sottrazione di segreti aziendali
l
la violazione di norme di diritto tributario, penale e am-
ad
ic
l
er
ministrativo
la pubblicità ingannevole.
Ca
m
l
4.1 La concorrenza parassitaria
La concorrenza parassitaria ricorre in presenza di una
imitazione sistematica delle iniziative di un imprenditore concorrente, imitazione che non è in grado di confondere la clientela sulla provenienza dei prodotti o dei servizi,
35
Capitolo IV
i no
ma che comunque sfrutta indebitamente il lavoro e gli investimenti altrui.
iT
or
Si pretende, in particolare, che l’imitazione riguardi tutto
– o quasi – quello che fa il concorrente (e non semplice-
mente i suoi prodotti) e che avvenga a distanza di poco tempo dall’iniziativa originale del concorrente: per questa ragio-
od
ne sono piuttosto rare le sentenze di condanna per concorrenza parassitaria.
ic
om
me
rci
È stata ritenuta colpevole di concorrenza parassitaria
una casa editrice che nell’arco di pochi anni ha sistematicamente imitato le iniziative editoriali della Juventus, facendo di poco seguire alla pubblicazione delle riviste ufficiali “Forza Juve” e “Video Juve” quella della rivista “Juve
squadra mia”, alla pubblicazione del calendario ufficiale
Juventus quella del calendario “Juventissima - Dodici mesi
in bianconero” e all’uscita della monografia edita per il
centenario della Juventus il libro dal titolo “la Juventus
nella storia”15.
ad
4.2 Il boicottaggio
Di regola ciascun imprenditore è libero non solo di decidere se avviare o meno rapporti commerciali ma anche di
er
decidere con chi avviarli.
Tuttavia si ha boicottaggio, e dunque un atto di concor-
Ca
m
renza sleale, quando un’impresa in posizione dominante sul
mercato o un gruppo di imprese in accordo tra loro impediscono ad un’altra di intrattenere rapporti commerciali o ri-
Note
15
36
Così Trib. Torino, 13 aprile 2000.
Gli altri atti non conformi
i no
fiutandosi esse stesse, in modo del tutto arbitrario, di intra-
prendere una relazione commerciale con l’altra impresa (c.d.
iT
or
boicottaggio primario) oppure esercitando pressioni su di
un terzo imprenditore affinché sia questi ad astenersi dal-
l’entrare in affari con l’impresa presa di mira (c.d. boicot-
od
taggio secondario).
me
rci
Compie un atto di boicottaggio primario chi produce un
bene in regime di sostanziale monopolio e d’un tratto si
rifiuta di continuare a rifornire un rivenditore al solo scopo
di ottenerne l’estromissione dal mercato.
ad
ic
om
Frequenti atti di boicottaggio secondario sono quelli
dell’imprenditore che ostacola l’ingresso sul mercato di un
potenziale concorrente convincendo i fornitori a non avere
rapporti con lui, magari dichiarandosi addirittura disposto
a corrispondere loro un prezzo maggiore pur di non vedere “sbarcare sul mercato” il nuovo concorrente; o la
condotta del fornitore che imponga ai negozianti al dettaglio di non acquistare merci di un dato concorrente, minacciandoli di non proseguire altrimenti nella fornitura dei
propri prodotti.
er
4.3 La vendita sottocosto
Il ribasso dei prezzi è senz’altro uno dei metodi più usati
Ca
m
ed efficaci per battere la concorrenza. Si considera però contraria ai principi della correttezza professionale la pratica di
ribassare i prezzi di prodotti o servizi sino al punto di renderli
inferiori sia al costo sopportato dalla stessa impresa venditrice sia a quello affrontato in media dagli altri imprenditori
per la produzione di beni o servizi equivalenti.
37
Capitolo IV
od
iT
or
i no
Non tutte le vendite sottocosto sono illecite.
La vendita sottocosto non lede i concorrenti ed è una
pratica assolutamente lecita quando limitata nel tempo e
giustificata da particolari esigenze dell’impresa, così come
tra l’altro previsto, con particolare riferimento alle vendite
al pubblico, dal regolamento sulle vendite sottocosto del
200116.
Una modalità di vendita sottocosto piuttosto diffusa è il
c.d. gâchage, vale a dire l’offerta sottocosto di prodotti di
rci
grande appeal (c.d. prodotti “civetta”) praticata allo scopo di
attirare la clientela nel punto vendita e con l’intento di pa-
me
reggiare i costi con un marcato ricarico su altri prodotti di
minor richiamo.
ad
ic
om
È stata giudicata un atto di concorrenza sleale l’offerta
sottocosto da parte di un noto ipermercato dell’olio lubrificante Agip “Sint 2000”, ritenendosi che fosse stata praticata al solo scopo di attrarre clientela e con l’intenzione
di compensare le perdite che ne fossero derivate grazie
ad un considerevole aumento del prezzo degli altri prodotti e, comunque, con il maggior volume di affari reso
possibile dal maggior afflusso di clienti17.
er
4.4 Lo storno di dipendenti
In un mercato concorrenziale ci si dà battaglia anche per
Ca
m
la conquista dei migliori collaboratori disponibili sul
Note
16
D.P.R. 6 aprile 2001, n. 218, “Regolamento recante disciplina delle
vendite sottocosto, a norma dell’articolo 15, comma 8, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114”
17
38
Il caso è tratto da Trib. Ancona, 10 gennaio 2000.
Gli altri atti non conformi
i no
mercato: pensiamo alla centralità del ruolo di un progettista
nell’ambito di un’impresa high-tech, ma anche all’importanza
iT
or
che la figura dello chef può rivestire per il successo di un ristorante o a quella di un sarto per l’affermazione di un negozio di camicie “su misura”.
Pure in questo campo, però, non è consentito il ricorso a
od
qualsiasi arma. E, se è piuttosto facile affermare la liceità del
comportamento di chi riesce a convincere il dipendente di
un’altra impresa mediante l’offerta di una migliore retribu-
rci
zione e/o di più allettanti condizioni di lavoro, non è invece
altrettanto semplice individuare i comportamenti che rendoun’impresa ad un’altra.
me
no concorrenzialmente illecito il passaggio di dipendenti da
È necessario che il concorrente agisca con il solo intento
om
di disgregare l’impresa altrui.
Ma come provarlo? Indizi utili possono essere18:
l
il fatto che protagonisti dello storno siano le “colonne por-
ic
tanti” dell’impresa del concorrente o comunque collaboratori non facilmente sostituibili
l’elevato numero di dipendenti “rubati”
l
il ricorso ad una “talpa interna”
l
la preordinazione dello storno allo scopo di sottrarre se-
ad
l
er
greti aziendali.
Ca
m
Allo storno di dipendenti è inoltre equiparato quello ri-
guardante altri collaboratori dell’imprenditore, come ad
esempio i concessionari, gli agenti e i rappresentanti.
18
Note
Cfr. la recentissima sentenza di Cassazione, 4 settembre 2013, n.
20228.
39
Capitolo IV
i no
4.5 La sottrazione di segreti aziendali
Non c’è bisogno di rimarcare quale importante fattore di av-
iT
or
viamento per qualsiasi impresa sia il segreto aziendale. Spesso
lo storno di dipendenti è proprio finalizzato ad acquisire i se-
greti del concorrente. Ma la sottrazione di segreti può anche
riuscire – e talora riesce addirittura meglio – attraverso l’im-
od
piego di “talpe”, ossia di dipendenti infedeli del concorrente.
Per segreti aziendali s’intendono generalmente informazioni circondate da particolari cautele che impediscano a terzi
rci
di avervi accesso: può trattarsi di informazioni di natura tecnica (ad es. l’antica ricetta di un prodotto dolciario) ma an-
me
che di carattere commerciale (ad es. gli elenchi della clientela o una strategia di marketing).
Talora è però difficile dire quando ci si trovi in presenza di
om
un segreto la cui appropriazione integri un atto di concorrenza sleale e quando, invece, di fronte a informazioni legittimamente acquisite dall’ex-dipendente nello svolgimento
ic
della sua attività e da lui liberamente utilizzabili in quanto
entrate a far parte delle sue competenze professionali.
ad
Utili indicazioni possono oggi ricavarsi dal codice della proprietà industriale (artt. 98 e 99), che riconosce al «legittimo
detentore» il diritto di vietare ai terzi di acquisire, rivelare a
er
terzi o utilizzare informazioni ed esperienze aziendali segrete, ossia non «generalmente note o facilmente accessi-
Ca
m
bili agli esperti od operatori del settore» e che, in quanto tali, abbiano un valore economico e siano sottoposte
a misure idonee a tenerle segrete.
Tizio e Caio, due dipendenti della società Alfa, dedita a
realizzare macchinari per la produzione di materiale sin-
40
Gli altri atti non conformi
me
rci
od
iT
or
i no
tetico di sua esclusiva progettazione, decidono di rassegnare le loro dimissioni e di costituire una nuova società
per produrre, grazie alle conoscenze apprese alle dipendenze di Alfa, macchinari identici all’impresa loro ex-datrice di lavoro.
È lecito il loro comportamento? Può esserlo a due condizioni:
1. se il contratto di lavoro che legava Tizio e Caio ad Alfa non
conteneva alcun patto di non concorrenza diretto a limitare lo svolgimento dell’attività dei due dipendenti per il
tempo successivo alla cessazione del rapporto;
2. se le informazioni e i dati tecnici necessari alla costruzione
dei macchinari non sono stati protetti in modo adeguato
da Alfa e i due dipendenti hanno potuto liberamente avervi accesso nel corso del rapporto di lavoro19.
e amministrativo
om
4.6 La violazione di norme di diritto tributario, penale
ic
Vi sono norme di diritto tributario, penale e amministrativo la cui violazione può rappresentare un grosso vantaggio
ad
per l’impresa. O perché comporta un risparmio di costi: si
pensi all’inosservanza delle norme sulla sicurezza sul lavoro
o di quelle che impongono il rilascio dello scontrino di cassa.
er
Oppure perché consente all’imprenditore di aumentare la sua
produttività, come ad esempio accade quando si violi il di-
Ca
m
vieto di vendita di bevande alcoliche in orario notturno.
L’inosservanza di alcune di queste norme integra di per
sé un atto di concorrenza sleale: così, in particolare, se si
tratta di disposizioni che, regolando il comportamento degli
19
Note
L’esempio è tratto da Trib. Milano, 25 marzo 1974.
41
Capitolo IV
i no
imprenditori sul mercato concorrenziale, impongono limiti
iT
or
all’attività imprenditoriale.
od
La vendita di bevande alcoliche in orario notturno integra di per sé un atto di concorrenza sleale contro il quale i concorrenti rispettosi delle regole possono reagire
chiedendo al giudice di ordinare la cessazione del comportamento illecito.
La violazione delle norme che impongono costi alle impre-
rci
se, viceversa, non costituisce di per sé un atto di concorrenza sleale, ma può diventarne il presupposto se il risparmio
me
conseguito venga poi concretamente impiegato a danno dei
concorrenti, magari attraverso un ribasso dei prezzi praticati
om
al pubblico.
Ca
m
er
ad
ic
Tizio, Caio e Sempronio gestiscono tre banchetti di
frutta e verdura nel mercato di paese.
Tizio e Caio hanno però la cattiva abitudine di non
emettere lo scontrino fiscale. In questo modo entrambi si
assicurano un notevole risparmio di costi e, dunque, un
maggior utile. Maggior utile che Tizio impiega per soddisfare i più disparati desideri dei suoi familiari e che Caio
utilizza, invece, per vendere sottocosto i suoi prodotti così
da attrarre un maggior numero di clienti. In questo modo
soltanto Caio si rende colpevole di un atto di concorrenza
sleale nella misura in cui egli è il solo a impiegare concretamente a danno dei concorrenti il maggior profitto ottenuto dalla violazione della normativa fiscale.
42
Gli altri atti non conformi
i no
4.7 La pubblicità ingannevole
Uno degli illeciti concorrenziali più ricorrenti è rappresen-
iT
or
tato dalla pubblicità ingannevole20.
me
rci
od
Sul significato della parola «pubblicità» è necessaria
qualche precisazione.
La legge, infatti, per pubblicità intende qualsiasi messaggio, in qualunque modo diffuso, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale o artigianale, allo scopo di
promuovere un prodotto o un servizio. È quindi considerato pubblicitario non soltanto il classico messaggio promozionale divulgato attraverso la stampa, la televisione,
la radio, la cartellonistica o internet, ma anche quello riportato sulla confezione stessa del prodotto.
om
La pubblicità ingannevole è fonte di illecito concorrenziale
quando è capace di indurre in errore i suoi destinatari e
perciò di falsare il loro comportamento economico spingen-
ic
doli a prendere decisioni che non avrebbero altrimenti adottato e, di conseguenza, idoneo a provocare uno sviamento
ad
di clientela lesivo dei concorrenti.
Ca
m
er
È stato ritenuto ingannevole – e ne è stata perciò vietata l’ulteriore diffusione – il messaggio pubblicitario consistente nell’apposizione sull’etichetta delle confezioni di
olio di oliva extravergine del marchio «Fratelli Carli – produttori d’olio d’oliva – Oneglia»: il messaggio, infatti, conteneva l’indicazione geografica di una località particolarmente pregiata per la produzione di olive senza specifica-
20
Note
Cfr. artt. 2 e 3 d.lgs. 2 agosto 2007, n. 145.
43
Capitolo IV
iT
or
i no
re, tuttavia, che il prodotto commercializzato, per la maggior parte, non era di provenienza ligure né tantomeno
onegliese21.
L’inganno può cadere anzitutto sul contenuto del mes-
od
saggio, e precisamente:
1. sulle caratteristiche dei beni o dei servizi, quali:
l
la loro disponibilità, la natura, la composizione o l’ido-
rci
neità allo scopo
ad
ic
om
me
È stata ritenuta ingannevole la pubblicità di abbonamenti a pubblicazioni periodiche che venivano presentate come richieste di versamenti obbligatori a seguito di iscrizione dei destinatari alla Camera di Commercio. L’inganno veniva perpetrato nei modi più vari:
attraverso l’uso di un linguaggio burocratico nella comunicazione, mediante l’inclusione di bollettini di versamento in conto corrente o tramite l’adozione di denominazioni all’apparenza ufficiali, come “Ufficio Camerale del Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura s.a.s.”22 oppure “Repertorio nazionale registro
ditte artigiane, commerciali, agricole e industriali”23.
er
l’origine geografica o commerciale
Ca
m
l
È stato giudicato un messaggio pubblicitario ingannevole quello riportato sul cartiglio applicato al collo
Note
44
21
Cfr. Consiglio di Stato, 6 marzo 2001, n. 1254.
22
Cfr. la decisione AGCM, n. 1153, Boll. 10/93.
23
Cfr. la decisione AGCM, n. 5202, Boll. 29/97.
Gli altri atti non conformi
l
od
iT
or
i no
della bottiglia di un rosolio a base di ginepro e contenente riferimenti alla Sardegna (in particolare la scritta “PRODOTTI ALIMENTARI SARDI”) nonché dettagliate informazioni sulle piante di ginepro sarde quando,
invece, per la produzione del liquore veniva utilizzato
un distillato di ginepro proveniente da un’impresa toscana24.
i risultati che si possono ottenere con l’uso del prodotto
o del servizio o i risultati e le caratteristiche fondamen-
rci
tali di prove o controlli effettuati sui beni o sui servizi.
om
me
È stata considerata ingannevole la pubblicità di un
prodotto contro la caduta dei capelli che utilizzava
espressioni enfatiche, come «Capelli diradati? Arriva
Crescina! Ri-crescita»25, o che vantavano effetti anticaduta non dimostrati26.
ad
servizi
ic
2. sul prezzo e sulle condizioni di vendita dei beni o dei
Ca
m
er
Sono ingannevoli i messaggi promozionali di vendite
rateali che non indicano – o non indicano con sufficiente
chiarezza e visibilità – il numero complessivo delle rate, il
TAN o il TAEG27.
24
Cfr. AGCM, n. 11772, Boll. 09/03.
25
Cfr. AGCM, n. 7378, Boll. 27/99.
26
Cfr. Tar Lazio, 21 febbraio 2011, n. 1586.
27
Cfr. Tar Lazio, 23 marzo 2011, n. 2568.
Note
45
3. sulle caratteristiche dell’inserzionista.
i no
Capitolo IV
od
iT
or
È ingannevole il messaggio pubblicitario che induce il
consumatore a credere che l’imprenditore inserzionista disponga di una struttura aziendale più grande di quella
reale o che vanti, contrariamente al vero, il nome di importanti clienti28.
Oltre al contenuto del messaggio, l’inganno può inoltre riguardare direttamente la stessa natura pubblicitaria del
rci
messaggio.
La pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come
me
tale. Non può essere mascherata come fosse un normale articolo scritto dalla redazione di un giornale quando si tratta
in realtà di un annuncio a pagamento (pubblicità redazio-
om
nale).
Né possono essere inseriti e messi in risalto in modo apparentemente casuale nel corso di un programma televisivo
ic
o cinematografico prodotti per i quali è stato concluso un
contratto di sponsorizzazione tra il produttore del film e l’im-
ad
presa “inserzionista”. È sempre necessario che lo spettatore
Ca
m
er
sia informato dell’accordo di c.d. product placement.
Note
28
46
Cfr. AGCM, n. 14320, Boll. 20/05 e AGCM n. 17584, Boll. 42/07.
i no
Capitolo V
iT
or
I rimedi
Contro il concorrente sleale l’imprenditore potrà agire in
giudizio anzitutto per chiedere la cessazione del compor-
od
tamento illecito (art. 2599 c.c.). A questo scopo, peraltro,
non è necessario provare di aver effettivamente subito un
danno: è sufficiente dimostrare il fondato pericolo di subirlo.
rci
Naturalmente, poi, l’imprenditore che abbia già patito un
danno potrà anche chiederne il risarcimento (art. 2600 c.c.).
me
In ogni caso, inoltre, potrà essere domandata la rimozione
degli effetti dell’illecito e, dunque, il ripristino della situazione
di fatto anteriore.
om
Le misure di rimozione degli effetti dell’illecito possono
avere la portata più ampia: possono consistere nella distruzione o nel ritiro dal commercio dei beni realizzati per mezzo
ic
dell’attività illecita o dei mezzi attraverso i quali si è commesso
l’illecito oppure nella diffusione di messaggi di rettifica.
ad
A questi rimedi se ne aggiungono di ulteriori quando l’atto
di concorrenza sleale sia commesso attraverso lo strumento
pubblicitario.
er
A fronte di messaggi pubblicitari ingannevoli o irrispettosi
delle condizioni di liceità della pubblicità comparativa, cia-
Ca
m
scun soggetto interessato, e dunque anche gli imprenditori
concorrenti, possono chiedere l’intervento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato29.
29
Note
Cfr. art. 8 d.lgs. 2 agosto 2007, n. 145.
47
Capitolo V
i no
L’Autorità ha il potere di vietare la diffusione della pubbli-
cità e, tenuto conto della portata e della durata della viola-
iT
or
zione, di disporre l’applicazione di una sanzione pecuniaria
da 5.000 a 500.000 euro. In casi di particolare urgenza può
inoltre decidere la sospensione provvisoria della pubblicità.
Infine, quando la pubblicità provenga da un soggetto che
od
abbia aderito al sistema di autodisciplina pubblicitaria (IAP,
Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria) e che si sia così vincolato al rispetto del Codice di Autodisciplina della comuni-
rci
cazione commerciale, chiunque si ritenga pregiudicato, inclusi i concorrenti, può ricorrere al Giurì (organo del sistema
me
di autodisciplina), affinché accerti la violazione della norma
Ca
m
er
ad
ic
om
di autodisciplina e ordini la cessazione della pubblicità30.
Note
30
Cfr. art. 9 d.lgs. 2 agosto 2007, n. 145 e artt. 36 ss. Codice di Auto-
disciplina della comunicazione commerciale.
48
i no
AllegAto 1
od
CodiCe Civile
iT
or
Appendice normativa
Art. 2598. Atti di concorrenza sleale.
[I]. Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei se-
rci
gni distintivi e dei diritti di brevetto, compie atti di concorrenza sleale chiunque:
me
1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione
con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie
om
con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con
i prodotti e con l’attività di un concorrente;
2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività
ic
di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente;
ad
3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e
er
idoneo a danneggiare l’altrui azienda.
Art. 2599. Sanzioni.
Ca
m
[I]. La sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne
inibisce la continuazione e dà gli opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti.
Art. 2600. Risarcimento del danno.
[I]. Se gli atti di concorrenza sleale sono compiuti con do-
lo o con colpa, l’autore è tenuto al risarcimento dei danni.
49
Allegato 1
i no
[II]. In tale ipotesi può essere ordinata la pubblicazione
della sentenza.
iT
or
[III]. Accertati gli atti di concorrenza, la colpa si presume.
Art. 2601. Azione delle associazioni professionali.
[I]. Quando gli atti di concorrenza sleale pregiudicano gli
od
interessi di una categoria professionale, l’azione per la repressione della concorrenza sleale può essere promossa anche dalle associazioni professionali e dagli enti che rappre-
Ca
m
er
ad
ic
om
me
rci
sentano la categoria.
50
Appendice normativa
i no
AllegAto 2 - deCReto legiSlAtivo 2 agosto 2007 n.145
(in gazz. Uff., 6 settembre, n. 207) - Attuazione dell’articolo
84/450/Cee sulla pubblicità ingannevole.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
iT
or
14 della direttiva 2005/29/Ce che modifica la direttiva
od
Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
Visto l’articolo 14, comma 1, della legge 23 agosto 1988,
n. 400;
rci
Vista la legge 25 gennaio 2006, n. 29, recante “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’apparte-
me
nenza dell’Italia alle Comunità europee - legge comunitaria
2005”, ed in particolare l’articolo 1 e l’allegato A;
Vista la direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e
om
del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche
commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato
interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio
ic
e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio nonché il regolamento (CE)
ad
n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio (“direttiva sulle pratiche commerciali sleali”), ed in particolare
l’articolo 14;
er
Vista la direttiva 2006/114/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio del 12 dicembre 2006, concernente la pubbli-
Ca
m
cità ingannevole e comparativa (versione codificata);
Visto il decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, re-
cante Codice del consumo;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata
nella riunione del 27 luglio 2007;
Sulla proposta del Ministro per le politiche europee e del
51
Allegato 2
i no
Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri
degli affari esteri, della giustizia e dell’economia e delle fi-
iT
or
nanze;
Emana
il seguente decreto legislativo:
od
Art. 1 – Finalità
1. Le disposizioni del presente decreto legislativo hanno
lo scopo di tutelare i professionisti dalla pubblicità inganne-
rci
vole e dalle sue conseguenze sleali, nonché di stabilire le
condizioni di liceità della pubblicità comparativa.
Art. 2 – definizioni
me
2. La pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta.
om
1. Ai fini del presente decreto legislativo si intende per:
a) pubblicità: qualsiasi forma di messaggio che è diffuso,
in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività commerciale,
ic
industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere il trasferimento di beni mobili o immobili, la prestazione
ad
di opere o di servizi oppure la costituzione o il trasferimento
di diritti ed obblighi su di essi;
b) pubblicità ingannevole: qualsiasi pubblicità che in qua-
er
lunque modo, compresa la sua presentazione è idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è ri-
Ca
m
volta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere
ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere
un concorrente;
c) professionista: qualsiasi persona fisica o giuridica che
agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale,
52
Appendice normativa
i no
artigianale o professionale; e chiunque agisce in nome o per
conto di un professionista;
iT
or
d) pubblicità comparativa: qualsiasi pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente;
e) operatore pubblicitario: il committente del messaggio
od
pubblicitario ed il suo autore, nonché, nel caso in cui non
consenta all’identificazione di costoro, il proprietario del mezzo con cui il messaggio pubblicitario è diffuso ovvero il re-
rci
sponsabile della programmazione radiofonica o televisiva.
me
Art. 3 – elementi di valutazione
1. Per determinare se la pubblicità è ingannevole se ne
devono considerare tutti gli elementi, con riguardo in parti-
om
colare ai suoi riferimenti:
a) alle caratteristiche dei beni o dei servizi, quali la loro
disponibilità, la natura, l’esecuzione, la composizione, il me-
ic
todo e la data di fabbricazione o della prestazione, l’idoneità
allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geo-
ad
grafica o commerciale, o i risultati che si possono ottenere
con il loro uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali
di prove o controlli effettuati sui beni o sui servizi;
er
b) al prezzo o al modo in cui questo è calcolato ed alle
condizioni alle quali i beni o i servizi sono forniti;
Ca
m
c) alla categoria, alle qualifiche e ai diritti dell’operatore
pubblicitario, quali l’identità, il patrimonio, le capacità, i diritti
di proprietà intellettuale e industriale, ogni altro diritto su
beni immateriali relativi all’impresa ed i premi o riconoscimenti.
53
Allegato 2
i no
Art. 4 – Condizioni di liceità della pubblicità comparativa
1. Per quanto riguarda il confronto, la pubblicità compa-
iT
or
rativa è lecita se sono soddisfatte le seguenti condizioni:
a) non è ingannevole ai sensi del presente decreto legislativo o degli articoli 21, 22 e 23 del decreto legislativo 6
settembre 2005, n. 206, recante “Codice del consumo”;
od
b) confronta beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi;
c) confronta oggettivamente una o più caratteristiche es-
rci
senziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso
eventualmente il prezzo, di tali beni e servizi;
me
d) non ingenera confusione sul mercato tra i professionisti
o tra l’operatore pubblicitario ed un concorrente o tra i marchi, le denominazioni commerciali, altri segni distintivi, i beni
om
o i servizi dell’operatore pubblicitario e quelli di un concorrente;
e) non causa discredito o denigrazione di marchi, deno-
ic
minazioni commerciali, altri segni distintivi, beni, servizi, attività o posizione di un concorrente;
ad
f) per i prodotti recanti denominazione di origine, si riferisce in ogni caso a prodotti aventi la stessa denominazione;
g) non trae indebitamente vantaggio dalla notorietà con-
er
nessa al marchio, alla denominazione commerciale ovvero
ad altro segno distintivo di un concorrente o alle denomina-
Ca
m
zioni di origine di prodotti concorrenti;
h) non presenta un bene o un servizio come imitazione o
contraffazione di beni o servizi protetti da un marchio o da
una denominazione commerciale depositati.
2. Il requisito della verificabilità di cui al comma 1, lettera
c), si intende soddisfatto quando i dati addotti ad illustrazio54
Appendice normativa
i no
ne della caratteristica del bene o servizio pubblicizzato sono
suscettibili di dimostrazione.
iT
or
3. Qualunque raffronto che fa riferimento a un’offerta spe-
ciale deve indicare in modo chiaro e non equivoco il termine
finale dell’offerta oppure, nel caso in cui l’offerta speciale non
sia ancora avviata, la data di inizio del periodo nel corso del
od
quale si applicano il prezzo speciale o altre condizioni particolari o, se del caso, che l’offerta speciale dipende dalla di-
rci
sponibilità dei beni e servizi.
Art. 5 – trasparenza della pubblicità
me
1. La pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale. La pubblicità a mezzo di stampa deve essere distinguibile dalle altre forme di comunicazione al pubblico, con
om
modalità grafiche di evidente percezione.
2. I termini “garanzia”, “garantito” e simili possono essere
usati solo se accompagnati dalla precisazione del contenuto
ic
e delle modalità della garanzia offerta. Quando la brevità del
messaggio pubblicitario non consente di riportare integral-
ad
mente tali precisazioni, il riferimento sintetico al contenuto
ed alle modalità della garanzia offerta deve essere integrato
dall’esplicito rinvio ad un testo facilmente conoscibile dal
er
consumatore in cui siano riportate integralmente le precisazioni medesime.
Ca
m
3. È vietata ogni forma di pubblicità subliminale.
Art. 6 – Pubblicità di prodotti pericolosi per la salute e
la sicurezza
1. È considerata ingannevole la pubblicità che, riguardan-
do prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicu55
Allegato 2
i no
rezza dei soggetti che essa raggiunge, omette di darne notizia in modo da indurre tali soggetti a trascurare le normali
iT
or
regole di prudenza e vigilanza.
Art. 7 – Bambini e adolescenti
1. È considerata ingannevole la pubblicità che, in quanto
od
suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, abusa
della loro naturale credulità o mancanza di esperienza o che,
impiegando bambini ed adolescenti in messaggi pubblicitari,
rci
fermo quanto disposto dall’articolo 10 della legge 3 maggio
2004, n. 112, abusa dei naturali sentimenti degli adulti per
me
i più giovani.
2. È considerata ingannevole la pubblicità, che, in quanto
suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, può, an-
om
che indirettamente, minacciare la loro sicurezza.
Art. 8 – tutela amministrativa e giurisdizionale
ic
1. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, di
seguito chiamata Autorità, esercita le attribuzioni disciplinate
ad
dal presente articolo.
2. L’Autorità, d’ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse, inibisce la continuazio-
er
ne ed elimina gli effetti della pubblicità ingannevole e comparativa illecita. Per lo svolgimento dei compiti di cui al com-
Ca
m
ma 1, l’Autorità può avvalersi della Guardia di Finanza che
agisce con i poteri ad essa attribuiti per l’accertamento dell’imposta sul valore aggiunto e dell’imposta sui redditi.
3. L’Autorità può disporre con provvedimento motivato la
sospensione provvisoria della pubblicità ingannevole e comparativa illecita in caso di particolare urgenza. In ogni caso,
56
Appendice normativa
i no
comunica l’apertura dell’istruttoria al professionista e, se il
committente non è conosciuto, può richiedere al proprietario
iT
or
del mezzo che ha diffuso il messaggio pubblicitario ogni
informazione idonea ad identificarlo. L’Autorità può, altresì,
richiedere ad ogni soggetto le informazioni ed i documenti
rilevanti al fine dell’accertamento dell’infrazione. Si applicano
od
le disposizioni previste dall’articolo 14, commi 2, 3 e 4, della
legge 10 ottobre 1990, n. 287.
4. In caso di inottemperanza, senza giustificato motivo, a
rci
quanto disposto dall’Autorità ai sensi dell’articolo 14, comma
2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, l’Autorità applica una
me
sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000,00 euro a
20.000,00 euro. Qualora le informazioni o la documentazione
fornite non siano veritiere, l’Autorità applica una sanzione am-
om
ministrativa pecuniaria da 4.000,00 euro a 40.000,00 euro.
5. L’Autorità può disporre che il professionista fornisca
prove sull’esattezza materiale dei dati di fatto contenuti nella
ic
pubblicità se, tenuto conto dei diritti o degli interessi legittimi
del professionista e di qualsiasi altra parte nel procedimento,
ad
tale esigenza risulti giustificata, date le circostanze del caso
specifico. Se tale prova è omessa o viene ritenuta insufficiente, i dati di fatto sono considerati inesatti.
er
6. Quando la pubblicità è stata o deve essere diffusa attraverso la stampa periodica o quotidiana ovvero per via ra-
Ca
m
diofonica o televisiva o altro mezzo di telecomunicazione,
l’Autorità, prima di provvedere, richiede il parere dell’Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni.
7. Ad eccezione dei casi di manifesta scorrettezza e gra-
vità l’Autorità può ottenere dal professionista responsabile
della pubblicità ingannevole e comparativa illecita l’assun57
Allegato 2
i no
zione dell’impegno a porre fine all’infrazione, cessando la dif-
fusione della stessa o modificandola in modo da eliminare i
iT
or
profili di illegittimità. L’Autorità può disporre la pubblicazione
della dichiarazione di assunzione dell’impegno in questione,
a cura e spese del professionista. In tali ipotesi, l’Autorità,
valutata l’idoneità di tali impegni, può renderli obbligatori per
all’accertamento dell’infrazione.
od
il professionista e definire il procedimento senza procedere
8. L’Autorità, se ritiene la pubblicità ingannevole o il mes-
rci
saggio di pubblicità comparativa illecito, vieta la diffusione,
qualora non ancora portata a conoscenza del pubblico, o la
me
continuazione, qualora sia già iniziata. Con il medesimo
provvedimento può essere disposta, a cura e spese del professionista, la pubblicazione della delibera, anche per estrat-
om
to, nonché, eventualmente, di un’apposita dichiarazione rettificativa in modo da impedire che la pubblicità ingannevole
o il messaggio di pubblicità comparativa illecito continuino a
ic
produrre effetti.
9. Con il provvedimento che vieta la diffusione della pub-
ad
blicità, l’Autorità dispone inoltre l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000,00 euro a
500.000,00 euro, tenuto conto della gravità e della durata
er
della violazione. Nel caso di pubblicità che possono comportare un pericolo per la salute o la sicurezza, nonché suscet-
Ca
m
tibili di raggiungere, direttamente o indirettamente, minori
o adolescenti, la sanzione non può essere inferiore a
50.000,00 euro.
10. Nei casi riguardanti pubblicità inserite sulle confezioni
di prodotti, l’Autorità, nell’adottare i provvedimenti indicati
nei commi 3 e 8, assegna per la loro esecuzione un termine
58
Appendice normativa
i no
che tenga conto dei tempi tecnici necessari per l’adeguamento.
iT
or
11. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato,
con proprio regolamento, da emanarsi entro novanta giorni
dalla data di pubblicazione del presente decreto legislativo,
disciplina la procedura istruttoria, in modo da garantire il
od
contraddittorio, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione.
12. In caso di inottemperanza ai provvedimenti d’urgenza
rci
e a quelli inibitori o di rimozione degli effetti di cui ai commi
3, 8 e 10 ed in caso di mancato rispetto degli impegni assunti
me
ai sensi del comma 7, l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000,00 a 150.000,00 euro. Nei
casi di reiterata inottemperanza l’Autorità può disporre la so-
om
spensione dell’attività d’impresa per un periodo non superiore a trenta giorni.
13. [I ricorsi avverso le decisioni adottate dall’Autorità so-
ic
no soggetti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.] Per le sanzioni amministrative pecuniarie conse-
ad
guenti alle violazioni del presente decreto si osservano, in
quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezione I, e negli articoli 26, 27, 28 e 29 della legge 24 no-
er
vembre 1981, n. 689, e successive modificazioni. Il pagamento delle sanzioni amministrative di cui al presente arti-
Ca
m
colo deve essere effettuato entro trenta giorni dalla notifica
del provvedimento dell’Autorità.
14. Ove la pubblicità sia stata assentita con provvedimen-
to amministrativo, preordinato anche alla verifica del carattere non ingannevole della stessa o di liceità del messaggio
di pubblicità comparativa, la tutela dei soggetti e delle orga59
Allegato 2
i no
nizzazioni che vi abbiano interesse, è esperibile in via giuri-
sdizionale con ricorso al giudice amministrativo avverso il
iT
or
predetto provvedimento.
15. È comunque fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario in materia di atti di concorrenza sleale, a norma dell’articolo 2598 del codice civile, nonché, per quanto concerne
od
la pubblicità comparativa, in materia di atti compiuti in violazione della disciplina sul diritto d’autore protetto dalla legge
22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, e del mar-
rci
chio d’impresa protetto a norma del decreto legislativo 10
febbraio 2005, n. 30, e successive modificazioni, nonché del-
me
le denominazioni di origine riconosciute e protette in Italia e
di altri segni distintivi di imprese, beni e servizi concorrenti.
16. Al fine di consentire l’esercizio delle competenze di-
om
sciplinate dal presente decreto, il numero dei posti previsti
per la pianta organica del personale di ruolo dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato dall’articolo 11, com-
ic
ma 1, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, è incrementato
di venti unità, di cui due di livello dirigenziale. Ai medesimi
ad
fini, è altresì incrementato di dieci unità il numero dei contratti di cui all’articolo 11, comma 4, della legge 10 ottobre
1990, n. 287, e l’Autorità potrà avvalersi dell’istituto del co-
er
mando per un contingente di dieci unità di personale. Agli
oneri finanziari derivanti dalla presente disposizione si farà
Ca
m
fronte con le risorse raccolte ai sensi dell’articolo 10, comma
7-bis, della legge 10 ottobre 1990, n. 287.
Art. 9 – Autodisciplina
1. Le parti interessate possono richiedere che sia inibita
la continuazione degli atti di pubblicità ingannevole o di pub60
Appendice normativa
i no
blicità comparativa ritenuta illecita, ricorrendo ad organismi
volontari e autonomi di autodisciplina.
iT
or
2. Iniziata la procedura davanti ad un organismo di autodisciplina, le parti possono convenire di astenersi dall’adire
l’Autorità fino alla pronuncia definitiva, ovvero possono chiedere la sospensione del procedimento innanzi all’Autorità,
od
ove lo stesso sia stato attivato, anche da altro soggetto legittimato, in attesa della pronuncia dell’organismo di autodisciplina. L’Autorità, valutate tutte le circostanze, può di-
rci
sporre la sospensione del procedimento per un periodo non
me
superiore a trenta giorni.
Art. 10 – Neutralità finanziaria
1. Dall’attuazione del presente decreto non devono deri-
om
vare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Re-
ic
pubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osser-
Ca
m
er
ad
varlo e di farlo osservare.
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Sitografia
www.agcm.it (sito dell’Autorità Garante della Concorrenza e
del Mercato)
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www.iap.it (sito dell’Istituto di Autodisciplina pubblicitaria)
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