La pianificazione sociale delle emergenze

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e
Informare formare Comunicar
La pianficazione sociale delle emergenze
Alberto d’Errico
Fabrizio Cola
Luigi De Luca
La pianficazione
sociale
delle emergenze
La pianificazione sociale
delle emergenze
Informare, formare, comunicare
A. D’Errico
F. Cola
L. De Luca
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I B R I De Luca
L Luigi
Alberto d’Errico Fabrizio Cola
La società dell’informazione é legata allo sviluppo delle tecnologie avanzate, la
società della comunicazione deve, invece, essere legata alle potenziali evoluzioni delle capacità relazionali dell’uomo, ovvero, allo sviluppo delle capacità di trasferire non soltanto informazioni sotto forma di “bit”, ma anche e soprattutto di trasmettere informazioni sotto forma di sentimenti ed emozioni attraverso le diverse forme di linguaggio.
Questo libro si propone di costituire un utile e piacevole strumento di lavoro per affrontare e chiarire i problemi
della comunicazione riferiti alla pianificazione delle piccole e grandi emergenze legate al territorio ed alle attività umane che su di esso si svolgono.
Le considerazioni di ordine squisitamente tecnico, derivanti dalle valutazioni analitiche dei rischi, oggi più che
mai anche per obbligo giuridico, devono essere integrate e completate dallo studio delle dinamiche interpersonali e del contesto sociale nel quale le pianificazioni devono trovare applicazione.
E’ necessario definire modalità di informazione al pubblico (addetti ai lavori e popolazione) semplici e immediate con le quali sviluppare strategie comunicative finalizzate alla trasmissione di sentimenti di fiducia nelle attività di prevenzione e nelle Istituzioni.
L’idea di questo manuale nasce dalla sentita esigenza di fornire un supporto qualificato ed una guida di riferimento alle difficoltà che quotidianamente impegnano comunicatori pubblici, tecnici della sicurezza, professionisti, formatori, operatori del soccorso e della protezione civile, volontari e in generale, tutti coloro i quali, in
seno alla Pubblica Amministrazione, all’interno delle istituzioni scolastiche o nel Terzo Settore, si occupano di
prevenzione, attività di soccorso, pianificazione delle emergenze e più genericamente di educazione alla sicurezza, a partire da quella domestica e dei luoghi di lavoro fino ad arrivare a quella legata alla gestione sul territorio degli insediamenti industriali a rischio di incidente rilevante.
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Luigi De Luca
Alberto d’Errico Fabrizio Cola
CAPITOLO VI
Le emergenze legate al territorio
ed alla sua gestione: rischi naturali
e antropici
Brevi cenni sul rischio idrogeologico
e sul rischio sismico
Alcuni riferimenti tecnico scientifici utili
per l’informazione sul rischio idrogeologico
Concetto di rischio, pericolosità, vulnerabilità, elementi a rischio, rischio specifico
RISCHIO
È la possibilità di una perdita conseguente al verificarsi di un
evento distruttivo:
R=HxVxE
dove:
H = pericolosità (hazard); probabilità che un fenomeno potenzialmente distruttivo si verifichi in un dato periodo di tempo ed in
una data area.
V = vulnerabilità (vulnerability); grado di perdita prodotto su
un certo elemento o gruppo di elementi esposti risultante dal verificarsi del fenomeno naturale di una data intensità. È espressa in
una scala da 0 (nessuna perdita) a 1 (perdita totale).
E = elementi a rischio (element at risk); popolazione, proprietà, attività economiche.
RISCHIO SPECIFICO
È il grado di perdita atteso quale conseguenza di un particolare
fenomeno naturale:
Rs = H x V (specific risk Rs)
In particolare il rischio idrogeologico è un rischio naturale
molto diffuso sul territorio nazionale (circa 65% del territorio).
175
Il rischio idrogeologico è inteso suddiviso nelle sue due componenti fondamentali:
●
Parte a) ovvero rischio legato a fenomeni di instabilità dei versanti.
●
Parte b) ovvero rischio legato a fenomeni di esondazione di
bacini idrografici.
Per il rischio idrologico si distinguono in particolare:
●
Inondazioni naturali:
1) eventi pluviometrici a carattere eccezionale: piene da deflusso
2) correnti o alta marea alla foce: piene da rigurgito
●
Inondazioni artificiali:
- errato dimensionamento o collasso delle opere idrauliche.
Le piene, sia naturali che artificiali sono determinate da fattori
di natura idrologica, geologica e geomorfologica.
L’analisi di sicurezza di un bacino interessa la determinazione
degli efflussi da fenomeni pluviometrici intensi e di breve durata.
Per ogni sezione del bacino esiste una durata critica alla quale
corrisponde la massima portata: “curva di possibilità pluviometrica”, in cui sono rappresentate le massime altezze di pioggia verificatesi in funzione della loro durata.
Il parametro caratteristico è il “tempo di ritorno” di un determinato evento (caratterizzato da durata ed intensità).
Esistono correlazioni sperimentali che consentono di valutare
le portate di piena che una determinata sezione deve smaltire, conseguenti ad un determinato afflusso. Tali correlazioni tengono
conto delle caratteristiche del bacino (permeabilità, pendenza, altezza massima di distribuzione delle superfici a varie quote, superfici caratteristiche dei terreni naturali, coltivati, urbanizzati,
ecc).
176
LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
Le opere di sbarramento e le grandi dighe
L’entità delle conseguenze della rottura di opere di sbarramento dipende dalle caratteristiche dell’onda di piena, da come essa si
propaga a valle, dall’assetto del territorio a valle, dagli insediamenti umani, da dissesti geologici, frane terremoti, ecc.
Con il termine di “grandi dighe” sono definite dalla ICOLD
(International Commission On Large Dams) le strutture più alte
di 10 metri o che trattengono più di 105 m3 di acqua.
Attualmente ve ne sono più di 16000 al mondo.
Le più grandi sono alte più di 300 metri ed i loro bacini hanno
volumi di molti milioni di metri cubi.
Sono costruite con molte tipologie di materiali (dalla terra alla
roccia, dai mattoni al cemento armato) e sono destinate a durare
diversi decenni.
Ogni diga è un caso a se e come tale va studiata.
Non è possibile allo stato attuale assegnare ad una diga un bene
determinato fattore di sicurezza o una probabilità di crollo. Infatti
cedimenti locali possono verificarsi anche senza significativi danneggiamenti locali premonitori.
Gli indicatori più importanti dello stato di sicurezza delle dighe
sono considerati gli spostamenti: i crolli infatti, sempre comportano grossi spostamenti premonitori su parti di una diga.
Storicamente il tasso di crolli di dighe, parziali o totali, è stato
al di sotto di 10-4 per diga per anno, con un miglioramento negli
anni più recenti.
La sicurezza delle opere
L’obiettivo è ridurre a zero la probabilità di collasso dell’opera
mediante:
1) la individuazione della massima portata di piena che deve
essere smaltita dagli organi di scarico della diga;
2) le caratteristiche da assumere per l’onda di piena;
177
3) il corretto calcolo del tempo di “svuotamento rapido” del
bacino ed adeguati criteri per il dimensionamento degli organi
di scarico.
Il tempo di svaso rapido del bacino viene computato tenendo
conto di possibili frane in seguito alla variazione rapida delle condizioni di scarico della diga e delle sollecitazioni sulle rocce nella
sua sezione di imposta.
Prevedibilità dell’evento
L’evento idrogeologico è quasi sempre prevedibile.
Un evento si definisce prevedibile quando è preceduto da fenomeni precursori, che nel caso del rischio idrogeologico possono
considerarsi:
●
arrivo di una perturbazione (“avviso di condizioni meteorologiche avverse” emesso da parte del Centro Operativo Aereo
Unificato-, Veglia Meteo del D.P.C., da servizi meteorologici
regionali);
●
osservazione diretta sul territorio, da parte di tecnici esperti, di
situazioni critiche (deformazioni e rigonfiamenti del terreno
sui versanti, aumento rapido dei livelli idrometrici, rigurgito
iniziale dei sistemi fognari ecc.);
●
raggiungimento di “soglie” pluviometriche e/o idrometriche
(livelli di guardia), preventivamente determinate.
Alcune precipitazioni meteoriche, al loro verificarsi, o successivamente, possono per la loro intensità, durata, tipo, in relazione alle caratteristiche morfologice e geologiche del bacino
imbrifero, od a quelle fisiche di parti dello stesso, per esempio
da insediamenti o da infrastrutture, dare luogo a:
- erosione del suolo e/o allagamenti di terreni, insediamenti
abitativi, industriali o agricoli, eventualmente con interruzione o danneggiamento di vie di comunicazione e di altre
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LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
infrastrutture di pubblici servizi e comunque con degrado
della morfologia e di altri caratteri del territorio;
- formazione nei corsi d’acqua di portate di piena che nel
propagarsi a valle possano danneggiare o travolgere opere e
manufatti esistenti lungo l’alveo, quali ad esempio i ponti
che lo attraversano, o raggiungere livelli tali da provocare
esondazioni delle acque dell’alveo per tracimazioni o sifonamenti o rotture di argini, con allagamenti che per la dinamicità e rapidità del fenomeno causano danni rilevanti e
possono comportare il rischio di crolli di strutture e di perdite non solo di raccolti agricoli e beni immobili e mobili
ma anche di vite umane e di bestiame di allevamento nelle
zone invase, fino a raggiungere il limite della catastrofe.
Pericolosità per trasporto torrentizio in massa
La miscela solido liquida molto densa, nel processo di traslazione verso valle tende ad incanalarsi nelle depressioni del versante e nelle incisioni torrentizie ed in questo caso, prendendo in
carico altri materiali, può percorrere rapidamente distanze di vari
Km fino a raggiungere il fondovalle principale, dove può da luogo
ad una conoide alluvionale.
Esempi: Chiusa di Isarco (800.000 mc in trenta minuti di una
miscela con densità media di 1.6 t/mc).
Si tratta di fenomeni rapidi ed improvvisi le cui dimensioni
sono difficilmente quantificabili perché autoalimentati.
Per i fenomeni di trasporto in massa si distinguono:
●
colate di detrito: quando la massa è composta per più del 50%
da materiale grossolano cioè da ghiaie e blocchi che possono
raggiungere talora i 4 5 metri di diametro;
●
colate di fango: quando la massa risulta composta per più del
50% da materiale fine (sabbie limi argille).
179
La cartografia del rischio idrogeologico
La cartografia del rischio rappresenta lo strumento di visualizzazione dei risultati dell’attività di previsione del rischio idrogeologico, in particolare del rischio frane.
Essa costituisce la base di riferimento per la redazione dei piani di emergenza.
Il telerilevamento da satellite integrato a quello da aereo e a
dati di altra provenienza, consente oggi la creazione e l’aggiornamento degli strati informativi digitali necessari alla realizzazione
della cartografia del rischio molto più rapidamente ed economicamente di quanto non fosse possibile quando le informazioni dovevano essere ricavate da indagini da campo e da ricostruzione storica della franosità.
Nell’ambito della generazione e dell’aggiornamento della cartografia di rischio risulta possibile:
● acquisire i dati di telerilevamento satellitare, utilizzando le
stazioni di acquisizione;
● processamento dei dati telerilevati;
● elaborazione dei dati satellitari.
Possibili realizzazioni con i dati satellitari risultano:
● carta delle principali cause di franosità attraverso:
1) la generazione della carta geolitologica utilizzando immagini dei satelliti Landsat, i dati multispettrali da aereo e
foto aeree stereoscopiche integrate con carte geologiche;
2) la generazione della carta dell’uso del suolo e della antropizzazione utilizzando immagini Landsat, SPOT, IRS ed
eventualmente dati multispettrali da aereo ed aerofotogrammetria;
3) carta dello stato del dissesto mediante l’uso di dati telerilevati da aereo, integrati con dati aerofotogrammetrici in stereoscopia;
180
LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
4) carta della pericolosità e carte derivate (carta delle intensità) come combinazione delle carte precedenti;
5) base di dati cartografica degli elementi di rischio;
6) carta di danno (vulnerabilità) e di rischio ed altre carte derivate a diversi livelli;
7) aggiornamento della base dati di franosità con la geodesia. Si può utilizzare la geodesia spaziale che, utilizzando
dati acquisiti da satelliti, è in grado di monitorare con alta
precisione lo spostamento di punti sulla terra. Con queste
tecnologie si possono aggiornare le carte di pericolosità
quantificando in particolare l’entità di fenomeni in fase
iniziale permettendo di modificare la classe di pericolosità
delle aree in osservazione. Si può anche valutare la velocità di spostamento dei punti sotto osservazione, aggiornando anche le carte di intensità dei fenomeni. L’accuratezza nella misura di spostamento con GPS è di pochi
centimetri. La frequenza di campionamento arriva anche a
decine di minuti. È così possibile monitorare intere aree a
rischio ricostruendo in campo di spostamenti e traducendolo in campi di velocità ed accelerazioni. Il sistema può
essere integrato in un ulteriore sistema di allarme che utilizzando le informazioni geodetiche e/o provenienti da altri sensori (ad esempio livelli di piovosità) consente di attivare eventuali allarmi in funzione del superamento di
certe soglie di rischio definite.
Reti di monitoraggio
Le reti di monitoraggio consentono l’adeguato controllo del
territorio e sono costituite dai seguenti strumenti1:
1.
Programma preliminare delle attività relative al “rischio idrogeologico” (frane e alluvioni) di cui alla delibera del Consiglio Regionale n. 52/1 del 29/12/99 ed ai piani
straordinari ex legge 226/99.
181
●
●
●
“strumentazioni idrometriche”: pluviometri, idrometri, misuratori di portata;
“strumentazioni geotecniche”: inclinometri, piezometri;
“strumentazioni topografiche”: picchetti, teodoliti (stazione
totale).
I principali strumenti normativi di riferimento possibili oggetti di
informazione preventiva per il rischio idrogeologico
La Legge n. 183/1989 riguardante le “Norme per il riassetto
organizzativo e funzionale della difesa del suolo” introduce una
visione innovativa per lo studio e la tutela del territorio.
In particolare viene data la definizione di bacino idrografico,
unità elementare di suolo “dal quale le acque pluviali o di fusione
delle nevi e dei ghiacciai, defluendo in superficie si raccolgono in
un determinato corso d’acqua direttamente o a mezzo di affluenti”
(art. 1).
Lo scopo di questa legge è quello di “assicurare la difesa del
suolo, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di
razionale sviluppo economico e sociale, la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi” (art, 1 comma 1).
Per il raggiungimento dello scopo la legge l’Autorità di Bacino
si avvale del piano di bacino, “strumento conoscitivo, normativo e
tecnico operativo mediante il quale sono pianificate e programmate
le azioni e le norme d’uso finalizzate alla conservazione, alla difesa
e alla valorizzazione del suolo” quali: “difesa, sistemazione e regolazione dei corsi d’acqua, dei rami terminali dei fiumi e delle loro
foci nel mare”, “difesa e consolidamento dei versanti e delle aree
instabili, nonché difesa degli abitanti e delle infrastrutture contro i
movimenti franosi, le valanghe e altri fenomeni di dissesto” (art. 3).
Con la Legge n. 183/89 vengono istituite le Autorità di Bacino
e vengono elencati i bacini idrografici di rilievo nazionale (art.
14), interregionale (art. 15) e regionale (art. 16).
182
LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
Il Decreto Legge n. 180 dell’11/06/1998 (convertito nella Legge 3 agosto 1998, n. 267), riguarda misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite da
disastri franosi nella regione Campania:
●
disposizioni urgenti volte all’individuazione delle aree a più
elevato rischio idrogeologico ed alla conseguente adozione di
misure di salvaguardia e prevenzione. Tale normativa prevede
l’adozione, in tempi brevi, di piani stralcio di bacino per l’assetto idrogeologico, da parte delle autorità di bacino di rilievo
nazionale ed interregionale e delle regioni per i restanti bacini;
●
i piani stralcio di bacino devono contenere l’individuazione e
la perimetrazione delle aree a rischio idrogeologico (art. 1,
comma 1), con l’adozione delle misure di salvaguardia e della
programmazione degli interventi urgenti necessari alla mitigazione del rischio (art. 1 comma 2);
●
le Amministrazioni statali, gli enti pubblici, le università e gli
istituti di ricerca (art. 1 comma 3) comunicano i dati storici e
conoscitivi del territorio e dell’ambiente senza oneri ed in forma riproducibile a ciascuna regione e province autonome;
●
le regioni e province autonome comunicano i dati del territorio a:
1) Autorità di bacino di rilievo nazionale
2) Ministero dell’Ambiente
3) Ministero dei Lavori Pubblici
4) Ministero per le Politiche Agricole
5) Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali
6) Dipartimento della Protezione Civile
7) Servizi Tecnici Nazionali
183
●
Il comma 4 dell’art. 1 precisa che gli organi di protezione civile riportati nella Legge n. 225/92 e nel Decreto legislativo n.
112/98 “provvedono a predisporre, per le aree a rischio idrogeologico, con priorità assegnata a quelle in cui la maggiore
vulnerabilità del territorio si lega a maggiori pericoli per le
persone, le cose e il patrimonio ambientale, piani urgenti di
emergenza contenenti le misure per la salvaguardia dell’incolumità delle popolazioni interessate”;
●
Potenziamento delle reti di monitoraggio meteo-idropluviometrico mirato alla realizzazione di una copertura omogenea
del territorio nazionale (art. 2, comma 7).
Il Decreto del presidente del consiglio dei ministri del 29 settembre del 1998 è l’“Atto di indirizzo e coordinamento” per l’individuazione e la perimetrazione delle aree a rischio idrogeologico, e rappresenta una linea guida per la realizzazione dei piani
stralcio di bacino e di programmi per interventi urgenti necessari
alla riduzione del rischio idrogeologico (art. 1, comma 1 e 2, D.L.
180/98).
Le attività si suddividono in tre fasi:
1) individuazione delle aree soggette a rischio idrogeologico;
2) perimetrazione, valutazione dei livelli di rischio e definizione delle misure di salvaguardia;
3) programmazione della mitigazione del rischio.
Le aree soggette a rischio idrogeologico si suddividono in:
184
●
aree a rischio idraulico
●
aree a rischio di frana e valanga.
LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
Aree a rischio idraulico
Fase 1 - Individuazione delle aree soggette a rischio idraulico
●
Raccolta cartografica non inferiore a 1:100.000 dei tronchi
della rete idrografica soggetti a perimetrazione.
●
Tipologia del punto di possibile crisi e le caratteristiche
idrauliche degli eventi temuti (colate detritiche, piene repentine, alluvioni di conoide, piene di corsi d’acqua maggiori,
piene con pericolo di disalveamento, piene con deposito di
materiale alluvionale, sostanze inquinanti, ecc.).
●
Valutazione dei fenomeni accaduti e del danno temuto in caso di calamità;
●
Informazioni disponibili sugli eventi storici (AVI-GNDCI)
Fase 2 - Fase di perimetrazione e valutazione del livello di
rischio
●
La perimetrazione deve essere effettuata su una cartografia
in scala non inferiore a 1:25000.
●
Le probabilità dell’evento si basano sui tempi di ritorno:
a. aree ad alta probabilità di inondazione
Tr=20-50 anni
b. aree a moderata probabilità di inondazione
Tr=100-200 anni
c. aree a bassa probabilità di inondazione
Tr=300-500 anni
Fase 3 - Fase di programmazione della mitigazione del rischio
È la fase progettuale degli interventi strutturali e non strutturali
di riduzione del rischio.
185
Aree a rischio di frana e valanga
Fase 1 - Individuazione delle aree a rischio
Analisi territoriale svolta in scala adeguata, almeno 1:25000.
Fase 2 - Perimetrazione e valutazione dei livelli di rischio
Utilizzo di cartografia tecnica a scala minima 1:25000, foto aeree e cartografia degli insediamenti, delle attività antropiche e del
patrimonio ambientale di rilievo.
Fase 3 - Fase di programmazione della mitigazione del rischio
Analisi ed elaborazioni anche grafiche per individuare le tipologie di interventi da realizzare per la mitigazione o rimozione
dello stato di calamità.
Classi di rischio
Il D.P.C.M. del 29/09/98 raggruppa le diverse situazioni in 4
classi di rischio sia per il rischio idraulico (alluvioni) che per quello derivante da frane e valanghe:
1
2
3
4
186
Rischio
moderato
Danni sociali, economici e al patrimonio ambientale sono marginali.
Rischio
medio
Danni minori agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio
ambientale che non pregiudicano l’incolumità delle persone,
l’agibilità degli edifici e la funzionalità delle attività economiche.
Rischio
elevato
Possibili problemi per l’incolumità delle persone, danni funzionali agli edifici e alle infrastrutture con conseguente inagibilità degli stessi, interruzione di funzionalità delle attività socioeconomiche e danni rilevanti al patrimonio ambientale.
Rischio
molto
elevato
Possibile perdita di vite umane e lesioni gravi alle persone,
danni gravi agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio
ambientale, distruzione di attività socio-economiche.
LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
Tipologie principali di frane
Si possono distinguere le seguenti principali tipologie di frane:
●
frane per crollo (crolli e ribaltamenti);
●
frane per scivolamento (scivolamenti rotazionali e traslazionali);
●
frane per colamento (movimenti lenti con frequenti riattivazioni stagionali, in materiali generalmente argillosi);
●
frane complesse (frane con più tipi di movimento, senza che
uno di essi sia predominante sull’altro);
●
colate rapide (colate rapide di fango, colate di detrito);
●
aree con franosità diffusa;
●
deformazioni gravitative profonde (lenti movimenti che interessano cospicui volumi di roccia con movimenti riconoscibili
sul versante: trincee contropendenze, avvallamenti ecc.).
Definizioni di scenario
Scenario di evento
Per scenario di evento si intende una descrizione degli effetti di
un evento calamitoso che deve far riferimento all’evento massimo
possibile.
Esso costituisce il presupposto indispensabile per preparare i
cittadini all’emergenza e per pianificare gli interventi di salvaguardia e di soccorso, che le autorità di protezione civile, in particolare i sindaci, devono effettuare sulla base delle competenze
assegnate dalle normative vigenti in materia di protezione civile.
Per quanto concerne il rischio idrogeologico gli scenari per gli
interventi in emergenza fanno riferimento alla perimetrazione di
cui all’art. 1 della Legge 180 del 3 agosto 1998.
Per disegnare uno scenario di evento (rischio idrogeologico) è
essenziale effettuare:
187
●
un’analisi di comportamento dell’alveo e conseguente mappatura delle aree inondabili;
●
un’analisi di fatti accidentali che influenzano il comportamento e le modalità dell’inondazione;
●
un’analisi del comportamento di versanti instabili interagenti
con l’inondazione stessa e/o con elementi a rischio (sistema
versante).
Scenario di rischio
Per scenario di rischio si intendono gli effetti sulle persone e
sul patrimonio in base della valutazione di tutti gli elementi a rischio.
In particolare, per il rischio idrogeologico si individuano gli effetti di inondazioni e frane sugli insediamenti agricoli, produttivi,
ricreativi, abitativi, infrastrutture viarie, ferroviarie, di servizio o
altre a cui abbiano accesso persone, all’interno delle aree perimetrate.
Metodo generale di acquisizione dati necessari
all’elaborazione dello scenario (rischio idrogeologico)
Il percorso da effettuare per l’elaborazione dello scenario può
essere suddiviso in tre momenti:
1) valutazione della pericolosità idrogeologica della zona sulla
base della raccolta dati degli eventi storici;
2) determinazione della vulnerabilità degli elementi a rischio, in
base al grado di perdita atteso al verificarsi dell’evento massimo;
3) determinazione del valore degli elementi a rischio.
188
LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
Metodo applicativo
Le fasi per l’acquisizione dati che definiscono lo scenario sono:
1) contattare l’Autorità di Bacino che ha coordinato gli studi
sulla base della Legge n. 180/98;
2) acquisire il piano stralcio contenente:
i) cartografia dei tronchi fluviali a rischio idraulico;
ii) perimetrazione delle aree a rischio idraulico e a rischio
frana e valanga;
iii) schede relative a: tronchi fluviali, aree a rischio idraulico
ed a rischio frana e valanga;
3) reperire presso l’Autorità di Bacino la cartografia digitale
riguardante gli elementi a rischio;
4) integrare i dati inserendo ulteriori elementi a rischio (ad es. le
strade statali);
5) sovrapporre la carta di pericolosità idraulica e di pericolosità
di frana e valanga con la carta degli elementi a rischio per
ottenere lo scenario globale dell’evento massimo atteso.
Gestione dei dati
Il Sistema Informativo territoriale viene ottimizzato attraverso
l’uso del G.I.S. (Geographic Information System).
189
Alcuni riferimenti tecnico scientifici utili
per l’informazione sul rischio sismico
La crosta, cioè l’involucro più esterno della Terra, è in lenta,
continua evoluzione.
I forti terremoti sono la manifestazione più evidente dell’azione delle spinte tettoniche che interessano le aree sismicamente attive.
L’ipotesi della tettonica delle zolle spiega il movimento relativo tra i grandi blocchi continentali il cui ordine di grandezza è misurato in alcuni centimetri per anno, come l’effetto, sulla superficie terrestre, delle forze orizzontali esercitate dai moti convettivi
che hanno luogo nell’astenosfera.
Sotto tali azioni, i materiali che costituiscono la crosta si comportano elasticamente accumulando e scaricando energia meccanica, con un meccanismo paragonabile a quello di una molla.
Questo processo viene chiamato scorrimento asismico quando
avviene in modo lento e graduale, con bassissimo rilascio di energia per unità di tempo.
In altri casi, invece, lo scorrimento tra i blocchi viene ostacolato dalle forze coesive dovute all’attrito e la tensione si accumula
per lunghi periodi di tempo.
Quando la tensione accumulata nelle rocce supera il coefficiente di attrito, l’enorme energia trattenuta sotto forma di deformazione viene rilasciata con violenza dal volume deformato e, nel
giro di pochi secondi, si produce una frattura, che partendo dal
punto di maggior debolezza provoca lo scorrimento dei due blocchi lungo il piano di faglia.
Dopo aver rilasciato in modo repentino la tensione accumulata,
le rocce ai lati opposti della faglia si portano in una nuova posizione di equilibrio, e la grande quantità di energia liberata viene in
parte dissipata sotto forma di calore dovuto all’attrito e in parte
190
LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
emessa sotto forma di onde elastiche (le onde sismiche prodotte
dal terremoto).
Ma diamo qualche definizione.
Ipocentro: il punto di debolezza, dal quale inizia la nucleazione della frattura viene chiamato ipocentro.
Epicentro: la proiezione dell’ipocentro sulla superficie della
Terra viene detta epicentro del terremoto. Le onde sismiche irradiate dal volume focale attraversano la crosta e raggiungono la superficie: nella zona epicentrale. L’azione del terremoto e, in genere, tanto più violenta quanto maggiore e la dimensione dell’area
del piano di faglia che lo ha generato.
Magnitudo: caratterizza l’entità del terremoto ed è il parametro introdotto appositamente per poter misurare l’intensità della
sorgente sismica da un dato strumentale oggettivo, e indipendentemente dalla presenza o meno di centri abitati nell’area epicentrale. La magnitudo viene calcolata mediante il logaritmo
dell’ampiezza della massima elongazione misurata su uno strumento campione. Il valore così ottenuto viene poi corretto per un
fattore empirico, introdotto per far sì che lo stesso terremoto fornisca la stessa magnitudo a diverse distanze: tale correzione empirica è necessaria per compensare la diminuzione dell’ampiezza
delle onde sismiche allontanandosi dall’epicentro.
Momento sismico: sebbene non intuitivo come la magnitudo,
esso risulta una misura più stabile dell’entità del terremoto, in
quanto non viene misurato mediante un valore di picco (che può
essere soggetto a rilevanti fluttuazioni statistiche) bensì mediante
il livello medio della componente di lungo periodo dello spettro
dello spostamento del suolo nel punto di osservazione. Anche in
questo caso, alla misura effettuata sul dato registrato si deve applicare un opportuno termine correttivo per far sì che lo stesso terremoto fornisca il medesimo valore di momento sismico indipendentemente dal punto di osservazione. Da un punto di vista fisico,
il momento sismico è il prodotto di tre termini:
191
●
lo scorrimento medio della faglia;
●
l’area interessata dalla frattura;
●
la rigidità delle rocce lungo la faglia.
Il momento sismico tiene così conto di proprietà “globali” della sorgente sismica. Se questo importante parametro sismologico
ha presentato lo svantaggio di non essere così semplice da misurarsi come la magnitudo in quanto richiede l’uso di una più sofisticata strumentazione (sismometri a banda larga, moderni calcolatori e così via), esso però ha avuto il merito di consentire, in
sismologia, una più rigorosa quantificazione dell’entità dei forti
terremoti. Infatti, i valori del picco registrato dai sismometri in
prossimità di faglie di grandi dimensioni risentono dell’energia irradiata solamente da porzioni limitate dell’area della frattura: ciò
porta a una saturazione delle magnitudo per forti terremoti.
L’introduzione del momento sismico ha consentito di definire
una nuova scala della magnitudo, sulla base della quale rivalutare
l’entità dei forti terremoti senza effetti di saturazione.
Accelerazione massima del suolo: viene espressa come percentuale dell’accelerazione di gravità alla superficie terrestre (g).
In Italia, durante forti terremoti sono state misurate accelerazioni
fino al 40 per cento del valore di g, ma per terremoti avvenuti in
altre aree del mondo sono stati registrati valori più elevati, fino a
due volte l’accelerazione di gravita
Gran parte del territorio italiano è soggetto a rischio sismico.
Le aree maggiormente interessate da sismi sono distribuite
lungo tutta la dorsale appenninica compresa la Sicilia Orientale, le
Alpi Orientali (trevigiano-bellunese), la parte padana della Romagna (forlivese) e zone contenute della riviera ligure di ponente
(imperiese).
La notevole attività sismica lungo la catena appenninica e l’arco calabro, si sviluppa in corrispondenza delle strutture che sono
192
LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
state identificate come zone di interazione tra la zolla Africana e
quella Eurasiatica.
La previsione dei terremoti in Italia
Per previsione di un terremoto si intende la determinazione dì
un certo numero dì parametri che caratterizzano in maniera univoca la sorgente dell’evento sismico: tali parametri devono comprendere almeno la posizione della faglia, l’istante di tempo in cui
ha inizio il suo scorrimento e l’energia liberata.
Queste informazioni possono essere sintetizzate nei concetti di:
●
epicentro
●
tempi origine
●
magnitudo del terremoto.
Poiché non possediamo modelli esatti dei sistemi naturali e la precisione delle nostre misurazioni è sempre limitata, i valori di questi
parametri avranno necessariamente una certa indeterminazione.
Perciò qualunque previsione di eventi futuri non può essere che
di tipo probabilistico.
La previsione statistica
Scopo nella previsione statistica dei terremoti è valutare con
quale probabilità possa verificarsi in un dato intervallo di tempo e
in una data zona un evento potenzialmente distruttivo.
Il primo passo verso la previsione statistica dei terremoti e la
conoscenza delle strutture tettoniche attive, e cioè dei blocchi crostali e dei sistemi di taglie in cui il moto delle zolle tettoniche produce deformazioni e conseguenti accumuli di sforzo.
Tali accumuli di sforzo, una volta raggiunta la soglia di frattura
della roccia, costituiscono il “motore” dei terremoti.
Poiché i tempi tipici di evoluzione dei processi geologici sono
molto lunghi (dell’ordine del milione di anni), è logico attendersi
193
che le strutture tettoniche che hanno prodotto terremoti in tempi
storici continuino a farlo, con modalità identiche, anche nei prossimi millenni.
Un’efficace identificazione delle strutture tettoniche sismicamente attive nel passato recente, storico e preistorico, dà pertanto
immediata risposta alla questione del “dove” saranno localizzati i
futuri terremoti distruttivi in Italia.
Un metodo di identificazione intrinsecamente oggettivo e possibile a partire dagli stessi terremoti sulla base dei cataloghi sismici.
I cataloghi sismici
I cataloghi sismici raccolgono in maniera organizzata e coerente la storia sismica di una regione, registrando i terremoti at traverso un insieme opportuno di parametri.
Esistono molti modi di parametrizzare un terremoto.
Per i dati più recenti, per esempio, vengono memorizzati su
calcolatore gli spostamenti del suolo registrati da una rete di sismografi per tutta la durata dell’evento.
Ciò permette di risalire al meccanismo di dettaglio del terremoto, e cioè alle modalità con cui si è fratturata la roccia dando
origine alle onde sismiche, nonché al percorso delle onde e alla
struttura del sottosuolo.
E opportuno comunque rammentare che la strumentazione sismica in grado di effettuare simili registrazioni e stata sviluppata
solo alcuni anni fa. Per quanto riguarda i terremoti precedenti sono
disponibili dati strumentali molto meno accurati, e relativamente a
epoche anteriori alla fine del secolo scorso esistono esclusivamente caratterizzazioni macrosismiche.
Queste ultime localizzano e quantificano un evento sulla base
degli effetti (e dei danni) da esso prodotti sulle persone, sull’ambiente e sulle costruzioni.
Da un lato tale caratterizzazione è estremamente utile, soprattutto dal punto di vista ingegneristico, poiché dà una immagine
194
LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
immediata delle sollecitazioni indotte dal sisma, dall’altro, implica un’analisi delle fonti documentali, in particolare per gli eventi
più antichi, critica e attenta, onde evitare false attribuzioni.
Sismicità apparente e sismicità reale
L’incompletezza del catalogo fa sì che la sismicità in esso riportata, detta sismicità apparente, sia diversa dalla sismicità reale.
Di norma la sismicità apparente presenta un quadro distorto
della realtà inficiando la validità di qualsiasi analisi dell’attività
del passato e quindi di previsione dell’attività futura. Pertanto,
una puntuale valutazione della funzione di completezza è di vitale
importanza per prevedere correttamente i terremoti futuri.
In generale la sismicità apparente può essere scritta come il
prodotto di due funzioni, la sismicità reale e la completezza.
Quest’ultima è a sua volta funzione della posizione e del tempo
ed è essenzialmente determinata da ragioni storiche di difficile
identificazione pratica. Può essere pero ragionevolmente assunta
come crescente col tempo. Poiché la funzione di completezza al
tempo attuale è facilmente calcolabile dal potere risolutivo delle
attuali reti sismiche strumentali, è possibile per i dati recenti calcolare l’intervallo nel quale essi sono completi. Ciò permette, tramite opportune tecniche statistiche, di identificare e correggere i
problemi di incompletezza in maniera molto soddisfacente per
tutto il catalogo.
Cataloghi italiani
Relativamente al territorio italiano, sono disponibili al momento diversi cataloghi sismici, tutti basati su aggiornamenti e revisioni più o meno sostanziali del catalogo che l’ENEL aveva realizzato una decina d’anni or sono nell’ambito di una scelta sicura dei
siti delle centrali nucleari.
195
La grande tradizione storica del nostro Paese fa sì che i cataloghi sismici italiani siano i più vasti e meglio documentati del mondo, ancorché inevitabilmente affetti dai problemi sopra citati.
In particolare, tra i migliori cataloghi disponibili al momento è
quello redatto dall’Istituto nazionale di geofisica. Esso copre l’arco degli ultimi 3500 anni e viene continuamente aggiornato coi
dati della Rete sismica nazionale dello stesso ente; consta a
tutt’oggi di oltre 40 000 eventi. Tenendo presente che l’analisi è di
tipo statistico, l’estensione temporale e la dimensione del catalogo sono fattori fondamentali per la validità dei risultati.
Ciclo sismico e tempo di ritorno
Se è relativamente semplice prevedere con buona affidabilità
dove avverranno i futuri terremoti distruttivi, molto più difficile è
prevedere quando questi si verificheranno.
Le stime possibili, che vengono spesso classificate come previsioni a lungo, medio e breve termine in relazione all’intervallo stimato tra previsione e terremoto (tipicamente anni, mesi e giorni),
sono basate sull’esistenza di regolarità nel verificarsi dei terremoti.
Le principali regolarità sono l’andamento ciclico della sismicità e il ripetersi di un insieme ben definito di fenomeni precursori
prima di ogni terremoto.
In un ciclo sismico possiamo distinguere quattro fasi: l’evento
principale, le sue repliche, un lungo periodo di bassa sismicità, e
un aumento più o meno progressivo di eventi immediatamente
precedente il terremoto principale successivo.
La quarta fase, che permetterebbe una previsione a breve termine molto efficace, viene purtroppo osservata di rado.
La terza fase è invece a volte accompagnata da una quasi quiescenza, e cioè da una sismicità inferiore al normale, fenomeno che viene per
l’appunto annoverato tra i precursori a medio-lungo termine.
196
LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
Ma la caratteristica del ciclo sismico più comune, e quindi più
affidabile, è la costanza, in senso statistico, del tempo medio di ciclo, detto tempo di ritorno.
È così possibile, studiando la distribuzione statistica degli intervalli di tempo trascorsi tra eventi successivi nella stessa zona
epicentrale e considerando il tempo trascorso dall’ultimo evento,
stimare la probabilità che un altro evento si verifichi in un dato
istante del futuro.
In pratica, la probabilità che si verifichi un terremoto molto distruttivo nel prossimo futuro è alta nelle zone in cui il tempo trascorso dall’ultimo evento di questo tipo è grande rispetto al tempo
medio di ritorno.
La probabilità che si verifichi un evento molto distruttivo nell’arco dei prossimi 20 anni è alta (oltre il 50 per cento) nell’avampaese
Ibleo, nell’Appennino forlivese e nella zona di Naso Capo d’Orlando in Sicilia nord-orientale; decisamente inferiore (tra il 20 e il 40
percento) è nella Marsica, sulle pendici orientali dell’Etna, nel Cosentino, nella zona di Fabriano, nel Golfo di S. Eufemia e a Ischia.
Molto bassa (inferiore al 15 per cento) è nella zona di Città di Castello, nel Bellunese, in Irpinia, in Friuli e nella zona di Avezzano.
Esistono poi molte zone che sono state epicentro di eventi molto distruttivi, ma nelle quali il numero di cicli è insufficiente per
uno studio statistico. Per esse non è quindi possibile stimare la
probabilità di un evento nei prossimi anni, anche se rimane comunque la certezza che presto o tardi saranno di nuovo colpite da
un forte terremoto
Metodo di elaborazione dello scenario
L’elaborazione dello scenario richiede:
- la conoscenza della pericolosità sismica della zona sulla base:
●
eventi storici;
●
risposte locali del terreno (microzonazione).
197
Cartografia di riferimento
Carta inventario dei terremoti avvenuti
● Carta di microzonazione sismica, ove possibile
● Classificazione sismica dei comuni
● Rilevamento della vulnerabilità degli edifici
● Stima della popolazione coinvolta
● Quantificazione delle infrastrutture pubbliche e private, soprattutto non antisismiche, nell’area a rischio.
●
Terremoti e stabilità dei versanti
Gli effetti di un sisma sul pendio possono essere diretti (frane
che avvengono al momento dell’evento) ed indiretti (frane con
movimento dilazionato nel tempo).
Effetto diretto
Incremento delle sollecitazioni destabilizzanti mediante l’applicazione di una forza d’inerzia orizzontale F:
F = KW
Dove K è il coefficiente di accelerazione sismica e W è il peso
della massa potenzialmente instabile.
Questo effetto si verifica solo per pendii di lunghezza ridotta,
generalmente < a 30 metri (Hutchinson, 19871), infatti, la lunghezza dell’onda sismica nella maggior parte dei materiali è
dell’ordine di alcune decine di metri.
Per pendii più estesi l’accelerazione destabilizzante diretta verso l’esterno è bilanciata da una accelerazione stabilizzante, di segno contrario.
1.
HUTCHINSON J.N. (1987) - Mechanisms producing large displacement in landslides on pre-hexisting shear. 1st Sino-British Geol. Conf., Tapei, Memoir of the Geological Survey of China, 9, 175-200.
200
LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
La massima accelerazione sincrona (K massimo) si ha per frane di lunghezza pari alla metà di quella dell’onda. Questo è il caso
tipico delle frane di crollo.
Altro effetto diretto è la liquefazione del terreno per aumento della
pressione neutra ed i cedimenti per riduzione dell’indice dei vuoti.
Effetti indiretti
Riattivazione di frane preesistenti in materiali coesivi con aumento ciclico del carico sulle pressioni neutre con riduzione della
resistenza al taglio residua.
Dove e perché si verificano i terremoti
I terremoti si concentrano in genere in zone delimitate.
Con la teoria della tettonica a placche formulata per la prima
volta da Wegener nel 1915, è stata data una spiegazione della distribuzione degli eventi sismici e dei vulcani, e di alcuni fenomeni
morfologici come la formazione delle grandi catene montuose.
Questa teoria afferma che i terremoti tendono in genere a concentrarsi lungo i margini tra le diverse placche (o zolle) componenti lo strato più superficiale del nostro pianeta (la litosfera).
202
LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
I terremoti possono verificarsi in prossimità di vulcani attivi e
di catene montuose di recente formazione.
Anche la sismicità della penisola italiana presenta una sua caratteristica distribuzione interpretabile con la teoria della tettonica
a placche.
La penisola italiana, come tutto il bacino del Mediterraneo, è
interessata da un’intensa attività sismica che si verifica in aree che
sono state identificate secondo tale teoria come sede di equilibri
dinamici tra la zolla Africana e quella Eurasiatica.
In particolare si ha una notevole attività sismica lungo la catena
appenninica e l’arco calabro, ossia in corrispondenza delle strutture che sono state identificate come zone di interazione tra la zolla Africana e quella Eurasiatica.
Lo studio della sismicità storica ha inoltre contribuito a individuare le regioni della nostra penisola soggette ai terremoti più distruttivi.
Tutto il territorio nazionale è interessato da effetti almeno del
VI grado della scala Mercalli tranne alcune zone delle Alpi Centrali e della Pianura Padana, parte della costa toscana, il Salento e
la Sardegna.
Le aree maggiormente colpite in cui gli eventi hanno raggiunto
il X e XI grado d’intensità, sono le Alpi Orientali, l’Appennino
settentrionale, il promontorio del Gargano, l’Appennino centro
meridionale, l’Arco Calabro e la Sicilia Orientale.
Come si misurano i terremoti
Magnitudo
La magnitudo (frequentemente misurata attraverso la scala Richter) e l’intensità macrosismica (misurata tramite la scala Mercalli Cancani Sieberg) sono le due misure principali della “forza”
di un terremoto.
203
SCALA MERCALLI
Liv.
Effetto
Definizione
0
Strumentale
Sisma molto lieve non percepito dalle persone.
2
Leggerissima
Percepito da persone in riposo nei piani superiori delle
case o solo nelle immediate vicinanze.
3
Leggera
Percepito nelle case con oscillazione di oggetti appesi vibrazioni
simili al passaggio di autocarri leggeri.
4
Mediocre
Oscillazione di oggetti appesi, movimento di porte e finestre, tintinnio di vetri, vibrazione di vasellami.
5
Forte
Spostamento o rovesciamento di piccoli oggetti instabili,
movimento di imposte e quadri, sveglia di persone dormienti, fermata, avviamento, cambiamento del passo di orologi a pendolo.
6
Molto forte
Rottura di vetri, piatti, vetrerie, caduta dagli scaffali di
libri ed oggetti, spostamento di mobili, barcollare di persone in moto screpolature di intonaci deboli.Sisma distruttivo su un’ area > 20 Km2
7
Fortissima
Tremolio di oggetti sospesi, difficile stare in piedi, rotture
di mobili. Danni alle murature, rotture di comignoli deboli
situati sui tetti. Caduta di intonaci, mattoni, pietre, tegole,
cornicioni. Formazione di onde sugli specchi d’acqua.
Piccoli smottamenti e scavernamenti in depositi di sabbia
e ghiaia. Forte suono di campane. Risentito dai guidatori
di automezzi.
8
Rovinosa
Danni a murature, crolli parziali. Caduta di stucchi e di
alcune pareti in muratura. Rotazione e caduta di camini,
monumenti, torri, serbatoi elevati. Risentito nella guida di
automezzi, rottura di rami di alberi, variazioni di portata o
temperatura di sorgenti o pozzi. Crepacci nel terreno e sui
pendii ripidi.
9
Disastrosa
Panico generale, distruzione di murature, gravi danni ai serbatoi,
rottura di tubazioni sotterranee, rilevanti crepacci nel terreno.
10
Distruttrice
Distruzione di gran parte delle murature e delle strutture in
legname, con le relative fondazioni. Distruzione di alcune
robuste strutture in legname e di ponti, gravi danni a dighe,
briglie, argini, gran- di frane. Traslazione orizzontale di
sabbie e argille sulle spiagge e su regioni piane. Rotaie
debolmente deviate.
204
LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
(segue) SCALA MERCALLI
Liv.
Effetto
Definizione
11
Catastrofica
Rotaie fortemente deviate, tubazioni sotterranee completamente fuori servizio.
12
Ultracatastrofica Distruzione pressoché totale. Spostamento di grandi
masse rocciose. Linee di riferimento deformate, oggetti
lanciati in aria.
I danni variano notevolmente in funzione della distanza dall’epicentro, dalla natura del
terreno e dal tipo di materiali usati nella costruzione degli edifici.
Le due scale non sono equivalenti: la magnitudo è una misura
dell’energia sprigionata da un terremoto nel punto in cui esso si è
originato (ipocentro).
L’intensità è invece una misura degli effetti che il terremoto ha
prodotto sull’uomo, sugli edifici presenti nell’area colpita dal sisma, sull’ambiente.
La magnitudo è una misura fisica che dipende soltanto
dall’energia sprigionata dal terremoto nel punto in cui si è generato. Grazie allo sviluppo delle tecnologie e alla disponibilità di dati
in formato numerico utilizzabili direttamente dai calcolatori elettronici è oggi possibile calcolare la magnitudo di un evento sismico in pochi minuti.
Per fissare il valore preciso d’intensità è invece necessario attendere la raccolta dei dati oggettivi sui danni prodotti dal terremoto.
È possibile in ogni modo, conoscendo la magnitudo, associare
ad essa un’intensità teorica presunta. Tale intensità teorica viene
tempestivamente comunicata alla Protezione Civile ed è quella riportata dagli organi di informazione.
Le diverse scale di magnitudo
Il concetto di Magnitudo è stato introdotto nel 1935 da Richter
per rispondere alla necessità di esprimere in forma quantitativa e
non soggettiva la “forza” di un terremoto.
205
La Magnitudo Richter, detta anche Magnitudo Locale (Ml), si
esprime attraverso il logaritmo decimale del rapporto fra l’ampiezza registrata da un particolare strumento, il pendolo torsionale
Wood-Anderson, e una ampiezza di riferimento.
SCALA RICHTER
Livello
0
2,5÷3
4-5
Caratteristiche
Sisma molto lieve
Scossa avvertita solo nelle immediate vicinanze
Può causare danni localmente
5
L’energia sprigionata è pari a quella della bomba atomica lanciata su
Hiroshima nel 1945
6
Sisma distruttivo in un’area ristretta 10 Km2 di raggio
7
Sisma distruttivo in un’area di oltre 30 Km2 di raggio
7-8
Grande terremoto distruttivo magnitudo del terremoto di S. Francisco del
1906
8,4
Vicino al massimo noto energia sprigionata dalle scosse 2 x 1025 ergs
8,6
Massimo valore di magnitudo noto, osservato tra il 1900 e il 1950, l’energia prodotta dal sisma è tre milioni di volte superiore a quella della prima
bomba atomica lanciata su Hiroshima nel 1945
La Magnitudo Richter può essere calcolata solo per terremoti
che avvengono a distanza minore di 600 km dalla stazione che ha
registrato l’evento.
Per supplire alla limitazione sulla distanza posta dalla definizione della Magnitudo Richter, sono state introdotte altre scale di
Magnitudo che consentono di esprimere l’energia irradiata da un
terremoto.
La maggior parte delle Magnitudo si basa sull’ampiezza massima del sismogramma registrato o sul rapporto fra l’ampiezza e il
periodo delle onde sismiche utilizzate per il calcolo della Magnitudo stessa.
Tra queste scale si possono ricordare le Magnitudo di Volume
(Mb) (b sta per “body waves” ovvero onde di volume) usate per
206
LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
misurare terremoti avvenuti a una distanza superiore ai 600 km e
basate sull’uso delle onde di volume (generalmente le onde S).
Un’altra magnitudo è quella calcolata sulle onde superficiali: la
Magnitudo Superficiale (Ms).
Al fine di calcolare la Magnitudo di terremoti piccoli o moderati a distanza locale o regionale è stata introdotta nel 1972 la Magnitudo di Durata (Md). Il suo calcolo è basato sulla misura della
durata del sismogramma.
Il concetto di base è quello di ritenere a ragione che maggiore
è la Magnitudo di un evento, maggiore sarà la durata della registrazione.
Essendo molto semplice e immediato misurare la durata del sismogramma, la Magnitudo di Durata, dal 1980, è entrata nel novero
dei parametri che vengono forniti alla Protezione Civile. Gli altri
sono la localizzazione dell’evento e la sua intensità teorica.
Si può dimostrare che la Magnitudo di un evento sismico è
strettamente connessa con l’energia irradiata dall’ipocentro.
Una relazione lega la magnitudo sviluppata dal terremoto al logaritmo decimale dell’energia. A partire da questa relazione è
possibile ricavare che una variazione 1 in Magnitudo equivale a
un incremento di energia di circa 30 volte.
In altre parole, l’energia sviluppata da un terremoto di Magnitudo 6 è circa 30 volte maggiore di quella prodotta da uno di Magnitudo 5 e circa 1000 volte maggiore di quella prodotta da un terremoto di Magnitudo 4.
Intensità
L’intensità è una misura degli effetti che il terremoto ha prodotto sull’uomo, sugli edifici presenti nell’area colpita dal sisma,
sull’ambiente.
Magnitudo
Intensità
10.0
2.3
I
20.4
2.7
II
2.8
3.1
III
3.2
3.6
IV
3.7
4.1
V
4.2
4.6
VI
4.7
5.1
VII
5.2
5.5
VIII
207
La durata di un terremoto
La durata della percezione di un terremoto dipende dalla magnitudo dell’evento, dalla distanza dell’epicentro e dalla geologia
del suolo sul quale ci si trova.
Lo scuotimento in un sito costituito da sedimenti incoerenti
può durare tre volte di più che in un sito compatto.
Nel caso in cui il sisma sia avvertito all’interno di un edificio,
l’altezza dello stabile e la tipologia edilizia influenzano fortemente l’intensità e la durata della percezione dell’evento.
In genere i terremoti di bassa intensità sono percepiti per pochi
secondi mentre i forti lo sono per meno di un minuto.
Numero medio annuale di terremoti nel mondo e in Italia
La stima fornita da uno dei principali centri sismologici internazionali, il National Earthquake Information Center (NEIC) del
servizio geologico degli Stati Uniti (United States Geological
Survey), è di diversi milioni di terremoti che accadono nel mondo
ogni anno.
Molti di questi terremoti non sono percepiti dall’uomo in quanto
avvengono in aree remote o sono di magnitudo così piccola da non
poter essere avvertiti, ma solo registrati dai sismometri.
Il NEIC localizza dai 12000 ai 14000 terremoti ogni anno. Di
questi circa 60 sono classificati come significativi ossia in grado di
produrre danni considerevoli o morti e circa 20 sono quelli di forte
intensità, con magnitudo superiore a 7.0.
La Rete Sismica Nazionale e l’Istituto Nazionale di Geofisica
In Italia l’Istituto Nazionale di Geofisica, mediante l’analisi
delle registrazioni della Rete Sismica Nazionale Centralizzata
(RSNC), localizza dai 1700 ai 2500 eventi di magnitudo pari o superiore a 2.5 ogni anno.
208
LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
Dalla figura seguente, nella quale è riportato il numero di eventi registrato annualmente dal 1984 al 1997, è possibile osservare il
forte incremento riscontrato nel 1997 a causa della sequenza
dell’Appennino Umbro Marchigiano.
Osservazioni sismiche (40) disponibili per RIETI (RI) 42.404,12.867
Data
Effetti
Ye Mo Da Ho Mi
Is (MCS)
In occasione del terremoto di:
Area epicentrale
Ix
Ms
1298 12 01
80
REATINO
100
64
1898 06 27 23 38
80
RIETI
80
52
1785 10 09
65
PIEDILUCO
80
55
1902 10 23 08 51
65
REATINO
65
44
1915 01 13 06 52
65
AVEZZANO
110
70
1979 09 19 21 35
60
NORCIA
85
59
1885 04 10 01 44
50
M. SIMBRUINI
55
42
1885 06 17 22 34
50
POGGIO BUSTONE
70
50
1915 11 11 03 41
50
STRONCONE
70
47
1719 06 27
45
ALTA VALNERINA
75
52
1878 09 15
45
MONTEFALCO
80
55
1881 03 11 22 50
45
SPOLETO
55
42
1961 10 31 13 37
45
ANTRODOCO
80
42
1972 11 26 16 03
45
MONTEFORTINO
80
48
1706 11 03 13
40
MAIELLA
105
64
1889 12 08
40
APRICENA
70
50
1898 08 25
40
VISSO
70
50
1899 07 19 13 19
40
COLLI ALBANI
70
50
1901 07 31 10 38
40
ALVITO
80
52
1904 02 24 15 53
40
MARSICA
90
55
1922 12 29 12 22
40
SORA
70
55
1930 07 23 08
40
IRPINIA
100
67
1980 11 23 18 34
40
IRPINIA-LUCANIA
100
69
1900 05 19 16 55
35
ARRONE
70
47
209
(segue) Osservazioni sismiche (40) disponibili per RIETI (RI) 42.404,12.867
Data
Effetti
In occasione del terremoto di:
Ye Mo Da Ho Mi
Is (MCS)
Area epicentrale
Ix
Ms
1903 11 02 21 52
35
VALNERINA
65
47
1930 10 30 07 13
35
SENIGALLIA
85
60
1957 04 11 16 19
35
VALLE DEL SALTO
60
51
1349 09
F
VENAFRO
105
67
1639 10 07 30
F
AMATRICE
100
67
1786 07 31
F
L’AQUILA
70
50
1916 05 17 12 50
F
RIMINESE
80
60
1916 07 04 05 06
F
MONTI SIBILLINI
70
43
1895 11 01
30
CASTELPORZIANO
65
44
1901 04 24 14 20
30
MONTELIBRETTI
80
52
1933 09 26 03 33
30
LAMA DEI PELIGNI
90
55
1949 10 27 19 08
30
LABRO
65
45
1909 01 13 45
NF
BASSA PADANA
65
54
1914 10 27 09 22
NF
GARFAGNANA
70
58
1916 01 26 12 22
NF
VALLE DEL LIRI
70
44
1905 08 25 20 41
RS
SULMONA
70
51
I principali strumenti normativi di riferimento possibili oggetti di
informazione preventiva per il rischio sismico
Il Decreto Ministeriale del 3/06/1981
Il territorio nazionale è suddiviso in zone a diverso grado di pericolosità, ovvero grado di sismicità:
S = 6, 9, 12
Ciascuno di questi gradi di pericolosità individua i coefficienti
sismici da applicare nel calcolo delle fondazioni di qualsiasi struttura.
210
LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
Il “coefficiente di intensità sismica” (Legge del 2/2/1974, n. 64
e Decreto Ministeriale del 3/3/1975):
C = (S-2)/100
È espresso in funzione del “grado di sismicità” S, a cui vengono fatti corrispondere i valori S = 12, 9 e 6.
La quantità S è puramente convenzionale, in quanto non rappresenta alcuna misura fisica degli scuotimenti del terreno attesi
in una data zona.
Il coefficiente C non può quindi essere utilizzato nell’elaborazione della microzonazione sismica che necessita di valori fisici
quali accelerazione o velocità massima del terreno o altri dati fisici del terremoto di riferimento.
Tabelle di interesse vario sui terremoti
Identificazione delle tipologie strutturali (Braga et al., 1985)
Strutture
orizzontali
strutture
verticali
Volte
Solai in legno
Solai con putrelle
Solai in c.a.
Muratura
in pietrame non
squadrato
Muratura
in pietrame
sbozzato
Muratura
in mattoni
o blocchi
Cemento
armato
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
\
\
\
13
Identificazione di tre classi di vulnerabilità corrispondenti alla scala MSK-76
(Braga et al., 1985)
Strutture
orizzontali
strutture verticali
Volte
Solai in legno
Solai con putrelle
Solai in c.a.
Muratura in
pietrame non
squadrato
A
A
B
C
Muratura
in pietrame
sbozzato
A
A
B
C
Muratura in
mattoni o
blocchi
A
C
C
C
Cemento
armato
\
\
\
C
211
Distribuzione delle percentuali di abitazioni nelle classi
di vulnerabilità distinte per fasce di età
GNDT
A
%
B
%
C
%
ISTAT
muratura < 1915
50
45
5
muratura < 1919
muratura 1916-1942
20
60
20
muratura 1919-1945
muratura 1943-1962
10
45
45
muratura 1946-1960
muratura 1963-1975
2
20
78
muratura 1961-1975
muratura >1975
1
15
84
muratura 1976-1981
cemento armato
0
0
100
cemento armato
Definizione dei livelli di danno secondo la scala MSK-76 (Medvedev, 1977)
Livello danno
Descrizione
0
nessun danno
1
danno lieve: sottili fessure e caduta di piccole parti dell’intonaco
2
danno medio: piccole fessure nelle pareti, caduta di porzioni consistenti di intonaco, fessure nei camini parte dei quali cadono
3
danno forte: formazione di ampie fessure nei muri, caduta dei
camini
4
distruzione: distacchi fra le pareti, possibile collasso di porzioni
di edifici, parti di edificio separate si sconnettono, collasso di pareti interne
5
danno totale: collasso totale dell’edificio
Percentuale di danneggiamento degli edifici, in funzione dell’intensità,
della tipologia e del livello di danno, secondo la scala MSK-76 (Medvedev, 1977)
Classe di vulnerabilità delle abitazioni
Intensità
212
A
B
C
V
5% danno 1
-
-
VI
5% danno 2
50% danno 1
5% danno 1
-
VII
5% danno 4
50% danno 3
50% danno 2
5% danno 3
50% danno 1
5% danno 2
VIII
5% danno 5
50% danno 4
5% danno 4
50% danno 3
5% danno 3
50% danno 2
LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
(segue) Percentuale di danneggiamento degli edifici, in funzione dell’intensità,
della tipologia e del livello di danno, secondo la scala MSK-76 (Medvedev, 1977)
Classe di vulnerabilità delle abitazioni
Intensità
A
B
C
IX
50% danno 5
5% danno 5
50% danno 4
5% danno 4
50% danno 3
X
75% danno 5
50% danno 5
5% danno 5
50% danno 4
Matrici di probabilità di danno (Braga et al., 1982, 1985)
Intensità
VI
VII
VIII
IX
X
Intensità
VI
VII
VIII
IX
X
Intensità
VI
VII
VIII
IX
X
0
0,188
0,064
0,002
0,0
0,0
0
0,36
0,188
0,031
0,002
0,0
0
0,715
0,401
0,131
0,050
0,005
1
0,373
0,234
0,020
0,001
0,0
CLASSE A
Livello di danno
2
3
0,296
0,117
0,344
0,252
0,108
0,287
0,017
0,111
0,002
0,030
4
0,023
0,092
0,381
0,372
0,234
5
0,002
0,014
0,202
0,498
0,734
CLASSE B
Livello di danno
1
2
3
0,408
0,185
0,042
0,373
0,296
0,117
0,155
0,312
0,313
0,022
0,114
0,293
0,001
0,017
0,111
4
0,005
0,023
0,157
0,376
0,372
5
0,0
0,002
0,032
0,193
0,498
CLASSE C
Livello di danno
2
3
0,035
0,002
0,161
0,032
0,330
0,165
0,337
0,276
0,181
0,336
4
0,0
0,003
0,041
0,113
0,312
5
0,0
0,0
0,004
0,018
0,116
1
0,248
0,402
0,329
0,206
0,049
213
Stima dei danni medi annui
Danno
Numero di abitazioni
Superficie mq
Crolli totali
1358
100.000
Inagibilità (Danno grave)
13.038
975.000
Danno Medio
114.990
8.510.000
Simulazione di scenari
Terremoto
I
MSK
Abitazioni
crollate
Abitazioni
inagibili
Persone
potenzialmente
coinvolte da crolli
Persone
senza
tetto
X
26.405
113.967
74.893
307.274
Irpinia (1980)
IX-X
2.601
39.165
8.484
119.223
Lazio - Abruzzo
(1984)
VIII
415
7.350
753
16.284
Messina e Reggio
(1908)
Confronto fra danni previsti e danni rilevati
a seguito del terremoto in Irpinia
Dati rilevati
(Ministero
Beni Culturali
e Ambientali)
Dati previsti
(epicentro
in posizione
originale)
Dati previsti
(epicentro
spostato
di 20 km)
Morti
e feriti
11.417
9.809
12.637
Senzatetto
393.879
104.073
57.839
Abitazioni crollate
e danneggiate
475.719
235.603
181.511
214
LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
Note esplicative sulla compilazione della scheda
La scheda va compilata per un intero edificio intendendo per edificio una unità
strutturale “cielo terra”, individuabile per caratteristiche tipologiche e quindi
distinguibile dagli edifici adiacenti per tali caratteristiche e anche per differenza di altezza e/o età di costruzione e/o piani sfalsati, etc.
La scheda è divisa in 8 sezioni. Le informazioni sono generalmente definite annerendo le caselle corrispondenti; in alcune sezioni la presenza di caselle quadrate (❐) indicano la possibilità di multiscelta: in questi casi si possono fornire
più indicazioni; le caselle tonde (❍) indicano la possibilità di una singola scelta.
Dove sono presenti le caselle |__| si deve scrivere in stampatello appoggiando il
testo a sinistra ed i numeri a destra.
Sezione 1 - Identificazione edificio
Indicare i dati di localizzazione: Provincia, Comune e Frazione.
Identificativo scheda - Il rilevatore riporta il proprio numero assegnato dal coordinamento centrale, un numero progressivo di scheda e la data del sopralluogo.
Identificativo edificio - L’organizzazione del rilevamento prevede un Coordinamento Tecnico e la collaborazione dell’ufficio tecnico comunale. Questo ha tra
l’altro il compito di assistenza per l’espletamento del lavoro dei rilevatori e per
l’individuazione degli edifici. L’edificio in generale non è pre-individuato ed è
quindi compito del rilevatore il suo riconoscimento e la sua identificazione sulla
cartografia riportata nello spazio della prima facciata. Il codice identificativo
dell’edificio, costituito dall’insieme dei dati della prima riga nello spazio in grigio, viene poi assegnato, in modo univoco, presso il coordinamento comunale
dove i rilevatori, dopo la visita comunicano l’esito del sopralluogo. La numerazione degli aggregati e degli edifici deve essere tenuta aggiornata in una cartografia generale presso il coordinamento comunale in modo che i rilevatori possano riferire le visite di sopralluogo, che sono richieste in genere su unità
immobiliari, all’edificio che effettivamente le contiene. Per l’identificativo, il n°
di carta, i dati Istat e i dati catastali è necessario quindi avvalersi della collaborazione del coordinamento comunale. Posizione edificio: Se l’edificio non è isolato su tutti i lati, va indicata la sua posizione all’interno dell’aggregato (Interno,
d’estremità, angolo). Denominazione edificio o proprietario: indicare la denominazione se edificio pubblico o il nome del condominio o di uno dei proprietari
se privato (es.: Condominio Verde, Rossi Mario).
Sezione 2 - Descrizione edificio
N° piani totali con interrati: indicare il numero di piani complessivi dell’edificio
dallo spiccato di fondazioni escluso quello di sottotetto se non utilizzato a mansarda. Computare interrati i piani mediamente interrati per più di metà della loro
altezza. Altezza media di piano: indicare l’altezza che meglio approssima la media delle altezze di piano presenti. Superficie media di piano: va indicato l’intervallo che comprende la media delle superfici di tutti i piani. Età (2 opzioni):
218
LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
è possibile fornire 2 indicazioni: la prima è sempre l’età di costruzione, la seconda
è l’eventuale anno in cui si sono effettuati eventuali interventi sulle strutture. Uso
(multiscelta): indicare i tipi di uso compresenti nell’edificio. Utilizzazione: l’indicazione abbandonato si riferisce al caso di non utilizzato in cattive condizioni.
Sezione 3 - Tipologia (massimo 2 opzioni)
Per gli edifici in muratura si possono segnalare le due combinazioni: strutture
orizzontali e verticali prevalenti o più vulnerabili; ad esempio: volte senza catene e muratura in pietrame al 1° livello (2B) e solai rigidi (in c.a.) e muratura in
pietrame al 2° livello (6B). Normalmente i solai in c.a. sono rigidi, quelli in putrelle e voltine e in legno sono deformabili se non è stata realizzato un irrigidimento, mediante tavolato doppio o, meglio ancora, soletta armata ben collegata
alle travi. La muratura è distinta in due tipi in ragione della qualità (materiali, legante, realizzazione) e per ognuno è possibile segnalare anche la presenza di
cordoli o catene se sono sufficientemente diffusi; è anche da rilevare l’eventuale
presenza di pilastri isolati, siano essi in c.a., muratura, acciaio o legno e/o la presenza di situazioni miste muratura e cls armato. Gli edifici si considerano con
strutture intelaiate di c.a. o d’acciaio, se l’intera struttura portante è in c.a. o in
acciaio. Situazioni miste (muratura-telai) vanno indicate nell’apposita colonna
della parte “muratura”. Per le strutture intelaiate le tamponature sono irregolari
quando presentano dissimmetrie in pianta e/o in elevazione o sono in pratica
completamente assenti in un piano in almeno una direzione.
Sezione 4 - Danni ad Elementi strutturali principali...
La classificazione del danno fa riferimento alla Scala Macrosismica Europea
EMS95. Una sommaria descrizione dei livelli è la seguente:
D1 - distacchi di intonaci e/o lesioni capillari o lievi delle strutture, senza espulsione di materiale e/o dislocazioni significative dei componenti (fuori piombo o
perdita di connessione dei solai);
D2-D3 - lesioni di maggiore gravità, con espulsioni localizzate di materiale e significativi distacchi fra solai e pareti e fra pareti ortogonali; evidenza di deformazioni anelastiche nelle zone nodali di telai di acciaio o c.a.;
D4-D5 - crolli o dislocazioni macroscopiche dei componenti strutturali; sconnessioni nelle zone nodali dei telai in acciaio o in c.a.
Si devono segnare solo le caselle relative ad ogni livello di danno ed estensione
presente e con riferimento alla totalità della struttura considerata. Ad esempio:
danni medio-gravi alle strutture verticali estesi per meno di 1/3 (1F) e danni leggeri per la parte restante (1H).
Il danno sulle tamponature e i tramezzi è importante soprattutto per le strutture
in c.a..
Danno preesistente: è un informazione globale riferita a tutti gli elementi strutturali principali dell’edificio con le stesse modalità.
Provvedimenti di pronto intervento eseguiti: sono quelli che con tempi e mezzi
limitati conseguono una eliminazione o riduzione accettabile di rischio; vanno
indicati quelli eventualmente già messi in atto.
219
Sezione 5 - Danni ad elementi non strutturali...
Per gli elementi non strutturali va indicata la presenza del danno e gli eventuali
provvedimenti già in atto, con modalità multiscelta.
Sezione 6 - Pericolo esterno ed interventi di (p.i.) eseguiti
Indicare i pericoli indotti da costruzioni adiacenti e/o dal contesto e gli eventuali
provvedimenti presi, con modalità multiscelta.
Sezione 7 - Terreno e fondazioni
Va individuata la morfologia del sito ed eventuali dissesti sul terreno e/o sulla
fondazione, in atto o temibili.
Sezione 8 - Giudizio di Agibilità
Il rilevatore stabilisce le condizioni di rischio dell’edificio (tabella valutazione
del rischio) sulla base delle informazioni raccolte, dell’ispezione visiva e delle
proprie valutazioni, relativamente alle condizioni strutturali (Sezione 3 e 4 - Tipologia e danno), alle condizioni degli elementi non strutturali (Sezione 5), al
pericolo derivante dalle altre costruzioni (Sezione 6) e alla situazione geotecnica (Sezione 7); quindi esprime l’esito del giudizio di agibilità riempiendo il relativo cerchietto. L’esito B va indicato quando la riduzione del rischio si può
conseguire con il pronto intervento (opere di consistenza limitata, di rapida e facile esecuzione che rendono agibile l’edificio). L’esito D solo in casi particolarmente problematici e soprattutto se si tratta di edifici pubblici la cui inagibilità
compromette funzioni importanti.
Provvedimenti di pronto intervento: nel caso di esito B indicare tutti i provvedimenti di pronto intervento necessari per rendere agibile l’edificio.
Sezione 9 - Altre osservazioni
Accuratezza della visita: indicare con quale livello di accuratezza è stato possibile effettuare il sopralluogo soprattutto riguardo alla completezza rispetto alle
varie parti dell’edificio.
Sul danno, sui provvedimenti di pronto intervento, l’agibilità o altro: riportare le
annotazioni che si ritengono importanti per meglio precisare i vari aspetti del rilevamento. L’eventuale fotografia d’insieme dell’edificio deve essere spillata
nel riquadro tratteggiato in chiaro e nel solo angolo in alto a destra.
Il rilevatore, salvo diverse disposizioni ufficiali del Coordinamento Centrale, si
reca al coordinamento comunale per il completamento delle parti della Sezione
1 (individuazione e numerazione dell’edificio, codici Istat, etc) e per depositarvi
il modulo predisposto degli esiti dei sopralluoghi effettuati, destinato al Sindaco
che ha il compito di emettere le eventuali ordinanze di sgombero. La scheda originale, infine, deve essere consegnata all’incaricato presso il Coordinamento
Centrale.
220
LA PIANIFICAZIONE SOCIALE DELLE EMERGENZE
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