Credenza (pistis) / Pensiero dianoetico (diànoia) / Pensiero noetico

MARIO VEGETTI. Quindici lezioni su Platone
Teoria dei “due mondi”?
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PLATONE
Teoria dei «due mondi»?
L’ASSIOMA DI CORRISPONDENZA TRA LIVELLI DI ESSERE E LIVELLI DI CONOSCENZA. In un
celebre passo del l. V della Repubblica, Platone stabiliva con chiarezza un assioma di
corrispondenza fra livelli dell'essere e gradi della conoscenza.
La conoscenza è correlata agli oggetti su cui verte (Rep. 477d):
- se esiste un livello dell'essere dotato di invarianza e autoidentità, e perciò portatore di
verità, allora vi sarà una conoscenza ad esso relativa universale e stabile;
- reciprocamente, se esistono forme di conoscenza diverse, ad esse corrisponderanno
oggetti dotati di un diverso modo d'essere.
«Ciò che compiutamente è [il mondo noetico-ideale] è compiutamente conoscibile, ciò
che in nessun modo è, è del tutto inconoscibile [...]. Ma se vi è qualcosa tale da
essere e non essere [il mondo del divenire], non sarà essa in posizione intermedia fra
ciò che puramente è, da un lato, e ciò che in nessun modo è, dall'altro? [...] Se
dunque la conoscenza si riferisce a ciò che è, l'ignoranza necessariamente a ciò che
non è, dovremo allora cercare, relativamente a questa zona intermedia, anche
qualcosa di intermedio fra l'ignoranza e la scienza? [...]
(Rep. 477a-b).
E’ chiaro che noi conveniamo che l'opinione (dòxa) è cosa diversa dalla scienza
(epistéme) [...]. E la scienza è in qualche modo correlata a ciò che è, per conoscerne il
modo d'essere [...]. L'opinione invece opina proprio la stessa cosa che la scienza
conosce? e il conoscibile e l'opinabile saranno la stessa cosa? o è impossibile? [...] Se
dunque conoscibile è ciò che è, opinabile sarà qualche cosa di diverso da ciò che è
[...]. Se fosse apparso qualcosa che in un certo senso è e non è insieme, questo
sarebbe stato intermedio fra ciò che puramente è e ciò che del tutto non è; né la
scienza né l'ignoranza sarebbero state relative ad esso, bensì a sua volta ciò che
risulta intermedio fra l'ignoranza e la scienza [...]. Ora, intermedia fra di esse è apparso ciò che chiamiamo opinione»
(Rep. 478a-d).
C'è dunque una opposizione polare fra
- "essere" (ambito delle idee) e
- "non essere" (assoluta mancanza di stabilità e di possibilità di determinazione
predicativa),
e una parallela opposizione fra le rispettive forme di conoscenza,
- "scienza" in senso forte e
- sua totale assenza.
Ma c'è inoltre un livello intermedio fra queste polarità: il mondo mutevole e instabile del
divenire, del tempo e della molteplicità, di cui si possiede una conoscenza che ne
condivide la precarietà in termini di verità: si tratta dell'opinione, meno "chiara" e
trasparente della scienza, più "chiara" - più vicina alla verità - dell'assoluto non-sapere.
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L'assioma di corrispondenza sanciva in maniera netta la "separazione" (chorismòs) fra
l'ambito ontologico dell'essere e quello del divenire, e di conseguenza quella fra le rispettive forme di conoscenza, scienza (epistème) e opinione(dòxa).
CONSEGUENZE. Ne derivavano conseguenze di straordinaria importanza.
Sviluppandole coerentemente, risultava che
- da un lato non era possibile possedere conoscenza scientifica del mondo del divenire,
- dall'altro non era possibile avere "opinioni" intorno a quello ideale.
Non si trattava in altri termini di migliorare l'opinione applicando ai suoi saperi una
metodologia migliore perché la sua inferiorità episte-mica non dipendeva dai suoi metodi
bensì dai suoi oggetti: ad es., la medicina, sapere dei corpi e del divenire, non avrebbe
mai potuto diventare in senso proprio "scientifica".
Reciprocamente, i saperi noetici, epistemicamente forti, non avrebbero potuto mai avere
come oggetto il mondo del divenire: non poteva esistere una fisica "scientifica".
Sembra che l'esito dell'assioma di corrispondenza fra essere e conoscenza sia una
radicale separatezza fra i "due mondi": noetico-ideale l’uno, opinabile-empirico l’altro.
IL MODELLO DELLA "LINEA".
Il modello della "linea", introdotto alla fine del l. VI,
produceva un'ulteriore articolazione dei due ambiti, senza attenuarne la separazione (qui
era abbandonata, perché epistemologicamente irrilevante, la polarità negativa di nonessere/non-sapere).
Questa "linea" (da pensarsi come tracciata verticalmente e divisa in segmenti di
grandezza diseguale) configurava la scansione dei livelli d'essere e delle corrispondenti
forme di conoscenza. La si può rappresentare schematicamente in questo modo:
A
MONDO SENSIBILE
D
MONDO PENSABILE
E
C
B
Immagini
Oggetti empirici
Oggetti matematici
Idee
/____________________/_______________//_______________________/__________________/
Immaginazione (eikasìa) / Credenza (pistis)
noetico(noésis)
OPINIONE (DOXA)
/
Pensiero dianoetico (diànoia) / Pensiero
SCIENZA (EPISTEME)
- Al mondo sensibile o empirico (segmento AC) corrisponde dunque la forma di
conoscenza dell'opinione;
- a quello pensabile o ideale (segmento CB), la scienza.
Entrambi i segmenti sono bipartiti secondo un rapporto copia/originale.
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In AD sono comprese le immagini (riflessi, ombre, anche riproduzioni artistiche) degli
oggetti naturali o artificiali compresi in DC;
la conoscenza delle "copie" si chiama "immaginazione" (o anche "simulazione", pensando appunto alla riproduzione artistica che imita gli oggetti, come ad es. la pittura).
La forma di conoscenza dei loro "originali" (animali, piante, manufatti) è chiamata
"credenza" perché consiste nella convinzione ingenua, spontanea, che essi siano i soli
enti realmente esistenti, e che le opinioni che possediamo siano l'unica forma di verità.
In CE sono invece comprese le rappresentazioni visibili (ad esempio i triangoli disegnati,
o le mappe celesti) degli oggetti ideali "originali" inclusi in EB.
La forma di conoscenza propria dei primi è un tipo di pensiero ipotetico-deduttivo, esemplificato in primo luogo da quello matematico; i secondi sono l'oggetto del "pensiero puro",
quello filosofico-dialettico, che va oltre le "ipotesi" in direzione di "principi" non-ipotetici.
DUE MONDI? Il modello della "linea" ribadiva la corrispondenza fra livelli d'essere e gradi
della conoscenza, confermando la separatezza fra i rispettivi ambiti e l'impossibilità di
modificare, verso l'alto o verso il basso, la qualità epistemica della conoscenza se non
mutando l'ambito degli oggetti cui essa si riferisce.
La teoria delle idee sembrava cosi dar luogo a una concezione di due diversi mondi quello dell'essere e della scienza, quello del divenire e dell'opinione - articolati al loro
interno ma rigorosamente separati e non comunicabili.
IL FILOSOFO STRANIERO IN QUESTO MONDO? Le conseguenze di questo esito erano però
di una portata tale da mettere in questione l'asse portante della filosofia platonica, nella
quale l'introduzione delle idee aveva risposto a una esigenza di fondazione critica, non di
negazione o di alternativa epistemica e persino esistenziale, rispetto alla comprensione
intellettuale e all'azione etico-politica che hanno come proprio teatro il campo del tempo e
della storia.
Se infatti la conoscenza vera doveva avere come oggetto un altro mondo, allora in
questo - il mondo dei corpi, del divenire, della politica - il filosofo non poteva che vivere
come uno straniero.
Tale era appunto il ritratto che ne veniva offerto nel Teeteto, esemplato sull'incidente di
Talete caduto nel pozzo e deriso dalla giovane schiava.
«I veri filosofi fin da giovani non conoscono la strada che porta all'agorà, né sanno
dove siano il tribunale o il parlamento o qualsiasi altro luogo pubblico dove la città si
riunisce; le leggi e i decreti, proclamati o scritti, non li vedono né li ascoltano. [...] In
realtà, è solo il loro corpo che si trova nella città e vi abita, ma il pensiero, che
disprezza tutte queste cose considerandole meschine e insignificanti, vola da ogni
parte, come dice Pindaro, "sotto la terra" e ne studia geometricamente la superficie,
o "sopra il cielo" dandosi all'astronomia, e investiga ovunque l'intera natura di ognu-
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no degli enti nella sua universalità, senza mai abbassarsi verso nulla di ciò che gli
sta vicino
(173c-174a).
[...]. Perciò occorre sforzarsi di fuggire da qui per andare al più presto lassù. E
questa fuga significa rendersi simile a un dio per quanto è possibile; questa
somiglianza consiste nel diventare giusto e pio con l'esercizio dell'intelligenza»
(176 a-b).
Questa "fuga" oltre la città, il corpo e la vita in questo mondo, non poteva che portare a
un'interpretazione letterale del mito dell'anima nel Fedro: di quel suo viaggio dopo la
morte corporea che la conduceva "oltre il cielo", nell’iperuranio, e qui all'unica conoscenza
possibile dell’altro mondo, delle idee site nella «pianura della verità» (248b) che vi si
estendeva.
Si riapriva per questa via l'orizzonte del Fedone: la "purezza" della conoscenza
dell'essere vero si può ottenere solo per via di quella "purificazione" che consiste nella
rescissione dei legami con il corpo, con il tempo, con la città degli uomini, dunque nella
morte in questo mondo e nella rinascita nell'altro (il sapere che conserviamo da vivi
consisterà allora in una rammemorazione offuscata di quello acquisito "lassù").
Ma, come si è detto, questo ordine di pensieri produceva una sorta di deviazione
dell'asse del pensiero platonico, benché fosse innegabilmente radicato nella sua struttura
polare, nel suo assetto "a due livelli".
LA GRANDE ALLEGORIA DELLA "CAVERNA". La deviazione appariva però già rettificata,
all'inizio del l. VII della Repubblica, dalla grande allegoria della "caverna", che costituiva
una sorta di messa in movimento, dal punto di vista educativo ed etico, dello statico
modello onto-epistemico della "linea", al quale esso risultava estraneo.
Il linguaggio platonico di queste pagine, interamente intessuto dalle polarità
"alto/basso", "luce/tenebra", "dentro/fuori", sembrava a dire il vero confermare, su di un
piano assiologico oltre che conoscitivo e ontologico, un'interpretazione oppositiva e
alternativa del rapporto fra i "due mondi".
Ma la dinamica dell'allegoria si orientava in realtà in senso opposto.
La condizione umana veniva rappresentata mediante l'immagine di prigionieri incatenati
in una caverna e costretti a rivolgersi verso la sua parete di fondo. Essi potevano vedere
solo le ombre di oggetti che venivano mossi alle loro spalle, proiettate da un fuoco posto
verso l'imboccatura della caverna. Questa condizione corrispondeva a quella del segmento inferiore della linea, i cui oggetti sono realtà sensibili (in copia o in originale), e la cui
forma conoscitiva è quella della "credenza" o dell'"opinione", epistemicamente infondate.
Ma se un prigioniero venisse liberato - si può supporre ad opera di un maestro come il
proto-filosofo Socrate - egli potrebbe risalire verso l'esterno della caverna, scoprendovi il
mondo "vero" della natura illuminata dalla luce solare, che corrispondeva, nel modello
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della "linea", all'ambito degli enti ideali. Questa ascesa significava dunque la possibilità di
un movimento conoscitivo - grazie all'educazione filosofica - che porta dal mondo dei
sensi e dell'opinione a quello delle idee e del pensiero dianoetico e noetico.
UNA CONVERSIONE DELLO SGUARDO INTELLETTUALE. Va subito messa in chiaro
un'importante implicazione dell'allegoria della caverna, che può venir fatta reagire
sull'interpretazione dello stesso modello della "linea".
Non esistono in realtà due mondi, uno "interno" e uno "esterno" alla caverna. Per uomini
che hanno un corpo e vivono nel tempo, c'è un solo mondo, ed è quello della caverna.
"Liberazione" e "ascesa" significano dunque non uno spostamento nello spazio ma una
conversione dello sguardo intellettuale, che lo libera dai vincoli della credenza acritica
nell'immediatezza dei sensi e nelle opinioni trasmesse dall'ambiente sociale, e lo orienta attraverso l'interrogazione filosofica - verso una forma di pensiero più elevata e verso gli
oggetti che le sono propri.
RIDISCENDERE NELLA CAVERNA. Ma l'allegoria comportava una conseguenza anche più
importante. La conversione dello sguardo non può significare una fuga mentale dal
mondo degli uomini che vivono nella caverna, cosi come il Teeteto sembrava suggerire.
I filosofi "liberati" dovevano tornare a rivolgere il loro sguardo verso il "basso", verso i
saperi e la politica di questi uomini. Si trattava anzitutto di un dovere morale nei riguardi di
quei vecchi compagni di prigionia che avevano consentito, nel contesto della città, la
liberazione educativa dei filosofi.
Cosi parleranno i filosofi fondatori ed educatori ai loro discepoli "liberati":
«Dovete, quando è venuto il vostro turno, ridiscendere là dove vivono gli altri e
abituarvi a osservare le immagini oscure; una volta assuefattivi, le vedrete mille
volte meglio di quelli di laggiù, e di ognuna delle immagini saprete che cos'è e che
cosa rappresenta, grazie all'aver visto il vero intorno a ciò che è bello e giusto e
buono. E cosi per noi e per voi la città sarà governata nell'ordine della realtà e non
del sogno»
(Rep., VII, 520 c).
L'aspetto più rilevante di questo passo consiste in una drastica riduzione della separatezza epistemologica che sembrava esser stata introdotta dalla teoria dei "due mondi".
Restava vero che gradi di conoscenza diversi comportano il riferimento a diversi livelli di
essere. Tuttavia, emergeva ora con chiarezza che la conoscenza relativa al livello
ontologico superiore non è alternativa bensì fondativa rispetto a quella del mondo del
divenire. Se di questo mondo si può avere solo opinione e non scienza, esistono però
«opinioni vere» in grado di orientare «correttamente» il nostro pensiero e la nostra prassi
anche nel suo ambito.
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La conoscenza epistemica degli enti noetico-ideali (in questo caso di idee-valore come
quelle di giustizia, bellezza e bontà) svolge quindi un ruolo di fondazione rispetto a queste
«opinioni vere», le garantisce razionalmente e legittima perciò il ruolo di governo nella
"caverna" di coloro che la possiedono, i veri filosofi.
Il loro sguardo si sposta metodicamente dal basso vero l'alto e viceversa, colmando cosi
il varco introdotto dalla separatezza fra i "due mondi": essi sono in grado di
«rivolgerlo verso ciò che è più vero, sempre riferendosi ad esso e
osservandolo nel modo più rigoroso possibile, in modo da istituire anche
quaggiù le norme relative alle cose belle e giuste e buone» (Rep., VI, 484 c-d).
Il ruolo fondativo della conoscenza filosofica, che riapriva il transito fra i "due mondi", non
si esauriva tuttavia nella dimensione etico-politica centrale nell'allegoria della caverna.
Si delineava inoltre, a più livelli, una relazione epistemica fra i "segmenti" del sapere che
il modello della "linea" aveva distinti e isolati.
Nel l. VII della Repubblica uno dei compiti maggiori assegnati alla dialettica filosofica era
quello di una critica ai saperi matematici che non ne demarcava soltanto il limite assoluto
verso l'"alto"
- per segnalarne appunto l'inferiorità onto-epistemologica rispetto al
"pensiero puro" della filosofia - ma distingueva, al loro interno, un modo "corretto" e uno
"scorretto" di praticarli, in relazione alla maggiore o minore capacità astrattivoidealizzante; una critica, dunque, investibile operativamente in una rifondazione delle
matematiche orientata dalla filosofìa.
Rispetto ad esse, del resto, la dialettica si poneva come una sorta di epistemologia
generale, in grado di produrre «una visione d'insieme delle relazioni che le apparentano
reciprocamente fra loro e con la natura dell'essere» (VII, 537c). Secondo il modello della
"linea", dunque, questo ruolo epistemologicamente costruttivo della dialettica rispetto alle
matematiche poteva venir considerato come l'apertura di un rapporto fondativo fra il primo
e il secondo segmento (EB>CE).
Dal canto suo, il Filebo indicava un ulteriore ruolo fondativo delle matematiche rispetto
ai saperi empirici: tanto maggiore era il loro grado di matematizzazione, tanto migliore era
la loro qualità epistemica di «esattezza», sicché se ne poteva stabilire una gerarchia, che
andava dalle tecniche più «esatte» come l'architettura, che «si serve largamente di misure
e strumenti», a quelle meno «precise e certe» come la medicina, l'agricoltura e la musica
(55e-56b). Si trattava qui di un rapporto epistemico che metteva in comunicazione il
secondo con il terzo segmento della "linea" (CE>DC).
Il Filebo si spingeva a dire il vero oltre questo nesso fondativo, delineando una
situazione teorica in cui il piano ideale fungeva da principio di ordine («limite») operante
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all'interno del mondo empirico (Filebo 27 b-c), oppure da «fine» cui era indirizzato il suo
"divenire": ma un'espressione quale «divenire verso l'essenza» (Fil. 26 d), deve essere
considerata quasi un ossimoro rispetto alla configurazione originaria della teoria delle idee
e dei "due mondi", una forzatura sperimentale dei suoi limiti in direzione di una prospettiva
di superamento della "separazione" ontologica.
Tuttavia, la possibilità di aprire un transito, una relazione fondativa diretta fra la stessa
dialettica fìlosofica e i saperi dell'empirico, cioè tra il primo e il terzo segmento della "linea"
(EB>DC), veniva sperimentata anche in dialoghi come il Sofista e il Politico.
Nel primo, le relazioni interne al mondo eidetico venivano usate come una sorta di "rete"
concettuale capace di catturare i nessi costitutivi del campo empirico e di verificare il
significato degli enunciati che lo descrivevano.
Nel secondo, quelle stesse relazioni venivano invece poste al servizio di un progetto di
governo filosofìco della città degli uomini, saldando cosi il circolo fra dialettica e politica
che la Repubblica aveva delineato.
Non veniva meno, con tutto questo, la "separazione" fra i due mondi, quello dell'essere
e della scienza da un lato, quello del divenire e dell'opinione dall'altro. Ma il primo
costituiva ora un «paradigma in cielo» (Rep., IX, 592b) che non era più la meta di
un'evasione dalla "caverna" verso un altro mondo «iperuranio», bensì il criterio di
riferimento per una critica e una rifondazione della vita e dei saperi in questo mondo.
Per dirla in altri termini, l'eros filosofico, rivolto tanto verso la verità dell'essere quanto
verso la giustizia umana, veniva a costituire una mediazione efficace fra i due mondi,
rivolgendo a entrambi il suo desiderio di «generare e partorire nel bello» (Simposio, 206e)
- quella generazione "immortale" che dava luogo, come sappiamo, al sapere e alle leggi di
giustizia (ibid., 209a-e).
TENDENZA ALTERNATIVA E TENDENZA FONDATIVA DELLA RELAZIONE TRA I “DUE MONDI”.
Questa sembrava dunque delinearsi come la tendenza principale del pensiero platonico
intorno alla relazione fra i "due mondi"
- principale ma non esclusiva, perché le si
affiancava costantemente l'altra tendenza, alternativa anziché fondativa.
L'opzione di un diretto investimento del sapere filosofico nella storia e nella politica,
secondo le indicazioni di Repubblica e Politico, sembra aver prevalso fra i compagni più
vicini a Platone.
Anche se le indicazioni testuali autorizzanoopzioni diverse, c'è una tendenza prevalente
nel platonismo di Platone, che va nel senso, come si è visto, di un rapporto di fondazione,
e non di opposizione o alternativa, fra i "due mondi".