il piccolo principe

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CENTRO STUDI
CSI VARESE
8a Edizione 2015
Palestra dell’anima
“L’ESSENZIALE E’ INVISIBILE AGLI OCCHI”
Riflessioni liberamente tratte da “Il Piccolo Principe”
di Antoine de Saint-Exupery
A cura di Domenico Serino
Premessa
Mi chiamo Antoine, Antoine
De Saint-Exupery. Ho una
storia bellissima da raccontarvi; si tratta di un incontro
tanto particolare e coinvolgente che ha cambiato la mia
vita.
Il mio incontro l’ho raccontato
in un libro che ho fatto stampare nel 1943. Ho saputo che
è stato tradotto in 180 lingue
e che lo hanno comprato più
di cento milioni di persone. In
Italia se ne vendono ancora duecentomila copie all’anno. Tra chi lo ha comprato, letto con i propri familiari, e chi lo ha letto perché preso in prestito, quanti
allora conoscono la mia storia? Facciamo duecento milioni? Forse anche molti
di più.
Non dico questo per orgoglio, è un difetto di cui mi sono liberato da tempo, ma
per confidarvi che non mi stanco di far conoscere il messaggio che la creatura
che vi farò conoscere mi ha lasciato. Un tesoro che non posso tenere nascosto,
così ho scelto anche voi per rivivere quei ricordi e quelle emozioni. E voglio farlo
in questa settimana sportiva a Disentis che spero per tutti serena occasione di
crescita.
Mi farete un regalo immenso se vorrete mettermi al corrente delle vostre riflessioni. Forse riuscirete a cogliere preziosità che io non ho colto, perché, sapete,
nonostante tanti sforzi, non sono ancora riuscito a liberarmi completamente dall’
“uomo serio” che per molti anni sono stato.
Nel deserto del Sahara, a migliaia e migliaia di chilometri da ogni presenza umana o forma di civiltà, ho incontrato una creatura straordinaria che ho subito
chiamato “Piccolo Principe”, il mio Piccolo Principe.
Che ci facevo nel deserto del Sahara a migliaia e migliaia di chilometri da ogni
presenza umana e forma di civiltà? Accontento subito la vostra giusta curiosità.
Io ho fatto per tutta la vita l’aviatore; ho iniziato a dodici anni e non ho smesso
più.
La mia passione per il volo è cresciuta col tempo. Invidiavo il volo libero delle
rondini a primavera e le evoluzioni dei gabbiani tra l’azzurro del cielo e del mare.
Ero ritenuto un pilota molto bravo, ma (a voi lo posso confessare), ero diventato
molto imprudente nel mio “osare”.
Chiedevo sempre di più al mio piccolo aereo. Ero così inebriato dal volo, da dimenticare che si trattava di una cosa, di un oggetto meccanico che poteva incepparsi per il cattivo funzionamento di un semplice insignificante bullone.
E così, “osando sempre di più” finii nel deserto del Sahara.
Quando pubblicai il mio libro, lo volli dedicare al mio più caro amico, Leone
Werth.
Quella dedica ora la rivolgo a ciascuno di voi.
“Domando perdono ai bambini di aver dedicato questo libro
A una persona grande.
Ho una scusa seria: questa persona grande è il miglior amico
che abbia al mondo.
Ho una seconda scusa: questa persona grande può capire tutto,
anche i libri per bambini.
E ne ho una terza: questa persona grande abita in Francia, ha
fame, ha freddo e ha molto bisogno di essere consolata.
E se tutte queste scuse non bastano, dedicherò questo libro al
bambino che questa grande persona è stato.
Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se
ne ricordano).
Perciò correggo la mia dedica:
A Leone Werth
“Quando era bambino”
E anche noi tutti dello staff ci associamo ad Antoine, invidiando la vostra innocenza e desiderando fortemente di riconquistare la nostra.
PRIMO GIORNO
Da piccolo mi piaceva molto disegnare. Volevo addirittura diventare pittore.
Ero convinto di fare disegni chiari, semplici da interpretare. Invece i grandi non
sapevano guardare dentro, non capivano nulla di quello che volevo trasmettere.
Bisogna sempre spiegarle le cose ai grandi. I grandi non capiscono mai
niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta.
Proviamo con voi. Cosa rappresenta questo disegno?
Per i grandi è un banale cappello.
Invece
Ecco voi lo avete capito subito.
Allora, deluso, smisi di disegnare e volli diventare aviatore.
Viaggiai molto e incontrai molte persone. Quando incontravo qualcuno che mi
sembrava di mente aperta, gli mostravo il mio disegno, sperando che non mi
dicesse: “è un cappello”. E invece …
Per molti anni vissi in pratica solo; non incontrai nessuno che sapeva vedere
dentro.
Finché non precipitai col mio aereo in pieno deserto del Sahara.
Avevo acqua sufficiente per una settimana e, se volevo salvarmi, dovevo sbrigarmi a riparare il mio aereo.
La prima notte dormii sulla sabbia, sotto un cielo tanto ricco di luci da farmi sentire ancora più piccolo e solo.
All’alba fui svegliato da una vocina: “Mi disegni, per favore una pecora?”
Non credevo alle mie orecchie. Non sapevo se ridere o piangere, Ero nel deserto in compagnia delle stelle e dei miei pensieri carichi di preoccupazione. Chi
poteva farmi una simile richiesta?
Mettetevi nei mie panni e immaginatevi quello che provai quando vidi davanti a
me una straordinaria personcina che mi esaminava con grande serietà.
Ne ho fatto un disegno, ma è molto lontano dalla realtà. Ve lo mostro per darvene un’idea.
Da dove veniva quell’ometto? Non sembrava nemmeno stanco o impaurito. Non
mi diede nessuna spiegazione, ma rifece la stessa richiesta, sempre molto educatamente: “Per piacere, disegnami una pecora”.
Come vi dicevo, avevo smesso da anni di disegnare, ma pur di accontentare
quel bambino misterioso, feci velocemente lo schizzo (era la cosa che mi riusciva meglio) del disegno n. 1, quello del boa dal di fuori.
Mi sentii dire: “No, no, no! Non voglio l’elefante dentro il boa. Il boa è molto pericoloso e l’elefante molto ingombrante. Dove vivo io, tutto è molto piccolo. Ho
bisogno di una pecora. Disegnami una pecora”.
Provai a disegnarne una serie: una non andava bene perché sembrava malaticcia; ad un’altra feci delle piccole corna, e a lui non piacque perché rassomigliava
ad un ariete. Il terzo disegno lo scartò subito, quasi offeso; disse che era troppo
vecchia. “Voglio una pecora che possa vivere a lungo!”
Allora, credendo di essere spiritoso, disegnai una scatola con tre buchi, dicendo: “Questa è soltanto la cassetta. La pecora che volevi sta dentro”. E quel
bambino, che sapeva “vedere dentro” ne fu entusiasta. Era proprio la pecora
che voleva.
Fatta la pecora, bisognava pensare a come mantenerla. “Pensi che questa pecora dovrà avere una grande quantità di erba? … Perché dove vivo io tutto è
molto piccolo …”.
Cercai di tranquillizzarlo: “Ci sarà certamente abbastanza erba per lei; è molto
piccola la pecora che ti ho data”.
“Non così piccola che … Oh, guarda! Si è messa a dormire …”
Fu così che conobbi il mio Piccolo Principe.
Guida alla riflessione.
Conosci già la storia del Piccolo Principe?
Per aver letto il libro o perché qualcuno te ne ha parlato?
Noi cercheremo di conoscerla bene e soprattutto vogliamo, come il Piccolo
Principe, abituarci a “vedere dentro”. Cosa significa per te “vedere dentro?”
E’ veramente molto strano l’incontro nel deserto tra l’aviatore ed il Piccolo Principe. Nessuna presentazione, nessuna spiegazione e poi quella strana richiesta e quel considerare perfetto il disegno di una scatola con tre buchi, che conteneva una pecora addormentata.
Cosa hai intuito, in questo primo giorno, del carattere, dei desideri, delle preoccupazioni e della provenienza del Piccolo Principe?
Fai anche tu qualche disegno. Forse sei più bravo e convincente dell’aviatore.
SECONDO GIORNO
Ci misi molto tempo a capire da dove venisse il Piccolo Principe. Lo intuii dalle
sue preoccupazioni e dai suoi desideri. Come tutti i bambini mi bombardava di
domande e non si accontentava facilmente delle mie risposte. Sembrava poi
non aver capito per niente la mia drammatica situazione. Finalmente, quando mi
vide armeggiare attorno al mio aeroplano, si decise a chiedermi: “ Cos’è questa
cosa?”.
“Non è una cosa - risposi risentito - vola”.
“Come? Sei caduto dal cielo? - e scoppiò in una sonora risata - Allora anche tu
vieni dal cielo! Di quale pianeta sei?”
Allora capii che il Piccolo Principe non era una creatura terrena. “Tu vieni dunque da un altro pianeta?” Non mi rispose, ma guardando con sufficienza il mio
aereo disse: “Certo che su quello non puoi venire da molto lontano …”
Poi si immerse nei suoi pensieri che erano concentrati sulla sua pecora.
“La cassetta che mi hai dato le servirà da casa per la notte”.
“Ti darò anche una corda e un paletto per legare la pecora durante il giorno”,
cercai di tranquillizzarlo.
“Legarla? Che buffa idea”.
“Ma per non farla andare in giro, si perderà”.
“Ma dove vuoi che vada … E’ talmente piccolo da me!”
Così capii che il suo pianeta era poco più grande di una casa.
Doveva essere un asteroide, uno dei tanti piccolissimi asteroidi sperduti nell’universo.
Quello del Piccolo Principe era l’asteroide B612 (gli astronomi li codificano proprio con una lettera ed un numero) ed era stato scoperto da un astronomo turco.
Lo studioso in questione, quando aveva fatto la sua scoperta, era vestito da
“turco” e per questo non era stato preso sul serio. Durante un convegno organizzato da astronomi occidentali si vestì da europeo, con un abito elegantissimo, e allora gli credettero e lo osannarono.
I grandi amano le apparenze e le cifre. Se ai grandi parlate di un nuovo amico
non vi domandano mai: qual è il tono della sua voce; quali sono i suoi giochi
preferiti; se fa collezione di farfalle. Vi domandano: che età ha; se ha fratelli;
quanto pesa; quanto guadagna suo padre. Allora soltanto credono di conoscerlo.
Se voi dite ai grandi: ho visto una bella casa in mattoni rosa, con dei gerani alle
finestre, dei colombi sul tetto; loro non sanno immaginarla. Bisogna dire: ho visto una casa che costa più di un milione di euro … Allora esclamano: “com’è
bella!”
Così, se voi dite: “La prova che il Piccolo Principe è esistito sta nel fatto che era
bellissimo, che rideva, che voleva una pecora.” Loro, i grandi, alzano le spalle e
vi tratteranno da bambini.
Ma se voi dite che l’asteroide da dove veniva è l’asteroide B612, allora ne sono
convinti.
I grandi sono fatti così e i bambini devono essere indulgenti con i grandi.
Il mio Piccolo Principe era una creatura vera ed io volevo raccontare il nostro
incontro senza ricorrere al linguaggio delle favole. Non volevo dimenticare niente di lui ( è triste dimenticare un amico), volevo conoscerlo bene. Lui però non
mi diceva niente, non mi aiutava a capirlo. Forse perché credeva che fossi come
lui, che non ci fosse bisogno di tante informazioni per capire un amico. Io sfortunatamente non sapevo vedere le pecore attraverso le casse. Ero ancora un po’
come i grandi.
Dalle sue domande mi rendevo conto delle preoccupazioni che lo rattristavano;
dai suoi dubbi percepivo il bisogno di conforto e di aiuto. Così, da una apparentemente semplice domanda, venni a conoscere il “dramma dei baobab”.
“E’ proprio vero che le pecore mangiano gli arbusti?” , mi chiese a bruciapelo.
“Sì, è vero”, risposi senza capire dove volesse arrivare.
“Allora mangiano anche i baobab?” .
Sul pianeta B612 erano caduti dei semi non si sa come. Semi buoni e semi cattivi. Quelli buoni potevano germogliare ed abbellire con i loro ramoscelli quel
piccolo spazio. Ma se germogliavano i semi dei baobab? Sarebbe stata una tragedia. Ecco perché era importante che la pecora mangiasse subito i loro germogli, senza farli crescere nemmeno di un centimetro.
Se si tratta di una pianta cattiva, bisogna strapparla subito, appena la si è
riconosciuta.
Il pianeta del Piccolo Principe sarebbe scoppiato se si fosse sviluppata anche
una sola piantina di baobab.
“E’ una questione di disciplina”, mi diceva il Piccolo Principe. “Quando si ha finito di lavarsi al mattino, bisogna fare con cura la pulizia del pianeta. Bisogna costringersi regolarmente a strappare i baobab appena li si distingue dai rosai ai
quali assomigliano molto quando sono piccoli. E’ un lavoro molto noioso, ma
facile”.
Il Piccolo Principe era così convinto dell’efficacia di questo suo metodo che insistette molto perché lo spiegassi, per convincerli, ai bambini del mio paese. Cosa
che faccio molto volentieri anche con voi, miei nuovi piccoli amici.
“Se un giorno viaggeranno, questo consiglio potrà servire. Qualche volta è senza inconvenienti rimettere a più tardi il proprio lavoro. Ma se si tratta di baobab,
è sempre una catastrofe. Ho conosciuto un pianeta, abitato da un pigro. Aveva
trascurato tre arbusti …”
Rimasi convinto del ragionamento del Piccolo Principe. Effettivamente il pericolo
dei baobab è poco conosciuto e i rischi sono tantissimi.
Ragazzi, fate attenzione ai baobab!
Per dare forza a questo consiglio.
Disegnai subito le conseguenze
dei baobab su un pianeta.
Si era fatto tardi e andammo a
riposare con in testa l’impegno di
non far crescere i baobab.
Guida alla riflessione.
Cosa è essenziale per conoscere una persona?
Cosa aiuta e cosa invece limita una buona conoscenza?
Da quali “apparenze” ci lasciamo facilmente condizionare?
Proviamo a ricordare qualche nostra esperienza in cui ci siamo sentiti giudicati
senza essere adeguatamente conosciuti e quando abbiamo fatto altrettanto con
gli altri.
Semi buoni e semi cattivi: da cosa si distinguono e si differenziano?.
Cosa può rappresentare il baobab?
Quali conseguenze possono avere i semi cattivi quando crescono e occupano il
cuore dei ragazzi?
Tu come ti comporti con il dovere di “fare pulizia, mettere in ordine, prestare attenzione, non lasciare invadere la tua vita, i tuoi spazi dalle erbacce?
TERZO GIORNO
Il mattino seguente, invece di salutarmi con il classico “Buon giorno!”, il mio amico iniziò con le sue domande: “Mi piacciono tanto i tramonti. Andiamo a vedere
un tramonto”.
Il sole era appena spuntato e lui mi chiedeva un tramonto. Non finiva di meravigliarmi.
“Ma bisogna aspettare …”
“Aspettare che?”
“Che il sole tramonti”.
“Hai ragione. Credo di essere sempre a casa mia …”
Nel suo pianeta il Piccolo Principe poteva vedere quanti tramonti voleva. Bastava spostare la sedia di qualche passo e … gustarsi lo spettacolo di un nuovo
immediato tramonto.
“Un giorno ho visto il sole tramontare quarantatre volte! Sai, quando si è tristi, si
amano i tramonti”.
“Il giorno delle quarantaquattro volte eri molto triste?” Ma il Piccolo principe non
rispose.
E adesso siamo arrivati al nocciolo della questione, ci misi un bel po’ a convincermi che il mio Piccolo principe aveva una grande preoccupazione.
Sul suo pianeta era nata, da un seme venuto chissà da dove, una rosa. E
lui doveva assolutamente proteggerla. Era la sua rosa. Il suo tesoro. E non ce
n’erano altre di uguali nell’universo.
Era stato felice di apprendere che la sua pecora mangiava i germogli e le piantine appena nate. Questo andava benissimo per i baobab … “ Ma se mangiava
con gli arbusti anche i fiori? Anche i fiori con le spine? Allora le spine a cosa
servono?”
Tutto questo mentre mi adoperavo a riparare il mio aereo. Così risposi distrattamente, senza convinzione: “Le spine non servono a niente. E’ pura cattiveria da
parte dei fiori”.
Il Piccolo Principe reagì molto risentito.
“Non ti credo! I fiori sono deboli. Sono ingenui. Si rassicurano come possono. Si
credono terribili con le loro spine …”
Mi scusai per la mia brusca risposta. Ero nervoso per quel maledetto bullone
che proprio non voleva svitarsi. Il tempo passava, l’acqua scarseggiava ed il mio
aereo era ancora un rottame.
“Ho risposto una cosa qualsiasi. Mi occupo di cose serie io!”
“Di cose serie? Parli come i grandi. Tu confondi tutto … Tu mescoli tutto!”
Il Piccolo Principe era molto arrabbiato e deluso.
Allora cominciò a raccontare.
“Conosco un pianeta abitato dal Sig. Chermisi. Non ha mai respirato un fiore.
Non ha mai guardato una stella. Non ha mai voluto bene a nessuno. Non fa altro che addizioni. E tutto il giorno ripete come te: io sono un uomo serio! E si
gonfia di orgoglio. Ma non è un fiore, è un fungo”.
Era troppo accalorato e non riusciva a calmarsi. “Non è una cosa seria cercare
di capire perché i fiori si danno tanto da fare per fabbricarsi delle spine che non
servono a niente? Non è importante la guerra tra le pecore e i fiori? Non è più
serio e più importante delle addizioni di un grosso signore rosso? E se io conosco un fiore unico al mondo, che non esiste da nessuna parte, altro che nel mio
pianeta e che una piccola pecora può distruggere di colpo, così, un mattino,
senza rendersi conto di quello che fa. Non è importante questo? Se qualcuno
ama un fiore di cui esiste un solo esemplare, in milioni e milioni di stelle, questo
basta a farlo felice quando lo guarda. Ma se la pecora mangia il fiore, è come se
per lui tutto a un tratto, tutte le stelle si spegnessero.
E non è importante questo?”
E il Piccolo Principe scoppiò in singhiozzi.
Allora gettai il martello e tutti gli altri attrezzi; non mi preoccupai più della sete e
nemmeno della morte. Dovevo consolare quella delicata creatura, così preoccupata per la sua rosa.
Lo presi in braccio e lo cullai come meglio sapevo.
“Il fiore che tu ami non è in pericolo … Disegnerò una museruola per la tua pecora … E una corazza per il tuo fiore …” Non sapevo cosa dire ancora; mi sentivo impotente di fronte a tanto dolore.
Il paese delle lacrime è così misterioso.
Quando finalmente si calmò, mi informò che sul suo pianeta nascevano ed appassivano molti piccoli fiori che non occupavano molto posto. Ma la sua rosa
era proprio unica.
Quando germogliò il primo ramoscello non somigliava a nessun altro ramoscello.
Poi apparve un bocciolo e il fiore non smetteva di prepararsi ad essere bello.
Sceglieva con cura i suoi colori, aggiustava i suoi petali ad uno ad uno. La sua
misteriosa toeletta era durata giorni e giorni. Un mattino, proprio all’ora del levar
del sole, si era mostrato in tutto suo splendore.
“Come sei bello!” Il Piccolo Principe ne era estasiato, anche se aveva notato nel
suo fiore una certa civetteria e vanità.
Sullo stelo aveva quattro spine e la rosa giustificò la loro presenza dicendo: (era
un fiore parlante): “Possono venire le tigri, con i loro artigli!”
“Non ci sono tigri sul mio pianeta - aveva obiettato il Piccolo Principe – e poi le
tigri non mangiano l’erba”.
“Io non sono un’erba”, aveva risposto la rosa. E cominciò ad avanzare tutta una
serie di pretese.
“Ho paura delle correnti d’aria … Procurami un paravento. E la sera mettimi sotto una campana di vetro per ripararmi dal freddo”.
Era un fiore molto esigente … Quasi antipatico.
Il Piccolo Principe gli aveva dato troppa importanza. Capì che rischiava di
diventarne schiavo e così, approfittando del passaggio di uno stormo di
uccelli migratori, decise di lasciare il suo pianeta.
Guida alla riflessione.
“Sai, quando si è tristi, si amano i tramonti”. E tu, quando sei triste, come risolvi
o cerchi di calmare la tua tristezza?
Cosa ti rende triste?
“Sono un uomo serio, io!” Cosa significa normalmente questa espressione?
Cosa significa per il Piccolo Principe? E cosa significa per te?
Perché per Il Piccolo Principe era così importante la sua rosa?
Tu hai qualcosa che senti preziosa e proprio tua?
Cosa fa di una creatura o di un oggetto un “essere” unico al mondo?
La civetteria, la vanità, le pretese della rosa disturbano a tal punto il Piccolo
Principe che, per non diventare il suo schiavo, nonostante l’amasse moltissimo,
decide di lasciare il suo pianeta, di abbandonare in pratica al suo destino quel
fiore delicato. Non ti sembra che abbia esagerato? Potrà liberarsi da ogni preoccupazione o addirittura dimenticarla?
Cosa pensi riguardo all’idea del Piccolo Principe che le cose che ami più di te
stesso possano renderti schiavo e che per crescere, ad un certo punto, tu debba avere la forza di rinunciare a loro?
QUARTO GIORNO
Prima di lasciare il suo pianeta, il Piccolo principe mise tutto in ordine: spazzolò
il camino dei suoi due vulcani in attività e anche quello del vulcano spento (non
si sa mai), strappò gli ultimi germogli di baobab e Innaffiò per l’ultima volta il suo
fiore.
Quando si preparò a metterlo al riparo sotto la campana di vetro, scoprì che aveva una gran voglia di piangere.
Aveva giudicato il suo fiore dalle parole, dette magari con arroganza. Non aveva
guardato e considerato i fatti.
“Avrei dovuto non ascoltarlo - mi confidò – non bisogna mai ascoltare i fiori. Basta guardarli e respirarli. Il mio profumava il mio pianeta, ma non sapevo rallegrarmene. Mi profumava e mi illuminava. Non avrei dovuto venirmene via! Avrei
dovuto indovinare la sua tenerezza dietro le piccole astuzie. I fiori sono così
contraddittori!”
Ma ormai aveva deciso … e il Piccolo Principe partì.
Si trovava nella regione degli asteroidi 325, 326, 327, 328, 329, 330.
Cominciò a visitarli uno per uno. Voleva istruirsi, imparare, capire.
Il primo asteroide era abitato da un re.
“Ah! Ecco un suddito” esclamò il re appena vide
il Piccolo Principe. Per i re tutti gli uomini sono
sudditi.
Il re dell’asteroide 325 occupava con il suo trono
ed il suo mantello tutto il pianeta.
Era convinto però di essere un re “universale”, di
regnare cioè su tutti i pianeti e su tutte le stelle.
Era anche convinto di essere un re giusto e saggio perché dava solo ordini ragionevoli e per
questo non tollerava nessuna disobbedienza.
Lui ordinava quello che il suddito desiderava. Più
“democratico” di cosi!
Il Piccolo Principe sperimentò le qualità del re
dall’ arrivo alla partenza.
Vi faccio qualche esempio, altrimenti non potreste apprezzare la saggezza di
questo sovrano.
Il Piccolo Principe era stanco per il viaggio e voleva sedersi. Ma dove? Non c’era spazio in quel regno. Non poté fare a meno di sbadigliare.
“E’ contro l’etichetta sbadigliare alla presenza di un re. Te lo proibisco”.
“Ma sono stanco”, obiettò il Piccolo Principe.
“Allora ti ordino di sbadigliare”.
“Posso sedermi?” Chiese ancora il Piccolo Principe.
“Ti ordino di sederti”, tuonò il re e tirò una falda del suo mantello.
“Sire, scusatemi se vi interrogo …”
“Ti ordino di interrogarmi”.
Non poteva proprio fare a meno di dare ordini.
Ma questo non c’entra con la saggezza. Un attimo, non ho ancora finito, un po’
di pazienza! In questo mio racconto non dovete aver fretta altrimenti rischiate di
capire ben poco di tutto.
Quando il Piccolo Principe, in cui si stava insinuando la famosa tristezza, espresse il desiderio di vedere subito un tramonto, il re diede prova della sua immensa saggezza.
“Vorrei tanto vedere un tramonto … Ordinate al sole di tramontare”.
“Bisogna esigere da ciascuno quello che ciascuno può dare – rispose il sovrano
– l’autorità riposa prima di tutto sulla ragione. Ho diritto di esigere l’ubbidienza
perché i miei ordini sono ragionevoli. Avrai il tuo tramonto quando si verificheranno le condizioni favorevoli. Questa sera, verso le diciannove e quaranta. E
vedrai che sarò ubbidito a puntino”.
Soddisfatti per la dimostrazione?
Il Piccolo Principe era già stufo di quel minuscolo regno e del suo sovrano.
“Non ho più niente da fare qui, me ne vado”.
“Non partire – lo supplicò il re – ti farò ministro della giustizia”.
“Ma non c’è nessuno da giudicare!” Protestò il Piccolo Principe.
“Non si sa mai … Giudicherai te stesso. E’ la cosa più difficile. E’ molto più
difficile giudicare se stessi che gli altri. Se riesci a giudicarti bene, è segno
che sei veramente saggio”.
“Io posso giudicarmi ovunque. Non ho bisogno di abitare qui”.
Allora il re, che non voleva rimanere senza suddito, esclamò:
“Credo che da qualche parte sul mio pianeta ci sia un vecchio
topo. Potrai giudicare questo vecchio topo. Lo condannerai di
tanto in tanto a morte. Così la sua vita dipenderà dalla tua
giustizia. Ma lo grazierai ogni volta per economizzarlo. Non
ce n’è che uno”.
“Non mi piace condannare a morte, preferisco andarmene”.
“No! … Allora ti nomino mio ambasciatore”.
E a questa condizione lo lasciò partire.
Il piccolo Principe non impiegò molto tempo per giungere sull’asteroide 326.
Era abitato da un vanitoso.
“Ah! Ecco la visita di un ammiratore”.
Per i vanitosi tutti gli uomini sono degli ammiratori.
“Batti le mani l’una contro l’altra. Mi ammiri molto, veramente?”
Una parola strana per il Piccolo Principe, che infatti chiese: “Cosa vuol dire ammirare?”
“Ammirare vuol dire riconoscere che io sono l’uomo più bello, più elegante, più
ricco e più intelligente di tutto il pianeta”.
“Ma tu sei solo sul tuo pianeta!”
“Fammi questo piacere, ammirami lo stesso!”
“Ti ammiro, ma tu che te ne fai?” E il Piccolo Principe lasciò quel pianeta. I vanitosi non sentono altro che le lodi. Aveva imparato abbastanza …
Decisamente i grandi sono ben bizzarri, diceva il Piccolo Principe, durante il
viaggio.
Il terzo pianeta, il 327, era abitato da un ubriacone.
“Che cosa fai?” Chiese il Piccolo Principe all’ubriacone, che stava in silenzio
davanti ad una collezione di bottiglie vuote ed una di bottiglie piene.
“Bevo”, rispose in tono lugubre l’ubriacone.
“Perché bevi?”
“Per dimenticare”.
“Per dimenticare cosa?”
“Per dimenticare che ho vergogna”.
“Vergogna di che?”
“Vergogna di bere”.
Il Piccolo Principe se ne andò perplesso.
I grandi sono decisamente molto, molto bizzarri!
Giuda alla riflessione
Cosa pensi delle considerazioni
del Piccolo Principe quando lascia
il suo pianeta?
Secondo te ha fatto bene a partire lo stesso?
Fai le tue considerazioni sui tre abitanti che il Piccolo Principe incontra in questa
prima parte del suo viaggio.
Hai notato la caratteristica che li accomuna? Sono tutti e tre soli. Due però hanno bisogno di un’altra persona per la loro mania di grandezza, uno invece resta
chiuso nella sua vergogna.
Cosa significa per il Piccolo Principe e per te l’espressione: i grandi sono molto
bizzarri?
QUINTO GIORNO
Giunse così sull’asteroide 328. Era abitato da un uomo d’affari.
Quest’uomo era così occupato che non alzò nemmeno la testa all’arrivo del Piccolo Principe.
“Buon giorno. La vostra sigaretta è spenta” , lo salutò il Piccolo Principe.
“Tre più due: cinque. Cinque più sette: dodici. Dodici più tre: quindici. Buon giorno. Quindici più sette fa ventidue. Ventidue più sette: ventotto. Non ho tempo
per riaccenderla. Ventisei più cinque: trentuno. Ouf! Dunque fa cinquecento e un
milione seicentoventimila settecento trentuno”.
“Cinquecento milioni di che?” Chiese il Piccolo Principe.
Ma l’uomo d’affari era troppo preso dai suoi calcoli per rispondere, anzi si mostrò seccato per l’interruzione e raccontò che in cinquantaquattro anni solo tre
volte era stato disturbato. La prima volta per la caduta di un asteroide, la seconda per una crisi di reumatismi (per forza, non si muoveva mai!) e la terza volta
per la curiosità di questo piccolo … (metteteci voi il sostantivo che ritenete più
opportuno).
“Milioni di che?” Il Piccolo Principe quando faceva una domanda voleva assolutamente una risposta. Alla fine, l’uomo d’affari, pur di continuare in santa pace i
suoi calcoli, rispose: “Milioni di quelle piccole cose che si vedono qualche volta
nel cielo”.
“Di mosche? Di Api?”
“Ma no. Di quelle piccole cose dorate che fanno fantasticare i poltroni.. Ma sono
un uomo serio, io! Non ho tempo di fantasticare.”
“Ah! Di stelle?”
“Eccoci. Di stelle.”
“E che ne fai di cinquecento milioni di stelle?”
“Cinquecento e un milione seicentoventiduemila settecento trentuno. Sono un
uomo serio io, sono un uomo preciso”.
“E che te ne fai di queste stelle?”
“Cosa me ne faccio? Niente. Le possiedo”.
“Tu possiedi le stelle? Ho già veduto
un re che …”
“I re non possiedono. Ci regnano
sopra. E’ molto diverso”.
“E a che serve possedere le stelle?”
“Mi serve ad essere ricco”.
“E a che ti serve essere ricco?”
“A comperare delle altre stelle, se
qualcuno ne trova”.
Questo qui, si disse il Piccolo Principe, ragiona un po’ come l’ubriacone.
Ma non si arrese.
“Come si può possedere le stelle?”
“Di chi sono ?” Rispose arrabbiato l’uomo d’affari.
“Non lo so, di nessuno”.
“Allora sono mie che vi ho pensato per primo”.
“E questo basta?”
“Certo. Quando trovi un diamante che non è di nessuno, è tuo. Quando trovi
un’isola che non è di nessuno, è tua. Quando tu hai un’idea per primo, la fai brevettare, ed è tua. E io possiedo le stelle, perché mai nessuno prima di me si è
sognato di possederle”.
“Questo è vero – disse il Piccolo Principe – ma che te ne fai?”
“Le amministro. Le conto e le riconto. E’ una cosa difficile, ma io sono un uomo
serio!”
Il piccolo Principe non era ancora soddisfatto.
“Io se possiedo un fazzoletto di seta, posso metterlo intorno al collo e portarmelo via. Se possiedo un fiore posso cogliere il mio fiore e portarlo con me. Ma tu
non puoi cogliere le stelle”.
“No, ma posso depositarle in banca”.
“Che cosa vuol dire?”
“Vuol dire che scrivo su un pezzetto di carta il numero delle mie stelle e poi chiudo a chiave questo pezzetto di carta in un cassetto”.
“Tutto qui?”
“E’ sufficiente” concluse l’uomo d’affari.
“Io – disse il Piccolo Principe – possiedo un fiore che innaffio tutti i giorni. Possiedo tre vulcani dei quali spazzo il camino tutte le settimane. Spazzo il camino
anche di quello spento. Non si sa mai. E’ utile ai miei vulcani ed è utile al mio
fiore che io li possegga. Ma tu non sei utile alle stelle …”
L’uomo d’affari aprì la bocca ma non trovò niente da rispondere e il Piccolo Principe se ne andòDecisamente i grandi sono proprio straordinari , si disse semplicemente
durante il viaggio.
Il pianeta 329 era molto strano. Era tanto piccolo che poteva ospitare solo un
lampione e il lampionaio che lo accendeva.
A cosa poteva servire un pianeta senza case, senza abitanti, ma con un lampione e un lampionaio?
Il Piccolo Principe trovò una risposta abbastanza sensata: “Forse quest’uomo è
veramente assurdo. Però è meno assurdo del re, del vanitoso, dell’uomo d’affari
e dell’ubriacone. Almeno il suo lavoro ha un senso. Quando accende il suo lampione, è come se facesse nascere una stella in più o un fiore. Quando lo spegne, addormenta il fiore e la stella. E’ una bellissima occupazione ed è veramente utile perché è bella”.
Mentre il lampionaio svolgeva il suo lavoro (in pratica accendeva e spegneva
continuamente il suo lampione), il Piccolo Principe voleva capire il motivo di quel
lavoro.
“E’ la consegna” si sentì rispondere. Da quando il pianeta poi si era messo a
girare sempre più in fretta, era diventato un lavoro veramente stressante. L’alba
ed il tramonto si alternavano al ritmo di un minuto.
Il Piccolo Principe provò una grande simpatia
per il lampionaio; un uomo tutto d’un pezzo,
fedelissimo alla “consegna”. Provò allora a
suggerirgli un modo per riposarsi.
“Il tuo pianeta è così piccolo che in tre passi
puoi farne il giro. Non hai che camminare
lentamente per rimanere sempre al sole.
Quando vorrai riposarti camminerai e il giorno
durerà finché tu vorrai”.
Ma il lampionaio voleva soprattutto dormire.
Quel consiglio non serviva.
Agli occhi del Piccolo Principe quello non era
un uomo ridicolo.
Forse perché si occupava di altro e non di
se stesso.
Gli era così simpatico che avrebbe voluto
diventarne amico ed abitare con lui. Ma quel
pianeta non poteva ospitare due persone.
Quello che però il Piccolo Principe invidiava di più al lampionaio sapete cos’era?
Lo avete capito benissimo, bravi! Su quel pianeta c’erano millequattrocentocinquanta tramonti nelle ventiquattro ore. …
Continuò allora il suo viaggio.
Il pianeta 330 era grandissimo, dieci volte più grande degli altri ed era abitato da
un signore che scriveva degli enormi libri: un geografo.
“Cos’è questo grosso libro? Cosa fate qui?” Chiese il Piccolo Principe appena
riprese fiato, Era in viaggio da tanto tempo.
“Sono un geografo” disse il vecchio signore.
“Che cos’è un geografo?”
“E’ un sapiente che sa dove si trovano i mari, i fiumi, le città, le montagne e i
deserti”.
Quell’uomo sapiente però non sapeva nemmeno se sul suo pianeta ci fossero
oceani, montagne, città, fiumi e deserti. Lui era un geografo, non un esploratore.
Non poteva perdere tempo per andare in giro a vedere cosa c’era. Lui riceveva
gli esploratori, li interrogava, prendeva appunti, si informava sulla loro moralità
(se dicevano bugie, se si ubriacavano, ecc.) chiedeva prove sull’esistenza dei
mari, delle montagne, delle città ecc., ma non si muoveva mai dal suo ufficio.
Dopo tutte queste spiegazioni, il geografo che aveva scambiato il Piccolo Principe per un grande esploratore, lo supplicò: “Ma tu, tu vieni da lontano! Tu sei un
esploratore! Mi devi descrivere il tuo pianeta!” E si apprestò a prendere appunti.
Li prendeva prima a matita e poi, una volta accertata la moralità dell’esploratore
e le prove dell’esistenza dei mari, dei monti, delle città, ecc., li avrebbe riportati
in bella calligrafia a penna sui suoi libroni.
“Oh! Da me non è molto interessante, è talmente piccolo. Ho tre vulcani, due in
attività e uno spento. Ma non si sa mai. Ho anche un fiore”.
“Noi non annotiamo i fiori”.
“Perché? Sono la cosa più bella”.
“Perché i fiori sono effimeri”.
“Cosa vuol dire effimeri?”
“Vuol dire che è minacciato di scomparire in un tempo breve”.
Allora il Piccolo principe fu preso dall’angoscia. Aveva abbandonato il suo fiore
che aveva solo quattro spine per difendersi ...
Si fece coraggio; ormai doveva concludere il suo viaggio.
“Che cosa mi consigliate di andare a visitare?”
“Il pianeta Terra – gli rispose il geografo – ha una buona reputazione”.
E Il piccolo Principe partì pensando al suo fiore.
Guida alla riflessione
Fai le tue osservazioni sui personaggi che il Piccolo Principe incontra in questo
quinto giorno: l’uomo d’affari, il lampionaio ed il geografo.
Sulla terra esistono personaggi che possono rassomigliare a tipi simili?
Possedere le stelle … Tanti uomini rovinano la loro esistenza anche per molto
poco.
Perché il lampionaio fa tanta tenerezza al Piccolo Principe? Lo trovi anche tu
simpatico?
Il Geografo pretende di conoscere il mondo senza muoversi dal suo ufficio. Cosa è invece necessario per accrescere le proprie conoscenze?
I fiori sono “effimeri” per il geografo e non meritano di essere annotati nel suo
librone. Cos’è per te veramente “effimero?”
Trovi giusto che il Piccolo Principe continui il suo viaggio invece di ritornare subito sul suo pianeta per proteggere e curare il suo fiore?
Tutti soli negli asteroidi visitati dal Piccolo Principe …
Andiamo a conoscere ora chi incontrerà sulla terra.
SESTO GIORNO
La terra non è un pianeta qualsiasi! Ci sono cento e undici re, settemila geografi, novecentomila uomini d’affari, sette milioni e mezzo di ubriaconi, trecentododici milioni di vanitosi e due miliardi circa di adulti. E’ proprio ben fornita di individui per bene, non c’è che dire.
Per darvi un’idea delle dimensioni della terra basta dirvi che prima dell’invenzione dell’elettricità bisognava mantenere un esercito di quattrocentosessantaduemila e cinquecentoundici lampionai.
I movimenti di questa armata di lampionai erano regolati come un balletto di
danza classica. Prima c’era il turno di quelli che accendevano i lampioni in Nuova Zelanda e in Australia. Poi entravano in scena quelli della Cina e della Siberia. Poi veniva il turno dei lampionai della Russia e delle Indie. Poi quelli dell’Africa e dell’Europa. Poi quelli dell’America del Sud e infine quelli dell’America del
Nord. E mai che sbagliassero l’ordine d’entrata. Era uno spettacolo grandioso.
Quelli che menavano una vita oziosa erano il lampionaio del Polo Nord ed il suo
collega del Polo Sud. Lavoravano due volte all’anno.
Il Piccolo Principe “atterrò” nel deserto del Sahara e non conoscendo la geografia terrestre, si meravigliò molto di non incontrare nessun uomo.
Il primo essere vivente che vide fu un serpente.
Era un serpente filosofo e lo istruì su alcune caratteristiche della terra e dei suoi
abitanti.
“Dove sono gli uomini – chiese il Piccolo Principe – si è soli nel deserto …”
“Si è soli anche con gli uomini” disse il serpente.
“Sei un buffo animale, sottile come un dito”.
“Ma sono più potente di un dito di un re”.
“Non sembri molto potente … Non hai neppure le zampe”.
“Posso trasportarti più lontano di un bastimento. Colui che tocco lo restituisco
alla terra da dove è venuto. Ma tu sei puro e vieni da una stella … Mi fai pena,
tu così debole, su questa terra di
granito. Potrò aiutarti un giorno se
rimpiangerai troppo il tuo pianeta.
Posso …”
Il Piccolo Principe se ne andò lasciando il serpente ai suoi enigmi.
Poi il Piccolo Principe incontrò
un piccolo fiore a tre petali.
Anche al fiore chiese degli uomini.
“Non si sa mai dove trovarli. Il
vento li spinge qua e là. Non hanno radici e questo li imbarazza
molto”.
Salì allora su un’altissima montagna. “Vedrò di colpo tutto il pianeta e tutti gli
uomini”; ma non vide altro che guglie di rocce. Provò allora ad instaurare un dialogo, ma l’eco ripeteva le sue ultime parole.
“Siate miei amici. Io sono solo …”
“Io sono solo … Io sono solo … Io sono solo …” ripeteva l’eco.
“Che buffo pianeta; è tutto secco, pieno di punte e tutto salato. Gli uomini mancano di immaginazione. Ripetono ciò che si dice loro … Da me avevo un fiore e
parlava sempre per primo”.
Poi trovò una strada e un giardino fiorito. Era un giardino di rose e assomigliavano tutte al suo fiore.
Il Piccolo Principe ci rimase molto male perché la sua rosa gli aveva raccontato
che era la sola della sua specie in tutto l’universo. Si sentiva ora un principe veramente poco importante: possedeva una qualsiasi rosa e tre vulcani di cui uno
spento. E seduto sull’erba piangeva sconsolato.
In quel momento apparve la volpe.
“Vieni a giocare con me – le propose il Piccolo Principe – sono così triste …”
“Non posso giocare con te – disse la volpe – non sono addomesticata”.
“Cosa vuol dire addomesticata?”
“Non sei di queste parti, tu. Cosa cerchi?”
“Cerco gli uomini”.
“Gli uomini hanno dei fucili e cacciano. Allevano delle galline. E’ il loro solo interesse. Tu cerchi delle galline?”
“No, cerco degli amici. Cosa vuol dire addomesticare?”
“Creare dei legami. Tu fino ad ora per me non sei che un ragazzino uguale
a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di
me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi
addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al
mondo ed io sarò per te unica al mondo”.
“Capisco … C’è un fiore … Credo che mi abbia addomesticato …”
“E’ possibile, capita di tutto sulla terra”.
“Oh! Non è sulla terra”.
La volpe sembrò perplessa. “Su un altro pianeta?”
“Sì”.
“Ci sono cacciatori su questo pianeta?”
“No”.
“Questo mi interessa. E delle galline?”
“No”.
“Non c’è niente di perfetto”, sospirò la volpe. Poi ritornò alla sua idea: “La mia
vita è monotona. Io do la caccia alle galline e gli uomini danno la caccia a me.
Tutte le galline si assomigliano e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio
perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò
un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri.. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi,
guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste!
Ma tu hai dei capelli color d’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del
vento nel grano …”
La volpe tacque e guardò a lungo il Piccolo Principe.
“Per favore … Addomesticami”.
“Volentieri – rispose il Piccolo Principe – ma non ho molto tempo, però. Ho da
scoprire degli amici, e da conoscere molte cose”.
“Non si conoscono che le cose che si addomesticano. Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte.
Ma siccome non esistono mercanti amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu
vuoi un amico, addomesticami!”
“Che bisogna fare?” Domandò il Piccolo Principe.
“Bisogna essere molto pazienti. In principio tu ti sederai un po’ lontano da me,
così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino …”
Il Piccolo Principe tornò l’indomani.
“Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora – disse la volpe – se tu vieni, per
esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice.
Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu
vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore … Ci vogliono i riti”.
“Che cos’è un rito?”
“Anche questa è una cosa da tempo dimenticata. E’ quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore. C’è un rito, per esempio, presso i
miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è
un giorno meraviglioso! Io mi spingo fino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in
un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti. E non avrei mai vacanza”.
E così il Piccolo Principe addomesticò la volpe.
E quando l’ora della partenza fu vicina: “Ah! – disse la volpe – piangerò”.
“La colpa è tua, io non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi …”
“E’ vero” disse la volpe.
“Ma piangerai”.
“E’ certo”.
“Ma allora che ci guadagli?”
“Ci guadagno – disse la volpe – il colore del grano”. Poi aggiunse: “Va’ a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio,
ti regalerò un segreto”.
Il Piccolo Principe se ne andò a rivedere le rose.
“Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente. Nessuno vi ha addomesticato e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete com’era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto
il mio amico ed ora è per me unica al mondo”.
E le rose erano a disagio.
“Voi siete belle, ma siete vuote. Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più
importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiato. Perché è lei che ho messo
sotto la campana di vetro. Perché è lei che ho riparato col paravento. Perché su
di lei ho ucciso i bruchi. Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o
anche qualche volta tacere. Perché è la mia rosa”.
E ritornò dalla volpe. Poi giunse il momento del distacco.
“Addio - disse la volpe – ecco il mio segreto. E’ molto semplice: non si vede
bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.
“L’essenziale è invisibile agli occhi” ripeté il Piccolo Principe per ricordarselo.
“E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così
importante”.
“E’ il tempo che ho perduto per la mia rosa …”
Sussurrò il Piccolo Principe per ricordarselo.
“Gli uomini hanno dimenticato questa verità.
Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di
quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa …”
“Io sono responsabile
della mia rosa …” Ripeté
il Piccolo Principe per
ricordarselo.
Guida alla riflessione.
Il Piccolo Principe incontra sulla terra il serpente, il piccolo fiore con tre petali,
un giardino di rose e la volpe.
Rileggi le loro considerazioni sugli uomini e fai i tuoi commenti.
Particolarmente importante è l’incontro con la volpe. Addomesticandosi reciprocamente creano un rapporto di amicizia e un legame forte che niente potrà distruggere o solo incrinare. Commenta le frasi che ti sembrano più belle, che
condividi, che vorresti mettere in pratica.
“Addomesticarsi” vuol dire creare un legame che può sembrare uguale a tanti
altri, ma non lo è per coloro che ne sono protagonisti. Pensa alla profondità di
questa idea: è questa comunione che rende le persone veramente importanti le
une per le altre. Ci sono miliardi di genitori nel mondo, ma i TUOI sono per te
diversi dagli altri. Lo stesso vale per gli amici, per gli animali, per i giochi, per le
passioni …
Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi: è il segreto
che la volpe dona al Piccolo Principe. Questa frase, per noi responsabili di questa vacanza sportiva, è così importante che l’abbiamo scelta come punto di riferimento del nostro momento formativo.
Se riusciamo a distendere fra gli uomini il filo d’oro dell’amicizia avremo dato
vita alla più preziosa realtà necessaria a tutti sempre.
Prova a riflettere e a scrivere le tue considerazioni sul “segreto” che la volpe
regala al Piccolo Principe.
Elenca che cosa per te è veramente essenziale.
SETTIMO GIORNO
Gli unici uomini che il Piccolo Principe incontrò sulla terra furono: il controllore
dei treni ed il mercante di pillole per calmare la sete. Sullo sfondo, è vero,
c’erano migliaia e migliaia di viaggiatori e di compratori, ma erano rimasti anonimi, non avevano avuto nessun contatto con il Piccolo Principe. E lui continuava
ad essere molto deluso dagli uomini.
“Cosa fai qui?” Domandò il Piccolo Principe al controllore.
“Smisto i viaggiatori a mazzi di mille. Spedisco i treni che li trasportano, a volte a
destra, a volte a sinistra”.
E un rapido illuminato, rombando come un tuono, fece tremare la cabina del
controllore.
”Hanno tutti fretta – disse il Piccolo Principe – cosa cercano?”
“Lo stesso macchinista lo ignora”, rispose il controllore.
Un secondo rapido sfrecciò nel senso opposto.
“Ritornano già?” Domandò il Piccolo Principe.
“Non sono gli stessi. E’ uno scambio”.
“Non erano contenti là dove stavano?”
“Non si è mai contenti dove si sta” disse il controllore.
E rombò il tuono di un terzo rapido.
“Inseguono i primi viaggiatori?” Domandò il Piccolo Principe.
“Non inseguono nulla. Dormono là dentro o sbadigliano tutt’al più. Solamente i
bambini schiacciano il naso contro i vetri”.
“Solo i bambini sanno quello che cercano – disse il Piccolo Principe – Perdono tempo per una bambola di pezza e lei diventa così importante che, se
gli viene tolta, piangono …”
“Beati loro” concluse il controllore.
Poi incontrò il mercante di pillole per calmare la sete.
“Perché vendi quella roba?” Disse il Piccolo Principe.
“E’ una grossa economia di tempo. Gli esperti hanno fatto dei calcoli. Si risparmiano cinquantatrè minuti alla settimana”.
“E cosa se ne fa di questi cinquantatré minuti?”
“Se ne fa quel che si vuole”.
“Io – disse il Piccolo Principe – se avessi cinquantatré minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana …”
Avevo ascoltato il racconto del Piccolo Principe, ma ero molto preoccupato. Non
ero riuscito ancora a riparare il mio aereo e l’acqua era finita. Lo spettro di una
morte atroce si avvicinava sempre più. Alla fine mi lasciai convincere a cercare
un pozzo nell’immensità del deserto.
Ci mettemmo in cammino … Venne la notte con i suoi pensieri. Le stelle cominciarono ad accendersi. Eravamo stanchi e ci sedemmo vicini.
“Un po’ d’acqua può far bene anche al cuore. Le stelle sono belle per un
fiore che non si vede … Il deserto è bello. Ciò che abbellisce il deserto è
che nasconde un pozzo in qualche luogo”.
“Sì – risposi quasi continuando i pensieri del Piccolo Principe – che si
tratti di una casa, delle stelle o del deserto, quello che fa la loro bellezza è
invisibile”.
“Sono contento che tu sia d’accordo con la mia volpe”.
Poi il Piccolo Principe si addormentò. Lo presi delicatamente in braccio e mi rimisi in cammino.
Guardavo quello strano bambino e
pensavo: questo che io vedo non è
che la scorza. Il più importante è invisibile …
Quello che più mi commuoveva in lui
era la sua fedeltà ad un fiore …
Alle prime luci dell’alba vidi il pozzo.
Assomigliava a un pozzo di villaggio,
ma non c’era traccia di vita intorno. E
aveva secchio, carrucola e corda.
Riempii il secchio e lo sollevai fino alle
sue labbra. Poi Bevvi anch’io con gli
occhi chiusi. Era dolce come una festa.
Quest’acqua era ben altra cosa che un
alimento. Era nata dalla marcia sotto le
stelle, dal canto della carrucola, dallo
sforzo delle mie braccia. Faceva bene
al cuore, come un dono.
“Da te, gli uomini – disse il Piccolo
Principe – coltivano cinquemila rose nello stesso giardino … E non trovano quello che cercano …”
“Non lo trovano” risposi.
“E tuttavia quello che cercano potrebbe essere trovato in una sola rosa o
in un po’ d’acqua …”
“Certo”, risposi.
E il Piccolo Principe aggiunse: “Ma gli occhi sono ciechi. Bisogna cercare col
cuore”.
Avevo bevuto. Respiravo bene. La sabbia, al levar del sole, era color miele. Perché sentivo quella strana sensazione di abbandono?
“Devi mantenere la tua promessa” mi disse dolcemente il Piccolo Principe.
“Quale promessa”.
“Sai … Una museruola per la mia pecora … Sono responsabile di quel fiore”.
Disegnai la museruola, ma nel consegnargliela avevo il cuore stretto.
“Ora devi lavorare. Devi riandare dal tuo motore. Ti aspetto qui. Ritorna domani
sera …”
Era passato un anno da quando il Piccolo Principe era arrivato sul Pianeta Terra
per conoscere gli uomini. Aveva viaggiato tra gli asteroidi 325, 326, 327, 328,
329, 330 e aveva incontrato dei personaggi che non lo avevano arricchito, anzi
avevano confermato la sua convinzione che i grandi sono molto strani e bizzarri.
Ora sentiva il bisogno di tornare sul suo asteroide B612, dai suoi tre vulcani, di
cui uno spento, e soprattutto dalla sua rosa.
E proprio nel suo “compleanno” terrestre, in una notte magica e senza luna, di
quelle che esistono solo nei grandi deserti, in un luccichio infinito di stelle, vide il
suo pianeta pigolare di luce, proprio in verticale sul suo capo. Sembrava che lo
chiamasse, che invocasse il suo ritorno. E lui vedeva col cuore il fiore che gli
sorrideva col suo profumo.
La sua rosa ora era maturata, era diventata più indipendente, non era più concentrata sulla sua bellezza, aveva abbandonato orgoglio e pretese. Voleva fortemente il suo amico per prendersi cura reciprocamente.
Sulla terra il Piccolo Principe non aveva più niente da fare. Aveva incontrato in
pratica solo me e, con tutta onestà, non pretendo di poter dare un’immagine del
tutto positiva degli esseri umani.
Però avevo tratto un grande guadagno da questo singolare incontro. Stavo recuperando l’innocenza dei bambini e poi … il mio Piccolo Principe mi aveva proprio “addomesticato”.
Mi dispiaceva moltissimo perderlo.
Per tornare sul suo asteroide aveva scelto l’oblio e lo stordimento del morso del
velenosissimo serpente giallo del Sahara. Lo avevo intuito, ma non potevo accettarlo.
“Ometto, non è vero che è un brutto sogno quella storia del serpente, dell’appuntamento e della stella? …” Non mi rispose, ma ribadì: “quello che è importante, non lo si vede … E’ come per il fiore. Se tu vuoi bene a un fiore che
sta in una stella, è dolce, la notte, guardare il cielo. Tutte le stelle sono fiorite. E’ come per l’acqua. Quella che mi hai dato da bere era come una musica, c’era la carrucola e c’era la corda … Ti ricordi? … Era buona. Guarderai le stelle, la notte. E’ troppo piccolo da me perché ti possa mostrare dove si trova la mia stella. E’ meglio così. La mia stella sarà per te una delle
stelle. Allora, tutte le stelle, ti piacerà guardarle … Tutte, saranno tue amiche. E poi ti voglio fare un regalo … E sarà questo il mio regalo … Sarà
come per l’acqua … Gli uomini hanno delle stelle che non sono le stesse.
Per gli uni, quelli che viaggiano, le stelle sono tutte guide. Per gli altri non
sono che delle piccole luci. Per gli altri, che sono dei sapienti, sono dei
problemi. Per il mio uomo d’affari erano dell’oro. Ma tutte quelle stelle
stanno zitte. Tu, tu avrai delle stelle come nessuno ha … Quando tu guarderai il cielo, la notte, visto che io abiterò in una di esse, visto che io riderò in una di esse, allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero. Tu
avrai, tu solo, delle stelle che sanno ridere ”.
E rideva e rideva il mio Piccolo Principe. Poi tornò serio e disse: “questa notte
… Sai, non venire. Sembrerà che io mi senta male … Sembrerà un po’ che io
muoia”.
Come potevo non andare? Come potevo lasciarlo? Lui allora strinse forte la
mia mano. Lo sentivo tremare … Aveva paura ed era addolorato per me. Accettò la mia presenza e disse, rimproverandomi dolcemente: “Hai avuto torto a ve-
nire. Avrai dispiacere. Sembrerò morto e non sarà vero … Capisci? E’ troppo
lontano il mio pianeta. Non posso portare appresso il mio corpo. E’ troppo pesante. Ma sarà come una vecchia scorza abbandonata. Non sono tristi le vecchie scorze”. Non riuscivo a parlare; un nodo di pianto mi stringeva la gola …
E il mio Piccolo Principe continuò per consolarmi: “Sarà bello, sai. Anch’io guarderò le stelle. Tutte le stelle saranno dei pozzi con una carrucola arrugginita.
Tutte le stelle mi verseranno da bere …” Tacque per qualche secondo … Ora
piangeva. Poi disse ancora: “Sai … il mio fiore … ne sono responsabile! Ed è
talmente debole e talmente ingenuo. Ha quattro spine da niente per proteggersi
dal mondo …”
Mi sedetti vicino a lui, volevo stringerlo, impedirgli di muoversi … Il mio Piccolo
Principe invece si alzò lentamente e fece un passo, un solo passo … Io rimasi
impietrito … Vidi la saetta gialla mordergli la caviglia. Non gridò … Non fece
nemmeno rumore mentre cadeva sulla sabbia …
Avevo riparato il mio aereo, tornai così alla mia
vita e tra i miei amici. Avevo addosso una tristezza che non riuscivo a nascondere e mi giustificavo dicendo che “era la
stanchezza …”
Mi consolava il pensiero
che il mio Piccolo Principe era tornato sul suo
pianeta, dalla sua rosa.
Era giusto così.
Da quando ci siamo lasciati ogni notte guardo le
stelle e ascolto il loro
canto. Una notte mi ricordai di non aver disegnato
la correggia di cuoio per
chiudere la museruola
della pecora che gli avevo “regalato” … Quindi la pecora poteva aver mangiato
la rosa … senza distinguerla dai germogli dei baobab. Ma no … Il Piccolo Principe avrà vegliato e protetto il suo fiore con la campana di vetro … E se si fosse
distratto? … E se la pecora fosse uscita di notte? … Le preoccupazioni del Piccolo Principe erano diventate le mie perché quando si è “addomesticati …”
Non ha più senso per me avere potere (come il re dell’asteroide 325) o sentirmi
importante ed ammirato (come il vanitoso del 326). Non ho bisogno di bere e di
stordirmi per affrontare la realtà (come l’ubriaco del 327), né credere che la ricchezza ed il possedere sia la cosa più importante della vita (come l’uomo d’affari del 328). Ho capito cosa significa “essere fedele alla consegna” (come il lam-
pionaio del 329). Fare il proprio dovere migliora noi stessi e la società tutta. Apprezzo il valore della cultura, di quella vera fatta di esperienza diretta, di incontri,
di viaggi, di confronti (non come quella sterile del geografo del 330).
Che grande maestro è stato per me il mio Piccolo Principe! Ho imparato che è
importante lasciarsi addomesticare. Vedere dentro le cose e le situazioni.
Andare oltre le apparenze. Prendersi cura reciprocamente. Conservare
l’innocenza.
P. S.
Dopo l’incidente nel deserto del Sahara ne ebbi un altro, nel 1944, questa volta
fatale. Il mio aereo scomparve nei cieli della Francia meridionale e il mio corpo
non fu mai ritrovato. Incidente? Qualcuno osò parlare persino di suicidio.
Non conoscevano evidentemente il mio amore per la vita.
Nel 2004, al largo dell’Ile de Riou vennero rinvenuti i rottami del mio aereo e, nel
2008, un ottantenne ex pilota della Luftwaffe raccontò di aver abbattuto il mio
aereo, ma di non averlo mai confessato per le suppliche di uno strano bambino.
Il mio Piccolo Principe temeva di perdermi, qualora avessero cercato e trovato il
mio corpo. Lo incontrai nei fondali al largo del porto di Marsiglia. Era venuto a
prendermi per portarmi sul suo asteroide a vivere per sempre con lui, con la sua
rosa dalle quattro spine e i suoi tre vulcani, di cui uno spento (non si sa mai).
Conclusione.
Il Piccolo Principe non è un libro di favole altrimenti, lo dice l’autore stesso, sarebbe iniziato così: “C’era una volta un Piccolo Principe che viveva su di un pianeta poco più grande di lui e aveva bisogno di un amico …”
Per Antoine De Sait-Exupéry è invece un libro serio. “Non mi piace che si legga il mio libro alla leggera. E’ un grande dispiacere per me confidare questi ricordi. Sono già sei anni che il mio amico se ne è andato con la sua pecora ed io
cerco di descriverlo per non dimenticarlo. E’ triste dimenticare un amico”.
E’ allora un libro sull’amicizia? … Anche!
E’ un libro di critica al mondo degli adulti? … Anche!
E’ un libro di delicata poesia e di rimpianto per dolci tramonti? … Anche!
E’ soprattutto, lo avete capito benissimo, un inno profondo, sincero, prezioso,
solenne e serissimo all’innocenza. All’innocenza propria dei bambini che i grandi
hanno drammaticamente perduto.
Ci sembra importante ricordare l’amore geloso e protettivo che Gesù aveva per i
bambini.
Li presentava come esempi agli stessi discepoli. La loro innocenza era condizione indispensabile per entrare nel regno dei cieli.
Matteo, Marco e Luca sottolineano questi concetti con la stessa forza e quasi
con le stesse parole. Matteo: 18: 1-7; 19:13-15.
Riportiamo il testo del Vangelo di Matteo.
“In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù, dicendo: Chi dunque è il
più grande nel regno dei cieli? Ma egli, chiamato a sé un bambino, lo pose in
mezzo a loro e disse: In verità vi dico, se non vi convertirete e diventerete come
i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Chi dunque si farà umile come questo fanciullo, questo è il più grande nel regno dei cieli e chiunque accoglierà un
bambino come questo nel mio nome, accoglierà me. Ma chi scandalizzerà uno
di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa
una macina girata da asino al collo e fosse gettato nel profondo del mare”.
“Allora gli condussero dei fanciulli perché imponesse loro le mani e pregasse. I
discepoli però li sgridavano. Ma Gesù disse: Lasciate stare i fanciulli e non impedite loro di venire da me, perché il regno dei cieli è di quelli che sono come
loro”.
In questa settimana abbiamo fatto tante esperienze, tante attività, tanto sport;
ma anche, con l’aiuto del Piccolo Principe, siamo stati invitati a fare tante bellissime ed importanti riflessioni. Auguriamo a voi ed a noi dello staff di essere ora
capaci di mettere in pratica almeno uno o due propositi che questa originalissima storia ci ha ispirato.
Prima di lasciarci, vi vogliamo confidare un segreto. Noi ci siamo trovati benissimo con voi perché nel profondo del nostro cuore abbiamo conservato l’entusiasmo, la meraviglia e, almeno un po’, dell’innocenza tipica dei bambini. Perché
quelli che si ritengono grandi non perdono il loro prezioso tempo a far giocare i bambini. Hanno cose più importanti da fare, loro …
Ci siamo convinti con voi che l’essenziale è invisibile agli occhi.
Ora non ci resta che lasciarci “addomesticare” dalla gioia di vivere, dalla generosità, dallo spirito di accoglienza e rispetto reciproco, dalla voglia di rimanere fedeli alla “consegna”, di fare cioè sempre il nostro dovere, dall’ottimismo, dalla
speranza. Contribuiremo così a migliorare almeno un po’ il pianeta Terra.
Il vostro Staff
APPENDICE
Il CSI per il Comune di Varese - Area VI - Servizi alla Persona
HA COLLABORATO PER:
" Un cantiere di idee ed esperienze
verso Expo 2015"
capitolo
IL MOVIMENTO
verifica delle qualità motorie degli allievi della scuola primaria
I TEST DEL CENTRO STUDI CSI
Costituiscono una misurazione oggettiva delle capacità motorie del bambino che cresce, per sollecitarlo anche all'autovalutazione.
Gli allievi e i docenti sono i protagonisti di questa azione di ricerca a
sfondo ludico-scientifico, per motivare la conoscenza.
La normale attività motoria dei bambini è in genere immediata, imprecisa, poco coordinata e con notevole dispendio di energia.
Le capacità positive della sua motricità si distinguono per 3 caratteristiche: scioltezza - rapidità - agilità. Esse consentono notevoli progressi nell'organizzazione dell'io e dei rapporti con le realtà esterne.
Si confronteranno i parametri ottenuti da questi test con altri, ai vari livelli.
Si legheranno allo stato di forma, di benessere individuale e allo stile di
vita.
L’insegnante dovrà spiegarne il valore e dimostrarne le modalità esecutive.
Saranno effettuati dopo breve, collettivo e specifico riscaldamento.
I collaboratori/misuratori saranno adeguatamente preparati.
Gli allievi avranno qualche breve tempo di prova a piccoli gruppi, nelle
diverse postazioni, prima delle prove.
Allo stop si procederà all'applicazione.
TITOLO
La schiacciata di
flessibilità
Seduti a terra, piedi contro l'attrezzo a gambe tese, flettere il
busto avanti toccando con le dita
delle due mani il misuratore e
"portandolo" il più avanti possibile (vietato spingerlo con forza).
1 PROVA
(controllare che le gambe siano
tese)
RISULTATO
non arriva
da
VALUTAZIONE GLOBALE
Leggere la misura di arrivo
sulla barra/misuratore
NEGATIVO
pt.
0
1 a 3 cm
SCARSO
pt.
1
da 4 a 8 cm
SUFFICIENTE
pt.
2
da 9 a 12 cm
DISCRETO
pt.
3
da 13 a 15 cm
BUONO
pt.
4
oltre cm 16
OTTIMO
pt.
5
Uso del cronometro
L'equilibrio del
fenicottero
Attrezzo a terra in zona
libera
A piedi nudi: partenza con un
piede sull'attrezzo, l'altro piede
impugnato alla caviglia dalla
mano corrispondente, stabilizzati
dall'insegnante. Al via! cercare
di mantenere l'equilibrio il più a
lungo possibile.
1 PROVA
non sta in equilibrio
da 1" a 3"
da
NEGATIVO
pt.
0
SCARSO
pt.
1
4" a 6"
da
SUFFICIENTE
pt.
2
7" a 10"
da
DISCRETO
pt.
3
11" a 12"
oltre
BUONO
pt.
4
OTTIMO
pt.
5
13"
APPLICAZIONE
Attrezzo appoggiato al
muro
barra misuratrice in alto
MODALITA’ ESECUTIVE
TITOLO
Tac Tac
di rapidità
Salto in lungo
(Forza arti inferiori e coordinazione)
MODALITA’ ESECUTIVE
RISULTATO
L’allievo è in piedi a braccia parallele: la mano che non utilizzerà
ferma sul rettangolo rosso centrale, l'altra (preferita o dominante)
che effettuerà il movimento, sul
bollo verde. Toccare alternativamente, con la mano piena, i 2
dischi verdi il più rapidamente
possibile per 10".
- di 8 tac
1 PROVA
Fronte alla pedana, con la punta dei
piedi che non superi la linea di
partenza, caricare le gambe, e, con
l'aiuto delle braccia, saltare il più
avanti possibile a piedi uniti.
1 PROVA
VALUTAZIONE GLOBALE
Timer con conto alla rovescia,
il conteggio numerico si effettuerà contando i TAC sul bollo
di partenza.
PUNTEGGIO
9 - 10 tac
NEGATIVO
pt. 0
11 - 12 tac
SCARSO
pt. 1
13 - 16 tac
SUFFICIENTE
pt. 2
17 - 20 tac
DISCRETO
pt. 3
oltre 21
BUONO
pt. 4
OTTIMO
pt. 5
tac
Pedana centimetrata. Leggere
la misura al tallone (rispetto
alla linea di partenza)
- di 50 cm
NEGATIVO
pt.
0
51 - 70 cm
SCARSO
pt.
1
71 - 80 cm
SUFFICIENTE
81 - 100 cm
DISCRETO
pt.
3
101 - 120 cm
BUONO
pt.
4
oltre 121 cm
OTTIMO
pt.
5
pt.
2
TITOLO
L'agile dondolino
MODALITA’ ESECUTIVE
Sul tappeto/pedana con corpo a
raccolta, abbracciandosi le ginocchia. Rotolare 5 volte indietro e
tornare avanti per arrivare sui piedi.
1 PROVA
RISULTATO
VALUTAZIONE GLOBALE
Osservazione dell'azione
non si alza mai si
NEGATIVO
pt.
0
rialza 1 volta si
SCARSO
pt.
1
rialza 2 volte
SUFFICIENTE
si rialza 3 volte
DISCRETO
pt.
3
si rialza 4 volte
BUONO
pt.
4
si rialza 5 volte
OTTIMO
pt.
5
pt.
2
NOMINATIVO
M/F
ANNO DI NASCITA
CLASSE
LA SCHIACCIATA DI FLESSIBILITA'
L'EQUILIBRIO DEL FENICOTTERO
TAC TAC DI RAPIDITA'
SALTO IN LUNGO
L'AGILE DONDOLINO
0
0
0
0
0
1
1
1
1
1
2
2
2
2
2
3
3
3
3
3
4
4
4
4
4
5
5
5
5
5
TOTALE PUNTEGGIO GLOBALE ALLIEVO ________________________________________________________
TEST DELLE CAPACITA' MOTORIE DI BASE - SCHEDA INDIVIDUALE
PROVE
GRUPPO
LA SCHIACCIATA DI FLESSIBILITA'
L'EQUILIBRIO DEL FENICOTTERO
TAC TAC DI RAPIDITA'
SALTO IN LUNGO
L'AGILE DONDOLINO
0
1
NUMERO FEMMINE
2
3
ETA'
4
5
TEST DELLE CAPACITA' MOTORIE DI BASE - SCHEDA GRUPPO
RISULTATI PROVE
NUMERO MASCHI
Inno Disentis 2015
IL SEGRETO QUAL È
In un grande deserto un aviatore ha incontrato
Uno strano fanciullo che vagava qua e là
Piccolo principe era chiamato
E l'aviatore per lui disegnerà.
Tante cose chiedeva quell'ometto un po' strano
Era caduto da chissà dove chissà
Adorava i tramonti, temeva i baobab
Amava anche un fiore per la sua unicità.
Si vede bene solo col cuore
L'essenziale è invisibile a chi
Ha occhi per credere solo ciò a che vede
E gli va bene così.
Sul nostro pianeta degli amici cercava
Triste lui era e nessuno trovò
Un giorno una volpe la via gli ha indicato
A crear dei legami al fanciullo insegnò
Lo strano fanciullo ora é felice
Ha capito d'un tratto il segreto qual è:
Amare qualcuno per poi scoprire
Che tutto è più nuovo e più gustoso per sè.
Si vede bene solo col cuore
L'essenziale è invisibile a chi
Ha occhi per credere solo ciò a che vede
E gli va bene così.
Il piccolo principe é partito di qua
Col suo grande segreto se n'è andato, chissà.
Quando guardi le stelle poi stare certo che
Ce n'è una che brilla, brilla proprio per te.
Si vede bene solo col cuore
L'essenziale è invisibile a chi
Ha occhi per credere solo ciò a che vede
E gli va bene così.
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