Dermatologia, Venereologia e Chirurgia Plastica

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Dermatologia,
Vener
nereologia
e Chirur
hirurgia Plastica
I. Principî Generali
II. Malattie Infettive di interesse dermatologico
III. Dermatosi su base Tossico­Allergica
IV. Malattie Autoimmuni
V. Dermatosi Infiammatorie
VI. Dermatosi Allergiche
VII. Malattie Sessualmente Trasmesse
VIII. Tumori Cutanei
IX. Le Ustioni
X. Chirurgia Plastica
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I. PRINCIPÎ GENERALI
I. 1.
Anatomia e fisiologia della pelle
Cute e pelle sono sinonimi. La cute vera e propria riveste il soma; le semi­mucose hanno solo un accenno di strato corneo e sono presenti sugli orifizi, come interfaccia con le mucose, che rivestono i visceri interni. L'organo cutaneo ha una superficie assoluta media 1,30­2 m 2, uno spessore variabile tra 0,5 e 2­3 mm, un peso di circa 5kg; la superficie presenta pieghe, dette articolari se corrispondono alle zone di movimento delle articolazioni, muscolari se seguono l'andamento dei muscoli (ad es. il solco gluteo); ulteriori solchi intersecati detti anche dermatoglifi, che servono ad aumentare l'elasticità della pelle, maggiormente presenti nelle aree di maggior movimento (palmo delle mani), e ad uno sguardo ravvicinato si può individuare anche un reticolo di solchi ancora più fini.
Il colore è variabile dal latteo al nero: la melanina conferisce un tono bruno, l'ossiemoglobina un colore rosso, la carbossiemoglobina un colore blu, il carotene/provitamina A un tono giallo.
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Funzione omeostatica simile al rene: regolazione degli elettroliti (sodio e potassio), dell'uremia, riassorbimento di acqua (funzioni emuntorie della pelle) Funzione omeotermica grazie al letto capillare variabile
Funzione protettiva ed antisettica, con il sistema linfatico, il sistema delle APC follicolari dendritiche, e la secrezione di acidi grassi batteriostatici Funzione sensoriale: percezioni tattili, termiche, vibratorie
Funzione di contenimento dei tessuti molli
La distribuzione della superficie cutanea nell'adulto può essere schematizzata dalla Regola di Wallace o “regola dei 9”, che è anche utile nella valutazione delle superfici ustionate: la superficie cutanea è distribuita in percentuali che sono grossomodo multipli di 9.
• Testa: 9%
• Arto superiore: 9%
• Tronco anteriore: 18%
• Tronco posteriore: 18%
• Arto inferiore: 18%
• Genitali: 1%
La distensibilità della cute è variabile, ed essa si trova in uno stato permanente di lieve tensione elastica, secondo linee definite da Langer, che sono grossomodo longitudinali sugli arti e trasversali sul tronco, e che sono visibili come rughe nella pelle degli anziani. Per ottenere una guarigione ottimale, le incisioni cutanee andrebbero preferenzialmente eseguite lungo queste linee. Un altro schema di linee individuate sono le cosiddette “linee di Blaschko”, che ricalcano linee di sviluppo embrionale e lungo il cui decorso, che sulla cute normale non è visibile, possono manifestarsi numerose lesioni cutanee neonatali o congenite.
Struttura
Si può dire che la cute rappresenti la storia maturativa di cellule che dallo strato basale 2
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giungono allo strato corneo sotto forma di cheratina senza nucleo.
Si possono riconoscere 3 strati (nelle mucose invece gli strati sono solo 2, epitelio e chorion) che, dalla superficie alla profondità, sono:
1) EPIDERMIDE, di derivazione ectodermica: è un epitelio di rivestimento pavimentoso pluristratificato, corneificato. Vi si possono riconoscere varii strati:
[A] Strato basale: strato germinativo dell'epidermide. Costituito da una singola fila di cheratinociti di forma cubica o cilindrica. Sono visibili mitosi.
Tra le cellule dello strato basale sono intercalati i melanociti, cellule dendritiche dalla forma stellata di origine neuroectodermica, evidenziabili alla colorazione argentica, presenti con un rapporto di 1:4 ­ 1:10 rispetto ai cheratinociti, che producono la melanina sotto lo stimolo della luce solare e la trasferiscono tramite i loro prolungamenti alle cellule vicine, e sono presenti anche le cellule di Merkel.
[B] Strato spinoso (o Malpighiano): costituito da più file di cheratinociti di forma poligonale. Sono visibili i ponti intercellulari (spine).
Vi sono inframmezzate le
cellule di Langerhans, anch'esse di derivazione neuroectodermica, con funzione immunitaria.
[C] Strato granuloso: costituito da 2­3 file di cheratinociti di forma appiattita, allungata. Nel citoplasma sono visibili dei granuli basofili di cheratolialina
[D] Strato lucido
[E] Strato corneo: costituito da più file di corneociti, cellule di forma appiattita, anucleate. Tra le cellule cornee è diffusa una matrice lipidica di ceramìde.
Il limite tra l'epidermide e il derma è segnato dalla membrana basale, detta giunzione dermo­epidermica, composta da mucopolisaccardidi neutri e collagene di tipo IV. Fra il derma e l'epidermide non vi è una linea di divisione netta, ma un passaggio ondulato nel quale il derma si approfonda nell'epidermide sotto forma di papille dermiche.
2) DERMA, di derivazione mesodermica: è un tessuto connettivo lasso composto da sostanza fondamentale (mucopolisaccaridi acidi) e fibre di collagene, fibre reticolari e fibre elastiche. La componente cellulare è scarsa (fibroblasti, istiociti, linfociti). Il derma è suddiviso in:
◦ Derma Papillare, che costituisce il derma superficiale: è ricco di sostanza fondamentale, fibre fini e delicate, e la componente cellulare è maggiormente rappresentata.
◦ Derma Reticolare, che costituisce il derma medio e profondo: è povero di sostanza fondamentale, carico di fibre grossolane, e scarsa componente cellulare.
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3) IPODERMA o tessuto adiposo sottocutaneo, di derivazione mesodermica: è suddiviso in lobi e lobuli da tralci fibrosi. Il sottocute svolge un ruolo di protezione meccanica e termica e costituisce una risorsa energetica importante per l'organismo.
Alla cute sono associati gli annessi cutanei: peli, ghiandole sebacee e sudoripare, e unghie.
• PELI: se ne distinguono due tipi:
◦ Peli del vello: piccoli, non pigmentati, ubiquitari, indipendenti dal controllo ormonale sessuale
◦ Peli terminali: grandi, pigmentati, ormono­dipendenti
Il pelo fa parte del complesso pilosebaceo, che è formato da:
◦ Fusto (asta o stelo): la porzione del pelo visibile in superficie
◦ Follicolo pilifero: l'invaginazione epidermica e la parte più profonda del pelo stesso con le sue cellule germinali; sono presenti anche i melanociti responsabili della pigmentazione. ◦ Infundibolo o canale pilosebaceo: il canale che va dall'emergenza del pelo, in superficie, allo sbocco della ghiandola sebacea in profondità.
Inoltre il pelo presenta una radice, formata dal bulbo e dalla papilla.
L'accrescimento del pelo è ciclico e si può sudividere in 3 fasi:
1. Anagen (fase di crescita): si forma una nuova matrice del pelo che dopo aver preso contatto con la papilla sottostante si riporta nel derma in modo che il nuovo pelo sviluppandosi allontana il pelo vecchio
2. Catagen (fase di maturità): il pelo cresce lungo il canale follicolare
3. Telogen (fase di riposo con successiva caduta): il pelo emigra verso la superficie.
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Le tre fasi non sono sincrone, per cui sono sempre presenti contemporaneamente peli in diverse fasi: nessun trattamento elimina mai definitivamente in una sola seduta tutti i peli, ma ogni seduta ne riduce il numero, indebolendo progressivamente i peli stessi. Per ottenere buoni risultati di depilazione permanente occorrono diverse sedute.
UNGHIE: sono strutture cheratinizzate non pigmentate con funzione protettiva fisica sui tessuti sottostanti. Anatomicamente si riconoscono:
◦ Lamina ungueale: il corpo dell'unghia
◦ Lunula: la parte di matrice, contenente le cellule germinali, che traspare alla base dell'unghia visibile
◦ Perionchio o perionìchio: tessuto che circonda l'unghia.
GHIANDOLE ◦ Sebacee: ghiandola acinosa ramificata con secrezione olocrina (l'intera cellula si perde nella secrezione). Il dotto delle ghiandole sbocca nel fondo dell'infundibolo pilosebaceo. Non sono sotto il controllo del sistema nervoso simpatico ma rispondono a stimoli umorali. Sono presenti su viso, cuoio capelluto, area interscapolare, sterno.
Il sebo è un complesso di sostanze lipidiche: acidi grassi liberi, trigliceridi, cere, steroli, paraffine, e squalene (5%), che è distintivo del sebo umano. Il sebo assieme ai sali e all'acqua presente sulla pelle forma un film (membrana di Ziakal) che impedisce la crescita di germi patogeni.
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◦ Sudoripare
▪ Eccrine: ghiandole tubulari semplici che sboccano indipendentemente dalle strutture pilifere. Il gomitolo ghiandolare sbocca in un dotto secretore che possiede una porzione intradermica a decorso retto, ed una porzione terminale intraepidermica contorta, prima di aprirsi come un poro sulla cute. Il secreto è costituito di acqua e minime quantità di NaCl.
Sono ubiquitarie, ma maggiormente rappresentate in sede palmoplantare ed ascellare.
▪ Apocrine: nella secrezione viene persa la parte apicale della cellula. Sono tubulari semplici (ma di dimensioni maggiori delle eccrine), dipendono dal follicolo pilifero.
Queste ghiandole sudoripare sono un residuo evolutivo corrispondente alle ghiandole odoripare di altri mammiferi: sono presenti su ascelle, genitali, perineo, ombelico. Anche la ghiandola mammaria può essere considerata come ghiandola sudoripara apocrina modificata.
Arterie, vene e linfatici
I vasi sanguigni e linfatici della cute sono limitati al derma, non raggiungono l'epidermide, e sono organizzati in due plessi:
• Plesso Superficiale: tra derma superficiale e derma medio
• Plesso Profondo: tra derma profondo ed ipoderma
Sistema nervoso
Le fibre nervose seguono i plessi vascolari e sono composte da fibre sensitive e da fibre del sistema nervoso autonomo deputate alla regolazione delle funzioni fisiologiche delle componenti cutanee, vasi inclusi.
Al SNC afferiscono le terminazioni sensoriali, libere ed incapsulate, che contribuiscono alla sensibilità tattile, termica e dolorifica (prurito).
Il S.N. autonomo agisce tramite fibre adrenergiche sul muscolo pilo­erettore e fibre colinergiche sulle ghiandole sudoripare eccrine.
I. 2.
I segni e le lesioni cutanee e mucose elementari, primarie e secondarie.
Esistono tre gruppi di lesioni elementari che devono essere correttamente identificate per fare una corretta diagnosi di un'affezione dermatologica:
• Primitive: insorgono primitivamente
• Secondarie: evoluzione delle lesioni primitive o di altre condizioni • Primitivo­secondarie: in alcune patologie figurano come primitive mentre in altre compaiono come evoluzione di lesioni primarie.
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LESIONI ELEMENTARI CLINICHE
Le lesioni elementari Primitive
• Eritema: arrossamento cutaneo transitorio che scompare alla digito­ o vitro­pressione. È dovuto a fenomeni vasomotori: ◦ Attivo (dilatazione arteriolare): caldo al tatto, rosso vivo ◦ Passivo (ectasia venulare): rosso cianotico
Quando interessa la cute è definito esantema, quando colpisce le mucose enantema. Si distingue l'esantema eritematoso, che può essere morbilliforme (chiazze eritematose di un rosso più o meno vivo, lenticolari o nummulari, separate da cute indenne senza tendenza a confluire), roseoliforme (chiazze rosee di varia dimensione, con interposti elementi eritemato­papulosi), scarlattiniforme (esordio con chiazzette rosso vivo inizialmente puntiformi, poi confluenti in ampie macule a tonalità rosso ­giallastra).
• Pomfo: edema circoscritto del derma, che si manifesta come un rilievo cutaneo fugace, pruriginoso, di dimensioni e forma variabili, di colorazione variabile. È causato da una intensa vasodilatazione, tale da infiltrare il derma; può essere un essudato emorragico se dai vasi fuoriescono anche i globuli rossi.
• Vescicola: piccola rilevatezza della cute, dal diametro inferiore a 5 mm, costituita da una cavità contente liquido. ◦ Intraepidermica: tetto e fondo costituiti da epidermide
◦ Dermoepidermica o subepidermica: il tetto è costituito dall'epidermide, il fondo dal derma
• Bolla: rilevatezza della cute di dimensione superiori a 5 mm, costituita da una cavità contenente liquido. Può essere intraepidermica, subepidermica o dermoepidermica.
• Papula: piccola rilevatezza inferiore a 5 mm a contenuto solido, non fugace. Non lascia cicatrici. Le papule possono confluire a formare placche che naturalmente sono di dimensioni più grandi.
◦ Epidermica: ispessimento epidermico
◦ Dermica: infiltrazione del derma superficiale
◦ Dermoepidermica: entrambe le condizioni
• Nodulo: rilevatezza palpabile maggiore di 5 mm causata da un infiltrato, flogistico od anche neoplastico, che interessa tutto il derma e talvolta anche l'ipoderma. Può lasciare cicatrici se l'infiltrato distrugge il derma. Può essere rilevato o incassato (non visibile, esclusivamente palpabile).
☞ Nodulo ↔ Papula = Bolla ↔ Vescicola
Le lesioni elementari secondarie
• Erosione: perdita di sostanza superficiale della cute. Non supera il derma superficiale e non determina esiti cicatriziali. Se si approfondisce può diventare un'ulcera. Vescicola, bolla, pustola possono dare luogo ad erosione.
• Ulcera: perdita di sostanza più profonda, che riguarda derma ed ipoderma; lascia esiti cicatriziali. Nodulo e vasculopatie (difetto del trofismo locale) possono dare luogo ad ulcera.
• Ragade: soluzione di continuo lineare della pelle, senza perdita di sostanza; non lascia cicatrici. Si presenta solitamente sulle pieghe cutanee e sugli orifizi. Cheratosi, alterazioni del film idrolipidico e soprattutto dell'elasticità cutanea possono dare luogo 6
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a ragade.
◦ Epidermica: non dà dolore
◦ Dermica: dà dolore
Crosta: è conseguente ad un'erosione e si forma per essiccamento di un substrato liquido
◦ Siero → Giallo Pallido
◦ Sangue → Rosso Bruno
◦ Pus → Giallo Carico
Cicatrice: riparazione di una soluzione di continuo, che abbia oltrepassato il derma superficiale, mediante la produzione di fibre collagene. Nelle cicatrici ipertrofiche e nei cheloidi l'attività mitotica delle cellule continua dando luogo a tessuto esuberante; sono vascolarizzati. La loro origine dipende dal tipo di lesione originaria.
Lichenificazione: ispessimento della cute con accentuazione della quadrettatura cutanea e della pigmentazione, conseguente ad un intenso grattamento o a sfregamento ripetuto
Le lesioni elementari primitivo­secondarie
• Pustola: piccolo rilievo costituito da una cavità contente pus. Può essere subcornea, intraepidermica, subepidermica. Insorge primariamente nella psoriasi pustolosa (pustole sterili); è secondaria nelle lesioni vescicolose che subiscono una sovrinfezione batterica.
• Squama: accumulo di cellule cornee clinicamente rilevabile. In base alle dimensioni la piccola squama è detta furfuracea o pitiriasica, la grande squama è detta lamellare. È primitiva nella psoriasi; è secondaria come evoluzione di dermatosi infiammatorie.
• Macchia: alterazione del normale colorito cutaneo che non scompare alla digitopressione. Può essere ipercromica per eccesso di melanina o ipocromica per difetto di melanina. È primitiva nella vitiligine/cloasma; secondaria se esito di processi infiammatori. Le macchie emorragiche sono uno stravaso di sangue nel derma, e si distinguono in petecchie ed ecchimosi. Hanno un colore variabile dal rosso­viola al verde­giallo fino al bruno, in rapporto allo stato di degradazione dell'emoglobina. • Atrofia: assottigliamento della cute (epidermide, derma, entrambi). La cute atrofica è depressa, liscia, discromica e glabra. È primitiva nel caso dell'atrofia senile; secondaria nelle dermatosi infiammatorie.
• Sclerosi: indurimento della cute, che aderisce ai piani profondi e non è sollevabile in pieghe. È primitiva nella sclerodermia; secondaria se esito di flogosi.
• Cheratosi: ispessimento dello strato corneo. È primitiva nelle cheratodermie ereditarie, secondaria se psoriasica, micotica, eczematosa.
LESIONI ELEMENTARI ISTOLOGICHE
Lesioni istopatologiche dell'epidermide
• Ipercheratosi: ispessimento dello strato corneo normalmente maturato
◦ Ortocheratosica: assenza di nuclei a livello dello strato corneo; aumenta anche lo strato granuloso (ipergranulosi). Es: lichen
◦ Paracheratosica: presenza di nuclei picnotici a livello dello strato corneo, causata da una maturazione troppo veloce; lo strato granuloso è assente o assottigliato. Es: 7
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psoriasi
Ipergranulosi: ispessimento dello strato granuloso. Può essere causato dall'ipercheratosi ortocheratosica. Acantosi: ispessimento dello strato spinoso
◦ Reattiva: ispessimento dello strato sovrapapillare e delle creste epidermiche intrapapillari
◦ Psoriasiforme: ispessimento solo delle creste epidermiche intrapapillari
Acantolisi: rottura dei ponti intercellulari. Le cellule da poligonali diventano quindi globose. È il presupposto per la formazione di vescicole e bolle intraepidermiche.
◦ Primaria: rottura della sostanza cementante per alterazione. Es: pemfigo
◦ Secondaria (desmolisi): rottura in seguito a liquido dal derma. Es: eczema
Spongiosi o edema intercellulare o exoserosi: liquido proveniente dal derma negli spazi intercellulari; può determinare acantolisi secondaria. Costituisce l'inizio della formazione delle vescicole spongiotiche intraepidermiche tipiche dell'eczema.
Lesioni istopatologiche del derma
• Papillomatosi: alterazione a carico del derma superficiale con allungamento e ipertrofia delle papille dermiche. Può causare acantosi psoriasiforme.
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II. MALATTIE INFETTIVE DI INTERESSE DERMATOLOGICO
II. 1.
Malattie cutanee da Batteri
Con il termine piodermite si indica un'infezione cutanea causata da germi piogeni quali lo Stafilococco aureo, che coinvolge gli annessi cutanei, e lo Streptococco pyogenes, che coinvolge epidermide, derma ed ipoderma.
I differenti quadri clinici dipendono da diversi fattori quali la modalità di penetrazione dell'agente infettivo, la sua virulenza, le capacità di resistenza dell'organismo. Le patologie dell'epidermide più frequenti sono l'impetigine, la Staphylococcal scalded skin syndrome (SSSS), l'eritrasma; quelle degli annessi sono l'ostiofollicolite acuta, la sicosi piogenica, il foruncolo, la tricomicosi palmellina; quelle di derma ed ipoderma sono l'erisipela e l'ectima.
IMPETIGINE
Si tratta di una malattia molto contagiosa, provocata da cocchi, di cui si distinguono due forme, quella bollosa provocata dallo stafilococco del fago II, e quella bollosa provocata dal ceppo A nefritogeno dello streptococco.
La forma non bollosa ed epidermica è comune in estate, anche se piccole epidemie si possono verificare in ogni stagione, di solito negli asili e nelle comunità. La lesione più comune è una piccola vescicola sub cornea, molto fragile, con un alone eritematoso. Si rompe facilmente facendo fuoriuscire un liquido giallo ­marrone, e successivamente si forma una crosta. La lesione si estende in periferia senza che si osservi una remissione della bolla iniziale. Le sedi più colpite sono il volto e gli arti; normalmente sono risparmiate le mucose, il palmo delle mani e la pianta del piede. Istologicamente la bolla è costituito da un distacco sub­corneo che si riempie di neutroni e batteri. Il contatto con la terra, con la sabbia marina e il clima caldo umido sono considerati fattori predisponenti. Spesso questa malattia può essere una complicazione della dermatite atopica, anche se non sempre è facile distinguere le lesioni dell'impetigine da quelle della malattia di base.
Una complicanza grave dell'impetigine, o meglio della presenza di gruppi nefritogeni di streptococchi, può essere la glomerulonefrite post invettiva, che compare media dopo una latenza di 18­21 giorni. Nella forma bollosa, invece, l'esordio è caratterizzato da una bolla sub­cornea di un diametro di qualche centimetro, relativamente più resistente; tutto il corpo può essere interessato, inclusi i piedi e le mani.
Essendo una infezione da stafilococchi, non si hanno complicazioni di tipo renale o reumatologico, ma si può avere la necrosi epidermica stafilococcica del lattante (sindrome della cute ustionata) dovuta alla tossina TSST­1 dello stafilococco.
ERISIPELA ED ECTIMA
L'erisipela è un importante processo infettivo acuto che interessa il derma profondo e anche l'ipoderma; la sua incidenza è decisamente in aumento degli ultimi anni, a causa della diffusione delle resistenze agli antibiotici nei batteri. L'esordio è improvviso, acuto, preceduto da febbre, brividi e malessere generale, che a volte nei bambini possono associarsi a convulsioni e nell'anziano a stato stuporoso. La lesione principale è monolaterale: una chiazza eritematosa rilevata (a “scalino”) a bordi netti, con superficie liscia e sottile. Negli arti inferiori, a causa della stasi venosa, si possono avere frequentemente vesciche, bolle e zone necrotiche. Talvolta si sposta da un punto all'altro (erisipela migrante); il decorso è variabile, con possibilità di complicanze gravi soprattutto a livello renale e della milza, ma anche di forme lievi a risoluzione spontanea. 9
Il responsabile è lo streptococco beta emolitico di gruppo A, favorito dalla stasi linfatica per la localizzazione gli arti inferiori, e dal diabete per la localizzazione al volto.
La terapia è costituita da antibiotici per via sistemica, penicilline, cefalosporine, macrolidi, tetracicline (da evitare nei bambini e durante il periodo estivo), di solito rapidamente efficaci. Si può avere un rapido peggioramento del quadro clinico perché si verifica una reazione, detta “reazione di Herxheimer”, dovuta alla liberazione di tossine prodotte dalla lisi batterica. Una possibile complicanza è la fascite necrotizzante, che normalmente si verifica solo in soggetti con scadenti condizioni generali: una evoluzione drammatica verso la necrosi dei piani muscolari e complicazione in setticemia e tossiemia. L'utilizzo di FANS per il trattamento dell'erisipela può favorire questa complicazione.
L'ectima è una piodermite, con caratteristica ulcerazione, che interessa l'epidermide ed il derma. Si osserva soprattutto in soggetti con fattori predisponenti quali malnutrizione, alcolismo, tossicodipendenza, cattiva igiene personale, diabete ed immunodepressione. La causa è da riscontrarsi nello streptococco beta­emolitico di gruppo A o nello stafilococco aureo fra i casi più comuni. Compare improvvisamente una vescicola eritematosa che nel tempo allargandosi crea un'ulcera, che si ricopre di crosta necrotica; è presente un'infiammazione di colore violaceo al bordo della vescicola. Il trattamento è a base di antibiotici, anche con terapia sistemica. È necessaria l'eliminazione della crosta dopo pulizia.
II. 2.
Malattie cutanee da Virus
HERPES SIMPLEX E VARICELLA­ZOSTER
Herpes simplex
Quella da H. simplex è una delle infezioni virali più diffuse, che interessa prevalentemente la cute e le mucose, essendo le manifestazioni sistemiche appannaggio principalmente degli immunocompromessi. L'HSV è un virus a DNA con tropismo per i cheratinociti, ed esistono due varianti di simplex, il tipo 1 ed il tipo 2, che sono state distinte nel 1985: il tipo 1 è responsabile di lesioni solitamente localizzate alle mucose orali, mentre il tipo 2 ha una localizzazione preferenziale ai genitali ed un ruolo nell' herpes del neonato infettato passando attraverso il canale del parto; si può generalizzare dicendo che il tipo 1 interessa la metà superiore del corpo mentre il tipo 2 quella inferiore.
La trasmissione è interumana diretta, e le lesioni attive sono di gran lunga più contagiose della saliva e delle secrezioni dei portatori.
La risposta a seguito dell'infezione primaria, che avviene in una grande fetta di popolazione (nella prima infanzia per il tipo 1, dopo la pubertà per il tipo 2), sviluppa un'immunità umorale e cellulo­mediata, ma il virus persiste nei gangli nervosi sensitivi (in quelli cranici per il tipo 1 ed in quelli spinali per il tipo 2), e da qui l'infezione può riattivarsi a seguito di una diminuzione delle potenzialità del sistema immunitario. Il controllo delle reinfezioni, sia endogene che esogene, dipende dall'intervento dei linfociti citotossici. Esistono essenzialmente tre manifestazioni di infezione primaria da herpes virus: l'infezione subclinica, la forma più frequente, è presente nella maggior parte della popolazione adulta, senza la presenza di lesioni erpetiche. La forma clinica più frequente con cui il tipo 1 si rende sintomatico alla prima infezione è la gengivostomatite erpetica, tipicamente in bambini tra 1 e 5 anni; l'incubazione è di circa 5 o 6 giorni, con febbre anche alta, malessere, a volte anche linfoadenomegalia cervicale e mandibolare; la lesione tipica è un eritema diffuso delle mucose orofaringee, con la presenza di ulcerazioni ricoperte da membrane giallastre circondate da un bordo eritematoso; in genere la guarigione giunge in due tre settimane. L'herpes di tipo 2 è 10
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più frequentemente sintomatico alla prima infezione; l'infezione primaria a livello genitale dovuta al tipo 2, a trasmissione sessuale, nella donna causa vulvovaginite acuta, abbastanza aspecifica, e le caratteristiche ulcerazioni non sempre sono presenti; nel maschio le stesse lesioni si repertano sul glande. Abbastanza importanti possono essere alcune complicanze, non solamente tipiche dei pazienti HIV, che possono insorgere anche molte altre condizioni di deficit immunitario: la cheratocongiuntivite, purulenta, di solito monolaterale, con ulcerazioni della cornea, edema delle palpebre, le classiche vescicole cutanee, linfoadenopatia auricolare. L'herpes da inoculazione è una condizione dovuta all'inoculazione diretta del virus attraverso la cute; si presenta con papule, bolle o vescicole, nel luogo dell'inoculazione e può essere accompagnata da linfoadenopatia regionale. Nel bambino questa forma prende il nome di patereccio erpetico, e spesso è dovuto ad autoinoculazione.
L'eczema herpeticum, chiamato anche eruzione varicelliforme di Kaposi, è una condizione spesso associata con la dermatite atopica ma anche con altre malattie più rare: si tratta di un'infezione primaria che dopo 10­15 giorni si complica con un'eruzione acuta e diffusa a tutto il corpo di vescicole e pustole emorragiche che permangono 5­7 giorni; è associata ad un deficit dei linfociti soppressori e può assumere un andamento più sfumato e localizzato. L'herpes neonatale, che colpisce circa un bambino su 10'000, è dovuto perlopiù ad infezione contratta al momento della nascita da herpes del tipo 2; il rischio è più alto se la madre contrae l'infezione poco prima del parto, prima che si possa sviluppare una risposta immunitaria adeguata. Se l'infezione materna avviene dopo la 34 a settimana, è indicato il parto cesareo, in quanto nelle neonato si sviluppano forme setticemiche virali e infezioni delle meningi spesso mortali. Circa il 10% della popolazione adulta presenta episodi frequenti e ricorrenti di infezione erpetica. Queste recidive sono molto frequenti nel caso dell'herpes genitale, soprattutto se è causato dal tipo 2. Queste recidive, sono scatenate da un temporaneo calo dell'immunità locale, per eventi come stati febbrili, esposizioni prolungate al sole, indigestioni, mestruazioni, stress, ecc, ed hanno manifestazioni più sfumate rispetto all'infezione primaria, con bruciore e prurito, vescicole di piccole dimensioni raggruppate a grappolo, a volte confluenti in bolle, che possono esitare in erosioni; in poco tempo danno luogo ad una crosta che cade in una settimana senza cicatrici. Le localizzazioni più frequenti sono la cute delle labbra e le mucose genitali, ma tutte le aree cutanee possono essere interessate; in genere le recidive si hanno nelle stesse sedi, e non è presente una sintomatologia sistemica. Anche con queste forme secondarie si possono avere complicanze, come la cheratocongiuntivite o la paralisi di Bell. L'infezione può anche diventare cronica, con erosioni persistenti.
La lesione erpetica secondaria consiste in una vescicola intraepidermica a cavità singola, che deriva dalla degenerazione dei cheratinociti, caratterizzata da una ombelicatura centrale. La degenerazione può essere balloniforme (ossia da rigonfiamento: le cellule presentano inclusioni nucleari e più nuclei), oppure reticolare (dovuta alla lisi delle membrane cellulari: si possono avere vescicole composte da più cavità). Nel derma è presente un infiltrato infiammatorio che costituisce la base edematosa delle lesioni, e che è proporzionale alla gravità della reazione immunitaria: le vescicole si formano infatti per acantolisi secondaria.
Per la diagnosi sono quasi sempre sufficienti la clinica e l'anamnesi, ma si può dimostrare l'avvenuta infezione primaria con la sieroconversione o con l'aumento del titolo anticorpale. La sierologia richiede però 15­20 giorni per dare risultati significativi, e non ha alcun valore per quanto riguarda le recidive, in quanto quasi tutta la popolazione è positiva dopo infezione primaria. Esiste un test rapido detto test citodiagnostico di Tzanck, utilizzato per la diagnosi di h. simplex, h. zoster e pemfigo, che consiste nello strisciare il materiale ottenuto dal pavimento di una vescicola di nuova insorgenza: la colorazione con Giemsa rende visibili i cheratinociti acantolitici in degenerazione balloniforme, dimostrando che il distacco è intraepiteliale; se invece si rilevassero cellule ematoconnettivali il fondo esaminato sarebbe quello di una bolla subepidermica. Dal liquido delle vescicole si possono anche avviare colture 11
virali, e dopo cinque giorni i virus possono essere identificati sulla base dell'effetto sulle colture cellulari. Indagini più costose possono essere attuate per mezzo di anticorpi, o con l'immunofluorescenza, identificando direttamente gli antigeni dell'herpes oppure con la visione diretta delle particelle virali tramite la microscopia elettronica, o la PCR. Per le forme lievi non è richiesta terapia specifica, mentre nelle infezioni sistemiche è possibile dare un farmaco antivirale specifico: aciclovir. Il dosaggio è 5 mg/kg/die e.v. oppure 2­3 g/die per os. La profilassi è indispensabile nei pazienti immunocompromessi. La vaccinazione attualmente non è disponibile. Varicella­Zoster Il virus della varicella­zoster (VZV) è un virus a diffusione ubiquitaria, che dopo l'infezione primaria (la varicella) può dare una forma acuta di riattivazione caratterizzata da una nevralgia localizzata alle radici nervose in cui è localizzato, ed una eruzione cutanea di tipo erpetico localizzata al territorio di distribuzione del nervo interessato.
L'infezione primaria si contrae per vie respiratoria, e nonostante la produzione di anticorpi protettivi non si ha una protezione dalle recidive che nascono dalla riattivazione virale. L'incubazione è di quattordici giorni, poi avviene l'eruzione di papule che rapidamente vengono sormontate da vescicole a contenuto sieroso e limpido, successivamente torbido. Entro qualche giorno si ha l'evoluzione in croste che si distaccano senza lasciare cicatrici; caratteristicamente queste lesioni coesistono in vari stadi evolutivi, ed interessano il tronco, il capo e gli arti, ed anche le mucose. È presente prurito ed è possibile la trasmissione al feto, dove il virus è causa malformazioni. L'infezione primaria negli adulti o negli immunocompromessi può essere causa di importanti complicanze a livello di vari organi.
Solitamente la riattivazione avviene solo una volta nell'arco della vita, ed i prodromi sono di pochi giorni, con febbre, malessere e dolore in corrispondenza del metamero interessato; quindi c'è una rapida comparsa di papule che evolvono il vescicole e pustole, raggruppate a grappolo su una estesa base edematosa, che gettano per diversi giorni. L'evoluzione è a croste, ed è caratteristica la distribuzione strettamente limitata al metamero colpito dal virus. Più comune è la localizzazione toracica, meno frequenti quella cervicale, trigeminale o parasacrale.
Complicanze possono essere lo Zoster oftalmico, che può dare interessamenti oculari anche gravi (lesioni cutanee a livello della punta del naso, indicative di un interessamento dell'occhio) e lo Zoster oticus, che interessa il ramo sensitivo del nervo facciale, con una distribuzione all'orecchio esterno (sindrome di Ramsay­ Hunt: triade composta da vescicole nella zona dell'orecchio esterno, dolore intenso, e paralisi del facciale). Nei pazienti immunocompromessi si possono avere estensioni sistemiche delle vescicole a carattere emorragico. Negli anziani è abbastanza frequente la possibilità di una neurite cronica post­erpetica, a carattere persistente o parossistico, prevenibile con la terapia antivirale. La terapia con aciclovir, a dosaggio maggiore di quella dell'herpes semplice, è importante negli immunocompromessi o nei casi in cui le lesioni si estendano in modo simile alla varicella. Il farmaco è anche efficace per ridurre l'insorgenza della nevralgia post­erpetica; questa può essere trattata con analgesici comuni o con antidepressivi triciclici, che inibiscono la secrezione di sostanza P dalle terminazioni nervose.
VERRUCHE
Il papilloma virus umano o HPV è un virus appartenente alla famiglia Papovaviridæ. Si tratta di virus a DNA, di piccole dimensioni, con un trofismo particolare per gli epiteli, nei quali inducono proliferazione cellulare. Il contagio può essere diretto o indiretto, ed è favorito da fattori genetico­immunologici e dai microtraumi.
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Sebbene la diagnosi clinica sia facile, numerosi test possono essere efficaci nel dirimere i quesiti diagnostici: • Microscopia elettronica: particelle virali all'interno del nucleo dei cheratinociti infettati • Istologia: vacuolizzazione delle cellule infettate (coilocitosi). • Virologia:
◦ kit per l'ibridazione molecolare con sonde a DNA
◦ PCR e metodiche più costose come l'immunofluorescenza
Nessuna terapia specifica garantisce la guarigione: i presidî di prima scelta sono preparazioni al 10­20% di acido salicilico (cheratolitico che promuove la desquamazione, che in alcuni casi dà risultati migliori della crioterapia) o l'applicazione di azoto liquido fino al congelamento della verruca e di 1 mm di tessuto circostante.
• Terapia topica: ◦ Cheratolitici (acido salicilico 10­20%)
◦ Acido retinoico
◦ Citostatici (podofillina, bleomicina)
• Terapia fisica: ◦ Crioterapia: crea una bolla subepidermica che causa il distacco dell'epidermide infettata
◦ DEC (diatermoelettrocoagulazione)
◦ Laser CO2 • Terapia chirurgica: ◦ Curettaggio
◦ Exeresi
Il virus provoca lesioni di tipo papillomatoso, con ipercheratosi paracheratosica ed acantosi, all'interno delle quali si possono identificare gli antigeni di diversi tipi di virus (circa 100); molti virus causano una o più lesioni specifiche.
• Verruche volgari: HPV 2, 7
Sono la forma frequente di verruche, rappresentano circa il 70% di questo tipo di lesioni. L'incidenza è massima nei bambini in età scolare o nei giovani adulti, nei macellai e nei veterinari, anche se non è dimostrata la possibilità di un contagio dall'animale all'uomo. Si localizzano quasi sempre nella parte dorsale delle mani e delle dita. Sono papule rosee, esofitiche, di dimensione variabile da un millimetro a più di un centimetro, fino a formare ampie placche confluenti; si può osservare un aumento della cheratina soprattutto in corrispondenza dell'apice delle creste epidermiche, con le papille dermiche allungate e rivolte verso il centro della lesione. Alcuni cheratinociti nello strato granuloso e nella parte superiore dello strato spinoso sono vacuolizzati e prendono il nome di coilociti: queste cellule sono un elemento discriminante dell'infezione da HPV.
La diagnosi viene effettuata essenzialmente basandosi sull'aspetto clinico delle lesioni, che normalmente regrediscono nel giro di due anni; la risposta immunitaria umorale è essenziale per avere la regressione delle lesioni. • Verruche plantari: HPV 1
Sono seconde, come frequenza, alle verruche volgari. Le lesioni semplici sono strutture esofitiche tonde, a limiti netti, con una superficie cornea cosparsa di piccoli punti neri, che corrispondono a capillari trombizzati; spesso hanno una sintomatologia dolorosa. Le “verruche a mosaico” sono verruche superficiali di dimensioni piccole che confluiscono in una grande placca cornea, rimanendo identificabili come singole lesioni; di solito non 13
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provocano dolore ed è possibile la regressione spontanea entro un anno; i dermatoglifi cutanei si interrompono in corrispondenza della loro superficie.
Le caratteristiche istologiche nelle verruche plantari sono identiche a quelle delle verruche volgari, ma invece che sotto forma di papule esofitiche, si presentano come noduli endofitici a causa della pressione esercitata sulla pianta dei piedi.
Verruche piane: HPV 3, 10
Si tratta di papule poco rilevate, lisce di colore rosso o giallastro, da 1 a 5 millimetri, presenti solitamente sul volto. Una importante associazione si ha con l'immunosoppressione; nei soggetti normali la regressione è frequente e rapida, con fenomeni flogistici locali: rispetto alle altre verruche si osserva un infiltrato flogistico dei linfociti nello strato superficiale con alterazioni distrofiche dei cheratinociti.
Condilomi acuminati: HPV 6, 11, 16, 18, 31, 35
Queste lesioni sono l'espressione dell'infezione del virus a livello dei genitali. Secondo alcuni studi, fino al 50% dei soggetti presenta il genoma dell'HPV nel tratto genitale. Le lesioni sono popolose, molto allungate e molli con superficie verrucosa e di colore rosa salmone, a volte biancastro, localizzate nel maschio nel prepuzio o nel solco balano­prepuziale, mentre nella donna si ritrovano nella parte posteriore del vestibolo vaginale; una localizzazione in sede perianale non è indicativa di rapporti sessuali per via anale ed è un'evenienza abbastanza frequente. Lo sviluppo di queste patologie è favorito dalla gravidanza e dai difetti dell'immunità, e vi si associano spesso altre malattie trasmissione sessuale. Normalmente hanno un andamento intermittente con periodi di recidiva e di remissione.
I condilomi dal punto di vista istologico presentano acantosi ma scarsa ipercheratosi; le cellule epiteliali hanno disposizione ordinata ed il distacco fra l'epitelio e il derma rimane netto. Nel derma si possono trovare segni di un modesto infiltrato flogistico. Inoltra si distinguono una forma esofitica ed una piana.
In alcuni casi si può manifestare un condiloma gigante, che inizialmente esordisce come tutti gli altri, ma poi diventa localmente invasivo con caratteristiche simili a quelle di un carcinoma, come infatti oggi è considerato. Questa neoplasia è chiamata tumore di Bruschke­Lowenstei e si tratta probabilmente di uno stadio avanzato di mutazione delle cellule epiteliali indotto dalla presenza del virus. Ai sierotipi 16 e 18 solitamente non si associano i condilomi ma, con lo stesso meccanismo genetico, l'epitelio subisce una trasformazione maligna, e si possono evidenziare iniziali neoplasie intraepiteliali cervicali e carcinoma invasivo della cervice. L'associazione fra queste patologie e una eziologia virale è stata fatta osservando la correlazione fra attività sessuale e numero di partner, e tra l'incidenza dei condilomi e delle neoplasie cervicali.
La trasmissione dell'infezione genitale da HPV può avvenire per contatto sessuale, o nel periodo perinatale, o con altre modalità come materiali contaminati o tramite la dieta. I fattori di rischio associati sono il numero di partner sessuali e la frequenza di rapporti sessuali con essi, un partner sessuale con verruche genitali, il numero di altri partner sessuali del proprio partner, un'infezione da altre MTS.
Per i condilomi il trattamento di elezione è la terapia locale:
◦ Topica:
▪ Ac. Tricloroacetico (soluzione 80­90%)
▪ Podofillotossina (sol. 0,5%, crema/gel 0,15%): un certo rischio oncogeno la rende controindicata in gravidanza
◦ Fisica:
▪ Crioterapia
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▪ DEC (diatermoelettrocoagulazione)
▪ Laser CO2
◦ Immunologica: stimola la risposta immunitaria
▪ Imiquimod (crema 5%)
▪ Interferone ricombinante
PITIRIASI ROSEA DI GIBERT La pitiriasi di Gibert è una malattia esantematica maculo­papulosa diffusa. Questa eruzione eritemato­ desquamativa benigna è considerata l'epifenomeno cutaneo di una infezione virale sistemica, in quanto sono stati riscontrati le seguenti correlazioni: • La comparsa dell'eruzione avviene generalmente dopo la risoluzione di un episodio infettivo delle alte vie aeree • Sono frequenti i foci famigliari • L'incidenza è aumentata in soggetti immunocompromessi • Picchi di incidenza primaverili ed autunnali
La pitiriasi è caratterizzata dalla chiazza madre, una chiazza eritematosa a margini netti con desquamazione, tra i 2 ed i 10 cm (solitamente 3 o 4 cm), che compare frequentemente nella regione del collo, alla quale dopo circa 2 settimane seguono eruzioni multiple sotto forma di chiazze piccole (macule o placche) con disposizione tipica “ad albero di Natale”, discendente su entrambi i lati del corpo. La pitiriasi di Gibert si risolve spontaneamente nel giro di 4 ­ 6 settimane. Il prurito che accompagna nel 75% dei casi l'eruzione può essere alleviato con antistaminici orali. La guarigione è facilitata dall'applicazione topica di FANS.
MOLLUSCO CONTAGIOSO
Il virus del mollusco contagioso (MCV) è un poxvirus con due sottoclassi, i tipi 1 e 2. Causa una comune patologia a trasmissione umana, trasmessa per contatto diretto o da oggetti contaminati come nelle piscine o dai giocattoli; i picchi di incidenza sono in età pediatrica ed in età adulta (per trasmissione sessuale).
Dopo un periodo di incubazione tra 1 e 6 mesi si sviluppano papule lucide ed emisferiche, con una zona ombelicatura centrale depressa (distinguibili dalle vescicole erpetiche ombelicate), localizzate nelle sedi esposte come gli arti od il volto, oppure, in caso si trasmissione sessuale, nelle zone genitali. Le lesioni raggiungono le dimensioni di 1 cm in due o tre mesi, con una risoluzione spontanea entro un anno. Nei soggetti immunodepressi, le lesioni assumono aspetti atipici con dimensioni molto grandi e resistenza alle comuni terapie.
La diagnosi è quasi sempre clinica; istologicamente si notano caratteristiche peculiari: la proliferazione delle creste epidermiche verso il derma; cellule di forma globosa nello strato corneo; ampie inclusioni citoplasmatiche chiamate “corpi del mollusco”.
La terapia è l'asportazione delle lesioni (curettaggio).
II. 3.
Malattie cutanee da Miceti
La tassonomia dei miceti è continuamente rivista per cui è opportuno limitarsi alla classificazione in dermatofiti, lieviti e muffe. I dermatofiti si distinguono per la capacità di invadere la cheratina dell'epidermide, del pelo e delle unghie: la cheratina rappresenta la fonte di nutrimento essenziale. Appartengono a 3 generi: Microsporum, Trichophyton ed Epidermophyton. In tutto si conoscono 40 specie, di cui 10 diffuse in tutto il globo. Si 15
riproducono selettivamente mediante ife o spore.
La terapia può essere topica o sistemica: la seconda è obbligatoria per le micosi sistemiche profonde e per le dermatofizie dei capelli e delle unghie. La terapia topica si avvale di: • nistatina: efficace solo su C. albicans, non è somministrabile per os né per altre vie
• derivati azolici: miconazolo, econazolo; composti più recenti sono irritanti e il loro uso combinato è sconsigliabile • coloranti di anilina: fucsina basica, violetto di genziana La terapia sistemica si fa con: • griseofulvina: efficace solo nelle dermatofitosi, obbligata nella tigna microsporica resistente agli azolici; va protratta per 4­8 settimane, comunque finché non si ha la certezza della negatività microbiologica; si assume per os, meglio in forma frammentata • fluconazolo, itraconazolo: efficaci in tutte le patologie, ma il primo è preferibile nella candidosi, il secondo nelle micosi profonde; entrambi danno nausea e lieve epatossicità. e vanno usati attentamente perché hanno diverse interazioni farmacologiche • amfotericina B: va impiegata in infusione e.v. lenta; è molto tossica pertanto va usata solo in ambiente ospedaliero per la terapia delle micosi sistemiche refrattarie • terbinafina: molto valida in tutte le forme superficiali, ma soprattutto nelle dermatofizie da T. rubrum e T. tonsurans, verso i quali è funigicida; rispetto alla griseofulvina l'accumulo tissutale consente una terapia più breve
TINEA CAPITIS E TINEA CORPORIS
Tinea capitis È la tigna propriamente detta, causata dai generi Microsporum e Trichophyton, con grande variabilità delle specie a seconda dell'area geografica: in Europa per es. è più frequente il M. canis. L'invasione del pelo può avvenire in 3 modi possibili: • ectotrix: colonizazione intra­ ed extrapilare, con distruzione della cuticola (rivestimento esterno del pelo). Il pelo diventa troncato.
• endotrix: invasione intrapilare con conservazione della cuticola. Il pelo è accorciato • favo: invasione intrapilare da parte di ife fungine La tigna da Microsporum è di tipo ectotrix: interessa i bambini prepubere ambosessi e può dare origine a epidemie scolari. Si acquisisce dal gatto infetto e guarisce spontaneamente con la pubertà. Si manifesta con un'unica chiazza alopecia di grandi dimensioni: la superficie appare leggermente desquamante e i peli polverulenti e spezzati a brevissima distanza dall'origine. La tigna da Trichophyton è meno frequente e scarsamente tendente alla regressione spontanea in pubertà. Rispetto alla tigna microsporica le chiazze sono piccole e multiple, i segni infiammatori più evidenti ed il pelo è parassitato dall'interno (endotrix). La tigna favosa è l'unica con un agente eziologico precipuo, il T. schoenleini. È detta anche “tigna della miseria” ed è rara nei Paesi ad alto standard socioeconomico. È caratterizzata dallo scutolo favoso, una concrezione di micelio e detriti cutanei di circa 1 cm di diametro, di color giallo­zolfo e dal cattivo odore (“urina di topo”). Non regredisce spontaneamente e se non trattata porta a un'alopecia cicatriziale permanente.
Tinea corporis Tutti i dermatofiti possono causare la tigna ma i più comuni riscontrati sono T. rubrum e M. canis. Il contagio avviene per lo più per contatto con animali infetti oppure è interumano; esso è favorito dai climi caldo­umidi. Le categorie professionali più esposte sono i veterinari. 16
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La lesione tipica è una chiazza piana eritemato­desquamativa, pruriginosa, ovalare, con aspetto centrifugo o “ad anello” che si espande, con tendenza a confluire e formare complesse figure che possono interessare anche tutta la superficie corporea, fino a coinvolgere il cuoio capelluto solo nei pazienti immunodepressi o negli infanti. Nelle zone pelose può assumere aspetto pustoloso. L'erronea somministrazione topica di glucocorticoidi può mascherare a lungo l'aspetto patognomonico della tigna, poiché attenua proprio la componente infiammatoria. La diagnosi differenziale è facile (talvolta la chiazza madre della pityriasis rosea può sollevare dubbi): è identificata in base alla persistenza di una traccia anulare ed alla resistenza alle terapie non specifiche. Nelle mani e nei piedi, ricchi di strato corneo, le micosi, la psoriasi e gli eczemi possono dare lesioni simili: il criterio differenziale della micosi è la monolateralità. Si può effettuare un esame diretto microscopico raccogliendo le squame cornee su un vetrino, ma solo se l'eventuale terapia è iniziata da meno di 5 giorni.
Tinea barbae È causata per lo più da dermatofiti zoofili e solo occasionalmente dal T. rubrum, che è antropofilo. Colpisce principalmente i maschi adulti che risiedono in zone agricole. I caratteri flogistici sono predominanti ma è comune l'evoluzione a forme a lento decorso, con un'affezione che può interessare anche i bambini al cuoio capelluto: comincia con una chiazza eritematosa e desquamante che nel giro di pochi giorni diventa edematosa, rilevata con molte pustole follicolari che fanno fuoriuscire il pus e i frammenti di pelo. La guarigione è spontanea ma residua comunque una cicatrice alopecia.
Tinea cruris Malattia trasmissibile per contagio interumano diretto causata soprattutto da T. rubrum. La lesione è simile a quella della tinea corporis, e si localizza selettivamente a livello dell'inguine e dell'interno coscia, estendendosi poi ai glutei e all'inguine controlaterale, risparmiando quasi sempre lo scroto. Tinea pedis (“piede d'atleta”) Il secondo nome è dovuto all'elevata frequenza con cui colpisce gli atleti che camminano scalzi in palestre o luoghi affollati: è causata dall'onnipresente T. rubrum ma anche da E. floccosum. Una parte però è di origine candidiosica; in entrambi i casi si possono sovrapporre batteri gram­. È facilitata da condizioni di disidrosi/iperidrosi plantare. Spesso interessa un solo arto, e si presenta in 3 forme cliniche principali:
• intertriginosa: macerazione interdigitale pruriginosa; ai piedi la sovrapposizione batterica può dare un quadro maggiormente infiammatorio, maleodorante (dermatofizie complessa) • ipercheratosica “a mocassino”: eritema, ipercheratosi e desquamazione che debordano sulla superficie laterale del piede, nettamente delimitati rispetto alla cute sana • infiammatoria: causata da ceppi zoofili, presenta lesioni vescicolose o bollose a livello della regione mediale della pianta Spesso può associarsi a onicomicosi e/o a tinea manuum. La diagnosi differenziale si basa per lo più sul riscontro delle lesioni nelle sedi elettive: non è mai interessato il dorso del piede; se così invece è si tratta più probabilmente di eczema da contatto, il quale d'altra parte va escluso in caso di monolateralità delle lesioni.
CANDIDOSI
C. albicans è un saprofita del canale gastroenterico, e pertanto la sua presenza sulla cute è effimera, in quanto non può sopravvivere a meno di particolari condizioni di idratazione dello strato corneo o di presenza di glucosio nel sebo e nel sudore (i diabetici sono particolarmente suscettibili alle infezioni da Candida). Le candidosi superficiali sono ubiquitarie anche se sussistono differenze a seconda dei tipi: l'intertrigine è più frequente nei climi caldi, le onicopatie in quelli freddi. Le categorie più colpite sono i bambini e gli anziani. 17
L'intertrigine è un'affezione tipica di soggetti immunocompetenti diabetici od obesi: è una lesione pruriginosa delle pieghe cutanee, su cui si ha macerazione e formazione di ragadi, circondata da eritema desquamante e più in periferia da poche pustole disseminate. Le pieghe più spesso interessate sono quelle della bocca (cheilite angolare), quelle interdigitali, quelle ungueali (perionichia micotica), ascellari, sottomammarie, inguinali e il solco balanoprepuziale (segno molto sospetto di diabete scompensato). Inoltre è responsabile di alcune forme di dermatite da pannolino nei lattanti. La vaginite da candida è possibile, oltre che nelle donne diabetiche, anche in quelle gravide o sottoposte a terapia estrogenica, in grado di modificare qualitativamente il secreto vaginale. Si manifesta con prurito, leucorrea e secrezioni “a ricotta”. Non è per forza una malattia a trasmissione sessuale in quanto il fungo può arrivare dal retto (infezione endogena). La patogenesi è legata alla forma “a Y” della Candida, che prolifera sulla cute eccessivamente idratata e produce una tossina in grado di dare una dermatite eritemato­pustolosa, poi perpetuata da batteri gram­ come E.coli, Proteus e Pseudomonas. Solo negli immunodepressi o gravemente neutropenici la Candida invade la mucosa orale (mughetto) ed i visceri interni. Il mughetto può non destare allarme solo nel bambino, che attraversa una fase di immunodeficienza transitoria.
PITIRIASI VERSICOLORE
È una micosi comunissima causata dalla Malassezia furfur (prima chiamata Pityrosporum ovale), un fungo dimorfico, saprofita lipofilo della cute normale. La sua incidenza è in aumento, anche se il contagio non è per contatto come per gli altri funghi. Colpisce selettivamente dopo la pubertà. È probabile che le lesioni insorgano per l'aumento della popolazione cutanea del fungo, per effetto di fattori come l'idratazione e l'aumento della temperatura cutanea, e forse per la variazione di composizione del film lipidico cutaneo. Clinicamente si distinguono 4 forme: • Pigmentata: chiazze ovalari di varie dimensioni lievemente desquamanti, color caffellatte, localizzate a tronco, collo e radice degli arti ma anche al cuoio capelluto
• Leucodermica: chiazze depigmentate rispetto alla cute circostante, non desquamanti né pruriginose in quanto disabitate dal fungo; tende a comparire verso fine estate e a scomparire in inverno; è dovuta a ceppi del fungo dotati di endotossine melanocitotossiche che impediscono l'abbronzatura della chiazza, anche se il sole nel frattempo ha già distrutto il fungo.
• Eritematosa: più rara, si accompagna anche a prurito; probabilmente dipende da una reazione di ipersensibilità al fungo. • Atrofica: chiazze del colore della cute ma coperte da epidermide assottigliata, per effetto dell'impropria applicazione topica di corticosteroidi La diagnosi è facile per la forma pigmentata mentre la varietà leucodermica va distinta dalla vitiligine (circondata da cute più scura della norma) e dalla lebbra tubercoloide.
La terapia può essere locale, oppure sistemica, di “vecchia generazione” (griseofulvina) o “nuova generazione” (fluconazolo, ketoconazolo).
II. 4.
Malattie cutanee da Parassiti
SCABBIA
La scabbia è stata classificata dall'OMS come una patologia legata all'acqua. È causata dall'acaro Sarcoptes scabiei, che si insinua nello strato corneo provocando un intenso prurito. 18
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La malattia può essere acquisita dagli oggetti ma più spesso attraverso il contatto diretto. Le infezioni iniziali richiedono da quattro a sei settimane per diventare sintomatiche. La scabbia crostosa, precedentemente conosciuta come “scabbia norvegese”, è una forma più grave spesso associata ad immunosoppressione.
La femmina scava dei cunicoli nello strato corneo dell'epidermide, nei quali depone ogni giorno da 1 a 3 uova, morendo dopo 1 o 2 mesi; alla nascita dei nuovi acari, questi creano a loro volta dei cunicoli. Di tutte le uova depositate, solo meno dell'1% diventa adulto.
La scabbia è una delle tre malattie della pelle più comuni nei bambini, insieme alla tinea e alla piodermite.
Gli acari sono distribuiti in tutto il mondo, colpiscono tutte le età, razze e classi socio­economiche nei climi diversi; si riscontra più frequentemente nelle aree affollate, con condizioni di vita non igieniche. Si stima che si verifichino 300 milioni di casi di scabbia ogni anno e che tra l'1 ed il 10% della popolazione mondiale sia infettata. In Italia il numero dei casi è in aumento: si è infatti passati dai 3'000 casi degli anni '90 a più di 5'700. è una malattia soggetta ad obbligo di denuncia.
I segni caratteristici dell'infezione da scabbia sono il prurito intenso ed i cunicoli cutanei, piccoli rilievi di colore grigiastro lunghi da 3 a 15 millimetri, creati dallo scavo dell'acaro femmina nello strato corneo delle zone rivestite da una pelle più sottile: le tracce dei cunicoli sono spesso lineari. Queste tane superficiali di solito si trovano nelle mani (superfici laterali delle dita, spazi interdigitali), nelle superfici flessorie dei polsi, nelle superfici estensorie dei gomiti, nei pilastri ascellari (diversamente da dermatite da contatto in cui è interessato il cavo ascellare), nella regione glutea, raramente nei piedi. Non si verifica nel viso o sul cuoio capelluto. Nella maggior parte delle persone, i cunicoli scavati dagli acari appaiono di forma lineare o ad S, spesso accompagnate da quelle che appaiono come file di piccole punture di insetti: questi segni si trovano spesso nelle pieghe del corpo, ad esempio tra le dita, intorno alla zona genitale e sotto la mammella.
La formazione di lesioni papulo­vescicolose o pustolose è caratteristica nei bambini.
Il prurito è intenso e si accentua alla sera, con il caldo delle lenzuola, che favorisce la penetrazione della cute; può portare a lesioni da grattamento quali l'impetiginizzazione o l'eczemizzazione.
La scabbia crostosa o norvegese è la forma più grave, e si mostra nei soggetti anziani o con deficit immunologici; si manifestano anche alopecia, eosinofilia ed interessamento delle unghie: il paziente diventa terreno fertile per gli acari, che si diffondono sul corpo dell'ospite, risparmiando il viso.
La diagnosi viene fatta tramite l'evidenziazione del cunicolo, attuata applicando inchiostro sulla cute e quindi detergendo con alcol: il cunicolo resta indicato dall'inchiostro penetrato che non viene asportato dal lavaggio successivo; oppure trovando gli acari, o le loro uova, od i pellets fecali all'esame microscopico.
Va fatta una medicazione preceduta da un bagno caldo e prolungato sfregando energicamente le zone ammalate il modo da aprire i cunicoli (soprattutto nelle zone cheratosiche come i gomiti). La medicazione va fatta su tutto il corpo, per 2 o 3 volte con intervalli di 48­72 ore, infine viene fatto un nuovo bagno seguito dal cambio degli indumenti.
Un certo numero di farmaci risultano efficaci, tuttavia il trattamento deve coinvolgere tutta la 19
famiglia o la comunità per prevenire una nuova infezione.
• Terapia topica
◦ Benzoato di benzile 25%: unguenti a base di zolfo o di benzoato di benzile sono spesso utilizzati nei paesi in via di sviluppo a causa del loro basso costo.
◦ Permetrina 5%: è il trattamento più efficace per la scabbia ed il trattamento di prima scelta; il farmaco, tuttavia, è il più costoso tra i trattamenti topici. Si applica solitamente prima di coricarsi, per essere lasciata per circa 8­14 ore. Una applicazione è normalmente sufficiente per le infezioni lievi; nei casi moderati o gravi, viene applicata un'ulteriore dose, tra 7 e 14 giorni dopo la prima.
• Terapia sistemica
◦ Ivermectina (μg/Kg/die): è un farmaco a somministrazione orale la cui efficacia, in un unica dose da ripetere dopo 10 giorni, è stata dimostrata da numerosi studi clinici. È il trattamento di scelta per la scabbia crostosa, ed è spesso usata in combinazione con un agente topico. Non è stata testata sui bambini e non è pertanto raccomandata al di sotto dei sei anni di età. Preparazioni topiche efficaci negli adulti e risultano attraenti per via del loro basso costo, per la facilità di preparazione e per la bassa tossicità. in monodose PEDICULOSI
I pidocchi sono insetti specie­specifici, quelli che vivono solo a contatto con l'uomo si nutrono del sangue che succhiano dalla sua pelle. Come tutti gli insetti possiedono 3 paia di zampe; sono forniti di uncini per attaccarsi ai peli, e non hanno ali, per cui non possono volare, e non saltano.
Le tre pediculosi umane sono sostenute da tre differenti specie:
• Pediculus humanus var. capitis → Pediculosi del capo
• Pediculus humanus var. corporis → Pediculosi del corpo o dei vestiti o “del vagabondo”
• Phtirus pubis → Pediculosi del pube
La pediculosi è nota da più di 10'000 anni, le uova più antiche conosciute risalgono al 6'900­6'300 a.C. Sono stati rinvenuti pidocchi anche nei capelli delle mummie.
La pediculosi è un'infestazione soggetta a denuncia obbligatoria.
Pediculosi del capo
Causata da Pediculus humanus capitis, interessa soprattutto i bambini di età 3­11 anni, con picco all'età di 9 anni, ed è frequente nelle comunità infantili. Il 5­22% dei bambini che vanno a scuola, indipendentemente dallo stato sociale, è affetto da pediculosi. Ogni anno nel mondo sono colpiti da pediculosi più di 10'000'000 di bambini.
Il contagio può essere diretto, attraverso il contatto testa a testa oppure indiretto (più raro) attraverso spazzole, pettini, cappelli, sciarpe, ecc. In ogni caso non è indice di poca igiene.
Il pidocchio adulto ha una lunghezza di 1­3 mm, di un colore grigio che sembra modificarsi in rapporto al colore dei capelli parassitati. L'adulto sta sui capelli e passa sul cuoio capelluto solo per nutrirsi circa 3 volte al giorno, con un “pasto” di circa 15 minuti.
La femmina del p. capitis, gravida o no, produce 6­10 uova (chiamate léndini) al dì, per un totale di 50­150 uova. Solo dalle uova deposte dalle gravide nascerà un pidocchio. Dalle lendini dopo 7­10 giorni nasce un insetto giovane (ninfa) che in 10 20
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giorni diventa un insetto maturo (3 settimane di vita). L'intero ciclo vitale del pidocchio avviene sulla testa della persona parassitata.
Le lendini, di colore bruno se piene, bianco­grigio se vuote, sono strettamente adese alla parte iniziale del fusto (ad 1 ­ 1,5 cm dall'emergenza del capello) mediante la saliva che contiene composti cheratinici, a distanza di 2 cm dal cuoio capelluto. Sono presenti soprattutto dietro le orecchie e sulla nuca; si trovano anche su berretti, sciarpe, pettini, spazzole.
In una persona infetta ci sono al massimo 10­12 pidocchi, e centinaia di lendini, vive, morte e schiuse.
L'incidenza è in aumento in tutto il mondo a partire dagli anni '70.
Prevalenza:
• Francia: 49%
• Israele: 25%
• Gran Bretagna: 25%
• Australia: 33,7%
• Brasile: 35%
• Nigeria: 3,7% L'incidenza della pediculosi è più bassa tra persone di pelle scura, forse per un effetto protettivo degli oli e delle pomate utilizzate per i capelli crespi
Incidenza della pediculosi In Italia
Nella Regione Emilia­Romagna
1990: 3'449 casi denunciati
1999: 4'907 (corrispondenti a 1'009 focolai epidemici)
1995: 428 casi denunciati
2000: 2'007 casi denunciati
Manifestazioni cliniche:
• Prurito, o “sensazione di camminamento” • Lendini
• Polvere secca o nerastra sul cuscino
• Lesioni secondarie al grattamento: croste, pustole per impetiginizzazione • Linfoadenopatia cervicale
Trattamento:
• Applicazione di topici antiparassitari, prodotti da banco sotto forma di gel, schiume, creme, lozioni. I loro principi attivi sono:
◦ Malathion 0,5% (Aftir)
◦ Piretrine (Milice, Mediker Ap) ◦ Permetrina 1% (Nix) ◦ Lindano 1%
Uccidono il pidocchio ma non tutte le lendini né le rimuovono dai capelli. Il trattamento va ripetuto dopo 10 giorni.
Gli shampoo contenti antiparassitari non sono efficaci, per il troppo breve tempo di contatto; non hanno efficacia preventiva ed inoltre favoriscono la comparsa di resistenze.
In alternativa si possono usare prodotti naturali come vaselina, olio di oliva, maionese, da applicare sui capelli per 2 o 3 notti di seguito, che agirebbero soffocando il pidocchio. Sono però difficili da risciacquare.
• Asportazione delle lendini dai capelli, seguita dal pettinare i capelli ogni giorno alla ricerca di lendini. Si può fare con un pettine a denti fitti (0,3 mm fra i denti): dopo il 21
risciacquo, si applica un balsamo per capelli e si passano i capelli ciocca per ciocca (wet combing); in alternativa si può fare manualmente.
• Disinfestazione degli oggetti veicolo dell'infestazione
◦ Lenzuola ed asciugamani: lavare a 60°, asciugare in asciugatore a 20°.
◦ Pettini e spazzole: cambiarli, se possibile, oppure lavarli a 60°.
◦ Peluches, giochi e tutto ciò che non si può lavare in acqua o a secco: tenere isolato in sacchetti di plastica per 2 settimane o lasciare in freezer per 2 giorni.
◦ Tappeti: passare l'aspirapolvere tutti i giorni e gettare il sacchetto, o lasciare in quarantena per 14 gg, o lavare a secco.
La sopravvivenza al di fuori dell'ospite per il pidocchio è di sole 48 ore, mentre per le lendini adese al fusto raggiunge i 10 giorni. I capelli parassitati persi quotidianamente possono provocare reinfezione se l'ambiente non è disinfestato.
• Controllo/trattamento dei contatti e dei familiari: si può effettuare un trattamento sistematico di tutti i soggetti a rischio oppure uno screening settimanale, per 2­3 settimane, trattando solo chi è affetto.
La pediculosi del capo si considera guarita se sono assenti pidocchi o lendini dopo 2 settimane dal 2°trattamento. La riammissione a scuola è approvata dal Medico scolastico.
Pediculosi del corpo o dei vesiti o “del vagabondo”
Sembra che il Pediculus humanus corporis si sia originato a partire dal pidocchio del capo, trovando un ambiente adatto al proprio sviluppo grazie alla diffusione degli indumenti: le sottospecie del capo del corpo sono praticamente indistinguibili se non per una maggiore dimensione di quest'ultimo. La differenza principale fra le due sta nel fatto che il pidocchio del corpo attacca le proprie uova alle fibre dei vestiti.
L'infestazione di pidocchi del corpo è associata a condizioni di sovraffollamento e/o di scarsa igiene dell'ambiente: la presenza di questi animali provoca un fastidioso e continuo prurito dovuto alle punture sulla pelle per succhiare il sangue dell'ospite; talvolta si associa la comparsa di maculo­papule escoriate, oppure il grattamento fa diventare la pelle grigiastra e lichenificata.
La presenza dell'insetto non rappresenta un particolare pericolo per la salute, ma i pidocchi del corpo possono essere vettori di malattie come il tifo esantematico e la febbre ricorrente.
Un modo per eliminare l'infestazione da pidocchi è bollire i vestiti, sui quali questi animali depongono le proprie uova: alla temperatura di 55°C si ha una mortalità del 100% delle uova e degli adulti. Qualora la bollitura degli abiti non sia possibile, un'alternativa è una disinfestazione degli stessi con DDT, malatione e permetrina; un'altra è il passaggio dei vestiti in forni a microonde (metodo sperimentato già nella seconda guerra mondiale) od in casi estremi il rogo dei vestiti e arredamenti infestati.
L'infezione a livello corporeo è facilmente risolvibile con abluzioni giornaliere ed un cambio frequente di vestiti per una settimana. Esperimenti fatti somministrando ivermectina per via orale hanno dimostrato che, seppur provocando un drastico calo del numero dei pidocchi adulti presenti sul corpo, non si ha una completa eradicazione del parassita.
Pediculosi del pube
Il pidocchio del pube (Pthirus pubis), volgarmente noto anche come “piattola”, per la sua forma schiacciata, è grande 2­3 mm. La forma del corpo è arrotondata, con sei zampe uncinate. Il colore è biancastro, ma sono state notate varianti cromatiche di “adattamento” alle varie etnie della specie umana.
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Dopo l'accoppiamento le femmine depongono giornalmente da 4 a 10 lendini, di forma allungata e colore biancastro. Le lendini sono attaccate ai peli.
Questi insetti si trasmettono per contatto diretto (in letti poco puliti, spogliatoi­bagni di locali pubblici) e colonizzano principalmente la zona genitale. In parassitosi intense si possono localizzare anche nei peli delle gambe, del petto e sotto le ascelle, e su tutti i peli del corpo incluse ciglia e sopracciglia, ma non sono mai coinvolti i capelli. Il quadro clinico è dominato dall'intenso prurito nelle zone colpite. Nelle zone di puntura possono inoltre essere evidenziate le macule cerulee, macchie bluastre di pochi millimetri ed intensamente pruriginose. La localizzazione alle ciglia è caratterizzata da prurito, un aspetto simile ad un orzaiolo, e tra le ciglia sono presenti le lendini.
Le lendini possono essere facilmente eliminate con un pettine a denti stretti in seguito al lavaggio della zona pubica, e la disinfestazione completa avviene con gli stessi metodi delle pediculosi dei capelli.
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III. DERMATOSI SU BASE TOSSICO­ALLERGICA
III. 1. I sintomi, la patogenesi, le cause delle sindromi con orticaria­angioedema.
L'orticaria, una delle dermatosi più comuni (fino al 20% della popolazione può presentarne almeno un episodio nel corso della vita), è un'affezione pruriginosa caratterizzata dalla comparsa nella cute di pomfi, altamente specifici di malattia pur senza essere patognomonici (specificità al 90%: si possono trovare anche nella dermatite erpetiforme). Il pomfo è una lesione fugace che scompare senza lasciare traccia entro 24h dall'esordio, di colore rosso o bianco, circondata da un alone iperemico, di forma, numero, sede ed estensione assai variabili. Si accompagna sempre a prurito ed è causato da una risposta vascolare consistente nell'aumento della permeabilità, dovuto alla liberazione di mediatori chimici vasoattivi (istamina e istamino­simili). Mano mano che l'edema aumenta, i vasi sanguigni vengono compressi e il colore del centro della lesione vira verso il bianco.
Le dimensioni dei pomfi non sono indicative della causa ma possono comunque fornire un sospetto diagnostico: pomfi molto grandi sono più tipici dell'orticaria acuta, più spesso da farmaci, ma ciò non deve essere preso come regola. Se la medesima risposta edemigena si attua a livello del derma profondo e del sottocutaneo allora si realizza l'angioedema, che al contrario del pomfo è poco o nulla pruriginoso poiché a questo livello scarseggiano sia i mastociti che le terminazioni nervose libere. È inoltre aflegmasico, localizzato per lo più al viso, alle mani e ai piedi, ma anche a livello degli organi profondi come il canale alimentare e la glottide, mai improntabile. Le due entità, pomfi­orticaria e angioedema, vengono accomunate in un'unica sindrome poiché la loro associazione è molto frequente.
Dell'angioedema esiste anche una forma ereditaria, caratterizzata dal deficit congenito dell'inibitore della C1­esterasi. In passato classificavano le S.O.A. con un criterio clinico­cronologico, distinguendo una forma acuta e una cronica (di durata > 6 settimane), quest'ultima a sua volta distinta in cronica­continua, ricorrente (intervalli di uno o più giorni) ed intermittente (intervalli di uno o più mesi). Attualmente si preferisce adoperare il criterio eziopatogenetico: • SOA a patogenesi immunologica: ◦ da IgE specifiche: è la classica orticaria allergica, dove il pomfo rappresenta il risultato del cross­linking delle IgE a livello della membrana del mastocita o del basofilo indotta dal contatto con l'allergene. Tale aggregazione produce la liberazione di mediatori preformati, come le amine, e sintetizzati de­novo.
Gli allergeni più frequentemente coinvolti sono pollini, inalanti, lieviti ed alimenti, veleno di imenotteri; talora i farmaci come la penicillina, gli ormoni (insulina), gli enzimi, i sieri eterologhi. ◦ da immunocomplessi: quando gli IMC di IgG oltrepassano una certa quantità cominciano a depositarsi nel derma e nella tonaca sub­intimale dei vasi, attivando la cascata complementare, oppure interagendo con le membrane dei fagociti. I frammenti attivi derivati dall'attivazione del C' sono il C2b, che ha attività bradichinina­simile, il C3a e il C5a, che hanno azione vasodilatante ed inducono la degranulazione del mastocita; i fattori liberati dal mastocita sono sia vasoattivi che chemiotattici ed i neutrofili e gli eosinofili richiamati in loco perpetuano il danno tissutale.
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Possono dare orticaria con questo meccanismo alcune infezioni virali (mononucleosi infettiva, epatite B e C), batteriche (stafilo­ e streptococciche, da micobatteri e da clamidie), miceti, ma anche antigeni nucleari (nel LES od altre connettiviti), malattie neoplastiche e soprattutto linfoproliferative, crioglobulinemie.
SOA a patogenesi non immunologica
◦ da attivazione diretta dei mastociti: i meccanismi più comuni con i quali si può indurre una degranulazione spontanea sono la modificazione dei lipidi di membrana, la lisi enzimatica di alcune proteine di membrana o la semplice presenza in queste sostanze di domini amminoacidici simili al frammento Fc delle Ig. Può essere causata da morfina ed oppiacei.
◦ da attivazione diretta del complemento: ad opera dei mezzi di contrasto iodati, derivati batterici, la proteina A degli stafilococchi ed il veleno di alcuni serpenti. ◦ da attivazione del sistema kallicreina­bradichinina: queste sostanze hanno proprietà vasodilatanti, permebilizzanti e stimolanti le terminazioni; la più importante kallicreina plasmatica attivata è il fattore XII di Hageman.
Gli ACE­inibitori causano inibizione della chinasi II e dell'endopeptidasi neutra, enzimi che degradano la bradichinina.
◦ da agenti fisici: caldo, freddo, pressione
forme NAS
I pomfi si sviluppano in breve tempo e scompaiono di regola in poche ore: al contrario di quelli che compaiono nell'eczema, il prurito è accompagnato da altre sensazioni come bruciore, dolore o formicolio. Alla sintomatologia cutanea si associano talora segni sintomi sistemici, perlopiù a carico delle prime vie aeree, digestive ed alle articolazioni. Il quadro istopatologico è superfluo per la diagnosi, tranne che in alcune forme vasculitiche o da agenti fisici; i reperti presenti in una lesione pomfoide sono l'edema del derma superficiale, con dilatazione vascolare e rigonfiamento endoteliale e l'infiltrato perivascolare di linfociti, monociti granulociti. Con tecniche di immunofluorescenza è possibile mettere in evidenza gli eosinofili: essi hanno un ruolo patogenetico soprattutto nell'orticaria da pressione. Nell'orticaria vasculitica si riscontra il tipico quadro della leucocitoclasia nel contesto della parete vasale (presenza di frammenti di PMN nella parete del vaso). Per quanto riguarda l'orticaria da salicilati, e da altri FANS che condividono la caratteristica di inibire la ciclossigenasi, si ipotizza che questa intolleranza sia dovuta all'aumentata produzione di leucotrieni conseguenti all'aumentata disponibilità di acido arachidonico, a sua volta dipendente dal blocco della via ciclossigenasica. Orticaria cronica idiopatica (OCI) Forma più frequente di tutte (70­80% del totale), che si distingue per la comparsa giornaliera per almeno 6 settimane di un'eruzione pomfoide accompagnata o meno da angioedema, in cui l'agente scatenante non è identificato. Il decorso è imprevedibile: spesso si hanno episodi di riacutizzazione nei quali compare angioedema a livello delle labbra e delle palpebre.
In 1∕4 dei casi si possono individuare i fattori eziologici implicati ma il loro reale impatto sulla patologia non è ben quantificabile: probabilmente essi devono essere considerati eventi associati od aggravanti, piuttosto che fattori causali. Tra i farmaci vanno considerati le penicilline, che agiscono attraverso un meccanismo allergico, ed i salicilati, che agiscono tramite il blocco della via ciclossigenasica; l'aspirina, in particolare, deve essere sconsigliata perché può far precipitare un attacco di orticaria acuta. Gli alimenti possono agire con un 25
meccanismo allergico (pesce, uovo, latte, castagne), oppure con l'attività istamino­liberatrice diretta (fragole, crostacei); possono però essere responsabili non direttamente gli alimenti ma i conservanti usati, come sodio benzoato, salicilati, solfiti, ecc... Le infezioni che più spesso sono correlabili alla OCI sono le epatiti A e B, la mononucleosi infettiva, la coxsackiosi, i focolai infettivi ad andamento cronico, la parassitosi intestinale e, secondo le ultime ipotesi, l'infezione cronica da H. pylori. Il veleno di imenotteri può provocare, insieme al molto più importante shock anafilattico, un'orticaria acuta assai importante. L'associazione dell'OCI con malattie sistemiche è nota da tempo: il 15% circa dei pazienti è affetto da LES o da tiroidite linfocitaria autoimmune di Hashimoto. Recente è invece la scoperta nel siero di questi pazienti di autoanticorpi appartenenti alla classe IgG rivolti verso le IgE, oppure verso il loro recettore ad alta affinità presente sui mastociti, oltre ad un mediatore non citochinico dotato di azione istamino­liberatrice anche nei soggetti normali. Questo gruppo di pazienti con OCI rappresenta fino al 40% del totale e deve essere considerato come affetto da una patologia autoimmune, tanto più che presentano elevata incidenza di alcuni aplotipi HLA. Questi pazienti mostrano, nei periodi di maggiore attività, reattività intradermica dopo inoculazione di siero autologo. Per quanto riguarda l'orticaria psicogena, è accertato che il SNC può esercitare un'azione urticariogena tramite neuropeptidi liberati dalle terminazione nervose sensitive. La diagnosi clinica è facile: più difficile invece è l'individuazione dei fattori eziologici responsabili. La raccolta di dati anamnestici è essenziale per stabilire il tipo di alimenti assunti dal paziente, i farmaci assunti e il tipo di attività lavorativa. Qualora si evidenziassero lesioni pomfoidi che non recedono nell'arco delle 24h lasciando esiti pigmentari permanenti occorre sospettare l'orticaria vasculitica. In caso di angioedema importante o comunque predominante è opportuno effettuare uno studio del C'. Sono di aiuto esami laboratoristici come: • PRIST: dosaggio IgE sieriche totali • RAST: dosaggio IgE sieriche specifiche (utile rilevare quelle verso le β­lattamine e/o alcuni cibi, data la loro frequenza)
• Prick test: test di intradermoreazione che prevede l'inoculazione di una serie di allergeni e la verifica dell'entità della reazione misurando il diametro dei rispettivi pomfi; la scarificazione della cute non deve provocare sanguinamento. Vanno inoltre eseguiti un controllo negativo con soluzione fisiologica ed uno positivo con istamina; la positività si esprime secondo una scala da + a +++ in base all'ampiezza del pomfo, dopo 15­30'. Questo test non può essere eseguito in fase acuta per il fenomeno del dermografismo, che produce tutti falsi positivi rilevabili come positività anche al controllo.
L'ideale sarebbero l'identificazione ed il conseguente allontanamento della causa, prima di passare alle terapia farmacologica: essa è soltanto sintomatica, palliativa, ma comunque utile anche dopo l'allontanamento dell'agente scatenante perché il paziente prova sollievo durante il periodo di smaltimento dello stesso. I pazienti dovrebbero seguire una dieta ipoallergenica, evitando tutti i cibi potenzialmente urticariogeni: se questa misura ha successo, i cibi possono essere reintrodotti uno per volta, per verificarne le conseguenze. Anche i farmaci dovrebbero essere sospesi, nei limiti del possibile (salicilati e altri FANS, ACE­inibitori, codeina), insieme ad altri fattori come stress fisici ed emozionali. 26
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Orticaria da causa fisica (OF)
Gruppo di orticarie scatenate da uno stimolo fisico ben riproducibile e direttamente applicato sulla cute: le lesioni tendono a svilupparsi entro pochi istanti dall'applicazione dello stimolo. Le orticarie fisiche si classificano in base allo stimolo in grado di evocarle. • Orticaria demografica o “fittizia”: è la più frequente, diffusa soprattutto tra le donne, ed insorge in sede di confricazione; può essere o meno accompagnata da prurito e regredisce del tutto spontaneamente entro un'ora. Può associarsi a malattie come diabete, tireopatie, mastocitosi, sindrome ipereosinofila, parassitosi oppure altre forme di orticaria fisica. L'antigene non è stato identificato anche se questa forma può essere trasferita ad individui sani mediante IgE specifiche adese alla membrana dei mastociti. • Orticaria da pressione: i sintomi iniziano solo 4­8 ore dopo l'applicazione dello stimolo, tipicamente nelle zone di maggiore compressione da parte di indumenti elastici, oppure a livello delle mani dopo aver usato un martello o portato oggetti pesanti, o a livello dei piedi dopo aver camminato a lungo. Questa forma non è pruriginosa ma ben si apprezza stringendo la cute tra due dita e verificando che assume un aspetto a buccia d'arancia. La diagnosi si fa con l'anamnesi e con il test da pressione (applicazione di un peso di 8 Kg sulla coscia per 10' e controllo dopo 4'­6'­8'­12'­24'). • Orticaria “a frigore”: comparsa di pomfi e/o angioedema dopo esposizione al freddo (aria, acqua) o ad oggetti freddi, compreso il cibo, che possono determinare edema delle labbra e delle mucose. Può esordire a qualsiasi età, senza particolare predilezione per il sesso. Si distinguono 2 gruppi principali: ◦ OF familiare: rara, autosomica dominante, compare sin dalla prima infanzia e dura tutta la vita; è innescata solo dal contatto con aria fredda e può accompagnarsi a sintomi sistemici (febbre, artralgie, sudorazione); esistono 2 varianti, quella immediata sistemica e quella ritardata localizzata.
◦ OF acquisita: più frequente, le lesioni si sviluppano indiscriminatamente su tutte le superfici a contatto con il freddo, in tutte le sue forme; la forma principale in questo caso è quella immediata, in cui i pomfi compaiono entro pochi minuti e persistono per 1­2 h, potendo essere accompagnati da sintomi sistemici come dispnea, cefalea, astenia, tachicardia e vertigini. È spesso idiopatica ma esiste una forma secondaria associata a crioglobulinemia. È stato dimostrato il ruolo patogenetico certo dei mastociti e dei mediatori da loro prodotti, tra cui anche il TNF, responsabile del corteo di sintomi sistemici. • Orticaria da calore: il range di temperatura in grado di poter indurre la formazione di pomfi in questa sede varia da 38 a 55 °C. Dal punto di vista patogenetico, il calore può indurre la formazione di sostanze in grado di degranulare i mastociti o, seppure più raramente, di attivare il C'.
• Orticaria colinergica: i pomfi compaiono in particolare nella metà superiore del tronco, nel collo e nella parte prossimale degli arti, mentre sono risparmiati volto, ascelle, regioni palmoplantari; sono circondati da un alone eritematoso e sono provocati dall'esercizio fisico, con la conseguente sudorazione, dal passaggio brusco a un ambiente caldo, da uno stress psichico oppure da una doccia calda. È presente in genere un forte prurito. La sintomatologia in genere migliora durante l'estate. Il meccanismo patogenetico non è noto ma si sa che tutti gli stimoli efficaci sono mediati da fibre colinergiche e che l'acetilcolina è in grado di indurre la degranulazione mastocitaria agendo su uno specifico recettore di membrana. Il test provocativo in questo caso si fa 27
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inoculando nel derma 0,01 mg di metacolina in 0,1 ml di fisiologica e verificando la comparsa di un pomfo circondato da un alone eritematoso satellite. Anafilassi da es. fisico: oltre ad orticaria e angioedema con prurito si presentano broncospasmo ed ipotensione, pertanto un quadro sovrapponibile a quello dello shock anafilattico. Sono coinvolti nella patogenesi mastociti e istamina; non è ben chiaro il rapporto di questa forma di orticaria con l'assunzione di cibo ma è accertato che c'è un rapporto significativo con il consumo di crostacei e sedano. Orticaria acquagenica: variante molto rara in cui i pomfi compaiono per il semplice contatto con acqua, a qualunque temperatura essa si trovi; macroscopicamente essi sono simili a quelli dell'orticaria colinergica, avendo prevalente disposizione perifollicolare, e compaiono tra 3 e 30 minuti (scomparsa in 10' ­ 60'). La reazione sembra mediata dagli stessi fattori dell'orticaria colinergica, infatti la diagnosi differenziale va fatta con questa forma e con il prurito acquagenico (in cui non c'è manifestazione clinica tangibile e la risoluzione giunge in 10'). Orticaria solare: l'esposizione al sole, o anche a qualsiasi altra fonte di radiazioni elettromagnetiche (di lunghezza d'onda compresa tra 290 e 700 nm), determina lo sviluppo di pomfi entro 3', preceduti da eritema e accompagnati da prurito. L'ipotesi patogenetica più probabile è la formazione fotoindotta di un allergene nella cute: questa forma è trasferibile con le IgE. Con test diagnostici si può determinare anche la lunghezza d'onda in grado di causare il pomfo. Angioedema vibratorio: la formazione di pomfi è scarsa rispetto all'angioedema, che compare 2' ­ 5' dopo lo stimolo vibratorio (massaggio, guida in motocicletta, uso di martello pneumatico ecc...) e persiste fino al giorno seguente. Angioedema ereditario (AEE) Malattia autosomica dominante dovuta a deficit dell'inibitore della prima frazione del complemento (C1­INH), caratterizzata dalla comparsa improvvisa di edemi acuti potenzialmente in ogni parte del corpo, ma solitamente “a mantellina”, scatenata da un evento traumatico o uno stress. Gli edemi possono protrarsi anche per 5 giorni, generalmente non sono accompagnati da orticaria bensì da disturbi gastroenterici (vomito, dolore addominale e contrattura muscolare fino a simulare il quadro di addome acuto). La complicanza più grave rimane comunque l'edema laringeo. Si distinguono 2 varianti fenotipiche della malattia: in una (85% dei casi) c'è un deficit quantitativo della proteina, nel secondo qualitativo. La comparsa dell'edema è determinata dalla produzione del frammento C2b e dall'attivazione del sistema delle chinine plasmatiche. La diagnosi è confermata dalla riduzione del C1­INH ma anche del C2 e del C4. Negli ultimi 20 anni sono emerse forme di angioedema clinicamente uguali alla forma ereditaria, ma con anamnesi familiare negativa ed insorgenza dopo i 40 anni in pazienti con malattie linfoproliferative o neoplastiche, oppure con anticorpi della classe IgG o IgM bloccanti l'azione del C1­INH. Orticaria vasculitica (OV)
Si distingue per la presenza all'esame istologico di una vasculite necrotizzante leucocitoclasica. I pomfi sono di piccole dimensioni, durano 2 o 3 giorni, possono accompagnarsi a dolore e lasciano talvolta macchie purpuriche permanenti; il prurito invece è in genere molto modesto. Possono esserci segni sistemici come febbre, artralgie, dolori toraco­addominali, glomerulonefrite ed uveite, evidenziati anche dal contemporaneo movimento della VES e, nella metà dei casi, da ipocomplementemia. Attualmente all'origine dell'OV si pone un meccanismo di ipersensibilità di tipo III, mediato da immunocomplessi, con una probabile reazione in cui gli IMC attivano il C' e determinano la produzione di anafilotossine, che liberano istamina dai mastociti e richiamano leucociti in loco 28
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accentuando il danno vasale.
È utile un inquadramento generale del paziente perché alcune forme di OV sono associate a sindromi sistemiche autoimmuni o a infezioni da EBV/HBV. Orticaria da contatto (OC)
È prodotta dal semplice contatto della cute sana con sostanze rapidamente riassorbibili: la reazione cutanea si attua nel giro di 20'­30'. Su base clinica si distinguono reazioni cutanee localizzate, reazioni extracutanee (a carico di albero bronchiale, congiuntiva, orecchio, prime vie aeree, vie digestive) e reazioni sistemiche anafilattoidi (eritema, allergie). Su base patogenetica invece si distinguono: • forme immunologiche: una pregressa esposizione è avvenuta senza sintomatologia; la reazione cutanea è da imputare alla liberazione di istamina o all'attivazione del C' per via classica. Di particolare importanza, per la sua sempre più frequente osservazione, è l'allergia al lattice, che può assumere vari gradi di gravità, dalla semplice orticaria da contatto fino alla vera e propria anafilassi. La reazione è mediata da IgE specifiche dirette contro le proteine del lattice; il rischio di anafilassi è maggiore nelle categorie più a contatto con il lattice. Per diagnosticare l'allergia al lattice è sconsigliabile il test d'uso perché può indurre una grave anafilassi: pertanto si pratica l'intradermoreazione con l'eluato del guanto.
• forme non­immunologiche: le sostanze agiscono direttamente sulle cellule bersaglio, sui vasi del derma, oppure liberando istamina od altre sostanze vasoattive; l'elenco di tali sostanze è sempre più lungo e comprende farmaci, alimenti, bevande, sostanze vegetali, prodotti industriali, derivati epidermici animali, secrezioni e liquidi biologici.
• forme da meccanismo incerto: per la diagnosi ci si avvale dell'anamnesi, focalizzando l'attenzione sui comportamenti del paziente dopo l'esordio dei sintomi, sui test epidermici e intradermici: i primi vanno eseguiti su cute sana e, solo se negativi su cute scarificata. La terapia farmacologica si basa su sostanze in grado di antagonizzare a vari livelli i mediatori prodotti: • antistaminici anti­H1 (terfenadina, astemizolo, loratadina, cetirizina, acrilastina): sono i farmaci di prima scelta perché presentano un trascurabile potere sedativo­ipnotico ed hanno un'emivita sufficientemente lunga. La terfenadina interferisce con i composti imidazolici
• doxepina: antidepressivo triciclico dotato di attività antistaminica, particolarmente indicato nell'orticaria psicogena associata ad ansia o depressione • stabilizzanti di membrana (chetotifene, oxatomide): indicati nel sospetto di un'azione diretta sul mastocita da parte dell'allergene; in questo gruppo si può includere anche la nifedipina, che diminuisce l'afflusso intracellulare di calcio, essenziale per ogni processo di esocitosi e degranulazione cellulare
• anticomplementari antistaminici (cinnarizina): ha anche un'attività antiserotoninergica ed è particolarmente utile nell'orticaria serotoninergica III. 2. I segni cutanei di infezioni tossiche o allergiche a farmaci, gli accertamenti e la terapia.
Secondo la definizione dell'OMS, una reazione avversa da farmaci è “qualsiasi evento inatteso 29
e non voluto, che si verifichi alle dosi abitualmente impiegate a scopo di terapia, diagnosi o profilassi”, che richiede riduzione o sospensione e fa prevedere di ripetersi alle nuove somministrazioni; si tratta di una definizione che non prende in considerazione il meccanismo patogenetico ma si rivela particolarmente utile nell'ambito della farmacovigilanza.
Gli effetti indesiderati dei farmaci possono essere distinti in due grandi gruppi: • tossici (più comuni) ◦ da sovradosaggio ◦ da interazione farmacologia ◦ da alterazione dei parametri farmacocinetici ◦ da interazioni metaboliche ◦ da difetti enzimatici • reattivi ◦ allergici (mediati da IgE, CMI o IMC) ◦ non allergici (meccanismi extra­immunitari, come l'attivazione aspecifica delle vie effettrici) Un effetto che compare in concomitanza con la prima somministrazione di un farmaco non è quasi mai attribuibile al farmaco stesso perché, indipendentemente dal meccanismo patogenetico in causa, è necessaria una prima dose per consentirne l'accumulo o la sensibilizzazione. Le reazioni avverse a farmaci sono in continuo aumento in tutto il mondo ed il coinvolgimento cutaneo occupa il primo posto per incidenza tra di esse; le reazioni cutanee da farmaci complicano il 2­3% dei ricoveri ospedalieri e rappresentano circa il 5% dei ricoveri in dermatologia. Le reazioni cutanee da farmaci negli adulti sono più frequenti nelle femmine che nei maschi (in Italia F/M = 1,58), mentre nei bambini sotto i 3 anni sono i maschi ad essere più colpiti. L'incidenza e la prevalenza delle reazioni cutanee da farmaci aumentano anche con l'aumentare dell'età.
In Italia le manifestazioni cutanee più frequentemente osservate sono gli esantemi (papulosi, maculo­papulosi, morbilliformi, roseoliformi, scarlattiniformi) e l'orticaria:
• esantemi: 28%
• orticaria: 30%
• altre reazioni cutanee severe: 17%
• altre reazioni cutanee non severe: 25%
A livello cutaneo il 50% delle reazioni cutanee avverse a farmaci sono provocate da antibiotici; ai primi posti sono le cefalosporine el'acido clavulanico. I bambini sono più a rischio di reazioni avverse da antibiotici a causa dell'alto uso e di somministrazioni off­label.
Le reazioni avverse possono essere considerate l'esito di un processo multifattoriale: • paziente: un paziente informato e cooperante riduce notevolmente i rischi connessi con la ridotta compliance, quali il sovradosaggio; anche le modificazioni, geneticamente determinate, delle risposte farmacocinetica e farmacodinamica concorrono a modificare il rischio. Alcuni dati sono già noti, come il deficit di N­acetil­transferasi responsabile della sindrome di Lyell e di una sindrome simile a lupus. Queste variazioni genetiche sono sospettate essere la causa delle reazioni idiosincrasiche, rare, pericolose, non mediate immunologicamente e non prevedibili con studi su modelli animali. È stata documentata anche l'associazione con alcuni antigeni MHC.
• fattori concomitanti: un'anamnesi positiva per reazioni avverse rappresenta un grosso fattore di rischio per future reazioni allo stesso farmaco o ad altri strutturalmente analoghi; una storia di malattie autoimmuni, di linfopatie (mononucleosi infettiva, leucemie linfatiche e mielocitiche) o la radioterapia 30
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recente predispongono allo sviluppo di reazioni cutanee quasi sempre severe. L'esposizione al sole costituisce la conditio sine qua non per lo sviluppo di reazioni da ipersensibilità. Sono ben documentate l'associazione tra mononucleosi infettiva ed esantema da ampicillina, nonché l'elevata incidenza di eventi in pazienti HIV+.
farmaci: le caratteristiche del farmaco hanno notevole importanza riguardo alla possibilità di sviluppare reazioni immuno­mediate; è importante la cross­reattività, che può aversi tra farmaci appartenenti alla stessa famiglia oppure con farmaci appartenenti a classi diverse: l'anello β­lattamico è responsabile dell'allergia crociata alle penicilline e alle cefalosporine. La disponibilità di un crescente numero di farmaci con minime variazioni rispetto al loro capostipite potrebbe aumentare la possibilità di nuovi effetti avversi a fronte di modesti vantaggi terapeutici.
medico: quando prescrive farmaci verso i quali siano noti pesanti effetti indesiderati, il medico deve seguire costantemente il paziente, poiché alcune malattie come l'eritrodermia possono avere un esordio subdolo prima di arrivare alle manifestazioni conclamate. Oltre a sospendere immediatamente il farmaco ed eventualmente sostituirlo con un altro analogo come funzione, ma non come struttura, il medico dovrebbe segnalare il caso alla locale agenzia di Farmacovigilanza.
Per attribuire la reazione cutanea ad un farmaco bisogna considerare il lasso di tempo trascorso tra la somministrazione del farmaco e l'inizio della sintomatologia, e la probabilità che un farmaco provochi tale manifestazione: si sviluppa entro 2 settimane dalla prima somministrazione (ma anche più tardi nel caso della fenitoina e dell'allopurinolo); se invece il soggetto è già sensibilizzato, la comparsa può avvenire anche dopo soli 2­3 giorni di trattamento, o può anche non avvenire affatto. La diagnosi di una reazione cutanea avversa da farmaco comporta non solo l'inquadramento clinico della sindrome, ma anche quello eziologico, che spesso è possibile solo in termini di probabilità, non di certezza. L'imputabilità è proprio la determinazione del nesso di causalità tra una manifestazione clinica e la somministrazione di un farmaco ed è un procedimento probabilistico. L'imputabilità estrinseca si basa sulla conoscenza di accidenti identici attribuiti al farmaco, mentre quella intrinseca valuta il nesso di causalità tra l'accidente occorso ed i farmaci assunti dal paziente, valutando criteri cronologici e criteri clinici. Criteri clinici specifici per distinguere gli esantemi da farmaci da quelli biotici non esistono: ci si basa perlopiù sulle manifestazioni cliniche e sulla semeiotica clinica propria dell'accidente, gli eventuali fattori favorenti, le altre possibili eziologie non farmacologiche; sulla presenza di febbre, che scompare subito dopo l'esantema se di origine biotica; inoltre gli esantemi biotici non desquamano (con l'eccezione della scarlattina), ma ovviamente non si può aspettare la desquamazione per fare diagnosi. I criteri cronologici sono la latenza tra l'inizio del trattamento e reazione, l'evoluzione dopo la sospensione del trattamento (se indicativa, non probante, non indicativa), una eventuale reintroduzione accidentale: la combinazione dei 3 criteri cronologici consente di pervenire alla imputabilità cronologica.
Le indagini strumentali sono poco utili: la ricerca di IgE specifiche mediante il RAST è infatti disponibile per un numero limitato dei farmaci responsabili di reazioni anafilattiche (penicillina, ACTH, insulina...); inoltre nel caso della penicillina il test è volto ad accertare l'ipersensibilità verso il determinante maggiore (penicilloil­polilisina), mentre sono frequenti anche le reazioni verso i determinanti minori, e d'altra parte il test intradermico fatto usando proprio i determinanti minori espone ad un rischio di reazioni severe. Clinica
Diagnosi differenziale
Esantemi maculo­papulosi
Virus, tossine
Orticaria­angioedema
Idiopatica, altre cause
AGEP (Pustolosi Esantematica Acuta Generalizzata)
Psoriasi pustolosa
Porpora vasculitica ­ Infezioni, malattie autoimmuni, Latenza
Farmaci implicati
7 ­ 21 giorni
Beta­lattamici, sulfamidici, ACE­inibitori, etc (60­80%)
Minuti, ore; giorni
Antibiotici, FANS, ACE­inibitori, mdc, etc (10%)
< 48 ore
Beta­lattamici, macrolidi, sulfamidici, etc (> 90%)
7­21 giorni
Allopurinolo, furosemide, 31
Malattia da siero
emopatie, tumori maligni
Fototossicità
Ustioni solari, fotosensibilità da altre cause
tiazidici, sulfamidici, indometacina, etc (10%)
Alcune ore
Tetracicline, amiodarone, chinolonici, FANS
Fotoallergia
Eczema, LES, Fotosensibilità idiopatica 7 ­ 21 giorni
Topici: prometazina, PABA, etc
Sistemici: fenotiazine, griseofulvina, FANS, etc
Eritema fisso da farmaci
Eritema polimorfo, TEN
Alcune ore
Barbiturici, sulfamidici, antiepilettici, etc (100%)
SSJ/TEN
Epidermolisi stafilococcica
7 ­ 21 giorni
Sulfamidici, allopurinolo, antiepilettici, etc
DRESS
Virosi, emopatie
20 ­ 40 giorni
Antiepilettici, sulfamidici, allopurinolo, etc.
Se i farmaci indiziati sono ritenuti indispensabili per i pazienti e se gli effetti avversi sono di lieve entità, si può tentare la reintroduzione graduale controllata (rechallenge).
Inoltre, per attribuire un rash cutaneo allergico ad un farmaco se un paziente assume molti farmaci si può fare riferimento alle proporzioni di incidenza dei rash prodotti dai singoli farmaci.
Strategia terapeutica
• Sospensione del farmaco sospettato
• Cure locali
• Antistaminici
• Corticosteroidi sistemici • Immunoglobuline e.v. (TEN)
Le classificazioni delle reazioni avverse abbondano: in base alla morfologia della lesione, in base alla gravità della manifestazione, in base alla patogenesi immunologica o meno. Tutte le manifestazioni non sono esclusive delle reazioni ai farmaci e possono avere altre cause. Le manifestazioni cutanee sono le più disparate: prurito, eritemi, pomfi, vescicole, bolle, papule, noduli, nodosità, vegetazioni, pustole, porpore, macchie, squame, patologie delle unghie, patologie dei peli, e sono caratterizzate dal prurito.
Reazioni non immunologiche
• Attivazione dei mediatori
◦ Orticaria: da oppiacei, polimixina, mezzi di contrasto iodati, ASA
• Intossicazioni
◦ Mucosite e dermatite: retinoidi sistemici
• Depositi ed accumuli
◦ Pigmentazioni: da sali d'argento, amiodarone, clofazimina, antimalarici di sintesi
• Interferenze enzimatiche e metaboliche
◦ Necrosi emorragiche: inibitori della vitamina K
• Sovradosaggio
• Effetti collaterali
• Esacerbazione precedenti dermatosi
• Interazioni ecologiche
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Le reazioni esantematiche (25­30% delle reazioni avverse) e l'orticaria (30%)
La morfologia delle lesioni può somigliare a varie malattie dermatologiche, pertanto è utile distinguere le manifestazioni avverse esantematiche, in base alla patogenesi, in immunologiche e non immunologiche.
Queste reazioni si potrebbero dividere in 4 grandi pattern:
1. Pattern eczema­simile
◦ Eruzioni esantematiche maculo­papulose, Eruzioni eczematose, Eritrodermia, Eruzioni fotoallergiche
Entra in diagnosi differenziale con: dermatite da contatto, lichen simplex chronicus, esantemi virali, pitiriasi rosea, eritema anulare centrifugo
2. Pattern pomfoide
◦ Orticaria, Angioedema, Eruzioni orticariodi nella malattia da siero e nello shock anafilattico
Entra in diagnosi differenziale con: sindrome di Sweet, cellulite eosinofila, pemfigoide bolloso
3. Pattern dermatite interfaccia (lichenoide)
◦ Eruzioni lichenoidi, Eritema fisso, Eritema polimorfo, Sindrome di Steven­Johnson, Necrolisi epidermica tossica
Entra in diagnosi differenziale con: lichen planus, lupus eritematoso, dermatomiosite, GVHD
4. Pattern vasculopatico
◦ Porpora trombocitopenica/pigmentaria, Vasculite allergica, Eritema nodoso
Entra in diagnosi differenziale con: porpora senile, dermatite da stasi, sindrome di Sweet, granuloma faciale, poliarterite nodosa, Wegener, Churg­Strauss, eritema elevatum diutinum, eritema indurato
A maggior rischio di manifestazioni esantematiche vi sono i pazienti con mononucleosi infettiva, i pazienti trapiantati, i pazienti HIV+; in questi casi la probabilità di un'infezione virale provoca problemi di attribuzione di origine dell'esantema: può essere una manifestazione dell'infezione virale oppure può essere dovuto al farmaco somministrato. Il farmaco che scatena più frequentemente l'esantema è l'ampicillina: 4­5% nei soggetti normali, quasi 100% nei malati di mononucleosi. Altri importanti sono sulfamidici, anticonvulsivanti, citostatici, alcuni tireostatici e alcuni FANS (piroxicam, naprossene).
L'esantema è altamente polimorfo, può essere maculoso o papuloso, talvolta roseoliforme, con distribuzione simmetrica, accentuato nelle pieghe cutanee e assente invece in volto. Le lesioni elementari possono essere molto variabili nell'ambito dello stesso paziente: da puntiformi ad estese con risoluzione centrale (come l'eritema polimorfo o l'eritema anulare centrifugo). Può esserci anche un esantema limitato al bordo interno delle labbra. In fase di risoluzione può esserci desquamazione e talvolta residuano esiti pigmentari. Il test più affidabile, ma per ovvie ragioni usato solo in pochi casi, è il test di scatenamento (utilizzabile solo per manifestazioni lievi come l'eritema fisso). Altre indagini a disposizione sono il dosaggio di IgE specifiche (RAST), attendibile se eseguito a poco tempo dalla manifestazione, il patch­test ed il prick­test.
Le reazioni esantematiche immunologiche comprendono: 1. Manifestazioni autoimmuni
◦ Pemfigo indotto da farmaci: è un pemfigo perlopiù superficiale (eritematoso o foliaceo). I farmaci responsabili sono numerosi: D­penicillamina, piritinolo, captopril, tiopronina, penicillina, ampicillina, rifampicina, fenilbutazone, eroina, beta­bloccanti, piroxicam. La terapia fa leva sulla sospensione del farmaco e sulla 33
corticoterapia sistemica.
2. Reazioni di ipersensibilità
◦ Reazione di tipo I, od anafilattiche/atopiche: mediata da IgE e IgG S­TS fissate alle cellule tissutali (mastcellule e basofili)
▪ Esantemi maculo­papulosi: spesso causati da sulfamidici, penicilline semisintetiche (ampicillina)
▪ Orticaria­angioedema: sono reazioni allergiche IgE­mediate, caratterizzate clinicamente da pomfi (chiazze edematose superficiali e fugaci) e/o angioedema (edema profondo accompagnato di solito da orticaria). I pomfi durano tipicamente alcune ore, mentre l'angioedema permane per alcuni giorni. Può comparire in maniera isolata o associarsi ad altre manifestazioni di anafilassi, come broncospasmo e ipotensione, oppure ad una malattia da siero (reaz. tipo III).
L'immunoreazione si appalesa (solo nell'individuo sensibilizzato) con brevissima latenza e la sua entità è dose­indipendente: poche ore dopo una somministrazione orale, o dopo pochi secondi o minuti a seguito di una somministrazione parenterale, del farmaco responsabile; i più frequentemente responsabili sono penicillina (l'anello beta­lattamico è chimicamente reattivo e può formare un legame covalente con le proteine; in alcuni pazienti questa proteina modificata scatena una risposta immunitaria che determina una produzione di IgE contro la proteina beta­lattamica modificata, tale da indurre la comparsa di un'importante reazione allergica; si ritiene che questo tipo di reazione venga esaltata dai β­bloccanti), ormoni (insulina), enzimi, estratti d'organo, sieri eterologhi.
La terapia consiste nella somministrazione di adrenalina o corticosteroidi e.v., con particolare attenzione alla possibilità di edema della glottide, che rappresenta una grave emergenza.
Bisogna ricordare che le reazioni allergiche ai farmaci non sono l'unica causa di orticaria­angioedema (e che non tutte le reazioni ai farmaci che causano orticaria sono sostenute da meccanismi immunitari: ad esempio il rilascio di istamina indotto dagli oppioidi, l'aumento nella produzione di leucotrieni indotto da FANS o l'inibizione della clearance della chinina da parte degli ACE­inibitori).
◦ Reazione di tipo II, o di citotossicità e neutralizzazione: indotta da IgG o IgM fissanti il complemento e reagenti con i costituenti delle cellule tissutali
▪ Porpora trombocitopenica: è una reazione citotossica contro le piastrine, che si manifesta con sanguinamento sotto forma di petecchie ed ecchimosi; più frequentemente compare agli arti inferiori. La conta piastrinica diventa molto bassa. I farmaci maggiormente responsabili sono il clotrimossazolo ed i macrolidi, inoltre anche acetazolamide, acido acetilsalicilico, alclofenac, carbamazepina, clordiazepossido, clortiazide e derivati, fenitoina e derivati, citostatici, furosemide, ibuprofene, indometacina, propanololo, sulfamidici, chinidina...
◦ Reazione di tipo III, o da immunocomplessi: dovuta ad anticorpi precipitanti (IgG, IgM) e fissanti il complemento, che reagiscono con l'antigene nei tessuti e nei vasi sanguigni. I farmaci più frequentemente responsabili sono FANS, antibiotici e composti iodati.
▪ Orticaria­angioedema da immunocomplessi: i pomfi persistono per circa 2 giorni. Non è rara in corso di malattie autoimmuni; la forma dovuta a farmaci (principalmente sulfamidici) è più rara. 34
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▪ Vasculite allergica: la deposizione di immunocomplessi di IgG determina la formazione di papule emorragiche e porpora palpabile. La “malattia da siero” è prodotta da deposito di IgM, attivazione del C' per via classica e danno a carico dei piccoli vasi, con stravaso di sangue e porpora palpabile.
L'insorgenza si ha da 1­3 settimane a 12­36 h dopo l'assunzione. Di solito inizialmente è interessato il margine laterale delle dita di mani e piedi; segue poi un esantema morbilliforme con o senza segni orticarioidi. Sono presenti anche sintomi sistemici e segni di coinvolgimento viscerale (nefrite, endocardite). La causa più comune è l'infusione di proteine eterologhe, come le globuline antitimocitiche, usate nel post­trapianto: tuttavia una sindrome simile (serum­sickness­like reaction), in assenza però di consumo delle proteine del C', si riscontra con l'uso di vari farmaci come penicillina, propanololo e streptokinasi. È descritto anche l'interessamento dei grandi vasi. La vasculite può essere indotta anche dalla tossicità diretta del farmaco sulla parete vasale, formazione di autoanticorpi e citotossicità cellulo­mediata.
Antibiotici, sulfamidici, composti iodati, FANS sono i maggiori responsabili nel causare le vasculiti da farmaci.
▪ Eritema polimorfo, sindrome di Steven­Johnson, necrolisi epidermica tossica (T.E.N.)
▪ Eritema nodoso: è una manifestazione severa che predilige il sesso femminile; può essere dovuto a farmaci (preparati anticoncezionali estroprogestinici, aspirina, FANS) oppure manifestarsi in gravidanza od in corso di infezioni (soprattutto da S. aureus) senza correlazione a farmaci. Essendo una malattia da immunocomplessi si tratta di una vasculite che interessa i vasi dei setti interlobulari del tessuto adiposo sottocutaneo. Si manifesta con ecchimosi e petecchie. ◦ Reazioni di tipo IV, o di tipo ritardato o cellulo­mediate: legata all'azione di linfociti sensibilizzati e delle loro linfochine
▪ Dermatite Allergica da Contatto[vedi cap. VI]: principalmente sotto forma di esantema, quasi mai di enantema. Spesso è determinata dall'associazione tra un antibiotico ed un evento infettivo. Può essere causata da lanolina, conservanti, antisettici, antibiotici, anestetici locali, antistaminici (fenotiazine), catrami, balsamo del perù...
▪ (Forse) Esantema maculo­papuloso: esordisce nelle prime 2 settimane di trattamento con penicilline semisintetiche, talora dopo la sospensione. I fattori di rischio sono le infezioni virali (virus EBV). Mostra eosinofilia nel 50% delle forme più severe, che possono arrivare sino all'eritrodermia.
I farmaci responsabili sono antibiotici (come ampicillina e chinolonici), fenitoina, carbamazepina, fenobarbital, FANS, antitubercolari, sulfamidici.
L'esantema insorge per una reazione mediata da linfociti T citotossici CD4+.
Entra in diagnosi differenziale con gli esantemi infettivi: solitamente mancano febbre, linfoadenopatie ed epatosplenomegalia, è frequente il prurito, anche intenso, raramente c'è coinvolgimento delle mucose; è quindi importante l'anamnesi.
▪ (Forse) Eritema fisso: le sedi preferenziali sono le estremità distali, i genitali e le mucose, e l'eritema si mostra tipicamente sempre la stessa localizzazione, dopo circa 24 ore da ogni contatto col farmaco responsabile; successive e protratte 35
somministrazioni possono reclutare altre aree corporee fino a produrre un eritema generalizzato. Dopo la comparsa dell'eritema può esserci un periodo refrattario, di durata variabile, in cui la reazione non avviene.
La lesione evolve da chiazza eritematosa rosso­violacea di pochi cm di diametro, tondeggiante ed a limiti netti, a bolla che si risolve con la desquamazione (sulle mucose la formazione di bolle può dar luogo ad ulcerazione); a volte la guarigione lascia esiti pigmentati. Le lesioni di per sé sono asintomatiche e non c'è febbre né altri sintomi sistemici.
Le chiazze eritematose possono essere più di una (eritema fisso multiplo), ed in tal caso l'eritema fisso può raramente precedere l'eritema polimorfo o perfino la TEN.
La patogenesi è oscura: probabilmente c'è un'aggressione dell'epidermide mediata da linfociti T attivati. Il tasso d'incidenza in Italia è 2/100'000 abitanti: i farmaci responsabili sono numerosi, ma i più frequenti sono il paracetamolo, l'aspirina, il sulfamazone e il feprazone, barbiturici, la fenolftaleina, i pirazolonici, i sulfamidici, le tetracicline.
Le reazioni non severe rappresentano il 35% delle reazioni. L'eritema fisso è l'unica manifestazione avversa a farmaci di tipo cutaneo che permette di eseguire un test di scatenamento, in quanto non severa. Reazioni Cutanee Severe Le reazioni cutanee severe da farmaci sono circa il 15% e comprendono:
• Angioedema e reazioni anafilattoidi
• Eritema polimorfo
• Sindrome di Stevens Johnson
• Necrolisi epidermica tossica
• Vasculiti cutanee ed eritema nodoso
• Sindrome da ipersensibilità ai farmaci (DRESS: Drug Rash with Eosinophilia and Systemic Symptoms) e pseudolinfoma farmaco­indotto
• Pustolosi esantematica acuta generalizzata (AGEP)
• Patologie autoimmuni farmaco­indotte
• Eruzioni bollose
• Dermatosi lichenoidi
• Reazioni da fotosensibilità
In realtà l'eritema essudativo polimorfo, la sindrome di Steven­Johnson e la TEN sono uno spettro continuo, riconducibile all'eritema polimorfo: il nome riflette il polimorfismo delle lesioni eritematose a carico della cute; la forma delle singole lesioni è tipicamente a coccarda o a bersaglio.
Eccetto l'angioedema, queste manifestazioni riconoscono più frequentemente gli antiepilettici, gli antibiotici, i sulfamidici, le penicilline ed i FANS come causa. Le sedi più frequentemente coinvolte sono il volto, le mani, i piedi, i glutei e la superficie estensoria dei gomiti. Per questi eventi la misura terapeutica maggiormente efficace è la sospensione del farmaco; altre misure terapeutiche sono: • Corticosteroidi: utile solo in orticaria, in altre manifestazioni non ha prove di efficacia.
• Immunoglobuline ad alto dosaggio: modesta efficacia 36
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•
Terapia di supporto fino alla risoluzione della manifestazione Eritema essudativo polimorfo, sindrome di Steven­Johnson, TEN
L'eritema essudativo polimorfo è spesso attribuito ad agenti infettivi come l'H. simplex o il Mycoplasma pneumoniae. Per quanto riguarda i farmaci, queste manifestazioni sono causate più frequentemente da:
• Antibiotici (l'amoxicillina da sola causa più frequentemente le reazioni avverse cutanee, ma le forme più severe sono date dall'associazione amoxicillina + acido clavulanico)
• Sulfamidici
• Antiepilettici
• FANS
Distinzione in base all'estensione dell'interessamento bolloso cutaneo:
• < 10% = EP maior e SJS
• 10­30% = forma intermedia SJS ­ TEN
• > 30% = TEN
La mortalità è del 5% per la SJS, 30­50% per la TEN; è minore nei bambini.
Gruppo 1. Eritema polimorfo All'interno del primo gruppo, che raggruppa lesioni relativamente lievi, si distinguono alcune forme di eritema polimorfo:
◦ Eritema polimorfo minor: reazione acuta con lesioni a coccarda, talora sormontate da lesioni bollose; normalmente tali lesioni sono costituite da almeno 3 anelli concentrici, con disco centrale eritematoso (o purpurico) con vescicola, anello intermedio edematoso di colore rosso­scuro e corona periferica eritematosa, mentre le lesioni atipiche sono quelle senza anello esterno, con bordi rossastri mal definiti. Sono localizzate soprattutto alle sedi acrali (definizione topografica che sottende le estremità del corpo come piedi, mani e cuoio capelluto), al terzo distale degli arti, al volto, con scarsa tendenza a confluire. C'è lieve o assente interessamento mucoso, sono assenti segni generali nonché evoluzione a TEN.
◦ Eritema essudativo polimorfo maior (EEPM) o eritema essudativo polimorfo bolloso: compare precocemente entro 12 ­ 24 ore con prodromi lievi come febbre e malessere, poi insorgono le lesioni a coccarda disposte in modo simmetrico sulle sedi acrali e sul volto, con scollamento inferiore al 10% della Body Surface Area (BSA); presenta anche segni generali, lesioni bollose, coinvolgimento mucoso e scollamento fino al 10% della superficie mucosa su labbra, lingua, congiuntiva. Il prurito è un sintomo cardine ed è molto intenso. È assente l'evoluzione a TEN; l'eziologia è perlopiù infettiva; la risoluzione è spontanea nell'arco di settimane. La ricrescita dell'epidermide si osserva solo dopo alcune settimane; talvolta residuano sequele oculari come la metaplasia squamosa della rima congiuntivale, trichiasi, cheratite puntata e una “sindrome sicca” simile a quella di Sjogren.
Gruppo 2. Sindrome di Steven­Johnson (SJS) In questa manifestazione le mucose sono maggiormente colpite rispetto alla cute, che manifesta solo un modesto scollamento (dal 2% al 10% della BSA). Le lesioni principali sono comunque le tipiche lesioni a bersaglio, con macule purpuriche 37
diffuse, o lesioni a bersaglio atipiche piatte (più grandi, centro più scuro, purpurico; da distinguere da quelle dell'eritema polimorfo, rilevate) del tronco. Si manifesta con prodromi marcati, come febbre, artralgie, malessere, mialgie, vomito, diarrea; sono assenti le lesioni cutanee, mentre le lesioni mucose, non rilevate ma purpuriche, possono essere lievi o gravi; sono possibili segni generali o l'evoluzione a TEN. L'eziologia è virale o farmacologica.
Gruppo 3. Forme di sovrapposizione tra SJS e TEN
Questo gruppo racchiude una condizione molto simile alla SJS, di cui può essere considerata la forma grave, con scollamento cutaneo tra il 10 ed il 30% della superficie, che comporta aspetto e problematiche relative alle ustioni. SJS e TEN sono entità cliniche tra loro correlate, caratterizzate entrambe da eritema e bolle diffuse al viso, al tronco e agli arti, ma anche alle mucose. In alcune aree si ha addirittura distacco dermoepidermico. L'esordio è acuto ed il decorso, specialmente per la TEN o (sindrome di Lyell), può essere anche fatale, ma entrambe sono rare (1 caso su 1'000'000 in Italia). Queste sindromi sono caratterizzate dalla comunanza di meccanismi patogenetici (peraltro poco chiari, forse basati su una reazione citotossica cellulo­mediata) e dai medesimi aspetti istologici (necrosi cheratinocitaria con modesta infiammazione dell'epidermide). Probabilmente c'è anche un deficit di espressione di fattori apoptotici, come FasL, alla base della necrosi dei cheratinociti; i pazienti HIV+, con storia di radioterapia recente, con malattie immuno­mediate, o affetti da tumori, sembrano avere un rischio più alto. Inizialmente si hanno sintomi sistemici simil­influenzali accompagnati da dolore e bruciore cutaneo, poi compaiono le lesioni cutanee, prima sotto forma di esantema morbilliforme con macule di varie dimensioni a contorno irregolare; successivamente queste lesioni a coccarda vengono sormontate da bolle (distacco dermoepidermico), più fittamente localizzate nella parte superiore del tronco.
È possibile l'evoluzione a TEN; l'eziologia è perlopiù farmacologica (più di 200: antiepilettici, sulfamidici, penicillina, allopurinolo, FANS), l'istologia rivela necrosi epidermica e scarsa flogosi nel derma.
Gruppo 4. Necrolisi epidermica tossica (TEN)
La TEN indica quelle condizioni con scollamento superiore al 30% della BSA, con macule purpuriche diffuse o lesioni a bersaglio atipiche piatte del tronco. Chiaramente è la situazione più grave che richiede un trattamento di terapia intensiva. La TEN esordisce con prodromi severi (febbre alta,vomito, angina), alterazioni dello stato generale (febbre, malessere, turbe dell'equilibrio idroelettrolitico) e poi mostra un eritema diffuso, più spesso con macule arrotondate rosso scuro. Vi è una rapida comparsa di bolle e scollamenti, dal 30 al 100% BSA. L'interessamento è anche viscerale. Si possono avere complicanze ematologiche (leucopenia, trombocitopenia, anemia), polmonari (edema, sovrainfezioni). Istologicamente si notano necrosi acuta dell'epidermide su tutto lo spessore dello strato malpighiano, o necrosi a tutto spessore dell'epidermide con distacco dell'epidermide necrotizzata e scarso infiltrato linfocitario dermico.
La TEN è una condizione rara, con incidenza di 1/1,5 milioni, ma ha registrato un aumento di incidenza negli ultimi anni che può essere dovuto all'incremento di soggetto sieropositivi; il sesso femminile appariva più predisposto (tra 1,5 e 2 38
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volte), ma di recente anche il rapporto si è pareggiato per l'aumento dei casi nei pazienti HIV+ (1/1'000 per anno). Oltre alla sieropositività ci sono altri fattori di rischio individuati, quali le malattie autoimmuni, il trapianto di midollo osseo, il LES, la terapia immunosoppressiva, e l'età avanzata, che inoltre aumenta la mortalità. Le principali cause di TEN sono: • Anticonvulsivanti: in particolare la lamotrigina (Lamictal); fenobarbital, fenitoina, carbamazepina
• Sulfamidici: largamente usati come profilassi in pz HIV+ • Antibiotici: aminopenicilline, chinolonici, cefalosporine
• Antidepressivi sertralina (Zoloft)
• Inibitori della pompa gastrica: pantoprazolo • FANS: fenilbutazone, ossifenilbutazone, isoxicam, piroxicam
• Antiretrovirali: nevirapina (Viramuni)
• Tramadolo (Contramal)
• Allopurinolo
L'epidermolisi tossica registra una mortalità superiore al 30%, e la causa di morte principale è la sepsi; ci sono possibili complicanze oculari da TEN quali le sinechie e la congiuntivite secca. Alla diagnosi si perviene tramite esame istologico che evidenzia al necrosi totale dell'epidermide. Entra in diagnosi differenziale con Staphylococcal scalded skin syndrome (SSSS), eritrodermie desquamanti, bullosi, ustioni e bolle dei comatosi.
La guarigione si realizza in 3­4 settimane, e sono molto frequenti sono gli esiti discromici; il 30­50% dei casi ha complicanze oculari (sinechie, erosioni di lunga durata, sindrome sicca).
La terapia, oltre alla sospensione del farmaco imputato, vede il ricovero in terapia intensiva o Centro Ustionati, l'idratazione, l'apporto di nutrienti e macromolecole (albumina), la prevenzione delle infezioni (con cure locali, terapia antibiotica mirata), la profilassi anticoagulante, gli analgesici, eventualmente la corticoterapia. Infine la somministrazione di immunoglobuline umane ad alti dosaggi (2­5 g/Kg) in 3­4 giorni.
Gruppo 5. TEN su eritema diffuso, con scollamento > 10% della BSA, senza macule purpuriche diffuse né lesioni a bersaglio atipiche piatte del tronco.
DRESS (Drug Rash with Eosinophilia and Systemic Symptoms)
La DRESS è una severa manifestazione cutanea da farmaci che si manifesta con un eritema cutaneo accompagnato da un importante interessamento sistemico (epatico, polmonare, cardiovascolare) ed eosinofilia. Tra i farmaci le cause principali sono: • Antiepilettici • Barbiturici • Antidepressivi • Allopurinolo • Sulfasalazina La DRESS spesso si manifesta in concomitanza con un'infezione da un virus erpetico umano HHV­6, ma altre cause possono essere i farmaci anticonvulsivanti (fenitoina, carbamazepina, lamotrigina, sodio valproato), fenobarbital, antidepressivi, allopurinolo, sulfasalazina, dapsone. La diagnosi clinica di DRESS può essere confermata con test epicutanei. È presente 39
una latenza di 3­6 settimane tra l'inizio del trattamento e la comparsa della reazione.
Si associa a sintomi sistemici importanti quali febbre, malessere generale e linfoadenopatia; l'esordio è acuto, l'eruzione cutanea è maculo­papulosa morbilliforme, non specifica, coinvolge la parte superiore del corpo e gli arti; è presente un edema del volto e del collo in circa il 50% dei casi. L'interessamento viscerale nel 10% dei casi è severo: riguarda il fegato (citolisi, talora colestasi anitterica, protrombina↓) nell'80% dei casi, il rene (nefrite tubulo­interstiziale, proteinuria e leucocituria, IR), i polmoni nel 15% dei casi, ed ancora mio­pericardite, meningo­encefalite, interessamento pancreatico, sindrome emofagocitica, tiroidite, complicanze infettive.
In genere il decorso è favorevole verso la guarigione in 10­15 giorni, e in ¼ dei casi giunge oltre le 6 settimane dalla sospensione del farmaco; sono frequenti le ricadute.
AGEP (Acute Generalized Esantematic Pustulosis)
L'AGEP si manifesta con un quadro di esantema e pustole estese alla gran parte della superficie cutanea ed entra in diagnosi differenziale con la psoriasi pustolosa. Colpisce gli adulti, in uguale rapporto tra maschi e femmine, ed è una patologia rara (1­5 nuovi casi all'anno per milione di abitanti, in Europa; probabilmente è sottostimata). Quasi sempre è scatenata da farmaci assunti per via generale, soprattutto beta­lattamici e macrolidi, raramente topici (antisettici mercuriali, bufexamac) o virus (enterovirus).
AGEP
Psoriasi pustolosa
Rara
Frequente
Distribuzione
Pieghe
Generalizzata
Durata delle pustole e della febbre
Corta
Lunga
Storia di reazioni avverse a farmaci
Frequente
Rara
Molto frequente
Rara
Rara
Circa 30% dei casi
Anamnesi personale positiva per psoriasi
Recente assunzione di farmaci
Artrite
Istologia
Pustola spongiforme subcornea e/o Pustola spongiforme multiloculare intraepidermica; edema del subcornea e/o intraepidermica (di derma papillare; vasculite; Kogoj); acantosi, papillomatosi
esocitosi di eosinofili; necrosi di singoli cheratinociti
Si manifesta con la comparsa acuta di numerosissime piccole pustole non follicolari su aree eritemato­edematose su tronco, estremità, volto, pieghe; è raro il coinvolgimento mucoso. Compare in soggetti senza storia di psoriasi. È accompagnato da febbre (superiore a 38°C) e leucocitosi neutrofila (7×109/L). la risoluzione spontanea delle pustole avviene in meno di 15 giorni con desquamazione. La diagnosi prevede un esame citologico, un tampone cutaneo, la biopsia.
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IV. MALATTIE AUTOIMMUNI
IV. 1. Clinica, diagnosi e terapia delle connettiviti e delle dermatosi bollose
LUPUS ERITEMATOSO
Sotto il termine lupus vengono raccolte diverse affezioni che colpiscono anche (o in prevalenza) la cute, caratterizzate da lesioni eritematose e papulose, talora tendenti verso la sclerosi. Le diverse varietà di lupus rappresentano, in realtà, malattie completamente differenti; classicamente si distinguono lupus eritematoso sistemico (LES) e lupus eritematoso discoide (LED).
LES
Le lesioni caratteristiche del Lupus Eritematoso Sistemico sono localizzate soprattutto a livello del viso: si tratta di chiazze molteplici di natura eritematosa e papulare, talora assai infiltrate e rilevate, disposte nel complesso a formare una figura “a farfalla” sulle guance; anche la fronte è spesso colpita.
I soggetti particolarmente esposti alla comparsa del lupus eritematoso sistemico sono soprattutto le donne di giovane età, anche se la malattia non è rara neppure nel sesso maschile.
La patologia extracutanea del lupus eritematoso sistemico è decisamente più importante rispetto ai problemi dermatologici che la malattia determina: si assiste nei casi più gravi ad una progressiva compromissione di organi ed apparati che può progredire fino a portare a morte il paziente. Spesso la malattia esordisce con una pleurite o con una nefrite; i reni sono particolarmente colpiti, e la perdita della loro funzionalità può rappresentare il fattore decisivo nel determinare la prognosi a lungo termine, potendo portare anche alla insufficienza renale conclamata. Sono anche frequenti i quadri poliartritici. A carico del cuore è frequente la comparsa della endocardite abatterica di Libman­Sachs. Anche il sistema nervoso centrale può essere colpito. Il lupus eritematoso sistemico è quindi una malattia estremamente polimorfa; in alcuni casi la patologia di un determinato organo o sistema prende il sopravvento sulle altre, improntando a sé l'intero decorso della malattia; in altri vi è invece concorrenza di disturbi derivanti da diversi apparati. Anche il decorso della malattia è del tutto imprevedibile; tuttavia gran parte dei casi decorre in maniera cronica, con un alternarsi di ricadute e di fasi di quiescenza. Esistono anche forme autolimitanti (soprattutto quelle causate da farmaci) e forme molto blande che dopo un attacco iniziale si trascinano per decenni senza dare segni di attività.
La diagnosi di Lupus Eritematoso Sistemico non è facile; si basa sulla combinazione di sintomi, segni e risultati di analisi di laboratorio, dopo avere esclusa con certezza la presenza di altri tipi di patologie.
L'ARA (American Rheumatism Association) ha stilato una lista di 11 criteri, di cui devono esserne presenti almeno 4: • rash a farfalla o rash malare
• rash discoide
• fotosensibilità
• ulcere orali
• artite
• sierosite
• disordini renali
• disordini neurologici
• disordini ematologici
• disordini immunologici
• titolazione anormale anticorpi antinucleo
Non esiste un test specifico che permetta la certezza diagnostica. Sono molti i test che possono essere utili: per la valutazione del livello di flogosi vengono generalmente prescritti VES e PCR; il valore di quest'ultimo test può rientrare nel range di normalità mentre la VES, nella 41
stragrande maggioranza dei casi, risulta particolarmente elevata. L'esame emocromocitometrico viene prescritto per valutare la presenza di anemia, piastrinopenia e leucopenia. Attraverso l'elettroforesi delle sieroproteine è possibile evidenziare un eventuale stato infiammatorio ed una diminuzione dei livelli di albumina, indice di problemi a livello renale; la valutazione della funzionalità renale può essere effettuata anche attraverso il monitoraggio di azotemia, creatinina ed elettroliti. Per la valutazione della funzionalità epatica è necessario verificare i livelli delle transaminasi, mentre per quanto riguarda un eventuale interessamento del tessuto muscolare si prescriveranno gli esami per la valutazione degli enzimi muscolari. Fra gli esami immunologici vi sono gli anticorpi anti­nucleo (ANA), gli anticorpi anti­DNA nativo, gli anticorpi anti­Sm e gli anticorpi antifosfolipidi. L'esame del fattore reumatoide può sgnalare la presenza di LES o di altre patologie quali l'artrite reumatoide, la sindrome di Sjögren, sclerodermia... La terapia si basa sull'uso di farmaci cortisonici, gli unici dimostratisi efficaci nell'arrestare la progressione delle lesioni degli organi interni. Nelle fasi di minore acuzie o nei casi meno gravi è anche possibile utilizzare FANS. Sono allo studio farmaci capaci di agire da immunomodulatori, che avrebbero la possibilità di intervenire a livello dei processi causali della malattia e non soltanto come moderatori degli effetti d'organo.
LED
Il Lupus Eritematoso Cronico o Lupus Discoide è una dermatosi cronica caratterizzata da un'eruzione cutanea caratteristica, che forma una maschera sul volto. Colpisce l'adulto in seguito ad esposizioni solari ripetute. La malattia evolve per ondate successive, spesso scatenate da una nuova esposizione al sole. In alcune forme il lupus può raggiungere notevole estensione, provocando lesioni antiestetiche.
Il lupus discoide forma lesioni cutanee rosse coperte di croste che provocano intenso prurito. Tali lesioni, che all'inizio sono semplici placche di estensione limitata, talvolta solcate da piccoli vasi dilatati, in seguito diventano sede di un'ipercheratosi di entità variabile. Le lesioni si sviluppano in modo relativamente simmetrico su naso, guance, orecchie, fronte e mento; possono inoltre estendersi al cuoio capelluto, provocando la caduta dei capelli, e alle mucose orali. In quest'ultimo caso, la malattia si manifesta con un bordo biancastro sulle labbra e placche rosse all'interno delle guance.
La diagnosi si basa sull'esame clinico delle lesioni. Un esame istologico dei tessuti tramite biopsia cutanea mette in evidenza alterazioni cellulari tra derma ed epidermide.
Il trattamento fa ricorso a dermocorticosteroidi ad azione locale, applicati massaggiando la zona o con bendaggi. Le lesioni fortemente cheratinizzate possono essere eliminate con la criochirurgia o il laser CO2. In molto casi è però necessario procedere a un trattamento sistemico con somministrazione orale di antimalarici o di sulfoni, retinoidi e talidomide.
La prevenzione del lupus eritematoso cronico consiste nell'evitare il sole e nel proteggere la pelle con creme solari a schermo totale.
DERMATOMIOSITE
La dermatomiosite è una malattia a patogenesi autoimmune caratterizzata da una doppia sintomatologia: cutanea e muscolare.
• Alterazioni cutanee: eritema violaceo accompagnato da edema non improntabile in particolare a livello di volto, palpebre e collo, e da petecchie a livello dell'epionichio.
• Alterazioni muscolari: colpisce esclusivamente i muscoli striati, dapprima con sola dolenzia poi con impotenza funzionale ingravescente.
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Presenta una maggiore incidenza di alcune neoplasie viscerali (polmonari o gastriche nell'uomo, utero­ovarica nella donna). Le cause di morte più frequenti sono neoplasie, infezioni, patologie cardiache e polmonari.
La dermatomiosite è stata tradizionalmente classificata come una delle miopatie infiammatorie idiopatiche.
La dermatomiosite è caratterizzata da atrofia perifascicolare, per una ipoperfusione e conseguente degenerazione delle fibre muscolari nella periferia del fascicolo secondarie a un danno microvascolare. Il danno capillare (ed i microinfarti conseguenti) è mediato dal complemento: studi di immunofluorescenza hanno mostrato la deposizione di immunocomplessi a livello dell'endotelio.
Gli autoanticorpi contro antigeni nucleari o citoplasmatici, diretti contro ribonucleoproteine implicate nella sintesi delle proteine (anti­sintetasi) o anti­proteine che riconoscono il segnale (anti­SRP) sono rilevati in circa il 20% dei pazienti; questi anticorpi sono utili marker clinici per la loro frequente associazione con le interstiziopatie polmonari. L'anticorpo diretto contro l'istidil­tRNA sintetasi, anti­Jo­1, rappresenta circa l'80% di tutti gli antisintetasi e sembra conferire specificità per l'identificazione di una malattia che combina miosite, artrite non erosiva e fenomeno di Reynaud. Altri autoanticorpi sono gli anti­Mi­2, l'antipolimiosite­Scl, trovati nella dermatomiosite associata alla sclerodermia, e gli anti­KL6 associati con le interstiziopatie polmonari.
Un altro fattore eziologico recentemente segnalato sembrano essere i raggi ultravioletti: questa ipotesi è basata sull'osservazione di un gradiente per la DM, che è più comune con il decrescere della latitudine. La dermatomiosite giovanile (JDM) è una patologia multisistemica che presenta una infiammazione non suppurativa di muscolo striato, cute e tratto gastrointestinale; è caratterizzata precocemente nel suo decorso da una sindrome vasculitica autoimmune e più tardi dallo sviluppo di calcinosi (in circa il 40% dei bambini con JDM, spesso entro 6 mesi dall'esordio). I depositi di calcio includono placche o noduli sottocutanei, calcificazioni all'interno dei piani fasciali o persino un esoscheletro sottocutaneo. La calcinosi che interessa i tessuti sottocutanei può determinare dolorose ulcere superficiali della cute sovrapposta, con ricorrenti estrusioni di piccoli granelli di sale di calcio. I depositi di calcio possono lentamente risolversi col tempo; se i depositi nei tessuti sottocutanei lungo i piani fasciali e tra i muscoli sono notevoli, il bambino può letteralmente essere ricoperto da un guscio di sale di calcio: è improbabile che questo tipo di calcinosi si risolva completamente, e può risultarne una severa disabilità.
La malattia si presenta con una debolezza muscolare progressiva e spesso simmetrica. La dermatomiosite è identificata da un rash caratteristico che accompagna o più spesso precede la debolezza muscolare; il rash può presentarsi come un rash eliotropo localizzato alle palpebre accompagnato da edema, un'eruzione eritematosa alla faccia e alla parte superiore del tronco, e papule e placche eritematose presenti sulle nocche (papule di Gottron), che più tardi determinano la desquamazione della cute. L'eruzione eritematosa può anche coinvolgere tutta la superficie corporea, inclusi ginocchia, gomiti, malleoli, collo e torace anteriore (spesso disponendosi a V), e può peggiorare con l'esposizione al sole. In alcuni pazienti il rash è pruriginoso, specialmente a livello di cuoio capelluto, torace e dorso. Le teleangectasie sono caratteristiche alla base delle unghie. L'epidermide può essere irregolare, ispessita, distrofica e le facce palmari e laterali delle dita possono diventare ruvide e ipercheratosiche, con irregolari linee orizzontali “sporche” che ricordano mani “da meccanico”.
Le calcificazioni sottocutanee in alcuni casi possono fuoriuscire dalla cute e causare ulcerazioni, infezioni e dolore soprattutto a livello dei siti di compressione (gomiti, anche, dorso).
Anche taluni tipi di lesioni cutanee sembrano associate ad una prognosi severa: ulcere che insorgono sopra placche indurite violacee a livello del tronco con o senza papule indurite sembrano essere più frequentemente presenti in adulti con dermatomiosite e neoplasia maligna. Nei pazienti con neoplasia, la miosite e le manifestazioni cutanee sono meno responsive alla terapia sistemica con glucocorticoidi.
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La prognosi, sia negli adulti che nei bambini, è correlata al tipo di autoanticorpi prodotti. Gli anticorpi antisintetasi sono stati correlati con una risposta incompleta alla terapia. Autoanticorpi contro Mi­2 sono stati associati alle forme di dermatomiosite più sensibili al trattamento. Il sospetto clinico di DM è confermato dal dosaggio sierico degli enzimi muscolari, dal referto EMG e dalla biopsia muscolare. L'enzima più sensibile è il CK, che nella fase di attività della malattia può aumentare fino a 50 volte la norma; malgrado il livello del CK solitamente rifletta l'attività della malattia, esso può essere normale in alcuni casi di acuzie.
Il CK può inoltre essere normale in alcuni casi di JDM non trattata benché attiva e in alcuni pazienti con DM associata ad un'altra connettivopatia. Si possono dosare aumentati valori di SGOT, SGPT, LDH e aldolasi insieme con a quelli del CK.
L'elettromiografia mostra potenziali muscolari patologici, caratterizzati da potenziali polifasici volontari piccoli e di bassa ampiezza e da aumento dell'attività spontanea con fibrillazioni, scariche di complessi ripetitivi e onde a cuspide positive. La RMN non è routinariamente utilizzata per la diagnosi di DM, tuttavia essa può essere utilizzata come guida per la biopsia muscolare.
La biopsia muscolare è l'accertamento definitivo per giungere alla diagnosi di DM: l'infiammazione dell'endomisio è principalmente perivascolare o all'interno dei setti interfascicolari e attorno ai fascicoli muscolari. I vasi intramuscolari presentano una iperplasia dell'endotelio, con profilo tubuloreticolare, trombi di fibrina (soprattutto nei bambini), e ostruzione capillare. Le fibre muscolari subiscono processi di necrosi, degenerazione e fagocitosi. Questo determina un'atrofia perifascicolare che è diagnostica per la DM, anche in assenza di infiammazione.
Gli obiettivi della terapia sono di aumentare l'abilità nello svolgere le attività quotidiane aumentando la forza muscolare e di migliorare le manifestazioni extramuscolari. Sebbene quando aumenti la forza, La concentrazione sierica del CK si riduca contemporaneamente, il contrario non è sempre vero perché i trattamenti possono abbassare la concentrazione sierica del CK senza aumentare la forza muscolare.
Molti adulti con DM rispondono prontamente al trattamento con glucocorticoidi sistemici e traggono giovamento da intervalli liberi da terapia dopo che tali farmaci sono stati gradualmente ridotti; la maggioranza di questi pazienti talvolta presenta una riattivazione della malattia; altri non rispondono completamente ai glucocorticoidi per via sistemica o ad altri agenti immunosoppressivi ed hanno un andamento cronico. Alcuni pazienti hanno un andamento fulminante con morte precoce.
I pazienti con dermatomiosite non devono esporsi eccessivamente al sole, e devono utilizzare creme solari ad alta protezione. I glucocorticoidi per uso topico (classe I e II) smorzano l'infiammazione cutanea e il prurito, ma questi agenti da soli non riescono a controllare la malattia. L'uso quotidiano di uno shampoo contenente catrame seguito dall'applicazione di soluzioni, gel o spray di glucocorticoidi topici sulle aree affette può dare sollievo al prurito a livello del cuoio capelluto. La xerosi è spesso presente, soprattutto nell'anziano e prodotti idratanti possono essere validi per gestire il difficile prurito spesso presente nei pazienti con DM. Per tale scopo agenti topici possono condurre sollievo per breve periodo.
I glucocorticoidi per via sistemica rimangono la terapia di prima scelta per la dermatomiosite. Il prednisone ad alte dosi, almeno 1 mg/kg/die va iniziato prima possibile. Dopo un iniziale periodo di 3­4 settimane il prednisone va gradatamente scalato per 10 settimane a 1 mg/kg ogni due giorni. Poi se c'è l'evidenza di un miglioramento e non ci sono seri effetti collaterali il dosaggio va ulteriormente ridotto di 5 o 10 mg ogni 3­4 settimane fino al raggiungimento della minima dose in grado di controllare la malattia. L'efficacia del prednisone si valuta in base ad un oggettivo incremento della forza muscolare e delle capacità di svolgere le attività del vivere quotidiano, effetto che solitamente si raggiounge dopo il terzo mese di terapia 44
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Circa il 75% dei pazienti alla fine necessita del trattamento con farmaci immunosoppressivi. Il trattamento è generalmente iniziato quando il paziente non risponde adeguatamente ai glucocoricoidi dopo 3 mesi di prova, o il paziente diventa resistente ai glucocorticoidi, o compaiono effetti collaterali legati ai glucocorticoidi, o il passaggio a dosi minori di prednisone ripetitivamente determina una ricaduta, o in caso di malattia rapidamente progressiva con severa debolezza muscolare ed evoluzione verso un interessamento polmonare.
Il trattamento medico dei depositi cutanei di calcio che si hanno più comunemente nella JDM è virtualmente impossibile. La rimozione chirurgica dei depositi di calcio cutanei o sottocutanei sintomatici può essere considarata come ultima risorsa.
MORFEA
La sclerodermia localizzata o morfea è una patologia che coinvolge la pelle causandone un indurimento con perdita di elasticità (sclerodermia significa, letteralmente, “pelle dura”). La causa di tale cambiamento della consistenza della pelle è un'eccessiva deposizione di collagene nel derma con riduzione del tessuto elastico ed adiposo e progressiva scomparsa degli annessi cutanei (fenomeno di atrofia).
Il termine “sclerodermia localizzata” indica che tale malattia riguarda esclusivamente la pelle, in contrapposizione alla “sclerodermia sistemica”, che può coinvolgere, oltre alla pelle, anche organi interni come l'esofago, l'intestino, i polmoni, i reni e il cuore e, più raramente, le articolazioni, gli occhi, i muscoli e il fegato. Sclerodermia localizzata e sclerodermia sistemica sono due patologie differenti e non vi sono prove scientifiche che dimostrino la possibilità di una evoluzione da sclerodermia localizzata a sclerodermia sistemica.
Ad oggi la causa della sclerodermia localizzata è sconosciuta. Alcuni casi sembrano associati a borreliosi, altri casi sembrano successivi a traumi locali; tali casi, tuttavia, sono una minoranza e non vi è pieno consenso nella loro interpretazione. La sclerodermia localizzata viene attualmente interpretata come una patologia di probabile origine autoimmune che si manifesta in soggetti predisposti in seguito a fattori scatenanti per la maggior parte ignoti.
La sclerodermia localizzata è 3 volte più frequente nelle femmine rispetto ai maschi ed il picco di incidenza si verifica tra i 20 e i 40 anni; tuttavia, nel 15% circa dei casi si presenta in bambini sotto i 10 anni di età.
Vi sono molte forme cliniche di sclerodermia localizzata:
• Morfea in chiazze: è la forma più frequente di sclerodermia localizzata e si manifesta con la comparsa sulla pelle di una o più chiazze rotonde od ovali di colore rosso­violaceo, a volte accompagnate da modesto prurito. Al centro di tali chiazze, in settimane o mesi, la pelle si ispessisce e si indurisce, con perdita degli annessi cutanei, e diventa più scura (iperpigmentazione) o più chiara (ipopigmentazione) della pelle normale, mentre il colore rosso­violaceo persiste alla periferia. Nel tempo tali lesioni tendono spontaneamente a divenire non più attive e perdono l'alone rosso­lilla alla periferia, mentre permangono l'indurimento, l'iper­/ipo­ pigmentazione e l'assenza degli annessi cutanei.
• Morfea generalizzata: le lesioni compaiono su tutto il corpo e tendono a confluire unendosi in lesioni più ampie che interessano estese porzioni di pelle.
• Sclerodermia lineare: questa forma interessa soprattutto i bambini; le lesioni hanno l'aspetto di bande lineari e possono essere localizzate agli arti inferiori (la sede più frequente), agli arti superiori, al torace, all'addome, ai glutei, al cuoio capelluto e alla 45
fronte. Generalmente questa forma tende a coinvolgere la pelle più in profondità e può interessare anche i muscoli, i tendini e perfino le ossa sottostanti. In questo caso le lesioni appaiono, oltre che indurite, anche depresse a causa dell'atrofia delle strutture sottostanti alla pelle. Quando questo tipo di sclerodermia localizzata interessa il cuoio capelluto, la fronte e il volto si parla di sclerodermia “a colpo di sciabola”.
• Sclerodermia anulare: forma molto rara; le lesioni interessano, come un anello, un dito delle mani o dei piedi oppure la punta del pene.
Nella maggior parte dei casi l'evoluzione della sclerodermia localizzata è benigna, e la malattia non causa morte né invalidità, ma solo un danno estetico variabile in base alla localizzazione e alla estensione. Le lesioni della sclerodermia localizzata tendono nella maggior parte dei casi a divenire non più attive dopo un periodo medio di circa 3­5 anni. La malattia può, tuttavia, rimanere attiva con comparsa nel tempo di nuove lesioni o riattivazione di lesioni che si erano “spente”. L'indurimento delle pelle e la iper­/ipo­pigmentazione permangono nel tempo ma possono migliorare, mentre la perdita di peli/capelli e delle ghiandole sudoripare e sebacee che idratano la cute è definitiva; la pelle interessata dalle lesioni della sclerodermia risulta pertanto più secca della pelle normale e può, dunque, causare prurito.
A causa dell'indurimento della pelle, nelle lesioni localizzate agli arti si può verificare una difficoltà nei movimenti, mentre nelle forme generalizzate l'interessamento del torace può rendere difficoltosa la respirazione stessa. Nelle rare forme anulari l'indurimento della pelle può compromettere l'apporto di sangue alle estremità interessate, portando nei casi più estremi ad una necrosi dei tessuti.
La diagnosi di sclerodermia localizzata è spesso clinica, mentre in alcuni casi, soprattutto nelle forme atipiche, il prelievo di un piccolo campione di pelle (biopsia cutanea) per una successiva analisi al microscopio si rende necessario per una maggiore sicurezza diagnostica. Compito del medico è anche quello di escludere la presenza di una sclerodermia sistemica attraverso la clinica, la storia del paziente e la prescrizione di opportuni esami.
Con una diagnosi e un trattamento precoce si possono ridurre la gravità e l'evidenza degli esiti delle lesioni e si può ridurre la progressione nelle forme generalizzate o in quelle che interessano zone delicate (ad esempio sclerodermia anulare del pene, sclerodermia a colpo di sciabola).
Non essendo note le cause di questa malattia non esistono ad oggi terapie specifiche. Diversi farmaci vengono utilizzati per curare le lesioni cutanee, tuttavia nessuna terapia è in grado di guarire definitivamente dalla malattia, essendo sempre possibile ed imprevedibile la comparsa di nuove lesioni o la riattivazione di pregresse lesioni.
La terapia delle lesioni cutanee, quando esse siano in basso numero, è esclusivamente topica, mentre nel caso di lesioni diffuse è necessario associare una terapia sistemica a base di farmaci da assumere per os o per via intramuscolare/endovenosa. I principali farmaci impiegati nella terapia della sclerodermia localizzata sono i cortisonici; nelle forme resistenti sono utilizzati farmaci immunosoppressori. Vengono utilizzati anche trattamenti basati sulla esposizione a fonti luminose specifiche associate o meno all'assunzione di farmaci fotosensibilizzanti sistemici o topici. Ad oggi non esistono studi che provino in modo incontrovertibile la sicura efficacia di uno specifico trattamento o la sua superiorità rispetto ad un altro. È buona regola provvedere ad applicare creme emollienti ed idratanti sulle lesioni cutanee, che tendono ad essere secche e a causare prurito. La luce solare sembra poter scatenare l'attività della malattia ed è per tanto buona norma applicare creme solari con protezione alta o molto alta su tutte le zone scoperte prima di esporsi al sole, evitando le ore centrali del giorno.
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SCLERODERMIA
Etimologicamente significa “pelle dura”: è una malattia autoimmune, cronica ed evolutiva caratterizzata da un indurimento ed ispessimento della cute. Si associa a iperattività del sistema immunitario a danno delle cellule endoteliali, che formano il rivestimento interno dei vasi sanguigni, e all'aumento di una proteina costituente il tessuto connettivo, detta collagene. La causa è ancora ignota. In alcuni pazienti, sindromi analoghe sono scatenate dall'esposizione ad alcune tossine o dal trapianto di midollo ematopoietico.
La SSc ha una prevalenza compresa fra 10 e 20 casi per 100'000 persone, un'incidenza di 1,5 casi per 100'000 abitanti per anno, colpisce per lo più il sesso femminile (10:1 nell'età compresa fra i 15 ed i 44 anni) con variazioni relative all'età ed alla razza. Dalla sclerodermia/sclerosi sistemica vanno tenute distinte la morfea e la sclerodermia lineare.
La sclerodermia o sclerosi sistemica, in base all'entità dell'interessamento cutaneo, viene distinta in una forma limitata, caratterizzata da esordio graduale, fenomeno di Raynaud di lunga durata (è il sintomo che si riscontra in circa il 95% dei pazienti: si tratta di un disturbo vasospastico scatenato dall'esposizione alle basse temperature e/o da stati emotivi, ed è caratterizzato da un pallore a cui seguono cianosi e rossore; coesistono torpore e parestesie, si localizza a mani, piedi, naso ed orecchie), interessamento della cute di dita, avambracci e viso; ed una forma diffusa, che ha più spesso un esordio brusco con ispessimento cutaneo esteso a tutto il corpo ed un coinvolgimento più precoce degli organi interni; nel 15% dei casi è presente interessamento delle arterie renali. Un subset di pazienti con la variante limitata presenta calcinosi, fenomeno di Raynaud, dismotilità esofagea, sclerodattilia, teleangectasie. Questa costellazione di segni è indicata con il termine CREST. Questi aspetti sono però rinvenibili anche nella forma diffusa.
I segni più caratteristici sono indurimento e ispessimento della cute. Esordisce in genere a livello delle mani, soprattutto delle dita (sclerodattilia), per estendersi in seguito ad altre aree. Sono frequenti ulcerazioni alle nocche e alla punta dei polpastrelli delle dita. La pelle presenta perdita di peli sulle zone interessate, aspetto lucente, aderenza ai piani sottostanti, scomparsa graduale delle rughe, discromie. Altri sintomi sono fenomeno di Raynaud, teleangeactasie, calcinosi, artrite e debolezza muscolare, disfagia, rallentata motilità gastrointestinale con difficoltà digestive, secchezza di occhi e bocca, interessamento cardiopolmonare e renale.
Spesso gli esami di laboratorio generali non sono molto indicativi, mentre sono presenti autoanticorpi (anticorpi antinucleo o anti­centromero o anti­Scl70).
Non esiste una cura radicale ma esistono provvedimenti per controllare i vari aspetti della patologia.
• Terapia medica: per infiammazione e artralgie, pirosi gastrica, fenomeno di Raynaud ed eventualmente per gli interessamenti d'organo; • Terapia fisica: per mantenere e sostenere il tono muscolare e la funzionalità articolare.
È stata dimostrata l'utilità della somministrazione endovenosa di analoghi delle prostacicline.
Più recentemente è stata provata l'efficacia di nuovi farmaci nel trattamento delle complicanze più gravi della malattia, in particolare il bosentan, sitaxentan, ambrisentan (inibitori recettoriali dell'endotelina) nel trattamento dell'ipertensione polmonare. Gli ACE­inibitori sono da molti anni impiegati per il trattamento della crisi renale sclerodermica. Nella fibrosi polmonare, ha una certa efficacia la ciclofosfamide, ed è in fase di studio l'imatinib mesilato, un inibitore delle tirosinchinasi che potrebbe essere efficace per la terapia della fibrosi cutanea e polmonare. In alcuni casi selezionati, è stato tentato il trapianto di midollo autologo con cellule staminali periferiche.
Non essendo nota la causa della malattia sclerodermica, è difficile se non impossibile parlare 47
di prevenzione. Senza dubbio l'approccio più importante è rappresentato dalla diagnosi precoce e quindi, trattandosi di una malattia rara, dal riconoscimento tempestivo dei primi sintomi come il fenomeno di Raynaud.
IV. 2.
Malattie bollose autoimmuni
Gruppo di malattie caratterizzate clinicamente dalla presenza di bolle o vescicole, le quali istologicamente consistono in cavità situate entro l'epidermide o al livello della giunzione dermoepidermica. In genere sono malattie gravi, con compromissione dello stato generale fino ad arrivare alla morte, caratterizzate da un andamento cronico con esacerbazioni. Rientrano in questo gruppo 3 tipi principali: • pemfigo • dermatite erpetiforme • pemfigoidi
Frequenza: pemfigoidi > pemfigo > dermatite erpetiforme
LA GIUNZIONE DERMO­EPIDERMICA
L'aderenza dermo­epidermica dipende da una struttura macromolecolare altamente specializzata, situata all'interfaccia tra l'epidermide e il derma: essa è costituita da diversi tipi di collagene, da proteoglicani, da glicoproteine e da proteine leganti il calcio. Queste differenti molecole sono prodotte dai cheratinociti e formano reticoli che assicurano la coesione tra epidermide e derma: la GDE contiene alcune proteine che fungono da “corde” ed “ormeggi” e altre che fungono da “colla”. La giunzione dermo­epidermica è costituita da 4 strati che, dall'epidermide al derma, corrispondono a:
• Membrana plasmatica del versante basale dei cheratinociti dello strato omonimo: su questa struttura si ancorano gli emidesmosomi, costituiti da una placca citoplasmatica che assicura un sito per l'inserzione dei filamenti di cheratina (i tonofilamenti)
• Membrana basale o “lamina basale”: si fonda su due reticoli principali costituiti dalle laminine (tipi 5, 6, altri) e da collagene di tipo IV. I due reticoli sono:
◦ lamina lucida: appare otticamente vuota al ME, è attraversata da filamenti verticali, i filamenti di ancoraggio, che sembrano connettere gli emidesmosomi alla lamina densa
◦ lamina densa: strato elettrondenso di 50­80 nm • Derma papillare superficiale con il reticolo fibroso dermico: tende a confondersi con il collagene del derma superficiale. Si distinguono tre tipi di fibre; le più importanti delle quali sono le “fibrille di ancoraggio”, di 20­60 nm di diametro, una estremità delle quali si inserisce sulla lamina densa che in tal modo risulta connessa al derma sottostante
Tutte queste differenti strutture morfologiche (i tonofilamenti, gli emidesmosomi, i filamenti, le fibrille di ancoraggio) formano un'unità funzionale, il complesso di aderenza, che assicura la coesione dermo­epidermica e trasmette segnali di attivazione regolanti la funzione dei cheratinociti basali attraverso l'integrina α6β4; esso è modulabile in quanto gli emidesmosomi possono essere internalizzati, quando ad esempio le cellule debbono migrare in occasione della 48
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riepitelizzazione delle ferite.
Costituenti biochimici della GDE:
• Componenti citoplasmatiche:
◦ l'antigene del pemfigoide bolloso da 230 kDa: BP230
◦ la lectina
◦ la proteina IFAP­300
◦ la proteina HD1
• Componenti transmembrana:
◦ l'antigene del pemfigoide bolloso da 180 kDa: BP180 o collagene tipo XVII
◦ l'integrina α6β4
I cheratinociti posseggono inoltre un altro tipo di struttura aderenziale: le aderenze focali, proteine (integrine, proteine citoplasmatiche) localizzate ai poli basali dei cheratinociti a contatto con il substrato.
PEMFIGO
Il pemfigo è una dermopatia monomorfa bollosa, ad esordio subdolo e decorso cronico e grave; colpisce sia la cute che le mucose, in maschi e femmine in ugual misura. Le lesioni iniziali interessano le mucose, sopratutto il cavo orale, successivamente compare l'interessamento periorifiziale, per poi manifestrasi con la malattia cutanea, che predilige le grandi pieghe cutanee. Nelle forme a decorso più grave, con il progredire della malattia si verificano perdita di peso, anemia ipocromica, aumento della VES, squilibrio idroelettrolitico e ipoprotidemia per perdita di proteine con l'essudato, fino alla morte, che sopravviene per infezioni intercorrenti o per insufficienza surrenalica acuta. La lesione elementare del pemfigo è la bolla intraepidermica, che può traformarsi in pustola o passare direttamente alla fase di erosione con croste che evolvono lasciando esiti discromici. Nel pemfigo si manifesta il fenomeno di polimorfismo lesionale evolutivo, detto anche polimorfismo falso, che si riferisce alla contemporanea presenza di più tipi di lesioni, tutte riconducibili alle diverse fasi evolutive della stessa lesione elementare (la bolla in questo caso). Le bolle delle zone declivi del corpo possono avere contenuto siero ematico dovuto verosimilmente all'azione della forza di gravità. Il segno di Nikolsky è caratteristicamente positivo nel pemfigo, al contrario delle altre condizioni bollose autoimmuni; il segno si riferisce alla facilità di scollamento della cute apparentemente sana: esercitando pressione e trazione o sfregamento su una superficie cutanea adesa ad un piano osseo sottostante (tipicamente la cute sternale) lo scollamento diventa evidente. Le caratteristiche eziopatogenetiche del pemfigo sono gli autoanticorpi IgG diretti contro le giunzioni intercellulari, che provocano acantolisi, presupposto per la formazione di bolle e vescicole intraepidermiche. A seconda del tipo di autoantigene e dell'altezza nell'epidermide si distinguono il pemfigo superficiale (bolle superficiali) ed i pemfigo volgare e vegetante (con bolle a tutto spessore). L'acantolisi è prodotta dal legame delle IgG ad un antigene di superficie dei cheratinociti, con conseguente attivazione del plasminogeno e di altre proteasi: tali antigeni sono molecole di adesione desmosomiali Ca 2+­ dipendenti, facenti parte della superfamiglie delle caderine. L'acantolisi si distingue dalla spongiosi, in cui l'allontanamento dei cheratinociti è secondario all'edema intracellulare e intercellulare. Del pemfigo si distinguono numerose varianti:
• Pemfigo volgare: è senz'altro la forma più grave (1­5 casi /1'000'000 ab.); ha differente 49
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frequenza etnica e geografica; presenta associazione significativa con gli alleli HLA
Esordio subdolo, per lo più a livello delle mucose del cavo orale, con erosioni che di solito vengono misconosciute dai medici non specialisti, finché non compaiono le bolle sulla cute. Le erosioni si localizzano soprattutto al palato che è sede maggiore di traumi. Le bolle sono flaccide e aflegmasiche, cioè non precedute da fenomeni infiammatori; tuttavia si accompagnano a segni di compromissione dello stato generale, come lieve malessere, febbricola, astenia, anoressia, talvolta di entità sproporzionata rispetto all'effettiva estensione delle lesioni cutanee (tanto che prima dell'introduzione degli steroidi il paziente poteva venire a morte in capo a un mese in uno stato di tossicosi). Le zone tipiche sono quella periombelicale, il cuoio capelluto, il torace e le grandi pieghe. Le squamo­croste ovviamente non si formano a livello delle mucose poiché in esse è assente lo strato corneo). È presente un quadro polimorfo, a causa della contemporanea osservazione di lesioni a diversi stadi evolutivi.
Pemfigo vegetante: varietà più rara, in cui il fondo delle lesione tende a proliferare al centro in maniera sproporzionata, dando luogo a vegetazioni maleodoranti, mentre alla periferia residua un bordo eroso. Pemfigo eritematoso
Pemfigo superficiale: le bolle di solito non sono visibili come tali, bensì come un'esfoliazione a larghi lembi. L'esame istopatologico infatti mostra una cavità in posizione subcornea, coperta da una squama paracheratosica. Si distinguono 3 forme: ◦
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pemfigo seborroico: lesioni eritemato­desquamative localizzate nelle sedi classiche della dermatite seborroica (nel pemfigo superficiale sollevando la squama paracheratosica, appare una superficie essudante); mucose quasi mai interessate; andamento clinico cronico benigno, peggiorato dalla fotoesposizione pemfigo fogliaceo: variante rara in cui l'esfoliazione interessa tutto l'ambito corporeo pemfigo brasiliano: ha un'epidemiologia tipica e si pensa che sia provocato da un'infezione virale trasmessa dalle mosche. Altre varietà particolari pemfigo erpetiforme: le lesioni in questo caso sono orticaroidi e pruriginose, presentano vescicole e bolle in periferia, con tendenza alla diffusione centrifuga. Istologicamente è presente spongiosi eosinofila ma non acantolisi; l'andamento è cronico ma benigno, tuttavia questa forma può sfociare in un pemfigo volgare o superficiale classico pemfigo a IgA: quadro particolare che forse si identifica con la pustolosi subcornea di Sneddon­ Wilkinson (eruzione vescico­pustolosa a disposizione arciforme, effetto di una acantolisi in sede subcornea); frequentemente associata a gammapatia monoclonale a IgA, si tratta con il dapsone pemfigo paraneoplastico: anche se forme classiche di pemfigo come quello volgare possono associarsi a una neoplasia maligna, con questo termine si indica un'entità clinica particolare di pemfigo, differente dal punto di vista clinico e antigenico; coesistono lesioni mucose simili a quelle della sindrome di Steven­Johnson, e lesioni cutanee tipo eritema polimorfo; l'associazione più classica è quella con i linfomi non Hodgkin. L'immunofluorescenza mostra un quadro di pemfigo volgare associato a un deposito al livello della giunzione dermoepidermica. Il Western Blot rivela la presenza di diversi autoantigeni; talora scompare insieme al trattamento del tumore ma più spesso richiede l'immunosoppressione. Pemfigo indotto: il caso più frequente è l'acantolisi prodotta da farmaci contenenti al loro interno gruppi tiolici (come la D­penicillamina, il captopril e l'IFN­a); i il quadro clinico è più spesso quello di un pemfigo superficiale oppure volgare; con la semplice sospensione del farmaco si ha la guarigione in un terzo dei casi
Gli esami diagnostici sono:
• Segno di Nikolsky positivo
• Esame citologico di Tzank: si striscia il tessuto del fondo della lesione su un vetrino e 50
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lo si colora con Giemsa. Nel pemfigo questo semplice esame evidenzia cellule acantotiche tondeggianti circondate da un alone chiaro. Esame istopatologico: mostra la presenza di una bolla ricavata proprio sopra lo strato basale, tappezzata di cellule epiteliali atipiche, ovoidali, di grandi dimensioni, i cheratinociti acantolitici. L'infiltrato linfocitario del derma è modesto; la presenza di eosinofili è un fattore prognostico favorevole. Biopsia della cute sana: è risolutiva per la diagnosi la ricerca diretta degli anticorpi con l'imunofluorescenza, che risulta positiva evidenziando depositi anticorpali a livello dei ponti intercellulari, diffusi su tutta la superficie dei cheratinociti, con aspetto “a rete”. Il Western Blot ha permesso di rilevare che gli Ab sono diretti contro la desmogleina, una proteina glicosilata legata covalentemente alla desmoplachina. Immunofluorescenza indiretta: incubando il siero del paziente con esofago di scimmia si realizza la stessa reazione, ed i depositi anticorpali possono essere evidenziati con l'immunofluorescenza. La terapia si è giovata fortemente dei corticosteroidi: essi vengono usati a dosi alte (2 mg/Kg/die di prednisone) nella terapia d'attacco, talora in bolo. La ciclofosfamide (agli stessi dosaggi) può essere usata per diminuire il dosaggio dei corticosteroidi, laddove non tollerati. In limitati casi può essere utile la plasmaferesi. • Locale:
◦ Antisettici
◦ Antibiotici
◦ Steroidi
• Generale:
◦ Steroidi
◦ Azatioprina
◦ Ciclofosfamide
• Micofenolato mofetile
• Rituximab
• Plasmaferesi
• Immunoglobuline
PEMFIGOIDI
In queste malattie autoimmuni le bolle sono clinicamente ben visibili, e sono persistenti poiché sono subepidermiche, conseguenti ad un attacco autoimmune nei confronti di componenti della giunzione dermoepidermica, testimoniato anche dal deposito di Ig e C', visibili all'immunofluorescenza, fondamentale per la diagnosi.
• Pemfigoide bolloso
• Pemfigoide cicatriziale
• Herpes gestationis
• Dermatite erpetiforme
• Dermatosi a IgA lineari
• Epidermolisi bollosa acquisita
Pemfigoide Bolloso
Il pemfigoide bolloso di Lever, detto anche pemfigoide senile, è una malattia 51
caratterizzata da bolle sottoepidermiche legate a un deposito di IgG e C' a livello della lamina lucida: il bersaglio degli autoanticorpi è l'emidesmosoma, costituente fondamentale delle strutture che assicurano la coesione dermo­epidermica. In questa sede sono stati identificati due antigeni bersaglio (BPAG2 o collagene XVII, di 180 kDa, e BPAG1, una proteina di 230 kDA).
È la forma più frequente tra tutte le dermopatie bollose autoimmuni; colpisce soprattutto gli anziani ultra 65enni, spesso come fenomeno paraneoplastico o indotto da farmaci. A differenza del pemfigo, le condizioni generali sono poco compromesse a dispetto della drammaticità del quadro cutaneo, che spesso richiede il ricovero; lo stato generale del paziente, anche in virtù della fascia di età colpita, è invece più compromesso nelle riacutizzazioni.
Si manifesta con un quadro clinico monomorfo ad andamento cronico con esacerbazioni, che interessa la cute del tronoc e degli arti prossimali, caratterizzato da lesioni evidenti: bolle di notevoli dimensioni, subepidermiche, a contenuto sieroso o sieroematico che vanno incontro a rottura determinando la formazione di squamo­croste sierose o sieroematiche che lasciano poi esiti pigmentarî. In questa tipologia, polimorfismo vero (o eruttivo), in cui più lesioni elementari sono presenti indipendentemente, e polimorfismo evolutivo coesistono; è frequente una figurazione erpetiforme delle bolle. A volte si verifica una iniziale fase orticarioide o eczematoide, con un prurito sine materia, che evolve in eritema e grandi pomfi prima di manifestare le bolle.
Patogenesi:
1. Intervento e proliferazione di linfociti B secernenti autoanticorpi anti­BP230 ed anti­BP180, appartenenti alle sottoclassi IgG 4, IgG1 ed IgE, che si legano agli antigeni
2. Attivazione del complemento per la via classica o quella alternativa, con reclutamento del complesso di attacco C5­C9
3. Produzione dei mediatori della infiammazine, tra i quali le anafilotossine C3a e C5a
4. Comparsa dei PMN eosinofili, che coi loro enzimi determinano il clivaggio della giunzione dermoepidermica.
Il PB può essere un marker paraneoplastico, perciò è opportuno eseguire indagini per evidenziare eventuali neoplasie sottostanti: è noto che il 15­20% dei pazienti anziani ha un tumore associato. Anche i farmaci possono causare il PB, ma è una evenienza rara; i farmaci più responsabili sono gli antipertensivi (ACE inibitori) ed i diuretici (furosemide, spironolattone). Anche le radiazioni UV, la PUVA terapia, i raggi X possono innescare il PB.
Il PB può essere associato anche ad altre malattie autoimmunitarie.
L'immunofluorescenza diretta evidenzia un deposito continuo, a livello della membrana basale, di IgG e C3, che sono i responsabili della patogenesi della malattia (attivazione e degranulazione dei mastociti, chemotassi degli eosinofili); c'è associazione con ipereosinofilia ed elevati livelli ematici di IgE (il livello RAST di IgE si correla, molto meglio di quello delle IgG specifiche, all'andamento clinico della malattia). L'IF indiretta evidenzia anticorpi diretti sia contro il BPAG2 sia contro la laminina 5. L'esame citologico di Tzanck rileva la presenza di cellule ematiche (soprattutto gli eosinofili) e connettivali, confermando la presenza di tessuto subepidermico al fondo della bolla. La biopsia evidenzia che la bolla è dermoepidermica senza cellule acantolitiche ma con spongiosi eosinofila. Entra in diagnosi differenziale il pemfigo e la dermatite di Duhring: il segno di Nikolsky e l'esame di Tzanck sono negativi. La terapia locale si avvale di antisettici, antibiotici e steroidi; la terapia sistemica si basa su cortisonici per os ad elevato dosaggio (1 mg/Kg/die come dose di attacco; la dose di 52
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mantenimento è minore); se il paziente non risponde si possono utilizzare methotrexate, azatioprina, ciclofosfamide o ciclosporina. È fondamentale inoltre reintegrare le perdite di liquidi e proteine causate dall'essudazione delle lesioni e praticare la plasmaferesi. Senza terapia il paziente giunge a morte nel 15% dei casi. Dermatite Erpetiforme di Duhring
È una dermopatia cronica recidivante, in genere benigna, che interessa la cute e raramente e tardivamente le mucose; colpisce tutte le età ma è più caratteristica dei bambini e dei giovani, con lieve prevalenza maschile (1,4:1) e presenta un quadro polimorfo fin dall'esordio, ad andamento cronico con esacerbazioni. Lo stato generale del paziente non è tipicamente compromesso come lo è invece nelle riacutizzazioni sia del pemfigo che del pemfigoide. È la malattia che più frequentemente si associa alla celiachia e, meno spesso, con altre malattie autoimmuni o disimmunitarie: tiroiditi, atopia, LES, anemia di Biermer, nefropatie; può peggiorare con una dieta ricca di glutine, e può migliorare con una dieta priva di glutine. Un aspetto originale della dermatite erpetiforme è la marcata sensibilità ai sali alogenati, specialmente allo ioduro di potassio: alimenti ricchi di iodio come i crostacei o gli espettoranti contenenti iodio possono determinare una riacutizzazione della malattia. La DE mostra una stretta associazione con il sistema HLA:
• HLA­A1: 75%
• HLA­B8: 88%
• HLA­DRw3: 95%
• HLA­DQw2: >95%
Lo stesso profilo HLA predispone alla malattia celiaca, e molti pazienti con dermatite erpetiforme hanno una enteropatia sensibile al glutine (anche in assenza di disturbi digestivi e di accrescimento): il 10% ha sintomi gastrointestinali (atrofia gastrica o acloridria), il 25% mostra un malassorbimento, il 60­70% evidenzia, con una biopsia del piccolo intestino, una atrofia dei villi ed un infiltrato linfocitario; a volte si associa a parassitosi intestinale o a sindrome paraneoplastica; è anche aumentata l'incidenza di linfomi intestinali.
Non vi sono autoanticorpi circolanti diretti contro antigeni epidermici, bensì autoanticorpi presumibilmente responsabili delle patologie di base (tiroidea, gastrointestinale, ecc...); la maggior parte degli autoanticorpi sono IgA: gli antigeni bersaglio sono la transglutaminasi tessutale, la gliadina e la reticolina. Immunocomplessi circolanti di IgA, e forse alcuni costituenti della dieta, potrebbero depositarsi nella lamina densa e potrebbero innescare a questo livello una risposta infiammatoria che conduce alla formazione delle bolle.
La dermatite erpetiforme clinicamente si manifesta con prurito, bruciore e dolore (quest'ultimo non è tipico di pemfigo e pemfigoide) e può essere facilmente confusa con un banale eczema, infatti è caratterizzata da una caratterizzata da una eruzione polimorfa, simmetrica, di lesioni molto modeste sul tronco e sulle superfici estensorie degli arti: bolle pruriginose, rare e molto piccole, riunite in una frequente figurazione erpetiforme a grappolo alla periferia di chiazze orticarioidi, associate a pomfi e papule, con un eritema circostante; il tetto della bolla, pur essendo spesso (poiché è dermo­epidermica), può rompersi in erosioni anche a causa del grattamento da prurito, lasciando squamo­croste e quindi chiazze iperpigmentate; anche in questa manifestazione, polimorfismo vero (o eruttivo) e polimorfismo evolutivo coesistono. Se cronicizza si verifica ipereosinofilia marcata. L'esame citologico di Tzanck è negativo, non evidenziando cellule acantotiche, ma mostra la presenza di neutrofili e cellule connettivali. L'IF diretta mostra, sulla cute indenne perilesionale, depositi microgranulari di IgA (spesso associate a C3) all'apice delle papille 53
dermiche, coincidenti agli infiltrati di neutrofili; l'IF indiretta è negativa. L'istologia mostra le bolle subepidermiche con i microascessi papillari in periferia, costituiti da polimorfonucleati e da qualche eosinofilo. La microscopia elettronica localizza lo scollamento sotto la lamina densa.
La terapia si basa sulla dieta priva di glutine, che determina un miglioramento del quadro clinico, e sulla assunzione di cortisone e di un immunomodulatore, il dapsone (o DDS: diaminodifenilsulfone), al dosaggio di 100­400 mg in fase acuta, a scalare fino a 25 mg; questo può determinare anemia (bisogna escludere un deficit di glucosio­6­fosfato deidrogenasi prima della terapia; si possono usare sulfapiridina 500­2'000 mg/die o solfametossipiridazina o solfametopirazina nei soggetti che non tollerano il dapsone) ma dà effetti favorevoli evidentissimi, anche se limitati nel tempo, tanto che possono essere utili per una diagnosi. 54
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V. DERMATOSI INFIAMMATORIE
V. 1.
L'acne e la rosacea
ACNE
L'acne volgare è definita come dermatosi polimorfa (che presenta più lesioni elementari) sostenuta da un processo infiammatorio del follicolo pilifero.
L'acne volgare colpisce l'80­90% delle persone nel corso della vita (in Italia tra 70 e 87%) e coinvolge aree cutanee ad alta densità di follicoli piliferi, come il volto, il torace, il dorso, le spalle, la regione sternale. La sintomatologia è assente se si esclude dolore alla pressione in corrispondenza delle lesioni infiammatorie. Bisogna però considerare anche il disagio psicosociale arrecato al paziente dalla condizione patologica. Può manifestarsi nei primi giorni e mesi di vita, a causa degli ormoni della madre, e nell'adolescenza (ne è affetto 50% dei soggetti sotto i 25 anni). Nella metà dei pazienti è ancora presente in età oltre i 25 anni; a 45 anni il 5% di maschi e femmine ne è ancora affetto ed è definita “acne persistente”. Talora l'acne esordisce in età adulta, specie nelle femmine (acne “delle donne manager”). La prevalenza durante l'adolescenza è maggiore nei maschi che nelle femmine, ma in età adulta è maggiore tra le femmine.
Fattori favorenti:
• Predisposizione genetica: alcuni geni (FGFR­2, GR, CYPIA­1, MUC­1) sarebbero determinanti nel favorire l'insorgenza dell'acne, ma ancora non sono stati identificati i geni responsabili. L'acne è più frequente nei caucasici che nei neri e negli asiatici; i soggetti con acne grave riconoscono una predisposizione familiare, e la malattia è stata diagnosticata simultaneamente in gemelli omozigoti. • Fattori ormonali: l'acne appare con l'adrenarca (l'innalzamento fisiologico prepuberale degli ormoni androgeni surrenalici sotto controllo degli ormoni ipofisari). L'acne duratura è stata associata ad elevati livelli di deidroepiandrosterone solfato (DHEAS) e, nel sesso femminile, a menarca precoce.
• Influenza ambientale: i soggetti affetti attribuiscono la patologia o le sue esacerbazioni alla dieta; gli alimenti più spesso accusati sono cioccolato e cibi grassi, fritti, dolci, ecc. Studi recenti hanno chiamato in causa il latte (sia intero che scremato); lo studio italiano GISED ha mostrato correlazione tra latte scremato ed acne, ma non il latte intero. Il cioccolato sembra essere non correlato (studio Perugia ADOI), o forse solo il cacao ma non gli altri ingredienti. La dieta ipoglicemica sembra favorevole nella riduzione dell'acne.
La patogenesi è multifattoriale; le alterazioni fisiopatologiche che contribuiscono alla comparsa dell'acne volgare sono: 1. Iperproliferazione dell'epitelio follicolare, con conseguente ostruzione dello sbocco della ghiandola sebacea associata. L'ipertrofia sembra essere dovuta all'ipersensibilità delle cellule cutanee verso gli ormoni androgeni anche a normali livelli; l'effetto androgeno è potenziato da una maggiore produzione locale di diidrotestosterone, prodotto dal testosterone ad opera della 5­α­reduttasi.
L'ostruzione dello sbocco di sebo provoca la comparsa del comedone, una dilatazione dell'infundibolo del pelo che contiene cheratina, lipidi e batteri; può essere: ◦ Aperto: punto nero ◦ Chiuso: papula bianca che può infiammarsi trasformandosi in pustola oppure 55
progredire a formare una cisti sebacea. 2. Eccesso di sebo stimolato dagli ormoni androgeni e da altri come GH e Insulin­like­Growth Factor (ILGF). La pelle grassa e la seborrea sono strettamente associati all'acne volgare. 3. Propionibacterium acnes: gram+, anaerobio obbligato, è un normale residente del follicolo pilosebaceo. Questo batterio produce lipasi che digeriscono i lipidi del sebo trasformandoli in acidi grassi liberi. Sia gli antigeni del batterio che gli acidi grassi liberi fungono da stimoli flogistici che attirano i neutrofili.
4. Infiammazione: lesioni flogistiche. Nell'acne volgare le lesioni elementari sono di due tipi: • Lesioni da ritenzione (non infiammatorie): comedoni e papule
• Lesioni infiammatorie: papule, pustole e noduli/cisti
Le cicatrici sono spesso deformanti e possono dare origine a cheloidi in persone predisposte. Il tipo prevalente di lesione e la quantità delle lesioni infiammatorie determinano i sottotipi e la gravità della patologia. L'acne volgare colpisce diverse fasce di età che contribuiscono ad arrichire la denominazione dei sottotipi. Le varietà cliniche di acne volgare sono: 1. Acne lieve: comedoni e papule infiammate. Include la tipologia comedonica, caratterizzata dall'assenza di lesioni infiammatorie, la forma più lieve. 2. Acne moderata: comedoni, papule e pustole 3. Acne severa: comedoni, lesioni infiammatorie e nodulo­cistiche di diametro maggiore di 5 mm. Lascia cicatrici.
Altre varietà sono: • Acne neonatale • Acne escoriante giovanile: deriva da manipolazioni delle lesioni per cui le lesioni flogistiche sono sostituite da escoriazioni dovute al curettage autopraticato; è più frequente nell'acne “late onset”e nella femmina a personalità immatura in cui spesso rappresenta una richiesta di aiuto verso il mondo esterno. Il cronico traumatismo delle lesioni è favorito da uno stato compulsivo non correlato alla severità del quadro clinico; la comorbidità psichiatrica associata a questa forma comprende ansia, depressione, distorsione della propria immagine corporea, fobie, disordine ossessivo­compulsivo. Nel maschio più frequentemente si associata a disturbi ansiosi­depressivi. È utile l'impiego di antiserotoninergici e di supporto psicologico
• Acne tropicale • Acne aestivalis: peggiora al sole • Acne conglobata: grave forma caratterizzata da lesioni nodulari e cistiche, anche confluenti, con frequente formazione di ascessi sterili. Colpisce prevalentemente i 56
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maschi; le sedi tipiche sono il dorso e il petto, risparmia il volto e le spalle. Nella donna è limitata alle zone ascellari inguinali e mammarie, dove sono presenti ghiandole apocrine. Non si conosce la causa scatenante della malattia, ma si pensa ad una eccessiva reattività del sistema immunitario.
Acne da farmaci: acido isonicotinico, ormoni, difenilidantoina, iodati e bromuri. Cloracne: conseguenza dell'esposizione a composti clorati in soggetti particolarmente sensibili, anche nelle piscine e per l'uso dell'acqua potabile.
Acne della donna adulta
L'acne persistente nell'82% delle pazienti era insorta già in età adolescenziale. Coinvolge la fronte, il terzo inferiore del volto, la “zona T” del dorso. Le lesioni sono papulo­pustolose con peggioramenti premestruali. Lascia esiti cicatriziali.
L'acne tardiva esordisce dopo i 25 anni d'età, ha una prevalenza di lesioni infiammatorie e basso numero di comedoni; è resistente alle terapie. Si presenta in due varietà:
• Chin acne: interessa la zona periorale, il mento ed il terzo inferiore del volto. Segue i flare­up pre­mestruali (potente rilascio di gonadotropine endogene); può lasciare esiti pigmentari.
• Sporadic acne: è tipicamente post­menopausale, dopo i 60 anni, con esordio improvviso; coinvolge il tronco; è associata ad insufficienza renale cronica.
A tutte le ragazze con acne va analizzato il profilo mestruale e vanno cercati altri segni di iperandrogenismo. È necessario approfondire la valutazione se ci sono disturbi mestruali o altri segni di iperandrogenismo:
• Irsutismo
• Diradamento dei capelli (alopecia androgenetica femminile)
• Striae distensae (smagliature)
• Acanthosis nigricans
Acne, irsutismo ed alopecia androgenetica nella femmina, pur a patogenesi multifattoriale, sono sempre manifestazioni androgeno­mediate e quindi possono essere segni di un iperandrogenismo.
L'iperandrogenismo secondario va sospettato in presenza di:
1. irsutismo di grado moderato o severo
2. acne, irsutismo e alopecia variamente associate
3. acne o irsutismo o alopecia isolate, ma gravi o precoci.
Nel 90­95% dei casi l'iperandrogenismo secondario è causato dalla Sindrome dell'Ovaio Policistico (PCOS):
• Irsutismo ­ Acne ­ Alopecia androgenetica • Irregolarità mestruali solo nel 60% (oligo­amenorrea / anovulazione)
• Pubertà precoce ­ adrenarca prematuro
• Resistenza all'insulina, associata ad iperinsulinismo nel 60% dei pz sovrappeso e nel 40% dei pz non sovrappeso
• Acanthosis nigricans
• Aumento della circonferenza addominale (rapporto vita/fianchi > 0,8)
L'incidenza della malattia è in progressivo aumento, parallelamente all'obesità. L'esordio avviene nella maggioranza dei casi alla pubertà, e si presenta con un ampio spettro clinico. Comporta aumentati rischi metabolici, cardiovascolari, psicologici e di infertilità se riconosciuta e trattata tardivamente.
La diagnosi avviene se sono presenti 2 criteri su 3:
• Irsutismo­acne­alopecia e/o eccesso di testosterone totale e/o FAI e/o androstenedione, con rapporto LH/FSH > 1,5­2 ed iperinsulinemia 57
• Alterazioni mestruali: amenorrea, oligomenorrea, anovulazione
• Ovaio policistico all'esame ecografico
Effetti dell'attività fisica con riduzione di peso nell'adolescente con IA e sovrappeso:
• Insulina (a digiuno e dopo carico) → riduzione
• Testosterone libero → riduzione • Grasso totale e addominale → riduzione
• Segni cutanei di IA → riduzione
• N° cicli mestruali → aumento
• N° ovulazioni → aumento
La terapia dell'acne volgare è volta a correggere le alterazioni fisiopatologiche della malattia: correggere l'alterata cheratinizzazione follicolare, eradicare o ridurre la presenza di P. acnes, ridurre la flogosi e deprimere la secrezione sebacea.
I presidi terapeutici a disposizione si dividono in locali e sistemici: • Farmaci topici: ◦ Antibiotici: sopratutto macrolidi come l'eritromicina e la clindamicina. Gli antibiotici riducono la colonizzazione batterica e possiedono attività antinfiammatoria diretta.
◦ Acido retinoico: possiede molti effetti tra cui antiflogistico, antisettico e desquamante. Sono in studio nuovi retinoidi topici specificamente studiati per l'età pediatrica. Apparente non hanno assorbimento (i livelli di vitamina A sierici restano stabili); studi sull'uso della tretinoina topica hanno dimostrato che non ha effetti cancerogeni o di altro tipo a livello cutaneo. I retinoidi sono da anni utilizzati nella terapia sistemica dei cancri, e sono proposti come terapia di prima scelta anche nella terapia di mantenimento.
◦ Acido azelaico: effetto antiflogistico ◦ Benzoilperossido: antimicrobico • Farmaci sistemici: ◦ Antibiotici: gli antibiotici sistemici sono consigliati a chi ha un'anamnesi familiare positiva per l'acne, per le lesioni infiammatorie profonde privilegianti il dorso, nel sesso maschile, per l'acne tardiva (in assenza di disendocrinia) o persistente e nei non­responders alla terapia topica.
▪ Minociclina 50­100mg/die
▪ Doxiciclina 100­200mg
▪ Tetraciclina 1gr
▪ Limeciclina 300 mg
▪ Metaciclina 300mg
▪ Eritromicina 1gr ed altri macrolidi
▪ Josamicina 1gr
▪ Azitromicina 500mg: il primo farmaco pubblicato per la terapia dell'acne
In associazione all'antibiotico sistemico va usato il benzoilperossido, per superare la non rara resistenza del P. acnes alla terapia: è consigliabile utilizzare principi attivi diversi tra la terapia topica e quella sistemica, oppure più antibiotici contemporaneamente.
◦ Ormoni: sono utili in femmine con segni di iperandrogenismo. I farmaci usati sono i progestinici (o gli estro­progestinici) con effetto antiandrogeno come il ciproterone acetato (o estrogeno + ciproterone acetato). La terapia anticoncezionale deve utilizzare associazioni con progestinici a bassa attività androgenica: Desogestrel, 58
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Gestodene, Levonorgestrel, Norgestimaten, Norithindrone acetato.
◦ Isotretinoina: è un derivato della vitamina A da assumere a dosaggio giornaliero di 0,5­1mg/kg/die per raggiungere una dose cumulativa complessiva di 130mg/kg (si raggiunge in circa un anno di terapia). L'isotretinoina è molto efficace nel ridurre la secrezione sebacea e sudoripara, ma ha come effetto collaterale la secchezza cutanea; all'inizio del trattamento si potrebbe assistere ad un leggero aumento dell'acne, a secchezza di pelle, mucose e membrane, a prurito, fragilità della pelle, fotosensitività, epistassi, irritazione e secchezza oculare. La terapia va proseguita anche alla risoluzione del quadro clinico, per contrastare le recidive. È un farmaco teratogeno e la sua prescrizione alle femmine è possibile solo previa: ▪ accertamento di due test di gravidanza negativi ▪ assunzione associata a contraccettivi orali ▪ consenso informato; bisognerebbe anche istruire opportunamente il paziente nel non condividere il farmaco con altri, soprattutto se donne
▪ ricetta non ripetibile (RNR) da rinnovare mensilmente. La prima prescrizione del farmaco deve essere effettuata da un medico dermatologo, mentre le successive anche dal medico di medicina generale.
Due grossi studi di database escludono la correlazione tra isotretinoina orale e depressione: uno studio “case crossover” su 30'000 soggetti con acne mostrava che chi sviluppava depressione aveva usato, nei precedenti 5 mesi, isotretinoina per 2,68 volte in più degli altri soggetti; due studi controllati però non mostrano differenze: bisogna tenere conto che l'acne è associata essa stessa a depressione.
La terapia di scelta per le forme da ritenzione è l'acido retinoico, che mira a correggere l'alterata cheratinizzazione; nelle forme pustolose si aggiunge un trattamento antibiotico: di prima scelta le tetracicline o i macrolidi (azitromicina), e prevede una dose di attacco ed una dose di mantenimento, con terapie non inferiori ai 3 mesi. Nelle forme severe il trattamento di scelta è rappresentato dall'isotretinoina.
La terapia di mantenimento, anche dopo trattamento con isotretinoina, deve essere semplice, non troppo costosa, ben tollerata, e può durare mesi o anni secondo l'età del paziente.
Molti trattamenti sono inutili nonostante siano publicizzati o tradizionalmente accettati come 59
efficaci nell'acne: fermenti lattici, diete, vaccini, zinco solfato, ansiolitici, elioterapia, ecc. La terapia dell'acne nell'adolescente è complicata dalla scarsa compliance del paziente per i sistemici topici, determinata anche dalla sua attesa di un risultato rapido e definitivo.
Per le forme lievi sono inoltre possibili peeling chimici con acido salicilico, consigliati per l'acne comedonica e per l'acne infiammatoria.
Diversi tipi di laser (ablativi e non ablativi) sono molto utili nel trattamento di cicatrici da acne. I laser ablativi operano ottenendo, attraverso l'evaporazione o la vaporizzazione, la rimozione del tessuto cicatriziale danneggiato; i laser CO2 e l'Erbium Yag sono i più usati. Studi clinici ed istopatologici hanno dimostrato l'efficacia del laser CO 2 nel miglioramento delle cicatrici atrofiche del viso nel 50­80% dei casi. I laser non ablativi non rimuovono il tessuto ma inducono un danno termico controllato al derma e conseguente neocollagenogenesi, determinando ispessimento della cute con conseguente superficializzazione delle cicatrici e rimodellamento cutaneo; quelli più comunemente utilizzati sono il laser diodico e il NdYag, che utilizzano la frequenza dell'infrarosso (1'450 nm il diodico, 1'320­1'064 nm il Nd:Yag). I dati di letteratura dimostrano che i risultati sono discreti ma non sovrapponibili a quelli dei laser ablativi.
I citeri d'inclusione per questi tipi di trattamento prevedono l'assenza di lesioni attive da almeno 1 anno, la cessazione della terapia con isotretinoina per os da almeno 1 anno, l'assenza di infezioni cutanee erpetiche durante i precedenti 6 mesi e la negatività della storia clinica per cheloidi o cicatrici ipertrofiche.
I pazienti con un fototipo scuro sono maggiormente esposti a un più elevato rischio di iperpigmentazione post­trattamento. Tutti i laser ablativi hanno un elevato rischio di complicanze ed effetti collaterali, sia a breve termine (infezioni batteriche, erpetica o funghi) che lungo termine (eritema persistente,iperpigmentazioni, cicatrici). I laser non ablativi sono diventati via via sempre più popolari per il trattamento delle rughe del viso e delle cicatrici acneiche, perché riducono il rischio di effetti collaterali e la necessità di cure post­operatorie. La novità è rappresentata dalla fototermolisi frazionata (fraxel), progettata per creare microscopiche ferite termiche omogenee per ottenere danno termico a una particolare profondità. ACNE ROSACEA L'acne rosacea, o semplicemente rosacea, è una dermatosi cronica localizzata alle aree vasomotorie del volto, caratterizzata da eritema persistente da almeno 3 mesi. Questa dermatosi si manifesta con lesioni primarie e secondarie che interessano le superfici convesse del volto.
La diagnosi di acne rosacea richiede la presenza di una o più manifestazioni primarie: • Eritema persistente • Eritema transitorio (flushing) • Papule e pustole
• Teleangectasie Le manifestazioni secondarie includono bruciore, pizzicore, placche, secchezza, manifestazioni oculari, edema molle o duro, fima (ispessimento nodulare del derma). A differenza dell'acne volgare non ci sono comedoni.
Esistono alcune varianti di acne rosacea basate sulle manifestazioni cliniche: • Rosacea vascolare: flushing ed eritema persistente con o senza teleangectasie. È correlata a fattori scatenanti legati all'alimentazione (alcool, caffè, cibi piccanti), all'ambiente (cambiamenti caldo­freddo, esercizio fisico, bagno caldo) e alle emozioni. 60
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Rosacea papulo­pustolosa: alla forma vascolare si aggiungono le papule e le pustole. Iperplasia sebacea: fima, di solito in corrispondenza del naso; spesso colpisce soggetti anziani. • Rosacea oculare: manifestazioni oculari con edema ed eritema congiuntivale, sensazione di corpo estraneo. • Rosacea granulomatosa: placche con papule e pustole. L'eziologia del disturbo è sconosciuta, ma sono noti molti fattori scatenanti, importanti perché un'efficace terapia consiste nell'evitarli. Oltre ai fattori ambientali, alimentari e emozionali è riconosciuto il ruolo di fattori ormonali (come in menopausa) e infettivi. Il Demodex folliculorum è un acaro che può essere presente in piccole quantità sulla cute sana. In soggetti affetti dall'acne rosacea la popolazione di questo acaro è espansa; il D. folliculorum si annida nel follicolo e si nutre del sebo. Vista la correlazione, parte della terapia è volta all'eradicazione dell'acaro. Un'adeguata igiene personale è di fondamentale importanza. Esistono anche presidî farmacologici topici (zolfo, metronidazolo) e sistemici (tetracicline, metronidazolo) volti all'eradicazione dell'acaro. L'uso dei cortisonici peggiora sensibilmente l'acne rosacea ed è pertanto da evitare.
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V. 2.
La dermatite seborroica quasi esclusiva del cuoio capelluto e del centro del volto, che invece è risparmiato dalla dermatite atopica, si risolve spontaneamente entro il sesto mese di vita e in conseguenza del catabolismo degli ormoni materni ­ non è pruriginosa V. 3.
I quadri clinici, l'evoluzione, la prognosi e la terapia della psoriasi
La psoriasi è una dermopatia eritemato­squamosa ad andamento cronico­recidivante, che classicamente si manifesta con ispessimento epidermico che provoca una desquamazione lamellare, con remissioni nella stagione estiva e riesacerbazioni nella stagione invernale. È una delle dermopatie più frequenti in quanto colpisce il 2,5% della popolazione. La maggior parte dei pazienti sviluppa la psoriasi prima dei 30 anni, ma può comparire anche più tardi. La malattia ha un decorso cronico, con numerose riacutizzazioni nell'arco di tutta la vita ma anche con lunghe remissioni; un importante fattore predittivo è costituito dall'età d'esordio della malattia (quanto più è precoce, tanto più è grave).
Data la familiarità della patologia nel 30% dei casi, un ruolo fondamentale sembra essere svolto da fattori genetici. La modalità di trasmissione più accreditata sembra essere quella AD a penetranza incompleta oppure con eredità multifattoriale poligenica. Tuttavia, affinché la malattia si manifesti sembrano essere importanti fatti scatenanti, quali episodi infettivi (specialmente nei bambini affetti da psoriasi eruttiva: infezioni, in genere streptococciche, il cui trattamento specifico porta a qualche miglioramento della malattia), farmaci, ed eventi stressanti, che sono importanti anche per le riesacerbazioni della malattia: in oltre il 75% dei casi le recidive o le esacerbazioni sono precedute da stress. Malgrado una riconosciuta tendenza degli psoriasici a vivere con maggiore fragilità gli eventi stressanti, non si ritiene che esistano particolari devianze psicologiche o psichiatriche in questi pazienti. Talora la manifestazione della malattia è essa stessa un fattore di stress. Importanti sono anche i traumi a livello delle papille dermiche, come la frizione operata da cinture, spalline del reggiseno, elastici delle mutande: caratteristico della psoriasi è il fenomeno di Koebner o 61
dell'isomorfismo reattivo, caratterizzato dalla comparsa di piccole lesioni psoriasiche dopo 10 ­ 15 giorni da un'escoriazione, spontanea o provocata da un ago (graffio), che non vada oltre le papille dermiche. Altri fattori che sembrano avere un ruolo nella manifestazione della psoriasi includono: fattori ormonali (elevati livelli di estrogeni, come nella fase pre­mestruale), farmaci (β­bloccanti, litio, antimalarici, FANS, progesterone, cortisone), abitudini voluttuarie (tra cui soprattutto l'alcool).
Resta fermo il fatto che l'eziologia della psoriasi rimane tuttora non definita. Gli aspetti caratteristici della cute psoriasica sono l'iperplasia epidermica e la flogosi dermoepidermica; le ultime acquisizioni in questo campo hanno dimostrato che i fenomeni sono concatenati, in quanto dipendono dalle citochine prodotte non solo dai cheratinociti e dai linfociti T ma anche da fibroblasti, cellule endoteliali, cellule di Langerhans, dendrociti. Queste citochine fungono da fattori di crescita per i cheratinociti, che ne esprimono un aumentato livello di recettori ed aumentano il proprio ritmo replicativo di circa 8 volte (il turnover della cute impiega così solo 4 giorni anziché 32). I fattori di crescita più importanti in tal senso sono IGF­1, EGF, TGF­α, PDGF. Le alterazioni del metabolismo dell'acido arachidonico, con aumento dell'attività della fosfolipasi A2, potrebbero spiegare l'aggravamento di alcune forme di psoriasi in conseguenza dell'assunzione di FANS (aumento del LT­B4, un potente chemiotattico).
La lesione elementare è una maculo­papula rosso salmone, di forma e dimensioni variabili, a limiti netti (ben demarcata dalla cute sana circostante), ricoperta da squame bianco­argentee spesse, polistratificate friabili ed untuose. L'eritema è ben evidente alla periferia della lesione, scompare alla vitropressione e può essere circondato da un alone chiaro. In caso di sudorazione le squame sono meno evidenti. Queste lesioni cutanee mostrano caratteristiche cliniche peculiari: • Grattamento metodico di Brocq: grattamento della placca psoriasica per esporre la superficie sottostante alla squama. Questa procedura diventa clinicamente diagnostica nel caso della psoriasi, che presenta tipicamente: 1. Segno della goccia stearina: aspetto a goccia di cera della squama staccata, che si arriccia e si frammenta come una goccia di cera
2. Cuticola sottosquamosa o pellicola di Duncan­Bulkley: lo scollamento della squama rende visibile la superficie sottostante che è una placca eritematosa, con una superficie rosso salmone liscia, lucente ed umida. 3. Segno di Auspitz o della “rugiada sanguigna”: fine punteggiatura emorragica dal fondo della lesione dovuta alla rottura dei piccoli capillari delle creste dermiche. • Isomorfismo reattivo o fenomeno di Koebner: comparsa di una stria di lesioni psoriasiche al semplice graffio o grattamento della cute precedentemente non interessata (segno tipico ma non esclusivo)
• Onicopatia psoriasica: si può manifestare con segni che non sono né obbligatori né esclusivi della psoriasi, ma che sono estremamente resistenti alla terapia: ◦ Depressioni cupoliformi piccole dell'unghia, dette anche pitting ungueale (non specifico) ◦ Chiazze “a macchie d'olio ”: piccole aree discromiche rotondeggianti di colorito giallo­brunastro circondate da un alone eritematoso, corrispondenti a zone di 62
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scollamento della lamina
◦ Unghia “a midollo di sambuco”
La psoriasi mostra un notevole polimorfismo clinico per quanto riguarda aspetto clinico, estensione, localizzazione ed evoluzione delle lesioni. In base alle dimensioni delle lesioni si distinguono le seguenti forme di psoriasi:
• psoriasi puntata: lesioni puntiformi di qualche mm • psoriasi guttata: lesioni a goccia di qualche cm • psoriasi nummulare: lesioni a moneta di oltre un decina di cm • psoriasi a placche: lesioni di maggiori dimensioni • psoriasi figurata o geografica: le chiazze si risolvono al centro e si estendono centrifugamente formando figure serpiginose; è importante la diagnosi differenziale con le mucosi della cute che hanno risoluzione centrale, bordo rilevato e desquamazione minuta. Sia la forma guttata che nummulare possono ingrandirsi e assumere queste dimensioni. La lesione nella maggior parte dei casi è asintomatica, ma se voluminosa può dare sensazione di corpo estraneo od un lieve impedimento del movimento.
Esistono diverse forme di psoriasi, di cui la più frequente è la psoriasi volgare. Le sedi elettive delle lesioni psoriasiche sono i gomiti, le ginocchia, il cuoio capelluto e le unghie. In base all'estensione delle lesioni si distinguono: • psoriasi diffusa o generalizzata o volgare: grosse placche di variabili dimensioni, localizzate nelle zone più cheratosiche del corpo: sulla superficie estensoria delle articolazioni dei gomiti e delle ginocchia, alla regione lombosacrale, al cuoio capelluto, alle mani; a livello del capillizio di solito non oltrepassa la linea di attaccatura dei capelli, la cui crescita ed aspetto non vengono compromessi (a differenza di quanto avviene nella dermatite seborroica) • psoriasi eruttiva: lesioni guttate e nummulari che colpiscono soprattutto il tronco e gli arti • psoriasi ungueale: è rara nel bambino, molto più comune nella psoriasi artropatica; le unghie mostrano depressioni puntiformi molto numerose (pitting) od ispessimento della lamina ungueale con eventuale distacco (onicolisi), ipercheratosi subungueale, chiazze giallastre “a macchia d'olio”, uno o più solchi trasversali profondi. Le forme atipiche di psoriasi sono: • psoriasi invertita o intertriginosa: si localizza nelle grandi pieghe (ascellare, sottomammaria, nell'addome o nell'inguine) con macule eritematose, lisce, lucenti, spesso macerate, non desquamanti, a volte essudanti e solcate da fissurazioni tanto da simulare una intertrigine (i limiti delle chiazze sono però netti e non c'è prurito); si ritiene che l'infezione da C. albicans eserciti un effetto induttivo • eritrodermia psoriasica: è una complicanza della psoriasi volgare, in cui più dell'80% della superficie cutanea è interessato; la cute diventa diffusamente arrossata, senza intervalli di pelle sana, e tende a desquamare; è presente linfadenite superficiale generalizzata, con febbre ed interessamento dello stato generale, ipoalbuminemia, iposideremia, iponatremia, complicanze tipiche degli ustionati dovute al fatto che la desquamazione fa diminuire la capacità omeostatica; si differenza dalle altre forme di eritrodermia per la tendenza a desquamare e per la mancanza del prurito; è più spesso indotta da errori terapeutici, e quasi mai costituisce l'esordio della malattia • psoriasi pustolosa: pustole sterili non follicolari, bianche, che scompaiono per desquamazione, non confluiscono e si dispongono ai margini delle chiazze. In base all'estensione delle lesioni pustolose può essere: ◦ Figurata: vaste chiazze eritematodesquamative circondate da un orletto di pustole, prevalentemente localizzate al tronco ed alle radici degli arti
◦ Palmo­plantare o localizzata (di Barber)
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Generalizzata (di Von Zumbusch): come nell'eritrodermia, si associa ad ipoalbuminemia, alterazioni elettrolitiche e forte compromissione dello stato generale (febbre elevata, malessere, mialgie, poliartralgie), e può instaurarsi in un soggetto già psoriasico oppure essere la manifestazione d'esordio della malattia
L'acrodermatite continua suppurativa è una forma di psoriasi pustolosa in cui le pustole si localizzano alle falangi distali ed alla lamina ungueale, provocando distacco dell'unghia e talvolta perfino mutilazione. psoriasi articolare o artrite psoriasica o psoriasi artropatica: si manifesta in diverse forme, di cui la più comune è quella oligoarticolare asimmetrica, che interessa soprattutto le piccole articolazioni, come le interfalangee distali delle mani e dei piedi che appaiono tumefatte se è presente anche tenosinovite (“dita a salsicciotto”); altre forme sono quella reumatoide poliarticolare simmetrica, quella mutilante (con erosioni osse) e quella spondilitica (in cui coesistono aspetti distruttivi e proliferativi). L'andamento è cronico e la prognosi sostanzialmente buona, eccetto che per la forma mutilante psoriasi delle mucose: colpisce prevalentemente il glande dove si manifesta con una chiazza voluminosa, ben delimitata, eritematosa con desquamazione modesta o assente.
Psoriasi palmo­plantare: interessa i palmi e le piante ed entra in diagnosi diffrenziale con le micosi e la dermatite da contatto. Le lesioni plantari devono essere differenziate dalla sifilide secondaria.
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Le alterazioni istopatologiche della psoriasi sono caratterizzate, nella fase iniziale, da allungamento delle papille dermiche con presenza di capillari ectasici e tortuosi, ed infiltrato linfocitario pericapillare; nella fase di stasi si ha iperplasia dell'epidermide con allungamento sia delle papille dermiche che degli zaffi interpapillari (che mostrano acantosi), paracheratosi, ascessi di Munro­Sabouraud (piccoli ascessi sterili costituiti da accumuli di PMN picnotici nello strato corneo; quando sono molti si ha la forma pustolosa, con raccolte sterili). In una elevata percentuale di psoriasici si osserva la presenza di microangiopatia diabetica cutanea. Le alterazioni istologiche riscontrate all'esame bioptico nella psoriasi sono: • Alterazioni dello strato corneo: ◦ Ipercheratosi paracheratosica: ispessimento dello strato corneo con mantenimento dei nuclei cellulari ed assenza dello strato granuloso
◦ Microascessi di Munro­Sabouraud
• Acantosi: interessa solo le creste interpapillari. • Assottigliamento dello strato spinoso sovrapapillare: le papille dermiche assumono l'aspetto definito “a dita di guanto” e le creste “a batacchio di campana” o “a clava”.
Nella cute psoriasica inoltre sono state riscontrate alterazioni a carico dello strato basale: aumento del numero delle mitosi ed aumentata velocità di migrazione cellulare verso gli strati superficiali: tale accelerazione comporta che le cellule raggiungano lo strato corneo in 3­4 giorni invece dei 30 giorni fisiologicamente previsti. Terapia locale
• Cheratolitici (acido salicilico): per ottenere la rimozione delle squame
• Riducenti (catrame e derivati): diminuiscono l'infiltrazione della lesione
• Corticosteroidi: azione antinfiammatoria
• Derivati della vitamina D (Calcipotriolo, Tacalcitolo, Calcitriolo)
Terapia sistemica
• Corticosteroidi: utilizzabile anche in pazienti con psoriasi non grave ma generalizzata; in caso di brusca sospensione si determina una recidiva che necessiterà di dosi più alte del farmaco (cosa che non avviene con l'acido retinoico).
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Metotrexate: rischio di epatotossicità
Fototerapia (PUVA, UVB banda stretta): esposizione a raggi UV (responsabili dello spontaneo miglioramento delle lesioni in estate nelle zone esposte) e soprattutto con la fotochemioterapia o PUVA­terapia, che prevede l'associazione di sostanze fotosensibilizzanti come gli psoraleni e di raggi UVA: gli psoraleni attivati dagli UVA si legano al DNA con un effetto antimitotico sui cheratinociti impedendo l'iperplasia epidermica. In soggetti trattati per lunghi periodi vi è rischio di cancerogenesi. Acitretina (retinoide): soprattutto per la forma pustolosa; il trattamento con acido retinoico o suoi derivati (etretinato) porta ad un completo rinnovamento dell'epidermide, comportando non la guarigione ma la scomparsa delle lesioni per lunghi periodi di tempo: l'azione dell'acido retinoico è cheratolitica e permette il normale processo di formazione della cheratina. Ha come effetti collaterali la scomparsa di callosità e la secchezza delle mucose, che al contempo è benvenuta nel caso di psoriasi pustolosa. Tale terapia non può essere utilizzata in caso di epatite acuta in atto, di insufficienza epatica, di gravidanza (il farmaco è teratogeno).
Ciclosporina: per arginare il sistema immunitario, che nei soggetti psoriasici è molto attivo (è chiamata “la malattia dei sani”). Causa rischio di ipertensione e di insufficienza renale.
Agenti immunobiologici (bersagli TNF e linfociti CD20+)
Sole e mare (eliobalneoterapia): nella grande maggioranza dei casi l'esposizione solare ed i bagni di mare rappresentano un fattore di miglioramento, anche se alcuni soggetti fotosensibili con fototipo chiaro possono peggiorare per una sorta di fenomeno di Koebner indotto dagli UV (esposizioni violente con eritema solare importante)
È importante non esagerare con le terapie, visto che nessuna è totalmente curativa e tutte presentano effetti collaterali più o meno importanti: vanno effettuate pause tra i vari cicli e ricorrere ad una terapia di tipo rotazionale, alternando i metodi terpeutici; inoltre occorre impostare una terapia sull'espressività clinica della malattia anziché sulla singola lesione.
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VI. DERMATOSI ALLERGICHE
VI. 1.
Clinica, diagnosi e terapia delle dermatosi allergiche
Con il termine eczema si indicano la Dermatite Allergica da Contatto e la Dermatite Atopica, affezioni eterogenee per presentazione clinica ma caratterizzate fondamentalmente dallo stesso processo patologico: la dermatite ed il sintomo pruriginoso intenso. Nella letteratura inglese tutte queste affezioni vanno sotto il nome unico di “dermatitis”. Sono patologie infiammatorie cutanee a decorso acuto, subacuto, o cronico e possono essere causate da fattori endogeni od esogeni (sostanze che vengono a contatto con la cute); sono frequenti nei paesi ricchi e civilizzati, rare nei paesi poveri e nelle zone rurali.
La lesione elementare è la vescicola spongiotica, che si forma nello spessore dell'epidermide, misura 1 ­ 2 mm di diametro ed ha contenuto sieroso o, più di rado, siero­ematico; il tetto è teso e sottile e la cute sottostante presenta eritema ed edema più o meno marcati.
Le varie forme di questa affezione passano per le stesse fasi fisiopatologiche: l'eczema acuto è caratterizzato dalla formazione di vescicole intradermiche formatesi da una spongiosi su base eritemato­edematosa (fase vescicolosa) che causano essudazione e si rompono (eczema madidans o fase umida); l'essudato si rapprende in croste, con successiva trasformazione delle croste in squamo­croste (fase di essicazione); la finale fase di desquamazione permette una restitutio ad integrum. L'eczema acuto dura 6­ 7 giorni ed ha il decorso sopra esposto. Se, come spesso accade, la noxa persiste, l'eczema diviene subacuto (con caratteristiche morfologiche simili a quelle dell'eczema acuto) o cronico (il quadro clinico si modifica in un eczema lichenificato, con ispessimento, desquamazione e ragadi, e la spongiosi può non essere più presente). VI. 2. Dermatite da contatto irritativa, dermatite da contatto allergica, dermatite atopica
DERMATITE DA CONTATTO
La dermatite da contatto è un'affezione infiammatoria della cute conseguente al contatto con agenti esterni di varia natura; può avere evoluzione acuta, subacuta, cronica.
La dermatite da contatto può avere patogenesi irritatativa (Dermatite irritativa da contatto, DIC) oppure allergica (Dermatite allergica da contatto, DAC).
Dermatite irritativa da contatto (DIC) La dermatite da contatto di tipo irritativo è una malattia molto comune. Sul piano clinico è una forma acuta i cui danni sono confinati quasi esclusivamente all'epidermide. Predilige il sesso femminile e colpisce spesso le mani; frequentemente la donna colpita svolge intense attività casalinghe. È riconosciuta come malattia professionale.
Questa patologia è caratterizzata da un danno alla cute per contatto cronico con irritanti deboli. L'evento primario è rappresentato dal danno a carico dei lipidi epidermici, in particolare ai ceramìdi, ma c'è anche compromissione dello strato corneo e degli altri strati epidermici, che porta alla liberazione di citochine, quali l'IL­1 ed il TNF­α, che agiscono sulle cellule di Langerhans e sulle cellule endoteliali del derma profondo, producendo una modesta infiammazione che può cronicizzare e creare le premesse per lo sviluppo di una DAC, data la facilità con di penetrano gli allergeni attraverso la cute danneggiata. Il fatto che la maggioranza della popolazione non reagisca a fronte di stimoli relativamente normali, mentre 66
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altre persone presentano precocemente queste alterazioni, fa ritenere che in esse debba esserci una particolare esposizione; ma è da notare anche che se il contatto con queste sostanze avviene ripetutamente per un lungo periodo, tutti sono soggetti alla manifestazione irritativa.
Gli agenti eziologici possono essere:
• chimici
◦ ossidanti: perossido di idrogeno, permanganati, ipoclorito ad alta concentrazione ◦ disidratanti: acidi e alcali forti, soluzioni saline concentrate
◦ solventi dei grassi: alcol, etere, cloroformio
◦ agenti cheratinolitici: zolfo, acido salicilico, acido retinoico
• naturali
◦ vegetali: ortica, cactus, lattice di fico
◦ animali: punture di insetti, pesci
• fisici
◦ traumi meccanici ripetuti ◦ calore e freddo ◦ radiazioni ionizzanti ◦ contatto prolungato con acqua
La DIC si presenta con un quadro infiammatorio che dipende dal tipo e dalla quantità dell'agente eziologico con cui si è venuti a contatto: si forma una vescicola preceduta da edema ed eritema pruriginosi. L'edema in particolare è accentuato al livello dei tessuti lassi. La vescicola eczematosa ha un tetto fragile, per cui si rompe facilmente, e la sua osservazione è rara: si nota infatti nella zona corrispondente un'erosione, che rappresenta la lesione secondaria, dalla quale fuoriesce il siero che rapprendendosi forma le squame e le croste. Le lesioni sono polimorfe poiché osservate a stadî diversi. Nelle forme croniche la pelle può presentarsi ispessita, ipoelastica e cheratosica; si può arrivare anche alla lichenificazione e d alla formazione di ragadi palmo­plantari.
La caratteristica della DIC è che le lesioni rimangono localizzate alla sede di contatto, dove compaiono in genere subito dopo il contatto, ma anche dopo giorni o settimane. Le localizzazioni stesse delle lesioni possono fornire un indizio clinico sulla sostanza responsabile: • dermatite oculo­palpebrale: se bilaterale probabilmente è causata da un collirio • dermatite orale: dentiere e protesi di nichel • dermatite labiale: se interessa solo il labbro inferiore può essere da dentifricio, se entrambe le labbra da rossetto Il sintomo del prurito è spesso riferito dal paziente come bruciore o dolore, meno spesso si presenta come prurito vero e proprio. Frequentemente il paziente è convinto di “essere allergico a quasi tutto” perché l'irritazione della cute indebolisce la capacità difensiva di barriera e facilita l'ulteriore irritazione anche da agenti con basso potere lesivo.
Le complicanze possono essere:
• Impetigine: rappresenta il risultato della sovrainfezione da parte di batteri come lo Streptococco e lo Pseudomonas; nel primo caso compaiono squame e croste di colore giallastro, nel secondo le croste sono verdastre
• Eczematizzazione: dovuta allo sviluppo di una sensibilità crociata al trattamento medicamentoso oppure all'esistenza di una polisensibilità: quest'ultima è rivolta ad allergeni strutturalmente non correlati (ad esempio in un muratore allergico al solfato 67
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di cobalto e al bicromato di potassio) e pertanto si distingue dalla reattività crociata, in cui gli allergeni hanno un determinante in comune.
Eritrodermia: presenza delle medesime lesioni della DAC, con una simile tendenza alla lichenificazione. Se è sistemica si accompagna a ipotensione, VES elevata, ipoalbuminemia. In acuto si interviene con la somministrazione di cortisonici topici oppure con blandi antisettici (acido borico al 2%), tuttavia una guarigione definitiva si può ottenere solo con l'allontanamento dell'agente responsabile e con la protezione della zona esposta.
Dermatite allergica da contatto (DAC)
La dermatite allergica da contatto è un eczema provocato dal contatto con una sostanza non irritante verso la quale si è sviluppata una sensibilizzazione da contatto (immunoreazione di IV tipo, o ritardata, o cellulo­mediata), ed è quindi una reazione allergica.
Secondo un criterio clinico­eziologico la DAC può distinguersi tra:
• DAC professionale, da agenti chimici o biologici
• DAC non professionale, da agenti chimici o biologici
◦ DAC da cosmetici: spesso l'aptene responsabile è un conservante (ad es.: Euxil) o un'essenza presente in molti cosmetici ◦ DAC da abbigliamento: l'antigene responsabile non è il tessuto ma il colore dell'abito (ad es. il colorante blu parafenilendiamina)
◦ DAC da medicamenti: cerotto, conservanti delle creme, veicolo del principio attivo
◦ DAC da farmaci: principio attivo, veicolo (ad es.: cerotto dermico), conservante. Di maggior riscontro sono i FANS e gli antistaminici locali. ◦ DAC da fotosensibilizzazione: un aptene innocuo diventa allergizzante mediante una trasformazione sotto la luce solare. Questa DAC può essere: ▪ Reazione fototossica (non è una reazione allergica): rossore e dolore all'esposizione alla luce che si riscontra con l'uso di farmaci fotosensibilizzanti, come le tetracicline. ▪ Reazione fotoallergica: eczema pruriginoso
◦ DAC aerotrasmesse: l'aptene è veicolato in aria; tipicamente sono apteni di fiori, che si depositano in polvere sulla pelle.
Gli apteni più frequentemente implicati nella patogenesi della DAC sono nichel, cromo, cobalto, profumi e mercurio. La prevalenza dell'allergia al nichel sfiora il 10% tra la popolazione femminile. Alla base della DAC c'è una flogosi immuno­mediata (ipersensibilità di IV tipo): gli allergeni sono in tal senso degli immunogeni incompleti, identificabili in sostanze chimiche semplici che penetrano nell'epidermide, che interagendo con proteine vettrici diventando immunogeni completi, presentati ai linfociti T vergini dalle cellule di Langerhans, sensibilizzandoli ed inducendone la proliferazione, formando un clone di linfociti della memoria che ricircola preferenzialmente nella cute. La fase di sensibilizzazione dura in genere dai 5 ai 7 giorni. La risposta al successivo contatto con l'antigene avviene entro 24­72 ore, durante le quali i linfociti T 68
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sensibilizzati si spingono nella zona di applicazione dell'antigene e liberano citochine in grado di indurre il danno tissutale. Nei soggetti sensibilizzati per via cutanea possono osservarsi riacutizzazioni della malattia anche in seguito all'introduzione dell'allergene per via sistemica od anche inalatoria. Fattori concausali possono essere le alterazioni della barriera cutanea (sottoforma di diminuita produzione di ceramìdi da parte dei cheratinociti, che conduce ad un aumento della TEWL, Trans­Epidermal Water Loss), un aumentato rilascio di istamina, una diminuzione della quantità di acido linolenico a favore dell'acido linoleico nello strato lipidico della cute.
La DIC favorisce la comparsa della DAC perché l'irritazione cutanea facilita la penetrazione di apteni e quindi la sensibilizzazione, nonché risulta favorito il contatto successivo con l'aptene. Lo stesso meccanismo di maggiore facilità della DAC si riscontra in soggetti con stasi venosa agli arti inferiori, che provoca fenomeni irritativi della cute ed inficia l'efficacia della barriera cutanea; in quest'ultimo caso inoltre il paziente suole usare creme topiche, che possono fornire l'aptene allergizzante ed accumularsi a causa dei deficit circolatori.
Le lesioni primitive si manifestano sempre nella zona di contatto; le lesioni secondarie invece si manifestano a distanza ed apparentemente senza legame con il contatto con l'aptene. Obiettivamente le lesioni consistono in macule eritematose, edematose, seguite da vescicole dette “a capocchia di spillo” ed infine da una fase essudativa che produce le lesioni squamo­crostose. Le lesioni sono quasi sempre accompagnate da prurito e la loro evoluzione dipende dal contatto con l'antigene. Altre varietà cliniche sono quella nummulare (con superficie escoriata per trattamento), quella eczematosa e quella lichenoide (più frequente tra i sensibilizzati al nichel). Le caratteristiche delle lesioni comunque sono fortemente condizionate dalla loro localizzazione e dalla natura dell'allergene: sul cuoio capelluto sono perlopiù secche e desquamante (pitiriasiche), mentre al volto sono vescicolose, alle palpebre edematose, ai lobi auricolari essudative; a livello delle labbra si possono osservare ragadi. I polpastrelli invece diventano ruvidi e lisci (scompaiono i dermatoglifi). Al livello degli arti inferiori la DAC può complicare sovente le ulcere vascolari, a causa della sensibilizzazione ai medicamenti topici usati.
Le complicanze più importanti della DAC sono quelle di natura infettiva, da parte di batteri piogeni ma talora anche da gram­; le sovrainfezioni sono particolarmente aggressive a livello delle pieghe, dove sussistono ragadi e macerazione cutanea: in tal caso l'essudato diventa sieropurulento, compaiono febbre e linfoadenite satellite. Una complicanza più rara ma anche più grave è rappresentata dall'eritrodermia, cioè dall'estensione delle lesioni a tutto il corpo: queste inizialmente mantengono i caratteri vescico­essudativi, poi diventano secche e desquamanti e sono accompagnate sempre da notevole prurito e linfoadenite superficiale generalizzata e, nei quadri più gravi, anche da febbre settica e ipoalbuminemia. La diagnosi si fonda su anamnesi, aspetto clinico e test epicutaneo, che consentono di porre diagnosi differenziale con DIC, alcuni casi di DA, e, raramente, di psoriasi.
Il test epicutaneo, o patch test, consiste nell'applicazione di una serie di apteni sospetti (in Europa esiste una serie predefinita delle 23 o 27 sostanze più frequentemente allergeniche, chiamata “serie standard”) in una zona di cute indenne da lesioni preesistenti (solitamente il dorso), mescolati a vaselina in concentrazioni inferiori a quelle presunte irritanti, applicati alla cute per mezzo di dispositivi capaci di garantire una perfetta adesione per almeno 48­72 ore. La positività di questo test si basa sulla comparsa di una reattività cutanea di vario 69
grado: dal solo eritema (+), all'eritema misto a vescicole (++/+++). Le eventuali sostanze che risultano positive devono comunque trovare un riscontro di utilizzo nella vita del paziente. La prevenzione più importante è quella primaria, che si propone di abbattere la carica allergenica, soprattutto in ambito professionale: agli individui atopici andranno pertanto sconsigliati determinati lavori ad alto rischio. La prevenzione secondaria invece si basa su una diagnosi precoce, sul riconoscimento dell'allergene responsabile e sul suo allontanamento quando possibile (difficile invece quando l'antigene è ubiquitario o quando non è possibile cambiare attività lavorativa). •
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Steroidi per via topica (in varie preparazioni: creme, lozioni, pomate, unguenti) Emollienti e idratanti (nelle fasi avanzate quando prevale la xerosi) Per le complicanze gravi, come l'eritrodermia, si fa ricorso eccezionalmente agli steroidi sistemici della fase acuta (sotto forma di Prednisone 1 mg/Kg/die) ed in casi selezionati alla fotochemioterapia (PUVA) e alla ciclosporina A. Di scarsa utilità gli antistaminici, dal momento che è una reazione di ipersensibilità cellulo­mediata linfocitaria e non mastocellulare, per cui l'istamina non gioca un ruolo patogenetico.
DERMATITE ATOPICA
La dermatite atopica, detta anche eczema costituzionale o eczema atopico, ha una prevalenza del 10­20% nell'infanzia, 1­3% nell'età adulta, ed è una dermatite associata all'atopia; questo è un termine coniato da Coca e Cooke nel 1923 per indicare un gruppo di patologie dovute ad un disordine geneticamente determinato, in cui vi è predisposizione a formare anticorpi IgE, che a volte si presentano in sequenza nella vita del paziente costituendo la cosiddetta “marcia atopica”: • dermatite atopica
• rinocongiuntivite allergica
• asma In realtà solo la DA estrinseca, che rappresenta il 70­80% dei casi, presenta sensibilizzazione IgE­mediata; la DA intrinseca rappresenta il 20­30% dei casi ed è assente la sensibilizzazione IgE­mediata. I pazienti con DA intrinseca presentano un quadro clinico sovrapponibile a quello dei pazienti con DA estrinseca.
La prevalenza della atopia è in aumento: sia l'asma che la DA, in Europa, si sono triplicate negli ultimi 30 anni, e questo aumento è maggiore nell'Europa del nord rispetto a quella del sud. In uno studio condotto in Italia nei primi 6 mesi del 2003, su 1'369 bambini di 9 anni, la prevalenza puntiforme della DA fu del 5,8%, la prevalenza “lifetime” fu del 15,2% maggiore nelle femmine rispetto ai maschi. La prevalenza della DA varia anche in seno ad una singola nazione (forse a causa di differenze climatiche o di inquinamento?) e non sempre aumenta consensualmente all'aumento delle allergie respiratorie.
Gli studi sulla eziopatogenesi hanno indicato che fattori genetici e fattori ambientali inducono un'anormale risposta TH2 verso allergeni ambientali, un'iper­reattività a stimoli infiammatori ed alterazioni della barriera cutanea, concorrendo all'eterogeneità della malattia.
Gli studi genetici sono perlopiù relativi a pazienti con DA estrinseca, ed hanno rilevato, come dati a favore di una predisposizione ereditaria della DA:
• aggregazione familiare dell'atopia, con trasmissione preferenziale per via materna e 70
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trasmissione poligenica
• rischio maggiore se la storia familiare è positiva per DA
• elevata concordanza in gemelli monozigoti (monozigoti: 85% di concordanza; eterozigoti: 21% di concordanza)
La familiarità è stata quindi individuata come fattore di rischio più importante per prevedere lo sviluppo di DA; la familiarità risulta positiva per atopia nei 2/3 dei casi.
Geni candidati che evidenziano un legame con la dermatite atopica:
Regione
3q21
Geni
Fenotipi
CD80, CD86
5q31­q33
DA
IL­3, IL­4, IL­5, IL­9, IL­13, GM­CSF, IRF­1, GRC
6p21.3
HLA­D (MHC­II)
11q13
FCεRI β­catena
13q12­14
14q11.2
DA, IgE totali
DA grave
DA, atopia (totale/specifica IgE)
IgE­dep. HRF, HMGP­1
DA
Mastcellule chinasi
DA
16q11.2­12.1 IL­4 RECETTORE
DA grave, sindr. iper­IgE
17p12­17q11 RANTES promoter TGFβ­1 low producer
5q
DA
SPINK5
Sindrome di Netherton
Analisi di associazione genomica della DA:
Regione cromosomica
Geni candidati
1q21*
Loricrina
3q14
CD80/CD86
3q21*
CD80/CD86
13q14
HMG­1 (regolazione delle citochine proinfiammatorie WASF3) 15q14­15
?
17q21
ILF1 (IL regolatoria della trascrizione) 17q25*
ILF1 (IL regolatoria della trascrizione) 20p*
CD25B (regolatore del ciclo cellulare)
* Corrisponde a loci noti per predisposizione alla psoriasi, suggerendo che le regioni contengano gruppi di geni con effetti sull'infiammazione cutanea e sull'immunità
La fisiopatologia della DA è ancora in gran parte sconosciuta. Prevale una teoria allergo­immunologica per la DA estrinseca: la risposta immune sistemica di tipo T H2 indurrebbe un aumento di IL­4, IL­5, IL­13 e diminuzione dell'INF­γ. È invece ancora poco studiata l'eziopatogenesi della DA intrinseca.
Fattori non ereditari favorenti la DA
La DA è più frequente nei pazienti che nascono in famiglie piccole di elevata classe sociale come figli unici o come primogeniti, da madri primipare di età avanzata con elevato livello culturale e di educazione, che sono post­maturi e che frequentano più tardivamente le comunità infantili. Il rischio è invece minore se la famiglia è più numerosa, di classe sociale medio­bassa ed avviene un ingresso precoce nelle comunità infantili.
Da questo fatto è stata formulata la cosiddetta “ipotesi igienica”: la DA sarebbe favorita dalla diminuzione delle infezioni, contratte nell'infanzia, che favoriscono una risposta immunitaria di tipo TH1.
71
La DA è un complesso disordine: mentre in fase acuta si osservano a livello cutaneo soprattutto citochine rilasciate dai linfociti T H2 (IL­4, IL­5, IL­10, IL­13), nella DA cronica si osservano citochine sia di tipo TH1 (IL­2, INF­γ) che di tipo TH2, configurando il cosiddetto “modello bifasico”.
Le cellule dendritiche cutanee aiutano a determinare il pattern di citochine prodotto dalle cellule T effettrici attivate:
• Immunoreazione linfocitaria IgE indotta
• Citochine TH2 e TH2/TH1 → reazione bifasica
• Fase cronica → malattia da autoanticorpi (?)
• Linfociti T
• Cellule dendritiche
• Cheratinociti
• Cellule endoteliali
• Eosinofili
• Fibroblasti
Alterazioni della funzione di barriera cutanea: il danno di barriera facilita la detrazione degli allergeni completi o degli apteni ad azione irritante e/o sensibilizzante, capaci di attivare i cheratinociti ed indurli a produrre citochine attivanti le cellule di Langerhans e reclutanti le cellule circolanti che infiltrano la cute (i linfociti dei soggetti atopici, perlopiù appartenenti alla sotto popolazione TH2, esprimono sulla loro superficie un particolare antigene detto CLA)
• Alterazione della matrice lipidica
◦ Diminuzione dei ceramìdi
◦ Colesterolo modicamente aumentato
◦ Contenuto in fosfolipidi raddoppiato (ruolo flogogeno)
• Aumento TEWL → xerosi cutanea
• Maggiore penetrazione di allergeni e di sostanze irritanti
• Cheratinociti → mediatori chimici proinfiammatori
Tali alterazioni possono rendere conto dell'aumentato rilascio di istamina che è una caratteristica di questa malattia e più in generale dell'atopia.
La dermatite atopica è una malattia multifattoriale.I fattori scatenanti possono essere:
• Fattori immunologici: gli allergeni
◦ alimentari: ruolo preminente nei primi 2 anni di vita
◦ inalanti
◦ infettivi
▪ infezioni batteriche: S. aureus si lega tramite adesine alla matrice extracellulare dell'epidermide (fibrinogeno e fibronectina). È presente un'elevata colonizzazione cutanea in circa il 90% dei pazienti con DA, che ben correla con la flogosi: la produzione di tossine (SEA, altre) che agiscono come superantigeni causa una reazione immunitaria di tipo IgE ed un maggior richiamo di linfociti T con meccanismo non antigene­mediato.
▪ Infezioni micotiche: la Malassezia evoca risposte IgE e cellulo­mediata specifiche. L'atopy patch test risulta positivo. Causano principalmente DA del volto e del collo, in femmine ed adolescenti.
◦ autoallergeni 72
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Fattori non immunologici
◦ Irritanti da contatto
◦ Alterazioni emozionali
I fattori aggravanti possono essere quelli irritanti:
• Prurito e grattamento
• Sudore
• Detergenti • Esercizio fisico
• Indumenti • Stress
• Cibi
• Polvere, sabbia, terriccio, piante, etc
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L'andamento tipico della DA è cronico­recidivante, con riacutizzazioni legate a fattori scatenanti che possono essere diversi a seconda dell'età considerata. Nel lattante sono importanti i fattori che aggravano la xerosi cutanea o quelli francamente irritanti, oppure fattori allergizzanti (in particolare alimentari). In seguito la malattia assume un andamento stagionale, con peggioramenti in inverno a causa del clima freddo ed eccessivamente secco, ed in primavera a causa della maggiore esposizione ad allergeni inalanti stagionali. Altre situazioni che favoriscono la riacutizzazione sono sudorazioni profuse, episodi infettivi (più spesso virali), permanenza in ambienti polverosi, eventi emotivi o stressanti.
Il decorso è distinto in 4 gradi di gravità:
• Lieve: ha periodi di regressione spontanea superiori ai tre mesi anche al di fuori della stagione estiva
• Moderato: migliora solo in estate
• Moderato/severo: migliora solo in estate al mare
• Severo: non migliora nemmeno in estate al mare
La DA tende alla guarigione spontanea durante la crescita in più dell'80%: fattori prognostici sono ipotizzati essere la forte familiarità, l'esordio precoce, la gravità delle manifestazioni e la localizzazione invertita (superfici estensorie delle ginocchia e dei gomiti). Il riscontro di elevati titoli di anticorpi IgE nei bambini è fattore predittivo per lo sviluppo di malattie respiratorie atopiche.
Le complicanze possono essere eritrodermia, dermatite da contatto, impetiginizzazione, eruzione varicelliforme di Kaposi (eczema erpetico).
Prevenzione primaria: è considerato favorevole nascere in famiglie numerose di classe sociale medio­bassa, da madri non primipare di giovane età, frequentare precocemente le comunità infantili, non essere post­maturi, e non essere neri o asiatici.
Prevenzione secondaria: evitare la polvere domestica, stafilococchi, fattori irritanti. Evitare attività lavorative a rischio (parrucchiera, meccanico, collaboratrice domestica, cuoco, operatore sanitario, veterinario, ecc), le attività ricreative a rischio (equitazione, atletica leggera, ciclismo, vita campestre, danza classica, ecc), le abitudini di vita a rischio (trasferirsi in campagna, tenere animali domestici, lasciare che le lesioni si infettino, indossare indumenti inadatti, bagni molto caldi e prolungati, contatto con alimenti irritanti, dormire in ambienti inadatti, forare i lobi auricolari, ecc).
Per la diagnosi di DA sono necessari 3 criteri maggiori + almeno 3 criteri minori. I criteri maggiori sono:
1. Prurito
2. Morfologia e distribuzione tipica delle lesioni, croniche e/o recidivanti: la DA è 73
più tipica dell'età pediatrica, solo nel 5% dei casi colpisce l'adolescenza e la giovinezza. Le manifestazioni sono diverse a seconda dell'età colpita. Il risparmio del triangolo naso­mentoniero si accompagna spesso al pallore facciale, indice di vasocostrizione, che è anche alla base del dermografismo bianco. Sotto i 2 anni
Forma eczematosa classica, localizzata a al viso (guance, fronte, cuoio capelluto, mento), ma anche a tronco ed arti, e all'area del pannolino.
Sono di facile riscontro sovrainfezioni piogeniche da S.aureus, facilitate dal grattamento, che producono abbondante essudazione sierosa e possono accompagnarsi a linfoadenite reattiva; tuttavia le condizioni generali rimangono discrete e non c'è quasi mai febbre.
Nei casi gravi di condizione simil­eritrodermica c'è invece un rallentamento della crescita ponderale e staturale. 2­10 anni
Dopo i 10 anni
L'eruzione pruriginosa tende La localizzazione è circoscriversi a livello di sedi prevalentemente unica, elettive (centro del volto, rima solitamente alle mani, ma anche periorale, pieghe cubitali e nuca, scroto e caviglie. Le lesioni cavi poplitei); l'eritema diventa sono maggiormente lichenificate tendente al grigiastro e e con maggiore tendenza alla prevalgono aspetti di cronicizzazione. lichenificazione e xerosi (approfonda mento dei dermatoglifi e ispessimento della cute). L'interessamento dei pilastri ascellari anteriori delle areole mammarie e dei capezzoli è caratteristico dell'infanzia. Sono frequenti le lesioni da grattamento, le sopra infezioni batteriche, che possono portare ad eczematizzazione, e la formazione di fissurazioni e ragadi. Tende alla cronicizzazione. 3. Storia familiare e/o personale di atopia
I criteri minori possono essere:
• Xerosi: secchezza della cute. Presente nell'80% dei casi
• Pliche di Dennie­Morgan
• Ittiosi e iperlinearità palmare: pelle "a scaglie"
• Cheratosi pilare: cute con puntini rossi
• Positività dei prick test
• Livelli elevati di IgE sieriche
• Età precoce di insorgenza
• Infezioni cutanee recidivanti
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Dermatiti aspecifiche delle mani
Eczema dei capezzoli
Cheiliti
Congiuntiviti ricorrenti
Cheratocono
Cataratta sottocapsulare anteriore
La diagnosi di dermatite atopica è quindi clinica, ma gli esami bioumorali sono utili per stabilire il dosaggio delle IgE sieriche totali e di quelle specifiche verso i più comuni allergeni inalanti; questi test per avere un significato patogenetico devono essere accompagnati dalla concordanza delle condizioni cliniche all'esposizione o alla sottrazione dell'antigene. Le IgE specifiche possono essere ricercate con due tipi di test: • test in vivo: prick test
• test in vitro: RAST (radioimmunologico), ELISA (immunoenzimatico) Per la DA si attua una terapia sistemica
• Antistaminici: hanno azione sul prurito, effetto sedativo, probabilmente anche effetti antiinfiammatori. Riguardo alla durata del trattamento non esistono linee guida.
• Steroidi sistemici: solo in casi particolari, per brevi periodi ed a basso dosaggio. Soffrono di alcuni limiti, come l'effetto rebound (riacutizzazione alla sospensione) ed il rischio di tossicità.
• Immunoinibitori: la Ciclosporina A ha effetto immunomodulante ed antiinfiammatorio, inducendo un rapido miglioramento (in 4 ­ 8 settimane); è da utilizzare nel bambino in casi selezionati. Anch'essa ha limiti terapeutici come la nefrotossicità, la possibilità di recidive, il rischio di effetti a lungo termine (linfomi secondari).
• Fotochemioterapia: i limiti sono dati dall'età e dai rischi a lungo termine
◦ Psoralene + UVA a 320­400 nm
◦ UVA + UVB a banda larga (280­320 nm)
◦ UVB a banda stretta (TL 01): 313 ± 2 nm
Per un'eventuale terapia topica i presidi a disposizione sono: • Emollienti ed idratanti cutanei • Antibiotici ed antivirali in caso di sovrinfezione • Cosmeteutici: prodotti a mezza strada tra cosmetici e medicinali, di origine naturale, con azione antiinfiammatoria (scavenger di radicali liberi); non sono rimborsabili dal SSN. Si possono usare per diminuire la dose degli steroidi. • Corticosteroidi topici: creme, unguenti, pomate, creme, gel e lozioni. • Antibiotici locali: amupirocina e acido fusidico non hanno un corrispettivo sistemico e possono essere usati anche nel trattamento di infezioni cutanee come l'impetigine. • Immunosoppressori topici: tacrolimus e pimecrolimus in unguente o crema. Sono alternative interessanti per gli steroidi topici in quanto sono rapidamente efficaci e ben tollerati. Il limite sta nella preoccupazione circa la possibile cancerogenicità (cutanea e linfopoietica).
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VII. MALATTIE SESSUALMENTE TRASMESSE
VII. 1. Clinica, diagnosi e terapia delle malattie sessualmente trasmesse
Le cosiddette MTS sono malattie a trasmissione sessuale, la cui infezione cioè può essere acquisita tramite contatto sessuale. Al giorno d'oggi un numero di persone sempre più in aumento rispetto al recente passato è affetto da queste patologie, circa 400 milioni di persone, un dato ulteriormente sottostimato dal fatto che viene calcolato solo tra la popolazione definita “sessualmente attiva”, ovvero la fascia di età tra i 15 e 50 anni.
AGENTI SESSUALMENTE TRASMISSIBILI
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BATTERI
Neisseria gonorrhoeae
Chlamydia trachomatis
Mycoplasma hominis
Ureaplasma urealyticum
Mycoplasma genitalium
Treponema pallidum
Gardnerella vaginalis
Mobiluncus curtisii
Mobiluncus mulieris
Haemophilus ducreyi
Calymmatobacterium granulomatis
Shigella spp
Campylobacter spp •
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VIRUS
Human immunodeficiency virus
Herpes simplex virus Human papillomavirus
Virus epatite A, B, C
Cytomegalovirus
Virus del mollusco contagioso
Herpes virus tipo 8
ECTOPARASSITI
• Phthirus pubis
• Sarcoptes scabiei
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PROTOZOI
Trichomonas vaginalis
Entamoeba histolytica
Giardia lamblia
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FUNGHI
Candida albicans e spp.
I centri MTS sono luoghi di diagnosi, cura, prevenzione, sorveglianza epidemiologica e counseling delle malattie a trasmissione sessuale (MTS). Il Centro MTS di Bologna presso la Dermatologia dell'Ospedale S.Orsola effettua circa 8'000 visite l'anno di cui circa 3'000 sono prime visite. La sorveglianza epidemiologica consiste in:
• Monitorare il numero di casi incidenti di una MTS in un periodo
• Definire dimensioni e tendenze del fenomeno
• Ottenere dati per la pianificazione delle attività
• Individuare l'esistenza di particolari “gruppi” a rischio (core groups)
• Identificare gli agenti patogeni e la loro importanza relativa a livello locale
• Considerare le MTS come indicatori di rischio per HIV
• Stabilire criteri di prevenzione mirata
Caratteristiche delle MTS
• Spesso mancanza di sintomi
• Variabilità dei sintomi
• Variabilità delle modalità di contagio
• Possibilità di complicanze
• Terapie efficaci per la maggior parte, inesistenti per alcune
• Modalità di contagio legate alla sessualità → difficile controllo → importanza della prevenzione
• Problematiche personali e relazionali, psico­sociali
Anche l'infezione da HIV è una MTS, e condivide con esse la maggior parte dei fattori di rischio; analogamente le MTS sono indicatori di rischio per l'infezione da HIV. L'incidenza di alcune MTS è significativamente aumentata tra persone o coorti a rischio per HIV, e le MTS, specie quelle ulcerative, costituiscono un aumentato fattore di rischio per la trasmissione dell'HIV; la sieropositività per HIV può talora condizionare incubazione, clinica, diagnosi e terapia delle MTS. È quindi necessaria una lotta integrata MTS­HIV per la prevenzione, ed è 76
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consigliabile proporre il test HIV alle persone con una MTS.
VII. 2. I principali quadri clinici della sifilide
La sifilide o lue è una malattia infettiva venerea cronica caratterizzata da multiple manifestazioni cliniche (è definita “la grande imitatrice”) che coinvolge frequentemente ed estesamente la cute e le mucose, con periodi di attività e periodi di latenza.
La sifilide deve il suo nome ad un chirurgo di Verona, Girolamo Fracastoro, che nel 1530 scrisse il poema “Sifilide ovvero del morbo gallico” in cui il protagonista, il pastore Siphilus, viene punito da Apollo con la malattia per aver abbattuto alcuni templi a lui dedicati ed averne eretti altri dedicati al re Alcinoo, suo padrone.
Non si conosce la zona di origine dell'agente eziologico, e da secoli si dibatte sull'area primitiva di diffusione della malattia; la teoria più accreditata è la teoria colombiana o americana: si sa per certo che ad un certo punto della storia, ossia alla fine del '400, al ritorno degli equipaggi di Colombo dalle Americhe, furono segnalati i primi casi della malattia; la sifilide compare in Spagna in forma epidemica, e si estende poi in tutta Europa e nei paesi dell'estremo oriente.
In Italia la sifilide ha avuto una diminuzione di incidenza dopo la seconda guerra mondiale, ed un aumento agli inizi degli anni '60, con la liberalizzazione della prostituzione. Nell'epoca recente si è assistito ad un nuovo aumento dell'incidenza, particolarmente tra le prostitute e gli omosessuali. Nel mondo si calcolano 12 milioni di nuovi casi ogni anno (stima OMS); in Italia si è passati dai 150 casi del 1995 ai 351 casi nel 2000 (ISTAT). L'aumento è quindi progressivo, ma si ritiene vi sia una sottostima del 100­150%. Sono avvenuti anche focolai epidemici.
L'agente eziologico della sifilide è il Treponema Pallidum (Schaudinn e Hoffmann, 1905). Esistono altri patogeni del genere treponema (T. pertenue, T. carateum, T. cuniculi), che causano malattie simili alla sifilide, ma a trasmissione non sessuale (framboesia, pinta, …). Al contempo esistono numerosi treponemi che sono saprofiti del corpo umano, nel cavo orale e nei genitali.
La trasmissione del t. pallidum avviene per contatto diretto per via sessuale, oppure per via ematica attraverso la placenta dalla madre al feto o per via parenterale; il contagio tramite oggetti personali è decisamente raro. Il treponema, che vive a basse tensioni di ossigeno, si riproduce attivamente all'interno dell'organismo ma muore rapidamente al suo esterno, rendendo la trasmissione quasi esclusivamente sessuale. Il treponema è un batterio elicoidale appartenente alla classe delle Spirochetacee; è mal colorabile con il metodo Giemsa ma può essere messo in evidenza mediante impregnazione argentica ed è soprattutto visualizzabile con microscopio in campo oscuro (microscopio paraboloide): il batterio ha una ampia mobilità, è dotato di 3 tipi di movimenti caratteristici che permettono di distinguerlo al microscopio in campo oscuro dagli altri treponemi saprofiti, (rotazione sull'asse, scivolamento in senso antero­posteriore, ripiegamento di tutto il corpo). Non è coltivabile a fini diagnostici, ma è possibile per scopi di ricerca; ha una struttura antigenica particolare: la guaina esterna è povera di proteine, ed il batterio sfugge al sistema immunitario dell'ospite; il “corpo” è invece estremamente ricco di antigeni specifici che sono usati nelle reazioni sierologiche: tali antigeni sono stati ricavati dallo studio del ceppo treponemico di Reiter, un treponema reso non virulento mediante passaggi in terreni di coltura artificiali nei laboratori di ricerca. È un microorganismo microaerofilo labile: muore rapidamente fuori dall'organismo ospite, è sensibile all'essiccamento, alla variazione di pH, ai raggi UV, agli antisettici anche blandi, è molto sensibile al calore ma enormemente resistente al freddo.
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Sifilide Acquisita
Precoce
1. Primaria
2. Secondaria
3. Latente precoce
Tardiva
4. Latente tardiva 5. Terziaria
▪ cardiovascolare
▪ gommosa o “benigna”
▪ neurosifilide
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Sifilide Congenita
Precoce: primi 2 anni di vita
Tardiva: dopo i 2 anni di vita
◦ stigmate
Il CDC di Atlanta nel 2010 ha proposto la seguente classificazione:
• Primaria: ulcera o erosione nel sito d'infezione
• Secondaria: rash cutaneo, lesioni muco­cutanee, linfoadenopatia
• Terziaria: manifestazioni cardiache, oftalmiche, gomme
• Latente: clinica assente, sierologia positiva
◦ Precoce: da meno di 1 anno (2 anni secondo WHO)
◦ Tardiva: da più di 1 anno (2 anni secondo WHO)
◦ Indeterminata: epoca del contagio sconosciuta
• Sierologica: positività sierologica dopo terapia
Sifilide e sistema immunitario
Immunità naturale: non tutti i soggetti che vengono a contatto con le persone affette da lue primo­secondaria si contagiano (solo il 50% circa); tra i fattori importanti vi sono: numero e virulenza dei treponemi, presenza di lesioni di continuo della barriera cutaneo­mucosa.
Immunità acquisita: l'infezione luetica conferisce una resistenza di grado variabile nei confronti del treponema, dovuta alla presenza del germe nell'organismo; gli anticorpi non sono però protettivi (“immunità incompleta”), e dovrebbero rallentare la disseminazione dell'infezione, ma non esiste correlazione tra i titoli anticorpali e resistenza all'infezione. La sifilide, come tutte le infezioni, induce:
• IgM e IgG nella fase precoce
• IgG nella fase tardiva
• IgA specifiche in modesta quantità
• IgE • La risposta cellulo­mediata svolge un ruolo protettivo nei confronti della diffusione dell'infezione. Tale risposta è diversa nelle varie fasi della malattia:
◦ Sifilide recente: l'immunità cellulare è piuttosto inibita ma c'è un'intensa risposta umorale. I fattori che rendono meno efficiente l'immunità cellulare sembrano essere 78
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plasmatici, e sono verosimilmente rappresentati dal treponema, data la scarsità di proteine sulla guaina esterna, o da suoi metaboliti, o da proteine non treponemiche, che ricoprendo la superficie del germe non lo rendono ben riconoscibile come estraneo al sistema immunitario.
◦ Sifilide latente: risposta anticorpale ed immunità cellulare sono elevate
◦ Sifilide tardiva: c'è una scarsa risposta anticorpale (per la modesta quantità di treponemi) ma un'elevata immunità cellulare, che fa da ostacolo alla moltiplicazione e disseminazione treponemi
Sia la difesa umorale che quella cellulare proteggono l'ospite dall'infezione, ma l'immunità cellulo­mediata è la più importante per spiegare il peculiare andamento evolutivo della malattia.
I. SFILIDE ACQUISITA: STADIO PRECOCE
Viene considerato come stadio precoce quello in cui sia direttamente repertata la lesione primaria all'esame obiettivo oppure in cui il paziente sia in grado di riferire il momento in cui essa si è presentata (entro 1 o 2 anni).
Sifilide primaria
Dopo un periodo di incubazione tra 10 e 90 giorni, il primo contatto si manifesta con un'ulcera caratteristica, chiamata sifiloma: esordisce come papula o nodulo (lesioni primarie), di solito fugace, che si erode o si ulcera (lesioni secondarie) mostrando un fondo di solito deterso, bordi duri; questo rappresenta il punto d'ingresso del treponema. Solitamente è una lesione unica ma possono essere anche multiple.
La localizzazione nell'uomo solitamente è sul solco balano­prepuziale, sul glande, sull'asta del pene, sul meato uretrale; nella donna sulla cervice, sulla vulva, raramente sulla vagina, sul meato uretrale; in entrambi i sessi è possibile una localizzazione nella regione perianale, sul canale anale, nel cavo orale (labbra, lingua, faringe); sono rare le localizzazioni extra­genitali. È sempre presente una linfoadenopatia satellite (linfonodi duri, non dolenti, mobili).
La lesione non è dolente e raramente c'è una sintomatologia generale.
La diagnosi è clinica, basata sull'anamnesi, sulla ricerca diretta del treponema al paraboloide, sulla sierologia (che non sempre è positiva in fase primaria e quindi bisogna valutare se l'esame è da ripetere); l'esame istologico non è consigliabile in quanto aspecifico. Inoltre T. pallidum non è coltivabile.
Sono molto frequenti le forme misconosciute non diagnosticate. Infine la fase iniziale, in una minoranza dei casi, può accompagnarsi all'assenza di queste lesioni caratteristiche, di solito perché, durante la fase di incubazione, il paziente ha seguito una terapia antibiotica per altre cause, e questo impedisce la manifestazione della malattia, ma non la sua progressione. Queste forme di sifilide sierologicamente positive, senza l'obiettività clinica della prima fase sono dette sifilide decapitata. In ogni caso entro 4­6 settimane il sifiloma guarisce spontaneamente, di solito senza alcun esito.
Sifilide secondaria
Questa fase inizia 3­6 settimane dopo il sifiloma (in media 30 giorni dopo la comparsa delle lesioni iniziali), e si può prolungare per 2­3 anni in circa il 25% dei pazienti non trattati.
È preceduta da una batteriemia, in cui avviene la disseminazione del treponema, ed è caratterizzata dalla comparsa di lesioni polimorfe (dette “lesioni polimorfe del periodo secondario”) disseminate: queste lesioni, che prendono nel complesso il nome di sifiloderma 79
cutaneo, possono assumere vari aspetti morfologici, a seconda della lesione elementare caratteristica; tutte le lesioni sono in genere asintomatiche:
• La lesione più precoce è un rash, la cosiddetta roseola, o sifiloderma eritematoso, che si ha a circa 60­70 giorni dal contagio: si tratta di un gran numero di macule eritematose a distribuzione ubiquitaria, di colore rosa pesco o roseo­rosso, di alcuni millimetri e non rilevate, di forma rotonda e con limiti sfumati, che non desquamano; l'eruzione, che chi scompare in pochi giorni, non provoca prurito e non lascia esiti, ma si accompagna ad uno stato di malessere generale simil­influenzale, con cefalea e dolori ossei notturni. • A 3­4 mesi dal contagio può comparire il sifiloderma papuloso, un'eruzione diffusa che ha aspetto di papule polimorfe, di color rosso rame, con bordi netti e un orlo che desquama. Queste papule sono a distribuzione ubiquitaria ma con localizzazioni preferenziali soprattutto a livello della pianta del piede e del palmo delle mani, dove possono formare delle placche confluenti, di colore grigio e maleodoranti per l'intensa essudazione, definite condilomi piani per la vaga somiglianza con la lesione dell'infezione da HPV. Anche per i condilomi possono esistere numerosi tipi morfologici (lenticolare, lichenoide, eczematiforme, impetiginoide, psoriasiforme, varicelliforme, acneiforme, impetiginoide...). • Nei soggetti immunodepressi possono comparire questa fase delle lesioni molto più gravi, consistenti in papule ulcerate, di grandi dimensioni, accompagnate alla negatività delle reazioni sierologiche (sifilide maligna). Il sifiloderma è accompagnato da linfoadenopatia generalizzata (micro­polilinfoadenopatia) non dolente. Ci possono essere anche delle lesioni sulle mucose orali e genitali, in genere di tipo maculare od eritematoso, piccole o grandi. Nelle donne si possono avere anche delle alterazioni della pigmentazione cutanea, in genere localizzate al collo (collare di Venere), oppure alopecia a chiazze. Più raramente poi possono esistere lesioni a gli organi interni come epatiti, paralisi dei nervi cranici, meningite treponemica o altro. È possibile anche la comparsa di alterazioni dei follicoli piliferi, più spesso visibile come alopecia e diradamento delle estremità delle sopracciglia.
Le manifestazioni della sifilide secondaria in genere regrediscono dopo 1­2 mesi, ma nel 25% dei casi possono avere recidive, con lesioni più grandi e di difficile risoluzione.
La diagnosi in questo stadio è clinica e si avvale dell'anamnesi, della sierologia (tutti i test sono intensamente positivi), della ricerca diretta del treponema (in caso di papule escoriate ricche di treponemi); l'istologia è aspecifica (vasculite) ed utile solo in casi selezionati. Sono frequenti diagnosi misconosciute.
Dopo il periodo secondario, inizia una fase in genere asintomatica, che a lungo termine è chiamata anche latenza tardiva. Questa fase è destinata a rimanere tale nella maggior parte dei casi ed il paziente non è nemmeno contagioso (tranne la possibilità di infezione transplacentare).
II. SFILIDE ACQUISITA: STADIO TARDIVO
Viene considerato come stadio tardivo quello in cui il paziente non sia in grado di riferire il momento in cui la lesione primaria si è presentata oppure in cui essa si sia manifestata da più di 1 o 2 anni.
Sifilide terziaria
Le lesioni del periodo terziario sono oggi un evento rarissimo che si presenta solo nel 20­30% 80
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dei soggetti in latenza tardiva mai sottoposti a terapia; sono poco numerose ed in genere di un tipo solo, con aspetto cronico e degenerativo: possono interessare la cute o le mucose, ma anche altri organi. Le manifestazioni vengono distinte in 3 grandi categorie cliniche: sifilide gommosa, sifilide cardiovascolare, neurosifilide.
• A livello cutaneo la lesione più frequente è rappresentata da noduli di colore rosso e di piccole dimensioni (sifiloderma nodulare), raggruppati in deformazioni ad anello, in cui i noduli sono alla periferia mentre il centro subisce una reazione cicatriziale; questi noduli sono localizzati soprattutto al volto e a gli arti inferiori. Un'altra manifestazione molto frequente è rappresentata dalle gomme cutaneo­mucose, presenti in qualunque zona cutanea ma soprattutto in gambe ed avambracci; all'inizio sono noduli duri a limiti netti, che aumentano di volume ed aderiscono alle parti profonde della cute, poi formano una fistola dalla quale fuoriesce un materiale vischioso di consistenza gommosa, fino a lasciare un'ulcera di materiale biancastro, cicatriziale, retratta e deturpante: questa lesione è espressione di un granuloma dermo­ipodermico, poco colonizzato dai treponemi. Le altre manifestazioni possono coinvolgere gli organi interni, come la localizzazione osteomuscolare (gomme poco frequenti, con andamento progressivamente distruttivo) e la localizzazione gastroenterica (lesioni infiltrative con esiti sclerosanti, in tutti i distretti dalla bocca all'ano)
• La sifilide cardiovascolare può presentarsi con arterite, specialmente aortica (aneurismi aortici), angina, insufficienza aortica, stenosi coronarica.
• La localizzazione al SNC (neurosifilide) comporta tre forme cliniche: quella meningea, quella meningovascolare (encefalite ed ictus), e le manifestazioni parenchimali (la tabe dorsale e la paralisi progressiva: si arriva alla paralisi, e a volte fino alla cecità, per compromissione dei nervi cranici, dopo una fase di alterazioni dell'umore e della personalità).
La diagnosi in questa fase è clinica, sierologia ed istologica; si avvale di:
• Ricerca a fresco del treponema: sulle lesioni primitive e secondarie, in campo oscuro
• Diagnosi sierologica: il mosaico antigenico del treponema comprende la cardiolipina, antigeni proteici di gruppo e di specie. Alcuni test rapidi, come il VDRL, si basano sulla flocculazione di una soluzione contenente anticorpi diretti contro questi antigeni, e sono a basso costo; possono esserci falsi positivi, e quindi si possono usare reazioni di emoagglutinazione con emazie di montone.
• Immunofluorescenza: sensibile e specifica ma costosa, con anticorpi diretti contro gli antigeni di gruppo del batterio.
• Immunoenzimatica (ELISA): ricerca delle IgM specifiche, per dimostrare l'infezione.
• Test di agglutinazione e immunofluorescenza sul liquor: permettono di escludere la neurosifilide, ma non ci sono test specifici per fare diagnosi di certezza di un interessamento del SNC.
SIFILIDE CONGENITA
L'acquisizione in utero del treponema porta ad una malattia sifilitica (chiamata erroneamente) congenita, acquisita per trasmissione verticale o materno­fetale. Spesso l'infezione precoce in utero porta il feto a morte; il feto infettato dopo l'8° mese può invece nascere senza malformazioni, ma sviluppare complicanze tardive. Talora i segni clinici sono invece assenti, mostrando solo positività sierologiche. La sifilide congenita fetale, in cui le manifestazioni interessano già il feto, è una forma precoce ormai rara.
1. Sifilide congenita precoce: le manifestazioni luetiche compaiono entro i 2 anni di 81
vita, e sono molto varie, spesso tipiche della sifilide secondaria (sifilodermi, in genere di tipo pemfigoide attorno alla bocca, e papulo­erosivi nelle grandi pieghe cutanee) in quanto come in quello stadio il treponema si diffonde per via ematogena. Si può presentare con alterazioni placentari, prematurità, basso peso alla nascita, idrope non­immune, anomalie reticolo­endoteliali (epato­splenomegalia, ittero, anemia, emorragie…). Le lesioni muco­cutanee (rinite, rash, lesioni bollose, placche mucose, condilomi piani) sono frequenti ai palmi e alle piante, ed il coinvolgimento viscerale non è raro, specie a carico del fegato; poiché cute e mucose del neonato sono più sottili e non completamente formate, le manifestazioni muco­cutanee sono più severe, e spesso sono presenti bolle invece che papule. Sono anche possibili anomalie ossee (periostiti, osteocondriti, osteomieliti…), piorrea nasale (“corizza luetica”) dovuta ad una forma grave di rinite siero­purulenta ad evoluzione occlusiva della mucosa nasale, anomalie oculari, anomalie del SNC, distress respiratorio, febbre, ed altre ancora.
2. Sifilide congenita tardiva: si manifesta clinicamente per la prima volta dopo i primi due anni di vita, fino anche all'adolescenza o all'età adulta. Sono rare le lesioni attive (sifilodermi nodulari, gomme); i segni tipici sono a carico del sistema osseo (bozze frontali, tibie a sciabola), e caratteristico è il quadro della stigmate luetica caratterizzato da mandibola sfuggente, palato ogivale, naso a sella, ragadi periorali, fronte olimpica, causati da esiti cicatriziali di lesioni precoci, malformazioni dentarie (“denti di Hutchinson”: incisivi superiori con bordo incavato a semiluna). Le malformazioni possono arrivare a realizzare la cosiddetta triade di Hutchinson: cheratite interstiziale, sordità ed anomalie dentali. Sono possibili anche anomalie neurologiche e ritardo mentale.
La diagnosi di sifilide congenita si basa sull'anamnesi materna, sui segni clinici tipici e sugli esami sierologici.
ESAMI DI LABORATORIO
Gli esami di laboratorio possono essere utilizzati come screening, come conferma, come follow­up.
• Test non treponemici (non specifici): l'antigene usato da questi test è un antigene ubiquitario, non appartenente ai treponemi, la cardiolipina. Questi test costano poco ed hanno alta sensibilità; lo svantaggio in questo caso è rappresentato dalla possibilità di falsi positivi. I test aspecifici possono essere utilmente usati come test diagnostici di screening e di follow­up, in quanto dovrebbero negativizzarsi con la guarigione. ◦
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RW (reazione di Wasserman): non più eseguito
◦ VDRL (Venereal Diseases Research Laboratory) e VDRL quantitativa
◦ RPR (Rapid Plasma Reagin)
Test treponemici (specifici): utilizzano antigeni treponemici ricavati da specie non patogene per l'uomo. La positività dei test specifici permane a vita dopo il contatto con il germe (salvo TPHA, il cui titolo cala dopo la guarigione) e sono pertanto usati per conferma diagnostica in quanto molto specifici ma non sono utili per la diagnosi perché non confermano se l'infezione è attiva o remota. Vanno annoverati tra questi test anche i test immunoenzimatici (EIA: Enzimatic Immuno Assay) ed il Western Blot.
◦ TPHA (Treponema Pallidum Haemo Agglutination)
◦ FTA (Fluorescent treponemal Antibody)
◦ TP­EIA
◦ WB IgG: da usare in casi selezionati come test di conferma
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◦ WB IgM: da usare in casi selezionati di neurolue e neonati
LINEE GUIDA EUROPEE PER LA TERAPIA DELLA SIFILIDE (2011)
La terapia consiste nella somministrazione di penicillina, un potente treponemicida che attraversa barriera placentare ed emato­encefalica; non sono noti fenomeni di resistenza. Le alternative sono tetraciclina, eritromicina, azitromicina, ceftriaxone. Eistono diverse linee guida riguardo alla terapia, anche in base alle diverse problematiche (gravidanza, HIV, neurolue…).
Riguardo ai criteri di guarigione ha molta importanza la risposta immune dell'ospite, e bisogna tenere presente il problema della persistenza dei treponemi. Alla cessazione della terapia non si ottiene necessariamente la negativizzazione della sierologia, che spesso rimane positiva anche a guarigione avvenuta.
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Sifilide precoce: la terapia di scelta è benzatin­penicillina G (2,4 milioni di U) intramuscolare in dose singola
◦ procain­penicillina G 600'000 U im/die per 10­14 gg
◦ benzil­penicillina G 1 M U im/die per 10­14 gg
◦ se allergia: doxiciclina, tetraciclina, eritromicina, azitromicina, ceftriaxone
Sifilide tardiva: fino a 7 milioni di UI per la sifilide in fase di latenza avanzata
◦ benzatin­penicillina G 2,4 M U im/sett per 3 sett
◦ procain­penicillina G 600'000 U im/die per 17­21 gg
◦ benzil­penicillina G 1 M U im/die per 21 gg
Neurosifilide: si ricorre a concentrazioni di decine di milioni di UI per raggiungere la concentrazione terapeutica nel liquor
◦ benzil­penicillina G 12­24 M U iv/die per 10­21 gg
Linee guida del CDC di Atlanta (2010)
• Primaria, secondaria: benzatin­penicillina G 2.4 M UI im; dose singola
• Latente precoce: benzatin­penicillina G 2.4 M UI im; dose singola
• Latente tardiva ed indeterminata: benzatin­penicillina G 7.2 M UI im; 3 dosi sett di 2.4 M UI
• Terziaria: benzatin­penicillina G 7.2 M UI im; 3 dosi sett di 2.4 M UI
• Neurologica: penicillina acquosa G cristallina 18­24 M UI ev/die per 10­14 gg, o procain­penicillina 2.4 M UI im/die + probenecid per 10­14 gg.
Alternative alla penicillina:
• Doxiciclina 100 mg cpr 2/die per 14 gg
• Tetracicline 500 mg cpr 4/die per 14 gg
• Ceftriaxone 1 gr fl im 1 fl/die per 8­10 gg (20% reattività crociata con penicillina)
• Azitromicina 500 mg cpr × 4 (2 gr dose singola) ­ descritte resistenze
• L'eritromicina mostra scarsa efficacia: resistenze emergenti in Africa (profilassi micobatterio)
Le reazioni avverse alla penicillina possono essere di tipo anafilattico (per cui bisogna ricorrere a regimi alternativi) oppure, durante le prime 24 ore di trattamento, si può avere la reazione di Jarish­Herxheimer, più frequente nelle forme precoci, un peggioramento dei sintomi generali tossiemici dovuti alla liberazione di antigeni e tossine dai treponemi morti; si manifesta con una reazione febbrile acuta o con una sintomatologia simil­influenzale (febbre, brividi, mialgia, astenia), ed è anche possibile un'accentuazione della sintomatologia specifica. Se questa si verifica non si deve sospendere la terapia ma somministrare antipiretici ed eventualmente steroidi al dosaggio minimo necessario. 83
Criteri di guarigione
1. Clinico: le manifestazioni della sifilide primaria e secondaria si risolvono spontaneamente. La terapia può accelerare la risoluzione dei segni e dei sintomi.
2. Microbiologico: è impraticabile dal momento che la coltura a scopi diagnostici non è praticabile, e pertanto non è nemmeno possibile definire se la terapia garantisca la completa eradicazione del germe. Forse proprio a causa di questa “non sterilizzazione” alcuni esami sierologici si mantengono positivi a vita e possono esserci delle riacutizzazioni sierologiche non accompagnate da manifestazioni cliniche, verosimilmente da mettere in relazione alla non eradicazione del germe e quindi ad una stimolazione del sistema immunitario da parte degli antigeni treponemici.
3. Sierologico: la guarigione può essere dichiarata con un'adeguata interpretazione degli esami di laboratorio.
Viene definito non più contagioso il paziente che ha attuato una adeguata terapia senza reinfettarsi.
In genere la positivizzazione dei test dopo infezione segue questo ordine:
1. immunoenzimatica (TP­EIA)
2. WB IgG
3. TPHA
4. test aspecifici
I titoli anticorpali aumentano in concomitanza con le manifestazioni cliniche.
Per lo screening si utilizzano TP­EIA e TPHA; se entrambi risultano negativi non è avvenuta esposizione alla sifilide. È consigliata una rivalutazione se vi sono lesioni sospette od anamnesi di rischio.
• Se EIA è positiva ma TPHA è negativo si può essere davanti ad una falsa positività oppure ad una lue recente: infatti TPHA si positivizza, in genere, un po' dopo l'EIA; è quindi consigliabile ripetere il test dopo 15 gg, con un WB, approfondire l'anamnesi e cercare eventuali lesioni.
• Se EIA e TPHA sono entrambi positivi si ha una sifilide in atto oppure una sifilide pregressa (se all'anamnesi risultasse ignota, si consiglia di fare la terapia).
• Una EIA negativa con un TPHA positivo è una situazione improbabile: l'EIA, come il TPHA, difficilmente negativizza col tempo.
Se un test treponemico risulta positivo è necessario aggiungere un test non treponemico di conferma, e viceversa. Non bisogna mai usare un test solo, per evitare il rischio dei falsi positivi, e per i controlli è consigliabile eseguire sempre gli stessi test nello stesso laboratorio.
Nel follow­up i test più adatti sono quelli non treponemici quantitativi, che permettono di rilevare la diminuzione progressiva dei titoli anticorpali e che di solito negativizzano, ma a volte persistono a lungo, o anche a vita (reazione “serofast”). I test treponemici restano invece positivi a vita (indipendentemente dalla terapia dall'attività dell'infezione), ma talora negativizzano se il trattamento è precoce.
• TP­EIA rimane quasi sempre positivo
• controllare eventuali significative oscillazioni del TPHA nel tempo
• WB rimarrà sempre positivo, per cui è inutile ripeterlo
La diagnosi di reinfezione si definisce solamente quando la precedente infezione è stata curata adeguatamente; deve osservare alcune regole: il sifiloma dovrebbe essere in una sede possibilmente diversa dalla precedente, la sierologia con anticorpi antilipoidei doveva essersi 84
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negativizzata, ci devono essere il reperto microscopico positivo nella nuova lesione ed un rapido viraggio alla positività sierologica con accorciamento del periodo di latenza sierologico.
Nelle reinfezioni la VDRL cala molto lentamente (6­12 mesi).
Bisogna invece sospettare il fallimento della terapia se dopo una diagnosi di infezione primaria recente la VDRL non cala entro 6 mesi. Il ri­trattamento terapeutico richiede un ciclo di 7 M UI di penicillina.
VII. 3. Le uretriti
GONORREA
La gonorrea (termine che significa “flusso di seme”), o scolo, è un'infezione della mucosa genitale, tra le più comuni MTS batteriche, che determina flogosi acuta purulenta. L'agente eziologico è la Neisseria gonorrhoeae (o gonococco), un diplococco gram­ aerobio che ha l'uomo come unico ospite. La trasmissione è solitamente di tipo sessuale. Si stimano circa 70 milioni nuovi casi all'anno nel mondo.
La neisseria predilige la localizzazione all'epitelio colonnare dell'uretra, il canale cervicale, il retto e la congiuntiva; l'incubazione dura tra 1 e 10 giorni (fino a 30 gg) e nella maggior parte dei casi si hanno infezioni mucose localizzate, che possono però diffondersi localmente, risalendo il tratto genito­urinario (talora evolvendo in sepsi); frequenti sono anche le forme asintomatiche. I batteri superano la barriera mucosa e vengono fagocitati dai PMN circolanti causando abbondante produzione di pus; a volte possono anche entrare in circolo.
L'infezione da neisseria non conferisce immunità duratura.
Si possono verificare diversi quadri clinici, a seconda dei tipi di pazienti: • Maschio: uretrite anteriore, proctite, prostatite, faringite
• Femmina: vulvo­vaginite con tendenza ascendente verso cerviciti ed annessiti fino alla PID (malattia infiammatoria pelvica); faringite, proctite • Femmina prepubere: vulvovaginite (contatto delle parti intime con materiali infetti, come capi di biancheria non sterilizzati) • Neonati: grave congiuntivite per infezione dal canale del parto.
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Uretrite gonococcica nell'uomo
Presenta una tipica secrezione uretrale di materiale purulento, che nel giro di 1 o 2 giorni diventa abbondante, verdastro, caratterizzato da dolore e disuria; può accompagnarsi a balanite e linfoadenopatia inguinale. Il 25% degli infetti presenta una secrezione scarsa (solo gocce di secreto al mattino); solo il 10% è completamente asintomatico. Complicanze locali:
◦ Balanite: può avere esiti cicatriziali e quindi condurre a fimosi del prepuzio
◦ Piccole ulcere, solitarie o multiple, su cute o mucose, con bordo frastagliato e fondo necrotico
◦ Ascessi di Littré: interessano le ghiandole periuretrali
◦ Ascessi parauretrali
◦ Ascessi delle ghiandole di Cowper: noduli dolenti con cute arrossata in sedere perineale, edema sottoscrotale e possibile stenosi prossimale
Gonorrea ascendente: se non trattata, entro 15­20 giorni la secrezione si attenua e diviene più fluida, a segno di una uretrite posteriore, con sintomi di tipo vescicale (pollachiuria, stranguria). Da qui il batterio si estende alle vescichette e alla prostata, con processi infiammatori anche gravi per la fertilità ma che si osservano raramente 85
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per via dell'efficacia delle terapie. ◦ Prostatite: febbre, brividi, disuria, dolore addominale, prostata edematosa e dolente all'esplorazione rettale
◦ Epididimite: dolore ed edema scrotale monolaterale, fino all'obliterazione del vaso deferente (può condurre alla sterilità)
◦ Infezioni delle vescicole seminali
La prostatite e l'epididimite rispondono bene alle terapie, ma possono esitare in processi fibrotici che compromettono la funzionalità riproduttiva. Gonorrea urogenitale nella donna Nella donna di solito il primo segno è una endocervicite, raramente acuta, di modesta entità con scarso essudato fibroso, eritema ed edema della cervice. L'uretrite è invece molto meno frequente che nel maschio, si presenta in circa il 75%, poiché la trasmissione sessuale implica un contagio primitivo della cervice e non dei genitali esterni (il batterio viene emesso dal maschio infetto assieme allo sperma e alle secrezioni uretrali). Oltre il 50% donne infettate è asintomatico. Complicanze locali:
◦ Infezione delle ghiandole periuretrali di Skene: tumefazione locale e pus a livello dell'orifizio dei dotti
◦ Infezione delle ghiandole labiali del Bartolino: perlopiù monolaterale, con dolore durante la deambulazione, eritema ed edema delle grandi labbra; evoluzione in vulvite
Gonorrea ascendente: l'infezione può diffondere dalla cervice all'endometrio, alle tube, alle ovaie, alla cavità peritoneale fino al quadro di PID o MIP (Malattia Infiammatoria Pelvica). Nel 10­20% l'infezione evolve in salpingite, con dolore addominale, nausea, vomito, febbre, neutrofilia, aumento del rischio di infertilità, gravidanze ectopiche e dolori addominali cronici.
Gonorrea in gravidanza: le manifestazioni più frequenti sono la rottura prematura delle membrane, il parto prematuro, la corio­amniosite e l'aborto settico. Il neonato può presentare interessamento oftalmico e gonorrea orofaringea, contratte durante il passaggio nel canale del parto infetto.
Gonorrea nei bambini
Nelle bambine l'infezione è solitamente sintomatica, con interessamento della mucosa vaginale, secrezione purulenta, arrossamento, edema, disuria, prurito, dermatite irritativa delle cosce; l'infiammazione dei genitali esterni è tipica della bambina che è venuta in contatto con indumenti non sterilizzati di adulti infetti. In ogni caso bisogna indagare su eventuale abuso sessuale.
L'oftalmite gonococcica del neonato è l'infezione contratta o in utero o durante il parto; la congiuntivite purulenta compare 4­5 giorni dopo la nascita e mostra gonfiore palpebrale, ed arrossamento; può condurre ad erosioni e perforazioni corneali, glaucoma, fino alla cecità. Come prevenzione, tutti i neonati sono sottoposti alla profilassi “alla Credè”, l'instillazione negli occhi di soluzione acquosa di nitrato di argento 1%o di eritromicina in collirio.
Congiuntivite gonococcica dell'adulto
È un'infezione aggressiva ma rara, dovuta ad autoinoculazione di neisserie nella zona oculare. È spesso associata all'uretrite, da cui possono provenire i batteri. Si manifesta con lacrimazione, bruciore, fotofobia ed infine congiuntivite purulenta.
Gonorrea rettale
Si può manifestare negli uomini omosessuali e nelle donne. La localizzazione al canale ☤ Alessandro G. - 2012/2013
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anale porta ad una secrezione anale intensa, con disepitelizzazione del canale ma scarsa sintomatologia, di tipo doloroso.
Gonorrea faringea
L'infezione è il risultato di rapporti orogenitali; il bacio non è a rischio di contagio. La maggioranza dei pazienti è asintomatica, talora si manifestano faringite o voce rauca.
Infezione gonococcica disseminata
Colpisce circa tra lo 0,5 ed il 3% dei pazienti, ed il quadro clinico consiste in febbre intermittente, dolori articolari (poliartriti asimmetriche che interessano perlopiù polsi, dita, caviglie e ginocchia), tenosinoviti, pustole cutanee lenticolari circondate da un alone eritematoso. Le complicanze possono essere epatite, endocardite, meningite; sono descritti casi in associazione con infezione da HIV.
Per la diagnosi di infezione è necessaria la ricerca del gonococco in sede intracellulare (di macrofagi e PMN) nelle secrezioni, con colorazione al blu di metilene e con colorazione di Gram per dimostrarne la negatività. Dopodiché sono necessari l'isolamento colturale e l'identificazione del sierotipo con anticorpi monoclonali. È possibile una diagnosi clinica solo in caso di uretrite acuta maschile.
Per l'esame microscopico diretto le secrezioni vengono strisciate sul vetrino, fissate con il calore e colorate con blu di metilene: la neisseria si rileva all'interno dei neutrofili, colorata in blu con la classica forma a chicco di caffè; con colorazione di Gram invece i diplococchi appaiono di colore rosso; la sensibilità dell'indagine è prossima al 100% nell'uomo, minore nella donna a causa della ricchezza della flora cervicovaginale.
L'esame colturale (su agar­cioccolato in atmosfera con CO2 al 5%) si può realizzare dai tamponi uretrale, cervicale, faringeo, anale; è un'indagine necessaria soprattutto nelle forme paucisintomatiche o asintomatiche (croniche) ed è in ogni caso necessario soprattutto per testare le sensibilità antibiotiche.
È possibile un test PCR sulle urine e comunque non è disponibile alcun test sierologico.
Può essere necessaria una diagnosi differenziale con le altre uretriti; quella da Chlamydia trachomatis provoca una secrezione più scarsa (ma talora abbondante e purulenta), ed è frequente la coinfezione con quella gonococcica ma ha un diverso periodo d'incubazione.
L'obiettivo della terapia deve essere il trattamento del singolo e l'interruzione della catena del contagio, valutando e trattando anche il (o i) partner sessuale(i), e vietando i rapporti sessuali durante la terapia. L'infezione da gonococco ha scarsa tendenza alla guarigione spontanea; è frequente il ricorso all'automedicazione da parte dei soggetti infettati. Bisognerebbe preferire una terapia monodose, scegliendo l'antibiotico in modo corretto. Storicamente la gonorrea è stata un'infezione facile da curare, ma oggi si verificano episodi di antibiotico­resistenze. Il gonococco è un microrganismo versatile che si adatta facilmente alle mutate condizioni ambientali, grazie ad interazioni tra fattori genetici ed effetti selettivi ambientali, tra cui una pressione selettiva dovuta all'uso improprio degli antibiotici che si verifica attraverso due meccanismi: la scarsa capacità dell'antibiotico di raggiungere il bersaglio, a causa della ridotta permeabilità dell'involucro batterico o alla sua inattivazione precoce, ed alle modifiche del bersaglio dell'antibiotico. Le resistenze genetiche alla penicillina possono essere cromosomiche (mutazioni che si traducono nell'aumento delle concentrazioni minime inibenti) o plasmidiche (i ceppi produttori di betalattamasi).
La storia delle antibiotico­resistenze è cominciata con i sulfonamidi negli anni '40, quando in 9 anni il 30% dei ceppi divenne resistente: pertanto questi farmaci vennero rimpiazzati dalla penicillina, di cui però divenivano necessarie dosi sempre più elevate per avere efficacia, quindi negli anni '80 si passò alle tetracicline, ma 87
anch'esse furono abbandonate negli anni '80 come farmaci di prima scelta a causa della comparsa di ceppi resistenti; i fluorochinolonici (ciprofloxacina, ofloxacina, levofloxacina) furono rimossi dalle linee guida del CDC nel 2007 per altri ceppi resistenti in USA e nel mondo. Le cefalosporine orali (cefotaxime, cefixima) hanno indotto ceppi resistenti prima in Asia ed Australia, poi anche nel resto del mondo (sono stati descritti ceppi resistenti alle cefixime in Giappone ed in Europa, nel 2010­11, in infezioni faringee, e ceppi resistenti al ceftriaxone in Giappone, Francia e Spagna) e pertanto sono state abbandonate in USA dall'agosto del 2012.
Le resistenze gonococciche rappresentano quindi un nuovo problema di salute pubblica, dovuto anche al declino dell'uso degli esami colturali nei laboratori. Il gonococco al contempo è capace di sviluppare resistenze e pluriresistenze in poco tempo, per cui è sempre necessario cambiare le linee guida. Le strategie contro le antibiotico­resistenze sono di non utilizzare antibiotici con resistenze già note, associare più antibiotici ed eseguire i test of cure.
Linee Guida del CDC Atlanta (2010)
• Ceftriaxone 250 mg im; singola dose
• Cefixima 400 mg per os; singola dose
• Cefalosporina im + azitromicina per os 1 gr
• Doxiciclina 100 mg per os; 2x die per 7 gg
• Ciprofloxacina 500 mg per os; singola dose
Oggi si attua una terapia combinata con Ceftriaxone 250 mg IM 1 fl + Azitromicina cpr 1 gr oppure Ceftriaxone 250 mg IM 1 fl monodose + Doxiciclina 100 mg cpr per 7 giorni. Finora sono stati descritti pochi ceppi resistenti ad entrambi i farmaci. Si ricorre all'utilizzo della Cefixima solo nei casi in cui non si possa fare Ceftriaxone IM. URETRITE DA NEISSERIA MENINGITIDIS
L'uomo è un portatore asintomatico faringeo di N. meningitidis e la prevalenza dell'infezione è variabile nella popolazione secondo le zone geografiche (in Italia circa il 20%).
La sintomatologia clinica è sovrapponibile alla gonorrea classica, ed anche l'esame microscopico è sovrapponibile. È pertanto necessaria una diagnosi differenziale con N. gonorrheae tramite esame colturale. In ogni caso si attua la stessa terapia.
INFEZIONI GENITALI DA CHLAMYDIA
Il termine chlamydia significa “mantello”, ed è il nome di un piccolo batterio (ritenuto virus fino al 1963) intracellulare obbligato, con un ciclo biologico complesso (variazione tra corpi elementari, intracellulari, e corpi reticolari, le forme infettanti); ha come ospite esclusivamente l'umano.
Le infezioni genitali sono sostenute pricipalmente da Chlamydia trachomatis (a volte C. psittaci); di questo batterio esistono 3 sierogruppi sulla base dell'immunotipizzazione degli epitopi della MOMP (Major Outer Membrane Protein) e 19 sierotipi (o serovars) sulla base della reattività antigenica con anticorpi monoclonali specifici:
• sierogruppo B: sierotipi B/Ba, D/Da, E, L1, L2/L2a
• sierogruppo I: F, G/Ga • sierogruppo C: A, C, H, I/Ia, J, K, L3
I più comuni sierotipi sono l'E (37­60%), l'F (17­24%) ed il G (11%); il sierotipo E prevale nel mondo ed è anche il più stabile (diverge solo del 3,6% dalle sequenze di riferimento); si notano pochi cambiamenti anche tra ceppi di diverse origini geografiche.
MOMP è l'antigene più promettente come candidato per l'allestimento di un vaccino, ed i più comuni serovars al mondo (D, E, F e G) possono essere considerati per il suo sviluppo.
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Importanza della tipizzazione
• controllare l'infezione (storia naturale)
• valutare le differenze geografiche
• comprendere le complicanze
• monitorare la terapia
• monitorare il contact­tracing
• studiare vaccini
• sorveglianza dei ceppi circolanti
• management dei partner sessuali
• scoprire le vie di trasmissione
• associare i serovars con il tropismo per i diversi tessuti
• studiare la patogenicità
• studiare le infezioni miste (abbastanza frequenti)
• studi di epidemiologia molecolare
• identificare sexual networks in popolazioni ad alto rischio
• determinare se un'infezione è nuova o è persistente
• sorvegliare l'evoluzione di alcuni cloni
• utilità in caso di assalti o di abusi sessuali
I sierotipi A, B, Ba, C sono responsabili del tracoma; i sierotipi D e K sono i responsabili delle infezioni genitali, i sierotipi L1, L2, L3 causano il linfogranuloma venereo (LGV).
Quella da Chlamydia trachomatis è la più diffusa MST batterica nel mondo, con la comparsa di 90 milioni di nuovi casi all'anno (300'000 casi/anno in Europa). L'infezione si contrae attraverso rapporti sessuali vaginali, anali, orali, e la clamidia è patogena per il tratto uro­genitale, associata ad uno spettro di malattie come uretriti, salpingiti, cerviciti, proctiti e MIP, ma anche congiuntiviti e polmoniti neonatali. Può causare infezioni sia acute che croniche, con fenomeni sia di persistenza che di reinfezione. Nel 50% degli uomini e nel 70% delle donne le infezioni sono asintomatiche (si ritiene che sia diagnosticato solo il 10% delle infezioni). I soggetti a maggiore rischio sono le adolescenti donne a causa di una incompleta maturazione della cervice.
I sierotipi K e D danno una normale uretrite o vulvo­vaginite, con epidemiologia tipica, ed hanno una diffusione circa doppia dell'infezione gonococcica. La Chlamydia parassita la cellula, dove si moltiplica e provoca lisi, con conseguente infiammazione della mucosa­urogenitale:
• nell'uomo si ha una uretrite di modesta entità, che compare a volte dopo la gonorrea (uretrite post­gonococcica) per la contemporanea inoculazione dei due batteri, dei quali la clamidia ha il periodo di incubazione più lungo. È frequente una secrezione uretrale, talora si manifesta un eritema del meato urinario o dei testicoli, ed anche disuria o dolore ai testicoli. Le complicanze sono l'edema del pene, l'epididimite, la prostatite, la proctite. • nella donna si posso avere analogamente uretrite, cervicite, proctite; sono tipiche la leucorrea, disturbi della cervice e perdite ematiche intermestruali o post­coitali. Le complicanze possono essere gravi, e sono una delle prime cause di PID, arrivando fino alle gravidanze ectopiche, infertilità, peritonite pelvica. L'incubazione è di circa 2­3 settimane, ma talora si instaura uno stato di latenza (dato da un equilibrio tra le difese dell'ospite e la moltiplicazione del microrganismo) che porta ad infezioni latenti, paucisintomatiche o asintomatiche. 89
L'infezione in gravidanza aumenta il rischio di:
• Ritardo di crescita intrauterina
• Parto pretermine
• Rottura prematura delle membrane
• Endometrite postparto
Nel neonato:
• Congiuntivite da inclusi • Polmonite interstiziale (rara)
Il trattamento è in genere agevole. La terapia secondo il CDC di Atlanta (2010) consiste in doxiciclina 100 mg cpr × 2 per 7 giorni, o azitromicina 1 g in dose unica. È assolutamente vietata la penicillina.
Nelle forme polidistrettuali o complicate e nella MIP si ricorre alla doxiciclina in associazione ad ofloxacina e metronidazolo. È necessaria anche la terapia del partner, anche se asintomatico. Non vi sono dati certi sulle resistenze.
La malattia ha una clearance naturale, nel tempo, anche senza terapia; senza terapia però la Chlamidia può persistere in modo subacuto nell'epitelio del tratto genitale, anche per anni dopo il contagio. Il problema delle infezioni persistenti è facilitato dalla capacità della Chlamidia di infettare in modo asintomatico le donne; le infezioni non trattate possono tendere alla cronicizzazione e a causare le complicanze come PID, gravidanze extrauterine, sterilità tubarica.
Sindrome di Reiter
È classificata tra le malattie reumatiche; i sintomi sono: artrite infiammatoria alle grandi articolazioni, congiuntivite o uveite, uretrite, lesioni cutanee “psoriasiformi” (cheratoderma blenorragico o balanite circinata).
Colpisce i maschi giovani, soggetti geneticamente predisposti con ridotta attività dei linfociti TH1. È indicativa la positività HLA­B27.
Linfogranuloma venereo
È causato dai ceppi di Chlamydia trachomatis L1, L2, L3. È una malattia comune nei Paesi tropicali, con incubazione di 3­4 settimane. Inizia con un lesione ulverativa, rossa e non dolente, localizzata alla sede di inoculo (il solco balano­prepuziale nell'uomo, le grandi labbra o la vagina della donna), che scompare senza traccia. Dopo pochi giorni compare una adenite inguinale, inizialmente da un lato, poi bilaterale, spesso associata a linfangite. Per fenomeni di aderenza ai piani circostanti, i linfonodi si fissano in una massa fibrosa e dura, ai lati del legamento inguinale, da esso separati in due lobi. Subentra poi una fistolizzazione, con fuoriuscita di materiale purulento e brunastro. Nel maschio si possono compromettere i linfonodi iliaci e realizzare un imponente edema del pene e dello scroto; nella donna e negli omosessuali si possono compromettere i linfonodi anorettali, con formazione di un edema duro del perineo (estiomene).
La diagnosi si attua tramite esame colturale, con coltura in cellule McCoy. È possibile il ricorso alla PCR (con analisi dell'LCR o dell'urina), all'immunofluorescenza indiretta, ai test immunoenzimatici. La sierologia non è invece diagnostica.
La terapia prevede 2 grammi di tetracicline al giorno per 3 settimane. Gli esiti stenotici a carico del retto si possono trattare chirurgicamente.
VII. 4. Counseling per malattie sessualmente trasmesse
Il counseling è quella “tecnica d'intervento che consiste in una relazione flessibile tra un 90
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consulente ed un consultante, attraverso la quale il consulente aiuta il consultante a prendere decisioni e ad agire di conseguenza”, ed una “attività di sostegno capace di aiutare individualmente persone con difficoltà ad assimilare le loro conoscenze e a trasformarle in stili di vita soddisfacenti e comportamenti responsabili” (OMS).
È una tappa fondamentale dell'informazione, alleggerisce il peso della malattia facendo meglio comprendere e accettare la diagnosi e le terapie ed aiuta nelle scelte; favorisce i controlli nel tempo. Accresce la percezione del rischio e pertanto è una tappa fondamentale della prevenzione.
Counseling nelle MTS:
• Modalità di contagio peculiare
• Impatto psicologico
• Ripercussioni sulla vita relazionale
• Problematiche specifiche per alcune infezioni
• Necessità di strategie mirate di prevenzione
• Percezione e riduzione del rischio
• Limiti dell'approccio esclusivamente clinico
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VIII. TUMORI CUTANEI
Per neoplasia si intende quella proliferazione cellulare eccessiva, afinalistica e disorganizzata nel contesto del tessuto normale, che tende a persistere anche quando lo stimolo induttore, reale o presunto, viene meno. L'iperplasia invece è una proliferazione cellulare che conserva però un'architettura regolare, e solitamente regredisce quando lo stimolo induttore cessa. Benché le neoplasie cutanee siano conosciute da molti secoli, la scoperta dei primi carcinogeni chimici (come la fuliggine e l'arsenico) risale ad appena il secolo scorso. Soltanto trent'anni fa invece si cominciò ad ipotizzare un collegamento tra neoplasie e sistema immunitario. Oggi si sa che nell'induzione delle neoplasie giocano un ruolo alcuni virus del gruppo HPV, retrovirus ed alcune malattie caratterizzate da difetti dei meccanismi di riparazione del DNA (come lo xeroderma pigmentoso). L'incidenza delle varie neoplasie varia notevolmente in relazione in a sesso, età, razza, fattori genetici, fattori familiari, regione geografica, occupazione individuale.
VIII. 1. Le lesioni elementari riferibili a tumori benigni e precancerosi.
LEUCOPLASIA E LEUCOCHERATOSI Benché sia invalso l'uso del termine leucoplasia per indicare qualsiasi papula o placca biancastra delle mucose non eliminabile con il raschiamento, si dovrebbe riservare questa denominazione a forme particolari di carcinoma in situ delle mucose che presentino cheratinociti atipici agli strati inferiori dell'epitelio; nella leucocheratosi invece non ci sono atipie cellulari. In entrambi i casi il colore biancastro deriva dalla presenza anomala di cellule corneificate. I fattori di rischio più importanti sembrano essere il tabacco e l'alcool, specie se associati.
La lesione inizia con una piccola papula biancastra asintomatica, che può eventualmente progredire ad una placca o a un nodulo irregolari, con superficie verrucosa; l'eventuale comparsa di ulcerazione e sanguinamento indica la probabile trasformazione a neoplasia invasiva, la quale infiltra il derma e metastatizza assai rapidamente. La sede preferenziale è la mucosa orale, l'età di maggiore insorgenza è a partire dalla quinta decade di vita.
La diagnosi di certezza è solo istologica: lesioni biancastre della mucosa orale di altro tipo sono la leucocheratosi, il nevo bianco spongioso, la discheratosi congenita. Nel caso della leucocheratosi bisogna ricercare sempre cause di frizione cronica, come apparecchi protesici e denti malocclusi, che producono lesioni di forma lineare peculiare; dopo aver rimosso tali cause di verificare se la lesione regredisce spontaneamente. Il lichen planus può produrre lesioni orali simili, ma esse di solito sono multiple, simmetriche, reticolate o a spruzzo di calce e accompagnate da lesioni cutanee simili. La distinzione con la candidosi cronica iperplastica può essere fatta invece solo sul piano istologico. La leucoplasia orale villosa (EBV­relata), compare infine esclusivamente nei malati di AIDS. Nella terapia bisogna eliminare i fattori predisponenti induttivi ed effettuare controlli periodici prolungati. Al minimo accenno di variazione morfologica è necessaria un'escissione radicale oppure, in alternativa, la diatermocoagulazione o la crioterapia. ERITROPLASIA
L'eritroplasia presenta stretti rapporti con la leucoplasia, tanto che i quadri microscopici sono pressoché sovrapponibili. Se ne differenzia sul piano clinico per il colore rossastro e per la maggiore e più rapida evoluzione verso il carcinoma spinocellulare (la leucoplasia invece può 92
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anche regredire, seppur raramente). Esistono anche forme intermedie (leucoeritroplachie). L'eritroplasia può comparire anche sui genitali (eritroplasia di Queyrat, sul foglietto interno del prepuzio), nell'uretra e sulla congiuntiva: per queste localizzazioni sono ritenute importanti concause la scarsa igiene, le infezioni erpetiche ricorrenti ed il traumatismo cronico. Inizialmente si presenta come una papula (isolata o multipla) eritematosa e leggermente desquamante, scarsamente sintomatica (poco prurito e dolore locale), poi si trasforma in una placca irregolare. A livello dei genitali la progressione è molto lenta, mentre nel cavo orale l'evoluzione a carcinoma spinocellulare invasivo è sempre abbastanza rapida e frequente. Come per la leucoplasia, la diagnosi di certezza è solo istologica: sui genitali la lesione va differenziata dalla balanopostite plasmacellulare, che istologicamente non mostra atipie citologiche né discheratosi; a livello del cavo orale va distinta da una comune papula rossastra da irritazione cronica. Le lesioni del cavo orale vanno asportate radicalmente per via chirurgica, facendo controlli periodici per una eventuale seconda neoplasia orale o altri carcinomi del tratto digestivo; le lesioni genitali invece possono essere trattate anche con la crioterapia, la diatermocoagulazione od il 5­fluorouracile topico. CHERATOSI SOLARE (O ATTINICA, O SENILE) Questa cheratosi è un'alterazione circoscritta alla cute esposta al sole, caratterizzata sul piano clinico da cheratosi tenacemente aderente, e sul piano istologico da alterazione epidermiche che possono progredire in tempi variabili verso il carcinoma spinocellulare. Le radiazioni attiniche hanno effetto cumulativo, maggiore nei soggetti (corrispondenti al fototipo I) con pelle chiara, occhi azzurri ed efelidi. La lesione iniziale, che passa spesso inosservata, consiste in un'area teleangectasica di 1­2 mm di diametro, che diventa progressivamente cheratosica, formando una squama biancastra ben adesa, oppure un vero e proprio corno cutaneo. Molto frequentemente le lesioni sono multiple. L'evoluzione maligna deve essere sospettata quando la lesione tende a rilevarsi, e compare un alone eritematoso periferico o un'erosione superficiale: questa evenienza avviene raramente ed in alcuni casi le lesioni possono addirittura regredire, se si riduce l'esposizione al sole. Lesioni multiple con squame aderenti secche in un soggetto anziano con accentuata senescenza cutanea non pongono dubbi diagnostici; la presenza in un soggetto giovane deve invece far sospettare lo xeroderma pigmentoso. Lesioni singole al volto vanno distinte dal basalioma superficiale, che spesso, ma non sempre, presenta un orletto epiteliale.
Le lesioni uniche sono trattate con crioterapia e diatermocoagulazione; le lesioni multiple con applicazioni topiche di tretinoina e 5'­fluorouracile. I fotoprotettori (schermi e filtri) sono consigliati ai soggetti con fototipo I ed a coloro che sono sottoposti a terapia immunosoppressiva. La cheilite attinica rappresenta una forma di cheratosi solare localizzata alle labbra, soprattutto a quello inferiore. Le donne e i neri sono meno colpiti, rispettivamente per l'effetto fotoprotettore dei rossetti e della melanina. Dopo anni di esposizione al sole compaiono edema ed eritema, seguiti da xerosi e desquamazione. Successivamente compaiono placche grigiastre palpabili, ragadi, vescicole, erosioni e croste. La comparsa di un nodulo verrucoso o di una ulcerazione indica la probabile transizione a carcinoma spinocellulare (con una più precoce capacità metastatizzante). 93
Se la lesione è piccola è sufficiente una terapia con diatermocoagulazione, altrimenti è necessaria l'asportazione chirurgica.
VIII. 2. I tumori maligni dell'epidermide (non nevi e non melanoma)
CARCINOMA A CELLULE BASALI O BASOCELLULARE
È una neoplasia epiteliale maligna a lento sviluppo, che origina dalle cellule pluripotenti nello strato basale e dalle strutture epiteliali degli annessi cutanei. Non sono note lesioni precancerose e non metastatizza.
Tra i fattori predisponenti noti vi sono la razza bianca, il sesso maschile, l'età avanzata, la familiarità positiva, la foto esposizione cronica prolungata con ustioni solari in età infantile, traumi locali, radiazioni ionizzanti e l'esposizione all'arsenico. Inoltre può insorgere sopra ulcere distrofiche croniche, cicatrici e amartomi preesistenti. Le sedi più coinvolte sono il capo (70­90%), soprattutto il volto (nei suoi 2/3 superiori), il collo ed il tronco, mentre le regioni palmo­plantari sono raramente coinvolte e le mucose mai. È più spesso multifocale. L'incidenza è maggiore nei maschi (1,2­1,5 : 1).
Se ne distinguono tre tipologie cliniche:
• Superficiale o pagetoide: placca eritemato­desquamativa delimitata da un orletto epiteliale con bordi rilevati, con la parte centrale spesso desquamante e atrofica, variamente pigmentata; ha estensione radiale. Solitamente si localizza al tronco, è raro su viso e collo.
• Nodulare (60%): si presenta come papula o nodulo traslucido di colore rosa­rosso o bruno irregolare, circoscritto e rilevato; la superficie può essere liscia, squamosa o presentare un'ulcerazione centrale; la melanina può essere assente, presente in tracce oppure abbondante (nella varietà pigmentata), mentre se scarsa possono essere visibili le caratteristiche teleangectasie. I bordi sono rosei, arrotondati, detti “a filo di perle”. È relativamente non aggressivo. Può anche presentarsi come ulcerativo d'emblée (forma ulcus rodens), oppure pigmentato (7%), simulando un nevo od un melanoma.
• Sclerodermiforme o morfeiforme: è la forma più aggressiva, compare quasi solo nel volto ed ha l'aspetto di una placca lievemente rilevata oppure depressa, di colore biancastro o giallo avorio, a contorni poco distinguibili; non è quasi mai ulcerato e il suo riconoscimento clinico non è agevole come per le altre forme.
Istologicamente presenta una proliferazione di cellule simili a quelle dello strato basale dell'epidermide, con grandi nuclei ovali ed uniformi, scarso citoplasma, stroma connettivale ricco di fibroblasti: il basalioma origina infatti dalle cellule pluripotenti delle strutture epiteliali degli annessi cutanei, ed è costituito da aggregati di cellule basaliodi irregolarmente sparse nel derma. All'interfaccia tra neoplasia e derma le cellule neoplastiche si dispongono a palizzata (durante i processi di fissazione si producono delle spaccature, clefts, a questo livello che costituiscono un elemento di diagnosi). Esistono quattro possibili tipi istologici (solido, cistico, adenoide, cheratosico) ma non c'è un netto confine tra questi e nemmeno corrispondenza tra pattern microscopico ed andamento clinico. La stretta dipendenza tra la componente epiteliale neoplastica vera e propria e lo stroma rende conto della rarità delle metastasi.
Il decorso clinico è sempre alquanto lento e progressivo, tranne che per il tipo ulcerativo, che può interessare altri organi o apparati (occhio, ossa, cervello); soltanto eccezionalmente si hanno metastasi, prima linfatiche poi ematogene (0,1% dei casi; più frequenti tra i pazienti 94
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HIV+).
La presenza di neoplasie cutanee multiple non­melanoma è un fattore di rischio per il melanoma, ed in caso di comparsa di un carcinoma a cellule basali esiste un 40% di possibilità di soffrire di un ulteriore carcinoma a cellule basali o di una differente neoplasia cutanea entro 5 anni.
Il basalioma presenta un elevato rischio di recidiva, soprattutto per le forme sclerodermiformi:
• Naso: 30% di tutte le recidive
• Palpebre, fronte, orecchie, cuoio capelluto
• Area H (aree di fusione embriogenetica costituite dal terzo medio del volto, dal canto interno e dalle pieghe naso­labiali): 18% di recidiva a 5 anni • Regioni pre­ e retroauricolari
Il trattamento viene scelto considerando le caratteristiche istologiche del tumore, le dimensioni e la sede anatomica della lesione, la storia clinica dei trattamenti precedenti, età, fototipo e condizioni di salute generali del paziente ed infine anche il risultato estetico del trattamento e le possibili complicanze.
• Procedure ablative
◦ Escissione chirurgica: la riparazione avviene per seconda intenzione, per sutura diretta o con innesti e lembi cutanei. È la terapia di elezione ed è indicata per tutti i carcinomi a cellule basali primitivi e per le lesioni recidivanti. L'escissione si pratica a 3­5 mm dal bordo visibile; è necessario uno studio istologico dei bordi ed un adeguato campionamento.
◦ Chirurgia micrografica di Mohs: tecnica chirurgica escissionale che offre un controllo al 100% dei margini ed una ricostruzione grafica tridimensionale della massa tumorale. Consta in tagli orizzontali dalla profondità verso la superficie epidermica. La radicalità delle lesioni maligne si ottiene osservando tutti i margini del pezzo asportato chirurgicamente: questa garanzia non viene infatti assicurata dalle metodiche di routine istologiche che prevedono solo sezioni verticali della cute.
◦ Curettage ed elettrocoagulazione: sono tecniche abbandonate, efficaci nel trattamento di lesioni superficiali o nodulari, a margini chiaramente definiti. Non sono raccomandati per i basaliomi morfeiformi o ricorrenti.
◦ Crioterapia: cicli di congelamento tissutale che producono necrosi selettiva. Adatta per basaliomi di piccola dimensione in sedi di difficile approccio chirurgico (es palpebre, contorno delle narici); può risultare dolorosa, specie se viene effettuato un doppio ciclo congelamento­scongelamento. Sono possibili la comparsa temporanea di flittene ed ipopigmentazione nell'area trattata.
• Terapia fotodinamica: somministrazione topica di una sostanza fotosensibilizzante, come l'acido aminolevulinico (ALA) od il suo estere metilico (MAL), e successiva esposizione dell'area ad una sorgente luminosa ad alta lunghezza d'onda (635 nm) per circa 40 minuti. Generalmente prima dell'applicazione del fotosensibilizzante viene effettuato un curettage superficiale della lesione. Le percentuali di risposta sono maggiori del 90%, ma sono anche in relazione a dimensioni/spessore del tumore. È associata a insorgenza di dolore/bruciore ed i tempi di applicazione sono lunghi.
• Trattamento topico con Imiquimod
• Radioterapia: 680 cGy per 2 o 3 volte a settimana fino al raggiungimento di una dose totale di 34 Gy. È più idonea per lesioni a rapida crescita, ed è attualmente la terapia 95
meno utilizzata.
CARCINOMA A CELLULE SQUAMOSE O SQUAMOCELLULARE
È una neoplasia maligna variamente cheratinizzante, derivata dai cheratinociti dell'epidermide, ed è in grado di metastatizzare. La sua incidenza è circa 4 volte inferiore a quella del basalioma, 8 volte superiore a quella del melanoma, ed è forse sottostimata.
Può presentarsi in forma endofitica, ulcerata, infiltrante il derma, con una cheratinizzazione più o meno evidente.
Esistono tre categorie di fattori favorenti, che possono agire da sole o in sinergia:
• ambientali: sole, petrolio e derivati, insetticidi, raggi UVA, radiazioni ionizzanti, arsenico • individuali: genodermatosi (come lo xeroderma pigmentoso), albinismo, età, sesso, fototipo, abitudine al tabacco, terapie immunosoppressive • patologie cutanee preesistenti: ulcere croniche, radiodermite cronica, lesioni granulomatose, cicatrici, LED, lichen scleroatrofico Sulla cute le sedi più frequenti sono le zone di fotoesposizione, dove il carcinoma è preceduto spesso da una cheratosi attinica. In fase precoce si presenta come papula o nodulo di colore rosa­rosso con margini irregolari e indefiniti, poi progredisce a placca o grosso nodulo, con superficie cheratosica, crostosa od ulcerata. Le forme che insorgono in zone non fotoesposte compaiono all'inizio come noduli cheratosici che poi si espandono e si ulcerano; la cheratosi attinica è quindi senza dubbio la lesione precancerosa d'eccellenza. Sulle mucose e sulle zone di passaggio (bocca, ano e genitali) la neoplasia è rapidamente invasiva e metastatizzante, e nelle fasi avanzate appare come un nodulo od una placca di consistenza duro­lignea; si ipotizza che alcuni sierotipi di Papillomavirus trasmissibili sessualmente possano indurre la neoplasia in queste sedi.
A livello dei genitali può insorgere de novo oppure essere preceduta da eritroplasia (di Queyrat) o da un condiloma acuminato gigante (tumore di Buscke­Lowenstein). Al livello delle labbra e della mucosa orale può essere preceduto da una leucoplasia o da una eritroplasia, poi assume un aspetto vegetante. Variante particolare è l'epitelioma cuniculatum, che si presenta in regione plantare come un'area cheratosica ulcerata in più punti dalla quale fuoriescono alla spremitura le perle cornee maleodoranti. L'incidenza delle metastasi è bassa per le forme cutanee ma molto elevata per le forme mucose o delle aree di passaggio.
I tumori ad alto rischio sono caratterizzati da:
• Basso grado di differenziazione
T1 < 2 cm di estensione orizzontale
• Tumori desmoplastici (spindle­cell)
T2 2 ­ 5 cm di estensione orizzontale
• Infiltrazione perineurale
T3 > 5 cm di estensione orizzontale
• Spessore > 6 mm o invasione del sottocute
• Diffusione orizzontale > 2 cm
T4 Infiltrazione di muscolo, cartilagine o osso
• Carcinoma di Bowen
N0 Nessuna metastasi ai linfonodi regionali
• Sede: labbra, orecchie, naso, area ano­genitale
N1 Metastasi ai linfonodi regionali
• Tumori recidivi
M1 Metastasi a distanza
• Soggetti trapiantati (immunosoppressione)
• Portatori di leucemia linfatica
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Nel sospetto clinico di un carcinoma a cellule squamose la biopsia dovrebbe essere di tipo escissionale; se la sede anatomica e l'estensione della neoplasia non lo consentono, si esegue una biopsia incisionale in un'area rappresentativa della neoformazione evitando le zone eccessivamente necrotiche.
Al microscopio la neoplasia è costituita da ammassi irregolari di cheratinociti, proliferanti nel derma e nell'ipoderma, con varia tendenza alla cheratinizzazione ed alla formazione di perle cornee (a seconda del grado di differenziazione); la neoplasia è quasi sempre endofitica e ulcerata, a parte la variante di carcinoma verrucoso, esofitico e scarsamente infiltrante il derma. Quando la neoplasia è molto indifferenziata è necessario ricorrere agli anticorpi anticheratina per differenziarla da un adenocarcinoma.
Si distinguono tre tipologie:
• in situ
• microinvasivo
• invasivo
Per la terapia valgono le stesse considerazioni fatte per il basalioma, tuttavia i casi localizzati alle mucose o aree di passaggio sono di competenza del chirurgo oncologico, che deve effettuare anche la bonifica dei linfonodi regionali. Nei casi non operabili si ricorre alla brachiterapia con radio e cobalto radioattivi.
VIII. 3. Nevi e melanoma
I NEVI
Nevo è un termine generico che deriva dal latino nævus (impronta materna) e viene usato in dermatologia per indicare diverse entità cliniche isolate o multiple. Sinonimi sono amartoma (dal greco ηαμαρτια, lesione dovuta ad abnorme commistione o accumulo di tessuti normalmente presenti, a crescita vincolata a quella del soggetto portatore, quindi non autonoma) e malformazione, termine usato per indicare una qualunque lesione disembriopatica. Anche gli angiomi, che sono di fatto neoplasie benigne a risoluzione spontanea, sono da molti classificati come lesioni neviche (nevi vascolari). I nevi possono essere segmentari, se hanno una distribuzione dermatomerica, oppure sistematizzati, se hanno una distribuzione tronculare (cioè corrispondente al territorio di innervazione di un nervo cranico, spinale o periferico). Il più delle volte sono causati da anomalie genetiche, ma sono importanti anche fattori ambientali come le infezioni intrauterine, le radiazioni ionizzanti ed i farmaci assunti in gravidanza. Classificazione: • nevi melanocitari • nevi epidermici • nevi dermici e sottocutanei Nevi melanocitari Derivano dalla proliferazione dei melanociti, come la loro controparte maligna, i melanomi. L'aspetto clinico è estremamente eterogeneo, tant'è che alcuni sono facilmente riconoscibili anche all'E.O., altri necessitano dell'esame istologico. Data la loro notevole frequenza è importante saper fare la diagnosi differenziale con il melanoma in fase iniziale, poiché in quello stadio è quasi sempre curabile. 97
La storia naturale di un nevo è poco conosciuta, comunque si sa che crescono nelle prime 3 decadi di vita del soggetto, rimangono stabili, ed infine regrediscono nell'anziano. Per ragioni non note, nel contesto dei nevi o nelle aree adiacenti possono avvenire fenomeni infiammatori aspecifici (follicolite dell'unità pilo­sebacea, cisti follicolare) in grado di modificarne la morfologia in maniera transitoria o definitiva; i nevi peduncolati sono soggetti a traumatismi che possono produrre eritema, sanguinamento e ulcerazioni. Data la loro frequenza, i nevi possono trovarsi in contiguità diretta con altre patologie cutanee che ne mimano l'aspetto, come la cheratosi seborroica e il carcinoma basocellulare. •
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Lentiggine o lentigo simplex
Piccola macula pigmentata piana, congenita o acquisita, dovuta ad aumentato numero di melanociti in singole unità (non a gruppi) nello strato basale dell'epidermide. Possono essere isolate o diffuse (lentigginosi). Sono presenti pressoché in ogni area cutanea, hanno un diametro di 1­3 mm, raramente superiore a 6 mm, forma ovalare e bordi netti. Molto di rado si presentano raggruppate, ed ancor meno frequentemente fanno parte di un quadro di lentigginosi (rare sindromi autosomiche dominanti caratterizzate anche da anomalie somatiche e neoplasie). Sono causate da un'iperplasia epidermica con proliferazione dei melanociti, in unità isolate, nello strato basale, con aumento di pigmento (feomelanina). Diagnosi differenziale va fatta soprattutto con le efelidi (macule pigmentate diffuse soprattutto al dorso, al viso, ed in altre sedi fotoesposte negli individui di carnagione chiara), più chiare, che scuriscono ed aumentano di numero con l'esposizione al sole.
Nevo melanocitico classico (o acquisito piano) La lesione pigmentata in assoluto più comune nei soggetti di razza caucasica, soprattutto sul tronco e sulla radice degli arti. Ha un profilo piano ed è leggermente rilevata al centro; Se ne distinguono 2 varianti:
◦ comune: simmetrico, diametro < 6 mm ◦ atipico (prima detto displastico): asimmetrico, distribuzione spesso irregolare del pigmento, diametro > 6 mm
Questo nevo compare nell'adolescenza o più tardi, e può essere singolo, anche se la maggioranza dei caucasici in età adulta ne ha da 15 a 30 elementi. Istologicamente presenta una proliferazione melanocitaria a nidi isolati, nel contesto dell'epidermide, del derma o di entrambi. Nel derma sono spesso evidenti teleangectasie, fibrosi concentrica perilamellare, infiltrato linfocitario cronico ed un grado variabile di atipica citologica.
Se è piccolo, va distinto da una lentiggine o da un nevo di Reed in fase iniziale: quest'ultimo in pochi mesi diventa papuloso, di colore nero omogeneo e con limiti netti. La macula melanotica del labbro o dei genitali ha invece bordi irregolari e disposizione omogenea del colore. Infine il nevo melanocitico congenito è generalmente più scuro, globalmente più rilevato, senza sfumatura periferica del colore e con eventuali peli terminali di maggior spessore. Un melanoma maculoso è talvolta impossibile da distinguere dalla variante atipica del nevo classico: occorre l'esame istologico, attraverso cui si ricercano segni di maturazione cellulare in senso epidermico­dermico. Nevi puramente dermici non sono quasi mai maligni. La terapia mediante biopsia escissionale può essere fatta per motivi estetici oppure se sussiste qualche dubbio sulla sua natura che non può essere risolto mediante tecniche ☤ Alessandro G. - 2012/2013
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incruente come la transilluminazione della cute. È consigliabile non adottare la crio­ o laserterapia, bensì l'escissione chirurgica, poiché in questo modo il pezzo è preservato per l'esame microscopico.
Nevo melanocitico congenito Lesione di colore quasi sempre bruno, aspetto polimorfo, presente alla nascita o con qualche settimana/mese di ritardo. L'eziologia è sconosciuta, ma fattori genetici multipli, in parte con ereditarietà familiare, rivestono un ruolo sicuro.
In base alla dimensione si distinguono in: ◦ piccoli: < 1,5 cm (1­2% dei neonati). Talvolta sono presenti grossi peli terminali ◦ medi: tra 1,5 e 20 cm ◦ grandi: > 20 cm (0,02% dei neonati) I nevi medi o grandi sono più facilmente riconoscibili e si presentano come chiazze di forma bizzarra, estese ad aree corporee anche molto vaste; possono esserci lesioni satelliti nell'immediata vicinanza; la superficie cutanea è mammellata o papillata o verrucosa e può presentare spessi peli terminali anche in età precoce. Il colore è quasi sempre scuro, perlopiù brunastro con sfumature nerastre. Nella fase di regressione senile tende a schiarirsi. La localizzazione a testa e corpo si accompagna a melanocitosi leptomeningea ed a disturbi neurologici; quella della regione lombo­sacrale si può associare a spina bifida e mielomeningocele. I nevi melanocitici congeniti, specialmente le forme medio­grandi, sono più proni degli altri tipi di nevi a trasformarsi in melanomi. Istologicamente presenta una proliferazione, a nidi, di melanociti di forma variabile, situati entro l'epidermide o il derma o l'ipoderma; nei nevi superficiali i melanociti sono disposti in una banda dermica superiore. Sono interessate anche le strutture annessiali ed è aumentato il numero dei peli terminali. L'eliminazione delle forme grandi rappresenta una misura preventiva valida contro l'insorgenza di melanoma, ma solo se l'escissione è radicale. I risultati estetici sono buoni con l'uso degli espansori cutanei a palloncino. Nevi di Spitz e di Reed Sono due lesioni melanocitarie acquisite, quasi sempre a rapida crescita. Il nevo di Spitz insorge per lo più nell'infanzia, ha un colorito rosa­rosso, prevale sul volto, e può presentarsi in forme multiple raggruppate e unilaterali; il nevo di Reed insorge perlopiù in soggetti di sesso femminile di età compresa tra 20 e 30 anni, ha un colorito nerastro e prevale agli arti inferiori. Comuni sono le lesioni a carattere intermedio; entrambe le forme hanno caratteristiche comuni, come le piccole dimensioni (< 1 cm), la forma papulosa rotondeggiante, talvolta nodulare, e la superficie liscia cheratosica o verrucosa. La variante combinata con altri tipi di nevi è possibile. Non sono invece riportati in letteratura casi di melanoma associato a questi nevi, anche se sono descritte forme di nevi di Spitz con localizzazioni linfonodali regionali, chiamate “metastasi benigne”. L'evoluzione naturale è la regressione, parziale o totale, che avviene nell'arco di anni.
Sono caratterizzati da una proliferazione dei melanociti, di forma epiteliodea o fusata, nell'epidermide e/o nel derma, con nidi disposti verticalmente, iperplasia epidermica, telangectasia e variabile presenza di melanina. Il nevo di Spitz va distinto dall'emangioma piccolo, che ha minor consistenza e scompare 99
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quasi del tutto con la vitropressione; dal granuloma piogenico, che compare in pochi giorni dopo un trauma e ha facilità al sanguinamento; dal mastocitoma solitario. Il nevo di Reed va differenziato dal ben più pericoloso melanoma maculoso, asimmetrico, con bordi indentati e discromico, e dal nevo melanocitico acquisito piano. Non si attuano terapie in caso di diagnosi certa, altrimenti si ricorre alla biopsia escissionale ed all'esame istopatologico.
Nevo blu Detto anche neuronevo blu, o nevo blucellulare, è una lesione pigmentata di colore blu o blu­nero, più spesso acquisita, prevalentemente acroposta (oltre la metà si trovano sul dorso delle mani e dei piedi). Alte possibili sedi sono bocca, sclere, cervice uterina, prostata e linfonodi.
Le dimensioni sono piccole (< 1 cm). Macroscopicamente hanno forma di papula, placca o nodulo, con superficie liscia o lievemente desquamante. Talvolta è presente in forme raggruppate che insorgono su cute sana; rarissime sono invece le forme multiple complesse associati ad altre anomalie. È altresì possibile che il nevo si combini con un nevo melanocitico. Il nevo blu maligno è invece un melanoma insorto su un nevo blu, e dà metastasi linfonodali: questa evenienza è rara, infatti perlopiù il nevo blu va incontro a regressione dopo un lungo periodo di fase stabile. Diagnosi differenziale va fatta con il nevo di Reed, che ha la stessa sfumatura di colore ma compare rapidamente sugli arti inferiori di giovani donne, e soprattutto con il melanoma papuloso, che però ha le usuali caratteristiche di malignità (asimmetria, discromia, in dentatura dei bordi): se alcune di queste sono presenti, bisogna optare sempre per l'escissione e la biopsia.
Nevo di Miescher Nevo di Unna Macchia mongolica Nevo di Ota e di Ito IL MELANOMA
Il melanoma è una neoplasia maligna ad eziologia multifattoriale, legata all'interazione di fattori genetici, ambientali ed individuali.
Era considerato un tumore raro in passato, (1­2/100'000), ma oggi non è raro trovare tassi di incidenza di 10­30/100'000; l'incidenza è aumentata negli ultimi 50 anni nella popolazione caucasica più di ogni altro tipo di neoplasia, si duplica ogni 10­20 anni, e quella più alta è quella australiana, che tocca i 50 casi per 100'000 abitanti.
La prevalenza aumenta nei soggetti bianchi, con uguale incidenza fra i due sessi. Il picco di età si ha a 40 ­ 50 anni. La mortalità per melanoma nella popolazione caucasica è cresciuta negli ultimi decenni più velocemente di quella legata a tutti gli altri tipi di tumore esclusi i linfomi; tuttavia l'incremento di mortalità è molto inferiore a quello dell'incidenza.
Per quanto riguarda i fattori ambientali predisponenti, quello più significativo è l'esposizione ai raggi solari: il maggior fattore di rischio sembrano, in particolare, le ustioni solari durante 100
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l'infanzia. L'esatto rapporto tra esposizione ai raggi solari e melanoma non è perfettamente noto, e dipende dall'interazione tra sole e tipo di pelle (fototipo); un'esposizione intermittente sembra essere un fattore di rischio più importante della dose cumulativa di raggi ultravioletti a cui si è esposti durante la vita. Il regime raccomandato di protezione consiste nell'uso di indumenti protettivi e di filtri solari ad alto fattore di protezione, e nell'evitare il sole nelle ore centrali della giornata. Studi recenti hanno confermato il rischio delle fonti artificiali UV sullo sviluppo di tutti i cancri cutanei, e sono stati classificate come cancerogeni di II livello, proibite sotto i 18 anni e alle donne in gravidanza. I fattori di rischio individuali sono fattori genetici: fototipo a pelle chiara, con occhi e capelli chiari, familiarità, elevato numero di nevi (> 50), specie se congeniti; i pazienti con una storia familiare di melanoma hanno un rischio 5 ­ 12 volte maggiore. Sono stati osservate mutazioni geniche simili (in CDKN2A) nel 40% delle famiglie con melanoma testate, ma non esistono markers genetici certi per il rischio di contrarre un melanoma. B­RAFv600E, NRAS, KIT sono tutti coinvolti nei percorsi di attivazione del ciclo cellulare e sono comunemente mutati nei melanomi; più di una mutazione è probabilmente necessaria per trasformare i melanociti in melanoma. Trattamenti mutazione­specifici come la duplice terapia con imatinib e con farmaci inibitori della tirosina­kinasi di due componenti della via delle MAPK possono essere molto efficaci.
Mutazioni di KIT si trovano in melanomi acrali e mucosali e nei melanomi della pelle danneggiata cronicamente dal sole: il gene KIT codifica per un recettore di membrana tirosina­kinasi che stimola le vie della proteina kinasi mitogeno­attivata (MAPK) e della fosfatidilinositolo 3'­kinasi (PI3K). Questo gene è da tempo noto nell'essere coinvolto nello sviluppo dei melanociti, a causa della mancanza di migrazione e della scomparsa dei melanoblasti KIT­carenti. Mutazioni di N­RAS sono state trovate nel 15­22% dei melanomi, ed un tempo erano considerate le più comuni mutazioni nel melanoma; la maggior parte delle mutazioni di N­RAS si verificano sul codone 61. Modelli murini hanno evidenziato la necessità della perdita concomitante di p16, un gene oncosoppressore, per sviluppare melanoma; gli studi hanno anche dimostrato che le mutazioni di N­RAS sono più cancerogene di quelle di K­RAS; le mutazioni di N­RAS non sono solitamente presenti in cellule con mutazioni di B­RAF, e sono considerate mutualmente esclusive.
Markers neoplastici: virtualmente tutti i melanomi, di qualunque tipo, esprimono la proteina S­100. L'anticorpo monoclonale HMB­45 riconosce spesso melanociti neoplastici fortemente attivi. Altro marker è la vimentina.
Le sedi più frequenti sono la cute, degli arti inferiori nelle femmine e del tronco nei maschi, e le mucose, ma anche organi quali l'occhio, l'orecchio interno, l'apparato ungueale, le meningi, ecc. Quando si cerca un melanoma in un soggetto a rischio, è bene osservare tutte le aree della cute, anche quelle che il soggetto non visita da solo (spazio fra le dita, pianta del piede, parte posteriore del padiglione auricolare...) Il melanoma può svilupparsi ex novo oppure insorgere su un nevo preesistente. Del melanoma è possibile distinguere vari stadi clinici di sviluppo, che si associano ad un aspetto morfologico differente, ed anche alcune diverse famiglie istologiche. Il comportamento della neoplasia è influenzato sia dall'aspetto clinico che da quello istologico, e quindi entrambi vanno considerati. Durante una visita, un melanoma può apparire all'ispezione di tre tipologie: melanoma piano 101
non palpabile, melanoma piano palpabile, melanoma cupoliforme. Esiste poi una forma da sovrapposizione che prende il nome di melanoma piano­cupoliforme.
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Melanomi piani Sia la forma palpabile che non palpabile si presentano come lesioni irregolari, di dimensioni in genere maggiori di 6 mm, che si accrescono dal centro alla periferia (crescita orizzontale). Di solito la forma palpabile e quella non palpabile si susseguono durante l'evoluzione clinica della malattia. Rappresentano l'80% dei casi, e per questa forma può essere di aiuto la regola mnemonica ABCDE:
A. Asimmetria rispetto ad una linea centrale
B. Bordi irregolari, a carta geografica C. Colore nero o policromo, con tonalità di marrone, rosso o bluastro D. Dimensioni ≥ 6 mm E. Evoluzione (con morfologia in cambiamento), Età (>15 anni), Elevazione ◦ Forma piana non palpabile: piccola al tronco e agli arti, può essere molto grande, in chiazza, al viso e nelle mucose. In questa fase ha una aggressività molto modesta, e la guarigione dopo l'asportazione è la regola. Delle ABCDE, sono spesso presenti A e B, e a volte anche il Colore scuro o nerastro, irregolare. È possibile confonderla con altre lesioni benigne, e la diagnosi differenziale si fa osservando il colore (più intenso rispetto agli altri nevi dello stesso soggetto), l'età di insorgenza (più tardi rispetto agli altri nevi), il raddoppio delle dimensioni in 6­8 mesi. ◦ Forma piana palpabile: lievemente rilevata sulla cute, può essere piccola inferiore al cm (“papuloso”) o molto più grande (“in placca”). Le caratteristiche ABCDE sono molto accentuate: la forma è bizzarra, i bordi molto irregolari, il colore disomogeneo, ecc. Quando un nevo ha il pelo è differenziato, se invece lo perde è dedifferenziato, e può essere un segno di malignità; la presenza di aree grigie, cheratinizzate, sono segno di quasi sicura malignità: questo è un processo di regressione spontanea, ed al centro della lesione compaiono aree ipotrofiche grigiastre, o anche del colore della cute normale, che danno alle lesioni un aspetto a chiazza o ad anello. Talvolta la regressione può essere completa, e il melanoma si evidenzierà allora solo per le metastasi linfonodali. Melanoma piano­cupoliforme Insorgenza di un elemento papuloso o nodulare nel contesto di un melanoma piano. È un evento molto frequente che rappresenta un aspetto evolutivo della malattia. Tutte le varianti cliniche descritte possono essere circondate da satelliti, ossia lesioni tumorali nere o acromiche, che sono metastasi locali a propagazione linfatica. Melanoma cupoliforme È una forma meno frequente (18%), compare sulla cute sana e si accresce in altezza. È una papula od un nodulo, di forma regolare emisferica, liscia, di colore bruno o nerastro. È carnoso, spesso sanguinante o eroso, ricoperto da croste o squame ematiche. Il confine con la cute circostante è netto. Il pigmento può essere diminuito o anche del tutto assente (melanoma acromico), ed alla base della lesione si può vedere una sfumatura nerastra di pigmento residuo (“fuga del pigmento”, lesione molto importante e patognomonica). Fasi di crescita
◦ radiale o orizzontale o in situ o intraepidermica
◦ verticale o invasione dermica
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Classificazione istologica secondo Clark­McGovern
• Melanoma non invasivo (in situ): è caratterizzato dalla proliferazione soltanto intraepidermica di melanociti atipici. Si può considerare anche una lesione precancerosa, in quanto privo di attività metastatica. Presentano sempre la morfologia clinica del melanoma piano. Ne esistono diversi tipi:
◦ Lentigo maligna di Hutchinson­Dubreuilh: predilige le sedi fotoesposte ed è caratterizzata dalla proliferazione continua di melanociti nello strato basale della pelle, dove possono aggregarsi in piccoli nidi neoplastici.
◦ Melanoma non invasivo acrale­lentiginoso: si localizza sulle superfici palmari e plantari, nel letto ungueale e nelle mucose, con grandi melanociti dendridici, peculiari, diffusi nello strato basale.
• Melanoma invasivo
◦ A diffusione superficiale (Superficial spreading melanoma): forma più frequente (70%), si trova in ogni sede cutanea e mucosa; la componente intraepidermica circostante è di tipo melanosi premaligna (con melanociti atipici, di grandi dimensioni all'interno dell'epidermide)
◦ Lentigo maligna: nettamente più frequente nelle aree fotoesposte, specie nel dorso delle mani e nel volto, insorge oltre i 60 anni ed evolve molto lentamente. La componente adiacente al tumore è di tipo lentigo maligna non invasiva; si presenta come chiazza o placca colore bruno disomogenee.
◦ Melanoma acrale lentiginoso (Acral lentiginous melanoma): più frequente nei neri e negli occidentali, non si associa in genere a nevi preesistenti, ed insorge nelle sedi palmo­plantari, ungueali e mucose. Ha un pattern lentiginoso e la componente perilesionale è di tipo non invasivo acrale­lentiginoso; la lesione è unica, piana con bordi sfumati, o cupoliforme, con colorito nerastro.
◦ Melanoma nodulare: fin dall'inizio evolve verso l'alto (verticale), e insorge de novo su cute sana senza evidenza di una fase preinvasiva. A differenza degli altri tipi, i melanociti infiltrano direttamente il derma, e quindi in pratica non esiste una fase in situ; è sempre cupoliforme. È spesso aggressivo, di prognosi peggiore, e viene diagnosticato tardi. La caratteristica è di non avere una componente adiacente la parte invasiva del tumore. Esistono poi forme più rare (verrucoso, polipoide, desmoplastico, mixoide, multiplo), e quando non ci sono caratteri istologici precisi si parla di melanoma inclassificabile. La diagnosi di certezza del melanoma è solo quella istologica, ma può basarsi anche sul sospetto clinico e sulla dermoscopia, che permette un miglioramento della visione della cute fino a 10 volte, dopo l'applicazione di olio diafanizzante che la rende trasparente, ed ha contribuito all'identificazione di criteri morfologici abbastanza complessi che hanno decisamente aumentato l'accuratezza diagnostica, permettendo di dirimere i casi clinici dubbi.
Analisi istologica: asportazione in toto della lesione, con 3 mm di cute sana (biopsia escissionale). Dopo la diagnosi, si procede ad un intervento più radicale entro 30 giorni. La biopsia incisionale, ossia l'asportazione di una parte soltanto di lesione, non deve essere eseguita, a meno che non sia possibile asportare tutta la lesione per motivi funzionali. La prevenzione del melanoma è di tipo secondario, con l'attuazione della diagnosi precoce.
Lo staging si attua tramite la clinica, RX del torace ed ecografia epatica. Esami come la TC addominale e cerebrale vengono usati solo in presenza di un preciso sospetto diagnostico. Per i 103
linfonodi, si usa la agobiopsia con ago sottile. La classificazione più usata è quella della AJCC, che divide il melanoma in sette stadi in base a spessore, livello, N e M della lesione. La classificazione più semplice è a tre stadi: 1. Melanoma senza metastasi regionali 2. Melanoma con metastasi regionali ma non a distanza 3. Melanoma con metastasi a distanza
Il fatto che lo staging sia basato sulle metastasi dà un'idea dell'aggressività della neoplasia. Le fasi cliniche evolutive si potrebbero schematizzare in:
1. Tumore primitivo
2. Accrescimento irregolare
3. Ulcerazione
4. Metastasi satelliti (entro 5 cm di distanza dalla lesione primitiva) 5. Metastasi in transit (fra la lesione primitiva e la prima stazione linfonodale) 6. Metastasi ai linfonodi regionali
7. Metastasi a distanza
La sopravvivenza è correlata alla profondità di invasione. Esistono tre criteri prognostici importanti: 1. Spessore secondo Breslow: misurando i mm lo spessore massimo della lesione dalla superficie fino a punto più profondo dell'invasione. ◦ > 0,75 mm → sopravvivenza: 88% a 5 anni ◦ 0,76 ­ 1,5 mm → 74% ◦ 1,51 ­ 3 mm → 60% ◦ > 3 mm → 30% L'asportazione di melanomi sottili con spessore di Breslow minore di 1 mm dà un'aspettativa di vita libera da tumore del 90% a 10 anni
2. Livello di invasione secondo Clark: cinque livelli di invasione anatomica della cute:
I. Intraepidermico (in situ) → sopravvivenza: 100% a 5 anni II. Invasione incompleta del derma papillare→ 80­90% III. Invasione completa del derma papillare → 65­75%
IV. Invasione del derma reticolare → 50­55%
V. Invasione dell'ipoderma → 30­38%
3. Presenza di ulcerazioni: correlata con una cattiva prognosi e rapido sviluppo della massa tumorale. Ulteriori fattori sono:
• Regressione
• Entità dell'infiltrato infiammatorio
• Presenza di invasione linfatica o vascolare: lo stato del primo linfonodo della catena (linfonodo sentinella) è espressivo della condizione dell'intera stazione linfonodale. Se è negativo è estremamente probabile (98%) che anche gli altri lo siano.
• Mitosi
Attualmente la presenza di ulcerazioni ed il numero di mitosi sono i criteri istopatologici più utilizzati.
Gestione dei nevi atipici e del melanoma
Variazioni di forma e colore possono anche avere cause benigne. Segni di allarme per la 104
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variazione osservata su un nevo sono: • Modificazione del colore • Improvvisa comparsa di una lesione rilevata • Rapido aumento di dimensione o spessore • Erosione o sanguinamento spontaneo • Formazione di croste • Segni di flogosi • Prurito o dolore • Variazioni cliniche in rapporto alla sede ◦ Volto: specie negli anziani, il melanoma si sviluppa in forma piana ed evolve con grande lentezza, prediligendo il volto. Mentre però rimane stabile nella sua aggressività, finisce per estendersi di molti centimetri ed assume un aspetto a placca, con margini a carta geografica. Tale condizione è equivalente alla lentigo maligna. ◦ Regioni palmo­plantari: un melanoma piano può avere un colorito sfumato e margini poco evidenti, con una modesta atipia. Questo può portare alla sottovalutazione della neoplasia. ◦ Mucose: lesione unica, piana o a cupola, caratterizzata da precoce ulcerazione ◦ Sede sottoungueale: può essere confuso con un versamento emorragico, ma non viene eliminato con la crescita della lamina ungueale, anzi tende ad accrescersi. Molto raramente può assumenre un aspetto verrucoso. Dermatoscopia e mappa dei nevi
atipici con follow-up periodico
Nevi sospetti
Melanoma spessore < 1 mm
Asportazione
diagnostica
Melanoma spessore > 1 mm
Allargamento exeresi
a 1 - 2 cm fino alla
fascia + SND
Allargamento exeresi
a 1 cm fino alla fascia
Svuotamento
linfonodale
+
SND
-
Follow up
regolare
PCR +
Eventuale terapia
complementare
Follow up
stretto
Terapia Negli stadi I e II la terapia chirurgica è l'elezione, nello stadio III bisogna ricorrere alla terapia sistemica, con significato, purtroppo, solo palliativo. La terapia chirurgica consiste nell'asportazione radicale della lesione, e se l'intervento è corretto la recidiva locale è estremamente rara. L'exeresi comprende un bordo di cute sana e si estende fino alla fascia muscolare; al volto e alle dita il protocollo può essere modificato per motivi estetici, ed in sede unguale è prevista la disarticolazione distale del dito. Le metastasi linfonodali possono essere trattate con la rimozione radicale delle catene linfatiche interessate, che vengono valutate attraverso l'analisi dei linfonodi sentinella. Le metastasi a distanza possono essere escisse per ragioni palliative se l'intervento è agevole. 105
La terapia medica prevede:
• Chemioterapia con dacarbazina: solo nel melanoma avanzato (III). Questo può dare remissione, ma solo nel 20% dei casi. Spesso si associano INF ed altri farmaci citostatici. Si può fare una terapia locoregionale, detta “perfusione ipertermico­antiblastica”, nei casi di metastasi localizzate o di melanomi estesi degli arti: si inietta nell'arteria afferente e nella vena efferente dalla zona interessata il chemioterapico alla temperatura di 41°C per circa un'ora. • Immunoterapia: ancora in fase di valutazione con INF e IL­2 • Radioterapia: dosi singole elevate, palliativa nel corso di metastasi cerebrali o ossee dolorose
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IX. LE USTIONI
L'ustione è una lesione dell'organismo, più generalmente della cute, provocata dall'applicazione localizzata di calore (o direttamente dal fuoco o dal contatto con liquidi o corpi solidi surriscaldati), oppure conseguente alle esposizioni a basse temperature (ustioni da congelamento), ma può essere causata anche da radiazioni, elettricità, caustici, fumi. L'entità delle ustioni dipende da diversi fattori:
• durata dell'esposizione
• spessore cutaneo (strato di cellule corneificate, sebo cutaneo, contenuto in acqua...)
• natura della fonte di calore
• temperatura raggiunta
Relazione tra temperatura e tempo di esposizione nell'induzione dell'ustione e della necrosi tissutale
La temperatura interna dell'organismo deve essere mantenuta entro limiti abbastanza ristretti, mentre la temperatura di superficie (temperatura cutanea) può variare più ampiamente per periodi di breve durata. L'aumento modesto della temperatura cutanea anche per periodi lunghi non provoca danno cellulare poiché l'organismo è in grado di distribuire e disperdere il calore. Nel momento in cui, però, l'assorbimento supera la capacità di dispersione, si ha un aumento della temperatura cellulare fino al raggiungimento di un punto critico in cui la sopravvivenza della cellula non è più possibile e si ha la sua distruzione.
• Sotto i 44°C non si ha danno tissutale, anche per periodi prolungati di contatto alla sorgente termica
• Fra 44° e 51°C si ha una distruzione cellulare con un gradiente di lesione doppio per ogni grado di temperatura
• Sopra i 51°C la velocità di distruzione tissutale è più rapida
• Sopra i 70°C la distruzione tissutale avviene anche per periodi di esposizione brevissimi.
L'estensione dell'ustione si calcola con una valutazione percentuale rispetto alla superficie totale del corpo (TBSA: Total Body Surface Area), seguendo la “regola dei nove”[vedi cap. I].
Classificazione
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Ustioni superficiali
◦ Ustione di I grado (superficiale epidermica): è caratterizzata da edema e distruzione degli strati più superficiali dell'epidermide, senza interessamento dello strato dei cheratinociti. Ci sono congestione e dilatazione del plesso vascolare superficiale ed edema del derma. Eritemi ed edemi in genere sono dovuti all'eccessiva esposizione al sole o a liquidi caldi; iperalgesia e bruciore durano per 2­3 giorni. La guarigione giunge in 4­7gg, dopo esfoliazione squamosa superficiale e riepitelizzazione spontanea.
◦ Ustione di II grado A (superficiale dermica): presenta la distruzione di tutti gli strati dell'epidermide, fino ad esporre il derma papillare, intatto; ciò determina la perdita della funzione di barriera dell'epidermide nei confronti delle infezioni (la principale complicanza delle ustioni), fuoriuscita di liquido sieroso, con formazione di bolle (flittene) ed anche perdita di calore con le relative conseguenze sulla termoregolazione. Le bolle a contenuto sieroso (flitteni) scompaiono alla 107
•
digitopressione; ci sono eritema ed edema, iperalgesia. La guarigione avviene in 9­14 giorni per riepitelizzazione spontanea. Ustioni profonde
◦ Ustione di II grado B (profonda dermica): è caratterizzata dalla distruzione dell'epidermide, del derma papillare e di gran parte di quello reticolare; spesso si ha anche l'interessamento delle strutture nervose superficiali. La superficie è purpurea o biancastra, con petecchie; ci sono un intenso eritema, edema, flittene; la zona è ipoalgesica. La guarigione giunge in 16­25 giorni, con formazione di tessuto cicatriziale.
◦ Ustione di III grado (a tutto spessore): la lesione interessa epidermide e derma con necrosi completa della cute, del sottocute e dei tessuti sottostanti, pertnanto è suscettibile di guarigione con cicatrice. La superficie è grigia, bruna, dura, con formazione di escare; presenta analgesia in quanto le strutture nervose sono danneggiate. Si ha la formazione di tessuto di granulazione, con conseguente guarigione per retrazione e proliferazione epiteliale dai margini.
◦ Ustione di IV grado: è un importante aggravamento dell'ustione di terzo grado, con coinvolgimento del derma, del grasso sottocutaneo, del muscolo, delle strutture nervose e delle fasce. La zona di tessuto danneggiata dal calore presenta tre aree confluenti (classificazione secondo Jackson): una zona più centrale di necrosi, una zona intermedia di stasi, dove si ha un danno cellulare parziale, ed una zona periferica di iperemia, che va incontro ad una ripresa rapida della struttura e della funzione. Questo quadro istopatologico corrisponde all'intensità dell'insulto termico.
La risposta locale al trauma termico deve essere analizzata in due aspetti diversi che, dal punto di vista dinamico, non sono nettamente separabili:
• l'aspetto istopatologico, biochimico e microvascolare
• i processi di evoluzione e di guarigione spontanea
I fattori che influenzano la prognosi sono i seguenti:
• estensione/profondità
• età avanzata
• sede anatomica delle lesioni: alcune sedi, come le vie respiratorie (per le complicazioni bronco­polmonari), il perineo (per quelle infettive), e le ustioni profonde di mani e viso sono condizioni prognosticamente negative
• malattie pregresse e/o concomitanti: hanno notevole importanza sul decorso e sull'evoluzione delle ustioni. Etilismo, epilessia, cardiopatie, diabete, ipertensione, lesioni concomitanti al trauma termico (fratture, traumi cranici, lesioni addominali) possono peggiorare l'indice prognostico
• modalità del trauma
L'epitelizzazione della ferita, con il ripristino della funzione di barriera dell'epidermide, parte in genere dai cheratinociti, ma anche dalle ghiandole sudoripare e sebacee e dai follicoli piliferi. Questo processo di guarigione avviene senza problemi nelle ustioni di I e II grado, lasciando comunque esiti cicatriziali, che possono determinare importanti danni estetici. Nelle ustioni di III grado, a causa della profonda distruzione di epidermide, derma e annessi cutanei, l'epitelizzazione interessa solo la zona periferica superficiale; si forma tessuto di granulazione, ossia una cicatrice con retrazione che, oltre al danno estetico, compromette la 108
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funzionalità.
L'escara rappresenta una formazione di tessuto necrotico, tipicamente prodotta dall'ustione: separa i tessuti interni dall'ambiente esterno, con funzione di difesa e di trattenimento di liquidi, ma con l'effetto negativo di produrre tossine tali da provocare danno renale, polmonare e cardiocircolatorio.
Le tossine da ustione vanno distinte tra le tossine prodotte dalla cute ustionata e le tossine liberate da organi lontani dalla sede dell'ustione. L'effetto del calore sulla cute ustionata crea, oltre alla distruzione cellulare completa, anche una lesione cellulare parziale: da questi elementi si liberano sostanze endocellulari, prime fra tutte le proteasi, gli enzimi idrolasici contenuti nei lisosomi citoplasmatici; l'alterazione della membrana cellulare per effetto del calore e dell'ipossia tissutale causa la fuoriuscita di questi enzimi che esercitano un'azione lesiva sulle pareti vasali. Inoltre le proteasi danno luogo alla formazione di polipeptidi vasoattivi (plasmachine) che esplicano un'intensa azione vasodilatatrice, aumentando la permeabilità dei piccoli vasi e stimolano i recettori sensitivi. Recentemente è stata evidenziata la liberazione di altre sostanze quali istamina e prostaglandine nell'ustione. Tutte queste sostanze sono tossiche, ma non specifiche dell'ustione. I fattori tossici specifici dell'ustione sono una glicoproteina attiva sul tessuto polmonare e sul miocardio, ed una lipoproteina.
La liberazione di istamina, la vasodilatazione, il rilascio di bradichinina, la vasocostrizione arteriolare aumentano la permeabilità, con formazione di un edema distrettuale che può portare ad una elevata perdita di liquidi e possibile shock.
C'è anche una alterazione dell'immunità cellulare e umorale: diminuiscono i linfociti T helper e la secrezione di IgG, aumentano i linfociti T soppressori.
Tutto questo sovvertimento cellulare determina un'immunodepressione, che unita al danno della funzione di barriera della cute, ed alla presenza di tessuto devitalizzato e necrotico, rappresenta l'habitat ideale per la proliferazione dei microrganismi. Le infezioni rappresentano la complicanza principale delle ustioni e sono oggi, nonostante la terapia antibiotica, la prima causa di morte in questi pazienti. Le infezioni influiscono notevolmente sulle possibilità di sopravvivenza del paziente con lesioni estese, sull'evoluzione spontanea dell'ustione e sui risultati morfo­funzionali.
La contaminazione batterica può avvenire per via endogena, dalla flora microbica del paziente prveniente da cute, feci o dall'orofaringe, o per via esogena, dalla flora microbica dell'ambiente, del personale, degli altri pazienti.
In era pre­antibiotica i maggiorni responsabili di infezione erano S. aureus e S. pyogenes; attualmente sono Pseudomonas, Candida albicans ed aspergilli.
L'infezione negli ustionati determina:
• Approfondimento della necrosi
• Impallidimento: necrosi del tessuto di granulazione
• Distruzione degli innesti cutanei
• Edema, dolenzia, arrossamento dei margini dell'ustione
• Leucocitosi marcata
• Febbre
Le perdite idroelettrolitiche e proteiche sono elevatissime nelle prime ore, ma presenti in maniera consistente anche nei periodi successivi della malattia; insieme alla presenza di materiale circolante di origine tossica e/o infettiva, esse causano e concorrono a mantenere uno stato ipermetabolico che aumenta il consumo energetico ed impegna l'organismo nella sua globalità. Il fattore scatenante questa “tempesta metabolica” dell'organismo è da ricercarsi 109
nelle alterazioni provocate dal calore sulla superficie corporea; in nessun altro trauma come nell'ustione, la lesione locale si riflette così intensamente e così a lungo su tutto l'organismo.
Il trauma da ustione attiva stimoli dalla periferia dell'ipotalamo che portano all'alterazione dei centri termoregolatori, attivando l'ipertermia, ed alla stimolazione del centro simpatico talamico, con iperincrezione di catecolamine che attiva uno stato ipermetabolico che alimenta ed è alimentato dall'ipertermia stessa. Allo stato ipermetabolico contribuisce l'aumentato consumo calorico causato dalle perdite di liquidi conseguenza dell'evaporazione dalle superfici ustionate, dell'aumento della trasudazione superficiale e dell'iperventilazione.
Nel periodo d'emergenza post­ustione l'organismo risponde con notevoli iperglicemia ed iperproduzione di glucagone; aumenta anche la glicogenolisi epatica e la risposta all'insulina è fortemente diminuita. Nel periodo acuto successivo la risposta all'insulina torna normale, ma la glicemia ed il glucagone sono lievemente aumentati e la glicogenolisi epatica è enormemente attivata.
L'ustione causa anche aumento degli acidi grassi liberi plasmatici con conseguente produzione di corpi chetonici, che se non sono adeguatamente escreti possono portare ad un'acidosi metabolica (chetoacidosi).
L'ustione rappresenta un grave trauma sia locale che generale, e le alterazioni biochimiche, cellulari ed emodinamiche, conseguenti alla lesione da calore, sono direttamente proporzionali all'estensione e alla profondità della lesione.
Il trattamento infusorio e rianimativo deve avere inizio nel più breve tempo possibile, prima che si siano instaurati i danni irreversibili, cellulari e parenchimali.
Nelle prime 48­72 ore è indispensabile correggere e prevenire gli squilibri idrico­elettrolitici plasmatici e mantenere le funzioni dell'organismo nell'ambito fisiologico:
• trattamento shock da ustione con terapia infusoria, assicurandosi una buona perfusione tissutale, una diuresi adeguata e le migliori condizioni per i processi di difesa e riparativi
• valutazione delle condizioni generali (freq. resp. e circolatoria, eventuali traumi ed emorragie in atto…)
• detersione delle ustioni con soluzione fisiologica
• medicazioni delle superfici ustionate
• profilassi anti­tetanica ed antibiotica (bacitracina locale)
Le flittene intatte vanno soltanto deterse e bendate; quelle lese vanno invece private di tutti i lembi necrotici, tramite escissione tangenziale superficiale e/o profonda oppure escarectomia, ossia la rimozione del tessuto necrotico dalla cute ustionata, eseguita fino al tessuto sottocutaneo per permettere la fuoriuscita di tossine e di essudato e favorire la rigenerazione epidermica. Tutte le ustioni significative lasciano come sequela una qualche componente cicatriziale che, a seconda delle diverse caratteristiche del paziente e del tipo d'ustione, può variare da quella di piccole dimensioni a quella cheloidea. Importante ricordare che tali cicatrici, oltre al danno estetico, determinano limitazioni funzionali della zona interessata, soprattutto se si tratta di un'articolazione o del volto: in questo caso può essere d'ausilio l'intervento chirurgico; altro caso che richiede l'intervento chirurgico è la presenza di cicatrici in sede articolare nei 110
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pazienti in accrescimento, per evitare deformità muscolo­scheletriche.
In genere le cicatrici maturano completamente entro 1 o 2 anni; possono appiattirsi ed ammorbidirsi spontaneamente o richiedere l'applicazione di cerotti di silicone o l'infiltrazione di corticosteroidi locali come il betametasone.
Nelle ustioni più profonde il derma è insufficiente alla rigenerazione spontanea: si rende necessario un trattamento chirurgico di innesto cutaneo con tessuto autologo. Gli innesti possono essere a spessore parziale o a tutto spessore.
La zona da innestare va precedentemente trattata con escarectomia e toilette chirurgica del tessuto di granulazione; gli innesti cutanei, prelevati da aree indenni tramite un dermatomo, vanno applicati sulla regione ustionata, immobilizzandoli con alcuni punti di sutura per favorirne l'attecchimento; non sono rari gli ascessi nei punti in cui il filo di sutura penetra nei tessuti. L'innesto va bendato con una medicazione compressiva, da tenere in loco 4 o 5 giorni, chiamata “pacchetto”.
Non sempre è possibile eseguire un innesto autologo, soprattutto quando le superfici ustionate da ricoprire sono molto estese, e richiederebbero un'altrettanto estesa zona di prelievo, pertanto si ricorre all'allotrapianto o all'omotrapianto, cioè un prelievo cutaneo derivato dal cadavere o, come nel caso madre/neonato, dal vivente (importante rischio immunologico di rigetto). Sono anche utilizzati innesti cutanei eterologhi privati di cellule, che pertanto non attecchiscono ma possono fungere temporanemante da barriera.
Studi attuali riguardano la possibilità di ricavare superfici cutanee da colture in vitro di fibroblasti; le prime sperimentazioni di questo moderno approccio hanno consentito di ricavare strati cellulari delle dimensioni di francobolli da applicare come innesti. Purtroppo il risultato finale di questi innesti ottenuti in vitro non è ancora soddisfacente: la cicatrizzazione ed il risultato estetico appaiono di pessima qualità. Attualmente si sta sperimentando una matrice di rigenerazione dermica, un bilaminato costituito da uno strato interno di collagene bovino, o da spugna di glicosaminoglicani, unito ad uno strato esterno di silastic dotato di microporosità: questo materiale è stato chiamato Integra®. La membrana di Integra viene posizionata sull'area escaretomizzata per 2 o 3 settimane: durante tale periodo i fibroblasti si muovono dal fondo della lesione verso il collagene o la spugna, e lo sostituiscono con un neoderma vascolarizzato; quando questo sarà abbastanza maturo, l'Integra viene rimossa e sostituita con innesti cutanei ultrasottili (con spessore di 0,25 ­ 0,1 mm). 111
X. CHIRURGIA PLASTICA
X. 1.
Guarigione e trattamento delle ferite cutanee
La cute è un organo che partecipa alla protezione e alla regolazione degli scambi con l'esterno; ogni soluzione di continuo della cute provoca una catena di processi biologici, il cui scopo è quello di ristabilire al meglio e nel modo più rapido queste funzioni.
La riparazione della perdita di sostanza, nei tessuti danneggiati, con tessuto connettivo non specifico e con tessuto epiteliale proprio della cute dà origine alla cicatrice: “la cicatrizzazione è il divenire di una ferita, di una necrosi, di un'ustione, che termina con la cicatrice” (Vilain).
La cicatrizzazione cutanea può essere schematizzata in cinque fasi che si susseguono e in parte si sovrappongono:
1. Risposta vascolare: il traumatismo vulnerante determina necrosi cellulare e rotture vascolari. Il sanguinamento si arresta molto rapidamente per vasospasmo arteriolare a livello dei margini della ferita, che dura qualche minuto determinando la formazione del coagulo. Successivamente si innesca una vasodilatazione, che aumenta la permeabilità vasale permettendo la fuoriuscita di cellule ematiche e componenti plasmatici che raggiungono i tessuti danneggiati, causando anche edema.
2. Emostasi: inizia quasi immediatamente, appena le cellule lese dal trauma liberano i mediatori che provocano la cascata della coagulazione. Le piastrine:
◦ Aderiscono al collagene esposto
◦ Cambiano forma ◦ Liberano diversi fattori piastrinici ◦ Attivano il processo di coagulazione
I globuli rossi si depositano progressivamente nelle maglie del coagulo, il quale protegge temporaneamente l'interno della ferita dall'esterno; la sua superficie si secca all'aria e forma la crosta, che completa la chiusura della ferita.
3. Infiammazione: i frammenti cellulari risultanti dalla distruzione tissutale ed i fattori piastrinici liberati sono all'origine della reazione infiammatoria che si manifesta con i segni classici:
◦ Rossore e calore conseguenti alla vasodilatazione
◦ Tumefazione legata alla vasodilatazione
◦ Dolore provocato dalla pressione dell'edema sulle terminazioni nervose
La reazione immunitaria specifica fa intervenire gli anticorpi, sintetizzati dai linfociti B, e coinvolge anche i linfociti T. La classe linfocitaria compare al 6°­7° giorno determinando un ruolo indiretto sulla cicatrizzazione, favorendo la proliferazione dei fibroblasti e delle cellule epiteliali, con l'intermediazione delle linfochine. Al termine della fase infiammatoria tutti i detriti cellulari e i corpi estranei vengono distrutti, lasciando la ferita pulita, permettendo la neoformazione tissutale che dà origine alla cicatrice.
4. Proliferazione tissutale: la formazione di nuovo tessuto, che permette di colmare la perdita di sostanza, dipende essenzialmente da fattori di crescita: EGF, FGF, TGF, PDGF, TNF.
◦ Neovascolarizzazione e neoformazione di tessuto connettivo: i fibroblasti provenienti dai margini della ferita migrano sullo stroma di fibrina presente nel coagulo, si dividono e sintetizzano tessuto connettivo del bottone di granulazione (collagene tipo III e proteoglicani). Il collagene è la struttura proteica predominante all'interno di 112
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una cicatrice: dalla sua qualità e quantità dipendono le caratteristiche meccaniche della cicatrice.
◦ Granulazione: il nuovo tessuto connettivo, quando è ben vascolarizzato, forma alla base della ferita dei piccoli noduli rotondi, di colore rosso acceso e lucidi. Un buon tessuto di granulazione è la condizione essenziale non soltanto perché si effettui l'epitelizzazione, ma anche perché la cicatrice sia di buona qualità.
◦ Fibrinolisi: il reticolo provvisorio di fibrina viene distrutto dalla plasmina.
◦ Contrazione: con l'aumento progressivo della quantità di collagene nel bottone si riducono la divisione e la sintesi di fibroblasti, i quali si trasformano in fibrociti o in miofibroblasti, cellule contrattili che avvicinano e uniscono le fibre collagene (i bordi della ferita si avvicinano circa 0,6 mm/die, indipendentemente dalle dimensioni della lesione).
◦ Epitelizzazione
1. Fase di migrazione delle cellule soprabasali: tra 12 e 24 ore
2. Fase di proliferazione: massima fra 48 e 72 ore 3. Fase di maturazione con differenziazione cellulare
5. Rimodellamento tissutale: la riparazione connettivo­epiteliale causa una cicatrice rossa, sollevata, che si schiarisce progressivamente grazie al continuo turnover fra sintesi di collagene e attività collagenolitica. Porta alla sostituzione del collagene III con collagene I (più solido e stabile) ed al crosslinking, cioè la creazione di legami covalenti tra le fibre di collagene, permettendo una reticolazione.
Tipologie di cicatrizzazione
• Cicatrizzazione per prima intenzione (cicatrizzazione primaria): giustapposizione diretta dell'epidermide e del derma dei margini della ferita; richiede i seguenti requisiti:
◦ Bordi non contusi
◦ Ferita pulita, cioè non infetta, senza corpi estranei o tessuti necrotici
◦ Ferita ben vascolarizzata
Si presentano così la maggior parte delle ferite chirurgiche e da taglio. In caso di ferite lacero­contuse occorre recentare i margini contusi e/o necrotici prima di accingersi alla sutura; questo deve avvenire entro 6­8 ore dal trauma, prima che i germi presenti nella ferita abbiano invaso i tessuti sani. La sutura deve essere attuata per piani anatomici, in modo ad attenuare la tensione cutanea e garantire l'allineamento dei margini epidermici. La forza meccanica della cicatrice nel tempo cresce regolarmente fino a raggiungere un massimo pari al 70% della cute intatta.
Cicatrizzazione primaria ritardata: Viene effettuata quando si sospetta che una ferita sia infetta o quando viene vista dopo 8 ore dal trauma. Su ogni margine della ferita vengono applicati dei punti che vengono lasciati aperti; si fa la medicazione della ferita con garze grasse ogni giorno; dopo 4­7 giorni, in assenza di infezione, la ferita viene chiusa annodando i fili già in sede e si lascia procedere la cicatrizzazione primaria. • Cicatrizzazione per seconda intenzione (cicatrizzazione secondaria): si verifica quando non è possibile ricoprire nell'immediato la perdita di sostanza. Le ferite vengono medicate al fine di indirizzare al meglio la cicatrizzazione spontanea. Le ferite contaminate e settiche non vanno mai suturate immediatamente; le ferite da asfalto 113
vanno prima ripulite dal catrame, che agisce da pigmento e può lasciare il cosiddetto “tatuaggio da asfalto”. Indicazioni:
◦ Ferite contaminate e settiche
◦ Ferite lacero­contuse che non possono essere suturate o per le quali non è possibile una preparazione estesa
◦ Ferite con eccessiva perdita di sostanza ◦ Ferite associate a disturbi trofici (ulcere venose…)
◦ Ferite per le quali la sutura provocherebbe disturbo funzionale/estetico, come le ferite del polpastrello
Fasi:
1. Detersione: eliminazione dei tessuti necrotici per favorire la gemmazione grazie al coinvolgimento di enzimi proteolitici
• Brushing (ad esempio con le spugne sterili per il lavaggio pre­operatorio delle mani)
• Detersione enzimatica
• Medicazioni occlusive
2. Gemmazione: proliferazione del tessuto connettivo mediante gettoni di granulazione
3. Epitelizzazione
• Ferite superficiali (abrasioni cutanee, ustioni di I o II grado delle zone donatrici di innesti cutanei…): riepitelizzazione centrifuga a partire dalle isole epidermiche all'interno della gemma di granulazione. La perdita di sostanza interessa solo l'epidermide e la parte superficiale del derma; il tessuto epiteliale si ricostituisce a partire dalle cellule basali o dagli annessi pilosebacei. Alla migrazione “orizzontale” delle cellule epiteliali fanno seguito una proliferazione “verticale” ed una differenziazione con cheratinizzazione progressiva delle cellule verso la superficie cutanea. Il tessuto epiteliale cicatriziale avrà una struttura simile a quella del tessuto leso.
• Medicazione occlusiva, o semiocclusiva, assorbente
• Ferite profonde: riepitelizzazione centripeta a partire dai margini della lesione e formazione della crosta, protezione dall'esterno ma anche ostacolo alla progressione della cicatrizzazione. Il traumatismo provoca una rottura vascolare, il sangue esce dalla ferita e coagula; sulla superficie del coagulo si forma la crosta. L'epidermide si ricostituisce progressivamente sotto il coagulo, mentre si svolge la riparazione connettivale. La riepitelizzazione è ancora più rapida se avviene in ambiente idratato.
La cicatrizzazione secondaria porta generalmente a cicatrici antiestetiche, diastasate, che possono talvolta creare disturbi funzionali (briglie cicatriziali a livello di un'articolazione) o deformazioni.
Fattori che influenzano la cicatrizzazione
• Intrinseci
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•
◦ Caratteristiche del trauma
◦ Localizzazione della ferita
◦ Ambiente della ferita
◦ Idratazione della ferita
◦ Grado di contaminazione della ferita
◦ Corpi estranei
◦ Vascolarizzazione della ferita
◦ Fumo
◦ Insufficienza venosa
◦ Irradiazione
◦ Traumi meccanici ripetuti
◦ Traumi iatrogeni
◦ Neoplasie
Estrinseci
◦ Deficit di cicatrizzazione ereditario
◦ Deficit nutrizionali
◦ Età
◦ Diabete
◦ Farmaci: immunosoppressori, corticosteroidi, antinfiammatori, chemioterapici...
◦ Altri fattori
Cheloidi e cicatrici ipertrofiche
I cheloidi sono tumori dermici fibrosi, benigni, conseguenti ad una cicatrizzazione patologica di tipo ipertrofico; fanno seguito ad un'aggressione che interessa il derma: a volte anche un microtrauma passato inosservato può indurre la formazione di un cheloide che viene pertanto definito cheloide spontaneo. Si manifestano con:
1. produzione eccessiva di varie componenti del tessuto connettivo, in particolare del collagene
2. localizzazione che si estende oltre i limiti della ferita iniziale
3. alto rischio di recidiva dopo exeresi
4. evoluzione che non si conclude mai spontaneamente con la guarigione
La diagnosi differenziale va fatta con le cicatrici ipertrofiche, che si risolvono spontaneamente in 9­18 mesi.
Cicatrice ipertrofica
Cheloide
Confinata ai limiti della ferita iniziale
Supera i limiti della ferita iniziale
In zona di tensione cutanea importante
In zona senza tensione
Miglioramento nel tempo: perdita del carattere infiammatorio, appiattimento ed ammorbidimento
Riduzione del carattere infiammatorio con persistenza dell'aspetto duro e rilevato
Rare recidive dopo exeresi in zona sana
Recidiva dopo exeresi in zona sana
Fattori predisponenti:
• Etnia: soggetti pigmentati di colore o asiatici
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•
•
Età: predilezione per i giovani adulti (30 anni)
Localizzazione anatomica
◦ Regione deltoidea e scapolare
◦ Lobo auricolare
◦ Regione presternale e preclaveare
◦ Regione pubica
X. 2.
Suture cutanee
Sono un metodo di accostamento dei margini di una ferita mediante mezzi di sutura. • Sutura diretta: ferite recenti a margini netti. • Sutura differita: dopo 24 ore sono già attivi i processi di flogosi e di fibrosi dei margini. È necessaria cruentare i margini prima di suturare.
Mezzi di sutura • Fili Riassorbibili (Vicryl , Biosyn®): utilizzati per le strutture profonde, in particolari sedi anatomiche (cavo orale) e nei bambini. Vengono riassorbiti dopo un tempo sufficiente per permettere il processo di cicatrizzazione. • Fili Non Riassorbibili (Prolene®): utilizzati per i piani cutanei. Vengono rimossi dopo un periodo definito a seconda della sede anatomica e del tipo di sutura (ad es: volto: 7 gg; dorso: 15 gg).
• Suturatrici Metalliche: uniscono i margini con delle graffe metalliche. Raramente usate in chirurgia plastica. Servono da supporto prima di una sutura definitiva. A volte utilizzate nel cuoio capelluto. • Steri­Strips: cerotti adesivi di avvicinamento. Utilizzati come supporto alle suture cutanee. Da soli per piccole incisioni superficiali (ad es: incisioni di accesso della lipoaspirazione).
• Colle Tissutali: la colla di fibrina (Tissucol®) offre la duplice possibilità di stimolare la cicatrizzazione e di favorire l'emostasi.
I fili possono essere monofilamento oppure intrecciati; questi ultimi causano più attrito allo scorrimento, e non sono adatti ai tessuti sporchi od infetti perché ne possono raccogliere le impurità, ma hanno una maggiore tenuta del nodo e sono più flessibili.
®
Principî di sutura Punto a X
Punto sottocutaneo
Evita spazi morti. Il nodo viene affondato
Avvicina piani muscolari senza sezione del muscolo
Sopraggitto intradermico
Sutura continua nel derma con ottimo affrontamento dei margini
I margini devono essere avvicinati permettendo un buon affrontamento dei piani superficiali e profondi. Le suture vanno quindi eseguite per piani: • Muscolo: continue intrecciate, punti a X
• Aponeurosi: continue intrecciate, punti a X
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•
•
Sottocutaneo: evitare spazi morti Cute: importante l'affrontamento del derma
Regole fondamentali:
• manipolazione atraumatica dei margini • riparo per piani • accostamento preciso dei piani • rispetto della vitalità dei margini (NO tensione) • ripristino morfologico
Punti cutanei
• Punti staccati: a seconda della quantità di cute presa con l'ago si ha l'affossamento o l'eversione dei margini
I margini da avvicinare devono essere cruenti, pertanto è favorevole la loro eversione: l'intraversione invece fa giustapporre le superfici cheratinizzate, che non possono cicatrizzare.
•
Punti di Blair­Donati: allentano la tensione sui margini
•
Punti di Gillis: per lembi di spessore differente o per far cadere il nodo in un punto preciso (ad es: areola)
•
Sopraggitto semplice: sutura cutanea continua
•
Sopraggitto incavigliato: punti emostatici
Rimozione dei punti Utilizzando strumenti sterili e dopo un'accurata detersione della ferita si possono rimuovere: • punti staccati: tagliando un filo al di sotto del nodo e sfilandoli
• suture continue: sezionando i due capi e sfilando il filo
Dopo la rimozione dei punti è utile l'utilizzo di steri­strips per 3­4 giorni. Le suture non vanno bagnate fino alla rimozione dei punti. 117
I tempi per la rimozione variano in funzione della sede corporea e del tipo di sutura (volto: 7 gg; dorso­arti: 15 gg).
X. 3.
Innesti cutanei
Sono trapianti di cute di diverso spessore che vengono prelevati da una sede corporea e trasferiti in un'altra, interrompendo completamente le connessioni con l'area donatrice. Possono essere: • omologhi • eterologhi (cute da cadavere come coperture temporanea negli ustionati) Vengono distinti in:
• Innesti a spessore sottile: comprendono l'epidermide e un sottile strato di derma papillare. Vengono prelevati con il dermotomo. La sede donatrice cicatrizza spontaneamente a partire dagli annessi dermici in 15­20 giorni. Viene medicata con garza grasse (Connettivina®, Fitostimolina®) che non vengono rimosse fino alla completa guarigione. Attecchiscono facilmente ma presentano maggiori fenomeni di retrazione e un aspetto estetico peggiore.
• Innesti a medio spessore: comprendono l'epidermide ed una parte di derma, ma lasciano alcuni annessi dermici profondi nell'area donatrice. Vengono prelevati col dermotomo. La sede donatrice cicatrizza spontaneamente a partire dagli annessi residui.
• Innesti a tutto spessore: comprendono la cute a tutto spessore (epidermide e derma). Vengono prelevati col bisturi o con le forbici, lasciando un fondo cruento; la sede donatrice viene riparata per sutura diretta. Devono essere accuratamente sgrassati prima del posizionamento per permettere un buon contato tra innesto e fondo della lesione.
Attecchimento degli innesti 1ª fase: Imbibizione
L'innesto sopravvive grazie al passaggio diretto di sostanze nutritizie dal fondo della ferita. Pertanto necessita di una medicazione compressiva per i primi 5 giorni; non devono formarsi raccolte; il fondo deve essere pertanto ben vascolarizzato, deterso, non infetto né necrotico. 2ª fase: Neoangiogenesi
Si formano vasi che connettono l'innesto alla sede ricevente. 3ª fase: Retrazione
I fenomeni di fibrosi cicatriziale sono tanto maggiori quanto più l'innesto è sottile. Per questo motivo in alcune sedi vanno evitati innesti sottili (ad es: palpebre)
•
•
118
Zone di prelievo Spessore sottile­medio: ◦ coscie
◦ gluteo ◦ addome A tutto spessore: ◦ inguine ◦ regione sovraclaveare ◦ regione retroauricolare ☤ Alessandro G. - 2012/2013
◦ palpebra superiore
Principî di utilizzo degli innesti Un innesto può attecchire se posizionato su strutture ben vascolarizzate (muscolo, periostio, peritenon, ferita granuleggiante detersa). Non vanno posizionati su osso esposto, tendini lesionati o altre sedi con una vascolarizzazione compromessa.
Una volta posizionato è necessaria una medicazione compressiva (pacchetto di Padgett) che garantisca un buon contatto tra innesto e fondo della lesione, ed assoluta immobilità, per almeno 48­72 ore.
Effettuare delle piccole incisioni sull'innesto favorisce il drenaggio di eventuali secrezioni e quindi la formazione di raccolte.
Nel caso di ampie perdite di sostanza si possono aumentare le dimensioni di un innesto confezionandolo a rete con appositi strumenti (mesher) o eseguendo delle incisioni parallele: il drenaggio delle secrezioni è assicurato attraverso i fori; l'attechimento è generalmente facilitato.
X. 4.
Lembi
LEMBI LOCALI Sono costituiti da tessuto che viene prelevato da una zona donatrice e portato a riparare una zona corporea adiacente senza interromperne le connessioni vascolari. Possono essere costituiti da diversi tessuti (cute, tessuto sottocutaneo, muscolo....).
Classificazione • Vascolarizzazione ◦ Random: ricavati senza prestare attenzione alla distribuzione vascolare. La sopravvivenza è legata al rapporto base/altezza (più larga è la base, più vasi sono compresi nel peduncolo): questo varia con la sede corporea (viso: 3:1, 4:1; arto superiore: 1:1).
◦ A peduncolo noto: ricavati da regioni anatomiche a circolazione costante in cui è possibile identificare i vasi afferenti
▪ Assiale: i vasi decorrono nel grasso sottocutaneo paralleli alla cut
▪ Fasciocutaneo: cosituito da fascia profonda, cute e sottocute. Basato su vasi che decorrono nei setti intermuscolari prima di raggiungere la cute.
▪ Muscolocutaneo: costituito da muscolo, fascia profonda, cute e sottocute. Basatiosu uno o più peduncoli in base al tipo di muscolo (classificazione di Mathes e Nahai, 1981).
▪ Perforante: basato su un peduncolo vascolare noto, costituito da un vaso perforante, cioè un vaso che origina dal circolo profondo e risale alla cute attraverso i muscoli (perforante muscolo­cutaneo) o i setti intermuscolari (perforante setto­cutaneo). Il suo utilizzo nasce dagli studi di Taylor e Palmer (1987) sulla vascolarizzazione corporea. I vasi sono identificabili con l'ausilio del Doppler e visualizzati facilmente durante l'intervento.
• Movimento: la non conoscenza della vascolarizzazione nei lembi random ne limita molto la possibilità di essere sottoposti a stiramenti o torsioni.
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Avanzamento
•
•
•
•
Rotazione
Trasposizione
Forma ◦ Piani ◦ Tubulati Tessuto
Lembi muscolari e muscolocutanei Lembo muscolare/muscolo­cutaneo di gran dorsale: primo lembo utilizzato per la ricostruzione mammaria postmastectomia da Tensini nel 1896.
Lembo muscolare di retto addominale (TRAM): lembo molto utilizzato per la ricostruzione mammaria introdotto da Hartrampf nel 1982.
Lembi a isola e a penisola
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Tipi particolari di lembi random • Plastica a Z: utile per allungare o modificare la direzione ci una cicatrice o in alcune aree sorporee (spazio interdigitale, commissura orale...)
•
Lembo a V­Y: utile ai fini ricostruttivi soprattutto nel volto.
•
Plastica di Duformentel: utile ai fini ricostruttivi per ampi perdite di sostanza, ad esempio nel dorso.
La sindattilia Insieme alla polidattilia è la più frequente malformazione congenita della mano, causata da una mancata separazione fra le dita, per errori nel programma di apoptosi fra 7ª ed 8ª sett di vita intrauterina. Generalmente compare in forma isolata, più raramente associata ad altre malformazioni. L'incidenza è variabile, circa 1/2'000 (di cui oltre la metà bilaterali). È più frequente nei maschi. È presente familiarità dal 15 al 40% dei casi (soprattutto nelle forme più severe o associate a polidattilia), con chiare evidenze genetiche (penetranza incompleta ed espressività variabile). Le sedi anatomiche principalmente coinvolte sono il 3° ed il 2° spazio interdigitale; meno interessato è il 1° spazio interdigitale per lo sviluppo indipendente del 1° dito dalle altre 4 dita.
Classificazione
Clinicamente, si classifica in base alla lunghezza della membrana interdigitale rispetto alle dita coinvolte:
• Nella forma completa la membrana interdigitale raggiunge l'estremità distale delle dita coinvolte • La forma incompleta presenta una membrana interdigitale limitata alle commissure digitali 121
In base al coinvolgimento dello scheletro osseo è classificata in:
• Semplice: malformazione limitata a cute e tessuti molli • Complessa: malformazione che coinvolge anche lo scheletro con fusione ossea delle dita coinvolte • Complicata: malformazione caratterizzata da anomalie ossee (alterati rapporti anatomici tra i diversi capi scheletrici)
Tecniche chirurgiche
LEMBI LIBERI Trasferimento di lembi assiali, con anastomosi artero­venose microchirurgiche. L'avvento della microchirurgia, unito all'utilizzo dei lembi peduncolati prima e perforanti poi, ha reso possibile l'introduzione dei lembi liberi, costituiti da tessuto cutaneo, sottocutaneo, muscolare od osseo, che viene trasferito da una sede ad un'altra distante insieme al proprio peduncolo vascolare, che viene anastomizzato ai vasi presenti nel sito ricevente.
I lembi liberi sono oggi utilizzati in campo oncologico per ricostruire diversi distretti anatomici, permettendo ampie resezioni di neoplasie che una volta sarebbero state impossibili per motivi funzionali. Sono utili anche in traumatologia dove offrono una copertura con tessuto ben vascolarizzato ad esempio in caso di fratture esposte.
Sono interventi lunghi che richiedono un operatore esperto e l'utilizzo del microscopio per eseguire le anastomosi vascolari, di tipo termino­terminale o termino­laterale. Richiedono un attento monitoraggio intra­ e post­operatorio della vitalità del lembo, un apposito protocollo farmacologico per il paziente, e la gestione da parte di personale esperto sia medico che infermieristico. La complicanza più temibile è la necrosi ischemica del lembo, dovuta ad una trombosi arteriosa o ad una congestione venosa per una compressione del peduncolo. L'attento monitoraggio del lembo nel postoperatorio (ogni 3 ore, per 48 ore) permette in genere di evidenziare i primi segni di sofferenza. In questi casi è necessario revisionare il peduncolo in sala operatoria.
Monitoraggio: • Aspetto
◦ Colore
▪ Pallido per ischemia ▪ Violaceo per congestione venosa
◦ Temperatura
▪ Freddo per ischemia
◦ Tensione: eventuale presenza di raccolte
• Sanguinamento: con un ago vengono punte più aree del lembo, per valutare il colore del sangue (che deve essere rosso vivo; è rosso scuro per congestione venosa) e la latenza 122
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di fuoriuscita del sanguinamento (brevissima per congestione venosa; prolungata per ipoafflusso arterioso)
Applicazioni cliniche Traumatologia: in caso di fratture esposte con ampie perdite di sostanza la possibilità di trasferire un tessuto ben vascolarizzato (muscolo) prelevato lontano dalla zona lesa, permette di coprire la perdita di sostanza e di favorire la guarigione della frattura prevenendo lo sviluppo di osteomieliti.
Oncologia: • Ricostruzione mammaria postmastectomia • Ricostruzione del distretto cervico­facciale (neoplasie del cavo orale, dei mascellari, dell'orbita...)
• Ricostruzione dopo asportazione di grosse neoplasie dei tessuti molli (sarcomi)
X. 5.
Espansione tissutale
È una procedura meccanica in grado di aumentare le dimensioni di un tessuto disponibile per la ricostruzione. Il fondamento biologico è la capacità dei tessuti umani di aumentare di dimensioni se sottoposti ad una forza meccanica continua e di intensità progressivamente crescente. Introdotta da Neumann nel 1957, la tecnica è stata poi affinata da Radovan e Austad negli anni '70. Durante il processo di espansione si verificano delle variazioni nei tessuti: • Epidermide: iperplasia transitoria, aumento delle mitosi
• Derma: fibroplasia, calo di spessore per riallineamento delle fibre collagene
• Adipociti: atrofia
• Muscolo: calo di spessore
• Vasi: aumento della angiogenesi
Questo processo si realizza inserendo al di sotto del tessuto una protesi in silicone gonfiabile dall'esterno dotata di un'apposita valvola. La protesi viene successivamente riempita con fisiologica sterile ad intervalli prefissati fino ad ottenere il volume desiderato. L'intervento consta quindi di 3 fasi: 1. Decisione del programma ricostruttivo ed inserimento della protesi
Viene deciso il programma ricostruttivo in modo da far cadere l'incisione per l'inserimento della protesi in una sede che verrà successivamente utilizzata per la ricostruzione; l'incisione deve avere una direzione parallela alla direzione di espansione, così da non essere sottoposta a trazione. Viene confezionata una “tasca” mediante scollamento del piano desiderato (sottocutaneo, sottomuscolare) e, dopo un'attenta emostasi e l'inserimento di un drenaggio, viene posizionato l'espansore ed in parte riempito a scopo emostatico.
2. Espansione ambulatoriale In ambulatorio vengono effettuati i riempimenti con soluzione fisiologica sterile. La valvola viene identificata manualmente se esterna alla protesi o con un apposito magnete se integrata. Il volume inserito varia a seconda delle dimensioni dell'espansore e della tensione cutanea.
3. Rimozione della protesi ed attuazione della ricostruzione
Viene incisa la precedente cicatrice e rimosso l'espansore. Il lembo espanso viene quindi utilizzato per la ricostruzione programmata. Se necessario è possibile effettuare delle incisioni o rimuovere la capsula fibrosa che si è formata attorno alla protesi.
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Complicanze: • Infezione: rara, richiede la rimozione della protesi
• Estrusione: un eccessiva tensione cutanea può portare alla deiscenza della ferita chirurgica ed alla espulsione dell'espansore che viene quindi rimosso
• Dolore: generalmente sopportabile
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