Alcune nozioni tecniche per la fotografia d’architettura Massimo Battista Per una fotografia tecnicamente perfetta, occorre un negativo o una diapositiva tecnicamente perfetti, un negativo tecnicamente perfetto deve essere nitido ed esposto correttamente.1 Data questa premessa, bisogna prendere atto che non sempre è possibile raggiungere la perfezione, ogni situazione di ripresa è diversa da un’altra (illuminazione non uniforme, presenza di elevati contrasti fra zone in ombra e zone in forte luce, impossibilità di disporsi nella posizione più idonea per effettuare la ripresa fotografica, ecc) bisogna comunque scegliere il miglior compromesso possibile. Per giungere ai migliori risultati, dobbiamo conoscere alcune regole fondamentali e gli strumenti necessari per controllare ed evitare la maggior parte dei difetti che si presentano in una fotografia. La luce è l’elemento fondamentale che rende possibile l’esecuzione di ogni fotografia, infatti è proprio la luce (bianca nel suo insieme), che rende visibile ogni oggetto, nelle sue sfumature di colore, in base al maggiore o minore assorbimento e riflessione delle radiazioni luminose che compongono il suo spettro (un oggetto appare nero se la sua superficie assorbe tutto lo spettro, colorato o bianco in base alla parziale o totale riflessione). La conoscenza delle proprietà della luce composta (riflessione, rifrazione, diffrazione) e delle sue caratteristiche cromatiche (temperatura colore espressa in gradi Kelvin, differenze di lunghezza d’onda per i vari colori), insieme alla conoscenza delle leggi ottiche e delle sue aberrazioni, sono alla base del procedimento fotografico.2 Un raggio di luce bianca scomposto con un prisma, produce uno spettro con tutti i colori originariamente presenti nella luce bianca (sopra). Di un raggio di luce bianca che arriva su un corpo azzurro, viene riflessa soltanto la componente azzurra, mentre tutti i colori residui vengono assorbiti dal corpo. (Ernst A. Weber, La foto, Roma1989) La fotografia si fonda suI principio della camera oscura: un soggetto illuminato riflette la luce e proietta la sua immagine attraverso l’obiettivo sulla pellicola, dove si forma un’immagine latente che verrà chimicamente rivelata col processo di sviluppo. I componenti essenziali di una fotocamera, dalla più semplice ed economica (tipo usa e getta), a quella più complessa, sono costituiti da un obiettivo, una camera oscura e da un supporto pellicola; è la precisione costruttiva e la qualità ottico-meccanica dei congegni e strumenti di controllo (mirino, otturatore, esposimetro, ecc.) che la compongono a farne la differenza (anche nel prezzo) e a renderla più o meno idonea per l’utilizzo che ne dobbiamo fare. Camera oscura a foro stenopeico (Ansel Adams, La fotocamera, Bologna 1989) 1 Fondamentale è conoscere la propria attrezzatura e capire se è idonea per il genere di fotografia che vogliamo fare. La fotocamera che usiamo è adatta alla fotografia di architettura? Più grandi sono le dimensioni dell’immagine maggiori saranno i dettagli che la pellicola riuscirà a registrare e riprodurre sulla fotografia. Le fotocamere si possono dividere in tre gruppi in base al formato di pellicola: fotocamere di piccolo, medio e grande formato. Le fotocamere di piccolo formato, comunemente utilizzano pellicola 35 mm e la dimensione immagine è di mm 24X36; in questo gruppo si possono collocare le fotocamere digitali, che al posto della pellicola utilizzano un supporto digitale (CCD) di dimensioni generalmente più piccole del 35 mm (ad esempio il CCD della fotocamera professionale Nikon D1 misura 15,6X23,7 mm), costituito da tanti sensori (pixel) che reagiscono alla luce con impulsi elettrici formando l’immagine elettronica. Le fotocamere di medio formato, utilizzano pellicola in rulli 120 o più raramente 220, con una dimensione immagine che secondo il modello è di cm 4,5X6, cm 6X6, cm 6X7, cm 6X9. Le fotocamere di grande formato, utilizzano pellicola in lastre (cioè in singoli fogli di pellicola da inserire al buio in appositi contenitori “chassis”) con una dimensione immagine che secondo il modello è di cm 10X13, cm 13X18, cm 20X25. Le fotocamere si possono suddividere ulteriormente in base al sistema di mira che utilizzano per inquadrare (delimitare il campo di ripresa effettivo) e regolare la messa a fuoco dell’obiettivo sul piano della pellicola: fotocamere con mirino separato, reflex monobiettivo e a visione diretta. Un’ulteriore distinzione si può fare tra le fotocamere con ottiche intercambiabili, chiamate anche a sistema, e quelle ad ottica fissa, in quest’ultimo gruppo rientrano le fotocamere cosiddette compatte, considerate le meno adatte per la fotografia d’architettura. Nelle fotocamere con mirino separato il sistema di osservazione ed inquadratura del soggetto è indipendente e diverso dall’obiettivo che realizza l’immagine fotografica, il mirino, però, può essere collegato col sistema di messa a fuoco utilizzando un telemetro che misura la distanza del soggetto principale. Le fotocamere con mirino separato non offrono la precisione d’inquadratura degli altri sistemi, l’asse dell’obiettivo e quello del mirino non coincidono (difetto di parallasse), ma le migliori fotocamere di questo tipo, sono adatte alla fotografia d’architettura (ad esempio le fotocamere a sistema Leica M), perché offrono un’elevata luminosità del mirino, la correzione della parallasse ed un’esattezza di messa a fuoco telemetrica, soprattutto con le ottiche grandangolari, difficilmente raggiungibile dagli altri sistemi. Queste fotocamere possono utilizzare obiettivi di elevata qualità con schemi ottici più semplici e più corretti (per esempio i grandangolari con schema ottico simmetrico, non retrofocus, perché in queste fotocamere, a differenza delle reflex, che devono lasciare spazio allo specchio ribaltabile, la parte posteriore dell’ottica può essere posta all’interno del corpo macchina anche molto vicino al piano pellicola, rispettando l’effettiva lunghezza focale dell’obiettivo). L’Hasselblad SWCM 6X6, per esempio, è una fotocamera Sezioni trasversali e schemi ottici: di una reflex monobiettivo 35 mm, di una reflex monobiettivo 6X6 cm, di una fotocamera reflex biottica 6X6 cm e di una fotocamera a corpi mobili a visione diretta di grande formato. Lo schema ottico, nelle reflex monobiettivo, generalmente è di tipo retrofocus per lasciare spazio allo specchio ribaltabile, nelle altre è di tipo simmetrico (Ansel Adams, La fotocamera, Bologna 1989) 2 progettata per l’utilizzo dell’obiettivo grandangolare Zeiss Biogon di 38 mm, molto corretto e privo di distorsioni, studiato proprio per la fotografia architettonica ed industriale. Un discorso a parte meritano le fotocamere digitali a mirino separato dove l’inquadratura può essere controllata a posteriori, cioè dopo lo scatto, sullo schermo LCD. Nelle fotocamere reflex monobiettivo, il soggetto inquadrato è osservato attraverso lo stesso obiettivo che registra l’immagine sulla pellicola, con un sistema composto da uno specchio ribaltabile, inclinato di 45°, e da un prisma che riflette l’immagine sullo schermo di messa a fuoco posizionato nel mirino. Le fotocamere reflex monobiettivo di elevata qualità, meglio se meccaniche e manuali non autofocus, che permettono il controllo di tutti i parametri necessari per una corretta esposizione, sono ritenute molto adatte alla fotografia d’architettura. Queste fotocamere che di solito sono parte di un sistema (obiettivi, schermi di messa a fuoco, accessori ecc.) consentono l’inquadratura precisa del soggetto, la visualizzazione dell’angolo di campo, delle dimensioni dell’immagine, della prospettiva, di mettere a fuoco con precisione l’obiettivo, di avere una visione approssimativa della profondità di campo nitido, di regolare il diaframma e il tempo di posa, e con alcuni obiettivi espressamente progettati, di correggere la convergenza delle linee col decentramento ottico (ad esempio, nel sistema Nikon, gli obiettivi decentrabili PC Nikkor 35 e 28 mm consentono con lo spostamento di 11 mm dell’asse ottico in tutte le direzioni, ma sempre perpendicolare al piano pellicola, di mantenere la fotocamera in bolla e inquadrare ad esempio il tetto di un edificio senza inclinare la fotocamera, con la possibilità di visualizzare l’effetto sull’apposito vetrino reticolato, che nelle Nikon della serie F può essere sostituito a quello standard). Spaccato di una fotocamera a mirino separato 35 mm di elevata qualità tecnica (Günter Osterloh, Leica M. Alta scuola di fotografia, Milano 1991) Schema del sistema di messa a fuoco con telemetro (Ansel Adams, La fotocamera, Bologna 1989) Le fotocamere con visione e messa a fuoco diretta sul vetro smerigliato, posto sullo stesso piano del portapellicola, sono di solito di grande formato. Queste fotocamere chiamate a corpi mobili, a banco ottico ed anche universali, sarebbero e sono le più adatte per la fotografia d’architettura. Sono costruite in modo tale che i supporti (corpi) porta obiettivo e porta lastra, collegati tramite un soffietto estensibile, si possano muovere e regolare indipendentemente tra loro. Con queste fotocamere abbiamo il controllo assoluto di tutte le funzioni e la più ampia possibilità di regolazioni, come il decentramento ottico anteriore e del supporto pellicola posteriore per controllare la geometria e la convergenza dell’inquadratura, o il basculaggio anteriore e posteriore sull’asse ottico e sulla base, per consentire con l’inclinazione dei piani sui quali sono posti l’obiettivo e la lastra, di controllare ed estendere la profondità di campo nitido. Questo tipo di fotocamere più ingombranti (anche se pieghevoli) e più pesanti richiedono l’uso del cavalletto, sono più difficili da utilizzare, sia per i movimenti e regolazioni di cui sono capaci, che per la corretta inquadratura e messa a fuoco dell’obiettivo. L’immagine sul vetro smerigliato appare esattamente uguale, invertita alto-basso e destra-sinistra, di quella che impressionerà la pellicola o lastra fotografica. Queste fotocamere richiedono di solito un periodo più o meno lungo di apprendistato, che una volta terminato, darà la possibilità di realizzare fotografie tecnicamente perfette e così ricche di dettagli, difficilmente paragonabili con quelle prodotte con altri sistemi fotografici. Schema ottico di un obiettivo grandangolare di tipo retrofocus, il complesso progetto ottico consente di allontanare il punto focale F’ pur mantenendo invariata la lunghezza focale del piano principale H’. Ricorrendo a questo tipo di disegno viene lasciato lo spazio sufficiente al ribaltamento dello specchio nelle fotocamere reflex monobiettivo (Maurizio Capobussi, Giuliana Scimè, Fotografo, Milano 1984) L’inquadratura dei primi piani nelle fotocamere a mirino separato risente del difetto di parallasse tra mirino e obiettivo (Ansel Adams, La fotocamera, Bologna 1989) 3 Tutti gli obiettivi proiettano sul piano pellicola un immagine circolare, nell’esempio l’immagine circolare prodotta da un obiettivo progettato per il 35 mm che copre un pò piu del formato pellicola, perché la zona vicina ai bordi risulta progressivamente meno luminosa e nitida (Günter Osterloh, Leica M. Alta scuola di fotografia, Milano 1991) Qualsiasi obiettivo, semplice o composto, proietta un’immagine circolare sul piano di messa a fuoco, la dimensione di questo cerchio immagine ne determina l’utilizzo. Gli obiettivi progettati per il piccolo formato non possono essere utilizzati per un formato più grande proprio perché il loro cerchio immagine copre poco più del formato della pellicola 35 mm, mentre al contrario, obiettivi progettati per i formati più grandi possono essere adoperati, con eventuali adattatori, per i formati più piccoli. La dimensione del cerchio immagine, o angolo di copertura, negli obiettivi progettati per le fotocamere a banco ottico, è importante perché rende possibili quei movimenti di decentramento e basculaggio che caratterizzano tali fotocamere. La lunghezza focale di un obiettivo, tecnicamente è la distanza dal punto nodale posteriore, situato in prossimità del diaframma e il piano sul quale sono messi a fuoco i soggetti posti all’infinito, determina il rapporto di riproduzione che il soggetto inquadrato avrà sulla pellicola. Ad esempio un obiettivo di focale 100 mm forma un immagine alta 3 cm di un dato soggetto posto ad una certa distanza sia sul formato 24X36 mm che sul 10X13 cm, ma il soggetto nel 24X36 occuperà quasi tutta l’altezza, mentre nel formato 10X13 una piccola porzione. Nel formato piccolo L’immagine sarà riprodotta come dettaglio isolato mentre in quello più grande sarà riprodotta con l’ambiente circostante; nel piccolo formato l’obiettivo di focale 100 mm si comporterà come un obiettivo tele (lunga focale) mentre nel formato più grande risulterà come un grandangolo (corta focale). Esempi dimostrativi dell’utilizzo del decentramento ottico per correggere l’inquadratura e la convergenza delle immagini e del basculaggio dell’obiettivo per estendere la profondità di campo nitido (Ansel Adams, La fotocamera, Bologna 1989) 4 lunghezza focale 50 mm Focale breve = immagine piccola distanza tra oggetto e apparecchio = °° immagine piccola dis tan z a tr ao gge tto e ap p breve lunghezza focale are cch io = °° ma ggio re lu ngh ezz a fo cale imm più agine g ra nde lunghezza focale 150 mm Focale più lunga = immagine più grande Rapporto tra lunghezza focale di un obiettivo e grandezza dell’immagine (Andreas Feininger, Il libro della fotografia, Milano 1970) La focale di un obiettivo è direttamente proporzionale alla misura dell’immagine riprodotta, se lo stesso soggetto dell’esempio precedente, viene fotografato con un obiettivo di focale doppia, 200 mm, anche l’altezza dell’immagine riprodotta sarà doppia cioè 6 cm; con un obiettivo di focale dimezzata cioè di 50 mm, l’altezza risulterà dimezzata cioè di cm 1,5. In ogni fotocamera il relativo obiettivo di focale normale è determinato dalle dimensioni del formato di pellicola che usa. Per obiettivo normale si intende un obiettivo con angolo di campo di circa 45°, la cui lunghezza focale è all’incirca uguale alla misura della diagonale del formato pellicola utilizzato: ad esempio per il 24X36 mm, la cui diagonale è di circa 42 mm, l’obiettivo normale di solito è un 50 mm, per il 6X6 cm la diagonale è di circa 85 mm l’obiettivo normale di solito è un 80 mm, per il 6X9 cm la diagonale è di circa 108 mm l’obiettivo normale di solito è un 105 mm, per il 10X13 cm la diagonale è di circa 150 mm l’obiettivo normale di solito è di 150 mm, per il 13X18 cm la diagonale è di circa 225 mm l’obiettivo normale di solito è di 200-250 mm, per il 20X25 cm la diagonale è di circa 320 mm l’obiettivo normale di solito è di 300 mm. Se un dato soggetto viene fotografato con fotocamere di diverso formato, equipaggiate col relativo obiettivo normale, il campo inquadrato cioè l’angolo di visuale e la prospettiva saranno più o meno equivalenti. Il soggetto sarà riprodotto in grandezze proporzionalmente più grandi rispetto al formato utilizzato e quindi più ricco di dettagli. L’angolo di campo dipende dalla lunghezza focale rapportata al formato pellicola nello schema: dall’alto focale normale, grandangolare e tele riferita al 35 mm (Alexander Spoerl, Tutti i segreti della fotografia, Milano 1974) 5 Rapporto tra formati pellicola ed area inquadrata con obiettivo di uguale lunghezza focale e con lo stesso rapporto di riproduzione: formato digitale 15,6X23,7 mm, 24X36 mm, 4,5X6 cm, 6X9 cm, 10X13 cm, 13X18 cm. La riduzione dell’immagine, a parità di campo coperto, al variare dei formati. 6 Differenze di granularità (particolare ingrandito) nelle fotografie riprese con pellicola di bassa (ISO 32/16°), media (ISO 125/22°) e alta sensibilità (ISO 400/27°) (Günter Osterloh, Leica M. Alta scuola di fotografia, Milano 1991) Association e DIN Deutsches Institut fuer Normung) cioè, al valore ISO più alto, corrisponde in genere una maggiore dimensione della grana (i cristalli di bromuro d’argento che colpiti dalla luce, reagiscono e dopo lo sviluppo si trasformano in argento metallico, determinando il chiaro-scuro del negativo) quindi una minor capacità di riprodurre i particolari più fini; è chiaro che con le pellicole di sensibilità più bassa che hanno la grana più piccola e più fitta, avviene il contrario, cioè dopo lo sviluppo l’immagini risultano più definite. La pellicola fotografica, è costituita, da un supporto trasparente (pellicola) e da uno (pellicola B/N) o più strati (pellicola a colori) di gelatina (emulsione fotografica), all’interno della quale, sono presenti i sali di argento sensibili alla luce; la quantità di questi sali dipende dalla dimensione, più piccoli sono più fitti sono, più grandi sono più radi ma più sensibili sono. Per quanto riguarda la scelta della pellicola, bisogna tener presente, che all’incrementare della sua sensibilità alla luce (valore oggi espresso in ISO International Standard Organisation che riunisce le precedenti scale ASA American Standard 7 Esempi di esoposimetri fotoelettrici in alto a sinistra esposimetro con possibilità di lettura sia a luce riflessa che incidente, in basso esposimetro a luce rilflessa di tipo spot, a destra schema di esposimetro con lettura a luce riflessa (sopra) e a luce incidente (sotto) (Guglielmo Izzi, Francesco Mezzatesta, La natura, Milano, 1979) La corretta esposizione alla luce di una pellicola, che ne determina il giusto grado di densità e contrasto, dipende dalla quantità (intensità di luce) e dalla durata del tempo (tempo di esposizione), in cui la luce impressiona la pellicola in base alla sua sensibilità. Aperture di diaframma f:2 f:2,8 f:4 f:5,6 Corrispondenti tempi di posa 1/1000 1/500 1/250 1/125 1/60 Messa a fuoco La sempre minore profondità di campo richiede una sempre più accurata messa a fuoco Profondità di campo Resa degli oggetti in movimento Lo strumento che misura l’intensità della luce è l’esposimetro fotoelettrico, che può essere interno alla fotocamera o separato, a luce riflessa nel primo caso, a luce riflessa e o incidente nel secondo, in generale è composto da una o più celle sensibili alla luce che reagendo alla sua intensità producono energia elettrica misurabile (fotocellule al selenio) oppure ne oppongono una certa resistenza sempre misurabile (fotoresistori al solfuro di cadmio CDS, o fotodiodi al Silicio). I sistemi di misura della luce adottati dagli esposimetri, sono di due tipi: a luce riflessa e a luce incidente. Nel primo tipo, la fotocellula dell’esposimetro, che di norma è tarata sul potere riflettente di una superficie uniforme (cartoncino grigio al 18%), misura l’intensità della luce riflessa dal soggetto, in funzione della proprietà riflettente del soggetto stesso e quindi influenzata dal suo colore; nel secondo tipo, la fotocellula coperta con un diffusore semisferico opalino, misura direttamente l’intensità luminosa della luce, questa misurazione risulta più sicura e più precisa perché non influenzata dal soggetto, ma la fotocellula deve essere posizionata in prossimità del soggetto stesso e puntata verso l’obiettivo, cosa non sempre possibile. Nelle fotocamere dotate di esposimetro interno, che può essere spot, semispot o a lettura media secondo l’angolo di misura, in genere sono visibili direttamente nel mirino dei simboli, che danno i valori di corretta o sovra o sottoesposi- f:1,4 Conclusioni f:8 f:11 f:16 f:22 f:32 1/30 1/15 1/8 1/4 1/2 La sempre maggiore profondità di campo compensa una meno accurata messa a fuoco Limitatissima - limitata - media - sempre più estesa Nitidissima - nitida - leggermente mossa - sempre più mossa Quanto più azione o movimento del soggetto sono rapidi, tanto più brevi sono i tempi di posa necessari per ottenere fotografie nitide Quanto maggiore è la profondità del soggetto, tanto più piccola deve essere l’apertura del diaframma per ottenere sufficiente profondità di campo Tempi di posa brevi perché le fotografie siano fatte a mano Bisogna usare il treppiede Tavola esemplificativa delle combinazioni tra diaframma e tempo di posa per una data sensibilità (32 ASA) con condizioni di luminosità media (Andreas Feininger, Il libro della fotografia, Milano 1970) zione, calcolati dall’esposimetro in funzione dell’intensità luminosa e della coppia di valori tempo-diaframma impostati. Gli esposimetri esterni generalmente indicano l’intensità della luce in valori di esposizione EV, che riportati su un quadrante calcolatore, indicano tutta la serie di accoppiamenti corretti tra i valori di diaframma e relativo tempo di esposizione. L’esposizione di una pellicola, di cui conosciamo la sensibilità (perché espressa in ISO dal fabbricante), è controllata quindi da due strumenti correlati tra loro: il diaframma dell’obiettivo e l’otturatore. Il diaframma è costituito in generale da un gruppo di lamelle incernierate tra loro, il cui movimento, in maniera analoga all’iride dell’occhio umano, regola la maggiore o minore apertura, quindi la quantità di luce che attra- 8 f/D = diaframma Il diaframma si ottiene dividendo la lunghezza focale (f) per il diametro efficace dell’obiettivo(D); diaframma totalmente aperto, parzialmente chiuso e chiuso (Alexander Spoerl, Tutti i segreti della fotografia, Milano 1974) Tipi di otturatore: a ghigliottina, centrale a cinque lamelle e a tendina sul piano focale (Alfredo Ornano, Il libro della foto, Milano 1952) lità e in presenza di un dato valore di intensità luminosa, in successione, secondo le coppie di tempo-diaframma corrette, dovremmo avere sempre risultati equivalenti, in generale è proprio così, ma in presenza di bassa intensità luminosa, quando per la corretta esposizione è richiesto l’uso di un tempo più lungo di un minuto, questa equivalenza non è più rispettata per effetto della non reciprocità della pellicola alla luce, perciò per avere effettivamente lo stesso grado di densità sul negativo, l’esposizione deve essere incrementata di un certo valore che dipende dal tipo di pellicola in uso (alcune pellicole professionali, riportano scritto nel foglietto illustrativo, l’incremento in f-stop da utilizzare per compensare l’esposizione a causa dell’effetto di non reciprocità).4 Nelle fotocamere a controllo manuale questa scelta è lasciata al fotografo, che in base al tipo di fotografia potrà scegliere il più opportuno valore di diaframma per estendere la profondità di campo nitido oppure usare un tempo di esposizione molto rapido per fermare un soggetto in movimento, rispettare la corretta esposizione data dall’esposimetro, oppure volutamente sottoesporre o sovraesporre per rendere nella fotografia alcune parti più scure o più chiare, secondo il gusto e l’interpretazione personale della realtà. Nelle fotocamere automatiche e/o a programma (quasi esclusivamente di piccolo formato), questa scelta è fatta direttamente dal computer interno alla fotocamera che gestisce in maniera elettronica, in base appunto ad un programma che privilegia la rapidità oppure la qualità, il giusto valore di tempo e di diaframma. versa l’obiettivo. L’otturatore che può essere di tipo centrale, posto al centro dell’obiettivo, o a tendina, posto in prossimità del piano pellicola, regola la durata cioè il periodo di tempo durante il quale la pellicola è esposta alla luce. L’otturatore centrale può essere a semplice ghigliottina o a più lamelle che aprono e chiudono il flusso luminoso, quello a tendina è costituito da tendine metalliche o di tela gommata che scorrendo una dietro l’altra, in prossimità del piano focale, lasciano una fessura, l’ampiezza di questa fessura e il suo movimento scopre e ricopre per un certo tempo la pellicola. Ad una data sensibilità e a pari condizioni di luce corrispondono una serie di coppie di valori diaframma-tempo, che daranno la stessa esposizione; all’aumentare della quantità di luce, cioè alla maggiore apertura del diaframma, dovrà corrispondere una minore durata del tempo e viceversa; la scelta quindi di un dato valore di apertura del diaframma implica la scelta del corrispettivo tempo di esposizione. I valori di diaframma, secondo la scala internazionale standard, sono espressi in frazioni f/D cioè la lunghezza focale divisa per il diametro del foro efficace dell’obiettivo: f:1-1,42-2,8-4-5,6-8-11-16-22-32, e sono in sequenza geometrica, ogni valore di diaframma (f-stop) trasmette il doppio o la metà della quantità di luce rispetto al valore adiacente.3 Gli otturatori, sempre secondo la scala stardard, sono tarati in frazioni di secondo 1-1/2-1/4-1/8-1/15-1/30-1/60-1/125-1/ 250-1/500-1/1000-1/2000 più la posa a tempo (B o T), in maniera tale che ad ogni valore successivo corrisponda un tempo che è la metà rispetto al precedente e viceversa. In teoria quindi, esponendo una pellicola, di una data sensibi- 9 Esempi di messa a fuoco a distanze diverse, relativa profondità di campo nitido ed estensione della nitidezza con la chiusura del diaframma, dall’alto: messa a fuoco del primo piano 5 m, diaframma f:2 profondità di campo da ca. 4,80 m a 5,20 m; messa a fuoco dello sfondo 15 m, diaframma f:2 profondità di campo da ca. 13,5 m a 17 m; messa a fuoco del piano intermedio 7,5 m, diaframma f:2 profondità di campo da ca. 7,10 m a 7,95 m; messa a fuoco del piano intermedio 7,5 m, diaframma f:16 profondità di campo da ca. 5 m a 15 m. (Günter Osterloh, Leica M. Alta scuola di fotografia, Milano 1991) 10 f:2 f:8 f:22 grandangolo normale lungo fuoco Schema illustrativo dell’influenza del diaframma e della lunghezza focale di un obiettivo sulla profondità di campo nitido a parità di distanza di messa a fuoco. (Maurizio Capobussi, Giuliana Scimè, Fotografo, Milano 1984) Il diaframma regola la quantità di luce trasmessa, ma è anche uno strumento determinante per migliorare la resa ottica dell’obiettivo e l’estensione della profondità di campo nitido. Un obiettivo regolato ai diaframmi intermedi rende al meglio, la chiusura ulteriore del diaframma, aumenta progressivamente la profondità di campo ma per effetto della diffrazione della luce porta ad un decadimento generale dell’immagine. Un obiettivo proietta, su un piano posto ad una distanza equivalente alla sua focale, un’immagine nitida di un oggetto posto all’infinito, tutto ciò che è posto ad una distanza minore dell’infinito per essere nitido necessita di una regolazione, un incremento della distanza obiettivo-pellicola, la così detta messa a fuoco. Aumentando progressivamente questa distanza, metteremo a fuoco oggetti sempre più vicini, se la messa a fuoco dell’obiettivo è regolata su una distanza doppia rispetto alla sua lunghezza focale, il rapporto di riproduzione è di 1:1 cioè il soggetto è riprodotto nelle sue dimensioni reali, oltre questo limite si entra nel campo della macro o micro fotografia. La profondità di campo nitido aumenta con la chiusura del diaframma perché la dimensione dei cerchi di confusione prodotti dai punti fuori fuoco, diminuisce progressivamente con la riduzione dell’apertura relativa dell’obiettivo (Andreas Feininger, Il libro della fotografia, Milano 1970) La messa a fuoco avviene per piani, se l’obiettivo è regolato su una certa distanza, tutti i soggetti posti a quella distanza, cioè sul quel piano, saranno nitidi, i soggetti più vicini o più lontani saranno progressivamente meno nitidi. Se fotografiamo perpendicolarmente un soggetto bidimensionale ad esempio un quadro o un disegno, basta regolare l’obiettivo sulla distanza che intercorre tra il piano pellicola e il piano del disegno per avere tutto perfettamente nitido. Se invece fotografiamo un soggetto tridimensionale (la maggioranza delle riprese fotografiche) questo non sarà posto su di un unico piano, ma su tanti piani in relazione alla sua estensione in profondità. Nell’immagine proiettata sul piano pellicola, l’obiettivo disegnerà un insieme di punti nitidi per il piano messo a fuoco, ed un insieme di cerchi più o meno grandi (cerchi di diffusione o confusione), per i piani posti più vicini o più lontani da quello della messa a fuoco. La profondità di campo nitido dipende principalmente da tre fattori: dalla distanza del soggetto, dalla lunghezza focale e dalla chiusura del diaframma dell’obiettivo. I cerchi di diffusione (prodotti dai punti del soggetto che si trovano su piani diversi da quello su cui è regolata la messa a fuoco), saranno riprodotti più piccoli e saranno visti dall’occhio umano come punti, perciò nitidi, più sarà distante il soggetto, più sarà corta la focale, più chiuso sarà il diaframma e viceversa. La nitidezza, altro elemento fondamentale per la riuscita della fotografia, è determinata oltre che dalla corretta messa a fuoco dell’immagine del soggetto inquadrato sul piano pellicola (con la regolazione dell’elicoide dell’obiettivo o con lo spostamento micrometrico dei corpi mobili nei banchi ot- 11 Variando la distanza di ripresa cambia la prospettiva. La scultura viene riprodotta nella stessa grandezza pur variando la distanza di ripresa, ma lo sfondo sembra avvicinarsi man mano che viene aumentata la focale degli obiettivi da 50, 120, 250, 500 mm. In questo caso non cambia solo la prospettiva, ma anche il rapporto delle grandezze fra il primo piano e lo sfondo. (Ernst A. Weber, La foto, Roma 1989) Dopo alcune informazioni tecniche qualche suggerimento pratico, la fotografia di un soggetto architettonico è quasi esclusivamente quella di un soggetto statico, perciò non sono giustificati errori, nella ripresa fotografica, dovuti alla fretta, non si deve cogliere l’attimo fuggente. La fotografia deve essere posata, valutare e ragionare con calma, utile è anche prendere appunti sui vari parametri e regolazioni usate per fare la fotografia, una volta sviluppata e o stampata potremo, appunti alla mano, capire se e dove abbiamo sbagliato, fare esperienza, gli errori se correttamente valutati insegnano. Bisogna valutare la luce, la sua direzione, laterale, frontale o controluce, la sua intensità, per capire quanto profonde saranno le ombrre sul soggetto, se possibile scegliere l’ora più adatta per eseguire la ripresa, sapendo che tici), da altri fattori: la profondità di campo nitido che viene incrementata con la chiusura del diaframma; la sfocatura da movimento provocata dal movimento del soggetto e/o da quello della fotocamera; la risolvenza dell’obiettivo e della pellicola cioè la capacità di riprodurre i particolari più fini. Per ovviare alla sfocatura provocata dal movimento del soggetto, si ricorre alla scelta di un tempo di otturazione rapido; per evitare la sfocatura provocata dal movimento della fotocamera, chiamato anche micromosso, si ricorre all’uso di un supporto stabile e robusto come il cavalletto o treppiede al quale fissare saldamente la fotocamera, in modo tale da renderla statica e con l’uso dello scatto flessibile o dell’autoscatto evitare la più piccola vibrazione. 12 Soggetto originale Distorsione a barilotto Distorsione a cuscinetto Esempi dimostrativi di distorsione (Ansel Adams, La fotocamera, Bologna 1989) L’uso del paraluce consente di eliminare i raggi di luce che danneggerebbero l’immagine con la loro riflessione sulle lenti (Alexander Spoerl, Tutti i segreti della fotografia, Milano 1974) per riprodurre i dettagli più fini del soggetto e i particolari dell’ornato, una luce non diretta ma velata, morbida, con ombre deboli, come quella data da un cielo velato o poco nuvoloso, è la migliore, al contrario una luce forte, laterale o radente, amplificherà l’effetto rilievo anche delle superfici più uniformi e lisce come quelle del cemento armato o dell’intonaco. Inoltre se adoperiamo pellicola a colori dobbiamo anche valutare le caratteristiche cromatiche della luce: al variare delle ore durante la giornata e delle condizioni atmosferiche, varia anche la risposta cromatica della pellicola, ad esempio col cielo coperto avremo una luce più fredda e al tramonto più calda rispetto a quella delle ore centrali col cielo sereno. Le pellicole a colori per luce diurna sono tarate intorno ai 5400° Kelvin, che corrispondono alla luce del sole nelle ore centrali della giornata e alla luce del flash elettronico, quelle per luce artificiale sono tarate sui 3200°-3400° che corrispondono alla luce delle lampade survoltate tipo nitraphot o alogene. Se la temperatura della luce che illumina il soggetto non corrisponde a quella della pellicola in uso, saranno evidenti sulla pellicola delle dominanti di colore tendenti o al blu o al rosso, che possono essere corrette ricorrendo ai filtri di conversione e/o di correzione. La pellicola B/N risente in minima parte di questi effetti cromatici, le fotocamere digitali in genere hanno la possibilità di bilanciare il bianco. Ricorrere all’utilizzo del flash è sempre sconsigliato, anche per le fotografie di interni poco illumiinati, perché la luce del flash è poco controllabile, di scarsa portata 3-5 m e non uniforme, meglio utilizzare la luce ambiente o l’illuminazione delle lampade. Bisognerebbe sempre scegliere, per ogni soggetto, l’obiettivo di maggior lunghezza focale, il cui angolo di campo consenta la sua inquadratura totale, per poter sfruttare al massimo il formato pellicola. Gli obiettivi a focale variabile (zoom), molto usati nel 35 mm, sarebbero utili ma la loro complessa costruzione ottica, implica spesso una minore correzione della distorsione, che in alcuni modelli varia da quella a barile a quella a cuscino, o viceversa, al variare della focale, rendendo questo tipo di obiettivo poco utilizzabile per la fotografia di architettura, dove la riproduzione corretta delle linee verticali e orizzontali è fondamentale.5 Valutare le caratteristiche del soggetto e le sue dimensioni, l’intensità e la direzione della luce che lo illumina, individua- temperatura del colore °k luce naturale luce artificiale 10000° 9000° 8500° cielo azzurro luce al nord 8000° 7500° cielo nuvoloso 7000° 6200° cielo sereno sole intenso 6000° 5400° flash elettronico 5000° 4600° alba e tramonto 4000° 3750° luna 3000° 3200° lampada alogena 2900° lampada 100-200W 2000° 1900° candela 1000° Temperatura del colore espressa in ° Kelvin della luce diurna e artificiale (Guglielmo Izzi, Francesco Mezzatesta, La natura, Milano 1986) 13 Scala distanze Profondità di campo Diaframmi Tempi di otturazione Profondità di campo Distanza iperfocale Messa a fuoco all’infinito Profondità di campo 1/2 distanza iperfocale Determinazione della distanza iperfocale usando la scala della profondità di campo in un obiettivo per fotocamera Hasselblad, e schema illustrativo della distanza iperfocale (Ansel Adams, La fotocamera, Bologna 1989) Messa a fuoco sulla distanza iperfocale re la miglior posizione di ripresa sapendo che il rapporto prospettico dei volumi è determinato dalla distanza. Posizionare il treppiede, che deve essere il più solido e più robusto possibile, in modo tale che appoggi bene sul terreno o sul pavimento, metterlo a livella con la regolazione dell’estensione delle gambe così che la testa possa ruotare in piano, fissare la fotocamera sulla testa del treppiede e controllare l’inquadratura nel mirino. Per valutare la profondità di campo, mettere a fuoco il piano più vicino del soggetto e controllare la distanza riportata sull’elicoide, poi mettere a fuoco il piano più lontano e controllarne la distanza, quindi posizionare l’elicoide della messa a fuoco sulla distanza intermedia e verificare sulla scala degli indici di profondità a quale diaframma corrisponde l’intervallo tra le due misurazioni, oppure valutare visivamente sul vetro smerigliato del mirino, se la fotocamera lo consente, l’estensione della profondità di campo chiudendo il diaframma. Misurare con un esposimetro l’intensità della luce e il rapporto tra le zone più luminose e quelle in ombra con più misurazioni, quindi scegliere la coppia tempo-diaframma più idonea. In mancanza di un esposimetro fotoelettrico, si può valutare approssimativamente l’esposizione basandosi sul foglietto illustrativo allegato alla pellicola, che indica dei valori tempo-diaframma per le principali situazioni di ripresa, pieno sole, sole velato, cielo nuvoloso ecc. Utilizzare il paraluce dell’obiettivo e o uno schermo, per evitare che raggi di luce indesiderata colpiscano le lenti producendo riflessi e aloni sulla pellicola, scattare la fotografia col comando flessibile ed annotare le regolazioni ed i parametri utilizzati. Se con un’unica ripresa non è possibile riprendere l’intero soggetto, per l’estensione delle sue dimensioni, si può eseguire una serie di fotografie, cercando di mantenere sempre la stessa distanza, cioè spostandosi in linea parallela al soggetto stesso, e in modo tale da inquadrare, di volta in volta, circa un terzo dell’immagine precedente, per poter rimontare in seguito, l’intera sequenza, come se fosse una sola immagine. Un’altra possibilità è quella di eseguire una serie panoramica di riprese fotografiche, per esempio per foto- grafare i prospetti degli edifici di una piazza, si deve posizionare la fotocamera, possibilmente al centro della piazza stessa, su di un solido treppiede messo perfettamente a livella, quindi eseguire la serie di riprese, ruotando in piano la testa del treppiede, solidale con la fotocamera, secondo l’angolo di copertura dell’obiettivo in uso, o, come nel caso descritto prima, sovrapponendo ogni volta una parte dell’inquadratura precedente. Se dovessi consigliare un’attrezzatura fotografica, indicherei come più pratica e versatile quella comprendente una fotocamera reflex 35 mm manuale e meccanica, magari di tipo professionale, facente parte di un sistema, (personalmente conosco ed apprezzo il sistema Nikon della serie F, ma altre attrezzature sono ugualmente valide), corredata da un obiettivo normale 50 mm meglio se di tipo macro, utile per le riproduzioni di disegni ed altro, un medio grandangolare 35 mm o 28 mm preferibilmente di tipo decentrabile, tutti muniti di paraluce, un vetrino di messa a fuoco con reticolo ortogonale, un esposimetro esterno con la possibilità di leggere la luce incidente, un buon treppiede, una livella a bolla e uno scatto flessibile. Purtroppo questo tipo di fotocamere sono sempre più rare nei cataloghi, ma nel mercato dell’usato sono di faci6 le reperibilità con molti accessori ed obiettivi. 1 Cfr. Andreas Feininger, Il libro della fotografia, Milano 1970. Cfr. Günter Osterloh, Leica M. Alta scuola di fotografia, Milano 1991. 3 La quantità di luce trasmessa dall’obiettivo è proporzionale all’area della sua apertura cioè al quadrato del diametro (ad esempio un diaframma f:4 è il doppio di un diaframma f:8 ma la quantità di luce trasmessa è il quadruplo), perciò la sequenza di valori f-stop è suddivisa in valori intermedi che tengono conto dell’incremento di fattore 1,414 che è la radice quadrata di 2, poiché la trasmissione della luce dipende dall’area del diaframma. Cfr. Ansel Adams, La fotocamera, Bologna 1989, Andreas Feininger, op. cit. 4 Cfr. Ansel Adams, op. cit., Andreas Feininger, op. cit. 5 Cfr. Alfredo Ornano, Il libro della foto, Milano 1952; Ansel Adams, op. cit.; Günter Osterloh, op. cit.. 6 Per un maggiore approfondimento sugli argomenti trattati può essere utile la consultazione, oltre a quelli già citati, dei seguenti testi di tecnica fotografica: Maurizio Capobussi, Giuliana Scimè, Fotografo, Milano 1984; S. Guida, Il nuovo fotolibro, Milano 1955; Guglielmo Izzi, Francesco Mezzatesta, La natura, Milano 1986; Alexander Spoerl, Tutti i segreti della fotografia, Milano 1978; André Thévenet, N. Bau, Il libro completo dei piccoli formati, Milano 1965; Ernst A. Weber, La foto. Come si compongono e come si giudicano le fotografie, Roma 1989. 2 14