Istituto MEME: Consulenza Tecnica Psicologica nei casi di

Istituto MEME
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
Consulenza Tecnica Psicologica nei casi di
separazione o divorzio giudiziali
con presenza di figli minori in famiglia
Scuola di Specializzazione: SST in Scienze Criminologiche
Relatore: dr.ssa Roberta Frison
Tesista Specializzando: dr.ssa Claudia Silvia
Sparpaglione
Anno di corso: Secondo
Modena: 7 settembre 2013
Anno Accademico: 2012 - 2013
ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES
Claudia Silvia Sparpaglione – SST in Scienze Criminologiche A.A. 2012 – 2013 (secondo anno)
INDICE
INTRODUZIONE
Pag. 4
Capitolo I. LA CONSULENZA GIUDIZIALE
1.1 Definizione e caratteristiche generali
Pag. 6
1.2 La Perizia
Pag. 6
1.2.1 La Perizia Psichiatrica
Pag. 7
1.3 La Consulenza Tecnica
1.3.1 La Consulenza Tecnica d'Ufficio (CTU)
Pag. 9
1.3.2 La Consulenza Tecnica di Parte (CTP)
Pag. 12
1.3.3 La Consulenza Tecnica Psicologica
Pag. 13
Capitolo II. LA TUTELA DEL MINORE IN CASO DI SEPARAZIONE
O DIVORZIO
2.1 La condizione di rischio in età evolutiva
Pag. 18
2.1.1 L'interesse del minore: quadro normativo e risorse operative
Pag. 20
2.1.2 L'affido dei figli in caso di separazione o divorzio conflittuale
Pag. 21
2.2 La Consulenza Tecnica psicologica nei casi di separazione e
divorzio
2.2.1 Le ipotesi di lavoro
Pag. 24
2.2.2 Il contatto con il Tribunale
Pag. 25
2.2.3 L'incontro con la famiglia
Pag. 26
2.3 Un esempio di test grafico-proiettivo: il Blacky Pictures
Pag. 27
2.4.1 Fasi della somministrazione
Pag. 28
2.4.2 Parametri evolutivi indagati
Pag. 29
2.4.3 Una tavola esemplificativa
Pag. 32
___________________________________________________________________
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Capitolo III. UN CASO ESEMPLIFICATIVO
3.1 Un caso di separazione giudiziale: il caso di Chiara
Pag. 34
3.1.1 Il quesito del giudice
Pag. 34
3.1.2 Metodologia di svolgimento dell'indagine
Pag. 34
3.1.3 Elementi della storia della coppia
Pag. 35
3.1.4 Elementi emersi durante gli incontri con i genitori
Pag. 35
3.1.5 Chiara
Pag. 37
3.1.6 Disegno spontaneo
Pag. 37
3.1.7. The Blacky Pictures
Pag. 38
3.1.8 Considerazioni conclusive
Pag. 39
3.1.9 Risposta al quesito
Pag. 40
CONCLUSIONI
Pag. 41
BIBLIOGRAFIA
Pag. 43
SITOGRAFIA
Pag. 44
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INTRODUZIONE
Ciò che mi ha spinta ad intraprendere questo lavoro di tesi è stato un personale interesse
nei confronti dell’ambiente giudiziario, per le norme che lo sorreggono, per la tipologia
degli obiettivi che si pone e per le dinamiche che in esso hanno luogo, dinamiche e
intenti in parte differenziati da quelli che ho avuto modo di sperimentare all'interno del
mio ambito di studi e di lavoro, di matrice, quindi, psicologica e sociale: in particolar
modo, ho sempre trovato affascinante l'apparente antitesi dei concetti di verità clinica
(ovvero ciò che il paziente, soggettivamente, percepisce del mondo esterno ed i
significati che attribuisce ai propri vissuti) e verità giudiziaria (ossia ciò che, il più
oggettivamente possibile, risponde alla domanda: “come si sono svolti i fatti?”, in
termini di relazioni lineari di tipo causa-effetto), dove il primo concetto è attinente al
gergo psico-sociale e guida l'azione dello psicologo clinico sottolineando l'orientamento
probabilistico delle scienze psicologiche, mentre il secondo appartiene all'ambito
giudiziario, esprime chiaramente le esigenze di decidibilità proprie del diritto ed orienta
le azioni e le valutazioni del Giudice e del Pubblico Ministero.
In realtà, anche se la decidibilità e la probabilità sono contesti di significato fortemente
caratterizzanti le due aree, questi due concetti così apparentemente distanti talvolta si
intersecano, si incontrano e, per arrivare ad uno di loro, bisogna necessariamente
indagare l'altro, pur tenendo in dovuta considerazione il fatto che il rapporto tra
probabilità e certezza rappresenta sovente un oggetto di incontro problematico tra
psicologia e diritto, soprattutto a causa di punti di osservazione e modalità interpretative
differenti.
Così, se lo psicologo clinico, per meglio comprendere le dinamiche interiori ed il
funzionamento del proprio paziente, non può e non deve accantonare il reale contesto
bio-psico-sociale nel quale tale soggetto è inserito e deve cercare di capire con ordine e
metodo come si siano realmente svolti alcuni fatti salienti della vita del paziente
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(talvolta aiutato dalla realtà storica del periodo raccontato dal soggetto), allo stesso
modo anche il Giudice -sovente assistito da un Consulente Tecnico- può trovarsi nella
condizione di dover approfondire i vissuti soggettivi ed alcuni specifici elementi di
personalità dei soggetti o dei membri delle famiglie in analisi: tale necessità diventa
particolarmente pregnante nei casi di separazione giudiziale dei coniugi con presenza di
figli minori in famiglia, dove il compito del giudice
consiste nel dover stabilire
primariamente se alcuni elementi della personalità e delle caratteristiche personali e
caratteriali dei coniugi possano arrecare pregiudizio ai minori, e secondariamente se la
relazione di suddetti minori con ognuno dei genitori, al fine di poter garantire loro una
collocazione idonea che non ne ostacoli il normale sviluppo psicofisico (presso uno od
entrambi i genitori, con domiciliazione prevalente oppure alternata).
Tali tematiche, che quindi percepisco non troppo distanti dal mio campo teorico e
applicativo, mi hanno spinta a voler comprendere maggiormente questo ambito.
Il primo capitolo del presente elaborato si sofferma in particolare sulla definizione e le
caratteristiche generali e specifiche della consulenza giudiziale, facendo un affondo sui
concetti di Perizia, Consulenza Tecnica e Consulenza Tecnica Psicologica al fine di
evidenziarne differenze e similitudini.
Il secondo capitolo verte sul tema della tutela del minore in caso di separazione o
divorzio dei genitori, con riferimento a concetti inerenti al “migliore interesse del
minore” ed alle diverse tipologie di affido intrafamiliare del minore.
Il terzo e ultimo capitolo riassume il percorso giudiziario intrapreso da una coppia in
fase di separazione giudiziale, con presenza, in famiglia, di una figlia minore in età prescolare.
L'obiettivo principale è stato quello di mettere a fuoco i punti salienti dell'indagine volta
ad accertare quale configurazione familiare possa garantire alla bambina un maggior
stato di benessere, anche all'interno di cornice contestuale destabilizzante come quella
della separazione altamente conflittuale dei genitori.
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CAPITOLO I
LA CONSULENZA GIUDIZIALE
1.1. Definizione e caratteristiche generali
La consulenza giudiziale1 è un tipo specifico di consulenza che, nell'ambito di un
processo, può essere disposto o d'ufficio da un giudice o richiesta dalle parti, al fine di
accertare alcuni fatti o verificare alcune situazioni che necessitino di interventi tecnici
da parte di soggetti esperti nel settore oggetto di giudizio.
Ogni volta che il giudice, ai fini della decisione, necessita del giudizio di un esperto data
la vertenza del contendere su particolari cognizioni scientifiche, può richiedere
l'intervento di un perito, ossia di una persona competente ed esperta nella materia
oggetto di giudizio (art. 61 c.p.c.).
Tale intervento da parte di un esperto può essere richiesto sia in abito penale che in
ambito civile: nel primo caso l'esperto prende il nome di perito ed effettua una perizia;
nel secondo caso l'esperto è un Consulente Tecnico d'Ufficio (CTU) quando è nominato
dal giudice, o un Consulente Tecnico di Parte (CTP) quando è nominato da una delle
due parti.
1.2. La Perizia
Viene definita Perizia una dichiarazione giurata che, durante il processo penale, è
ritenuta utile per la valutazione di un elemento di prova dell'imputazione, o per i fini del
procedimento di esecuzione; tale perizia è richiesta dal magistrato ed è a lui resa da
esperti (o periti) circa osservazioni tecniche eseguite per incarico dell'Autorità
Giudiziaria precedentemente o durante il processo.
L'oggetto della perizia può riguardare fatti, persone o cose osservabili anche dopo la
perpetuazione del reato, ed è ammessa ogni qualvolta occorra svolgere indagini o
1
V. Cigoli, L. Pappalardo, “Divorzio coniugale e scambio generazionale: l'approccio sistemicorelazionale alla Consulenza Tecnica d'Ufficio”, Terapia Familiare n. 53, 1997.
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acquisire dati o valutazioni che richiedano specifiche competenze tecniche, scientifiche
o artistiche, come specificato nell'art. 220 del Codice di Procedura Penale.
Il compito del perito è quello di indagare e far conoscere la realtà clinica dei fatti,
mentre è tenuto a mantenere il segreto su tutte le operazioni peritali e può utilizzare le
informazioni chieste all'imputato, alla parte offesa o ad altre persone implicate
nell'accaduto solo ai fini dell'accertamento peritale.
1.2.1. La Perizia Psichiatrica
La consulenza psichiatrica2 è una specifica tipologia di consulenza ed è messa a
disposizione del giudice da parte di una persona esperta in materia di psicopatologia e
igiene mentale nel campo psichiatrico – ossia dallo psichiatra forense – quando la
decisione giudiziale debba essere determinata non solo da un processo logico
d’interpretazione di una norma e dalla sua applicazione nel caso concreto, ma anche
dall’accertamento di determinati fatti e dalla conoscenza di particolari nozioni tecniche
nel campo psichiatrico.
Nel processo penale, la perizia psichiatrica costituisce un mezzo di prova di cui il
giudice può avvalersi, anche d’ufficio, e, dopo la nomina con ordinanza motivata e il
conferimento dell’incarico da parte del giudice, il perito può procedere immediatamente
ai necessari accertamenti e rispondere ai quesiti posti dal giudice con parere raccolto nel
verbale; se non è possibile un’immediata risposta per la complessità dei quesiti, il perito
può chiedere al giudice un termine e l’autorizzazione alla presentazione di una relazione
scritta.
Generalmente vengono poste tre tipologie di quesito al perito:

Accertamento dell'eventuale vizio di mente, ovvero la capacità
d’intendere e di volere dell’imputato e la sua condizione psicofisica al momento
del fatto reato, come specificato negli art. 85 (capacità di intendere e di volere),
88 (vizio totale di mente) e 89 (vizio parziale di mente) del c.p.;

2
La capacità di cosciente partecipazione al processo dell'imputato, ossia la
Abazia L. (a cura di), “La perizia psicologica in ambito civile e penale. Storia, sviluppi e pratiche”,
Franco Angeli, Milano, 2009.
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capacità di comprendere pienamente finalità e metodi del processo in cui è
coinvolto;

La presenza e persistenza della pericolosità psichiatrica dell'imputato,
laddove venga riconosciuta la non-imputabilità del reo.
Ad eccezione di quanto è previsto ai fini dell’esecuzione della pena o della misura di
sicurezza, non sono ammesse perizie psichiatriche per stabilire l’abitualità o la
professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità
dell’imputato e, in genere, le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche (art.
220, comma 2, c.p.p.).
Nello specifico, la Perizia Psichiatrica in ambito penale può essere disposta nei
confronti di diversi soggetti:



L'autore di reato, per stabilire:

l'imputabilità (artt 85, 88 e 89 c.p.);

la pericolosità sociale (art. 203 c.p.);

la capacità di stare in giudizio;

l'infermità di mente sopraggiunta (artt. 70, 71, 73 c.p.p.);

gli arresti domiciliari (artt. 284 e 286 c.p.p.);

la libertà provvisoria (artt. 275 co 4, c.p.p.).
Il detenuto (condannato), per stabilire:

l'infermità di mente sopraggiunta (artt. 148 c.p.);

la pericolosità sociale (artt. 203 c.p.);

la detenzione domiciliare (artt. 48 ter legge 354/75).
L'internato in O.P.G. (Ospedale Psichiatrico Giudiziario), per stabilire:

l'infermità psichica sopraggiunta (artt. 212 c.p.);

la pericolosità sociale (artt. 203 c.p.);

il riesame del Giudizio di pericolosità sociale (art. 208 c.p. e art.
69 legge 354/75).
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
La vittima nei reati contro la libertà sessuale (“delitti contro la libertà
personale”) per stabilire l'eventuale presenza di:

malattia mentale

inferiorità psichica (condizione psichica che rende il soggetto
passivo rispetto al soggetto attivo nell'incapacità di resistergli);


inferiorità fisica (relativa o assoluta).
La vittima di circonvenzione di incapace (art. 643 c.p.), per stabilire
l'eventuale presenza di:

infermità psichica;

deficienza psichica (minorazione notevole e clinicamente
accertabile della capacità di intendere e di volere di un soggetto, dovuta a
cause non morbose tale da concretizzarsi in una specifica, notevole
consistente e dimostrabile condizione di inferiorità psichica);


Il testimone, al fine di valutare:


riconoscibilità della condizione di circonvenibilità.
l'attendibilità della testimonianza (artt. 194 e 207 c.p.p.).
Il minore, per stabilire:

l'imputabilità (artt. 85, 88 e 89, c.p);

l'attendibilità della testimonianza (artt. 194 e 207 c.p.p.);

la pericolosità sociale (art. 203 c.p.).
1.3. La Consulenza Tecnica
1.3.1. La Consulenza Tecnica d'Ufficio (CTU)
Il consulente tecnico d'ufficio (o CTU)3 svolge la funzione di ausiliario del giudice
lavorando per lo stesso in un rapporto strettamente fiduciario nell'ambito delle rigide e
3
Quadrio, A., Rivolta M., “Aggiornamenti di psicologia giuridica”, EDU Catt Università Cattolica del
Sacro Cuore, 2007, pp. 38-41.
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precise competenze definite dal Codice di Procedura Civile.
Scopo del CTU è quello di rispondere in maniera puntuale e precisa ai quesiti che il
giudice formula nell'udienza di conferimento dell'incarico e di relazionarne i risultati
nell'elaborato peritale che prende il nome di Consulenza Tecnica d'Ufficio, e l'autore di
tale elaborato può essere chiamato dal Tribunale per fornire ulteriori chiarimenti o
fugare eventuali dubbi del giudice che l'ha nominato e incaricato (tali chiarimenti
possono essere forniti verbalmente o per iscritto).
Qualunque sia il caso nel quale è richiesto l'intervento del CTU, questi deve assolvere
un compito fondamentale: tutelare il contraddittorio, ovvero consentire alle Parti (e/o
rispettivi Procuratori e/o rispettivi Consulenti Tecnici di Parte o CTP) di far valere le
proprie ragioni.
Deve inoltre rispondere ai quesiti posti dal giudice, motivando ampiamente dal punto di
vista tecnico le risposte che presenta.
Nella relazione, dopo una prima parte concernente un esame tecnico, ove si indicano
quindi i dettagli minuti, si formulano usualmente delle risposte "sintetiche" alle
domande poste, in modo analogo alle Sentenze del Tribunale.
In particolare, è importante che il CTU faccia sempre riferimento a dati certi,
verificabili e ritualmente prodotti in atti: è precluso (se non dietro espressa
autorizzazione del Tribunale) acquisire elementi agli atti non già versati dalle parti; si
tratta di un limite analogo a quello previsto per il Tribunale, il quale decide sugli
elementi ritualmente utilizzabili.
Il CTU dunque, in qualità di "tecnico ausiliario" del giudice, fondamentalmente deve:

prestare giuramento al Giudice;

ascoltare e rispondere ai quesiti effettivamente posti.
Nel caso sorgano questioni, ad esempio in riferimento all'interpretazione del
quesito, il consulente deve farle dirimere direttamente al Tribunale,
eventualmente sentite le Parti in Udienza;

compiere le indagini commesse dal Giudice ed essere assolutamente
obiettivo nell’espletamento dell’incarico, differenziando i fatti dalle opinioni: è
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possibile infatti che il CTU - quando richiesto - esprima valutazioni e
considerazioni soggettive;

operazionalizzare le variabili in esame, ossia attribuire uguale valore a
variabili del tutto similari ed ascoltare e valutare le argomentazioni delle Parti
utilizzando strumenti quanto più possibile oggettivi;

confrontarsi con i rispettivi consulenti di parte, se nominati, instaurando
un dialogo costruttivo;

chiedere eventualmente al giudice come agire qualora si verifichino
circostanze non previste al tempo del conferimento dell'incarico (ad esempio,
spese considerevoli da sostenere per l'incarico e per eventuali indagini);

richiedere, eventualmente, un cosiddetto "ausiliario", fermo restando che
la responsabilità integrale delle conclusioni rassegnate nella relazione finale è
solo e solamente del CTU nominato dal giudice;

redigere una relazione denominata perizia o consulenza tecnica e,
consuetamente, fornirne una copia ai Consulenti Tecnici di Parte.
Dopo una procedura di accertamento dei requisiti morali e dell'esperienza professionale
quale ad esempio l'iscrizione da un congruo periodo di tempo presso l'albo degli esperti
delle Camere di Commercio o ad un Ordine o Collegio professionale, i Consulenti
Tecnici d'Ufficio sono iscritti all'interno di specifici albi, suddivisi per categorie (ad
esempio: psicologi, psichiatri, architetti, ingegneri, geologi, agronomi, periti industriali,
geometri, interpreti traduttori, biologi, grafologi, ecc) tenuti dai tribunali.
Il giudice, trattandosi di un ausilio tecnico per il quale è fondamentale il rapporto
fiduciario, ha la facoltà di nominare CTU anche se tali esperti non sono compresi e/o
iscritti presso l'Albo del Tribunale, a patto che ne motivi il ricorso anche sinteticamente
(spesso si usa la formula "noto all'Ufficio"): in questo caso, il Consulente chiamato dal
Giudice non è obbligato ad accettare l'incarico e può rinunciarvi anche in assenza di
particolari motivi.
Il Consulente Tecnico d'Ufficio, se nominato dal Giudice tra gli esperti iscritti all'Albo,
è altresì obbligato a svolgere il mandato a meno che non ricorrano le particolari
motivazioni previste dal Codice di Procedura Civile per le quali lo stesso ha facoltà di
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rinunciare all'incarico (ad esempio, una valida motivazione può essere costituita
dall'avere un grado di parentela con una delle parti in causa, o di aver già prestato
l'opera di CTU in un precedente grado di giudizio nella stessa causa, ecc.).
E' uso frequente che il CTU, sempre su disposizione del Tribunale, esperisca un
tentativo di conciliazione tra le Parti e, soprattutto, invii una bozza delle sue conclusioni
ai Consulenti di Parte prima dello scadere del termine per il deposito in Cancelleria, i
quali, entro un termine preciso (spesso 15 giorni), possono presentare osservazioni cui il
CTU darà conto nella sua relazione finale.
1.3.2. La Consulenza Tecnica di Parte (CTP)
La consulenza giudiziaria può prevedere l'intervento di altri professionisti che svolgono
la propria opera per le parti in causa: tali esperti prendono il nome di Consulenti di Parte
(CTP)4.
Il consulente tecnico di parte è un libero professionista operante in un determinato
campo tecnico/scientifico, al quale una parte in causa -attuale o potenziale- conferisce
un incarico peritale in quanto ritiene l’incaricato un esperto in uno specifico settore.
Non esistono tuttavia particolari preclusioni o indicazioni, nel codice di procedura
civile, con riferimento ai CTP: talvolta vengono nominati dipendenti stessi di una Parte.
Quindi, se un soggetto è coinvolto in una causa pendente o intende intraprenderne una
(e questo è il caso dell’accertamento tecnico preventivo) incarica una persona di propria
fiducia affinché questa affianchi il consulente tecnico d'ufficio nominato dal giudice
nell’esecuzione del suo incarico e svolga le proprie osservazioni a supporto o critica del
risultato al quale giunge il perito nominato dal giudice.
L'articolo 201 del codice di procedura civile prevede che il giudice istruttore, con
l'ordinanza di nomina del consulente, assegni alle parti un termine entro il quale
possono nominare, con dichiarazione ricevuta dal cancelliere, un loro consulente
tecnico.
Il consulente della parte, oltre ad assistere a norma dell'articolo 194 alle operazioni del
4
De Leo G., Patrizi P., “Psicologia giuridica”, Società editrice Il Mulino, Bologna, 2002.
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consulente del giudice, partecipa all'udienza e alla camera di consiglio ogni volta che vi
interviene il consulente del giudice, per chiarire e svolgere, con l'autorizzazione del
presidente, le sue osservazioni sui risultati delle indagini tecniche.
In questo modo ciascuna parte in causa, di fronte alla nomina di un ausiliario tecnico da
parte del giudice (il CTU infatti aiuta il giudicante nella risoluzione di problemi
tecnico/scientifici ai fini della decisione della controversia), può essere difesa in modo
appropriato in ragione della specificità delle osservazioni che il CTU, auspicabilmente,
porterà all’attenzione dell’organo giudicante.
Il consulente di parte assume un ruolo fondamentale per la risoluzione di questioni che,
sempre più spesso, dipendono da valutazioni di carattere tecnico molto precise,
operando all’interno di un rapporto professionale completamente disciplinato dal diritto
privato.
L'incaricato dalla parte non deve necessariamente essere iscritto ad un albo
professionale poiché il rapporto tra la parte che lo nomina ed il consulente è, più che
altro, di natura fiduciaria.
È tuttavia usuale, nonché logico, che vengano nominati professionisti esperti per
tipologia di operazione (ad esempio psicologi, ingegneri, informatici, medici etc.).
La nomina di consulenti di parte è una facoltà delle Parti, e non costituisce un obbligo;
suddette parti possono partecipare, se lo desiderano, ad ogni esame ed operazione
peritale in prima persona.
Al contrario del consulente tecnico nominato dal giudice, il perito di parte non deve
prestare giuramento e non è tenuto a motivare il rifiuto di un incarico perché tutto ciò
rientra nelle sue piene facoltà.
Usualmente il CTP presenta osservazioni verbali e/o scritte al CTU il quale, tuttavia,
può non aderirvi; quest'ultimo deve comunque darne conto nella relazione depositata in
atti.
1.3.3. La Consulenza Tecnica Psicologica
Negli ultimi anni l’applicazione della Psicologia Giuridica all’interno della giustizia sta
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trovando sempre più spazio: con il termine “Psicologia Giuridica” s’intende quella
disciplina che fa del diritto e della giustizia il proprio oggetto di studio, ed i suoi
presupposti epistemologici rinviano alla complessità di considerare ed utilizzare la
Norma come criterio organizzatore di contesti dove si svolgono interazioni e dinamiche
psicologiche e sociali5 .
La peculiarità dell'accostamento diritto-psicologia definisce anche la tipicità dell'ambito
disciplinare e dei suoi interessi, che spaziano dalla riflessione sulla norma come valore
sociale codificato, all'analisi dei processi sociali e istituzionali che fondano il diritto e ne
orientano l'applicazione, allo studio dei problemi sui quali interviene la giustizia,
all'individuazione delle variabili, individuali, interpersonali e relazionali, che ne
costituiscono il contesto psicologico e sociale.
Per risalire alla nascita del connubio tra Psicologia e Diritto, si può forse arrivare alla
pubblicazione nel 1925, da parte di Enrico Altavilla, del testo Psicologia Giudiziaria6,
all’interno del quale l’autore sosteneva l’importanza oltre al diritto, di contributi
specifici di altre discipline quali la Psicologia, la Medicina Legale e la Psichiatria
trattando per la prima volta, ed in maniera squisitamente psicologica, argomenti quali la
testimonianza e la sua attendibilità, i processi mnestici legati alla testimonianza stessa,
la valutazione dell’autore di reato.
Nonostante l’opera di Altavilla abbia fornito una notevole spinta allo svilupparsi di una
collaborazione tra Diritto e Psicologia, per molti anni un clima di diffidenza e di
ostacolo ha impedito alla psicologia una reale applicazione nell’ambito del diritto: i
giuristi in primis si mostravano reticenti all’utilizzo di una disciplina relativamente
giovane in Italia ed ancora estremamente frammentaria, ricca di numerose e fumose
teorie, spesso in contrasto tra loro.
E’ con gli anni ’50 che si apre la strada verso una vera e propria collaborazione tra le
due discipline: nascono le prime istituzioni in ambito psicogiuridico, gli psicologi
vengono ammessi nei collegi dei tribunali per minorenni, nelle carceri trovano a poco a
poco posto i primi osservatori tenuti da esperti.
5
6
De Leo G., Patrizi P., “Psicologia giuridica”, società editrice Il Mulino, Bologna, 2002.
Altavilla E., “Psicologia giudiziaria”, Utet, Torino, 1925.
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Sebbene sia il Diritto che la Psicologia si occupino, ognuna a suo modo, del
comportamento umano, gli assunti di base su cui le due discipline si fondano sono
profondamente diversi: la Psicologia in quanto scienza descrittiva è interessata a
spiegare il comportamento umano, laddove il Diritto, scienza prescrittiva, si focalizza
sulla sua regolamentazione attraverso norme7.
La Psicologia Giuridica ha criteri scientifici e metodologici propri, diversi da quelli del
diritto, anche quando svolge, rispetto ad esso, funzioni probatorie ed ausiliarie. Quanto
appena detto fa chiaramente comprendere come la disciplina mantenga una sua
autonomia, attingendo dal proprio referente scientifico paradigmi, metodi di ricerca e
strumenti operativi, da applicare pur sempre a questioni inerenti il diritto.
De Leo8 definisce la Psicologia Giuridica come una disciplina applicativa di taglio
psico-sociale, che fa proprie competenze della psicologia clinica, della psicologia
dell’età evolutiva e della famiglia, della psicologia dei gruppi e delle organizzazioni,
nonché della psicologia cognitiva; una disciplina insomma in continua evoluzione sia in
termini di competenze che relativamente all’oggetto a cui viene applicata.
Lo psicologo giuridico è uno psicologo che utilizza gli strumenti diagnostici e di
intervento propri della psicologia e li applica a questioni inerenti il diritto, tenendo in
considerazione la complessità e l’interdisciplinarietà del contesto in cui opera; è
fondamentale, a tal proposito, che abbia seguito un percorso formativo specifico, che gli
consenta di conoscere le leggi e di contestualizzare i propri modelli interpretativi ed
operativi.
Data la continua e progressiva crescita della domanda di consulenti tecnici esperti, nel
2003 l’Ordine degli Psicologi ha avvertito la necessità di regolamentare la figura dello
psicologo giuridico, per evitare che lo si consideri, in maniera generica, uno psicologo
che risponde occasionalmente alle domande postegli dal diritto, piuttosto che un esperto
con una preparazione specifica.
Oggi lo psicologo forense è una figura capace di rivestire ruoli diversi, ed il suo
contributo viene generalmente richiesto quando si ritenga essenziale lo svolgersi di
7
8
Quadrio A., Castiglioni M., “Psicologia e diritto: interazioni concettuali”, in Quadrio A., De Leo G. (a
cura di), “Manuale di psicologia giuridica”, LED Milano, 1995.
De Leo G., “Psicologia della responsabilità”, Laterza, Bari, 1996.
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indagini condotte da una persona con specifiche competenze tecniche (art. 61 c.p.c., art.
220 c.p.p.).
Tecnicamente9, si parla di “Consulenza Tecnica” nel caso in cui lo psicologo operi in
ambito civile e di “Perizia” nel caso in cui operi in ambito penale; lo psicologo
giuridico nominato dal Giudice, viene indicato in ambito penale come “Perito” ed in
ambito civile come “Consulente Tecnico d’Ufficio” (CTU) mentre sia nel civile che nel
penale, se nominato non dal Giudice ma dal privato cittadino, l’esperto è indicato come
“Consulente Tecnico di Parte” (CTP).
In qualità di Perito o di Consulente Tecnico di Ufficio lo psicologo ha il compito di
acquisire informazioni sulle condizioni psicologiche e sulle risorse personali, familiari,
sociali e ambientali del soggetto o dei soggetti, al fine di fornire al Giudice elementi
ulteriori su cui basare la propria decisione.
Ciascuna delle parti in causa, una volta nominato dal Giudice un CTU, ha diritto di
nominare un proprio Consulente Tecnico di Parte, il cui ruolo è quello di assistere il
cliente valutando la correttezza metodologica dell’operato del CTU, producendo
ulteriore documentazione clinica ed elaborando osservazioni critiche da porgere
all’attenzione del Giudice.
Nel sistema civile la consulenza tecnica psicologica ha recentemente assunto un ruolo
sempre più importante, nonostante l’ancora forte presenza di figure prettamente
mediche, quali quelle dello psichiatra e del neuropsichiatra infantile.
La richiesta di consulenze tecniche in ambito civile riguarda prevalentemente questioni
di diritto di famiglia e di diritto del lavoro: lo psicologo è per lo più chiamato ad offrire
le sue competenze in relazione all’affidamento dei figli in casi di separazione e divorzio,
ad affidamenti extrafamiliari, alla valutazione dell’idoneità genitoriale, ma anche a
questioni relative al risarcimento di danno psichico ed esistenziale10.
Volendo scendere un po’ più nello specifico, generalmente nei casi di affido il giudice
può chiedere al consulente psicologo una valutazione dell’idoneità genitoriale e/o un
quadro globale delle dinamiche di coppia e di quelle tra genitori e figli; può necessitare
9
Abazia L. (a cura di), “La perizia psicologica in ambito civile e penale. Storia, sviluppi e pratiche”,
Franco Angeli, Milano, 2009.
10
Gulotta G. (a cura di), “Elementi di psicologia giuridica e di diritto”, Giuffrè, Milano, 2000.
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inoltre di indicazioni circa eventuali percorsi da far intraprendere ai soggetti nel
tentativo di far migliorare i loro rapporti o, ancora, di notizie circa il livello di benessere
del minore, l’ambiente in cui vive o la volontà del minore stesso in merito al suo
affidamento.
L’aumento di richieste di consulenze psicologiche da parte dei giudici, riflette, nei casi
appena citati più che in altri, i notevoli passi avanti fatti in termini di sensibilizzazione
rispetto al benessere individuale ed alla serena evoluzione della personalità dei soggetti,
specie se minori.
Per quanto concerne l’ambito penale, il lavoro dello psicologo giuridico è in questo caso
inerente per lo più la valutazione della capacità di intendere e di volere del soggetto in
questione e quindi l’imputabilità, la pericolosità sociale, la capacità di rendere
testimonianza e l’attendibilità della stessa.
Un intervento di questo tipo può essere richiesto anche in ambito penale minorile, nei
casi di maltrattamento ed abuso ad esempio; sempre per i minori può essere poi
richiesta una consulenza in una prospettiva futura, con l’obiettivo di valutare le misure
penali più adeguate da prendere, il reinserimento del minore in società o eventuali
interventi preventivi.
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CAPITOLO II
LA TUTELA DEL MINORE IN CASO DI SEPARAZIONE O
DIVORZIO
2.1. La condizione di rischio in età evolutiva
Il concetto di “rischio” in età evolutiva concerne le particolarità della condizione
minorile, ovvero della fascia d'età che va da 0 a 18 anni, gli specifici bisogni di
protezione e tutela del minore, ma soprattutto l'eventualità che alcune variabili di natura
personale, socio-relazionale o ambientale possano interferire con il naturale e atteso
procedere dell'iter della crescita, alterando quindi i percorsi di sviluppo in senso
deviante, carenziale o disfunzionale, ritardandoli oppure ostacolandoli11.
Va specificato che la condizione di rischio non è connessa in senso stretto o automatico
alla produzione di “danno” evolutivo, né comporta in maniera automatica un blocco o
una devianza nello sviluppo del minore: esiste, in letteratura, una duplice accezione del
concetto di “rischio” che può essere inteso tanto come ostacolo che come opportunità12.
In quest'ottica, diviene necessario cercare di comprendere le strategie psicologiche,
relazionali e sociali che possono venire in soccorso ai soggetti coinvolti per aiutarli a
non soccombere al disagio, assumendo invece un'ottica di “utilizzo”, di “valore” della
propria esperienza personale.
In termini generali, la condizione di rischio evolutivo concerne quelle situazioni in cui il
minore può perdere o vivere in maniera critica e carente la possibilità di far riferimento
a figure che lo proteggano e lo guidino durante il suo percorso di crescita psicofisica.
Ultimamente, però, parlare di un “modello familiare” in una società in continua
evoluzione è diventato una complicata sfida teorica, metodologica e di intervento: è
11
12
Artale E., http://www.studiovirtualedipsicologia.com/rischioetaevolutiva.html
Scabini E., “Psicologia sociale della famiglia”, Bollati Boringhieri, Torino, 1995.
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infatti innegabile che i profondi cambiamenti psicosociali abbiano condotto ad una
ristrutturazione del sistema familiare tradizionale rispetto a struttura, ruoli, norme e stili
relazionali13, ed è altrettanto innegabile, in un'ottica sistemica, ossia che sposta
l'attenzione dal singolo individuo ai sistemi che questo stesso individuo va ad abitare e
con i quali interagisce continuamente, che le condizioni di vita del minore all'interno
della famiglia (ovviamente non da sole, ma unite ad altre variabili contestuali, sociali ed
ambientali) possano incidere fortemente sul suo sviluppo, determinando diverse
capacità di disporre di adeguate competenze relazionali e delle risorse materiali atte a
proteggersi dalle eventuali situazioni di disagio.
Un criterio “sistemico” per descrivere quei contesti che possono risultare
potenzialmente problematici o patogeni in maniera conclamata è, in effetti, il criterio
della rigidità degli schemi interattivi e percettivi della realtà relazionale, da parte dei
membri che fanno parte di quel sistema interattivo e relazionale: il grado di flessibilità
all'interno di un sistema familiare incide, quindi, sulla capacità e sulla competenza nel
rispondere in maniera funzionale alle stimolazioni provenienti dal sistema stesso14.
La condizione di Rischio Evolutivo in cui può trovarsi un minore dipenderà, quindi, non
solo dalla presenza di specifiche problematiche personali e sociali all'interno del nucleo
familiare, ma anche dalle modalità di funzionamento relazionale che possono essere più
o meno funzionali, soprattutto nelle situazioni in cui la famiglia stia attraversando fasi
critiche non normative (e quindi non previste), come ad esempio quelle legate alla
separazione o al divorzio dei coniugi15.
La probabilità che ha il sistema familiare di ristrutturarsi di fronte a questi cambiamenti
è quindi strettamente collegata al grado di adattabilità dei membri e dell'intero sistema
di fronte a situazioni potenzialmente o francamente stressanti, ovvero nella capacità di
modificare o rinegoziare regole relazionali, ruoli e stili genitoriali (Olson, Russel e
Sprenkle, 1989).
13
Scabini E., P. P. Donati (a cura di), “Famiglie in difficoltà tra rischio e risorse”, Studi interdisciplinari
sulla famiglia, 1992.
14
Walsh, “Ciclo vitale e dinamiche familiari”, Ed. Franco Angeli, Milano, 1993.
15
Beavers, W. B., “Successful Families: Assessment and Intervention”, New York, W. W. Norton and
Company, 1990, trad. it. “La famiglia riuscita”, Roma, Astrolabio, 1992.
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2.1.1. L'interesse del minore: quadro normativo e risorse operative
Qualora venga riconosciuta una condizione di rischio evolutivo, la norma giuridica
interviene per salvaguardare l'interesse del minore.
Gli organismi giudiziari che tutelano questo interesse sono il Tribunale Ordinario Civile,
il giudice tutelare, ossia una figura del Tribunale Ordinario deputata alla protezione
degli interessi del minore o dei soggetti incapaci, e, infine, il Tribunale per i Minorenni;
con questo sistema complesso collaborano i servizi territoriali degli enti locali e quelli
del privato sociale.
Il concetto di interesse del minore si è costituito nel tempo, attraversando diverse fasi:

Una prima fase storica si è concentrata sulla gestione del minore,
percepito come un “adulto incompleto e incapace”: compito degli adulti, in
questa fase, era quello di controllare il minore.

Una seconda fase è riscontrabile nel passaggio dalla posizione adulto-
centrica che caratterizzava la prima fase al riconoscimento di una storia
personale e percepita come propria da parte del minore: in questo caso, all'adulto
spettava la funzione di protezione del minore seguendo un'ottica paternalistica.

Una terza fase si delinea assistendo al decisivo passaggio di impostazione
teorica e operativa che avviene con il riconoscimento delle specificità dell'età
evolutiva in relazione alle diverse fasi della crescita ed agli specifici bisogni e
compiti di sviluppo del minore.

Una quarta ed ultima fase comprende un cambiamento fondamentale: si
assiste alla nascita di un'ottica che comprende la valorizzazione delle
competenze, delle risorse e delle strategie funzionali messe in campo dal minore
stesso e concernenti la sua sfera cognitiva-emozionale; questo approccio ha
favorito la nascita di un nuovo modello educativo, non più associabile ad un
adulto che deve “guidare” dall'alto il minore, ma dove la protezione del bambino
viene attuata tramite un intervento di sostegno che ha l'obiettivo di potenziare le
sue competenze.
Importanti documenti relativi a quest'ultima fase e che stabiliscono punti fondamentali
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quale il diritto del minore di partecipare attivamente alle scelte che lo riguardano, quello
di essere ascoltato in maniera attiva dai suoi interlocutori adulti e quello di essere messo
in condizioni di agire sul proprio destino, sono:

la convenzione della Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, stipulata a
New York il 29 ottobre 1989.

la convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei minori, firmata a
Strasburgo il 25 gennaio 1996.
Perseguire l'interesse del minore significa quindi, oggigiorno, diffondere una prassi che
prediliga la strategia dell'interconnessione delle risorse e le competenze già esistenti e
attive, piuttosto che lavorare sulle carenze e limitazioni contestualmente rilevabili.
2.1.2. L'affido dei figli in caso di separazione o divorzio conflittuali
Gli orientamenti psico-giuridici precedenti al nuovo diritto di famiglia (legge 19 marzo
1975 n. 151) ed alla legge sul divorzio (legge 1° dicembre 1970 n. 898 e legge di
riforma del 1987, n. 74) connotavano in maniera inequivocabilmente negativa la
conflittualità di coppia che conduce ad uno scioglimento dell'assetto familiare.
Le nuove norme hanno rivisitato quest'ottica riconoscendo, in concomitanza alla
problematicità di un'eventuale rottura del nucleo familiare, la possibilità che tale frattura
venga affrontata in termini costruttivi e adattativi, in particolare nei confronti dei minori
presenti in famiglia.
Un punto focale del passaggio dalla precedente all'odierna concezione di “separazione e
divorzio” è rappresentato dall'abolizione della separazione per colpa, basata sul
presupposto che la frattura all'interno della coppia sia imputabile ad uno dei suoi
membri: attualmente, l'idea che la responsabilità sia di un solo membro della coppia ha
lasciato il passo alla concezione di fallimento della relazione16, con conseguente
necessità di un intervento mirato ad affrontarne le implicazioni permettendo un nuovo e
funzionale assetto familiare adottando un cosiddetto “atteggiamento riparativo”.
L'interruzione legale della coniugalità ha permesso di affermare la condizione di libertà
16
Cigoli V., Pappalardo L., “Divorzio coniugale e scambio generazionale: l'approccio sistemicorelazionale alla Consulenza Tecnica d'Ufficio”, Terapia Familiare n. 53, 1997.
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individuale; la legge stabilisce due possibili forme di separazione: quella consensuale,
che prevede un accordo dei coniugi in merito alla modalità di separazione ed alla cura e
mantenimento dei figli, e quella giudiziale, o conflittuale, in cui è possibile che i coniugi
non riescano ad accordarsi.
Il miglior interesse del minore viene chiamato in causa quando, in situazioni di
separazioni conflittuali, si ritenga necessario affrontare i provvedimenti relativi
all'affido dei figli ed alle modalità di frequentazione del genitore non
affidatario
(qualora l'affido sia esclusivo, ovvero a carico di un solo genitore).
In questo tipo di separazioni, il giudice, acquisiti tutti gli elementi, pronuncia una
sentenza che concerne gli argomenti rispetto ai quali i coniugi in conflitto non sono
riusciti a giungere ad un accordo, e per farlo può avvalersi di un esperto che compia una
perizia al fine di accertale la qualità della relazione genitoriale: non è infrequente, in
questi casi, che il conflitto coniugale venga agito anche o soprattutto sui figli, che
vengono in questo modo “triangolati” all'interno delle dinamiche genitoriali
disfunzionali e vengano coinvolti strumentalmente dai membri della coppia.
Nonostante le condizioni di rischio brevemente descritte, tuttavia, e pur non tralasciando
le complesse implicazioni psicologiche legate a cambiamenti così repentini ed
importanti all'interno del nucleo familiare, la letteratura mostra come i minori coinvolti
nel processo di separazione dei genitori siano tendenzialmente in grado di superare
positivamente queste esperienze, tanto da accrescere, in alcuni casi, le proprie
competenze relazionali.
Allo stesso modo, anche i genitori possono accrescere, a seguito di un adeguato
percorso professionale, le proprie competenze relative all'ascolto, al sostegno ed
all'accudimento del figlio17.
All'interno del panorama sociale, etico, morale ed interpersonale odierno, il minore si
trova ad attraversare un percorso di crescita che presenta un certo grado di incertezza ed
ambivalenza: è dunque essenziale che il bambino possa far riferimento ad entrambe le
figure genitoriali, sperimentando due differenti stili genitoriali complementari anche in
caso di separazione o divorzio dei coniugi, ovviamente laddove questo percorso risulti
17
Bodenmann G., Bertoni A., “Promuovere le competenze della coppia”, Carocci editore, 2004.
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essere fattibile e non controindicato18: un esempio di controindicazione potrebbe essere
rappresentato dalla messa in atto di misure cautelari coercitive personali nei confronti di
uno dei due coniugi, quale ad esempio l'allontanamento dalla casa familiare di uno dei
due coniugi a seguito di ripetuti episodi di maltrattamento fisico o psichico, o a seguito
di abuso di minore (art. 609-bis, violenza sessuale; 609-ter, circostanze aggravanti; 609quater, atti sessuali con minorenne; 609-quinquies, corruzione di minorenne), come
stabilisce l'art. 282 bis c.p.p..
Talvolta, dunque, accade che, in seguito alla separazione dei coniugi, il figlio venga
affidato in maniera prevalente ad uno dei due genitori, detto genitore "collocatario", che
quindi risulterà prevalente nella cura e nel mantenimento del minore.
Questo fenomeno può portare il bambino ad identificare il genitore collocatario come
unica figura di riferimento e ciò può ridurre la capacità dell'altro coniuge nell'affrontare
l'incertezza evolutiva del figlio: può accadere, infatti, che l'altro genitore abbia, col
tempo, difficoltà ad intervenire ed agire in modo efficace nella cura, educazione e
mantenimento del figlio.
Per questo motivo, negli ultimi anni, è stato massicciamente promosso il principio della
bigenitorialità, o genitorialità congiunta, partendo dal presupposto che la stabilità del
minore non è data unicamente dalla stabilità logistica (cioè il fatto che il minore sia
collocato presso una sola abitazione), ma anche e soprattutto dalla possibilità di poter
godere nella quotidianità, laddove possibile, della presenza equilibrata, complementare
e costante di entrambi i genitori, possibilmente all'interno di un clima conciliante e
aperto allo scambio d'opinioni.
Tale principio, che origina in definitiva dal presupposto che la relazione genitore-figlio
deve essere tutelata e mantenuta al di là della cessazione della convivenza dei genitori, è
alla base della nuova normativa dell'affido condiviso, ovvero la legge 8 febbraio 2006,
n. 54: prima di tale data, era previsto come regola l'affido esclusivo che limitava
l'esercizio della potestà genitoriale di un genitore (detto genitore non-affidatario) mentre
costituiva eccezione l'affido congiunto applicato se richiesto da entrambi i coniugi in
base alla normativa sul divorzio del 1970.
18
Greco O., Iafrate R., “Figli al confine”, Franco Angeli, Milano, 2001.
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L'affido condiviso è dunque oggi la forma di affidamento dei figli che si affianca
all'affidamento "congiunto", già previsto dalla precedente normativa, che non viene
abrogato, mentre non viene esclusa l'eccezione dell'affido a un solo genitore quando il
comportamento dell'altro genitore nei confronti del figlio sia contrario all'interesse del
minore stesso: solo in tal caso, potrà essere limitata la frequentazione (ma non la
potestà) di quel genitore.
Il conflitto tra i genitori, se questi singolarmente non si comportano in modo contrario
all'interesse del minore, la lontananza fisica dei due genitori e la tenera età del minore
non sono considerati validi motivi, di per sé, per l'affidamento esclusivo ad un solo
genitore19.
2.2 La Consulenza Tecnica psicologica nei casi di separazione e divorzio
2.2.1 Le ipotesi di lavoro
La radicalità del conflitto ed il valore, concreto e simbolico, della posta in gioco ovvero l'affidamento dei figli - sono quindi elementi che determinano il contesto in cui
va a collocarsi l'azione del giudice in quei casi dove la separazione è giudiziale e gli ex
coniugi raggiungono altissimi livelli di conflittualità20.
Con la separazione o il divorzio ciò che i coniugi desiderano sciogliere è il vincolo e
l'aspetto di legame della relazione di coppia e l'impegno reciproco della vita congiunta,
mentre non si può sciogliere la relazione tra genitore e figli: gli ex coniugi appartengono
contemporaneamente a diversi sistemi relazionali, ed è estremamente importante che
continuino a cogliere le differenze esistenti tra le varie appartenenze poiché se, come in
questo caso, si confondono i due piani - quello coniugale e quello parentale - si rischia
di agire il conflitto nei confronti dell'ex coniuge anche sui propri figli, triangolandoli in
una relazione disfunzionale.
In questo tipo di situazioni, la conflittualità è di tipo distruttivo, poiché non lascia spazio
ad alcun tipo di flessibilità o di evoluzione della relazione: il confronto è cristallizzato
19
20
Cigoli V., Galimberti C., Mombelli M., “Il legame disperante”, Raffaello Cortina Editore, 1988.
Siniscalchi E., “La consulenza tecnica in materia di affidamento dei figli in casi di separazione e
divorzio”, Psicologia e Giustizia, anno IV, n. 2, luglio-dicembre 2005.
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in termini di “lotta per la vita o la morte”, dove ciascun genitore ha l'impressione di
dover a tutti i costi prevaricare l'altro per assicurarsi la sopravvivenza, ponendo in
rilievo quegli elementi che li differenziano dall'altro e tralasciando quelle variabili che
invece potrebbero accomunarli, ed i figli assumono spesso il ruolo di ostaggi all'interno
della relazione distorta: la relazione con i figli può quindi essere strumentalmente
ridotta, se non addirittura sacrificata, allo scopo di dimostrare la propria adeguatezza
genitoriale e di adulto, attribuendo all'altro il massimo numero di colpe e mancanze
possibili21.
Questa è la situazione in cui il giudice viene chiamato ad intervenire, spesso formulando
la richiesta di Consulenza Tecnica Psicologica.
2.2.2 Il contatto con il Tribunale
Il contatto tra CTU e famiglia avviene a seguito dell'invio operato dal giudice: si tratta
di un invio fatto attraverso un documento scritto, nel quale il giudice fa riferimento ai
conflitti tra i genitori che riguardano il rapporto con i propri figli.
Nello specifico, il giudice tendenzialmente richiede un approfondimento della
conoscenza della qualità relazionale tra il minore e gli adulti di riferimento che si
occupano di lui.
Tale richiesta può assumere diverse formulazioni, e può comprendere, ad esempio:

La richiesta di svolgimento di un'accurata osservazione sui genitori onde
fornire elementi di giudizio in ordine alla sistemazione più confacente
all'interesse del minore.

La richiesta di un'approfondita indagine sul rapporto tra il minore, le
figure genitoriali e gli altri componenti dei rispettivi nuclei familiari.

La richiesta, esaminati gli atti di causa nonché le persone dei genitori e
del figlio minore e proceduto ad ogni accertamento ritenuto necessario o anche
semplicemente opportuno, a determinare quali provvedimenti in ordine al
regime di affidamento possono essere adottati allo scopo di favorire un
21
Cigoli V., Galimberti C., Mombelli M., “Il legame disperante”, Raffaello Cortina Editore, 1988.
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equilibrato sviluppo della personalità del minore.
Da tali quesiti emerge comunque la richiesta di inserire una figura terza nella relazione
tra sistema familiare e sistema giuridico.
2.2.3. L'incontro con la famiglia
Il processo peritale prende inizio con l'invio, da parte del giudice, del quesito al CTU,
mentre il secondo atto formale è costituito dall'incontro con la coppia genitoriale: scopo
dell'incontro è quello di rendere esplicito il mandato che i periti hanno ricevuto dal
giudice esplicitando ai genitori il quesito formulato dal giudice.
Il CTU, quindi, procede con la conoscenza dei componenti familiari: nel modello
sistemico-relazionale, questo avviene spesso e primariamente attraverso interviste
individuali semi-strutturate, centrate attorno ad aree tematiche utili alla comprensione
della famiglia separata; tali aree concernono le modalità secondo le quali gli adulti
hanno elaborato la propria storia, le reazioni all'evento di separazione, quali processi di
adattamento hanno messo in atto ed infine la percezione delle reazioni che, secondo i
coniugi, hanno i figli nei confronti della separazione.
Un esempio di traccia di colloquio riguardante la percezione dei genitori relativa alle
reazioni dei figli ed al loro adattamento alla separazione e che concerne sei aree di
indagine22:

Come il genitore vive al momento presente la sua situazione personale
(esempio di quesito: ”come vede ora la sua situazione?”).

Come il genitore ricorda il periodo di vita che ha preceduto la
separazione (esempio di quesito: “cosa è cambiato rispetto al periodo preseparazione?”).

Quali aiuti ha potuto avere ed a quali risorse si è potuto affidare (esempio
di quesito: “ha potuto fare affidamento su qualche tipo di aiuto esterno?”).

Come, secondo il genitore, il figlio ha reagito alla separazione e quali
sono state secondo lui le difficoltà che il minore ha affrontato nel tentativo di
22
Cigoli V., Galimberti C., Mombelli M., “Il legame disperante”, Raffaello Cortina Editore, 1988.
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adattarsi alla nuova situazione (esempio di quesiti: “come è stato spiegato al
bambino che i suoi genitori non vivono più insieme? Chi glielo ha spiegato?
Quale è stata la reazione del bambino? Le è sembrato che suo figlio si incolpasse
per l'allontanamento del genitore che non vive più con lui? Secondo Lei ci sono
state difficoltà legate all'evento che Suo figlio ha dovuto affrontare?”).

Quali sono, secondo il genitore, le difficoltà attuali del figlio
nell'adattarsi alla nuova situazione familiare (esempio di quesiti: “suo figlio
dimostra attualmente di attribuire a se stesso la colpa della separazione? Suo
figlio mostra attualmente qualche difficoltà ad adattarsi alla nuova
conformazione familiare? Pensa che Suo figlio abbia accettato come definitiva
la separazione?”).

Quali sono, se ce ne sono, secondo il genitore, gli effetti benefici della
separazione sulla vita del figlio (esempio di quesito: “secondo Lei la separazione
ha avuto effetti positivi su Suo figlio?”).
Una volta terminata l'intervista semi-strutturata, il CTU spesso passa ad un piano
congiunto ed interattivo, spesso rappresentato da un disegno congiunto o da un test
grafico proiettivo.
2.3. Un esempio di test grafico-proiettivo: il Blacky Pictures
Il Blacky Pictures’ Test è un test proiettivo volto a far emergere le dinamiche della
personalità di soggetti in età evolutiva, dai 5/6 anni fino ai 10/12 anni.
Ideato da Gerald Blum nel 1949, si basa sulla teoria psicoanalitica e inizialmente è stato
utilizzato sperimentalmente per convalidare i concetti della teoria freudiana classica,
ossia i conflitti intrapsichici, i meccanismi di difesa e lo sviluppo psicosessuale23.
Questo test rientra tra i reattivi narrativi (o di contenuto): quando si parla di Blacky
Pictures si intende un test di tipo proiettivo, dove il termine "proiettivo" si riferisce alla
natura delle risposte date dal soggetto, il quale è chiamato ad arricchire gli stimoli più o
23
Ferradini F., “Introduzione allo studio delle Blacky Pictures di G. S. Blum”, in G. S. Blum, "Le
Blacky Pictures: una tecnica per l'esplorazione delle dinamiche della personalità", Giunti OS, Firenze,
1971.
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meno strutturati che gli vengono proposti attraverso la propria soggettività; agli stessi
stimoli vengono attribuiti contenuti diversi, organizzati sulla base della propria
esperienza e delle rappresentazioni presenti nel proprio mondo psichico e, proprio per
questo motivo, i test proiettivi sono costruiti su materiale generalmente poco strutturato
o ambiguo che si presta a plurime interpretazioni24.
Il test si compone di 12 illustrazioni, nella quali compaiono un cane dal di nome Blacky
e la sua famiglia composta dalla mamma, il papà e da Tippy, una figura fraterna di età e
sesso imprecisati; ognuna delle illustrazioni verte su variabili psicologiche
specificatamente delimitate e richiama in modo esplicito una specifica tappa dello
sviluppo psicosessuale, l'uso di meccanismi di difesa, le relazioni oggettuali e così via,
in accordo con la teoria psicoanalitica freudiana.
Il protagonista, Blacky, è facilmente distinguibile perché di colore nero ma, anche in
questo caso, l'età ed il sesso di Blacky non sono esplicitamente definiti dal disegno,
cosicché il cane possa essere definito con il genere del soggetto intervistato, al fine di
permettere una più facile identificazione di quest'ultimo con il protagonista delle
illustrazioni; anche l'utilizzo di animali come protagonisti è una scelta consapevole e
mirata in quanto si ritiene che ciò faciliti il processo di identificazione del bambino e la
sua conseguente libera espressione personale in situazioni in cui le figure umane
potrebbero provocare un’inopportuna resistenza di tipo inibitorio; ogni tavola è creata al
fine di indagare specifiche dimensioni psicoanalitiche e di personalità, ed è introdotta da
una breve frase.
La somministrazione del test si compone di tre fasi e richiede circa 45 minuti, ma
potrebbe richiedere più o meno tempo a seconda dell'età e del sesso del bambino, della
sua personalità (introversa vs. estroversa) e della sua capacità di produrre una
narrazione coerente ed articolata.
2.3.1. Fasi della somministrazione

Fase del racconto spontaneo: per ogni singola tavola presentata dal
somministratore con un titolo specifico, si chiede al soggetto di identificare
24
Gallo B., Patti M. S., “Test Proiettivi”, in G. Mucciarelli, R. Chattat, G. Celani, “Teoria e pratica dei
test”, Piccin, Padova, 2002.
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Tippy con la propria sorellina o fratellino (oppure si parla di un cuginetto/a nel
caso il bambino non abbia fratelli e sorelle) e, successivamente, si richiede al
minore di inventare una storia che abbia come protagonista il cagnolino Blacky
e la sua famiglia; la presentazione delle tavole è preceduta da una breve
consegna iniziale, mentre ogni singola tavola viene introdotta da una sintetica
frase esemplificativa della vignetta.

Fase dell'inchiesta: a seguito del racconto spontaneo, per ogni vignetta
vengono poste delle domande strutturate a scelta multipla, volte ad indagare sia
gli stati d'animo che il soggetto attribuisce ai personaggi, che la dimensione
psicoanalitica ed i meccanismi di difesa maggiormente utilizzati dal minore.

La preferenza delle vignette: alla fine, il somministratore chiede al
bambino di indicare le tavole risultate maggiormente gradite (vignette
“preferite”) e quelle, invece, che non sono piaciute al bambino (vignette
“antipatiche”), dicendo al bambino di motivare le proprie scelte; tale operazione,
secondo Blum, avrebbe lo scopo di mettere in evidenza materiale non
immediatamente accessibile alla coscienza che possa far luce sulla struttura
difensiva e, inoltre, tale manovra permette al somministratore di verificare che la
preferenza o l'antipatia espressa sia o meno discrepante con i racconti spontanei
e le risposte alle domande strutturate.
Il modo con cui il paziente gestisce e si difende dagli stimoli forniti dalla tavole
consente una valutazione più completa delle dinamiche relative ai vari livelli di
organizzazione della personalità e, inoltre, sono di rilevante importanza i riferimenti
interni, ossia i commenti forniti spontaneamente dal soggetto, che si riferiscono a una
dimensione diversa da quella presentata dalla tavola.
2.3.2. Parametri evolutivi indagati
La teoria dell'oggetto formulata da Melanie Klein25 sostiene che lo sviluppo emozionale
sia caratterizzato dalle relazioni oggettuali più che dallo sviluppo pulsionale (Freud).
Ma, sebbene la Klein rifiuti il concetto di narcisismo primario, in realtà le relazioni
25
Klein M., “Scritti, 1921-1958”, Torino, Boringhieri, 1978.
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oggettuali del neonato sono dominate da quello che Freud aveva definito sadismo
originario (intimamente collegato al narcisismo primario).
La contrapposizione tra pulsioni e relazioni oggettuali risulta quindi più apparente che
reale e gli stimoli di tale test possono rappresentare una possibilità di indagine dei livelli
evolutivi, non solo in termini pulsionali, ma riferita anche alle dimensioni che
costituiscono l'identità da un punto di vista relazionale.
Attraverso il test è possibile indagare:

La qualità dell'attaccamento26 del bambino, che si valuta in base alla
descrizione dell'oggetto primario come più o meno accessibile, il quale viene
indagato attraverso la rappresentazione dell'atteggiamento della madre
di
Blacky da parte del bambino.
In questo caso, si fa riferimento agli stili di attaccamento definiti da Mary Ainsworth
attraverso la nota "Strange Situation"27, che prevedeva un attaccamento di tipo Sicuro
quando l'individuo riponeva fiducia nella disponibilità e nel supporto della Figura di
attaccamento, nel caso si fossero verificate condizioni avverse o di pericolo; tale stile è
promosso da una figura attenta ai segnali del bambino che è disponibile e pronta a
fornirgli protezione nel momento in cui lo richieda, evitando che il piccolo sperimenti il
timore dell'abbandono, in grado di promuovere nello stesso sentimenti di fiducia nelle
proprie e altrui capacità, favorendo lo sviluppo di un Sé positivo e affidabile, Altro
positivo e affidabile.
Un attaccamento di tipo Insicuro Evitante si sviluppa laddove si siano sperimentati
frequenti rifiuti: il bambino si convince perciò che qualsiasi sua richiesta di aiuto sarà
respinta e rifiutata dalla Figura di attaccamento; in tal modo il bambino costruisce le
proprie esperienze facendo affidamento solo su se stesso, senza l'amore e il sostegno
degli altri, ricercando l'autosufficienza anche sul piano emotivo, con la possibilità di
26
Bowlby J., “The nature of the child's tie to his mother”, 1958, reprinted from “International Journal of
Psycho-Analysis”, 1958, 39, pp. 350-373.
27
Ainsworth M. D. S, “Attachment beyond Infancy”, 1989, American Psychologist, vol 44, n. 4, pp.
709-716.
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arrivare a costruire un falso Sé.
Un attaccamento di tipo Insicuro Ansioso Ambivalente si instaura quando il bambino
non ha la certezza che la figura di attaccamento sia disponibile a rispondere a una
richiesta d'aiuto; questo stile è promosso da una Figura che è disponibile in maniera
intermittente e imprevedibile, il rapporto tra il piccolo e la figura di attaccamento si
caratterizza per le frequenti separazioni: spesso può ricorrere a minacce di abbandono,
usate come mezzo coercitivo che possono suscitare nel bambino la convinzione di non
essere amabile, ansia di abbandono, sfiducia nelle proprie capacità e fiducia nelle
capacità degli altri, Sé negativo e inaffidabile.
È infine possibile un attaccamento di tipo Disorientato/Disorganizzato28: sono
considerati disorientati/disorganizzati i bambini che manifestano comportamenti
spaventati, strani, disorganizzati e apertamente in conflitto con la figura di attaccamento.

La qualità dell'aggressività si evidenzia soprattutto attraverso
l'interpretazione di alcune tavole:
Si può dedurre se il soggetto è in grado di riconoscere la rabbia, se la tollera o se
sente il bisogno di negarla.
Si valuta sia l'intensità delle reazioni edipiche nei confronti dei genitori, che la
modalità di affrontare l'invidia e la gelosia ad esse connesse.
Emerge il tema della competizione fraterna con conseguenti sentimenti di
esclusione da parte dei genitori.

Le identificazioni si possono notare nelle tavole dove si osserva il
modello di relazione che è stato interiorizzato e il modello genitoriale
maggiormente integrato.
28
Main M., Hesse E., “Attaccamento disorganizzato nell'infanzia e stati mentali dissociati dei genitori”,
1992, trad. it. in Ammaniti M., Stern D. N. (a cura di), “Attaccamento e psicoanalisi”, Laterza, RomaBari, pp. 86-140.
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
La natura del senso di colpa e del Super-Io, quella parte della mente che
controlla e modifica gli istinti derivanti dall'Es per adeguarli alle richieste
dell'ambiente;
si
compone
di
regole,
divieti,
valori
(buono/cattivo,
giusto/sbagliato, etc.), ed è quasi del tutto inconscio.

L'Ideale dell'Io, ovvero come e se il bambino percepisce un'immagine
ideale di se stesso: in pratica, è un “Io migliore”, l'Io che il bambino vorrebbe
essere.
2.3.3. Una tavola esemplificativa
Tavola 1 (illustra Blacky intento a succhiare latte dalla Mamma, che appare sdraiata e
quasi dormiente; propone una situazione duale che rievoca i problemi relativi alla
dipendenza primaria nella situazione di allattamento e quindi mobilita risposte che
indicano erotismo orale -teoria pulsionale- o presenza e qualità della simbiosi -lettura
relazionale-).
Frase introduttiva: “Qui c'è Blacky con la sua mamma...”
Inchiesta:

Che cosa prova Blacky? E' felice, infelice, né l'uno né l'altro?

Che cosa prova la mamma? E' felice, infelice, né l'uno né l'altro?

Quanto tempo ancora Blacky vorrebbe stare lì?

Quando Blacky sarà grande, le/gli piacerà mangiare più di ogni altra
cosa?
In particolare, l’obiettivo del test è quello di indagare alcune variabili psicologiche
specificamente delimitate, come lo sviluppo psicosessuale, la tipologia dei meccanismi
di difesa del soggetto e la relazione oggettuale tramite la narrazione di una storia a
partire da alcuni stimoli visivi strutturati e da alcune domande poste al soggetto da chi
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conduce l'inchiesta.
A livello interpretativo, Blacky dovrebbe costituire l’oggetto con cui il bambino si
identifica a livello preconscio.
È comunque di primaria necessità interpretare il test inserendolo all’interno di un più
vasto profilo del bambino e accostandolo ad altri test, altri questionari ed ai vari
colloqui clinici al fine di avere una visione strutturata e globale della personalità, delle
risorse e dei limiti del bambino.
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CAPITOLO III
UN CASO ESPLICATIVO
3.1. Un caso di separazione giudiziale: il caso di Chiara
In considerazione del mio percorso di studi e delle specifiche richieste della Scuola di
Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche, da me frequentata, ho richiesto
ed ottenuto, da parte del Tribunale di Milano, di poter consultare il fascicolo inerente al
seguente caso di separazione giudiziale con presenza di una figlia minore in famiglia.
Al fine di non rendere riconoscibili i soggetti implicati, i dati sensibili sono stati trattati
con la massima cautela e sono state apportate modifiche ad eventuali luoghi, nomi, date
ed a tutti quegli elementi potenzialmente e/o direttamente riconducibili alla famiglia
presa in esame.
3.1.1. Il quesito del giudice
In data 3 aprile 2011, il Presidente ha posto il seguente quesito:
“Dica il CTU, esaminati gli atti di causa, sentiti i genitori, la minore ed altre figure di
riferimento particolarmente significative, quale sia il regime di miglior affidamento e
collocamento della minore stessa.
Autorizza il CTU ad avvalersi di personale di fiducia e, laddove ritenuto necessario, a
fare uso della videoregistrazione.”
3.1.2. Metodologia di svolgimento dell'indagine
Durante la consulenza sono stati chiamati a colloquio entrambi i genitori, sia
singolarmente che congiuntamente.
Inoltre, durante un incontro che ha previsto la compresenza con entrambi i genitori,
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separatamente, è stata osservata ed ascoltata anche la minore, Chiara, di quasi 6 anni,
figlia della coppia.
3.1.3. Elementi della storia della coppia (breve sintesi degli Atti di Causa)
I coniugi si sono conosciuti nel 2003 ad un concerto ed hanno contratto matrimonio
durante l'autunno dell'anno seguente.
Il 3 agosto 2006 è nata Chiara e, dopo la nascita della bimba, sono iniziati i conflitti tra i
coniugi, che si accusavano reciprocamente di mancanza di rispetto, violenza fisica e
psicologica e tradimenti.
In data 15 luglio 2008 il signor F. ha lasciato definitivamente la casa coniugale, anche se
è stata la signora B. ad esprimere per prima la volontà di separarsi dal marito.
Nell'udienza Presidenziale, in sede di ricorso per separazione giudiziale, Chiara è stata
affidata congiuntamente ai genitori e collocata presso la casa materna, con
predisposizione delle modalità di incontro tra padre e figlia.
3.1.4. Elementi emersi durante gli incontri con i genitori
La signora B. è una donna di 38 anni, di bella presenza e dall'atteggiamento chiuso e
controllato; durante il primo incontro, appare tesa e molto in allerta; pur avendo
intrapreso per prima la strada della separazione, emergono vissuti di ambivalenza nei
confronti del marito e del proprio futuro, che appare a tratti incerto e lontano ed altre
volte, invece, rassicurante e percorribile.
Nei successivi incontri, la signora manifesta la propria tendenza ad idealizzare o,
alternativamente, a svalutare situazioni e persone, a seconda dello stato emotivo
contingente.
Inoltre, la signora appare poco propensa a mettersi in discussione, soprattutto come
madre, e manifesta una velata ed indiretta opposizione all'indagine.
La signora B. è dotata di una spiccata intelligenza e di una capacità linguistica molto
elevata, anche se, nei suoi racconti, compie salti logici e temporali notevoli, saltando da
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un periodo all'altro a seconda dello stato emotivo nel quale si trova, ed omette alcuni
accadimenti particolarmente significativi, manifestando una tendenza a negare eventi
giudicati non accettabili o che, comunque, possono intaccare la buona immagine di sé
che cerca di suscitare negli interlocutori.
Di fronte a richieste piuttosto dirette, la signora manifesta la tendenza a sviare il
discorso su altri argomenti.
Il signor F. è un uomo di 48 anni dalla corporatura slanciata e, durante gli incontri, si è
posto in atteggiamento di sfiduciata critica e irritazione nei confronti del percorso
giudiziario, sostenendo di volere solo il bene della figlia; durante il primo colloquio,
alterna momenti durante i quali manifesta affetto profondo nei confronti della moglie a
momenti durante i quali manifesta nei suoi confronti un sentimento di rancore e
lontananza affettiva, e tale propensione all'oscillazione cognitiva, emotiva ed affettiva si
ripresenterà durante tutti i colloqui, apparendo una caratteristica stabile del signor F.
Si rileva una labilità emotiva molto marcata, indicativa forse di uno stato depressivo
latente, ed emerge dalla sua storia personale un vissuto abbandonico: a tal proposito,
onde evitare che Chiara venga eletta quale sostegno emotivo del padre, è stato
sollecitato il ricorso ad un supporto farmacologico e psicologico per migliorare il tono
dell'umore.
Da quanto emerso, i coniugi hanno visioni molto differenziate rispetto a Chiara: il
signor F. la reputa timida e poco propensa ad esprimersi e sperimentarsi, mentre la
signora B la reputa fin troppo matura per la sua età e molto coinvolgibile; entrambi i
genitori, comunque, provano per Chiara un affetto profondo e sincero; la signora appare
una madre attenta e premurosa, seppure tenda ad incoraggiare chiara ad aumentare la
propria autonomia, già sufficientemente marcata; il padre appare motivato a stabilire
con la figlia una relazione intensa e continuativa, rivelandosi un padre presente ed
interattivo, anche se viene privilegiata la relazione basata sul “qui e ora” piuttosto che
quella a lungo termine.
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3.1.5. Chiara
Chiara si presenta a colloquio manifestando un atteggiamento curioso ed esplorativo ed
appare intelligente e socialmente adeguata, con molteplici risorse cognitive, emotive ed
affettive.
Traspare, tuttavia, il grave conflitto di lealtà nei confronti di entrambi genitori, nei
confronti dei quali Chiara non sa che tipo di relazione potrà intrattenere senza correre il
rischio di far soffrire uno dei due genitori.
Inoltre, la bambina sente le figure genitoriali distanti e scarsamente disponibili, forse a
causa delle vicissitudini legate alla separazione, e sovente si assume l'incarico di
“intrattenere” i genitori o di fungere da ponte di congiunzione tra di loro.
Nei confronti della madre Chiara è adeguata e sorridente, anche se emerge l'impressione
che la bambina cerchi di sviare alcuni argomenti di conversazione, in special modo
quelli inerenti la separazione dei genitori o i sentimenti che prova nei confronti del
padre o della madre; nei confronti del padre Chiara è apparsa affettuosa ma, a tratti, è
parsa infastidita dall'intrusività del genitore, indice di attese troppo elevate rispetto le
performance della bambina, la quale, infatti, appare impaurita all'idea di dover
affrontare compiti difficili, sia sul piano cognitivo (ad esempio, un compito scolastico
impegnativo), che sul piano fisico (ad esempio, una gita in alta montagna).
Si è quindi ritenuto opportuno operare un approfondimento di personalità.
3.1.6. Disegno spontaneo
In più di un'occasione, nei disegni di Chiara emerge un vissuto di timore di non essere
all'altezza di un compito e di dover svolgere azioni al di fuori della propria portata (v.
Allegato 1), oppure si riscontrano timori rispetto alle figure adulte, che in qualche modo
“pretendono” qualcosa dalla bambina in maniera forse eccessivamente pressante,
aspettandosi risultati superiori rispetto alle capacità della bambina (v. Allegato 2).
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3.1.7. The Blacky Pictures
Qui di seguito vengono riportate alcune tavole commentate da Chiara; il contenuto della
conversazione tra la bambina e lo psicologo è stato lievemente modificato al fine di non
rendere i soggetti riconoscibili.
Tavola 1: qui c'è Blacky con la sua mamma...

Chiara: Blacky cerca di richiamare l'attenzione della mamma, ulula.

Inchiesta: Come si sente Blacky?
Chiara: è un po' arrabbiata perché vuole giocare, ma la mamma dice che è ora di
dormire.

Inchiesta: come si sente la mamma?
Chiara: ha lavorato tutto il giorno, ora vuole dormire.

Inchiesta: cosa succederà dopo?
Chiara: la mamma si alza e racconta una bella storia a Blacky prima di metterla a
letto.

Osservazioni: vissuti di solitudine e di scarsa disponibilità genitoriale,
anche se la figura materna viene comunque parzialmente riscattata (racconta una
storia a Blacky).
Tavola 2: Qui c'è Blacky con il collare della mamma....

Chiara: Blacky è davvero arrabbiata!

Inchiesta: cosa potrebbe essere successo?
Chiara: mamma e papà sono andati al cinema senza Blacky.

Osservazioni: vissuti di rabbia e di esclusione nei confronti dei genitori.
Tavola 3: Qui Blacky fa i suoi bisogni...
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
Chiara: no, dato che si annoiava ha costruito un tunnel e nel tunnel ha
trovato un giocattolo e ora vuole nasconderlo di nuovo.

Inchiesta: perché Blacky ha scelto quel posto?
Chiara: era un posto sicuro.

Osservazioni: elemento auto-consolatorio (giocattolo) che permette al
protagonista di giocare anche in assenza dei genitori.
Tavola 4: Qui Blacky osserva mamma e papà...

Chiara: Blacky è triste.

Inchiesta: perché è triste?
Chiara: è triste e arrabbiata perché dovevano andare tutti insieme al cinema ma i
genitori vogliono tornare indietro.

Inchiesta: cosa vorrebbe fare Blacky?
Chiara: vorrebbe buttare terra da tutte le parti e correre via.

Osservazioni: vissuti di rabbia e fantasie di ribellione nei confronti delle
figure genitoriali che, in questo momento, sembrano distanti e poco rispondenti
ai bisogni della figlia.
3.1.8. Considerazioni conclusive
La situazione familiare appare complessa e lascia intravvedere alcuni elementi che
possono suscitare alcune preoccupazioni.
La signora appare sì una madre attenta e competente, ma in questo momento l'alto
livello di conflittualità con il marito le impedisce di comprendere e rispondere
adeguatamente ai bisogni fisiologici espressi dalla bambina in questo specifico
momento della propria crescita psicofisica; inoltre, si è riscontrata nella signora B. una
marcata tendenza a svalutare verbalmente la figura paterna anche in presenza di Chiara.
Il signor F., invece, pur mostrandosi altamente motivato a relazionarsi in maniera
costante e duratura con la figlia, presenta elementi disforici del tono dell'umore, e tale
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labilità potrebbe influire in maniera duplice sulla bambina: in primo luogo, tale
oscillazione emotiva, manifestata in una certa misura anche nella relazione con la figlia,
potrebbe ostacolare la percezione coerente del genitore da parte di Chiara; in secondo
luogo, ciò che si vorrebbe evitare è che il signor F. elegga la bambina quale proprio
sostegno volto a supplire ai vissuti abbandonici che hanno costellato la propria storia
personale.
Suddette considerazioni portano alla conclusione che, al momento, sia disposto un
affidamento della bambina ai Servizi Sociali competenti, con la richiesta di
relazionare al giudice in caso di pregiudizio per la piccola Chiara.
La domiciliazione della bambina sarà prevalente presso la madre.
Si ritiene che i genitori debbano intraprendere un percorso presso un centro
specializzato nell'assistenza alla genitorialità e si suggerisce al signor F. di prendere
contatto con una struttura psichiatrica per la stabilizzazione dell'umore.
Infine, si ritiene indispensabile una revisione peritale della situazione tra 24 mesi.
3.1.9. Risposta al quesito
Il sottoscritto dichiara di aver svolto l'incarico affidato, avendo visto i genitori e il
minore avendo sottoposto i membri familiari a test psicologici e avendo letto gli atti di
causa.
Alla luce di quanto emerso, ritiene che al momento debba essere disposto un
affidamento della bambina presso i Servizi Sociali competenti, con una domiciliazione
prevalente presso la madre.
Inoltre, si ritiene indispensabile che i genitori di Chiara comincino un percorso mirato al
supporto della genitorialità condivisa e che il signor F. intraprenda un percorso presso
specialista psichiatrico idoneo.
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CONCLUSIONI
Il presente elaborato ha messo in evidenza la situazione di complessità, la grande mole
di lavoro e la sottile ambiguità intrinseche nell'ambito della Consulenza Tecnica
Psicologica all'interno della cornice giuridica relativa all'affido di minori in caso di
separazione o divorzio giudiziale.
Si tratta, quindi, di un ambito molto delicato che vede coinvolte molteplici figure
professionali (Giudici, Psicologi, Avvocati, Servizi territoriali ed Assistenti Sociali); tali
figure hanno la possibilità di svolgere un lavoro proficuo unicamente a condizione di
interagire, dialogare e cooperare tra di loro, creando un sistema sovraordinato in grado
di accogliere e supportare al meglio il singolo caso.
Ciò comporta che ogni storia giuridica venga ri-narrata a più voci e più mani, valutando
ogni singola situazione nella sua complessità e nella sua specificità, cercando di trovare
una soluzione che, nel rispetto dei bisogni, delle risorse e dei limiti familiari, consenta
ad ogni minore di poter crescere quanto più possibile sereno, senza risultare
eccessivamente gravato e penalizzato da quelle decisioni che lo riguardano da vicino e
che condizioneranno la sua esistenza ma che non ha avuto la possibilità di prendere in
prima persona.
E' evidente che nessun figlio vorrebbe vedere i propri genitori separati, ma è altrettanto
evidente che, in situazioni altamente conflittuali, ogni minore dovrebbe avere il diritto
di usufruire di ciascun genitore e della protezione, del supporto e delle risorse che tali
genitori hanno la possibilità di mettere in campo a prescindere dalla situazione
coniugale.
Ciò che non dovrebbe accadere, e che quindi diventa l'oggetto e l'obiettivo comune a
tutte le figure professionali sopraelencate, è che i minori siano costretti a vivere e subire
il forte conflitto tra i genitori, finendo spesso per esserne triangolati; è implicito che tale
triangolazione vissuta all'interno di una situazione di esasperato conflitto porti
inevitabilmente ad un'estrema difficoltà, da parte del minore, a conseguire un adeguato
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sviluppo psico-fisico, cognitivo ed emotivo.
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BIBLIOGRAFIA
 Abazia L. (a cura di) (2009), “La perizia psicologica in ambito civile e penale.
Storia, sviluppi e pratiche”, Franco Angeli, Milano.
 Ainsworth, M. D. S, “Attachment beyond Infancy”, 1989, American
Psychologist, vol. 44, n. 4, pp. 709-716.
 Beavers, W. B., “Successful Families: Assessment and Intervention”, New York,
W. W. Norton and Company, 1990, trad. it. “La famiglia riuscita”, Roma,
Astrolabio, 1992.
 Bodenmann G., Bertoni A., “Promuovere le competenze della coppia”, Carocci
editore, 2004.
 Bowlby J., “The nature of the child's tie to his mother”, 1958, reprinted from
“International Journal of Psycho-Analysis”, 1958, 39, pp. 350-373.
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ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES
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