UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET ASSOCIATION INTERNATIONALE SANS BUT LUCRATIF BRUXELLES - BELGIQUE THESE FINALE EN “SCIENCES CRIMINOLOGIQUES” IL RISCHIO DI RECIDIVA DI REATO OSSERVAZIONE DI UN CASO CLINICO ALL’INTERNO DELLA RESIDENZA SANITARIA PSICHIATRICA CASA ZACCHERA Relatore: Dr.ssa Barbara Sangiorgi Specializzando: Dr.ssa Giorgia Rori Matricola: 2398 Bruxelles, 9 ottobre 2015 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Indice dei Contenuti 1. Introduzione …………………………..………………...………………………….. 3 2. Casa Zacchera: Residenza Sanitaria Psichiatrica ………………..…………………. 5 3. Teorie …………………………………………...…………………………............ 13 3.1. Pregiudizi sull'omicidio compiuto dallo schizofrenico ………………..………… 20 3.2. Approcci cognitivi all'omicidio dello schizofrenico ……………...……………… 23 3.3. Varie tappe della dinamica omicidaria dello schizofrenico ……………………. 24 3.4. Significato dell'atto omicidario per lo schizofrenico ……………………….…... 37 3.5. Schizofrenia e recidiva omicidaria …………………….………….…….………… 39 4. Valutazione del rischio di violenza ……………………………..……………….... 42 4.1. Aggressività e violenza …………………………………………….……............… 42 4.2. Problematiche e strumenti per la misurazione di comportamenti aggressivoviolenti …………………………………..…………………………….………….….. 52 5. Caso clinico ……………………………………………………………….....……. 61 5.1. Il suo percorso. Dallo S.L.i.E.V. – Centro Psichiatrico Forense Gonzaga dell’OPG a Casa Zacchera ……………………………….….……..…. 63 5.2. Verbale del primo incontro tra l'Equipe di Casa zacchera e la famiglia ….… 67 5.3. L'evento reato …………………………………………………..……………....….... 70 6. Gli strumenti utilizzati per la valutazione del rischio di recidiva …………..…..… 72 6.1. Colloquio clinico e colloquio criminologico ……………..……………………… 72 6.2. Osservazione del comportamento nella quotidianità ………………..……….... 77 6.3. I test ……………………………………………………………..……….….………... 77 7. Cronogramma del percorso …...……………………………………………….… 111 8. Genogramma …………………………...…………………………………….….. 113 9. Assessment: HCR20 ………………………………...………………………...… 114 10. Conclusioni ………………………...…………………………..……….……… 129 11. Bibliografia ………………………...………………………………..…………. 134 2 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 1. Introduzione Questo lavoro è nato dall’idea sia di approfondire e conoscere meglio la probabilità di recidiva di reato nei pazienti con diagnosi psichiatrica, sia di ampliare maggiormente la mia esperienza clinica in merito a tali pazienti, avvicinandomi professionalmente alla loro storia personale e psicopatologica. L’esperienza scelta per studiare questa tematica si riferisce alla realtà della Residenza Sanitaria Psichiatrica Casa Zacchera, dedicata ad ospitare folli-rei che sono stati prosciolti totalmente o parzialmente per il reato commesso a causa della loro malattia mentale. Dapprima ho voluto ampliare nei vari aspetti la realtà della Residenza, andando a conoscere nel vivo le persone ospitate, il personale che vi lavora e soprattutto come si articola la quotidianità all’interno, in quanto ritengo importante per parlare di un caso clinico, conoscere la realtà in cui abita e che vive tutti i giorni. La stesura della tesi ha così considerato un caso clinico di un paziente ospite di questa Residenza, cercando di conoscere meglio la sua storia familiare, il suo percorso psicopatologico e giuridico prima dell’arrivo a Casa Zacchera, la permanenza in tale Struttura, osservando così fin dall’inizio le caratteristiche personali e psicopatologiche del paziente, la sua capacità relazionale sia con gli altri ospiti, sia con il personale della Residenza, le risorse personali e lavorative del paziente e non di ultima importanza le dinamiche familiari ritenute piuttosto conflittuali, soprattutto con la mamma. L’osservazione del caso clinico avviene in modo puntuale nel primo mese dal suo arrivo a Casa Zacchera, per poter valutare da subito e in un periodo di breve tempo la possibilità o meno della sua permanenza in struttura per restituire al Magistrato una risposta in merito alla possibilità o meno della permanenza dell’ospite a Casa Zacchera. Dopo l’osservazione iniziale del primo mese di permanenza dell’ospite presso la Residenza, e la decisione insieme al Magistrato e ai Servizi territoriali di provenienza di proseguire in tale struttura il percorso riabilitativo del paziente, si inizia a pensare e a progettare un “cammino” specifico e personale per il paziente. 3 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Successivamente alla descrizione e approfondimento della struttura con peculiarità e obiettivi, ho fatto riferimento a processi teorici riguardanti per lo più il reato di omicidio e la connessione tra questo tipo di reato e la psicopatologia, in particolare alla schizofrenia, approfondendo così aspetti e problematiche che questo comporta; Successivamente ho esposto il caso clinico, l’evento reato che ha condotto il paziente ad intraprende un percorso giuridico, e la valutazione della possibilità di recidiva di reato attraverso l’utilizzo di teorie e tecniche che nel panorama clinico sono state studiate da vari autori. Questo lavoro, oltre che permettermi di approfondire e conoscere più da vicino il percorso psicopatologico e criminologico del caso clinico scelto, valutando così in connessione al reato commesso dal paziente, la possibilità di rischio di recidiva, mi ha permesso altresì di verificare l’efficacia degli strumenti utilizzati dall’equipe di Casa Zacchera per la valutazione del grado residuo di pericolosità sociale e della stima del rischio di reiterazione del reato: obiettivo peculiare. 4 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 2. Casa Zacchera: Residenza Sanitaria Psichiatrica Questa Residenza è nata nell’ottobre 2007 in attuazione di un progetto pilota della Regione Emilia Romagna dedicata a pazienti emiliano romagnoli provenienti dagli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), oggi da REMS; l’allora Cooperativa “Sadurano Salus” (ora “Generazioni”) in accordo con l'AUSL di Forlì ha avviato l'attività di questa struttura intermedia. Il progetto è stato finalizzato a sperimentare la praticabilità ed efficacia di presidi residenziali, in grado di favorire una significativa riduzione dei tempi di internamento presso gli OPG, oggi REMS, sollecitando così la realizzazione dei successivi programmi di presa in carico del paziente da parte dei servizi territoriali dopo un adeguato periodo di permanenza presso Casa Zacchera. Non è stato contemplato l'utilizzo di questa struttura per il trattamento di pazienti psichiatrici prosciolti inviati direttamente dal Magistrato, in alternativa preventiva al ricovero in OPG dal 1° aprile 2015 REMS; Come indicato dalla L.9/12 e seguenti modifiche il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari prevede una progettazione complessiva di attività, in cui si inserisce la costruzione delle REMS. Il programma complessivo avviato dalla Regione Emilia Romagna comprende una serie di interventi specifici per la realizzazione dei percorsi terapeutico riabilitativi finalizzati al recupero e reinserimento sociale dei pazienti internati provenienti dagli ospedali psichiatrici giudiziari. Secondo la classificazione vigente in Emilia Romagna, Casa Zacchera si è qualificata dunque, come una struttura residenziale a carattere sanitario, per trattamenti socio riabilitativi, intermedi tra OPG, oggi REMS e territorio. Essa è finalizzata all'obiettivo peculiare della valutazione del grado residuo di pericolosità sociale e del rischio di reiterazione di reato per ogni paziente ospitato; sono previsti percorsi personalizzati terapeutico/riabilitativo e risocializzanti ad elevata specificità. Su disposizione del Magistrato di sorveglianza i pazienti possono essere inseriti presso Casa Zacchera con licenza finale esperimento dall'OPG (e successivo passaggio alla Misura di Sicurezza non detentiva della libertà vigilata), o 5 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 direttamente in libertà vigilata o con Misura di Sicurezza provvisoria della Libertà Vigilata (se ancora in attesa di sentenza definitiva) o in Misura di Sicurezza Provvisoria dell’Affidamento ai servizi sociali (se seminfermi). Durante lo svolgimento dei programmi di trattamento individualizzato, l’equipe della struttura, in condivisione con il servizio territoriale competente, informa periodicamente, sull’evoluzione del caso, il Magistrato che, per le sue funzioni valida e autorizza il proseguimento del programma, modulando le prescrizioni di volta in volta adeguate al caso stesso ed al contesto. Ordinariamente il vincolo giuridico, viene mantenuto per tutto il tempo della permanenza presso Casa Zacchera e nella maggior parte dei casi anche al momento della dimissione dalla struttura, per proseguire il programma socio-riabilitativo in altri contesti terapeutici. Per quanto riguarda gli interlocutori dell’equipe di Casa Zacchera, in interazione diretta o indiretta con vario grado di responsabilità e varie forme di collaborazione e complementarietà: - Magistratura di Sorveglianza. - Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG di Reggio Emilia) - REMS di Bologna e/o Parma. - Dipartimento Salute Mentale di competenza (CSM: Equipe Territoriale con psichiatra referente, assistente sociale, infermiere). - Avvocati e altro soggetti di rilievo giuridico (Amministratore di sostegno, Curatore, Tutore). - Carabinieri e/o Autorità di Vigilanza di competenza. - UEPE Ufficio Esecuzione Penale Esterna. Si tratta di un ufficio periferico del Ministero della Giustizia/Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (DAP) alle dipendenze del Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria (PRAP). - Familiari e altre figure di riferimento significative. - Servizi Sanitari e Sociali del territorio (AUSL di Forlì, Enti locali, altri Enti). - Altre Strutture Residenziali. - Enti di Formazione professionale. - Datori di lavoro. 6 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 L'individuazione dei pazienti destinabili a Casa Zacchera avviene in accordo tra la direzione dell'OPG, e la direzione del DSM di competenza. I pazienti, esclusivamente di sesso maschile, sono individuati in base a criteri di eleggibilità definiti in riferimento ad aspetti di ordine clinico e criminologico ed in base ad una riconosciuta compatibilità con le caratteristiche funzionali di Casa Zacchera, tenendo conto del basso livello di sorveglianza e della tipologia dell'offerta assistenziale e trattamentale qualificanti la struttura. All'atto dell'inserimento del paziente è necessario che avvenga un adeguato passaggio di informazioni e di indicazioni fra direzione dell' OPG, oggi REMS e l’equipe di Casa Zacchera. Di norma dopo un primo periodo di osservazione viene confermata o meno alla direzione dell' OPG, oggi alla REMS, la compatibilità del quadro clinico e comportamentale del paziente con le caratteristiche operative della struttura e quindi l'indicazione a proseguire il trattamento previsto. E' fondamentale che, per ogni paziente ospitato, a partire dal primo imprescindibile momento di accordo si realizzi un rapporto di collaborazione tra l’equipe della struttura e i servizi territoriali ai fini della definizione e realizzazione del programma di trattamento, nonché della definizione ed attuazione del piano relativo alla successiva dimissione dalla struttura. L'esperienza di questi anni di attività ha dimostrato l’importanza di sollecitare o rinforzare il legame tra il servizio territoriale ed il paziente stesso, sostenuto e incentivato dall’equipe di Casa Zacchera, a beneficio del paziente e del percorso che in questo contesto è tenuto a fare. Va segnalato che altrettanto significative si sono dimostrate le possibilità di intermediazione e modulazione dell'equipe della Struttura sulla relazione reciproca fra paziente e famiglia. La struttura ospita 16 pazienti, che si avvalgono del lavoro di un’ equipe composta da: due psicologi, presenti per 50 ore durante la settimana, due medici psichiatri che prestano servizio per 25 ore settimanali, due infermieri presenti per 12 ore al giorno e 7 Operatori Socio Sanitari che coprono le 24 ore. Per quanto riguarda la tipologia dei reati di cui i pazienti si sono resi autori, si evidenziano diverse tipologie con livelli differenti di gravità: minacce, atti 7 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 persecutori, resistenza a pubblico ufficiale, stalking, reati sessuali, maltrattamenti, tentato omicidio in tra/extrafamiglia, omicidio in tra/extrafamiglia. L'età dei pazienti è compresa tra i 27 e i 58 anni, e le diagnosi prevalenti sono schizofrenia, disturbo delirante, disturbo schizoaffettivo, e disturbi di personalità gravi e indotti da sostanze. Al momento delle dimissione per la maggior parte i pazienti vengono inseriti in residenze psichiatriche protette, alcuni sono rientrati in OPG, altri ancora a domicilio o in gruppi appartamento. Durante la permanenza in struttura, si possono attivare tirocini formativi per gli ospiti, anche in collaborazione con servizi territoriali, in vari settori di attività produttiva, sia all'interno che all'esterno della struttura, coinvolgendo le aziende produttive del territorio limitrofo. La giornata ordinaria è organizzata in maniera tendenzialmente libera mirando ad accordare le esigenze di tutti coloro che (pazienti e operatori), vivono la struttura nel rispetto delle norme di convivenza di base. Come si è detto esistono momenti di attività peculiarmente sollecitate dagli operatori socio sanitari e dedicate alla autogestione della struttura, quali la manutenzione della casa e la pulizia degli spazi comuni interni ed esterni. Queste occasioni, oltre al valore strettamente pratico, acquistano anche una significativa valenza relazionale tra i pazienti e tra pazienti ed operatori. La terapia farmacologica, concordata con l'equipe territoriale competente, è ordinariamente somministrata dagli infermieri. È caratteristica dell'impegno degli operatori una polivalenza funzionale che, al di là delle specifiche competenze assistenziali e sanitarie di ciascuno, consente all'organizzazione, l'elasticità necessaria per rispondere alle molteplici esigenze, con interscambio di ruoli per molte attività, che richiedono come denominatore comune un impegno collettivo. E’ importante che i pazienti possano percepire armonia e coerenza operativa dell'equipe e nutrire fiducia nella stessa. Nel corso della settimana sono possibili anche numerose occasioni di interazione ordinaria fra pazienti e comunità civile allargata, a partire dai momenti del pranzo e della cena, che vengono consumati presso un ristorante limitrofo. Sono frequenti gli spostamenti (tramite automezzi) 8 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 di ospiti ed operatori fuori dalla Residenza per i viaggi nella cittadina di Castrocaro Terme ed anche in altre località, con scopo sia ricreativo, sia organizzativo per rispondere ad esigenze della struttura e dei pazienti stessi: servizio postale, approvvigionamenti, accesso a sedi di attività lavorativa, visite mediche, visite a familiari. Va sottolineata la complessità di questa organizzazione che deve rispettare, le prescrizioni decise dal Magistrato per ciascun paziente, oltre a tenere in considerazione le valutazioni di circostanza operate dall'equipe della Struttura. I rapporti con i familiari non sono rigidamente disciplinati, ma per ogni paziente si cerca di individuare la frequenza e la modalità più coerente con le esigenze del progetto personalizzato, sia per quanto riguarda gli incontri presso Casa Zacchera e sia per permessi fruibili preso ambiti esterni. Fra i familiari ed operatori esiste la massima facilitazione al dialogo in momenti estemporanei o anche in momenti predefiniti. Si richiamano qui di seguito i momenti più strutturati in senso terapeutico e riabilitativo a favore dei pazienti: - intermediazione costante con lo Psicologo e con lo Psicologo Coordinatore della Struttura; - colloquio con i Medici Psichiatri; - colloqui di sostegno psicologico individuale; - supporto infermieristico; - confronto tra un singolo paziente e le figure professionali in occasione delle riunione di equipe settimanale; - un “gruppo di socializzazione” a cadenza settimanale partecipato da tutti gli ospiti e operatori della struttura. Si segnalano anche altre forme di attività ricreativa e risocializzante organizzate all'interno della struttura o nel contesto della cooperativa, fra cui un gruppo di attività musicale a cadenza settimanale, attività/gioco di calcetto con cadenza circa settimanale, attività di nuoto che si svolge settimanalmente presso la piscina comunale di Forlì, attività di arte-terapia, anch’essa con frequenza settimanale, passeggiate che si svolgono in zona limitrofa alla struttura, e durante l'estate l'utilizzo di una piscina esterna presso colline limitrofe. 9 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Tali attività possono variare nel corso del tempo in base all’organizzazione dell’equipe, ma soprattutto in base alle esigenze degli ospiti. Casa Zacchera si propone dunque al paziente come un contesto di apprendimento e/o rinforzo di competenze sociali primariamente fondato sul potenziale di relazionalità interpersonale, propria della cornice gruppale in cui si inscrive la quota prevalente delle consuetudini, delle dinamiche e delle iniziative, fermo restando l’attenzione alla individualità di ogni singolo paziente. La dimensione gruppale nelle sue molte forme, occasioni e modalità di declinazione, costituisce una risorsa che ha il valore di un “bene relazionale” che, se riconosciuto dal paziente ne sollecita il sentimento di appartenenza al gruppo stesso e di responsabilizzazione sui diritti e su doveri della convivenza. L’organizzazione complessiva della attività è anche volta a facilitare e sfruttare nel maggior grado possibile il potenziale di relazionalità diffusa nel contesto cooperativo, in cui è inserita Casa Zacchera, e nella rete più estesa delle occasioni offerte dal territorio esterno. Per una buona organizzazione ed efficacia delle attività giornaliere è imprescindibile un momento rituale e codificato di passaggio delle consegne tra gli operatori al cambio di turno. Settimanalmente esiste poi una riunione di lavoro dell’intera equipe, dedicata alla discussione dei casi, delle situazioni e delle eventuali criticità; alla elaborazione di proposte di intervento; all’approfondimento di temi a valenza formativa; al confronto di volta in volta con un singolo paziente, spesso in presenza dell’equipe del DSM territoriale. Per le specificità di Casa Zacchera sono ovviamente importanti alcune considerazioni a proposito della possibile/prevedibile evenienza di comportamenti di carattere trasgressivo o di altra valenza critica sul piano comportamentale (in termini di aggressività agita o di turbativa della omeostasi del gruppo) da parte dei pazienti, nonché dei problemi di gestione di queste criticità da parte dell’equipe e delle possibilità di metabolizzazione in seno alla casa. Si rileva che a Casa Zacchera il cardine normativo del comportamento di ogni singolo paziente è prima di tutto e soprattutto rappresentato dal vincolo giuridico 10 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 imposto dal Magistrato e dalle conseguenti prescrizioni di obbligo e di divieto, questo avviene per le caratteristiche del mandato progettuale, per gli aspetti logistici – spaziali ed organizzativi (a cominciare dalla mancanza di un perimetro di recinzione invalicabile e di altre barriere strutturali), per lo stile di convivenza in essa impostato, per le modalità delle relazioni tra operatori e paziente e per molti degli aspetti di funzionamento sopra accennati. Questo rappresenta per il paziente un elemento costitutivo del principio di realtà a cui è indotto a fare costante riferimento; ma è anche elemento ordinatore per le regole di vita nella struttura, in costante ricerca di equilibrio fra rigore e ragionevole flessibilità. Le scelte tattiche e/o strategiche per la gestione delle possibili criticità comportamentali sono operate secondo un registro di valutazione del senso e della gravità dell’episodio, riferito ai seguenti criteri principali relativamente alla relazione che il comportamento all’esame ha con lo stato psicopatologico e clinico del paziente; al suo riflesso sul clima nel gruppo dei pazienti, anche in rapporto alle possibilità di accettazione empatica e solidale del singolo paziente e del suo comportamento; al riverbero sul gruppo degli operatori e sulle possibilità di supporto permissivo e gestione del evento. L’incrocio di queste variabili determina la soglia di tollerabilità delle varie criticità comportamentali in un delicato punto di equilibrio anche con quanto condizionato dal vincolo giuridico (e relative prescrizioni) cui è soggetto il paziente. Questa soglia di tollerabilità è molto elevata presso Casa Zacchera e ciò è in relazione con lo stile di conduzione proprio della struttura, gli aspetti qualitativi della convivenza in essa e la “ capacità di tenuta” dell’equipe che, per l’impegno necessario a confrontarsi costruttivamente con l’episodio critico (facendo attenzione alle variabili sopra richiamate) deve poter contare su una buona coesione e su una propensione ottimistica, alimentate dalla esperienza e dalla formazione sul campo. In ogni circostanza dunque viene tenuto nel debito conto, da un lato quanto può e deve essere tollerato, mediato e gestito al fine di tutelare l’andamento e le prospettive del percorso terapeutico - riabilitativo del paziente e dall’altro lato 11 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 quale sia il peso e la conseguenza di un gesto o di un comportamento a fronte del dispositivo prescrittivo fissato dal Magistrato di Sorveglianza. Gli ospiti necessitano di un approccio terapeutico riabilitativo, che favorisca un reinserimento graduale nella società. Per questo e non solo, la struttura rappresenta una tappa del viaggio che le persone ospitate intraprendono uscendo dall’istituzione totale e nella quale il pensiero guida è quello di conservare la speranza di una prosecuzione di vita dignitosa e rispettosa di sé e degli altri.1 1 Missiroli L., Presentazione Casa Zacchera nel 2007 – Aggiornato nel 2014 (documento non pubblicato). 12 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 3. Teorie Prima di analizzare i vari approcci teorici, ritengo utile un accenno alla diagnosi di schizofrenia paranoide: uno dei diversi tipi di schizofrenia, una malattia mentale cronica in cui una persona perde il contatto con la realtà (psicosi). La schizofrenia paranoide è una grave condizione permanente che può portare a complicazioni, tra cui comportamento lesivo. Segni e sintomi di schizofrenia paranoide possono includere: - Allucinazioni uditive, come il sentire voci. - Paranoie. - Ansia. - Rabbia. - Distanza emotiva. - Violenza. - Comportamento polemico. - Pensieri e comportamenti lesivi. Deliri e allucinazioni sono i sintomi che contraddistinguono la schizofrenia paranoide: - Deliri. Si può credere che il governo stia monitorando ogni movimento o che un collega voglia avvelenare il pranzo. Si può anche avere manie di grandezza – la convinzione che si possa volare o che si è famosi. I deliri possono anche causare aggressività o violenza. - Allucinazioni uditive. Un’allucinazione uditiva è la percezione di un suono o voci ricorrenti che nessun altro sente. Gli approcci teorici seguiti per approfondire il presente caso clinico, spaziano dall’approccio psicodinamico di O. F. Kernberg 2, alla psichiatria psicodinamica di Glen O. Gabbard 3; considerando inoltre aspetti di psicopatologia e crimini 2 Kernberg O. F., 2004, Narcisismo, aggressività e auto distruttività nella relazione psicoterapeutica, Raffaello Cortina, pp. 31-50. 3 Gabbard O. G., 2002, Psichiatria Psicodinamica, Raffaello Cortina. 13 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 violenti A. E. Skodol 4, un accenno ad aspetti di psicopatia R. D. Hare 5, fino alla psichiatria forense, criminologia ed etica psichiatrica a cura di Vittorio Volterra6. Tali spunti teorici, come detto pocanzi sono stati percorsi proprio pensando al caso clinico scelto, in quanto sia per la diagnosi clinica, sia per la storia di vita , sono emersi vari aspetti che rispecchiano diverse dimensioni teoriche. Secondo Kernberg non vi sono dubbi rispetto alla prevalenza dell’aggressività nel comportamento, nelle fantasie e nelle dinamiche psichiche dei pazienti con disturbi gravi della personalità; ma i teorici, i clinici continuano a discutere sul carattere dell’aggressività umana: è innata quindi un istinto o una pulsione, o è secondaria alla frustrazione e ai traumi? Ovvero l’aggressività è il risultato delle esperienze precoci o della genetica e della costituzione? Si è accettato in teoria, la possibilità che i fattori genetici e costituzionali, come anche i fattori ambientali e psicodinamici possano avere un ruolo importante (in uno schema bio - psicosociale); rimane il problema di come concettualizzare l’aggressività e di come comprendere il ruolo che essa gioca nello sviluppo della psicopatologia grave. La teoria biologica contemporanea ha sviluppato una visione integrata degli istinti e dell’ambiente, secondo la quale esistono disposizioni innate, attivate in circostanze ambientali specifiche a mettere in atto pattern comportamentali specifici; queste disposizioni determina l’attivazione di una sequenza di comportamenti esplorativi e consumatori e questa catena di eventi porta all’organizzazione di queste sequenze di comportamenti che designano come istinti. Le disposizioni comportamentali innate e gli eventi ambientali che le elicitano costituiscono gli elementi strutturali del comportamento istintivo. In un lavoro Kernberg che questo modo di intendere gli istinti può essere applicato anche alla teoria psicanalitica e ciò ha portato a far intendere le pulsioni (libido e aggressività) come sistemi motivazionali attivati sia dagli istinti sia dall’ambiente. 4 Skodol A. E., 2000, Psicopatologia e crimini violenti, Centro Scientifico Editore, pp.1-31, pp. 33-54. 5 Hare R. D., 2009, La Psicopatia. Valutazione diagnostica e ricerca empirica, casa Editrice Astrolabio. 6 Volterra V., 2005, Psichiatria Forense, Criminologia ed Etica Psichiatrica, Masson, pp.207-288. 14 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Gli affetti sono modalità di reazione innate costituzionalmente e gerarchicamente determinate che, sin dai primi giorni di vita sono stimolate, in primo luogo da varie esperienze psicologiche e biologiche e poi dallo sviluppo delle relazioni oggettuali. La rabbia in questa teoria rappresenta l’affetto di base dell’aggressività intesa come pulsione e le sue vicissitudini sono in grado di chiarire le origini dell’odio e dell’invidia. Kernberg crede che sia la capacità di amare, sia quella di odiare siano innate; richiedono un’attivazione degli impulsi ambientali. Un affetto specifico che occupa una posizione fondamentale nel comportamento umano è l’odio. L’odio deriva dalla rabbia, l’affetto primario intorno al quale si raccoglie la pulsione dell’aggressività; nella psicopatologia grave, l’odio può evolvere trasformandosi in un imperio soffocante, diretto sia contro il sé, sia contro gli altri. E’ un affetto complesso che può diventare la componente maggiore della pulsione aggressiva, oscurando gli altri affetti aggressivi sempre presenti, quali l’invidia o il disgusto. L’odio è un affetto aggressivo complesso; In contrapposizione all’acuzie delle reazioni di rabbia e agli aspetti cognitivi facilmente mutevoli dell’ira e della rabbia, l’aspetto cognitivo dell’odio è cronico e stabile. L’odio si presenta anche con radici caratteriali che implicano forti razionalizzazioni e corrispondenti distorsioni delle funzioni dell’io e del super-io. Lo scopo primario di un individuo divorato dall’odio è di distruggere il suo oggetto, un oggetto specifico della fantasia inconscia, e i derivati consci di tale oggetto; sull’oggetto, al fondo, è diretto sia un bisogno sia un desiderio e la sua distruzione è ugualmente un bisogno e un desiderio. L’odio non è sempre patologico: come risposta al pericolo oggettivo e reale di una distruzione fisica o psicologica, a una minaccia per la sopravvivenza di se stessi e di coloro che si amano, l’odio è una normale elaborazione della rabbia, tesa a eliminare quel pericolo. Ma, di solito, subentrano motivazioni inconsce che intensificano l’odio, per esempio nella ricerca di vendetta. 15 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Quando l’odio è una predisposizione caratteriale cronica, riflette sempre la psicopatologia dell’aggressività. Una forma estrema di odio richiede l’eliminazione fisica dell’oggetto e può trovare espressione nell’omicidio o in una radicale eliminazione dell’oggetto, che può essere generalizzata sotto forma di distruzione simbolica di tutti gli oggetti, ossia di tutte le relazioni potenziali con Altri significativi, a volte questa forma di odio trova espressione nel suicidio, dove il Sé è identificato con l’oggetto odiato e l’autoeliminazione è il solo modo di distruggere l’oggetto stesso. Proseguendo ancora con l’approccio psicodinamico ho ritenuto importante considerare le caratteristiche dell’aspetto paranoide come evidenziate nel testo di G. O. Gabbard; dove si distingue la posizione schizoparanoide, come una modalità fondamentale di organizzazione dell’esperienza che permane nella psiche umana per tutta la durata del ciclo vitale, dove pensieri e sentimenti pericolosi o spiacevoli vengono scissi, proiettati fuori di sé e attribuiti agli altri; dal disturbo paranoide di personalità dove, ciò che lo caratterizza è uno stile pervasivo di pensare, sentire e relazionarsi agli altri particolarmente rigido e invariante, caratterizzato inoltre da mancanza di flessibilità; e l’esperienza che il paziente ha degli altri è discontinua, nessuna relazione è percepita come duratura nel tempo. Continuando nell’approfondimento teorico, considerando come evidenziato nel testo di Psicopatologia e crimini violenti di Skodol; il crimine violento e la psicopatologia di Asse I (il DSM IV considera in Asse I i disturbi psichiatrici maggiori quali Schizofrenia, Disturbi deliranti, Depressione, Disturbo Bipolare, Disturbi d’ansia, Dipendenze patologiche, mentre appartengono all’Asse II i disturbi di personalità) sarebbero significativamente correlati. L’autore utilizza un vasto materiale biografico, esperienze in unità psichiatrico forensi e la revisione della letteratura per giungere alle seguenti osservazioni: la maggior parte dei reati violenti, tra cui l’omicidio, nascerebbe da atti impulsivi, aggressivi dettati dal momento. I disturbi di personalità che soggiacciono a tali atti sono con molta probabilità quello irritabile-esplosivo, quello paranoide e, occasionalmente quello borderline o depressivo. I molti omicidi commessi da soggetti spinti dall’impulso o dal rancore, di solito coinvolgono soggetti con tratti 16 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 esplosivi o paranoidi. La personalità paranoide può prendere qualunque strada come fattore predisponente all’omicidio. Schneider definiva come tratti chiave del disturbo paranoide l’essere combattivo, l’essere aggressivo e litigioso. Un sentimento che emerge in questo tipo di personalità è la rabbia, risentimento insieme ad un senso di indignazione motivata si combinano a formare un’alta varietà di personalità paranoide. Considerando inoltre l’analisi del nostro caso clinico e l’emergere di qualche aspetto psicopatico, non ho potuto non considerare nell’approfondimento teorico, tratti della psicopatia evidenziati da Robert D. Hare, in particolare tratti emotivi ed interpersonali. Gli psicopatici sono spesso loquaci e brillanti, possono conversare in modo piacevole e divertente, sono capaci di rispondere rapidamente con battute argute e sono abili nel raccontare storie improbabili, ma convincenti, che proiettano su di loro una luce positiva. Possono essere molto efficaci nel presentarsi bene, recitando quasi in modo meccanico; a volte sebbene gli psicopatici affermino di avere obiettivi specifici, come per esempio obiettivi lavorativi presenti mentalmente anche nel caso del nostro paziente, mostrano una scarsa comprensione dei requisiti necessari per conseguirli e raggiungerli. Di rilievo nelle persone psicopatiche è, una sorprendente mancanza di interesse per gli effetti devastanti che le loro azioni hanno sugli altri, sono spesso sinceri sull’argomento dichiarando di non provare senso di colpa. Presente inoltre è la mancanza di empatia, incapacità di costruirsi una rappresentazione mentale ed emotiva dell’altra persona; si riscontra anche una certa discontinuità in ambito lavorativo, con assenze frequenti e talvolta inaffidabilità. Prendendo ancora in considerazione la violenza e la patologia mentale, si è osservato in ambiti di ricerca come emerge nel testo di cosmologie violente, che gran parte della “violenza” osservata nelle persone mentalmente malate non avviene a caso, ma è motivata e da mettere in relazione con sintomi psicotici. 17 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Appellandosi al criterio della razionalità all’interno dell’irrazionale, Link e Steuve7 (1994) invitano a ragionare sul fatto che se un individuo affetto da disturbi mentali si sente minacciato e se i suoi meccanismi di controllo sono compromessi, allora la violenza diviene con più probabilità una risposta comprensibile – così come quando essa è percepita quale difesa nei confronti di comportamenti vissuti come manipolativi nei suoi confronti. E’ per questa ragione che il “delirio di riferimento”e il “delirio di controllo” risultano essere più associati, rispetto ad altre forme di delirio, alla condotta violenta. I reati gravi commessi in particolari circostanze da alcune persone mentalmente disturbate, non devono condurre ad affermazioni di carattere generale sul fatto che tutti gli individui affetti da disturbi mentali siano potenzialmente più violenti del resto della popolazione. Da una ricerca italiana parlando sempre di violenza e patologia mentale, la prevalenza percentualmente rilevante di violenza commessa tra i soggetti psichiatrici riguarda quelli più gravi, di sesso maschile,in modo speciale quelli affetti da disturbo schizofrenico, o quelli con disturbi correlati ad uso di sostanze, con un esordio precoce di malattia , che non hanno intrapreso e/o mantenuto un efficace trattamento psicofarmacologico o hanno mostrato scarsa compliance al trattamento. Stabilire una relazione causale tra violenza e malattia mentale è pertanto un problema complesso, che ha ricadute concrete a vari livelli sui pazienti, su coloro che prestano le cure, sui legislatori e su cui gestisce i progetti all’interno delle comunità. Proseguendo ancora, di notevole importanza tra gli stimoli ambientali, nello specifico quelli provenienti dai genitori. Approfondimenti fatti sui bambini hanno confermato che oltre agli stimoli intellettuali, sono fondamentali per i neonati i coinvolgimenti emotivi, e che l’assenza della madre determina in una certa percentuale di casi una crescita scorretta con permanenti disturbi del comportamento. Difatti, la definizione “ delle strutture neuro anatomiche del cervello avviene in funzione dell’ambiente relazionale in cui il bambino si trova immerso, e se gli 7 Ceretti A., Natali L., 2009, Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali. Raffaello Cortina Editore, p. 84. 18 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 stimoli sono scorretti lo sviluppo delle reti neuronali può risultare anch’esso alterato”.8 Le teorie “sull’attaccamento” (Dazzi, Madeddu, 2009, pp. 63-68)9 hanno dato grande rilievo alla relazione che i bambini hanno con i loro caregiver (Bowlby, 1969-1980),10 esplicitando che “nell’attaccamento insicuro”gli stessi caregiver possono diventare uno stimolo minaccioso/frustrante , che favorisce aggressioni di tipo reattivo. Le madri brave a “controllare” senza far ricorso ad atteggiamenti autoritari aiutavano i loro bambini a imparare a spostare l’attenzione verso gli aspetti meno frustranti dell’ambiente – una strategia modellata in un’interazione diadica. Le madri “rifiutanti” non riuscivano, al contrario ad applicare con successo il modello della distrazione per ridurre la frustrazione, e in più modellavano in situazioni impegnative, risposte primarie improntate alla rabbia. Le prime relazioni di attaccamento non hanno, la sola funzione di proteggere il piccolo d’uomo nella sua vulnerabilità, ma anche quella di organizzare il funzionamento cerebrale e di creare un ambiente in cui la capacità di padronanza e di se stessi possa essere acquisita attraverso la creazione di una struttura rappresentativa per gli stati mentali. Questo processo può essere minato da diversi fattori precocemente o in fasi più avanzate, in contesti familiari e/o scolastici, con metodi violenti o no: in ogni caso il denominatore comune che conduce alla violenza è rappresentato, dalla momentanea inibizione della capacità di comunicare o di interpretare. Se le prime esperienze di vita favoriscono una capacità di interpretazione delle relazioni sufficientemente buona per poi poter sopportare alcune situazioni negative, anche di maltrattamenti, allora non assisteremo a un costante ricorso di comportamenti violenti. Un ulteriore approfondimento in merito a disturbi psichici e quadri clinici di malattie mentali, a cura di Vittorio Volterra evidenzia, come i crimini violenti 8 Soresi, 2005, in Ceretti A., Natali L., 2009, Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali, pp. 72- seg., Raffaello Cortina Editore. 9 Dazzi, Madeddu, 2009 in Ceretti A., Natali L., 2009, Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali, pp. 63-68, Raffaello Cortina Editore p. 72. 10 Bolwby, 1969-1980, in Ceretti A., Natali L., 2009, Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali, Raffaello Cortina Editore p. 72. 19 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 compiuti da soggetti affetti da schizofrenia venivano attuati durante uno scompenso clinico in fase acuta; ed un peggioramento dei sintomi della schizofrenia, in particolari quelli psicotici, come per esempio allucinazioni uditive imperanti, deliri a contenuto persecutorio, mancanza di insight nei confronti della malattia ecc. influiscono sulla possibilità di comportamenti violenti. I soggetti schizofrenici che si adeguano al trattamento farmacologico, e che presentano quindi un buon compenso clinico, vedono ridursi enormemente il rischio di compiere crimini violenti. All’interno delle caratteristiche cliniche associate ad un maggior rischio di criminalità vi è la comorbidità psichiatrica: l’abuso o la dipendenza di alcolici, il disturbo antisociale di personalità. Altri studi hanno evidenziato infine come il delitto commesso a opera di soggetti affetti da schizofrenia sia perpetrato solitamente nei confronti di persone conosciute, familiari o amici, in ambienti domestici, piuttosto che nei confronti di sconosciuti. 3.1. Pregiudizi sull’omicidio compiuto dallo schizofrenico Allorquando un soggetto schizofrenico mette in atto un comportamento violento di tipo omicidi ario, è frequente che questo venga valutato e giudicato sulla base di numerosi pregiudizi fondati ora su false mitologie popolari ora su opinioni o “teorie” personali. Tali pregiudizi, spesso molto lontani dalla realtà clinica, hanno una buona distribuzione “trasversale”nella popolazione coinvolgendo sia le persone comuni, sia gli organi di stampa e, non raramente, gli stessi operatori nel campo della salute mentale. Per quanto concerne gli operatori della salute mentale, è comprensibile come un approccio al problema del comportamento violento basato su un atteggiamento pregiudiziale non potrà che rendere ancora più complessi la valutazione diagnostica e il trattamento di tali pazienti. Al fine di tentare di migliorare il processo diagnostico e terapeutico con i pazienti violenti, è parso utile in questo specifico contesto, illustrare alcuni dei pregiudizi 20 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 che più frequentemente sono evocati nei casi di un comportamento violento quale l’omicidio o il tentano omicidio compiuto dallo schizofrenico. A tale proposito, un pregiudizio diffuso, sia in ambito clinico, sia in ambito giudiziario, è che il comportamento violento di uno schizofrenico sia legato in modo esclusivo e specifico all’attività delirante e allucinatoria del soggetto, soprattutto se tali sintomi presentano contenuti imperativi di comando o tematiche persecutorie. In altre parole lo schizofrenico, in caso di omicidio legato esclusivamente alla malattia, ucciderebbe perché vittima, egli stesso, di una sintomatologia specifica in cui si percepisce comandato da “forze superiori” o perché, nel suo vissuto soggettivo a “contaminazione psicopatologica”, ritiene d’essere gravemente minacciato dalla vittima. Pur essendo, questa, un’evenienza clinica possibile, i dati mettono in luce che, in riferimento alla psicopatologia, poco più del 50% degli omicidi viene eseguito in relazione a un’attività delirante (Nivoli et al, 1996). In questo ambito di pazienti, in circa la metà è possibile rinvenire un’attività produttiva florida (intuizioni deliranti a contenuto persecutorio ecc.) nella quale effettivamente il soggetto schizofrenico può percepirsi in pericolo per la propria integrità fisica, mentre in altri casi l’attività delirante può essere caratterizzata da contenuti mistici, di sacrificio, di influenzamento, di grandezza, ecc. Al contrario, risultano estremamente rari, a un approfondito vaglio clinico, i casi in cui l’omicidio può essere attribuibile a fenomeni dispercettivi esclusivamente a carattere imperativo. Infine non si può non ricordare che esistono motivazioni del tutto indipendenti e scollegate da qualsiasi delirio e, in questo senso, del tutto sovrapponibili a quelle degli omicidi compiuti dal soggetto non dichiarato infermo di mente (omicidio nel corso di rapina, nel corso di violenza carnale, per conflitti di interesse economici, per gelosia, per litigi banali in stati di ebbrezza alcolica ecc.). Nell’omicidio come manifestazione della malattia, è pregiudizio diffuso che l’agito omicidi ario dello schizofrenico possa essere il sintomo di ingresso in una psicosi non ancora manifestata e diagnosticata da un punto di vista clinico: la 21 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 cosidetta “fase medico-legale della schizofrenia” (Nivoli,1974; Nivoli et al,1996).11 Secondo questo pregiudizio, il soggetto schizofrenico potrebbe giungere all’omicidio proprio perché, non essendo stata diagnosticata e adeguatamente trattata psicofarmaco logicamente, la malattia sarebbe in condizioni di “esplodere” in maniera tanto eclatante. In realtà gli omicidi compiuti da pazienti schizofrenici permette di rilevare che in circa il 60% dei casi, al momento dell’atto, i pazienti erano già in trattamento psichiatrico. A tale proposito è da sottolineare la difficoltà per lo psichiatra non solo nel formulare una corretta diagnosi di schizofrenia (talvolta sottostimata quando non “confusa” con altre entità cliniche) ma anche nel trattamento e nella gestione di alcuni pazienti schizofrenici. Alla luce di quanto affermato sopra, l’analisi dei rapporti esistenti tra schizofrenia e comportamento violento omicidiario non può basarsi su pregiudizi acriticamente accettati senza un adeguato confronto con i dati fattuali. E’ utile sottolineare, ai fini terapeutici, e preventivi, alcune importanti avvertenze per lo psichiatra. La prima è la necessità di non essere vittima di “scotomi diagnostici” (per esempio, non formulare diagnosi errate di depressione maggiore in uno schizofrenico schizoaffettivo giunto a colloquio in fase acuta dopo un tentato suicidio e con una prevalente, vistosa e mascherante sintomatologia depressiva ecc.). La seconda è di valutare sempre la diatesi omicidi aria secondo lo stress model (e cioè la presenza di un sub-strato biologico e socioculturale che predispone il singolo schizofrenico al comportamento violento soprattutto nelle recidive e nelle vittime multiple) (Silverton, 1988)12. 11 Volterra V., 2005, Psichiatria Forense, Criminologia ed Etica Psichiatrica, Masson, pp.207-288. (Nivoli,1974; Nivoli et al, 1996) p. 209. 12 Volterra V., 2005, Psichiatria Forense, Criminologia ed Etica Psichiatrica, Masson, pp.207-288. (Silverton, 1988) p. 210. 22 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 La terza avvertenza è di mantenere a lungo termine un controllo farmaco terapico dell’aggressività (in molti casi di recidiva di violenze di pazienti schizofrenici, i farmaci erano stati inadeguatamente sospesi o il loro dosaggio era insufficiente). Nell’ambito poi di una concezione allargata della struttura di malattia mentale sono da tenere in particolare considerazione le relazioni psicopatologiche tra soggetto schizofrenico e vittima (Ellemberg, 1979).13 Ugualmente, nell’omicidio dello schizofrenico non possono non essere valorizzati la diagnosi psichiatrica del livello di avanzamento della progettualità di violenza e i segni clinici premonitori del futuro passaggio all’azione violenta. Le osservazioni fattuali che precedono non hanno la pretesa di esaurire il complesso problema della violenza omicidi aria messa in atto dal soggetto schizofrenico: possono però ridurne i pregiudizi stimolando una maggiore comprensione psicopatologica dell’atto con i concreti risvolti in tema soprattutto di prevenzione farmacologica e psicoterapica. 3.2. Approcci cognitivi all’omicidio dello schizofrenico Di fronte a un paziente che oltre ad avere una grave patologia di mente,come la schizofrenia, abbia anche commesso un importante passaggio all’atto violento omicidi ario, il terapeuta ha la possibilità di utilizzare differenti approcci metodologici per tentare di comprenderne il comportamento violento in maniera che ciò risulti utile ai fini diagnostici, terapeutici, e preventivi. Tali possibili differenze di approccio a un unico problema trovano origine, oltre che dall’oggettività complessa dei fattori determinanti del comportamento umano (fattori biologici, psicologici, psichiatrici, e sociali ecc.) anche da una certa variabilità personologica e formativa del perito. Confrontarsi, nella pratica clinica, con uno schizofrenico autore di un comportamento violento omicidiario solleva difficoltà e interrogativi di non facile soluzione. 13 Volterra V., 2005, Psichiatria Forense, Criminologia ed Etica Psichiatrica, Masson, pp. 207-288. (Ellenberger, 1979) p. 210. 23 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 In linea generale, di fronte a un caso clinico di questo tipo, il perito non potrà trascurare a priori la possibilità di un passaggio all’atto aggressivo non necessariamente collegato in maniera diretta con la malattia mentale. Allo stesso tempo tuttavia dovrà confrontarsi oltre che con importanti sintomi di ordine psicotico, anche con meccanismi di difesa arcaici ed estremamente coinvolgenti dal punto di vista contro attitudinali. Egli poi non potrà esimersi dal considerare tutte le comorbilità del processo schizofrenico: sarà costretto, per esempio, a considerare stati depressivi reattivi da perdita e da abbandono che si possono accompagnare, nell’ambito di un pensiero psicotico, alla messa in atto di azioni grandiose e compensatorie. Inoltre, è da sottolineare che, nonostante i vari approcci all’omicidio dello schizofrenico si possano descrivere separatamente (Approccio biologico, psicosociale, etologico, antropologico, ecc.), nella realtà clinica il tentativo di comprendere cause e motivi dell’azione dissociale induce il perito a cercare le motivazioni più profonde e specifiche del passaggio all’azione omicidiaria attraverso cause che variano tra quelle biologiche, psicodinamiche, sociali ecc. 3.3. Varie tappe della dinamica omicidiaria dello schizofrenico Lo schizofrenico può compiere un omicidio con grandi diversità di motivazioni, che vanno da quelle più facilmente comprensibili fino a quelle più oscure. E’ possibile affermare che più un caso clinico è studiato in profondità, più in generale la dinamica legata all’omicidio manifesta una tendenza a perdere i suoi aloni di mistero e di imprevedibilità. Con questa osservazione non si vuole però sottovalutare la difficoltà di una comprensione profonda dell’omicidio compiuto dagli schizofrenici. Nell’ambito di un lungo processo che porta lo schizofrenico a compiere l’omicidio, è stato possibile isolare alcuni punti sia legati alle dinamiche omicidiarie presenti nella psicologia dell’uomo considerato sano di mente, sia legata alla patologia specifica degli schizofrenici. Queste tappe permettono di tracciare una sorta di cammino che lo schizofrenico percorre prima di arrivare al compimento dell’omicidio. 24 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Le quattro fasi principali attraverso cui uno schizofrenico omicida compie il suo tragitto omicida rio sono le seguenti (Nivoli, 1974):14 - la nascita della situazione di pericolo; - la ricerca delle cause; - la ricerca delle soluzioni; - l’omicidio come tentativo di risoluzione di una situazione pericolosa. Prima tappa: la nascita della di pericolo situazione In questa tappa la persona accumula frustrazioni, insuccessi, disagi,soprattutto sul piano sociale. E’ da sottolineare che tutte queste frustrazioni sono obiettive, reali e possono essere altresì alla base della dinamica di un comportamento aggressivo per una serie di individui che non sono né schizofrenici, né malati di mente. Ai fallimenti sociali sono inoltre da aggiungere, nel caso dello schizofrenico, tutte le frustrazioni legate alla malattia che rendono assai più difficili i suoi rapporti interpersonali e trasformano la realtà in una situazione pericolosa per la sua libertà di espressione e la sua integrità fisica e psichica. Tra queste situazioni vissute dal soggetto, che sono obiettivamente e realmente frustranti, possiamo ricordare per esempio la famiglia schizofrenogena e criminogena, la perdita brusca dell’attività lavorativa, le relazioni disturbate, la stigmatizzazione sociale legata alla malattia mentale, le frustrazioni legate alle terapie psichiatriche ambulatoriali, agli internamenti in servizi psichiatrici, i ritardi e le imprecisioni nella diagnosi della malattia, gli effetti frustranti di alcune terapie, e di certi terapeuti, e le interazioni stimolanti e scatenanti il passaggio all’azione che la persona può avere nei confronti della vittima. Per quanto concerne i complessi problemi delle famiglie schizofrenogene proprie di quegli schizofrenico che hanno compiuto un omicidio, è possibile sottolineare l’alta percentuale di malati mentali e l’alta emotività espressa presenti nelle famiglie dei futuri schizofrenici omicidi. Si tratta di fattori che mettono in luce come molti schizofrenici che hanno compiuto un delitto provengano da una situazione familiare ricca di patologia 14 Volterra V., 2005, Psichiatria Forense, Criminologia ed Etica Psichiatrica, Masson, pp. 207-288. Nivoli, 1974, p. 216. 25 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 mentale ereditaria e funzionale nei rapporti tra i vari membri: fattori che non hanno certo favorito l’equilibrio psicologico necessario a una corretta socializzazione. Anche per le famiglie criminogene è possibile sottolineare la presenza, nell’anamnesi degli schizofrenici futuri autori di un omicidio, di numerosi comportamenti delinquenziali, e violenti tra i familiari, spesso accompagnati da una valorizzazione di sottoculture che eleggono il comportamento violento come mezzo principale per gestire i rapporti interpersonali. Questo dato di fatto sottolinea come lo schizofrenico sia stato in contatto e abbia potuto apprendere una socializzazione per imitazione e per identificazione basata su un comportamento antigiuridico violento, impostato e valorizzato per risolvere i problemi interpersonali. Seconda tappa: ricerca delle cause Quando lo schizofrenico è profondamente frustrato e si percepisce in una situazione penosa segnata da notevoli disagi, concentra la sua attenzione soprattutto sul mondo esterno, che considera come la vera e unica fonte di pericolo per la propria esistenza, non solo fisica ma anche morale e psichica. Lo schizofrenico in questa ricerca delle cause delle frustrazioni, e del possibile pericolo che minaccia la sua libertà tanto fisica quanto psichica, passa attraverso due tappe caratteristiche: la pluralizzazione delle cause di pericolo e la concretizzazione delle cause di pericolo. 1 Pluralizzazione delle cause di pericolo Nella pluralizzazione delle cause di pericolo tutto e tutti diventano motivo di preoccupazione e di pericolo per la libertà fisica e psichica dello schizofrenico. Per meglio comprendere questa affermazione è indispensabile considerare il grande travaglio psichico, ben conosciuto in ambito clinico, che può accompagnare le varie forme di alterazione del sentimento di realtà sino a veri e propri deliri. Ricordiamo l’allargamento dell’alone semantico, il sentimento di estraneità, i fenomeni di depersonalizzazione e di derealizzione, sino a veri e propri stati 26 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 d’animo deliranti che possono concretizzarsi in deliri a contenuti strutturati assai specifici e articolati. Senza approfondire il campo clinico che va dall’alone semantico sino al delirio di persecuzione più strutturato, sotto il profilo soprattutto clinico-criminologico, considereremo in particolare, in relazione all’omicidio dello schizofrenico diversi stati d’animo; Uno degli stati d’animo che si può presentare è percepire il mondo come strano, irreale e successivamente fonte di ansia e perplessità, dove lo schizofrenico riesce sempre meno a comprendere il significato di quanto si svolge attorno alla propria persona (Callieri et al, 1959).15 Successivamente si può verificare il mutamento pauroso, dove si verifica una presa di coscienza da parte della persona, non solamente di un cambiamento attorno alla propria persona, ma di qualcosa che assume il carattere preciso di malevolo, minaccioso e pericoloso nei propri confronti. In altre parole non solo “tutto e tutti stanno cambiando”, ma “tutto e tutti diventano una minaccia” e una possibile sorgente di pericolo per la propria esistenza fisica e psichica. In questa fase lo schizofrenico diventa più ansioso, irritabile, agitato, anche sul piano comportamentale, e può manifestare passaggi all’azione non controllati. Inoltre lo schizofrenico può altresì vivere sentimenti di catastrofe imminente. Questi stati d’animo non sono necessariamente legati all’esecuzione del delitto; si tratta di fattori che insieme a numerose altre variabili possono però essere suscettibili di stimolare e facilitare un atto omicida rio in soggetti predisposti all’uso della violenza come modalità di risoluzione di conflitti interpersonali. Un ulteriore stato d’animo è la causalità psicologica proiettata; per quanto concerne questa,è possibile fare un raffronto, pur con le dovute cautele, dell’atteggiamento dello schizofrenico verso il mondo esterno, percepito come ostile e minacciante. Questa modalità è un’interpretazione psicologica, nella quale sembra quasi che ogni antecedente necessari odi ogni fatto sia legato all’atto di volontà di qualcuno, atti di volontà che spesso sono malevoli e aggressivi. 15 Volterra V., 2005, Psichiatria Forense, Criminologia ed Etica Psichiatrica, Masson, pp. 207-288. Callieri et al, 1959, p. 219. 27 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Si tratta di uno stile di approccio alla realtà attraverso la “causalità psicologica proiettata” frequente tra i soggetti paranoidi che tendono a interpretare ogni avvenimento della vita come l’espressione di una intenzionalità psicologica (che si può manifestare a livello clinico con strutture deliranti a contenuto persecutorio). Molti schizofrenici prima di compiere il delitto si percepivano in stato di pericolo anche se non riuscivano a conoscere esattamente quale esso fosse, quale fosse il loro nemico, o i loro nemici, quali fossero esattamente i fatti e le percezioni alla base del loro sentimento di essere in pericolo riguardo alla loro integrità fisica e psichica. 2 Concretizzazione delle cause di pericolo A una primitiva concezione di un mondo percepito come ostile, minaccioso e pericoloso, poco per volta nello schizofrenico si fa strada la convinzione che solamente qualcosa o qualcuno sia la causa della situazione di pericolo fisico, morale o psichico. Questo processo che parte dalla pluralizzazione delle cause di pericolo, cioè un mondo indistinto dove “tutti e tutto sono pericolosi”, sino ad arrivare alla convinzione che solo “qualcuno o qualcosa è pericoloso”prende il nome di concretizzazione (Arieti, 1959).16 Lo schizofrenico è ancora capace di una concettualizzazione astratta, ma con l’aumentare dell’ansia compie la trasformazione dell’astratto in concreto. La concretizzazione, cioè il passaggio da un sentimento astratto a un’immagine concreta, non è un processo specifico dello schizofrenico e non è certamente in tutti i casi legata alla commissione di un omicidio. Il processo di concretizzazione è presente nell’attività onirica, nelle produzioni degli artisti e dei poeti ecc., che trasformano un’idea stratta in un’immagine concreta. Gli schizofrenici, allorquando uccidono, non lo fanno sempre sotto l’effetto di un delirio a contenuto specifico; possono, infatti, uccidere anche se non sono affetti da un delirio a contenuto specifico, ma per stati d’animo deliranti, mutamenti 16 Volterra V., 2005, Psichiatria Forense, Criminologia ed Etica Psichiatrica, Masson, pp. 207-288. Arieti, 1959, p. 220. 28 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 paurosi, causalità psicologiche proiettate o per altri motivi legati a dinamiche che non concernano psicopatologie specifiche della schizofrenia come la gelosia, la vendetta ecc. Spesso presentano una pluralizzazione delle cause di pericolo che si trasforma in una loro concretizzazione, cioè identificano tra le persone un soggetto che diventa per loro la vera e unica causa di pericolo per l’esistenza fisica e psichica e che quindi debbono distruggere ed eliminare fisicamente. Considerando quanto precede, si può mettere in luce che la plurilizzazione e la concretizzazione delle cause di pericolo rappresentano due meccanismi attraverso cui lo schizofrenico, con una logica improntata alla psicopatologia, cerca di identificare la fonte di tutte le sue frustrazioni sociali, del suo malessere esistenziale e dei danni che gli vengono causati dalla malattia. Alla fine di questa fase lo schizofrenico crede di aver trovato le ragioni alle sue frustrazioni e di sapere che cosa o chi è all’origine dei suoi sentimenti di essere in pericolo fisico e psichico. Terza Tappa: ricerca della soluzione In questa tappa di avvicinamento all’esecuzione dell’omicidio, lo schizofrenico cerca di risolvere la sua percepita situazione di pericolo esistenziale, psichico e fisico. Le modalità per risolvere questa situazione ritenuta estremamente frustrante, penosa, ansiogena e pericolosa sono numerose e sono più o meno adeguate alla realtà. Queste soluzioni possono essere divise almeno in tre categorie: a) allontanamento dalla situazione di pericolo; b) impatto con la situazione di pericolo; c) annullamento della situazione di pericolo. Allontanamento dalla situazione di pericolo In questo caso, lo schizofrenico, individuata una causa di pericolo per la propria esistenza, cerca di allontanarsi. 29 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 In tal senso devono essere intese certe fughe, viaggi, e anche tentativi di suicidio che possono precedere l’omicidio. Poco prima di commettere il reato, infatti alcuni hanno manifestato la tendenza a fuggire dal proprio ambiente. In qualche caso lo schizofrenico è stato in grado di precisare i motivi della sua fuga: “scappare dai persecutori” o “dalle cattive influenze che lo minacciavano”. In altri casi lo schizofrenico, pur non essendo in grado di spiegare le ragioni della fuga o del viaggio, può aver modo di affermare: “Avevo bisogno di andarmene, di allontanarmi, di fuggire”. Impatto con la situazione di pericolo Allorquando lo schizofrenico sceglie l’impatto con la situazione di pericolo, per poterla risolvere può domandare aiuto a qualche ente o a qualche persona. In generale, questa domanda di aiuto è posta ai servizi pubblici come ai servizi psichiatrici, alla polizia, alla giustizia e, più raramente, a singoli individui. Circa un quarto degli schizofrenici che hanno commesso un omicidio aveva chiesto poco tempo prima del delitto di essere preso in carico da un servizio psichiatrico. Soggettivamente questo bisogno di essere accuditi e protetti era stato verbalizzato come il tentativo di porre rimedio a un eccessivo nervosismo, alla paura di fare delle stupidaggini, al timore di arrecare danno a qualcuno. In questi casi, talvolta, la mancanza di posti disponibili, o un errore di valutazione clinica della gravità della malattia e della possibilità del passaggio all’atto, hanno impedito la rapida e utile presa in carico del soggetto. Lo schizofrenico può attaccare la situazione di pericolo attraverso minacce rivolte a chi ritiene il suo persecutore o la causa del suo disagio. Molti schizofrenici che compiono un omicidio lo preannunciano prima di compierlo, con differenti modalità. In alcuni casi sono state formulate minacce in modo chiaro e indirizzato a una persona specifica; in altri casi è solo segnalata la l’intenzione vaga di uccidere. 30 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Il significato delle minacce è complesso, per cui non possono essere considerate sempre e automaticamente il primo passaggio di una progressione ineluttabile verso l’omicidio. Esse, infatti, possono avere differenti significati per il soggetto; da una parte possono rappresentare una domanda di aiuto alterata, a volte possono rappresentare, da parte da chi le fa, un tentativo di rinforzo della propria volontà di uccidere. Tra questi due estremi, domanda di aiuto, e rafforzamento di una volontà omicidiaria, possono esistere molte altre interpretazioni delle minacce. E’ importante, soprattutto nel caso degli schizofrenici, non sottovalutare il significato simbolico che le minacce, possono rivestire in un tentativo di dominio, da parte del soggetto, del mondo esterno. Lo schizofrenico, infatti, può nutrire l’illusione che sia sufficiente esprimere un desiderio, in particolare elaborato, secondo una certa verbalizzazione o un determinato rituale, per ottenere un cambiamento della realtà o modificare il corso degli avvenimenti a proprio vantaggio. L’impiego delle minacce negli schizofrenici che hanno commesso un omicidio è stato soprattutto legato al tentativo di neutralizzare le cause di pericolo che secondo il paziente lo stavano minacciando. Annullamento della situazione di pericolo Oltre all’allontanamento e all’attacco alla situazione di pericolo, lo schizofrenico può altresì utilizzare, proprio basandosi sulla propria psicopatologia, dei tentativi di annullamento della situazione di pericolo secondo modalità ideative psicotiche. In questo senso, lo schizofrenico può servirsi, per esempio, di contenuti deliranti per poter annullare la situazione di pericolo. Così vi sono deliri di vulnerabilità che possono mettere lo schizofrenico di fronte alla possibilità di non risentire la situazione di pericolo. Altri deliri di onnipotenza possono portare lo schizofrenico a considerare la possibilità di risolvere ogni problema e di continuare a vivere in un mondo psicotico privo di pericoli. 31 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 In conclusione la terza tappa, e cioè il tentativo di risolvere la situazione di pericolo, contiene elementi fondamentali del passaggio all’atto, utili a un valido intervento psichiatrico. Prima di uccidere la maggior parte degli schizofrenici cerca di risolvere la propria situazione esistenziale con mezzi che sono diversi da quella dell’uccisione e distruzione fisica di una persona. E’ soprattutto a questo livello che le modalità di prevenzione dell’omicidio possono essere precostituite e messe in atto. E’ necessario poter comprendere le modalità che lo schizofrenico usa per non giungere all’omicidio allo scopo di interrompere il percorso obbligato verso la commissione del delitto. Se tutto ciò non è prevenuto e le tappe del delitto possono continuare, dopo aver cercato di risolvere la situazione di pericolo con le fughe, i viaggi, i tentativi di suicidio, i deliri, la richiesta di aiuto, lo schizofrenico che diventerà omicida passerà all’atto omicida rio. Quarta tappa: omicidio come tentativo inadeguato di risolvere la situazione di pericolo E’ stato osservato clinicamente che nello schizofrenico la decisione di uccidere non nasce improvvisamente come “un fulmine a ciel sereno”, ma attraverso progressive tappe e passaggi psicologici che possono essere alla base tanto del passaggio all’atto dell’assassino dichiarato sano di mente, quanto del soggetto psicotico. Tuttavia, in quest’ultima fase del delitto, saranno descritti soprattutto questi meccanismi più ricchi di psicopatologia che possono essere alla base dell’omicidio compiuto dallo schizofrenico e che sostanzialmente danno un significato di inutilità funzionale (a livello di logica) all’atto che è stato compiuto. Omicidio per eliminazione dell’aggressore immaginario Questo genere di delitto è, generalmente, lungamente meditato e annunciato direttamente alla vittima in modo chiaro e inequivocabile. La vittima fa parte, in genere, del microcosmo sociale che ruota attorno al paziente. Quest’ultimo, dopo aver tentato numerosi modi per risolvere la situazione di pericolo (domanda d’aiuto, tentativo di suicidio, allontanamento, 32 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 fughe, minacce), decide infine di passare all’azione, cercando di distruggere, cioè uccidendola, la persona che, nell’ambito della sua psicopatologia, ritiene, indipendentemente dalla realtà, essere la causa di tutti i suoi disagi e dei suoi timori per la propria integrità fisica e psichica. Omicidio per eliminazione dell’aggressore reale In questo caso la vittima è stata realmente un tiranno familiare, una persona violenta nei confronti dei propri familiari; è comprensibile, dunque, la reazione di difesa dello schizofrenico che ha ucciso la vittima, dove in una costruzione delirante, lo schizofrenico trasforma l’immagine reale in qualcun altro. Omicidio per eliminazione degli aggrediti Lo schizofrenico che si ritiene perseguitato da numerose persone, dopo aver fallito nella sua difesa, nei tentativi di fuga e nell’attaccare le situazioni di pericolo, non è in grado di considerare altra situazione di pericolo, non è in grado di considerare altra soluzione che il suicidio. Non prova il sentimento di essere in pericolo solamente per se stesso, ma lo estende anche a quelli che lui è convinto di amare. In questo caso lo schizofrenico prima di suicidarsi, uccide una o tutte le persone che secondo lui possono essere in pericolo di vita. Si tratta di una forma di “suicidio allargato”, con l’apparenza di una aggressione altruistica , per non lasciare le persone che dice di amare in un mondo cattivo e crudele, vittime di un preciso persecutore, o di vari persecutori non identificati. Questa rassomiglianza tra l’omicidio come “eliminazione degli aggrediti” e “l’omicidio allargato” del depresso, è fortemente significativa, anche perché spesso gli schizofrenici caratterizzati da questo passaggio all’atto presentano una diagnosi di schizofrenia schizoaffettiva, dove è innegabile la presenza di gravi componenti depressive. 33 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Omicidio per atto dissuasivo Questo tipo di omicidio ha l’obiettivo, nella percezione dello schizofrenico, di intimidire i persecutori tramite una dimostrazione di grande potenza, quale quella di distruggere una vita. In questa dinamica lo schizofrenico non è riuscito a scoprire l’identità dei suoi persecutori perché non ha concretizzato la sua situazione di pericolo; tuttavia uccide uno sconosciuto comprendendo che è innocente, ma compie ugualmente l’atto omicida rio per dare una dimostrazione di quanto potente, terribile e crudele possa essere. In questo modo, nella sua percezione, i suoi nemici, vedendo la distruttività di quello che ha fatto, non lo tormenteranno più avendo paura delle sue reazioni e finalmente lo lasceranno “vivere in pace”. Si potrebbe dire che questo omicidio entra in una sorta di “politica di intimidazione”, seppur patologica, che riguarda dei persecutori ritenuti sconosciuti. Con un atto di estrema gravità come l’omicidio, lo schizofrenico cerca di mettere in guardia tutti quelli che possono perseguitarlo e che lui ritiene responsabili delle sue frustrazioni e di tutti i pericoli da cui si sente minacciato. Omicidio per sacrificio propiziatorio In questo genere di omicidio, lo schizofrenico afferma di aver sentito delle voci, o di aver avuto delle visioni, che gli ordinavano di uccidere qualcuno, per salvare altre persone. Molto frequentemente, in seguito lo schizofrenico abbandona questo linguaggio simbolico e si esprime più chiaramente: non si trattava di salvare una persona o l’umanità, ma di salvare la propria vita. L’omicidio cosiddetto per sacrificio, può essere considerato a livello simbolico come l’offerta disperata dello schizofrenico che per ottenere una grazia, e cioè un cambiamento della sua vita frustrata, penosa, minacciata e piena di pericoli, è pronto a pagare il prezzo che pensa essere più alto per potersi salvare. 34 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Se l’atto dissuasivo fa parte di una “politica di intimidazione” verso gli sconosciuti, l’omicidio come sacrificio propiziatorio può essere considerato, in certi casi, come il frutto di una “politica propiziatoria” ugualmente indirizzata a sconosciuti. Questa interpretazione di ordine generale non esclude la partecipazione a dinamiche più specifiche quali, per esempio, la proiezione all’esterno di sentimenti di colpa ecc. Omicidio per spostamento simbolico Nel caso di omicidio per spostamento simbolico, l’intenzione omicidiaria nei confronti di una vittima può essere rapidamente trasferita su un’altra vittima. La dinamica del pensiero dello schizofrenico è caratterizzata da meccanismi associativi molto rapidi che non sono ancora completamente chiariti dalla dinamica. Queste associazioni rapide, permettono, per esempio, la sostituzione di un persecutore con una persona che a lui possa rassomigliare. Talvolta è sufficiente una barba, un accento, una parte del vestito, e il paziente riesce così a confondere gli attributi con l’identità: si tratta di un ragionamento paleo logico (Arieti, 1973).17 Generalmente questi omicidi sono preceduti da pericoli di agitazione psichica e da stati ansiosi che possono avere la durata di parecchi giorni. Omicidio per concretizzazione dell’aggressività da frustrazioni croniche In questo caso il delitto è preceduto da un periodo di preparazione nel corso del quale lo schizofrenico omicida si mostra particolarmente ansioso, agitato dal punto di vista psichico e motorio e presenta uno stato d’animo delirante, vago, verbalizzando dei contenuti aggressivi, soprattutto verso il contesto sociale in cui vive. Questo periodo può essere seguito, apparentemente senza legame, dalla scarica di tali tensioni emotive in un atto omicida rio che pare arrivare all’improvviso e di cui, immediatamente dopo, lo schizofrenico non è in grado di fornire spiegazioni razionali. 17 Volterra V., 2005, Psichiatria Forense, Criminologia ed Etica Psichiatrica, Masson, pp. 207-288. Arieti, 1973, p. 226. 35 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Questo genere di omicidio è sovente posto in essere come una tecnica di esecuzione brutale e appare frequentemente scatenato, almeno a livello più manifesto, attraverso un’aggressione reattiva di dominanza, di rivalità sessuale su base irritabile, di controllo sadico, di difesa territoriale ecc. Si tratta di una delle dinamiche omicida rie tra quelle ancora poco studiate; Queste dinamiche omicidiarie sono state descritte nell’ambito della discordanza psicomotoria, crisi classiche di automutilazione, suicidi che traducono una ricerca di soddisfacimento istintuale aggressivo arcaico nel quale il piacere è legato alla distruzione dell’oggetto. Secondo le interpretazioni che valorizzano maggiormente l’aspetto psicosociologico dell’omicidio si tratta di uno scarico improvviso di frustrazioni lentamente accumulate che, come una bomba, può esplodere alla più piccola scintilla. Questa dinamica generale non esclude l’intervento di processi psicologici più specifici della schizofrenia: per esempio, la concretizzazione da parte del paziente del suo stato ansioso e aggressivo. E’ da segnalare, inoltre, la funzione di parafulmine o di capro espiatorio che può acquisire la vittima. Non è possibile poi, escludere la partecipazione di un processo di scissione, per il quale il paziente elimina, distrugge tutti gli oggetti ritenuti cattivi, nel tentativo di eliminare quelle parti di sé che proietta all’esterno su altre persone. Omicidio per condensazione di un’altra vittima Gli schizofrenici possono uccidere non solo una ma più vittime, nel corso del medesimo atto criminale. In questi casi, le vittime possono essere uccise per motivi molto diversi; La frequenza con cui gli schizofrenici uccidono più vittime è stato statisticamente superiore alla media degli altri assassini, dichiarati sani di mente, che in genere tendono a uccidere solo una vittima. Non sono chiare le motivazioni per cui uno schizofrenico uccide una seconda vittima, inoltre queste motivazioni possono variare da un caso all’altro. 36 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Può trattarsi, infatti, di vittime inglobate in un medesimo delirio, dell’estensione automatica di una violenza omicidiaria, del comportamento aggressivo della seconda vittima, che cerca di difendere la prima vittima ecc. Spesso la seconda vittima è percepita dallo schizofrenico senza un’individualità precisa, quasi fosse assorbita, sincretizzata, contaminata o meglio condensata nell’immagine della prima vittima o vittima principale. Questo tipo di omicidio è chiamato “per condensazione”, tale meccanismo psichico dove due o più elementi possono fondersi in uno solo, è frequente nel pensiero dei deliranti e degli uomini primitivi. La condensazione, inoltre, come processo primario, è implicata nell’elaborazione onirica, ma (come suggerisce Jung, citato da Arieti,1959)18 può anche essere presente negli schizofrenici, allorquando sono svegli, in quanto alcuni loro meccanismi psicologici presentano numerose analogie con i meccanismi psicologici che regolano la formazione del sogno. 3.4. Significato dell’atto omicida rio per lo schizofrenico La lunga lista delle variabili cliniche e i numerosi processi psicopatologici che lo schizofrenico mette in atto nel corso delle tappe descritte per spiegare il cammino che lo porta all’omicidio possono sembrare frammentate, separate le une dalle alte. Si tratta dunque di trovare un filo comune che possa unire tutti questi elementi. Lo schizofrenico può uccidere per le motivazioni apparentemente più normali (gelosia, vendetta ecc.), sino a quelle più squisitamente psicotiche e specificatamente legate alle sua psicopatologia (fusine, condensazione, ecc.). Inoltre è da rilevare il doppio binario su cui può essere esaminato l’omicidio compiuto dallo schizofrenico: quello legato alla patologia del comportamento violento e quello legato alla psicopatologia della schizofrenia. Nonostante queste limitazioni è possibile ipotizzare uno “scheletro”, e cioè una struttura fondamentale che ci possa rendere conto del passaggio all’atto, non di tutti gli 18 Volterra V., 2005, Psichiatria Forense, Criminologia ed Etica Psichiatrica, Masson, pp. 207-288. Jung, citato da Arieti,1959, p. 228. 37 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 omicidi, ma di molti omicidi compiuti dallo schizofrenico, soprattutto allorquando la patologia del comportamento violento si interseca e si integra con la psicopatologia della schizofrenia. Lo schizofrenico che ucciderà è prima di tutto un individuo, che cammina a ritroso verso l’omicidio, spesso attraverso tentativi maldestri di risoluzione della situazione di pericolo, per precipitare, poi, spesso non volendo, in un tunnel sempre più stretto, sempre più buio, sempre più in discesa, in cui all’estremità incomincia a risentirsi il rumore, stridente e angosciante dell’omicidio, come unica modalità per risolvere una situazione ritenuta di estremo pericolo personale. Tutti questi messaggi di richiesta di aiuto, di difficoltà, di rifiuto nella scelta omicida ria, spesso non sono compresi da chi li ascolta, anche a causa della loro stranezza, fantasia, incomprensibilità. Tutte le richieste di aiuto, protezione e cura cadono nell’indifferenza e il cammino verso l’omicidio si affretta e si accorcia. Così alla fine, dopo aver fallito nel tentativo di risolvere i propri problemi, di capire qual è la causa, e di non essere stato in grado di migliorare la propria situazione esistenziale, lo schizofrenico, sempre più incapace di separare i suoi problemi interni da quelli esterni, uccide. Le ragioni profonde per cui un essere umano uccide un altro essere umano non risiedono certo nella psicopatologia della schizofrenia, ma hanno la loro base nella psicopatologia della violenza, che può essere tanto presente nei soggetti sani di mente, quanto nei soggetti malati di mente. L’esperienza clinica criminologica di ogni giorno non lascia dubbi: la maggior parte delle persone che uccidono, sono persone secondo la psichiatria forense sane di mente. La scelta di dialogare con un coltello in mano, alzato e pronto a colpire per risolvere i propri problemi personali, non può che essere compresa approfondendo lo studio sulle motivazioni dell’omicidio in generale. Lo studio della psicopatologia della schizofrenia può aiutare a meglio comprendere, allorquando la persona ha già alzato il coltello nelle sue mani ed è pronta a colpire, su chi, come, e quando, il coltello sarà repentinamente abbassato per uccidere. 38 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 E’ questo dato che riassume l’ipotesi alla base del trattamento psichiatrico dello schizofrenico omicida: curare la psicopatologia della violenza e la psicopatologia della malattia; questa potrebbe anche essere la strada principale per poter meglio approfondire la comprensione e soprattutto gli aspetti preventivi delle dinamiche omicida rie in generale. 3.5. Schizofrenia e recidiva omicidiaria La recidiva di un comportamento omicidiario (omicidio e tentato omicidio) a opera di soggetti schizofrenici non è un evento raro. Tuttavia numerosi pregiudizi intervengono, nelle persone comuni ma anche nei clinici, a rinforzare la convinzione che non sia frequente la ripetizione di una dinamica violenta. Dopo il comportamento violento lo schizofrenico lo schizofrenico, generalmente viene privato della libertà e non ha più la possibilità materiale di commettere un omicidio. In alcuni casi l’omicidio è stato compiuto durante uno stato psicotico acuto che si riduce, si trasforma o scompare con la terapia. Le motivazioni all’aggressione possono cambiare, ridursi o sparire con l’uccisione della vittima. Il cambiamento del contesto di vita può ridurre o annullare alcuni stimoli che hanno contribuito alla dinamica omicidiaria. Al di là dei pregiudizi rimane tuttavia la constatazione empirica che il comportamento omicidiario dello schizofrenico presenta una tendenza alla ripetizione. Alla luce di quanto precede, è parso utile illustrare alcune dinamiche di specifici contesti in cui la recidiva può verificarsi che possono risultare di interesse per il clinico nell’ambito di una miglior conoscenza e gestione di un paziente schizofrenico che ha avuto un comportamento violento (omicidio e tentato omicidio). Uno dei contesti nel nostro studio da prendere in considerazione è il contesto paranoideo. Tale contesto è caratterizzato da una varietà di dinamiche violente 39 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 sulla persona che hanno come denominatore comune una stretta implicazione con la psicopatologia della schizofrenia paranoide (un’attività delirante strutturata a contenuto di persecuzione, di grandezza ecc.). In questo contesto fortemente “contaminato”dalla psicopatologia, si possono rilevare dinamiche di aggressione che variano tra l’”omicidio schizofrenico puro” ( dove predomina la complessa psicopatologia della schizofrenia la cui dinamica è spesso incomprensibile) e quello “interferenziale (dove piuttosto che trovare dinamiche specifiche della schizofrenia si possono trovare dinamiche aggressive comune ai soggetti sani di mente). Sia il primo comportamento violento, sia la recidiva possono essere secondo le verbalizzazioni del soggetto, in relazione con un’attività delirante strutturata. Da rilevare è che nella recidiva può essere messa in luce una strutturazione delirante a contenuto diversificato rispetto al delirio presente nel precedente comportamento violento (in genere si tratta di variazione sul tema della persecuzione), ovvero è presente lo stesso tipo di delirio ma “spostato” su un’altra vittima ( che può a livello simbolico, ricordare la prima), o ancora una “collusione” tra il delirio del paziente e quello di un altro paziente. Alla luce di quanto detto, è possibile rilevare alcuni elementi di interesse clinico. Nell’ambito del comportamento violento dello schizofrenico (omicidio e tentato omicidio) è possibile osservare una stretta interazione tra dinamiche omicida rie psicotiche e dinamiche omicida rie non psicotiche; è possibile mettere in luce in uno stesso caso clinico molteplici dinamiche che hanno agito in sinergia tra loro; infine è possibile rilevare il complesso ruolo che ha la psicopatologia, nella sua interazione con fattori ambientali e psicosociali, nello scatenare un comportamento violento. Inoltre le osservazioni che seguono possono favorire una miglior comprensione clinica finalizzata all’individuazione di strategie preventive. E’importante conoscere l’anamnesi di un paziente schizofrenico in maniera approfondita e comprensiva dei precedenti comportamenti violenti. Particolare attenzione sospettosità vanno dedicati ai dati riferiti del paziente, dai familiari, da eventuali vittime, i quali, oltre a celare deliberatamente alcune notizie, possono utilizzare meccanismi di difesa quali la negazione o la 40 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 minimizzazione dei comportamenti violenti e rendere così deficitaria e incompleta la raccolta anamnestica. Particolare attenzione va ugualmente prestata ai dati delle cartelle cliniche, che possono essere incompleti anche in ragione di una certa tendenza a tutelare la privacy degli individui, ovvero volontariamente non indagati alla luce di posizioni ideologiche estremizzate. Conoscere come si è svolto un precedente comportamento violento può essere indicativo di come può essere un futuro comportamento violento nell’ambito di dinamiche violente che spesso vedono il ripetersi del medesimo meccanismo. Mettere in atto una terapia psichiatrica (farmacoterapia) nei confronti di un paziente schizofrenico omicida è di fondamentale importanza. Tuttavia è utile segnalare che non è un elemento di garanzia assoluta. Il trattamento farmacologico è di importanza prioritaria qualora il comportamento omicida rio si sia inserito in una dinamica prevalentemente di ordine psicopatologico (per esempio, un’attività delirante). Tuttavia alcune dinamiche di violenza non sono legate alla psicopatologia dell’individuo in maniera prioritaria (contesto di difesa fisica, contesto di cultura criminale, contesto sessuale), ma a dei fattori scatenanti che lo schizofrenico condivide con altri numerosi soggetti sani di mente. Tale dato può aiutare a comprendere come e perché alcuni comportamenti violenti si verificano anche quando la sintomatologia psicotica è clinicamente migliorata. Ne deriva che l’intervento terapeutico per lo schizofrenico, autore di un comportamento violento, deve essere indirizzato su due versanti. Da una parte deve essere posta una corretta diagnosi e impostata un’adeguata terapia farmacologica; dall’altra si deve fare un’attenta valutazione del comportamento violento e instaurare un trattamento specifico (Nivoli et al, 1999).19 19 Volterra V., 2005, Psichiatria Forense, Criminologia ed Etica Psichiatrica, Masson, pp. 207-288. (Nivoli et al, 1999) p. 244. 41 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 4. Valutazione del rischio di violenza 4.1. Aggressività e violenza: definizioni, distinzioni e psicopatologia Il rapporto tra patologia mentale e comportamento violento è da sempre oggetto delle riflessioni della comunità psichiatrica e del mondo della giustizia, nel tentativo di risolvere il complesso percorso che vuole integrare adeguati trattamenti sanitari per l’utenza psichiatrica violenta, la garanzia della loro stessa sicurezza personale e la garanzia del mantenimento dell’ordine sociale. Come abbiamo visto, all’inizio del secolo il trattamento dei pazienti psichiatrici autori di reato risentiva dell’assunzione di un’equivalenza tra malattia mentale e pericolosità, che aveva dato come risultato il loro necessario allontanamento dalla società civile in nome della protezione della sua sicurezza. Successivamente, le riflessioni condotte da altri punti di vista sulle finalità del trattamento giuridico-sanitario da rivolgere a questa specifica tipologia di criminali, avevano indirizzato quella rivoluzione culturale che modificò sostanzialmente il volto dell’organizzazione dell’assistenza psichiatrica ed in particolare degli istituti atti ad ospitare tali soggetti, i Manicomi Criminali (Sanza M., 1999) protezione della sua sicurezza. Tuttavia, ancora oggi è rimasta fondamentale la questione della gestione del comportamento violento, anche perché alla ribalta della cronaca continuano a rimanere, in occasione di delitti efferati così come di episodi meno cruenti, gli stessi interrogativi: la violenza è innata o acquisita? Chi è affetto da una patologia mentale, o da alcune in particolare, è più violento della popolazione normale? E’ possibile prevedere un comportamento violento? Quali protocolli operativi adottare per la gestione di questi casi? Decenni di studio e ricerca non sono bastati ad ottenere delle risposte univoche a questi interrogativi, in quanto il concetto stesso di violenza, multi determinato, sfugge alla possibilità di avere una definizione categoriale netta. Tentando di punteggiare alcuni concetti importanti, diciamo che, in primo luogo, si rende necessario discutere sulla possibilità di distinguere tra violenza ed aggressività. 42 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 In entrambi i casi si tratta della disposizione a mettere in atto un comportamento lesivo verso altre persone, animali o cose, ma dall’aggressività viene generalmente esclusa l’intenzionalità, ovvero la consapevolezza dolosa dell’offesa arrecata, caratteristica invece della prima. Ancora, tradizionalmente l’aggressività ha motivo di esistere come difesa della propria integrità, del proprio gruppo o del proprio territorio, o allo scopo di conquista, per affermare la propria supremazia; la violenza viceversa non mostra di avere le stesse motivazioni e soprattutto diventa improvvisa, esplosiva, eccessiva nelle sue manifestazioni. In altre parole: l’aggressività si spiega con la necessità biologica della sopravvivenza, su una ravvisata minaccia (reale o presunta) per mezzo di un esame del contesto ambientale circostante, divenendo quindi un comportamento in qualche modo “adattivo”, solo apparentemente è lo stesso per la violenza, la quale comunque diviene una reazione non commisurata all’evento minaccioso, e per questo detta dai più “gratuita”. Intuitivamente, si può riuscire a definire cosa si intende per aggressività. Scientificamente, la mancanza di una definizione unitaria deriva dal fatto di averla considerata, di volta in volta, un istinto, un comportamento, un’emozione. Se si considera l’aggressività, in modo generico, come un comportamento attivo volto al soddisfacimento dei propri bisogni e dei propri interessi lungo le interazioni con gli altri, ed anche ad eventuale discapito dei bisogni e degli interessi altrui, solo in parte il suo significato collima con quello di violenza, che richiama un carattere specificatamente ostile. Infatti, sinonimi di questa accezione di aggressività divengono “determinazione”, “risolutezza”, “tenacia”, “intraprendenza” fino a “caparbietà”20, perché l’aggressività è un impeto, una spinta volitiva all’autorealizzazione ed al raggiungimento di un obiettivo: si pensi ad esempio alle competizioni sportive o al campo scientifico, in cui si modula l’acquisizione di una sfida verso se stessi volta a migliorare precedenti prestazioni, con una sfida verso gli altri per ottenere un vantaggio maggiore al loro cospetto; Non è però detto che il raggiungimento 20 Si identifica in questo caso l’aggressività con le spinte all’autoaffermazione, facendo forza sull’etimologia di ad-gradior = cammino verso, che di per sé non implica lesività (Fornaro M., 2004, pag. 12-13). 43 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 dell’obiettivo desiderato, e la sottintesa manifestazione caratteriale del soggetto, divenga palese espressione di prepotenza, prevaricazione e brutalità verso l’altro, ovvero divenga un atto violento. D’altronde, poiché la violenza non ha espressione solo in senso fisico, ma richiama anche la coercizione morale o psicologica, o l’uso di interazioni verbali particolarmente spiacevoli, ha senso dire che il movente intimo sia di natura aggressiva. Dunque in sostanza: la violenza richiama l’aggressività, ma non sempre è vero il contrario. Per questo motivo le indagini sulle cause dei comportamenti aggressivo-violenti è divenuta nel corso del tempo più importante della necessità di trovare una loro accurata definizione. In particolare per ciò che concerne il rapporto tra aggressività e patologia, se da un lato si è affermata l’idea dell’esistenza di una loro correlazione laddove il discontrollo degli impulsi diviene inconsapevole, irrazionale e senza un fine, così che il comportamento violento di un soggetto affetto da patologia psichica si viene a ritenere una ulteriore espressione della deficitaria capacità di organizzare il proprio sé e la propria gestione personale nell’adattamento alla vita sociale, dall’altro è sempre mancata nella nosografia psichiatrica una compiuta definizione e classificazione del disturbo aggressivo. L’aggressività infatti, più che un elemento psicopatologico nucleare e strutturante, si mostra essere un fattore trans nosografico caratterizzante numerosi e diversi quadri clinici: in alcuni è citata in forma diretta, mentre in altri è associata ad altre componenti quali rabbia, collera, irritabilità e rancore. Consideriamo ad esempio i Disturbi del Controllo degli Impulsi Non Classificati Altrove (NAS) riferiti dal DSM IV-TR: tra essi si annovera la presenza del Disturbo Esplosivo Intermittente, definito come l’incapacità di resistere agli impulsi aggressivi che si manifesta con gravi atti aggressivi o distruzione della proprietà (Criterio A), attuati anche senza sufficienti motivi atti a giustificare la loro presenza e dunque con grado di aggressività del tutto spropositato rispetto a qualsiasi fattore psicosociale stressante precipitante (Criterio B). 44 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Nel Disturbo Esplosivo Intermittente l’azione aggressiva e distruttiva è per il soggetto al contempo fonte della sua sofferenza e mezzo per alleviare la tensione. Ad ogni modo tutti i disturbi inclusi nella categoria dei Disturbi NAS (Cleptomania, Piromania, Gioco D’Azzardo Patologico,ecc.) hanno ragione di essere in quella mancanza del controllo degli impulsi che orienta l’azione del soggetto verso condotte più o meno ricorrenti e/o deliberate, qui inclusi al di là di altri disturbi mentali che potrebbero spiegare gli episodi aggressivi. In tal senso si intendono, così come la nosografia psichiatrica e la letteratura hanno indicato: (Biondi M, 2005,pag. 79-131) - Disturbi Psicotici e la Schizofrenia, dove in stato acuto il comportamento violento è generalmente presente in qualità di reazione “difensiva” in un momento di estrema paura ed angoscia derivante da situazioni che il soggetto interpreta, in modo inadeguato ed esagerato, come minacciose. Tali reazioni, brevi ed intense, non si considerano “create” dalla malattia, ma piuttosto come una caratteristica temperamentale o di personalità preesistente alla stessa, che poi nella fase acuta della malattia il soggetto non riesce più a controllare. Tra gli schizofrenici, è generalmente nel sottotipo della Schizofrenia Paranoide che si individuano i soggetti maggiormente inclini ad acting out di natura violenta, in virtù del sistema delirante che domina il loro assetto cognitivo; Vale la pena tuttavia specificare che, per quanto siano molto frequenti i comportamenti aggressivo - violenti nei soggetti affetti da disturbo psicotico, è stato evidenziato che il loro rischio venga incrementato dalla comorbidità con l’uso di sostanze o con la presenza di tratti o Disturbi di Personalità in particolare Borderline, Antisociale o Narcisistico (Biondi M., 2005, pag. 116-119); - Disturbi dell’Umore, unipolari e bipolari, laddove la presenza di rabbia, aggressività e distruttività, per quanto non espressamente riferite, ne costituiscono di fatto una componente (Overall & Hollister, 1980; Fava et al., 1991; Posternak & Zimmerman, 2002; Pasquini et al., 2004). L’Episodio Depressivo Maggiore, ad esempio, può lasciare intendere la sofferenza depressiva come una struttura fattoriale a tre dimensioni: alla prima, quella della “tristezza/apatia”, corrispondono le manifestazioni comportamentali 45 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 del pianto, del ritiro e della chiusura emotiva; alla seconda, quella di “ansia psichica e somatica”, corrispondono le manifestazioni somatiche della sofferenza depressiva, ovvero la significativa perdita o l’aumento del peso corporeo, l’insonnia o l’ipersonnia, l’affaticabilità; alla terza, quella appunto della “rabbia/aggressività”, corrispondono vissuti e manifestazioni di irritabilità, insofferenza, scatti di rabbia fino al rischio di condotte autolesive e suicidiarie (Biondi M., 2005, pag. 112-116); - Disturbi D’Ansia, categoria eterogenea che include gruppi diagnostici con differenti matrici psicopatologiche e differenti fenomenologie. L’aggressività, considerata come un sintomo/dimensione, è stata riscontrata in pazienti affetti da: Disturbo Post-Traumatico da Stress, Disturbo d’ansia generalizzato, Fobia sociale e Fobia specifica (Posternak e Zimmerman, 2002); Disturbo di Panico (Korn et al., 1992; Fava et al., 1993); Disturbo Ossessivo-Compulsivo (Millar, 1983; Pasquini et al., 2003); - Disturbi del Comportamento Alimentare, che individuano palesi manifestazioni di auto aggressività non solo in pazienti affetti dalle forme psicopatologiche classiche (anoressia e bulimia), ma soprattutto nella comorbidità con il Binge Eating Disorder (Fassino et al., 2003); - Disturbi di Personalità, nei quali sospettosità, rancore e negativismo si rintracciano nel Disturbo Paranoide; arroganza, aggressività indiretta e sfruttamento interpersonale nel Disturbo Narcisistico, nel Disturbo Antisociale e nel Disturbo Borderline (Buss e Durkee, 1957; Henry et al., 2001). In generale, il tema dell’analisi del rapporto tra comportamento aggressivoviolento e psicopatologia mentale si può riferire in quattro differenti posizioni atte a descrivere i nessi tra malattia mentale e violenza, nonché ad indicare in che termini è possibile prevedere il rischio di recidive di future condotte violente (Sanza M., 1999, pag. 1-21). In tal senso infatti, nelle riflessioni poste sulla possibilità di considerare un atto aggressivo come il risultato di un processo univoco o piuttosto come il risultato di un processo complesso, l’attenzione si è rivolta alla necessità di gestire gli episodi di crisi nel breve periodo e di prevederli nel lungo periodo. 46 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Ovviamente si discute di due cose diverse, laddove si mostra relativamente facile nel breve periodo adottare uno schema di intervento concreto, generalizzabile e trasmissibile; mentre si prende atto che nel lungo periodo la presa in carico dell’utenza psichiatrica violenta deve ridimensionarsi a favore di obiettivi terapeutici e riabilitativi che, sotto l’aspetto clinico quanto organizzativo, contemplino il recupero delle competenze sociali previa l’analisi del contesto culturale ed ambientale che può essere favorevole per alcuni, e negativo per altri. Ad ogni modo, le riflessioni sulle modalità con le quali un comportamento aggressivo violento ha origine e si manifesta propendono oggi nel considerare alla base di qualunque comportamento di questo tipo un’attivazione psicofisiologica detta arousal, che ha luogo come reazione alla percezione di una minaccia e si esprime in modificazioni di natura somatica e psico-cognitiva. Nell’espressione dell’aggressività è stata dunque riconosciuta l’esistenza di un progressivo processo di desensibilizzazione (escalation) volto alla sua espressione e scandito dalle seguenti fasi: 1. fase del fattore scatenante: una iniziale modifica del baseline psicoemotivo ordinario, che si esprime con comportamenti verbali ed espressivi (mimici e comportamentali) tipici, segna l’avvio del processo di attivazione; 2. fase dell’escalation: caratterizzata da un ulteriore aumento dello stato di agitazione psicomotoria. Nel caso di pazienti psichiatrici, è in questa fase che si individua la bontà degli interventi operativi, che nella tempestività di attuazione trovano già buona parte del loro successo;21 21 In particolare, fondamentale in questa fase è il cosiddetto talk down, un approccio verbale di negoziazione che mira al contempo al positivo riconoscimento del contenuto emotivo della crisi personale del soggetto, deviandone però l’esito comportamentale. Esso si sostanzia in alcuni suggerimenti verbali (usare frasi brevi e dal contenuto chiaro; non polemizzare; ridurre la tensione dichiarandosi in accordo con quanto sostenuto dal paziente), prosodici (adottare un tono di voce caldo e rassicurante) e comportamentali (non invadere il suo spazio e mantenere una distanza utile) dati al clinico che abbia ad occuparsi di episodi di crisi aggressiva (Maier G.J. & Van Rybroek G.J., 1995; in Eichelman B.S. & Hartwig A.C., 1995 – pp.73-104). In aggiunta a questa, opportuno è l’allontanamento dal contesto, se fattori ambientali hanno originato il disagio del soggetto. 47 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 3. fase critica: è la massima fase dell’eccitamento. L’attenzione deve essere posta sulla tutela della sicurezza e sulla previsione delle conseguenze dell’imminente comportamento aggressivo; 4. fase del recupero: è l’inizio del percorso di ritorno al baseline iniziale, ma con ancora il rischio di recettività a nuovi fattori di disturbo. In questa fase, l’aiuto al paziente è volto alla progressiva rielaborazione dell’episodio, senza forzare con interventi precoci che potrebbero far riemergere la crisi; 5. fase della depressione post critica: la fase finale, nella quale compaiono nel paziente sentimenti negativi di colpa, vergogna e rimorso per quanto agito. È qui che trovano luogo anche percorsi di rielaborazione dell’accaduto che contemplino la comprensione razionale delle cause che l’hanno originato. Tornando alle quattro differenti posizioni che sintetizzano gli orientamenti in merito alla previsione del comportamento aggressivo di pazienti psichiatrici, partiamo da quella prima posizione specificamente rappresentativa degli assunti della disciplina psichiatrica di inizio secolo, a sua volta in linea con le opinioni della dottrina giuridica e con il sentire della collettività. Nell’asserire l’esistenza di una naturale, costituzionale, imprevedibile pericolosità sociale dei soggetti affetti da patologia mentale, per quanto poco unitarie fossero le legislazioni dell’Italia ancora non unita ad inizio secolo, comune era l’idea di una necessaria “cura” coercitiva verso questa utenza, che doveva essere separata dalla comunità civile per garantirne il benessere e la sicurezza. Prima della promulgazione ed applicazione delle Legge 180/1978, il ricovero coatto a tempo indeterminato nei manicomi si basava sull’esistenza (anche a lungo termine) di un giudizio di pericolosità che fondava le scelte cliniche. A sua volta, presupposto di questo atteggiamento di pregiudizio erano le teorie costituzionaliste ed alcuni studi epidemiologici che attestavano la stretta connessione tra patologia mentale e violenza. Tra questi, è nota la cosiddetta “legge di Penrose”, dal nome dello studioso che, prima della seconda guerra mondiale, in alcuni stati europei attestò per mezzo 48 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 delle sue ricerche un inverso rapporto di proporzionalità tra le immissioni di pazienti negli ospedali psichiatrici ed alcuni parametri socio-anagrafici: il tasso di mortalità generale, il tasso di natalità, il tasso di omicidi o altri fenomeni criminosi. Aumentando il numero di pazienti ammessi negli ospedali psichiatrici, Penrose aveva osservato una diminuzione della mortalità generale ed una diminuzione della criminalità. Anche altri studi epidemiologici, condotti sulla falsa riga di quello di Penrose (Gunn J., Nicol R., et al., 1973; Taylor 1984), si fondano sull’analisi della prevalenza dei disturbi psichiatrici tra i detenuti e dell’incidenza dei reati nella popolazione degli ospedali psichiatrici. Noi oggi sappiamo che la metodologia usata per tali studi risente dell’effetto della scelta del campione, preselezionato proprio tra i detenuti degli istituti di pena o degli ospedali psichiatrici, associato ad una superficiale conoscenza clinica dei soggetti esaminati, che in una generica associazione tra violenza e patologia non indagava appieno la specificità psicopatologica. In tal senso questi studi contribuirono ad una patologizzazione della criminalità e ad una criminalizzazione della patologia, che ancora oggi in alcuni ambienti stenta ad essere repressa. Successivamente, il movimento culturale di difesa civile dei malati mentali suscitò un nuovo interesse scientifico attorno al tema. Studi di follow-up dimostrarono l’inattendibilità delle previsioni a lungo termine della pericolosità sociale, sui riscontri ottenuti dal tasso di recidiva di pazienti dimessi dagli ospedali psichiatrici, non così cospicuo e comunque non molto diverso dal tasso di criminalità della popolazione generale. Allo stesso modo, studi retrospettivi (Hafner e Boker, 1973) sul tasso di alcune categorie di reato e sulle diagnosi psicopatologiche effettuate sugli autori non dimostrarono differenze significative al confronto con la popolazione generale: una maggiore incidenza di criminalità violenta si ha per diagnosi quali schizofrenia e disturbi affettivi, ma alcuni fattori di personalità, familiari e sociali, correlati con il disturbo psichiatrico, predisposizione al crimine. 49 incidono maggiormente sulla ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 In sostanza, anche questo secondo filone di studi ebbe origine dal confronto tra l’incidenza dei reati nella popolazione psichiatrica e l’incidenza dei reati nella popolazione generale, ma giunse a conclusioni differenti rispetto ai primi studi descritti: attestando la mancanza di un nesso di causalità tra patologia e comportamento violento e criminale, e segnalando che gli stessi fattori generici che incidono sul comportamento criminale per la popolazione generale valgono per la popolazione psichiatrica (ed ovvero: genere sessuale maschile, giovane età, uso precoce ed abituale di sostanze stupefacenti e/o alcol, stato socio familiare disagiato). Eppure, alla stregua del considerare come parziali i risultati in merito alla prevedibilità a lungo termine della pericolosità sociale, basati sul pregiudizio che i malati mentali sono sempre e comunque nella possibilità di commettere comportamenti violenti, è da considerare l’ipotesi degli studi condotti secondo un principio di umanizzazione dei trattamenti, impostati allo scopo di ottenere questo risultato. In una casuale prevalenza dell’una o dell’altra visione, rimane il problema di individuare strumenti clinicamente efficaci per la presa in carico degli autori di reato con vizio di mente, ed il problema di una civile interazione tra la psichiatria e gli organi della pubblica sicurezza, anch’essi interessati dal canto loro alla gestione di questi casi. Così, nello stesso periodo storico di questi studi, prese avvio un terzo metodo di approccio al problema, centrato soprattutto sulla responsabilità tecnico professionale da parte degli operatori preposti alla cura ed al trattamento. Tralasciando il confronto con la popolazione generale, questa terza prospettiva si rivolse all’analisi delle caratteristiche concrete del comportamento aggressivo: il tipo di reazione-attacco che ha avuto luogo, i correlati clinici, personologici e situazionali che l’hanno caratterizzato. Scopo primario divenne inquadrare le condizioni di prevedibilità sulla base della conoscenza dei fattori di rischio. Se le stesse variabili socio-demografiche costituiscono fattori di rischio generici per la popolazione generale e per la popolazione di malati mentali, per i pazienti ospedalizzati valgono in modo maggiormente significativo le variabili cliniche, ed in particolar modo: i disturbi del pensiero e la presenza di componenti 50 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 personologiche quali sospettosità/ostilità e agitazione/eccitamento (McNiel e Binder, 1994). Eppure, per quanto a questa terza tipologia di studi si possa riconoscere il merito di un miglioramento metodologico operato con l’uso di strumenti clinici affidabili e validi nel misurare e qualificare le componenti psichiche e caratteriologiche dei pazienti aggressivi, essa non rimase priva di critiche. La disamina della pericolosità a breve termine fu infatti considerata metodologicamente fallace: per il fatto di porsi nell’intercorrente condizione di segregazione, che è al contempo risultato della presenza di pericolosità nell’applicare un giudizio clinico, e status quo permanente nella mancanza di risorse all’esterno anche se i fattori di rischio sono stati “trattati” adeguatamente; per il fatto di impiegare variabili predittive troppo ristrette, e per il fatto di basarsi su deboli criteri di selezione dei casi come ad esempio le percentuali di arresti negli studi retrospettivi. Infine, un’ultima tipologia di studi è quella relativa alle indagini su popolazioni naturali. Uno dei primi studi condotti in tal senso è ad opera di Swanson et al. (1990) su un campione composto da una popolazione di 10000 abitanti delle tre metropoli americane di Baltimora, Raleigh-Dhuram e Los Angeles. I soggetti, valutati con la Diagnostic Interview Schedule, un’intervista strutturata che consente di formulare la diagnosi secondo il DSM-III con un questionario composto da 5 item per il comportamento violento, erano stati selezionati a caso. I risultati della ricerca dimostrarono l’esistenza di un’associazione significativa tra la popolazione affetta dai quadri psicotici maggiori e le condotte violente, nonché l’esistenza di un forte effetto delle variabili demografiche (sesso, età, etnia) e di precedenti episodi di arresto. Per quanto riguarda l’associazione tra comportamento violento e diagnosi psicopatologica, lo studio riportò una maggiore incidenza per la doppia diagnosi di schizofrenia e abuso di sostanze, seguita dalle due categorie “pure” (disturbo da abuso di sostanze; schizofrenia). Altro interessante studio che si cita in questa sede è quello condotto da Link e Stueve (1994) su una popolazione naturale composta da un gruppo di soggetti che 51 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 soffrivano o avevano sofferto di disturbi psichici ed un gruppo di persone scevre da patologia mentale. Lo studio giunse a sottolineare che, accertata una correlazione tra le psicosi (e la loro gravità) e l’adozione di comportamenti violenti o illegali, il loro contributo generale sul tasso di criminalità è modesto e comunque inferiore rispetto al fenomeno dell’uso di sostanze stupefacenti (Sanza M., 1999). 4.2. Problematiche e strumenti per la misurazione dei comportamenti aggressivo-violenti Un primo principale problema nella misurazione dell’aggressività risiede nella possibilità di effettuare una misurazione unitaria, ovvero che integri l’aspetto soggettivo e quello oggettivo che sono resi manifesti attraverso il comportamento aggressivo. Essendo l’aggressività un comportamento multi determinato e variabilmente reso manifesto, i riscontri che si ottengono con l’impiego di strumenti di autovalutazione o di scale compilate dall’osservatore sulla base dei dati ricavati dal colloquio, saranno indicativi delle specificità emotive, cognitive e volitive di quel soggetto esaminato, in quel momento, e secondo quel senso che egli ha voluto dare al gesto compiuto. Occorre inoltre ricordare, e come già indicato nel precedentemente, che nella maggior parte dei casi l’aggressività non è una condizione stabile e duratura nella gamma di manifestazioni comportamentali del soggetto, bensì un comportamento episodico, repentino e spesso non prevedibile. Al di là dello strumento che l’esaminatore sceglierà per la sua valutazione, dovrà considerare che la misura ottenuta sarà una misura “parziale” delle tante componenti che strutturano un carattere o una personalità. Alcuni Autori hanno suggerito che una misura affidabile, veritiera ed obiettiva dell’aggressività si avrebbe solo con l’osservazione diretta del soggetto nel proprio “ambiente naturale”… ma è facilmente intuibile come ciò sia quantomeno inopportuno, se non impossibile, per il pericolo che tale modalità 52 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 andrebbe a costituire per l’osservatore stesso, questo è possibile in un contesto di Comunità terapeutica. Per ovviare a tale problematica di sicurezza si potrebbe allora procedere con una valutazione dell’aggressività in un setting sperimentale, nel quale esercitare un certo controllo nelle variazioni delle condizioni o stimoli che possono elicitare il comportamento aggressivo. Per quanto esperienze in tal senso siano praticabili, esse rimarrebbero comunque limitate al campo della ricerca in quanto certamente non rapportabili a quello della clinica. Esplicitate le obiettive difficoltà nella misurazione dei comportamenti aggressivo violenti, passiamo adesso ad una breve rassegna degli strumenti maggiormente utilizzati in campo sperimentale, clinico e forense, allo scopo di fornire o una generale misurazione dell’aggressività o una specifica individuazione delle sue componenti principali, per popolazioni estese o per campioni con ristretti criteri di individuazione. Partiamo ad esempio dai test psicodiagnostici che per comprovata validità forense più comunemente vengono utilizzati in ambito peritale: essi consentono già di indicare l’esistenza ed il grado della componente aggressiva, auto o etero diretta, nella struttura psichica e di personalità del soggetto posto ad esame dai quesiti di imputabilità e pericolosità sociale che il Giudice o il Pubblico Ministero pone all’esperto (Perito o CTU), proprio perché la valutazione delle manifestazioni della componente aggressiva nonché la valutazione in senso predittivo delle tendenze da essa possedute ha chiaramente un’importanza determinante. Considerando ad esempio i cosiddetti test di livello o test dell’efficienza intellettiva, come la Wechsler Adult Intelligence Scale - Revised (WAIS-R: Wechsler D., 1955, 1981; ITA 38 1997) 1997) o il Bender Visual Motor Gestalt Test (Bender L., 1938; ITA 1979), l’esame si rivolgerà alle componenti cognitive associate alla gestione emotiva ed in particolare verso le istanze aggressive. I test proiettivi, invece, che per loro natura sono rivolti all’indagine delle componenti più intime e profonde della personalità, consentono appunto di analizzare l’aggressività a livello inconscio. 53 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 A livello formale nel test del Disegno della Figura Umana (Machover, 1951; ITA 1968), la presenza di tratti marcati e l’uso di annerimenti, ricalchi e linea spezzata e discontinua, una raffigurazione macrografica della figura disegnata e la sua collocazione sulla parte destra del foglio, costituiscono alcuni indicatori della presenza di quote di ansia ed angoscia che potrebbero modificarsi in aggressività; così come a livello contenutistico simbolico, l’accentuazione dell’espressione del volto o alcuni particolari di “rigidità” della figura nell’espressione e nell’atteggiamento, ed ancora alcune indicazioni di proiezione verso l’esterno dell’energia pulsionale (ad es.: braccia e gambe aperte).22 Nel Test di Rorschach (Rorschach, 1921; ITA 1937, 1980), già nella fase di raccolta si possono trovare indicazioni della presenza di componenti aggressive intime: chiedendo al soggetto di elaborare una personale interpretazione del contenuto percettivo elicitato dalla presentazione delle 10 Tavole che compongono il Test, sia le verbalizzazioni con le quali il soggetto esprime le proprie interpretazioni (ovvero i termini che utilizza) che il contenuto delle sue percezioni (le “figure” sollecitate dalla visione delle Tavole)23, costituiscono dei campanelli di allarme per l’esaminatore. A livello interpretativo-statistico, vi sono poi due indici specifici da tenere sotto controllo nel valutare le tendenze autolesive o eterolesive dell’aggressività: è infatti indicativo ottenere un punteggio elevato all’Indice di Impulsività ed un punteggio basso all’Indice di Autocontrollo24. Ancora, la presenza di un T.V.I 22 Il test del Disegno della Figura Umana, nella revisione ad oggi utilizzata, consente di valutare lo sviluppo intellettivo e di personalità del soggetto esaminato. Assolve all’indagine degli aspetti proiettivi relativi all’identificazione identitaria di natura cronologica, sessuale e di ruolo, in generale la ricchezza o coartazione della sfera profonda, ed ancora i correlati emotivi dei rapporti interpersonali con figure familiari, di riferimento o sociali. Per ciò che concerne in particolare la disamina degli indicatori delle componenti aggressive nel test, nelle declinazioni di predittività in senso auto ed etero-lesivo, si rimanda alla letteratura di specie. In questa sede si suggerisce il seguente approfondimento: Abbate L., Capri P., Ferracuti F., La diagnosi psicologica in Criminologia e Psichiatria Forense. I Tests Psicologici, in Ferracuti F. (a cura di) (1990), “Trattato di Criminologia, Medicina Criminologica e Psichiatria Forense”, Vol. XIII, Giuffré, Milano. 23 A titolo puramente esemplificativo, traendo spunto dalle verbalizzazioni fornite dai soggetti esaminati in alcuni casi peritali da parte di chi scrive, si fa riferimento ad espressioni con contenuto e forma del tipo: “Una maschera persecutoria e raccapricciante, con gli occhi e la bozza spalancati” (Tav. I); “Un gatto spiaccicato sulla strada, investito da una macchina” (Tav. VI); “Macchie di sangue” (Rosso – Tav. II); “Dei feti morti” (Rosso – Tav. III); “Un’esplosione” (Tav. X). 24 L’Indice di Impulsività e l’Indice di Autocontrollo rappresentano rispettivamente il livello di attivazione pulsionale dell’Io e la capacità del soggetto di gestire e controllare la propria 54 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 “Intratensivo” è indicativa di tendenze autolesive, all’opposto un T.V.I “Extratensivo” di tendenze eterolesive25. Per quanto concerne il Minnesota Multiphasic Personality Inventory – 2 (MMPI2, Hathaway e McKinley, 1943, 1970, 1989; ITA 1995), la predittività di gesti autolesivi ed eterolesivi si valuta ad esempio in base alla presenza di punteggi molto bassi (< 40 T) alla Scala K (Correction o Key) ed alla Scala Hy (Hysteria), e dalla contemporanea presenza di punteggi molto elevati (> 80 T) alla Scala D (Depression) ed alla Scala Pd (Psychopathic Deviate).26 Certamente, quanto indicato in questa sede per i summenzionati test non è altro che una sintetica ed orientativa spiegazione di alcuni indicatori in essi utilizzati per la valutazione delle tendenze aggressive, in termini quantitativi e di qualità. Una trattazione a parte, oltre questo lavoro, meriterebbe la disamina del contenuto clinico di ogni test fin qui menzionato (ad esempio, per ciò che contempla le risposte interpretative alle Tavole del Test di Rorschach), in virtù della sua complessità applicativa ed interpretativa, e nel rispetto del valore che questi strumenti hanno nel fornire un quadro più ampio della personalità rispetto alla finalità primaria che indica il loro utilizzo. impulsività (Capri P., Lanotte A., Mariani S., 2011, p. 148). 25 Il T.V.I, Tipo di Vita Interiore o Tipo di Risonanza Intima, “riflette l’attitudine fondamentale della personalità a diretto contatto dell’Io e dell’ambiente che lo circonda” (Bohm, 1969, in Capri P., Lanotte A., Mariani S., 2011, p. 145). 26 La Scala K valuta lo stile difensivo (inconscio) nei confronti del test; la Scala Hy valuta la presenza ed il grado di sintomatologia associata al disturbo isterico di conversione, ovvero il livello di dipendenza affettiva dagli altri ed il tentativo di risolvere un conflitto psichico attraverso sintomi somatici; la Scala D indaga il tono dell’umore del soggetto, ovvero la presenza e la qualità di vissuti malinconici, pessimistici o di mancanza di speranza nei confronti del futuro; la Scala Pd valuta il livello pulsionale dell’Io nei rapporti con il mondo esterno, le norme e le convenzioni in genere, e dunque specificatamente le caratteristiche relative ad una struttura antisociale o psicopatica di personalità. Tutte le Scale che compongono l’MMPI-2 (K è una Scala di Validità; Hy, D e Pd sono Scale Cliniche), contemplano un range di punteggi che va da < 40 T (T = punteggi ponderati; punteggi molto bassi) a > 80 T (punteggi molto alti) per la valutazione della validità del test e del livello psicopatologico posseduto dal soggetto all’atto dell’esame. In particolare, quando K ha punteggi inferiori al punteggio di soglia minima 40T, si può pensare ad una simulazione o ad un’esagerazione sintomatica da parte del soggetto sottoposto al test, come estrema difesa o come forte richiesta di aiuto. Nella disamina dell’orientamento dell’aggressività, punteggi bassi in questa Scala indicano carenza nella capacità di controllare i propri comportamenti e le proprie reazioni emotive, orientandosi dunque verso tendenze autolesive di vario ordine e grado. La contemporanea presenza di punteggi inferiori a 40T alla Scala Hy (indicativi dell’incapacità ad empatizzare con l’ambiente), e di punteggi elevati (70-80 T o > 80 T) alle Scale D (depressione, polarizzazioni pessimistiche del pensiero) e Pd (presenza di aggressività, impulsività, incapacità di valutare le conseguenze del proprio comportamento), può ulteriormente orientare l’esaminatore verso il rischio di condotte auto lesive. 55 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Così infatti il DFU ed il Rorschach, che sono definiti test proiettivi e dunque indicati per la valutazione della struttura profonda di personalità del soggetto esaminato, hanno un valore che va ben al di là di questa collocazione, poiché sono utili per la comprensione dello sviluppo intellettivo al pari di quello emotivo. Peraltro, gli indicatori qui presentati non sono gli unici: anche altri, durante la siglatura e l’interpretazione di questi test, possono richiamare l’attenzione dell’esaminatore sulla possibile presenza di istanze impulsive o aggressive. E soprattutto, un protocollo psicodiagnostico va sempre guardato nella sua interezza, ovvero mai per singola risposta, e per mezzo del confronto con le risultanze di natura clinica che si ottengono, ad esempio, attraverso il colloquio. Passando adesso in rassegna gli strumenti più conosciuti e che più comunemente vengono utilizzati per la valutazione specifica delle istanze aggressive e violente, sempre in ottica predittiva nell’interpretazione comportamentale utile tanto nel campo clinico classico quanto in quello psichiatrico-forense, possiamo menzionare:27 1. il Buss Durkee Hostility Inventory - BDHI (Buss e Durkee, 1957; ITA Castrogiovanni et al., Questionario per la Tipizzazione del comportamento Aggressivo - QTA, 1982), che è uno degli strumenti più conosciuti, è utile 27 La trattazione che segue contempla gli strumenti riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale per l’indagine specifica dell’aggressività e degli agiti violenti. Poiché abbiamo detto che tali dimensioni, intese sia come disposizione personologica che come agito (ovvero al contempo, “causa ed effetto”), non godono ancora di una definizione univoca, ne consegue che gli strumenti psicodiagnostici che è possibile includere in una ipotetica lista divulgativa sono in numero largamente superiore anche a quelli qui presentati. Andrebbero infatti inclusi tutti quelli che si rivolgono all’indagine di componenti “correlate” alla dimensione aggressività-violenza: quelli che indagano una possibile dimensione psicopatologica sulla base della presenza di alcuni tratti di personalità (ad esempio: Brief Psychiatric Rating Scale – BPRS, ), sia in senso generale che verso una specifica struttura di personalità; quelli che esaminano altri disturbi mentali (schizofrenia e psicosi, ritardo mentale); quelli che approfondiscono la valutazione dei disturbi dell’umore (depressione, ansia, maniacalità); quelli che valutano l’adattamento sociale; quelli che esaminano la qualità di vita o i correlati emotivi di specifiche patologie mediche (cancro ed altre patologie degenerative, AIDS ed altre patologie a trasmissione sessuale, disturbi da carenza di sonno); quelli che, indagando problematiche specifiche, nella manifestazione delle stesse rintracciano degli agiti comportamentali di natura aggressiva in senso auto o etero diretto (pensiamo ad esempio ai disturbi del comportamento alimentare, alle condotte di abuso di sostanze o alcol, alle parafilie o ai disturbi sessuali, al rischio suicidario); ed infine a quelli che si rivolgono a categorie specifiche di utenza (i malati mentali, gli adolescenti e giovani). 56 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 nell’esaminare il tipo di aggressività e le modalità della sua espressione, tanto a livello degli agiti comportamentali (all’atto dell’esame) che come tratto di ostilità non manifesto. Il questionario si basa su item dicotomici Vero/Falso che consentono di descrivere l’esaminato secondo le caratteristiche delle 7 Scale che compongono lo strumento: Aggressività Diretta, Indiretta e Verbale, Irritabilità, Negativismo, Risentimento e Sospettosità. Il punteggio si esamina poi sulla base di tre indicatori: Colpa, Aggressività totale ed un Indice di Inibizione/Disinibizione dell’Aggressività (che si calcola sul rapporto dei precedenti due punteggi); 2. la State-Trait Anger Expression Inventory - 2 – STAXI - 2 (Spielberger, 1988; ITA Pedrabissi e Santinello, 1996; Comunian, 2004),28 ideato allo scopo di indagare, in maniera diretta e rapida essendo una scala di autovalutazione, l’esperienza della rabbia e le modalità della sua espressione. Lo strumento ha dimostrato la sua validità non solo con soggetti affetti da patologia mentale, ma anche nel caso di altre patologie mediche (la rabbia è infatti una delle componenti personologiche di soggetti affetti da ipertensione, patologie cardiache o cancro). Lo strumento distingue tra “rabbia di stato”, stato emotivo e sentimenti soggettivi di diversa intensità lungo il range fastidio – irritazione – furia, che dipende dal grado di gestione della frustrazione, e “rabbia di tratto”, disposizione ad agire alle situazioni frustranti in base allo stato personologico; e distingue la rabbia in base all’oggetto verso cui l’azione-reazione è diretta, ovvero altre persone o oggetti, o in modo interiorizzato e dunque trattenuta o soppressa, ed ancora le differenze individuali dei tentativi di controllo. Nella versione dell’ultima revisione, attualmente utilizzata, il questionario si compone di 57 item: invita il soggetto a dire come si sente “generalmente” ed “al 28 Lo State-Trait Anxiety Inventory - STAI è il primo strumento in cui l’ansia-tratto e l’ansia-stato vengono valutate separatamente. La sua costruzione iniziò nel 1964 e la versione attualmente in uso è quella che deriva dalla radicale revisione del 1983, denominata Forma Y, e che è costituita da due sub-scale, una per la valutazione dell’ansia-stato (S-Anxiety Scale) ed una per quella dell’ansia-tratto (T-Anxiety Scale). La versione originale dello strumento è quella di Spielberger C.D. (1988), Manual for the StateTrait Anger Expression Inventory, Psychological Assessment Resources, Odessa, FL. In Italia, Luigi Pedrabissi e Massimo Santinello sono autori della validazione dello State-Trait Anxiety Inventory – Y (STAI – Y, 1989), revisione della forma dello strumento originale (Forma X). Al 2004 risale invece, ad opera di Anna Laura Comunian, la validazione dell’ultima revisione dello STAXI-2. 57 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 momento attuale”, sulla base del grado di accordo su una scala a 4 punti, così da delineare le 6 Scale che interessano (Rabbia di Stato, Rabbia di Tratto, Espressione della rabbia all'esterno, Espressione della rabbia all'interno, Controllo della rabbia all'esterno, Controllo della rabbia all'interno, più un Indice di espressione della rabbia); 3. il questionario Indicatori della Condotta Aggressiva – Irritabilità e Ruminazione/Dissipazione (Caprara et al., 1991), che integra i risultati delle ricerche ad indirizzo psicodinamico e ad indirizzo situazionista, così da giungere ad una visione integrata del fenomeno “aggressività” che contempli tanto la componente impulsiva che quella della mediazione cognitiva. Lo strumento si compone infatti di due Scale, originariamente ideate in forma singola e poi integrate in un unico protocollo. Ognuna di esse è costituita da 10 item principali e 5 di controllo per limitare il “response set”:29 si tratta di “affermazioni-stimolo” per le quali il soggetto deve dichiarare il proprio grado di accordo sulla base di una scala a 7 punti. La Scala di Irritabilità (proposta come contributo alla validazione italiana del BDHI di Buss e Durkee, 1957) indaga la propensione ad agire in modo impulsivo e dunque l’istinto di reazione anche per le minime provocazioni; la Scala di Ruminazione/Dissipazione indaga l’elaborazione cognitiva, ovvero il rancore, ed il deficit di controllo cognitivo sulla condotta e sulle sue conseguenze.30 Nella clinica così come nella ricerca, l’uso di questo strumento può essere associato con quello del questionario Scala per la Misura della Fragilità Emotiva (Caprara et al., 1991), volto alla misura dei sentimenti di inadeguatezza sulla base anche in questo caso di due Scale: quella di Suscettibilità Emotiva, sensibile ai sentimenti soggettivi di vulnerabilità in situazioni, reali o presunte, di attacco, 29 Le risposte in serie, ovvero la tendenza ad uniformare il proprio giudizio (in questo caso espresso con l’assegnazione di un valore numero al grado di accordo con le affermazioni presentate) in occasioni in cui si descrivono o esaminano dimensioni molto omogenee. 30 Come riferimento bibliografico si veda: Buss A., Durkee A. (1957), An inventory for assessing different kind of hostility, Journal of Consulting Psychology, 21, pp. 343-348. Caprara G.V. (1983), La misura dell'aggressività: contributo di ricerca per la costruzione e la validazione di due scale per la misura dell'irritabilità e della suscettibilità emotiva, Giornale Italiano di Psicologia, X (1), pp. 107-127. 58 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 offesa o pericolo; e quella di Persecutorietà, sensibile ai sentimenti soggettivi di tensione nell’anticipazione di una punizione o pericolo imminente; 4. la Hare Psychopathy Checklist - Revised o PCL-R (Hare, 1991, 2003; ITA Caretti et. al, 2012), lo strumento che indaga e descrive il “costrutto” di Psicopatia distinguendola dal Disturbo Antisociale di Personalità e dal Disturbo Dissociale di Personalità. L’indagine si basa sulla raccolta di informazioni personali sulla storia di vita del soggetto e su un’intervista semistrutturata che orientano il clinico all’assegnazione di un punteggio da 0 a 2 ad una checklist composta da 20 item, che descrivono la psicopatia secondo 2 Fattori (Interpersonale/Affettivo e Devianza Sociale) e 4 Componenti (Interpersonale, Affettiva, dello Stile di Vita ed Antisociale);31 5. l’Aggression Inventory - AI (Gladue, 1991), con la finalità di valutare il comportamento aggressivo in qualità di tratto personologico. Il questionario si compone di 30 item valutati su una scala a 5 punti, e delinea 4 Scale: Aggressività fisica, Aggressività verbale, Impulsività/Impazienza, Evitamento. Lo strumento è sensibile all’influenza del genere sessuale nelle componenti emotive, cognitive e comportamentali della dimensione esaminata: 6. l’Aggression Questionnaire - AQ (Buss e Perry, 1992), complementare al BDHI di Buss e Durkee (1957), si compone di 29 item che indagano 4 aspetti dell’aggressività (Scale): Aggressività fisica, Aggressività verbale, Rabbia e Ostilità. Consente di ottenere una misura quantitativa dell’aggressività e l’espressione qualitativa della sua manifestazione. Anche questo strumento è sensibile alle differenze di genere sessuale; 7. la Violence Risk Appraisal Guide - VRAG (Quinsey et al., 1993), uno degli strumenti più utili in campo forense per indagare il rischio di violenza ed individuare strategie efficaci per la sua gestione; 31 Poiché questo è uno degli strumenti utilizzati nel presente lavoro, si rimanda al Capitolo successivo per una descrizione più accurata delle finalità, della struttura e dell’impiego. 59 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 8. la Barratt Impulsiveness Scale - Version 11 – BIS-11 (Barratt e Stanford, 1995), che indaga l’impulsività, ovvero l’azione repentina senza la mediazione del pensiero, tanto nei pazienti psichiatrici che in soggetti non psichiatrici; 9. la Sexual Violence Risk-20 o SVR-20 (Boer et al., 1997) e la Spousal Assault Risk Assessment Guide o SARA (Kropp e Hart, 2000), che sono strumenti specifici per l’individuazione del rischio di commettere atti che rientrano nella “violenza sessuale” (un’azione, compiuta, tentata o minacciata di un contatto sessuale con una persona non consenziente o non capace di dare consenso), e per la previsione della recidiva di violenza tra partners. Stabiliscono un grado di rischio in termini di basso – medio – alto; 10. il Violence Risk Assessment-20 o HCR-20 (Webster et al., 1997), uno strumento utile in differenti setting, dal campo psichiatrico a quello più propriamente forense. Si compone di 20 item o Fattori – 10 Storici, 5 Clinici e 5 di Risk Management – ricavati dai riscontri empirici della letteratura in merito agli elementi correlati al rischio di violenza. 60 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 5. Caso clinico M. DB all’ingresso a Casa Zacchera aveva circa 40 anni, proveniente da una famiglia composta da una madre, settantenne e pensionata, in passato impiegata presso una scuola media, un padre morto per pneumopatia nel 1998 all’età di 70 anni, una sorella, di 50 anni con un figlio di 35 anni (quasi coetaneo del paziente), occupato come operatore socio sanitario in una Residenza per anziani. Fin dai primi anni di vita il paziente è stato cresciuto dalla nonna materna poiché i genitori lavoravano. Non si hanno avuto notizie delle tappe di sviluppo psico-fisico. M. DB si è descritto come tendenzialmente introverso sia durante l’infanzia che nell’adolescenza (“riesco a parlare solo con le persone che mi ascoltano”). Ha conseguito il diploma di scuola alberghiera privatamente a causa di qualche difficoltà scolastica. In ambito lavorativo è sempre stato occupato come cameriere, prevalentemente stagionale per circa 15 anni. I familiari (madre e sorella) hanno riferito grosse difficoltà nella continuità e costanza della tenuta lavorativa, esprimendosi anche in termini svalutativi nei suoi confronti, svalutazione che emerge soprattutto da parte della mamma. Negli anni sembra che il paziente abbia più volte chiesto aiuto per aprire un’attività lavorativa propria e su questo argomento la conflittualità si è sempre manifestata e mantenuta alta, non essendosi sentito supportato, dai suoi familiari, in questa richiesta. Nell’adolescenza ha fatto un uso sporadico di sostanze stupefacenti (THC) e alcol, un uso come appena citato saltuario, in occasione di avvenimenti o serate particolari. I problemi psichiatrici sembrano essere diventati significativi a 24 anni dopo la morte del padre: “mi sentivo molto apatico, non volevo uscire di casa”. In seguito a questo malessere manifestato dal paziente, la madre lo ha accompagnato in consulenza al Centro di Salute Mentale (CSM) del territorio e da allora è stato preso in carico dal servizio. 61 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Non ha mai subito ricoveri in ambito psichiatrico, è stato sempre considerato dagli operatori del servizio un caso di difficile gestione per scarsa adesione alle cure e per l’incostanza nel presentarsi ai colloqui, sottolineando anche repentini cambiamenti di atteggiamento nei loro confronti anche quando partecipava agli incontri prestabiliti. M. DB è stato diagnosticato come schizofrenico paranoide. Nei mesi precedenti il reato pare che l’adesione ai trattamenti farmacologici fosse peggiorata anche a motivo dei frequenti cambiamenti dei medici psichiatri referenti. Erano stati segnalati agiti aggressivi e minacce nei confronti della madre (sembra essere stata rincorsa con un coltello). La sintomatologia pare sia stata caratterizzata da ideazione persecutoria, ritiro sociale, ostilità, rivendicatività, pensiero concreto, pensiero di tipo paranoide, dispercezioni sotto forma di voci imperative. Il paziente è stato prosciolto dall’imputazione per il reato, per incapacità di intendere e di volere al momento del fatto. Durante i tre anni di detenzione in Ospedale Psichiatrico Giudiziario e poi presso il Centro Psichiatrico Forense limitrofo all’ospedale psichiatrico presso cui era internato: “Il Gonzaga”, il quadro clinico è transitato da una situazione caratterizzata da disagio psicologico, ideazione auto lesiva, svalutazione nei confronti degli altri, e difficoltà in tutta l’area della socializzazione, a una maggiore capacità di gestione emotiva della quotidianità. Nel passaggio al Centro Forense “Il Gonzaga” apparivano inizialmente soddisfatte le aree del funzionamento di base, dei sintomi psicotici, delle attività diurne e della compliance al trattamento. Non erano emersi espliciti comportamenti aggressivi etero diretti. Nel corso della permanenza il paziente conservò un soddisfacente esame di realtà, evitando di “barricarsi” dietro interpretazioni paranoidi degli eventi, ma cercando attivamente il confronto per la risoluzione e la chiarificazione di fatti percepiti a volte come poco interpretabili. 62 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Dopo due anni presso questo centro il percorso riabilitativo è proseguito con un avvicinamento alle sue zone di origine, presso la Residenza Sanitaria Psichiatrica: Casa Zacchera. All’ingresso il paziente appariva ben orientato e apparentemente collaborante, negava le dispercezioni presenti nel passato, ed esprimeva pensieri comprensibili e con una logica condivisibile. Spesso utilizzava la preoccupazione per il proprio stato di salute, per entrare in relazione con gli operatori, la consapevolezza della gravità del reato è sempre apparsa molto limitata e sempre accompagnata da una freddezza del suo racconto. Per quanto riguarda le dinamiche familiari, in modo particolare con la mamma, è sempre stata presente una certa conflittualità, espressa più volte dal paziente stesso, sia durante la quotidianità, sia durante i colloqui clinici. Tale conflittualità è stata sempre tenuta sotto controllo da parte dell’equipe, osservando continuamente il paziente e prendendo in considerazione eventuali variazioni sia comportamentali, sia psicopatologiche. Nonostante il mantenimento nei mesi successivi del quadro psicopatologico del paziente, dove l’ideazione persecutoria pur presente, veniva mascherata e non espressa, se non attraverso commenti e osservazioni critiche, e dove l’affettività è sempre rimasta piuttosto coartata, si è assistito ad un allontanamento del paziente dalla Struttura. Tale “fuga”, come detto sopra è avvenuta senza che il paziente avesse dimostrato alcun tipo di disagio psichico, dove il quadro clinico era stabile, e dove non erano emerse variazioni rispetto al vivere quotidiano. Dopo l’allontanamento del paziente, e la dinamica intercorsa dopo l’accaduto, il paziente è stato sottoposto in valutazione clinica presso il Centro di Salute Mentale del territorio di appartenenza; ancora ad oggi in valutazione per la definizione del suo percorso riabilitativo. 5.1. Il suo percorso. Dallo S.L.i.E.V. – Centro Psichiatrico Forense Gonzaga dell’OPG a Casa Zacchera M. DB prima di giungere a Casa zacchera, trascorre un periodo di tempo presso il 63 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Centro Psichiatrico Forense “Il Gonzaga” S.L.ì.E.V, facente parte sempre dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario. Ho ritenuto opportuno inserire nel mio lavoro una relazione di aggiornamento sanitario da parte del centro “Il Gonzaga” in merito all’andamento della persona in questione durante il periodo di permanenza presso di esso, e una relazione di aggiornamento di fine percorso sempre presso il centro prima di giungere a Casa Zacchera. Il contenuto della relazione di aggiornamento ha descritto così il paziente: Trattasi di un soggetto affetto da Schizofrenia paranoide cronica, allora condizione di sufficiente compenso psicopatologico; buona era la compliance al trattamento farmacologico che il paziente assume con regolarità. In quel periodo evidenziava sintomatologia produttiva florida, né grossolane alterazioni dell’asse ideo-percettivo. L’affettività risultava ancora labile, non adeguatamente integra ed armonizzata nel resto della personalità; a fronte di un funzionamento cognitivo ed operativo formalmente conservati, emersero frequenti disturbi di natura psico-organica, quali cefalee, improvvisa astenia, dolori ai polpacci, probabile espressione di conflittualità nelle relazioni interpersonali (dopo il reato ha manifestato vissuti deliranti centrati su trasformazioni del corpo). Per quanto concerne la partecipazione empatica al fatto-reato, essa risultava ancora deficitaria e solo parzialmente elaborata; nel rievocare i fatti ad esso connessi, il paziente ammetteva “ di essere dispiaciuto”, ma manifestava scarsa capacità critica sulle motivazioni che lo avevano condotto all’agito e limitata auto-responsabilizzazione rispetto al gesto compiuto. Durante il periodo di degenza presso il Centro “Il Gonzaga” M. DB ha ricevuto regolarmente visite da parte della sorella e della mamma con le quali ha trascorso alcune ore all’esterno della Comunità. Dal 2008 era in trattamento con Anticoagulanti orali (Coumadin) per tromboembolismo venoso arto inferiore destro con embolia polmonare massima che ha interessato entrambe le arterie polmonari (era detenuto in carcere dopo l’evento reato). In accordo con il chirurgo vascolare e sotto stretto controllo ecodoppler, nel 2010 è stato praticato un trattamento con Enoxaparina sodica con 64 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 rapida recidiva. Anche nel 2012 una sospensione della terapia in atto ha condotto a rapida recidiva con presenza di trombi all’arto inferiore sinistro, ed immediata ripresa del farmaco coumadin secondo schema. La relazione appena scritta si riferiva al novembre 2011. Successivamente, nello specifico a giugno 2013, veniva così descritto il quadro psicopatologico del paziente: Orientato nelle tre dimensioni, di atteggiamento stabilmente collaborante verso gli Operatori Sanitari. Il paziente presentava un eloquio e una mimica appropriate, non lamentava alterazioni senso motorie; Il pensiero era formalmente corretto con lieve tendenza alla circostanzialità. I contenuti erano prevalentemente liberi da ideazione patologica, esprimeva talora sentimenti di smarrimento e perplessità da esperienza di de realizzazione, elicitata da percepite sensazioni ambientali di natura svalutante ed escludente. L’affettività era coartata, sebbene negli ultimi mesi era parsa più mobile ed espressa; il tono dell’umore era stabilmente in asse. La successiva relazione di aggiornamento clinico, nello specifico a novembre 2013, riassume e descrive il suo percorso e il quadro psicopatologico così: Si tratta di un paziente che è stato ammesso presso il Centro Psichiatrico Forense “Il Gonzaga” a novembre 2011, in regime di Libertà Vigilata, proveniente dall’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere. Un paziente seguito da anni dai Servizi Psichiatrici Territoriali e successivamente dal presidio dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario per schizofrenia paranoide. Il paziente è giunto in Comunità dopo tre anni trascorsi in OPG,ha dimostrato un valido controllo sulla sintomatologia psicotica, un adeguato stile relazionale con gli altri pazienti ed operatori ed una già testata capacità di trascorrere periodi di licenza esterni accompagnato dai familiari. All’ingresso dopo una attenta valutazione, emergevano problemi nell’area del disagio psicologico, dell’ideazione auto lesiva, e di tutta l’area della socializzazione, comprendente la vita sociale, la vita di coppia e bisogni sessuali. Apparivano soddisfatte le aree del funzionamento di base, dei sintomi psicotici, 65 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 delle attività diurne e della compliance al trattamento. Inoltre non emergevano bisogni relativamente all’aggressività etero diretta e nel rapporto con le sostanze d’abuso e gli alcolici. Il paziente nel corso della permanenza presso la Residenza ha conservato un soddisfacente esame di realtà a fronte dei multiformi stimoli offerti dalla quotidianità, evitando di barricarsi dietro interpretazioni paranoidi degli eventi, ma cercando attivamente il confronto per la risoluzione e la chiarificazione di fatti dalla natura percepiti come poco interpretabile. M. DB ha espresso esperienze di smarrimento e de realizzazione, dal portato emotivo ben rappresentato, in cui la realtà perdeva improvvisamente le solite coordinate che di norma gli attribuiva per diventare paesaggio incerto, poco decifrabile e potenzialmente avverso. Il dato clinico di forza e conforto è stato rappresentato dal rapido ricompattamento psichico operato dal paziente in questi casi e dall’evoluzione favorevole che a questo esito veniva dato dall’incontro e scambio con i membri del gruppo curante, che risultava essere maggiormente cercato e ritenuto dal paziente più utile dal paziente rispetto ad altri ausili ad esempio farmacologici. Nel corso del tempo si è osservato anche un rafforzamento e una capacità di tenuta all’esposizione a stimolazioni emotive, rappresentate dai rapporti sentimentali. Giunto al Centro il Gonzaga con vissuti di abbandono e rifiuto per la fine di un’esperienza sentimentale con una ragazza conosciuto in OPG, M. DB ha saputo mantenere con una ragazza che stava frequentando in quel periodo le distanze relazionali desiderate, mantenendo vivo un rapporto secondo una propria chiarezza di intenti e sviluppo. L’osservazione si replicava nel suo rapporto con i familiari che egli sentiva spesso telefonicamente e che talvolta andavano a fargli visita per alcuni giorni. Il paziente ha sofferto senza farsene travolgere da un periodo di malattia che ha investito la sorella, figura di riferimento nei mesi scorsi. Si è osservato con interesse e favore i movimenti di apertura e richiesta verso l’altro esibiti dal paziente dalla seconda metà del suo periodo residenziale, che si sono rilevati ancora più importanti se si considerava la configurazione di struttura 66 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 della sua personalità di tipo schizoide ed autistico. Sul versante delle attività, ha mostrato discreta continuità ma buona adattabilità e affidabilità nelle attività lavorative in cui è stato inserito e verso le quali esprimeva di più il suo maggior interesse. Dal punto di vista criminogenetico, è parso che l’intensa produzione di ideazione delirante persecutoria nei mesi che hanno anticipato il reato combinata da un contesto ambientale familiare percepito reiteramente come pressante e svalutante da parte delle reggenti (mamma e nonna), siano risultate variabili decisive nella commissione del fatto reato. In questo senso il disegno del percorso riabilitativo ha mirato, come detto, a mantenere uno stabile equilibrio delle funzioni ideative ed affettive, a fornire un sostegno dell’autostima del paziente e a sviluppare abilità di espressione assertiva contrastanti il circuito di passività-aggressività. Il paziente ha espresso il desiderio di poter far rientro nel territorio di origine; è stato così considerato il proseguimento del suo percorso riabilitativo, prima di un eventuale ritorno nel proprio territorio di origine, presso la Struttura “Casa Zacchera”. 5.2. Verbale di primo incontro tra l’equipe di Casa Zacchera e la famiglia La sorella durante l’incontro ha esordito rilevando la bellezza della struttura. Immediatamente dopo l’apertura dell’incontro, ha espresso di trovare in buone condizioni il fratello. Riferisce inoltre che si sentono quotidianamente; Il paziente durante il colloquio ha affermato di non avere fretta nel suo percorso ed in questa occasione l’equipe ha ricordato sia alla famiglia, sia a M. DB il regolamento interno, per cui il primo mese il paziente non potrà uscire da Casa Zacchera a parte per le visite mediche o impegni di tipo giuridico. La sorella ha chiesto se a Casa Zacchera è possibile poter fare uscite con il fratello e poter uscire per qualche ora per una passeggiata o per un pranzo; esprimendo il desiderio che questo possa avvenire, anche data la “poca” distanza 67 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 nel raggiungere il fratello, rispetto a dove era prima. A tale proposito l’equipe ha ricordato che tutte le decisioni in merito al paziente e anche agli eventuali spostamenti è necessario l’accordo con i Servizi del Territorio di provenienza, i quali sembrano a volte dimenticati (come presenza) da parte della famiglia del paziente. Proseguendo e parlando del futuro di M. DB, sia la sorella, sia lui hanno espresso diversi dubbi su un possibile riavvicinamento al paese di origine, in quanto l’ambiente e le circostanze potrebbero non essere idonee al suo percorso. La mamma del paziente ha provato più volte durante l’incontro a parlare di un possibile lavoro per il figlio, esprimendo sia secondo il suo punto di vista l’aspetto positivo di un’eventuale occupazione per lui, sia il fallimento lavorativo che ha connotato il passato del paziente, svalutando così le capacità del figlio in tale ambito. La madre ha chiesto inoltre come è occupato il tempo libero durante la settimana. L’equipe ha cercato di spiegare alla famiglia come è organizzata la giornata “tipo” di Casa Zacchera, dicendo inoltre che non ci sono attività lavorative interne, se non le mansioni di riordino della propria stanza e degli ambienti comuni, e che le possibili attività lavorative di Tirocini Formativi retribuiti, vengono svolte in ditte per lo più esterne. La madre e la sorella durante il colloquio hanno espresso più volte le differenze tra L’Ospedale Psichiatrico Giudiziario e il contesto della nostra Struttura, esprimendo contentezza rispetto al fatto che M abbia avuto la possibilità di venire qui. La sorella ha riconosciuto il miglioramento presentato da M subito dopo l'inserimento in OPG e tutt’ora ogni volta che lo sente le sembra che faccia progressi. La sorella, ancora ha riferito che una volta era più refrattario rispetto all’argomento lavoro, mentre adesso pare sia proprio lui che si esprime chiedendo la borsa lavoro con entusiasmo. Il paziente ha affermato inoltre, sempre a proposito di un ritorno nel territorio di origini, di non aver alcuna voglia di rientrare. Egli ha detto che ci possa essere anche la voglia di dimostrare qualcosa agli altri, ma non per farsi perdonare 68 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 qualcosa, quanto più per voglia di fare e sentendosi in grado di poter dare qualcosa. La sorella ha ricordato inoltre che avviare un’attività in proprio era un suo sogno da sempre, mentre ora accetterebbe anche di fare un lavoro qualsiasi. Su questo M ha affermato di essere stato un po' fermato e frenato dalla madre, mentre lei ricorda l'incostanza del passato e la scarsità di concentrazione sul lavoro. M. DB ha insistito entrando in conflitto con i familiari rispetto a questa richiesta del passato ad aprire un'attività. Rispetto al futuro ha convenuto sul fatto che da ora in poi non sarà più possibile. Ha ricordato inoltre l'esperienza del padroncino dove fu truffato dal socio indebitato. Il paziente in merito al discorso lavoro, si è rivolto alla mamma molto alterato dicendo che 'a questo punto l’ha avuta vinta lei'. La madre ha ricordato che gli piaceva lavorare in cucina, poi smontava e rimontava la vespa. Visto che ha problemi di gambe pensa che non sia il caso di sforzarle più di tanto e poter lavorare più manualmente in un contesto da non stare troppo in piedi. Rispetto all'atteggiamento verso i Servizi di riferimento, M. DB afferma che negli ultimi 4 mesi prima dell'evento reato qualche farmaco era stato sbagliato. La madre ricorda che nell'ultimo periodo c'era un caos rispetto al cambiamento frequente dei curanti. Il paziente ricorda che si sentiva trattato come un bambino per il fatto che la madre andasse a parlare con il suo psichiatra. Rispetto all'esordio la sorella ricorda un'inversione sonno-veglia, e l'introversione verso i familiari, differente da quando con lo psichiatra privato lo portò a 'rifiorire' e a stare meglio. Ricorda poi il ricovero a Villa ***** motivato dal possesso di un lungo coltello che lui avrebbe poi potuto utilizzare; in quell'occasione la madre aveva diviso la casa in due. La sorella dice che, a parte l'inizio dell'essere seguito e diagnosticato, anche prima della presa in carico manifestava problemi. Evidente la difficoltà nel recupero cronologico della patologia. Il paziente lascia il colloquio. 69 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 La sorella dice che dopo l'adolescenza ha continuato a comportarsi come un bambino. (L’incontro si svolge in un clima apparentemente tranquillo e quieto, ma in cui si respira una fortissima conflittualità soprattutto tra M e la madre, ed una notevole incongruenza tra madre e sorella, riconosciuta, nella ricostruzione degli eventi e dei vissuti del paziente. Infatti madre e sorella spesso non concordano nella descrizione di medesimi fatti né su come potesse stare M). 5.3. L’evento reato Dopo il suo arrivo in Struttura il paziente descriveva così l’evento reato (defenestrazione della nonna materna): “Correva l'anno 2008, non avevo degli ottimi rapporti con la nonna perché alla sua età cominciava a stare male; anch'io avevo i miei problemi e lei, nonostante aveva dei comportamenti cattivi nei miei confronti, aveva iniziato a volermi male per il fatto che non la facevo bere (si incattiviva molto quando beveva). Lei aveva 93 anni, era ancora autonoma nonostante non vedeva più da un occhio, camminava, usciva di casa, faceva gli affari suoi, nell'ultimo periodo aveva dei problemi seri per il fatto che non vedeva, iniziava a incattivirsi nei confronti miei e di mia madre, io quel giorno non ci ho visto; prima ero partito con le buone intenzioni di poter fare una torta tutti insieme, poi vidi che la porta non si apriva, iniziai a incattivirmi e la buttai giù. C'era anche mia madre che stava per andare a fare la spesa, trovai la nonna sul letto che aveva bevuto e mi inveiva di tutto, mi ha dato una botta con il bastone sul piede diceva che ero una cattiva persona, che non ero capace di gestirmi il lavoro e la mia vita. Al che io non ci vidi più e il fatto successe in quel modo lì. Al ritorno di mia madre c’erano i carabinieri che mi portavano via.“ Dalle indagini pare che la nonna, prima di venir gettata dalla finestra era stata colpita più volte con violenza. Il paziente venne condotto in carcere in condizioni di scompenso psicopatologico, reagì violentemente sradicando un lavandino e manifestando verbalmente in colloqui successivi l’intenzione di uccidere anche la madre. Il suo ricordo è quello di essere stato lucido e consapevole di ciò che stava accadendo, 70 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 giustificando il suo gesto come unica possibilità di risolvere una situazione conflittuale che viveva quotidianamente in casa, sopratutto con la nonna materna. 71 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 6. Gli strumenti di valutazione del rischio di recidiva 6.1. Colloquio clinico e colloquio criminologico Due strumenti utilizzati per conoscere ed approfondire maggiormente dinamiche personali e comportamentali del paziente sono state il colloquio clinico ed il colloquio criminologico. Il colloquio clinico è lo strumento che permette la conoscenza tra utente e consulente, serve a trarre informazioni sulle attitudini, la personalità, le aspirazioni, i conflitti di un individuo, fino a permettere l’identificazione della struttura di personalità del soggetto. Tale colloquio deve avere carattere esistenziale, deve essere peculiarmente strutturato per quella persona, e il suo specifico problema o bisogno. Alcuni autori hanno definito il colloquio come un processo di conoscenza che viene attuato attraverso il crearsi di un rapporto emotivo tra psicologo e soggetto, nel corso del quale il conduttore sospende ogni atteggiamento valutativo32. In generale gli scopi del colloquio clinico sono quelli di raccogliere informazioni (colloquio diagnostico) e quello di motivare ed informare (colloquio terapeutico o di orientamento33). Il colloquio clinico nasce da una richiesta di aiuto da parte di un soggetto che vive una situazione di disagio. Lo scopo dell’incontro con lo psicologo sta nella possibilità, attraverso la ricucitura e la restituzione della storia individuale, di risignificare la vicenda personale. La possibilità di sperimentarsi come soggetto attivo del proprio cambiamento, di comprendere le dinamiche patologiche e limitanti che si ripropongono nelle relazioni interpersonali, rendendo il rapporto con il mondo degli affetti insoddisfacente, può restituire la possibilità di una scelta più serena e consapevole. Il colloquio clinico rappresenta così una forma di conversazione in cui si stabilisce una relazione di fiducia tra il clinico ed il soggetto, che rappresenta 32 http//www.lilianamatteucci.it/colloquio_clinico.htm, data di accesso 10/08/2009. Per maggiore approfondimento relativo alle diverse tipologie di colloquio clinico si veda Bastianoni, P., Simonelli, A., op. cit., pp. 57-92. 33 72 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 l’alleanza terapeutica, uno dei più importanti indici di valutazione di un buon colloquio. I colloqui clinici, ricercati dallo stesso paziente con lo scopo di ricevere un ascolto di cui lamentava essere mancante, in maniera recriminatoria, hanno permesso di raccogliere informazioni che evidenziavano una personalità a tratti rigida, e paranoica che si esplicitava anche in ambito lavorativo con la preoccupazione di essere sostituito a causa del suo considerarsi talvolta non efficiente secondo un suo personale giudizio. Questa costruzione mentale era usata da **** anche per l’incapacità di accettare la sua scarsa costanza nel lavoro, così come emerso dalla raccolta dei dati anamnestici. La svalutazione, atteggiamento costante nella costruzione di relazioni, era un elemento caratteristico nel rapporto con le figure significative, come la madre e la nonna, che a loro volta lo consideravano un incapace soprattutto nella sua identità lavorativa. Per **** l’incontro con lo psicologo era sia un momento molto atteso, ma anche il contenitore di rivendicazioni, rabbie, e inquietudini che affollavano la sua quotidianità; questo tempo permetteva a volte una de tensione del clima emotivo del paziente che a recriminatorio si illuminava di una possibile nuova speranza seppur di breve durata. Il colloquio criminologico34 è una tecnica di comunicazione che si svolge in una situazione istituzionale, che ha come antecedente il fatto che l’intervistato abbia commesso un reato, e che ha come scopo il fornire informazioni ad altri che hanno autorità sul paziente circa la sua personalità, in relazione alla genesi ed alla dinamica del reato, alle indicazioni per il suo trattamento, ed alla previsione del comportamento futuro.35 34 E’ opportuno ricordare che qui verrà trattato il colloquio criminologico utilizzato per avere un quadro della personalità del soggetto autore di reato; esiste anche una fase successiva in cui il colloquio criminologico viene utilizzato per procedere alla fase tratta mentale di risocializzazione e rieducazione del soggetto autore di reato, fase che prevede un impegno e motivazione da parte del soggetto stesso, che invece non è prevista per quella precedente. Per un maggiore approfondimento si può consultare un precedente studio sulle misure alternative consultabile sul sito www.istituto-meme.it, data di accesso 10/08/2009. 35 Merzagora, I., 1987, Il Colloquio Criminologico. Il Momento Diagnostico e Valutativo in Criminologia Clinica, Edizioni Unicopli, Milano, pp. 18-19. 73 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 In base a questa prima definizione del colloquio criminologico, è facilmente deducibile che, come il colloquio clinico applicato in psicologia, rappresenta una forma di comunicazione attraverso cui avviene uno scambio di informazioni fra due o più soggetti, di conseguenza le tecniche del colloquio applicate in ambito clinico possono esserlo anche in ambito criminologico. Ciò che differenzia i due tipi di colloquio sono l’ambito di utilizzo ed applicazione, lo scopo, la motivazione, la competenza specifica che deve avere il conduttore, le aspettative degli attori. Quindi uguali tecniche, finalità differenti. La cosa principale infatti da tener sempre in mente quando si parla di colloquio criminologico è la sua finalità non terapeutica, ma la sua finalità diagnostica e prognostica, la sua finalità di fornire indicazioni per un futuro trattamento criminologico.36 Se nel colloquio psicologico in generale il bisogno su cui occorre concentrarsi è del soggetto, in quello criminologico il bisogno non è di chi si sottopone al colloquio, infatti il mandato del criminologo non è quello di essere di aiuto alla persona, ma quello di stilare un profilo della personalità di un soggetto per fare un resoconto a chi di competenza sulla eventuale prosecuzione del percorso intrapreso (nel caso di Casa Zacchera) o sulla necessità di una sua modifica, qualunque essa sia. Il colloquio criminologico si struttura in due parti fondamentali: diagnosi e prognosi. La diagnosi rappresenta quella fase in cui il criminologo va a indagare i fattori che, in quella specifica persona, hanno avuto un ruolo determinante nella genesi del singolo reato o nello sviluppo della sua carriera criminale. Questa fase a sua volta si suddivide in indagine criminogenetica ed indagine criminodinamica. L’indagine criminogenetica fornisce una risposta al “perché” è avvenuto un determinato delitto, quindi va ad indagare il nesso causale tra il reato e 36 All’interno di un colloquio criminologico è possibile che emerga l’esigenza e la richiesta, da parte del soggetto, di aiuto psicologico; qui il criminologo clinico dovrà fare in modo che la richiesta del soggetto venga accolta possibilmente da un altro esperto, il quale intraprenda con il soggetto, parallelamente e in un setting diverso dalla valutazione criminologico, il cammino psicoterapeutico. 74 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 determinati fattori propri del soggetto (fattori individuali, esperenziali, socioambientali e situazionali). La fase criminodinamica invece serve ad illustrare com’è stato compiuto il reato, intendendo con questo non la modalità concreta di realizzazione ma il processo psicologico e motivazionale che ha condotto al compimento di un processo criminoso. In particolare si va ad indagare come il soggetto ha ceduto all’azione dei motivi che su di lui hanno agito, a determinare perché non l’hanno inibito altri motivi, (sociali, individuali, morali, religiosi, giuridici), a ricercare come il soggetto è arrivato a concepire, e sotto quale aspetto, l’azione antisociale, dalla quale si è ripromesso la soddisfazione di un interesse, a conoscere come è stata la preparazione e l’esecuzione del reato.37 Si nota che obiettivo di questa fase diagnostica del colloquio criminologico è principalmente la ricerca dei motivi sottostanti alla commissione del reato da parte del soggetto in esame. Differentemente il colloquio clinico va a ricercare non tanto i motivi della problematica del soggetto, quanto piuttosto va a ridefinire la situazione da un diverso punto di vista, da un punto di vista “normale”.38 Successivamente si passa alla fase prognostica che esprime una valutazione del comportamento futuro del soggetto ed a fare una previsione del comportamento futuro in termini di probabilità di recidiva. Se nel colloquio clinico si va ad individuare le caratteristiche della personalità del soggetto, interessate da una certa forma di patologia, con il colloquio criminologico si punta ad una descrizione della personalità del reo, già giudicato, sulla cui base andare a stilare un programma di riabilitazione e risocializzazione, volto ad allontanarlo alle condotte criminali. Nello svolgimento del colloquio criminologico si distinguono alcuni momenti: - fase preliminare di presentazione39 (accoglienza formale, invito a parlare); 37 Bisio, P., 1975, Psicologia criminale, Bulzoni, Roma, p. 487. Per un maggiore approfondimento si veda il concetto di trasformazione terapeutica consultando Bandler, R., Grinder, J., 1980, La Metamorfosi Terapeutica. Principi di Programmazione Neurolinguistica, Edizioni Astrolabio, Roma. 39 Merzagora, I., op. cit. pp. 86-87. 38 75 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 - la raccolta dei dati biografici di vita (data e luogo di nascita, parto e svezzamento, ritardo nello sviluppo, notizie sulla famiglia d’origine, composizione della famiglia, atmosfera gruppo dei pari, ambizioni giovanili, esperienze sentimentali e sessuali, malattie, carriera lavorativa, uso di alcol o droghe, difficoltà di adattamento, aspirazioni e scopi per il futuro); - l’approfondimento del reato, la situazione giudiziaria e carceraria (il reato, luogo e tempo di esecuzione, età del reo, la presenza di eventuali complici, la circostanza, le caratteristiche della vittima ed eventuale rapporto con il reo, le sentenze che lo riguardano, il comportamento in carcere, le prospettive del reo); - approfondimento prognostico; - la fase conclusiva del colloquio. Nello specifico di questo caso clinico, attraverso il colloquio criminologico, si sono potute affrontare le dinamiche e le motivazioni personali che lo hanno portato a commettere il reato. Il paziente ha parlato in merito a questo, delle dinamiche relazionali come terreno su cui la svalutazione, e la frustrazione erano elementi caratteristici e che rendevano la vita insopportabile, nel suo contesto familiare. I racconti di vita, le dinamiche interpersonali, le caratteristiche di personalità del paziente hanno portato a pensare alla possibilità del rischio di reiterazione del reato nei confronti della madre, verso la quale nutriva rabbia per la costante frustrazione che viveva nella relazione con lei. 76 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 6.2. Osservazione del comportamento nella quotidianità Un altro strumento utilizzato nella quotidianità per acquisire informazioni, utili ad una maggiore comprensione del paziente e quindi alla elaborazione del progetto terapeutico individuale è l’osservazione del comportamento, che si declina in varie forme: da un parte l’osservazione di tutti gli operatori che a con varie mansioni si relazionano con il paziente durante tutta la giornata, dall’altra l’osservazione durante il colloquio clinico. Le informazioni di entrambe, raccolte e condivise durante incontri specifici e organizzate secondo un pensiero funzionale alla prognosi del paziente, sono utili sia per valutare la condizione psicoaffettiva dello stesso, oltre che valutare le attitudini personali di gestione delle relazioni e di quanto il suo partecipare o meno contribuisce all’instaurarsi di un certo clima. L’osservazione ha lo scopo di permettere una significazione di ciò che è stato osservato, con l’intento di comprendere e fornire una interpretazione a quei comportamenti che possono aver anche generato condotte antisociali, e che spesso sono riscontrabili nell’anamnesi familiare. Fin dalle prime interazioni anche con i familiari si era evidenziato un alto livello di conflittualità non solo nei confronti di Osvaldo, soprattutto con la madre, ma anche tra madre e sorella, spesso in disaccordo nel riconoscere un disagio emotivo del paziente, provocato anche da un ambiente familiare affaticato dalla gestione di problematiche psicopatologiche e da un attaccamento affettivo disfunzionale e disorganizzato. 6.3. I Test Il paziente, dopo il colloquio anamnestico e la valutazione attraverso l’esame psichico, è stato sottoposto all’ingresso in struttura, alla consueta batteria di test per la valutazione dello stato psicopatologico (BPRS, PANSS), all’MMPI- 2 e come test di personalità, ed è stata compilata in equipe l’HCR 20. 77 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 1. La BPRS (Brief Psychiatring Rating Scale)40 permette una valutazione complessiva della sintomatologia psichiatrica, andando a valutare l’esame psichico e le principali espressioni sintomatologiche, come possono emergere anche dopo un colloquio clinico. Alla scala il paziente è risultato con un punteggio di 40, quindi di moderata gravità. Da segnalare un punteggio più alto alle voci riguardanti: Implicazione somatica, Tensione e Atteggiamento manierato. 2. La PANSS41 è utilizzata per la valutazione della gravità dei sintomi dei pazienti schizofrenici, valutando la sintomatologia psicotica negativa e positiva, completata da una scala di psicopatologia generale. A questo test è risultato un punteggio totale di 73 (15 di sintomatologia positiva, 17 di sintomatologia negativa e 41 di psicopatologia generale), rappresentativo di un quadro di discreto compenso. 3. L’MMPI-242 è uno dei test più diffusi per valutare le principali caratteristiche della personalità. È utilizzato sia in ambito psicologico che psichiatrico; è composto da 567 items a cui il candidato deve rispondere vero o falso a seconda che l'affermazione sia per lui prevalentemente vera o prevalentemente falsa. Abbiamo utilizzato per lo scoring, il programma informatico PANDA di Pancheri - Di Fidio43. Se pur con qualche dubbio rispetto alla validità del test, a motivo dell’alta Frequency, il test è stato considerato valido. Al test è risultato un numero di codice (detto Code type) pari a 684 (le punte di profilo di maggior frequenza sono la 6: Paranoie, 8: schizofrenia, 4: antisocialità), che descriveva il paziente come incapace di empatia, con tendenza a diffidare 40 Ventura e coll., 1993, BPRS – Brief Psychiatric Rating Scale, in Conti, L., 1999, Repertorio delle Scale di Valutazione in Psichiatria, S.E.E. Società Editrice Firenze. 41 Andreasen N. C., Schizofrenia. Scale per la Valutazione dei Sintomi Positivi e Negativi, Editore Cortina Raffaello. 42 MMPI-2, 2011, Giunti O.S. 43 Pancheri, Di Fidio, 1998, MMPI-2 (Versione Panda). 78 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 degli altri colpevolizzandoli per i propri fallimenti, evitante delle relazioni sociali strette. Da tale Code Type si può fare un’ipotesi di Disturbo di Personalità Antisociale (scarso controllo degli impulsi e comportamenti caratterizzati da rabbia irritabilità e risentimento). Oltre ai Test sopra citati, ho ritenuto importante soffermarmi maggiormente su due strumenti quali: l’HCR-20 e la PCL-R. Questi strumenti dispongono di un’interessante letteratura in tema delle loro applicazioni: della validità e dell’efficacia nella valutazione del rischio di condotte aggressive-violente, anche al confronto con altri strumenti; dell’accuratezza nel segnalare differenze nel tasso di tale rischio rispetto al genere sessuale ed altre importanti variabili; nella riconosciuta importanza di quanto occorra una loro adeguata conoscenza da parte dello staff infermieristico e psichiatrico-forense di istituti di detenzione e ospedali psichiatrici giudiziari sia per una migliore conduzione del lavoro clinico in stato di contenzione che per orientare i programmi di dimissione. Si darà accenno ai riferimenti sopra evidenziati discutendo brevemente la struttura di questi strumenti.44 La Violence Risk Assessment Scheme o HCR-20 La Violence Risk Assessment Scheme o HCR-20 (Webster, Douglas, Eaves & Hart, 1997), di cui non esiste validazione italiana, è uno strumento di ampia applicazione per la valutazione del rischio di violenza. La Scala rappresenta il riuscito tentativo di sviluppare uno standard strutturato del giudizio professionale inerente la stima della probabilità che pazienti con malattia mentale, compresi quelli di interesse forense, possano commettere nuovi 44 Si ricorda che quanto segue, tanto per l’HCR-20 quanto per la PCL-R, riprende sinteticamente le indicazioni fornite nei rispettivi manuali all’uso dei test. 79 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 comportamenti violenti oltre a quello/i che ha determinato il loro internato in istituto di cura/detenzione. La praticità della sua applicazione ed i riscontri scientifici già offerti in merito alla sua validità predittiva, danno garanzia che l’HCR-20 sia un valido aiuto per l’equipe psichiatrica e di valutazione forense tanto nella pratica clinicoterapeutica di gestione del malato all’interno dell’istituto quanto nel processo di dimissione. La letteratura sottolinea infatti come sia fondamentale che l’equipe medica acquisisca un’adeguata conoscenza della struttura dello strumento così da adottarlo nella routine del lavoro clinico e nei processi decisionali inerenti la dimissione del paziente (Wright P. & Webster C., 2011), poiché è stata dimostrata l’attendibilità nel grado di accordo dei giudizi effettuati in cieco tra più valutatori (inter-rater reliability) che abbiano usato lo strumento sullo stesso campione (Belfrage H., 1998). La letteratura non si è mostrata uniforme nel fornire un punteggio di cut off per la predizione del rischio di violenza: secondo alcuni autori, manca un vero e proprio punteggio di cut off; secondo altri, l’uso dello strumento in alcune particolari popolazioni consente di considerare un valido cut off al punteggio di 21 (Thamakosit W., 2007); per altri ancora, il punteggio di cut off è 27 (Fujii D., Lichton A., & Tokioka A., 2004). Sostanzialmente, è possibile interpretare queste eterogenee indicazioni in considerazione del fatto che l’HCR-20 assolve alla necessità dell’equipe di lavoro di individuare dei range di rischio espressi in termini di rischio basso, medio o alto, più che nel fatto di indicare un punteggio quantitativo del rischio stesso. L’uso dell’HCR-20 nei servizi psichiatrici civili e forensi, è infatti volto alla possibilità di determinare le future condotte violente dell’utenza che si ha in gestione, al fine di promuovere opportuni programmi trattamentali individuali, nonché valide strategie per prevenire e/o ridurre tale rischio. Da un punto di vista concettuale, lo strumento sottende ad intendere la violenza come il fattivo, tentato o minacciato danno fisico procurato ad un’altra persona in modo non consensuale. 80 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Oltre agli atti veri e propri, per i quali l’entità del danno dipende da fattori quali la prossimità tra autore e vittima o l’uso di strumenti specifici per esercitare la violenza (es. armi), nella definizione si includono quindi anche le minacce esercitate sotto forma di atti o espressioni verbali che hanno lo scopo deliberato di incutere timore nel possibile danno fisico che la vittima avrebbe ad avere. Tali minacce devono essere chiare, e non vaghe affermazioni di ostilità per essere annoverate nella definizione: la violenza è quel comportamento che può causare danni all’altro. Ma il danno ad una vittima non è la caratteristica che definisce l’atto di violenza, è l’atto stesso. Per quanto sopra esposto, il processo decisionale attuato tramite l’applicazione dell’HCR-20 intende “caratterizzare” il rischio di comportamenti violenti per il soggetto in esame: l’attenzione è posta non solo sull’atto violento in sé, quanto sulla decisione del soggetto di agire violentemente; è in tal senso vista come “previsionale” l’individuazione dei soggetti a rischio di commissione di atti violenti. Il medico o l’esaminatore dovrà quindi interpretare le modalità e le motivazioni della scelta di una condotta violenta già adottata dal soggetto nel passato, e all’atto della valutazione determinare se, sussistendo gli stessi fattori, egli possa nuovamente agire in modo violento. Questo è, in linea generale, fattibile per gli autori di condotte violente che non detengano una base psicopatologica: la violenza di soggetti affetti da patologia di mente non può risentire allo stesso modo di questa “cosciente” decisione da parte del soggetto. In quest’ultimi agiscono infatti, al di là della diagnosi di patologia di mente, alcuni elementi che su di essa si innestano: l’abuso di sostanze, ad esempio, o alcuni tratti di personalità, che se già da soli influiscono sulla prima condotta violenta e così come sulla sua recidiva, combinati tra loro innalzano il rischio a percentuali superiori al 50% (Stadtland C., & Nedopil N., 2005). Lo schema concettuale sul quale si fonda l’HCR-20, sviluppato da un attento esame della letteratura empirica riguardante i fattori correlati all’adozione di comportamenti violenti, si fonda sul fatto di delineare alcuni markers di rischio 81 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 nel passato di vita del soggetto in esame, negli elementi clinici del presente e nel futuro. L’HCR-20 prende dunque il nome dalle tre sottoscale che la compongono e dal numero dei fattori considerati: 10 fattori storici (Historical), 5 fattori clinici (Clinical) e fattori di gestione del rischio (Risk Management). La codifica di ognuna delle singole 20 voci avviene per mezzo di una scala a tre punti, in base al grado di certezza sulla presenza del fattore di rischio: il punteggio 0 indica che il fattore è assente, o che la sua presenza non è supportata dalle informazioni di cui si dispone sulla storia del paziente; il punteggio 1 indica che il fattore è possibilmente o parzialmente presente, ovvero che le informazioni di cui si dispone indicano una qualche evidenza, seppur non definitiva, della sua presenza; il punteggio 2 indica l’assoluta, chiara e certa presenza del fattore considerato. Laddove non si disponga di alcuna informazione relativa ad una data voce, o se quelle di cui si è in possesso non vengono ritenute attendibili, ne è consentita l’omissione. Attribuiti i punteggi ad ognuno dei fattori che compongono la scala, la valutazione del rischio viene effettuata considerando tre livelli di gravità: basso, medio o alto. Il manuale suggerisce come il processo di valutazione del rischio di violenza non sia specificabile in modo univoco per differenti contesti. A fini di ricerca, considerando l’HCR-20 come una vera e propria scala statistica, si può sommare il punteggio degli item che compongono ognuna delle tre sottoscale così da ottenere dei punteggi parziali relativi al “peso” dei fattori storici (dove il punteggio andrà da 0 a 20), clinici e di risk management (dove il punteggio andrà da 0 a 10); per poi sommarli tra loro ed ottenere un punteggio totale (che andrà da 0 a 40). Laddove siano state omesse delle voci, il punteggio deve essere calcolato “prorata”, ovvero in proporzione al numero delle omissioni. È però sconsigliato attuare tale metodo nel caso in cui siano state omesse troppe voci, ovvero più di 2 per i fattori H, più di 1 per i fattori C e R, o più di 5 in totale. 82 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Per scopi clinici è chiaramente inutile sommare il punteggio dei fattori o calcolare il punteggio totale per valutare il grado di rischio o pericolosità di violenza. In questo contesto il valutatore può considerare sufficiente la presenza di uno solo o pochi fattori per giudicare il soggetto in esame ad alto rischio di violenza: ad esempio, particolarmente rilevanti sono i fattori H1, H5 o H7, C3 o C4, R3 o R4. Il clinico potrebbe allora considerare che maggiore è il numero di fattori presenti in un dato caso, maggiore è il rischio di violenza; ma nemmeno tale metodo ha efficacia, in quanto le ricerche dimostrano che il rischio di violenza dipende non dal numero dei fattori di rischio quanto dalla qualità della loro influenza e dal modo in cui ognuno di loro si combina con gli altri. Tra l’altro nel contesto clinico l’omissione delle voci rappresenta un problema poiché, mentre il punteggio quantitativo pro-rata ha come presupposto il fatto che ogni voce abbia più o meno la stessa validità sia come indicatore di alcuni tratti (pericolosità) che come revisore di eventi (la violenza), in una valutazione qualitativa clinica questo non ha attendibilità. Pertanto nel contesto clinico l’omissione deve essere valutata come 0, ad indicare semplicemente che non si posseggono informazioni atte a suggerire la presenza di quel fattore (e, a questo punto, a suggerire la necessità di indagare meglio). In generale, poiché le omissioni possono inficiare la validità del giudizio finale circa la predittività del rischio, il valutatore deve qualificare le proprie opinioni specificando anche se ed in che termini esse potrebbero cambiare in presenza delle informazioni mancanti. Il manuale dell’HCR-2045 suggerisce di effettuare la valutazione a più riprese, allorquando si sia verificato un cambiamento nel comportamento del paziente o nel suo contesto residenziale; tale suggerimento risiede nella variabilità che può subire nel corso del tempo la gravità di alcuni fattori di rischio, variabilità che a sua volta influenza la gestione clinica e la previsione del rischio di violenza. 45 Non essendo disponibile una validazione italiana dello strumento, chi scrive ha adottato la versione originale dello strumento, chiedendo ad un traduttore esperto di indicare i contenuti salienti in merito alle applicazioni già effettuate, all’uso dello strumento, all’attribuzione dei punteggi ed alla codifica del risultato. Si auspica così che tale lavoro, al di là delle finalità specifiche che l’hanno condotto, possa offrire un contributo al confronto dei risultati ottenuti dalla popolazione originale con quella italiana. 83 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Infatti, i fattori clinici e di risk management, oltre che essere combinati tra loro allo scopo di prevedere il rischio di comportamenti violenti, si mostrano utili mezzi per monitorare i progressi del trattamento adottato per il soggetto. Va da sé che tale accezione sia di rilevante importanza soprattutto nel caso in cui il soggetto in questione sia un autore di reato per il quale sia stato prodotto un giudizio di non responsabilità penale in virtù della presenza di una malattia mentale: in questi casi, il monitoraggio dell’efficacia del trattamento diventa uno degli elementi che orienta il giudizio sulla sussistenza o meno della sua pericolosità sociale. Andiamo adesso a discutere più nello specifico dei 20 fattori che compongono la scala: attenendosi alle indicazioni/spiegazioni che il manuale suggerisce per ognuno di essi, la lorocodifica quantitativa va segnalata utilizzando l’apposito Foglio di Codifica (HCR-20 Coding Sheet) che costituisce il materiale del test. I fattori H attengono al passato: si dicono “storici” in quanto relativamente stabili, ovvero poco variabili nel tempo poiché la loro presenza è considerata durevole nell’arco di vita del soggetto. Essi riflettono variabili relative a serie problematiche in alcuni particolari aspetti di adattamento, che in modo più o meno causale possono essere correlate con il rischio di violenza futura. A loro volta distinti in due sottogruppi, uno relativo alla storia di vita del soggetto e l’altro alla qualità del contesto psico-sociale, in pratica abbiamo: -H1 – Previous Violence (Precedenti episodi di violenza): l’item pone che la probabilità di commettere futuri comportamenti violenti (o devianti) aumenta se vi siano dei precedenti episodi nel passato. Si intende per violenza quella commessa verso altre persone (tralasciando quella verso oggetti o animali). Per l’attribuzione del punteggio, all’atto della valutazione si combina il numero di precedenti episodi di violenza con la gravità degli stessi. -H2 – Young Age at First Violent Incident (Inizio precoce di comportamenti violenti – Età al primo episodio violento): l’item pone una corrispondenza tra l’età al tempo del primo episodio violento ed il rischio di adozione di ulteriori episodi violenti. Più il soggetto era giovane al tempo della prima violenza, maggiore sarà il rischio futuro. 84 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 L’esaminatore deve dunque conoscere o essere in grado di individuare l’età del soggetto al primo episodio violento (l’età al fatto compiuto, non l’età alla sua denuncia), così da attribuire il punteggio utilizzando i range di età indicati dal manuale. -H3 - Relationship Instability (Instabilità relazionale): l’instabilità è intesa nelle relazioni affettive con partner (mogli/mariti) e non con i familiari in generale e gli amici. Assenza di legami affettivi, molte relazioni a breve termine o pattern di relazioni instabili e conflittuali per lungo tempo, depongono per l’attribuzione di un punteggio di 2. -H4 – Employment Problems (Problemi nella sfera lavorativa): l’item include tanto le attività lavorative nella vita in libertà, quanto le esperienze o i programmi di lavoro affidati in un istituto di cura/riabilitazione, nonché la frequenza a scuole o corsi professionali. Anche in questo caso, la quantità di esperienze lavorative e la qualità delle stesse orienta l’attribuzione del punteggio: ottengono un punteggio alto coloro che non hanno mai lavorato regolarmente, o che hanno cambiato o abbandonato di frequente un’attività lavorativa, o che sono stati spesso licenziati. -H5 – Substance Use Problems (Problemi legati all’uso di sostanze stupefacenti): l’uso di sostanze stupefacenti è un fattore molto importante, più ancora della malattia mentale, nell’incrementare il rischio di violenza. L’item non tratta tanto dell’uso in sé, che comunque deve essere spiegato in termini di consumo (occasionale, abituale o di abuso) anche senza la presenza di una vera e propria diagnosi, quanto delle limitazioni alle funzioni lavorative, alla sfera affettivarelazionale ed alla salute che si ricollegano ai comportamenti di uso/abuso di sostanze. -H6 – Major Mental Illness (Presenza di malattia mentale grave): l’item si riferisce alla malattia mentale grave ed acuta così come intesa dai quadri nosografici dell’Asse I e II del DSM-IV, sebbene nella revisione dello strumento lo specifico riferimento a tale manuale sia stato rimosso per facilitare la codifica dell’item nelle giurisdizioni che usano diverse classificazioni diagnostiche. 85 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 L’attribuzione del punteggio dipende da sicure codifiche di malattia mentale avute in passato o diagnosticate nel presente, o da codifiche provvisorie/probabili in attesa di conferma (è necessario indicare una delle due voci nel Foglio di Codifica): se la presenza di psicosi, ritardo mentale o disturbi di personalità, al di là della specificità dei criteri diagnostici all’interno di queste categoria, non può essere definita in modo equivocabile, si attribuisce all’item il punteggio di 1. -H7 – Psychopathy (Psicopatia): anche in questo caso il Foglio di Codifica indica di segnalare se si tratta di diagnosi sicura o probabile, e l’attribuzione del punteggio all’item dipende dal punteggio ottenuto dal soggetto alla somministrazione della PCL-R o della PCL:SV (Psychopathy Checklist Screening Version): l’item avrà punteggio 0 per punteggi al di sotto di 20 nella PCL-R, punteggio 2 per punteggi al di sopra di 30 alla PCL-R. -H8 – Early Maladjustment (Disadattamento precoce o Disadattamento infantile): l’item include espressioni di disadattamento, in ambito scolastico, familiare o sociale in generale, in cui il soggetto sia stata vittima o artefice (maltrattamenti subiti durante l’infanzia, o vittimizzazioni verso gli altri). -H9 – Personality Disorder (Disturbi di Personalità): anche in questo caso è da indicare nel Foglio di Codifica se si tratta di diagnosi sicura o probabile, ed il punteggio 1 si attribuisce alla presenza di soli tratti di personalità. L’item intende indagare, tra tutti, in particolare i Disturbi di personalità del Cluster B, ed in special modo il Disturbo Borderline ed il Disturbo Antisociale di Personalità. -H10 – Prior Supervision Failure (Fallimento di precedenti tentativi di supervisione/trattamento): per gravi fallimenti, tali da consentire l’attribuzione del punteggio di 2, si intendono fughe dall’istituto di cura o contenzione, gravi episodi di violenza durante i programmi trattamentali proposti dal Tribunale, etc. Se un soggetto, prima della valutazione, non ha mai avuto un precedente tentativo di supervisione/trattamento da parte dei Servizi Psichiatrici o della Magistratura, si deve attribuire il punteggio 0. Nonostante la natura statica dei fattori H, la loro codifica può non essere altrettanto immutabile: è infatti possibile che l’attribuzione del punteggio alle voci che compongono questa sottoscala possa essere corretta o variata in base a 86 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 nuove acquisizioni sulle informazioni a carico del soggetto, che possono essere da lui stesso riferite o acquisite in una ulteriore visione della documentazione di riferimento. Il processo di codifica di questi fattori diviene dunque un’attività al quale l’esaminatore deve prestare molta attenzione ed accuratezza di indagine, al fine di non incorrere in errore attribuendo punteggi più alti a casi meno rilevanti (e dunque orientandosi a considerare gli stessi come falsi positivi), o peggio ancora sottovalutando l’influenza dei fattori H (falsi negativi) nel processo di valutazione del rischio di violenza. Oppure potrebbe aversi una variazione del fattore, come peggioramento o come miglioramento delle condizioni da esso indicate: ad esempio, la codifica dell’item H1 deve essere rivista nel momento in cui il soggetto commetta un (altro) episodio grave di violenza; la codifica dell’item H10 deve essere rivisto se, in una successiva valutazione, il soggetto è nel frattempo scappato dal centro di ricovero/detenzione; ed infine, item come H3, H4 e persino H5 possono registrare un miglioramento nel corso del tempo. In ultimo, è ammesso che il valutatore (o l’equipe di valutazione) modifichi la propria opinione riguardo la rilevanza di un item, pur mantenendo invariato il valore della sua codifica. Ciò si traduce nel fatto che, se anche la valutazione quantitativa dei fattori H non subirà modifiche, la valutazione qualitativa, e specificamente clinica, potrebbe non essere la stessa. I fattori C riguardano il presente, o meglio fanno riferimento all’osservazione durante i 6 mesi antecedenti la valutazione. La loro presenza serve a moderare la rilevanza dei fattori H, rendendo lo strumento più dinamico. Attitudini, comportamenti, emozioni e cognizioni descritti nei fattori C possono cambiare grazie ad un intervento pianificato o al mutamento delle circostanze, così come accade per i fattori R; tanto che non è errato dire che i fattori C ed R hanno la potenzialità di60 prevedere e prevenire il rischio di violenza, mentre i fattori H forniscono le componenti per determinare il contesto della sua espressione. 87 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 I fattori C sono: -C1 – Lack of Insight (Mancanza di consapevolezza di malattia): si riferisce al grado con il quale il soggetto non riesce a comprendere e ad essere consapevole del suo disturbo mentale e degli effetti che esso ha nel suo comportamento e versogli altri. Se il soggetto manca di insight, il suo punteggio sarà 2. -C2 – Negative Attitudes (Attitudini o atteggiamenti negativi): descrive atteggiamenti negativi, antisociali o sadici verso gli altri, le regole sociali, le istituzioni, la legge e l’autorità. Specifica la presenza di tali attitudini al di là della presenza della malattia mentale. Nell’attribuzione del punteggio, è importante valutare anche la presenza di senso di colpa o rimorso verso i comportamenti passati. -C3 – Active Symptoms of Major Mental Illness (Florida sintomatologia di disturbi psichiatrici maggiori): è stato ormai scientificamente approvato che il rapporto tra malattia mentale e violenza non gode necessariamente di causalità; sul rischio di violenza influisce invece la presenza di alcuni sintomi della malattia mentale e tra questi in particolare i disturbi nel contenuto e nella forma del pensiero (allucinazioni, pensiero bizzarro, ideazione paranoide, etc.). Il punteggio di 2 si attribuisce se è accertata la presenza di florida sintomatologia psicopatologica, o laddove i sintomi siano gravi. -C4 – Impulsivity (Impulsività): l’item intende la facile irritabilità, l’instabilità affettiva, d’umore e comportamentale che determina acting improvvisi come espressione del discontrollo degli impulsi. Anche in questo caso, si valuta extra rispetto alla malattia mentale. -C5 – Unresponsive to Treatment (Mancanza di reattività al trattamento): l’item descrive la compliance al trattamento posseduta dal soggetto all’atto della valutazione o lungo i precedenti 6 mesi, nonché l’efficacia dello stesso. Ottengono un punteggio di 2 i soggetti che rifiutano di iniziare il trattamento, oppure lo iniziano ma poi lo interrompono, o ancora completano il trattamento ma non ne beneficiano (esso non è stato efficace). Infine abbiamo i fattori R, che si riferiscono al modo in cui il soggetto si adatterà alle circostanze future ed al fatto che si potranno sviluppare efficaci programmi per ridurre il rischio di comportamenti violenti. 88 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Nella valutazione predittiva del rischio di violenza, infatti, non si può prescindere dall’analisi del contesto in cui si troverà a vivere il soggetto una volta dimesso, né dalla valutazione dei punti di forza sui quali potrà trovare appoggio. Il Foglio di Codifica richiede di specificare il contesto in cui verrà effettuata la gestione del rischio: “IN” farà riferimento al periodo di ospedalizzazione, “OUT” all’esterno. È su questo secondo contesto che ci si è soffermati per la descrizione delle seguenti voci R: -R1 – Plans Lack Feasibility (Mancanza di programmi praticabili): l’assenza di piani praticabili può dipendere dalla genericità degli stessi o dall’effettiva mancanza o disponibilità delle risorse sul territorio, intese sia come figure professionali che come servizi. Se la comunità non può o non vuole, a causa del comportamento del soggetto, o non sia in grado, a causa della mancanza di risorse, di fornire assistenza dopo la dimissione del soggetto, è bene applicare un punteggio di 2. -R2 – Exposure to Destabilizers (Esposizione a fattori destabilizzanti): non si tratta di prevedere la presenza di tutti i possibili fattori destabilizzanti nella vita di un soggetto, compito che sarebbe chiaramente impossibile, quanto di prevedere almeno la presenza di alcuni fattori che già hanno manifestato un potere destabilizzante nel passato del soggetto (uso di sostanze, captazione da parte di gruppi malavitosi, facilità nel reperire armi), e contemporaneamente di escludere la presenza di altri che sarebbero invece di natura positiva (assenza di abitazione, mezzi economici di sostentamento). Anche una scarsa o inadeguata supervisione professionale (sanitaria, istituzionale) può essere considerato un fattore destabilizzante. Il valutatore dovrà inoltre segnalare se il soggetto dovrà seguire specifici programmi per limitare o escludere l’influenza di questi fattori (es. Alcolisti Anonimi). -R3 – Lack of Personal Support (Mancanza di sostegno personale): è importante valutare la presenza di aiuti sul piano pratico ed anche emotivo che il soggetto potrà ricevere da familiari, amici e servizi socio-sanitari. Se tali forme di sostegno personale non sono presenti, o se esistono ma il soggetto non riesce ad accettarli, si potrà attribuire un punteggio alto. 89 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 -R4 – Noncompliance with Remediation Attempts (Mancanza di adesione ai programmi terapeutici): la motivazione ad aderire ai tentativi di trattamento, che in questo caso è riferita al futuro, si ricollega alla presenza di insight (C1) ed alla motivazione e volontà di rispettare un percorso terapeutico (C5). Il rischio di violenza si riduce infatti se il soggetto possiede consapevolezza della propria malattia e, in virtù di ciò, accoglie ed aderisce a regole condivise in un percorso di trattamento. Il manuale sottolinea che, nella similarità di questa voce con la C5, il valutatore deve ricordare che i fattori C si riferiscono al presente mentre i fattori R al futuro: dunque se un soggetto può aver dimostrato di non rispondere ad uno specifico intervento ed aver ottenuto il punteggio di 2 nella voce C5, la voce R4 richiederà una nuova valutazione alla voce R4 per verificare la conformità a programmi futuri. -R5 – Stress (Stress): l’item richiede di valutare le fonti di stress che il soggetto può incontrare ed il modo con il quale può reagire ad esse, ovvero le strategie di coping. La previsione dei life event stress, che al pari degli elementi destabilizzanti citati nel fattore R2 non è semplice da effettuarsi, si riferisce nello specifico a tre aree generali: la famiglia, gli amici ed il lavoro. Il valutatore deve chiarire se, nell’immaginabile futuro del soggetto, non vi siano già degli stressor che con la dimissione del paziente possano influenzare la qualità della sua vita (es. separazioni familiari, perdita del lavoro, lutti). Come per qualsiasi altro strumento che dalla prassi clinica viene mutuato a quella sperimentale, anche l’HCR-20, per rendere al meglio l’efficacia degli standard psicometrici che garantiscono l’affidabilità e la validità della sua applicazione, necessita in primo luogo di un elemento: che i criteri o i parametri considerati utili al fine per il quale lo strumento è stato ideato, in questo caso la valutazione predittiva di comportamenti aggressivo-violenti, possano di fatto essere valutati in modo qualitativo e quantitativo, dunque senza troppe incertezze nella loro “rintracciabilità”. Come detto in precedenza e come riportato dalla letteratura, vi è un nesso tra la presenza di precedenti episodi di violenza e la probabilità che lo stesso soggetto ne commetta di altri in futuro, così come vi è un nesso tra la precocità di comportamenti aggressivi e la probabilità che tali modalità divengano uno 90 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 standard nella condotta del soggetto: dunque queste due indicazioni, di così rilevante e primaria importanza, dovrebbero essere registrate accuratamente negli istituti preposti alla cura o al contenimento giudiziario di questa tipologia di utenza. Si mostra in sostanza di primaria importanza l’accurata registrazione delle notizie storico-anamnestiche per i soggetti che, affetti da patologia di mente, siano anche autori di reato, in virtù dell’analisi delle implicazioni che la patologia può avere sulla pericolosità sociale, intesa come valutazione del rischio di violenza. Dunque si ritiene, in particolare i fattori storici, elementi cui prestare la massima attenzione nell’intento di predire il rischio di violenza. Tale considerazione trova peraltro accordo in grossa parte degli studi condotti in letteratura, che tuttavia non è unanime in questo riscontro, sottolineando in alcuni casi come i fattori clinici e di risk management detengano maggiore significato predittivo del rischio di violenza rispetto ai fattori storici. Così ad esempio, uno studio longitudinale retrospettivo condotto in Svezia su un campione di 106 pazienti violenti affetti da Schizofrenia, ha messo a confronto la validità predittiva della VRAG (Violent Risk Appraisal Guide) e della parte anamnestico-storica dei fattori H dell’HCR-20. In tale confronto, lo studio ha dimostrato che entrambi gli strumenti hanno una buona validità predittiva del rischio di violenza, ma che i 10 fattori H dell’HCR-20 detengono una precisione superiore rispetto ai criteri ammessi dalla VRAG, in particolare per ciò che concerne la previsione a lungo termine del rischio di condotte violente che attiene a soggetti con grave patologia di mente (Tengström A., 2001). Ancora, uno studio longitudinale pseudo-prospettico condotto su un gruppo di 887 pazienti forensi maschi, dimessi dai reparti di media sicurezza di un ospedale psichiatrico forense del Regno Unito, ha dimostrato che i fattori H ed i fattori R dell’HCR-20 hanno un buona validità predittiva del rischio di violenza, mentre scarsi sono i risultati dei fattori C. Nel caso del mio lavoro, . per la scala H (History) il paziente risulta con punteggio significativo alla precedente violenza, alla psicopatia (punteggio alla scala di psicopatia: 25), ai problemi di lavoro, a precedenti psichici maggiori e fallimento degli interventi terapeutici (totale punteggio alla scala H: 8). 91 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Alla scala C (clinica) è emerso soprattutto la mancanza di insight (punteggio totale alla scala C: 5). Alla scala R (rischio) è emerso scarsa motivazione ai programmi proposti e al fattore Stress ( punteggio totale alla scala R: 5). Dal punteggio totale di 18, si è evinto che gli scenari di rischio possibili riguardano l’identificazione della madre, e secondariamente della sorella, come possibili vittime, soprattutto se il paziente non è inserito all’interno di piani d’intervento praticabili (trattamento farmacologico, percorso terapeutico riabilitativo, organizzazione e monitoraggio di eventuali visite familiari, ecc.) o se il paziente si dovesse trova al di fuori di un contesto contenitivo e protetto di vario genere. La Psychopathy Checklist - Revised o PCL-R La Psychopathy Checklist - Revised o PCL-R (Hare, 1980, 1991, 2003; ITA Caretti et. al, 2012) ha origine dagli studi condotti in Canada da Robert Hare, che già nel 1980 lo portano ad istituire una prima versione della scala come tentativo di operazionalizzare le procedure di valutazione del costrutto clinico di psicopatia. La prima revisione del 1991 modifica la struttura dello strumento omettendo due dei 22 item originari, e riporta i risultati di studi internazionali condotti allo scopo di dimostrare l’affidabilità, la validità e la generalizzabilità dello strumento a diversi tipi di campione. L’ultima revisione dello strumento, proposta dall’autore nel 2003 (PCL-R 2nd edition), non ha visto invece variazioni strutturali né per ciò che attiene alla descrizione degli item o ai criteri di scoring ed interpretazione, ma ha aggiunto ulteriori riferimenti sperimentali su popolazioni precedentemente non sottoposte a disamina: popolazioni femminili; popolazioni di differente appartenenza razziale; soggetti con addiction da sostanze stupefacenti; autori di reati sessuali e pazienti psichiatrico-forensi. La specificità di alcuni campioni ha peraltro determinato che, accanto allo strumento originale, l’autore ne abbia posto delle versioni specifiche, tra le quali si citano la Hare Psychopathy Checklist: Screening Version (PCL:SV, di Hart, Cox & Hare, 1995), che si affianca all’uso dello strumento originale su una 92 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 popolazione normale di soggetti come screening per la valutazione della psicopatia in popolazioni di autori di reato; e la Hare Psychopathy Checklist: Youth Version (PCL:YV, di Forth, Kosson & Hare, 2003), per autori di reato adolescenti e giovani adulti. Per la validazione italiana della PCL-R è stata condotta una ricerca multicentrica che, dal 2008 al 2010, ha coinvolto un campione di 139 autori di reato di nazionalità italiana condannati in via definitiva e detenuti presso strutture carcerarie ed OPG del territorio nazionale. Ciò che però in questa sede si desidera citare, allo scopo di comprendere i postulati teorici e di ricerca che hanno condotto alla necessità di strutturare la PCL-R, sono alcuni importanti riferimenti di massima, ed ovvero: - la descrizione di psicopatia che, per primo, diede Philippe Pinel quando “parlava di “follia senza delirio” per descrivere un modello di comportamentocontraddistinto dall’assenza di rimorso e da una completa mancanza di freni inibitori, un modello che egli considerava distinto dal comune “male che gli uomini compiono” (Hare R., 2009, pag 40/41). Tale accezione di psicopatia, che Pinel non considerava estensione di una particolare amoralità, fu ad origine di approfonditi studi da parte di altri studiosi che all’opposto vedevano nella psicopatia “la vera incarnazione del male” (Hare, 2009); - la descrizione di psicopatia che, in stretto senso clinico, venne data da Hervey Cleckley nel noto libro The Mask of Sanity edito per la prima volta nel 1941 ed aggiornato fino alla V edizione del 1976, laddove venne riconosciuta come un grave problema sociale al quale non era stata prestata la dovuta attenzione. Nell’opera, una dettagliata raccolta della storia clinica di diversi pazienti, Cleckley descrive tutte le caratteristiche peculiari di un disturbo che contempla, tra gli altri, “fascino”, “sagacia ed astuzia”, “mancanza di valori”, “povertà emotiva”, “egocentrismo”, “disonestà” ed “impulsività”: “(lo psicopatico) non ha familiarità con i fatti o gli elementi primari di ciò che possiamo definire valori personali. (…) È per lui impossibile interessarsi anche minimamente al dolore, alla felicità o alle conquiste dell’umanità quali vengono presentate nella letteratura e nell’arte. 93 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 (…) Bellezza e bruttezza, eccetto che in senso molto superficiale, bene, male, amore, orrore e ironia non hanno per lui alcun significato reale, nessun potere di commuoverlo. Ed è anche privo della capacità di accorgersi che gli altri provano emozioni. È come se, nonostante la sua acuta intelligenza, fosse cieco a questo aspetto dell’esistenza umana” (Cleckley, 1976, pag. 90; in Hare, 2009); -la descrizione del mutato termine in “sociopatia” che George Everett Partridge diede nel 1930, a sua volta riprendendo le concettualizzazioni proposte nel 1909 da K. Birnbaum, che poneva maggiormente l’accento sul disadattamento sociale reso manifesto in comportamenti e stili di vita in chiara distonia con i criteri della convivenza sociale e della realtà. Molte delle difficoltà presentate dagli psicopatici hanno secondo lo studioso un’origine sociale più che psicologica, e devono dunque essere rintracciate nelle condizioni ambientali e del contesto di vita del soggetto, che non gli ha reso possibile di apprendere adeguate norme di condotta sociale. Quanto sopra riportato è solo una breve sintesi utile a comprendere quanto sia complessa la “sindrome della Psicopatia” (Hare, 2009, pag. 51), che integra tra loro sintomi differenti in qualità di tratti di personalità particolari che influenzano tanto la sfera emotivo relazionale che quella comportamentale. Autocentrato ed autoreferenziale, lo psicopatico ha riguardo esclusivamente per il proprio benessere; l’inflazione del senso di Sé non gli consente di intendere l’altro che comebun oggetto depersonalizzato di cui potersi approfittare per raggiungere un profitto personale; la mancanza di empatia, l’assenza di rimorso, l’impulsività e l’irresponsabilità che caratterizzano la sua sfera affettiva ed la sua condotta, non consentono di mettere confini al suo agire e gli impediscono di prendere atto delle conseguenze delle proprie azioni. Ma, ed in questo consiste anche lo straordinario fascino di questi soggetti che coinvolge tanto la comunità scientifica che la società profana, vi è il fatto che essi, al primo incontro, riescono bene a mascherare le caratteristiche sopra descritte mostrandosi ai più semplicemente normali. È questa l’essenza della “maschera di sanità” descritta da Cleckley: 94 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 “l’esteriorità di questi soggetti rimane intatta, ed anche i processi di pensiero conservano un aspetto normale sotto opportuna indagine psichiatrica o con l’uso di prove tecniche” (Cleckley, 1955, pag. 423; in Palermo G., 2011, pag. 23). Il costrutto di psicopatia descritto dall’autore viene distinto dal Disturbo Antisociale di Personalità (Antisocial Personality Disorder - ASPD) classificato nel DSM IV-TR (ed a partire dall’edizione del DSM-III, 1980) e dal Disturbo Dissociale di Personalità dell’ICD-10 (1992), nella misura in cui la psicopatia diviene un disturbo che nella propria descrizione integra sia fattori affettivi ed interpersonali, che fattori comportamentali e di stile di vita del soggetto, che nei precedenti citati non si esprimono nello stesso modo. Tanto il Disturbo Antisociale di personalità quanto il Disturbo Dissociale di Personalità costituiscono un modello “categoriale” nella descrizione della psicopatia, ovvero si basano su criteri diagnostici stabiliti, che consentono di ammettere o escludere la presenza del disturbo. Tra i due, il Disturbo Dissociale di Personalità descrive tratti di personalità ed aspetti comportamentali che richiamano le caratteristiche tradizionalmente connesse alla psicopatia, quali: 1. l’assoluto disinteresse per i sentimenti degli altri; 2. l’evidente e persistente attitudine all’irresponsabilità ed al disprezzo per le norme sociali, le regole e i doveri; 3. l’incapacità a mantenere relazioni durevoli, senza tuttavia avere difficoltà a Iniziarle; 4. la scarsa tolleranza alla frustrazione, e la bassa soglia per lo scarico dell’aggressività, inclusa la violenza; 5. l’incapacità di nutrire senso di colpa e di imparare dalle esperienze negative, in particolare dalle punizioni; 6. la marcata tendenza a incolpare gli altri, o ad offrire razionalizzazioni plausibili, per il comportamento che ha portato il soggetto in conflitto con la società; 7. la persistente irritabilità. 95 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 I criteri diagnostici che definiscono il Disturbo Antisociale di Personalità, invece, pongono maggiore enfasi sui comportamenti più propriamente antisociali e criminali rispetto ai tratti di personalità così come proposto dalle tradizionali concezioni sul disturbo psicopatico. Come è noto, il Disturbo Antisociale di Personalità descrive un quadro pervasivo di disturbi della condotta, inosservanza e violazione dei diritti degli altri, che si manifesta prima dei 15 anni di età e che viene specificato dalla sussistenza di almeno tre dei seguenti criteri: 1. l’incapacità di conformarsi alle norme sociali per ciò che riguarda il comportamento legale, come indicato dal ripetersi di condotte suscettibili di arresto; 2. la disonestà, indicata dal mentire, usare falsi nomi o truffare gli altri ripetutamente, per profitto o per piacere personale; 3. l’impulsività o incapacità di pianificare; 4. l’irritabilità e l’aggressività, come indicato da scontri o assalti fisici ripetuti; 5. l’inosservanza spericolata della sicurezza propria e degli altri; 6. l’irresponsabilità abituale, come indicato dalla ripetuta incapacità di sostenere una attività lavorativa continuativa, o di far fronte ad obblighi finanziari; 7. la mancanza di rimorso, come indicato dall’essere indifferenti o dal razionalizzare dopo avere danneggiato, maltrattato o derubato un altro. A differenza dei precedenti due disturbi, il costrutto di psicopatia descritto da Hare, e di conseguenza lo strumento PCL-R che serve alla sua valutazione, si basa su una caratterizzazione “dimensionale” fondata su un sistema fattoriale che contempla elementi relativi a tratti di personalità ed elementi relativi al comportamento. Dal confronto tra i criteri diagnostici del Disturbo Antisociale di Personalità e del Disturbo Dissociale di Personalità con i fattori che descrivono il costrutto di psicopatia proposto da Robert Hare, è da notare come meno della metà degli item della PCL-R si adattano alla nosografia del DSM-IV o dell’ICD-1037.46 46 Esattamente, 9 item su 20 della PCL-R si adattano ai criteri nosografici del DSM-IV e dell’ICD-10, ed ovvero: menzogna patologica, impostore/manipolativo, assenza di rimorso o di senso di colpa, insensibilità/assenza di empatia, stile di vita parassitario, deficit del controllo 96 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Un recente studio condotto in Belgio (Pham T. & Saloppè X., 2010) su un campione di 84 pazienti forensi ha voluto esaminare il rapporto tra la PCL-R ed i disturbi dell’Asse I e Asse del DSM-IV. Per quanto riguarda l’Asse I, la diagnosi di psicopatia è risultata unicamente correlata alla diagnosi di abuso/dipendenza da sostanze stupefacenti; per l’Asse II, si è correlata al Disturbo Antisociale di Personalità. In quest’ultimo caso, in particolare, il rapporto tra i due disturbi è risultato asimmetrico, dimostrando come la diagnosi di psicopatia fosse altamente predittiva della diagnosi di Disturbo Antisociale di Personalità, mentre non era vero il contrario. Sempre in merito alle diagnosi sull’Asse II, lo studio ha dimostrato una correlazione positiva tra la diagnosi di psicopatia ed il Disturbo Narcisistico di Personalità, dato conforme ai risultati di altra letteratura internazionale. Nel complesso, la diagnosi di psicopatia si è correlata bene con i disturbi del cluster B dell’Asse II del DSM-IV, ma si è mostrata sostanzialmente estranea ad una correlazione con i disturbi di personalità dei cluster A e C, o con i disturbi mentali più gravi (psicosi, schizofrenia, disturbi dell’umore). Il sistema fattoriale della PCL-R consente di indicare quali aspetti influiscono maggiormente nella “qualità” della psicopatia del soggetto esaminato, ed in particolare, se ha maggiore prevalenza l’aspetto emotivo (Fattore 1) o quello comportamentale (Fattore 2). Per ciò che concerne il campo di indagine del presente lavoro, ed ovvero le condotte devianti, la letteratura ha già da tempo posto in causalità diretta la psicopatia e le condotte aggressivo-violente: studi classici sostengono infatti che i soggetti psicopatici possano adottare condotte criminose in misura due volte superiore rispetto a soggetti non psicopatici (Porter, Birt & Boer, 2001). Gli studi riconoscono che i comportamenti aggressivi commessi da parte dei soggetti psicopatici variano per qualità e gravità rispetto all’impulsività che li caratterizza, distinguendosi in “premeditati”, “impulsivi” o “causati da malattia mentale” (Glenn & Raine, 2009; in Palermo, 2011). comportamentale, impulsività, irresponsabilità, incapacità di accettare la responsabilità delle proprie azioni. 97 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Cleckley, come abbiamo visto uno dei più autorevoli studiosi di tale disturbo, asserisce che la violenza psicopatica è altamente strumentale in quanto motivata dall’ottenimento di guadagni materiali, dalla soddisfazione di sfrenate pulsioni sessuali, dalla presenza di ostilità distruttiva, dalla ricerca di emozioni forti ed ancora dalla mancanza di eccitazione emotiva (Palermo, 2011). Sebbene dunque non si escluda del tutto che anche le componenti emotive possano costituirsi come elementi di rischio al comportamento violento, la letteratura ha prediletto l’influenza delle componenti comportamentali. Infatti, in una meta-analisi di 42 studi (Walters G.D., 2003) in cui sono state utilizzate la PCL o la PCL-R per predire i comportamenti violenti e la recidiva in campioni di soggetti forensi o detenuti, ha dimostrato che, rispetto al Fattore 1, il Fattore 2 ha una migliore correlazione con i comportamenti violenti in costanza di istituzionalizzazione e con la recidiva. In più, il Fattore 2 era significativamente più predittivo dei risultati totali, della recidiva generale e della recidiva violenta, rispetto al Fattore 1. Parimenti, anche uno studio condotto su un campione di 92 pazienti forensi (Hildebrand M., de Ruiter C., & Nijman H., 2004) usando la PCL-R allo scopo di valutare il rapporto tra psicopatia e vari tipi di comportamenti violenti durante l’ospedalizzazione forense, ha dimostrato una maggiore influenza degli aspetti indagati dal Fattore 2. Come era atteso, una significativa correlazione è stata trovata tra il punteggio della PCL-R (soggetti psicopatici con punteggio > 30) e comportamenti di abuso verbale, minacce, violazione delle regole, quantità di incidenti e frequenza dello stato di isolamento del paziente. Infine, si cita un recente studio (McGregor K., Castle D., & Dolan M., 2012) in cui la PCL-R è stata usata per valutare la validità predittiva della descrizione fattoriale della psicopatia e l’adozione di comportamenti violenti, in un campione di 94 pazienti con disturbi dello spettro schizofrenico. Lo studio ha contemplato anche il monitoraggio dell’abuso di sostanze stupefacenti e di episodi di violenza lungo il corso della vita di ogni paziente. I I risultati hanno dimostrato che il risultato totale alla PCL-R, i risultati alle Componenti 2, 3 e 4, e la misurazione dell’uso di sostanze stupefacenti sono 98 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 predittive dell’appartenenza dei soggetti al sottotipo “violenti” piuttosto che al sottotipo “non-violenti”. L’equazione di regressione ha indicato che la validità predittiva della PCL-R rimane significativa anche dopo il controllo dell’uso di sostanze stupefacenti. Infine, per ciò che concerne le Componenti che costituiscono la descrizione del costrutto di psicopatia per la PCL-R, in particolare le Componenti 3 e 4 hanno un potere predittivo rispetto alle condotte violente. La PCL-R ha dimostrato di possedere una buona affidabilità e validità nella misurazione del costrutto di psicopatia anche con popolazioni femminili. Nello studio condotto in Canada da (Strachan 1995), lo strumento è stato applicato su una popolazione femminile di 75 donne autrici di reato che si trovavano in stato di detenzione o in attesa di giudizio. Per ognuna di esse, come di prassi, il contenuto delle interviste è stato confrontato con le informazioni collaterali ottenute con il file review, ed il campione è stato inoltre valutato utilizzando una batteria di questionari self-report. I risultati generali ottenuti dallo studio hanno dimostrato che anche per una popolazione femminile, al pari di quelle maschili, è possibile descrivere il costrutto di psicopatia sulla base della distinzione fattoriale tra dimensioni personologiche e dimensioni comportamentali. Anche un più recente studio condotto sempre in Canada (Nicholls T. L., 2004) ha preso in considerazione una popolazione femminile. In questo caso lo studio ha testato il campione, costituito da 47 donne e 47 uomini autori di reato valutati non imputabili in quanto affetti da patologia di mente e dunque internati presso un Ospedale Psichiatrico Forense, con l’HCR-20 e la PCL:SV allo scopo di valutare il rischio di compiere comportamenti aggressivi in stato di contenzione e dopo la dimissione in comunità. L’analisi statistica ha rivelato che, tra la popolazione femminile e quella maschile, non esistono differenze significative in merito a caratteristiche psicosociali, alla natura violenta o non violenta del reato, alla gravità della violenza commessa sulla base di specifici elementi quali l’uso di armi o il tipo di danno causato alla vittima. La distribuzione dei punteggi dell’HCR-20 e della PCL:SV non è stata differente tra uomini e donne. In particolare, l’analisi statistica con Odds Ratio e Curva di ROC hanno dimostrato che la PCL:SV è in grado di indicare da moderate a forti correlazioni con 99 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 l’aggressività, la violenza ed il comportamento criminoso della popolazione femminile, con valori simili a quelli riscontrati nel campione maschile; i risultati dell’HCR-20 hanno invece indicato da moderate a forti correlazioni con i comportamenti aggressivi adottati da uomini e donne in costanza di ospedalizzazione, mentre si è mostrata meno forte la correlazione con comportamenti aggressivi adottati nello stato di post-dimissione. Il Punteggio Totale della PCL-R consente invece di indicare in quale grado il soggetto esaminato corrisponde al “prototipo” dello psicopatico: a livello internazionale, è stato stabilito un cut-off clinico pari al punteggio totale di 30 per indicare un soggetto come psicopatico38. Esaminiamo meglio i 20 item che costituiscono la PCL-R: - Item 1 – Loquacità/Fascino Superficiale: descrive un soggetto disinvolto, verbalmente pronto, un piacevole conversatore sempre in grado di fornire una risposta rapida e intelligente. Ma, al di là dell’impressionare gli altri con la sua loquacità, si ravvisa in lui e nelle sue relazioni interpersonali l’adozione di un certo fascino falso e superficiale, che lo rende troppo furbo e mellifluo per essere completamente affidabile, anche in merito all’effettiva conoscenza di ciò di cui parla. La difficoltà nell’assegnare un punteggio a questo item potrebbe costituirsi nelle interazioni con soggetti superficiali, ma per niente affascinanti: i detenuti, ad esempio, spesso vestono i panni del “macho”, ed in tal caso il punteggio più corretto è 1; - Item 2 – Senso di Sé grandioso: descrive un soggetto caratterizzato da un’opinione esagerata sulle proprie abilità e sul proprio valore. È supponente ed arrogante, anche a dispetto del suo status effettivo o degli avvenimenti occorsi nella sua vita: ad esempio, dichiara di voler fare l’avvocato, ma ha un basso livello socioculturale. Sempre in considerazione del suo Sé grandioso, non nutre imbarazzo rispetto ai suoi problemi con la legge, poiché convinto che gli stessi e la sua detenzione siano il risultato di cattiva sorte, amici disonesti, un sistema giudiziario penale ingiusto e incompetente, etc.; 100 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 - Item 3 – Bisogno di stimoli/Propensione alla noia: descrive un soggetto affetto da un cronico ed eccessivo bisogno di stimoli nuovi ed eccitanti, poiché estremamente sensibile alla noia. Un soggetto incostante, le cui condotte di vita dimostreranno un forte interesse verso l’assunzione di rischi di vario genere: assunzione di vari generi di droga, frequenti cambi di lavoro e di sede territoriale, frequenti relazioni affettive. - Item 4 – Menzogna patologica: descrive un soggetto che comunemente adotta l’inganno e la menzogna nelle proprie interazioni con gli altri. Il caratteristico atteggiamento di menzogna patologica si dimostrerà anche nell’atteggiamento assunto come conseguenza della stessa: se sorpreso a mentire, o messo alla prova con un resoconto veritiero di quanto narrato, egli non si mostrerà imbarazzato e semplicemente cambierà la propria versione così da riacquisire coerenza con le precedenti dichiarazioni. Un punteggio alto viene assegnato nell’adozione di un palese e consapevole atteggiamento di menzogna patologica; - Item 5 – Impostore/Manipolativo: in modo simile al precedente, questo item spiega come l’atteggiamento menzognero del soggetto sia posto per truffare, ingannare, defraudare o manipolare gli altri. Un soggetto che riceve un alto punteggio a questo item è colui che, costantemente interessato a raggiungere un proprio guadagno personale (soldi, sesso, prestigio, potere, etc..), è in grado di compiere qualsiasi gesto senza la minima preoccupazione per gli effetti che essi possono avere sulle vittime, indifferentemente amici, familiari o sconosciuti. I comportamenti manipolativi operati dal soggetto possono essere pianificati oppure molto semplici, e riguardare attività criminali o non criminali. Nell’assegnare il punteggio, al di là della conoscenza di fatti oggettivi, l’esaminatore deve valutare anche l’atteggiamento che il soggetto adotta nei suoi confronti durante l’intervista; - Item 6 – Assenza di rimorso o di senso di colpa: l’item descrive un soggetto caratterizzato da una generale mancanza di preoccupazione per le conseguenze negative che le sue condotte, criminali e non, possono avere sugli altri. 101 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Totalmente privo di interesse verso la sofferenza o il disagio delle sue vittime o verso i danni arrecati alla società, mostra esclusivo interesse verso se stesso ed il proprio benessere. In merito a ciò, egli potrebbe essere schietto e diretto o viceversa verbalizzare qualche rimorso, ma senza che le sue parole trovino conferma nelle sue azioni o nel suo stato emotivo. Alcune domande presenti nell’intervista sono volte ad indagare questo elemento in modo diretto (“Ti sei pentito di quello che hai fatto?”; “Se potessi dire qualcosa alle tue vittime, cosa diresti?”), ma l’intervistatore deve comunque prestare attenzione all’atteggiamento generale adottato dal soggetto; - Item 7 – Affettività superficiale: descrive un soggetto incapace di provare la normale gamma e profondità delle emozioni: incapace di distinguere l’amore dal desiderio sessuale, la tristezza dalla frustrazione, la rabbia dall’irritabilità. Le sue espressioni emotive possono essere teatrali ed esagerate, ma è solo un atteggiamento esibizionistico al di sotto del quale vi è una profonda superficialità; - Item 8 – Insensibilità/Assenza di empatia: descrive un soggetto con attitudini e comportamenti che manifestano una profonda mancanza di empatia, con disprezzo dei sentimenti, dei diritti e del benessere altrui, se non a livello astratto ed intellettuale. Cinico ed egoista, considera gli altri unicamente come oggetti da manipolare, a proprio vantaggio, o come “bersagli”, di cui approfittare; - Item 9 – Stile di vita parassitario: la dipendenza finanziaria dagli altri è una parte intenzionale dello stile di vita del soggetto. Sebbene egli sia fisicamente sano, evita impieghi stabili e remunerativi facendo piuttosto affidamento sulla famiglia, i parenti, gli amici o i contributi di assistenza sociale. Può adottare questa condotta mostrandosi meritevole di simpatia e supporto, oppure utilizzando la minaccia o la coercizione, o ancora sfruttando le debolezze delle sue vittime. La guida indica di dare il punteggio di 1 ai soggetti che si siano mantenuti con le sole attività criminose; - Item 10 – Deficit del controllo comportamentale: l’inadeguato controllo del comportamento è una caratteristica essenziale dello psicopatico: collerico ed irritabile, tende a rispondere alla frustrazione, al fallimento, alla disciplina o alla 102 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 critica con comportamenti violenti o minacce e abusi verbali. Sensibile alle offese, anche banali, diventa facilmente aggressivo; - Item 11 – Comportamento sessuale promiscuo: descrive un soggetto che vive le proprie relazioni sessuali in modo impersonale e superficiale: ha frequenti legami casuali, con indiscriminata selezione del partner sessuale; mantiene più relazioni sessuali nello stesso tempo, con frequente infedeltà ed anche prostituzione di sé. L’item si riferisce a comportamenti direttamente agiti da parte del soggetto: lo sfruttamento della prostituzione, ad esempio, va più correttamente siglata nell’item n. 9 “Stile di Vita Parassitario”. Questo item, pur se non incluso nella struttura fattoriale, concorre alla descrizione clinica del soggetto psicopatico; - Item 12 – Problematiche comportamentali precoci: descrive un soggetto che abbia mostrato gravi problemi comportamentali al di sotto dei 12 anni di età: comportamenti persistenti di menzogna, frode, furto, rapina, piromania, assenze ingiustificate da scuola, disturbo delle attività della classe, abuso di sostanze, vandalismo, violenza, bullismo, fughe da casa e attività sessuali precoci. Tali condotte hanno comportato lamentele da parte degli altri, sospensioni/espulsioni da scuola o interventi della polizia (ma non necessariamente l’arresto); - Item 13 – Assenza di obiettivi realistici/a lungo termine: l’item descrive l’incapacità o la mancanza di volontà nel formulare ed eseguire piani o obiettivi realistici e a lungo termine. Il soggetto tende a “vivere giorno per giorno”, senza pensare seriamente al proprio futuro. Alle volte, il soggetto può dichiarare di avere degli obiettivi specifici (diventare un avvocato, un chirurgo, un pilota di aerei), ma senza mai mostrare di possedere la consapevolezza sulle qualifiche necessarie per raggiungerli; peraltro, gli stessi obiettivi appaiono irrealistici in considerazione della sua istruzione e del suo curriculum di lavoro; - Item 14 - Impulsività: altra caratteristica peculiare dello psicopatico, che spesso è impulsivo, con condotte non mediate dalla riflessione. Egli agisce d’impulso o perché se ne presenta l’opportunità, nell’incapacità di valutare i pro ed i contro di una linea di condotta o nel saper considerare le possibili conseguenze delle proprie azioni per sé stesso o per gli altri; 103 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 - Item 15 - Irresponsabilità: l’item descrive un soggetto abitualmente incapace di completare o onorare gli obblighi e gli impegni verso gli altri. Ha poco o nessun senso del dovere o lealtà verso la famiglia, gli amici, l’impiego, la società. La sua irresponsabilità si manifesta anche nella gestione finanziaria o nell’adozione di comportamenti che possono mettere gli altri a rischio. La generica riluttanza nell’assumersi delle responsabilità, laddove essa non danneggi gli altri, riceve un punteggio di 1; - Item 16 – Incapacità di accettare la responsabilità delle proprie azioni: descrive un soggetto incapace di accettare la responsabilità personale per le proprie azioni o per le conseguenze che esse hanno. Abile nel trovare delle scuse per la propria condotta, accetta le responsabilità in modo superficiale, minimizzando poi grandemente (o negando) le conseguenze delle sue azioni: ad esempio, egli può ammettere di aver compiuto un’aggressione, ma sostenere che le vittime stiano esagerando in merito al danno o alle ferite riportate; - Item 17 – Numerosi rapporti di coppia di breve durata: descrive un soggetto che ha avuto molte relazioni affettive “stabili” (matrimoni, relazioni con un certo grado di impegno da parte dei partner), ma di breve durata. Ai fini di una indagine condotta in contesto carcerario, si considerano anche le relazioni all’interno dell’istituto penitenziario. Il punteggio va assegnato seguendo le indicazioni fornite dalla guida, che distinguono per età e numero di relazioni. Come l’item n. 11, anche questo non è incluso nella struttura fattoriale ma concorre alla descrizione clinica; - Item 18 – Delinquenza in età giovanile: la storia di vita del soggetto è costellata da gravi comportamenti antisociali/delinquenziali compiuti in età minorile (entro i 18 anni, in Italia), che hanno ricevuto accuse o condanne di natura penale. Per l’attribuzione del punteggio si valutano solo i contatti formali che il soggetto ha avuto con il sistema della giustizia minorile, mentre non si assegna punteggio per condotte, anche criminose, cui non ha fatto seguito l’arresto; - Item 19 – Revoca della libertà condizionale: descrive un soggetto che, da adulto, ha commesso violazioni più o meno gravi della libertà condizionale o di uno stato di detenzione/internato, quali: sospensione delle misure alternative al 104 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 carcere;accuse/condanne per aver violato gli obblighi di legge sulla libertà condizionale; revoca della libertà provvisoria o vigilata; evasione. Nel caso in cui il soggetto in esame non abbia avuto contatti formali con il sistema giudiziario penale da adulto prima del reato che l’ha condotto allo stato di contenzione/internato in cui viene effettuata la valutazione, l’item deve essere omesso (in altre parole, l’item va omesso se il soggetto, all’atto della valutazione, è alla sua prima condanna). Viceversa, la guida indica in che modo assegnare il punteggio, dipendente dalla gravità della violazione commessa; - Item 20 – Versatilità criminale: l’item descrive un soggetto che, da adulto, è stato avvezzo all’adozione di varie condotte criminose, e che dunque ha ricevuto numerose accuse o condanne per molti differenti tipi di reato. L’attribuzione del punteggio, da effettuarsi seguendo quanto indicato dalla guida, varia in base al numero delle tipologie di reati commessi (la gravità del reato non influisce). La difficoltà della codifica di questo item deriva dal fatto che ogni Codice Penale contempli una notevole varietà di reati, e che lo stesso venga costantemente revisionato; in Italia, peraltro, a differenza di altri Stati alcune condotte non costituiscono un vero e proprio reato, quanto delle circostante aggravanti a fattispecie penalmente riconosciute come tali. Occorre dunque prestare attenzione alla lista delle categorie di reato riportate nella guida della PCL-R validata nel proprio paese. In sostanza, la PCL-R è una checklist composta da 20 item che usa un’intervista semistrutturata ed il reperimento di informazioni collaterali per indagare e misurare la presenza ed il grado delle componenti psicopatiche del soggetto in esame. Il materiale del test si compone di: un Manuale, che menziona gli studi di letteratura e di ricerca scientifica in cui è stato applicato il test; una Guida all’Intervista, contenente il protocollo di domande, con commenti esplicativi, da utilizzare durante il colloquio con il soggetto; una Guida con le istruzioni per l’attribuzione dei punteggi, indicanti gli item della scala ed alcuni suggerimenti in merito alle fonti da consultare per valutare gli item; un Modulo di AutoScoring, o 105 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 scheda di registrazione per segnare i punteggi dei 20 item, di facile consultazione del punteggio di Fattori, Componenti e Punteggio Totale. In merito alla metodologia, la guida del test suggerisce all’esaminatore di svolgere il file rewiew, che si sostanzia nella consultazione di fascicoli/documentazione personale sul soggetto in esame e nel reperimento di informazioni da parte di chi è venuto in contatto con esso, prima del colloquio in cui verrà utilizzata l’intervista semistrutturata. Così facendo, sarà possibile valutare meglio la credibilità delle dichiarazioni rese dal soggetto ed osservare in via diretta lo stile di interazione che egli assume durante l’intervista, al fine di acquisire maggiori convincimenti per l’attribuzione del punteggio e la valutazione del risultato. L’intervista semi strutturata ha, come di prassi, il fine di orientare l’esaminatore nella conduzione del colloquio con il soggetto: è importante infatti stabilire una buona relazione con l’esaminato, pur nella necessità di mantenere quel distacco clinico che, con soggetti così manipolativi, è essenziale (quando difficile). L’intervista è volta all’indagine di tutte le aree di vita del soggetto: dai primi ricordi di infanzia ai rapporti con i compagni di scuola; dai rapporti di affetto e di stile educativo da parte dei genitori ai rapporti affettivi ed amicali in generale; la sfera della sessualità; la qualità della conduzione di attività lavorative e professionali e la gestione delle proprie finanze; le generali condizioni di salute; le eventuali problematiche nell’uso o addiction da sostanze stupefacenti o alcol; ma anche le capacità di controllo della rabbia ed in generale la sfera emotiva, ed infine, di particolare interesse ai fini forensi, la valutazione dei comportamenti antisociali. L’intervista proposta dal test costituisce dunque una linea guida per l’interazione con il soggetto: l’esaminatore ha libertà di variare l’espressione delle domande proposte, purché venga rispettato il loro contenuto; allo stesso modo, potrebbe variare l’ordine dei campi sottoposti ad indagine in base alla fluidità del colloquio. L’importante è che, al termine, ognuno di essi sia stato opportunamente indagato. Al cospetto di un’intervista strutturata, alla quale il soggetto debba rispondere in maniera affermativa o negativa ad un dato item, l’intervista proposta dalla PCL-R ha il vantaggio di consentire all’esaminatore di 106 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 “andare al di là” delle dichiarazioni rese dal soggetto: per quanto, ad esempio, con una domanda secca del tipo “Hai mai commesso un reato?” sia più semplice per l’esaminatore valutare un “Si” o un “No”, un’intervista più articolata, per quanto più lunga come quella della PCL-R, consente di comprendere quanto la risposta del soggetto sia veritiera. A tal fine vale la pena di ricordare che la menzogna patologica e la manipolatività siano due caratteristiche salienti del soggetto psicopatico. La durata dell’intervista, infatti, varia in base alla loquacità del soggetto ed alla quantità di informazioni che egli fornisce sulla propria storia di vita: la guida indica una durata variabile dalle 2 alle 4 ore a soggetto intervistato, ed indica anche come sia possibile ottenerla in più riprese sebbene sia privilegiata la somministrazione unica anche al fine di evitare che il soggetto possa, durante la pausa, ripensare a quanto raccontato ed eventualmente variare/riformulare alcune dichiarazioni. Ancora, la guida indica, nei limiti consentiti dal contesto di ricerca, di svolgere l’intervista in un ambiente tranquillo che riduca le interferenze dall’esterno, ed altresì di utilizzare una registrazione audio/video che sarà utile all’esaminatore stesso nella fase di attribuzione del punteggio o nella necessità di una eventuale rivalutazione da parte di un secondo esaminatore. Laddove l’esaminatore incorra in discrepanze tra quanto visionato con il file rewiew e quanto ottenuto con l’intervista, la guida indica di scegliere in base ad una maggiore “credibilità” delle fonti al fine di attribuire il punteggio all’item, tenendo bene a mente del contesto in cui è inserita l’indagine: nel caso di valutazione dell’imputabilità, ad esempio, è necessario discernere dal tipico atteggiamento di simulazione della patologia che questi soggetti possono mettere in atto. È altresì possibile, laddove il soggetto non possa o non voglia essere intervistato, condurre l’indagine basandosi unicamente sul file rewiew. In tal caso l’esaminatore, che ha il dovere di specificare tale procedura, deve tenere conto dei limiti che essa comporta: ad esempio, in tali casi diviene più difficile la valutazione degli item interpersonali ed affettivi, senza una diretta interazione con il soggetto. 107 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Se le fonti consultate non danno all’esaminatore certezze in merito alla presenzadell’elemento indagato, e le dichiarazioni rese dal soggetto con l’intervista non sciolgono il dubbio, oppure non è stato possibile svolgere l’intervista, è possibile omettere l’attribuzione del punteggio per quell’item. Queste sono le uniche condizioni che consentono di omettere un item, e non già l’incertezza da parte dell’esaminatore nell’attribuire il punteggio. Per ognuno dei 20 elementi che compongono la scala, l’esaminatore dovrà infattiattribuire un punteggio che va da 0 a 2 secondo le seguenti condizioni generali (per alcuni item, la descrizione delle caratteristiche da essi sottesi segnala in modo più specifico l’attribuzione del punteggio): • punteggio 0 = l’item non si applica al soggetto, o non esibisce il tratto o comportamento descritto, o ancora descrive caratteristiche opposte a quelle individuabili nel soggetto; • punteggio 1 = l’item si applica parzialmente al soggetto, ovvero non nella misura da garantire l’attribuzione del punteggio più alto; la compatibilità è solo per alcuni aspetti descritti dall’item, ma vi sono troppe incertezze per garantire l’attribuzione del punteggio più alto; sono state riscontrate discrepanze tra l’intervista e le informazioni collaterali tali non da minacciare la credibilità della fonte, bensì di non consentire di risolvere il dubbio tra presenza o assenza dell’elemento in questione (e dunque di attribuire allo stesso un punteggio di 0 o 2); • punteggio 2 = l’item si applica al soggetto, e vi è compatibilità con le caratteristiche in esso descritte. I punteggi verranno poi sommati così da ottenere: un punteggio per ognuna delle 4 Componenti, un punteggio per ognuno dei 2 Fattori, ed un punteggio totale. La guida sottolinea in più occasioni quanto sia importante valutare gli item non sulla base del loro nome bensì con un attento riguardo alla descrizione degli stessi. Inoltre, allo scopo di limitare dei possibili errori – il cosiddetto effetto 108 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 alone, determinato da una valutazione generale sul soggetto su un unico criterio forte, come ad esempio il reato commesso; o il “pregiudizio di bravo o cattivo ragazzo”, che si manifesta nell’assegnare a tutti gli item un punteggio alto o basso – è importante che il valutatore assegni il punteggio ad gni item indipendentemente l’uno dall’altro47, e che egli adotti delle valutazioni critiche che giustifichino la quantificazione degli item sulla base delle specifiche caratteristiche che descrivono il soggetto ed anche sulla base del contesto in cui viene esaminato il campione. La valutazione dei 20 item che compongono la scala deve essere effettuata in accordo con il funzionamento generale e tipico del soggetto in esame. Anche in questo caso, vale il ruolo giocato dal contesto in cui viene svolta la disamina: lo stato di contenzione o di internato, infatti, potrebbe acuire alcune caratteristiche volte ad ottenere il profitto personale della dimissione, portando l’esaminatore ad attribuire al soggetto in esame un tratto psicopatico che invece normalmente non lo contraddistingue. In caso di omissione di item – che è però consentita per non più di 5 item in totale, ovvero non più di 2 item a Fattore e non più di 1 item a Componente – la PCL-R consente di adottare una particolare procedura detta prorate, basata sulla ridistribuzione/correzione del punteggio di Fattori e Componenti e del punteggio totale sulla proporzione del numero di item omessi utilizzando delle apposite Tabelle di Correzione che si trovano sul Modulo di Scoring. Dunque l’omissione di alcuni item, nella misura consentita e sopra esposta, non costituisce invalidità per il costrutto di psicopatia o per il protocollo in generale: piuttosto in questi casi il punteggio totale, e dunque il livello di gravità della psicopatia, risulterà lievemente maggiore rispetto ad una valutazione normale con 20 item. Tradotto in termini di pericolosità sociale, vi sarà una sopravvalutazione della stessa che orienterà al mantenimento dello stato di contenzione del soggetto in esame, circostanza che costituisce un “falso positivo” accettabile rispetto ad 47 È tuttavia da considerare, in visione generale, che gli item sono collegati tra loro, e che alcuni, inquadranti caratteristiche relative al piano interpersonale-emotivo, trovino delle possibili corrispondenze in manifestazioni comportamentali: qui a titolo di esempio, si cita come non sia inusuale che soggetti mancanti di senso di responsabilità, e conseguentemente di quell’elaborazione cognitiva ed emotiva sul correlato senso di colpa per eventuali azioni con risultato eterolesivo, agiscano in maniera impulsiva e dunque sempre senza la mediazione dei nessi logici di causa-effetto. 109 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 una valutazione errata che potrebbe comportare il rilascio di un soggetto pericoloso. Tuttavia, laddove il numero di omissioni fosse elevato, la guida del test suggerisce di escludere momentaneamente il soggetto dal campione di ricerca, fino a che non si possa provvedere ad una nuova intervista o alla consultazione di altre o più approfondite fonti collaterali. 110 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 7. Cronogramma del percorso La storia di M. DB 1964 30/09/1974 Nasce la sorella maggiore. Nasce M. 1978 Cade, procurandosi un trauma cranico. 1989 Consuma sporadico uso di alcol e sostanze. Si diplomato presso la Scuola Alberghiera 1992 1992 1989-2006 1998 Prende la patente B Lavora come cameriere stagionale. Muore il padre di M, per embolia polmonare. Aveva 70 anni A 29 anni circa avviene il primo contatto A 29 anni circa avviene il primo con i servizi psichiatrici territoriali, e viene contatto con i servizi psichiatrici accompagnato dalla madre per la prima territoriali, e viene accompagnato dalla volta in consulenza. M. DB dopo la morte madre per la prima volta in consulenza. del padre si sentiva apatico e non usciva M. DB dopo la morte del padre si più di casa. Dopo la prima consulenza e la 2003 sentiva apatico e non usciva più di presa in carico da parte del CSM casa. Dopo la prima consulenza e la territoriale, ci sono stati incontri ma non in presa in carico da parte del CSM maniera costante. Non ci sono mai stati né territoriale, ci sono stati incontri ma ricoveri né TSO. non in maniera costante. Non ci sono mai stati né ricoveri né TSO. 2008 2008-2009 Commette l’omicidio della nonna materna e va in OPG dove rimane fino al 2011 2008 111 A 34 anni inizia una terapia anticoagulante per embolia polmonare. Deve subire piccoli interventi angiologici agli arti inferiori. Commette l’omicidio della nonna materna e va in OPG dove rimane fino al 2011 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Entra nel reparto S.L.i.E.V Gonzaga dell’OPG, e vi rimane fino al 2013 2011 Entra nel reparto S.L.i.E.V Gonzaga dell’OPG, e vi rimane fino al 2013 M. DB inizia il suo percorso a Casa Zacchera, dove gli viene data la libertà vigilata, viene prosciolto dal reato di omicidio della nonna perché reputato non Novembre 2013 in grado di intendere e di volere Allontanamento del paziente da Casa Zacchera Ricoverato presso Centro Salute Mentale Maggio 2014 di provenienza. 112 M. DB inizia il suo percorso a Casa Zacchera, dove gli viene data la libertà vigilata, viene prosciolto dal reato di omicidio della nonna perché reputato non in grado di intendere e di volere Allontanamento di M. DB da Casa Zacchera. Ricoverato presso Centro Salute Mentale del territorio di provenienza. ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 8. Genogramma Vittima Embolia polmonare O. 113 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 9. Assessment: HCR-20 Violence Risk Assesment-Foglio di lavoro Dati Personali Nome: M. DB ID: Data di nascita: 30/09/1974 Residenza: RIMINI Data di ingresso: 08/11/13 Motivo di richiesta della valutazione: Approfondimento clinico 114 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Informazioni sui modi della Valutazione Data: 18/03/2014 Ora: 9.00 Luogo: CASA ZACCHERA Fonti di informazione X Intervista al Paziente X Cartelle cliniche X Intervista allo staff X Intervista a parenti o conoscenti Altri 115 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Informazioni sommarie della storia psico-sociale Famiglia / infanzia: Padre deceduto nel 1998 a 70 anni per K polmonare Madre: M. M età 75 professione pensionata era impiegata in una scuola Una sorella di 50 anni di primo letto della madre ha un figlio di 35 anni , lavora come Operatore Socio Sanitario in una casa di riposo Scolarità: Diploma Scuola Alberghiera. Lavoro: Ha svolto per 15 anni il cameriere stagionale presso alberghi Problemi medici: nel 2008 TVP con seguente embolia polmonare in terapia anticoagulante da allora. Recenti interventi angiologici e ortopedici in entrambi gli arti inferiori. Sofferente di ipertensione. Disturbi mentali: Schizofrenia paranoide cronica. Uso di sostanze: Sporadico uso di cannabinoidi. Problemi con la Giustizia: Prosciolto per il reato di omicidio (nonna materna) 116 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Comportamenti violenti Recenti: Descrivi il tipo di incidente Nessun incidente recente. Passati: Descrivi il tipo di incidente Presenza di comportamenti aggressivi in famiglia, in particolare nei confronti della madre; Reato di omicidio nei confronti della nonna materna. 117 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Ideazione violenta Recente: Descrivi il tipo di ideazione Presente disforia, con verbalizzazione di idee etero aggressive. Passata: Descrivi il tipo di ideazione Erano verbalizzate minacce etero aggressive nei confronti e della nonna, con successivi agiti violenti. 118 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 119 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 120 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 121 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 122 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 123 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 124 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori - SST in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014/2015 Scenari di Rischio Scenario #1 Natura: Che tipo di violenza può commettere Chi è la vittima probabile Quali sono i motivi probabili Vantaggi attesi dall’atto violento Aggressione/Omicidio Madre Intensa conflittualità e aspetti psicopatologici del paziente Intrusività , ambivalenza e svalutazione da parte della madre Unica soluzione possibile per poter continuare a vivere. Gravità: Quale tipo di offesa fisica o psichica può subire la Fisica probabile vittima Esiste il rischio di omicidio Si Imminenza: Il rischio è imminente Sono prevedibili segni di escalation Episodio unico o ripetibile Frequenza/ Probabilità: La violenza probabile è episodica o frequente Quale è il livello di probabilità No (Se il paziente è in un contesto contenitivo) Si Ripetibile. Episodica Alta è la probabilità, in caso di rapporti conflittuali in un contesto non protetto e monitorato. 125 Scenario #2 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Gestione del Caso Monitoraggio: Qual è il modo migliore per monitorare i segnali di un aumento del rischio Quali segni impongono una rivalutazione Scenario #1 Osservazione dei sintomi, in particolare dell’ideazione persecutoria, aspetti rivendicativi, sintomatologia psicotica, e osservazione dell’aumento di aspetti paranoici. Trattamento: Il trattamento farmacologico per la produttività Quale tipo di trattamento può diminuire il rischio di psicotica. violenza Permanenza in ambiente residenziale che permetta un Quale deve considerarsi prioritario monitoraggio costante; La presenza di una buona alleanza terapeutica, che permetta al paziente di affidarsi anche nei momenti più difficili, e che lo possa aiutare nella gestione spesso conflittuale con la madre. Controllo: Monitoraggio della relazione con la madre; presenza di Che tipo di controllo o di restrizioni è bene mettere in un operatore competente durante le visite con i familiari, Evitare incontri tra il paziente e il figlio senza la presenza atto per diminuire il rischio di un operatore o figura ritenuta idonea, Non autorizzare incontri in ambienti non protetti. Difesa delle vittime: Non favorire permessi con le vittime potenziali in Quale tipo di intervento per proteggere le eventuali ambienti non monitorati da figure ritenute idonee; Sostenerli nella comunicazione con l’eventuale equipe vittime che ospita il paziente. Altre indicazioni: Sostenere e aiutare sia il paziente, sia i familiari nella Qualsiasi indicazione che può diminuire il rischio di comunicazione, ed eventualmente nelle situazioni di maggior conflitto; Non autorizzare incontri in periodi in violenza cui il paziente non si trovi in buono stato di compenso 126 Scenario #2 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 psicopatologico. 127 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 128 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 10. Conclusioni Dalla disamina delle teorie e dalla descrizione del caso clinico accompagnato dalle valutazioni dei test, è risultato che il nostro paziente potrebbe essere a rischio di recidiva di reato. Si è ipotizzato la possibilità del rischio di recidiva di reato in quanto la persona in questione soffre di una Disturbo schizofrenico di tipo paranoide accompagnato da tratti di personalità di tipo paranoide, con vari aspetti di psicopatia che nell’ipotesi potrebbero complicare il quadro clinico. Dallo studio di questo caso clinico, è emerso che la terapia farmacologica costantemente monitorata e assunta, ha attenuato il quadro psicotico florido, ovvero stati deliranti, voci imperative, variazioni improvvise dell’umore, insorgenza di idee anormali e confuse; attenuando così anche i tratti di personalità caratterizzati da rigidità, scarsa coscienza di malattia, tendenza ad interpretare in modo sbagliato i discorsi delle altre persone attribuendo a questi un significato distorto, focalizzandosi così sulla sua convinzione di avere interpretato bene; ostilità, diffidenza, sfiducia nei confronti delle altre persone sminuendo talvolta lo stare psichico degli altri, vivendoli anche come un “peso” da sopportare; rivendicatività, assenza di senso di colpa, mancanza di empatia, incostanza, e megalomania. Tutto ciò rende la prognosi difficile. Dall’anamnesi emerge una conflittualità con le figure di riferimento femminili; un rapporto difficile avuto con la nonna materna evidenziabile soprattutto nella fase dello sviluppo, e con la mamma che ad oggi permane. Fin dai primi racconti del paziente a Casa Zacchera è emersa una dinamica relazionale difficile con la mamma, la quale viene descritta da lui assente fin da quando era bambino, tanto che M. DB ha vissuto in gran parte con la nonna materna. Nella descrizione da parte del paziente in riferimento alla mamma e del loro rapporto, emerge sempre il non accudimento o un accudimento incostante da parte del caregiver; il vissuto emotivo di Osvaldo è quello di non aver sempre avuto una mamma presente, e partecipe alla sua vita; bensì una mamma poco affettuosa, e che per varie ragioni lo 129 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 affidava spesso alla nonna; ma che nello stesso tempo lo ha voluto sempre “gestire” come meglio credeva. In questa descrizione il paziente prova ostilità nei confronti della mamma, soprattutto per il fatto che non è mai stato d’accordo (cosi dice lui) con il comportamento sempre adottato da lei nel gestire la sua vita, compresa quella economica. Emerge inoltre, sempre in relazione alla mamma, la difficoltà da parte del paziente di sopportare il sentimento di svalutazione continua, fin da quando era adolescente, non sentendosi mai apprezzato per ciò che era veramente, ma sempre sminuito e svalorizzato, sia per quanto attiene alle aspirazioni lavorative, sia più propriamente in ambito personale. Non sono da trascurare, gli aspetti di tipo economico, che come detto sopra sono sempre stati presenti in senso di dinamica conflittuale con la mamma, che prendono il sopravvento nei momenti di scompenso. Il paziente non ha mai accettato un controllo delle risorse economiche da parte della madre e della sorella, né prima, né attualmente dopo l’evento reato. Dall’osservazione durante la quotidianità si è notato da subito una certa collaborazione da parte di M. DB nei confronti degli operatori, è apparso disponibile anche se in modo non continuativo al dialogo. Durante la quotidianità partecipava ai momenti del pranzo e della cena, rispettava il suo turno di riordino stanza e di pulizia degli ambienti comuni, volendo dimostrare così all’equipe la sua capacità lavorativa e l’impegno da parte sua. A parte un primo momento iniziale, M non ha mai partecipato all’incontro di gruppo presente una volta alla settimana, perché ritenuto da lui un momento superfluo, inutile e faticoso in quanto a detta sua non riusciva a “sopportare” il malessere degli altri che talvolta emergeva dai racconti di ognuno; da ciò è emerso un senso di “grandiosità” e “superiorità” da parte del paziente, considerando gli altri ospiti talvolta inferiori a lui, esprimendo più volte che non riusciva a dialogare con loro, in quanto non erano in grado di ascoltarlo, non poteva esserci secondo lui uno scambio alla pari. 130 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Nell’interazione con gli operatori ha espresso più volte lamentele rivolte ad altri pazienti, svalutando così gli altri in diverse situazioni, e rimarcando così la sua fatica nel relazionarsi al gruppo. Dai colloqui clinici è emerso fin dall’inizio il desiderio e bisogno di essere ascoltato, partecipando così ai colloqui di sostegno psicologici previsti e concordati con lui. Tale partecipazione è forse dovuta alla necessità del paziente di avere uno spazio di ascolto esclusivo per lui, diversamente da ciò che è stato nell’età dello sviluppo, uno spazio dove lui poteva esprimere davvero ciò che sentiva, e ciò che viveva dal punto di vista emotivo, senza essere giudicato, ma semplicemente ascoltato. Il momento del colloquio, infatti era vissuto dal paziente come un momento molto importante, nel quale emergeva attraverso un eloquio piuttosto elegante e semplice nello stesso tempo, una parte della sua sofferenza per la sua situazione attuale, una certa preoccupazione per il suo futuro al quale voleva dare un nome, rendendosi però conto che non era possibile, un affetto sincero nei confronti della sorella, una rabbia espressa verbalmente verso la mamma, per i motivi citati sopra, con la quale a fasi non voleva avere nessun legame in quanto esprimeva di sentirla intrusiva e disturbante per la sua salute mentale, e a fasi la sentiva telefonicamente per capire meglio la sua gestione economica da parte della mamma; In quest’ultima fase, il paziente sviluppava un pensiero paranoico nei confronti della mamma, alla quale attribuiva la responsabilità del suo malessere psichico. Dai primi colloqui il paziente aveva espresso di non volere affrontare troppo il racconto dell’evento reato, in quanto già trattato nel percorso precedente, ovvero nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario; ma nonostante questa chiara esplicitazione, il paziente ha talvolta utilizzato il momento del colloquio per parlare di tale argomento. A questo proposito si è sempre evidenziata una certa freddezza emotiva, e una certa anaffettività da parte del paziente, con assenza di senso di colpa, nei confronti dell’evento reato, è sempre emersa inoltre una certa “lucidità” nei confronti delle dinamiche che lo hanno portato al compimento di tale gesto, attribuendo la responsabilità di ciò a terze figure come la mamma in quanto poco presente nella sua vita e alla nonna stessa che aveva (a detta di M. DB) le stesse modalità di svalutazione e di “rimprovero” come quelle della mamma. Il paziente attribuisce inoltre all’evento 131 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 compiuto la “responsabilità”ai Sanitari presso i quali era in cura per non averlo “ascoltato” nel malessere che lui dice di avere espresso più volte, riporta la sua convinzione del fatto che in quel periodo non aveva una terapia farmacologica “giusta” per lui e che talvolta la assumeva con discontinuità. Emerge così dal suo racconto il bisogno di responsabilizzare sempre qualcun altro di ciò che non andava in lui, concludendo l’argomento più volte trattato dicendo che il gesto fatto era ritenuto da lui l’unica “soluzione”per la sua sopravvivenza; e il malessere talmente elevato lo ha condotto al gesto criminale. Oltre che dall’osservazione durante la quotidianità del paziente, anche dai colloqui emerge fin da subito una certa scontentezza da parte di M nei confronti della Struttura di Casa Zacchera; manifestando così una certa rigidità di empatia e una rigidità di pensiero che si focalizza in modo acritico su temi riguardanti il contesto della Struttura, gli spazi all’interno di essa, ritenuti da lui troppo stretti e scomodi, criticità nei confronti dell’equipe curante verso la quale ha sempre riproposto uno schema di tipo svalutante che riproduce quanto avveniva nel rapporto con i caregiver femminili, ovvero la mamma e la nonna materna. Come si può notare si è di fronte ad una continua oscillazione da parte del paziente tra il bisogno di essere ascoltato e accudito, la necessità quindi di sentirsi finalmente “qualcuno”, e il bisogno altrettanto di svalutare le figure di riferimento, attribuendo spesso loro la responsabilità del suo malessere. Proseguendo ancora, dai test, in particolar modo dagli scenari sviluppati con l’HCR 20, si potrebbe ipotizzare un possibile rischio di recidiva di reato, riflettendo così sulla figura materna come vittima potenziale e, in seconda istanza, la sorella, qualora iniziassero a verificarsi in modo continuativo le stesse dinamiche relazionali conflittuali che sono sempre state presenti con la mamma, e con la nonna materna allora. Prima di giungere alle conclusioni, è di notevole importanza sottolineare l’evento avvenuto durante lo svolgimento di questo lavoro, ossia un allontanamento da parte del paziente dalla Struttura. Tale allontanamento come descritto nel caso clinico è avvenuto nonostante il buon compenso psicopatologico che caratterizzava in quel momento il quadro clinico. 132 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 Nell’analizzare l’evento accaduto, non sono emerse conflittualità e dinamiche diverse dall’abituale quotidianità, e non si sono osservati comportamenti diversi tali da far pensare ad un’eventuale “fuga”. Credo che tale imprevedibilità di comportamento da parte del paziente, in un quadro piuttosto stabile dal punto di vista clinico, debba essere ampiamente considerato, sia per l’ipotesi possibile di rischio di reiterazione di reato, sia per ripensare ad una eventuale prosecuzione e progettualità del suo percorso riabilitativo, e per gli aspetti prognostici di malattia. Concludendo, con l’aiuto degli strumenti utilizzati e delle teorie di riferimento approfondite, si è potuto ipotizzare, ad una possibilità di rischio di recidiva di reato da parte del paziente, con più probabilità che essa avvenga, in concomitanza ad una sospensione o incostanza nell’assunzione della terapia farmacologica, con conseguente rischio di evidente scompenso psicotico , e qualora dovesse essere in tale situazione fuori da un contesto comunitario, residenziale di cura, ritenuto assolutamente indispensabile per il proseguimento del percorso del nostro paziente, che permetta un’osservazione costante ed un eventuale intervento preventivo in situazioni di rigidità, ostilità, rivendicazione, istanze persecutorie che possono emergere nel paziente. 133 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Giorgia Rori – Scuola di Specializzazione Triennale in Scienze Criminologiche - TERZO ANNO A.A. 2014 - 2015 11. 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