Piergiorgio Pescali e-mail: [email protected] tel/fax: 035 890037 cellulare: 3394551575 Cenni di filofosia dell’Asia Orientale In Asia Orientale possiamo individuare un nucleo di pensiero avente come matrice le pianure cinesi del Fiume Giallo e la cui civiltà risale al III-II millennio avanti Cristo (Roma, secondo la leggenda, sarebbe stata fondata nel 753 a.C.). Nello sviluppo di questa cultura ha avuto un ruolo fondamentale la lingua e la scrittura. Caratteristiche della lingua cinese e sviluppo del dao La lingua cinese ha diverse caratteristiche: una struttura monosillabica viene espressa graficamente attraverso “disegni”, “simboli di idee”, “simboli di oggetti” Nella fase antica i caratteri erano essenzialmente pittografici, cioè riproducevano essenzialmente la figura degli oggetti rappresentati Questa fedeltà pittografica viene però perdendosi con l’avanzare dei secoli e molti ideogrammi scordarono la loro forma originale. Tra gli ideogrammi che più influenzano la cultura dell’Estremo Oriente, è il dao, o tao, il cui concetto risale al leggendario imperatore Hung Ti, vissuto nel 2600 a.C. Possiamo dividere il dao in due parti Una parte chiamata “radicale” che individua il concetto di via, strada, movimento Una parte, invece, che rappresenta una testa umana stilizzata, cioè il valore morale. Combinando questi due concetti, se ne ricava che la filosofia cinese sottintende un concetto dinamico. In essa nulla è fisso, statico. Il dao occupa nella filosofia cinese dell’Asia Orientale, il ruolo che nella nostra filosofia occupa Dio o il Logos con la differenza che, se nella cultura occidentale il Logos è il punto fisso da cui si diramano i concetti morali, religiosi e sociali, per gli asiatici la dinamicità del dao implica che tutte le componenti sociali, morali, economiche su cui si basa la società, sono in continuo movimento Etica, morale, politica, società, la stessa economia non hanno fulcri su cui appoggiarsi. E’ la società, e quindi l’uomo, che si deve adattare ai cambiamenti. Questo adattamento ha introdotto nelle società asiatiche una grande flessibilità, facilitando, tra l’altro, l’insorgere di rivoluzioni (Cina, Mongolia, Corea, Vietnam, Cambogia, Myanmar, Tibet) Yin e Yang Il concetto di dinamicità si presenta graficamente nel Libro delle mutazioni (Yi Ching), scritto tra il VII secolo a.C. e il I secolo a.C: o I secolo d.C. la struttura si fonda sul Pa Kua, gli otto trigrammi. Tra questi sono due i più importanti: le tre linee unite e le tre linee spezzate. I due trigrammi principali Cielo Principio attivo Maschio Yang Terra Principio Passivo Femmina Yin La combinazione divinatoria di questi trigrammi (ne esistono 64 che mescolati tra loro danno infinite soluzioni possibili) NON identificano un momento fisso e reale, bensì una tendenza che conferma la mobilità della civiltà cinese. Questa tendenza non deve esprimere la prevalenza di una specifica forza, piuttosto deve sempre tendere all’equilibrio tra natura e etica umana, universo e società. Mancando questo equilibrio, la società umana rompe l’unità con gli elementi naturali e questi, per ripristinare la stabilità, agiscono in senso contrario. Ad ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e opposta, una teoria che riprende una anche una legge fisica (III Principio della dinamica di Newton: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria) che in parte giustifica il vocabolo con cui il termine occidentale filosofia viene comunemente tradotto in Oriente: tetsugaku, cioè “scienza della saggezza”. Accanto alla simbologia dei pa kua, e la contrapposizione tra il principio attivo e principio passivo, venne a formarsi il concetto di yin e yang, che in Occidente ha avuto fortuna nella forma simbolica del taijitu YIN YANG YIN Femmina Terra Inverno Notte Scuro Luna Passività Passività YANG Maschio Cielo Estate Giorno Chiaro Sole Attività Attività I termini yin e yang appartengono alla tradizione più remota della cultura cinese. Probabilmente la loro nascita si deve all’osservazione dell’alternanza dei fenomeni naturali (giorno/notte, caldo/freddo etc…); l’azione congiunta di questi due elementi, che da sempre si attraggono e si oppongono, genera il fluire dell’universo. Ma nulla è assoluto: ciascuna parte è penetrata dall’altra e questa penetrazione permette il perfetto fluire del cosmo, della vita. E’ sulla base di questi concetti di divenire equilibrio che si sviluppa una caratteristica fondamentale del pensiero politico cinese: il concetto di T’ien, Cielo. Il concetto di T’ien e il ruolo dell’Imperatore Durante la dinastia Chou (1050-221 a.C.), si sviluppa il concetto di Cielo (T’ien), secondo cui il potere detenuto dall’imperatore derivava direttamente dal T’ien mediante il T’ien Ming, il Decreto del Cielo. L’imperatore era anche chiamato Figlio del Cielo (t’ian zi) Compito dell’Imperatore non è tanto quello di regnare, quanto quello di mediare il volere del Cielo sulla Terra. Allorché il monarca si allontana dalla via del Cielo, questi lo punisce infliggendo al suo popolo catastrofi naturali, guerre, pestilenze. Al fine di riconquistare la protezione del Cielo, occorre quindi ripristinare lo status quo con un cambio di dinastia o di imperatore anche in modo violento: lo stesso popolo è autorizzato a esautorare chi lo governa per riguadagnare la fiducia del Cielo. Il confucianesimo Il concetto di T’ien è alla base di una delle correnti di pensiero che più hanno influenzato la storia dell’Asia Estremo Orientale: il confucianesimo. Confucio nasce nel VI sec. a.C. nel piccolo stato di Lu, situato alla foce del Fiume Giallo. Al termine della sua vita fonda una scuola privata per mandarini, gli amministratori dell’Impero. che segnerà una delle svolte del sistema amministrativo cinese per i seguenti 1500 anni: l’uomo può divenire nobile perfezionando le sue qualità morali e intellettuali. Nobile per merito, quindi, non per diritto, visto che solo con lo studio e il completamento di un lungo e impegnativo percorso di miglioramento morale e virtuoso l’uomo diviene nobile. Ma la novità più interessante per noi introdotta da Confucio, rimanda di nuovo agli ideogrammi o ciò che lui ha chiamato Rettificazione dei nomi Secondo Confucio la forma pittografica del nome riproduceva l’essenza stessa della cosa rappresentata. Modificare questa forma pittografica significava perdere il significato originale dei nomi. E dato che ogni cosa, ogni situazione contiene in sé l’essenza datale dal Cielo, rettificare i nomi e riprendere il significato originale, significa “riempirli” della loro essenza originale e riportare la società, lo stato e l’uomo sulla retta via adeguandosi al volere del Cielo. Con la Rettificazione di nomi, in realtà Confucio intendeva più propriamente una rettificazione delle cose e delle funzioni. La Rettificazione dei nomi altro non è che il modo per riportare lo stato alla purezza originale data dal Cielo. L’aderenza del significato ai nomi significava, infatti, responsabilizzare l’uomo ai propri doveri perché riscoprendo l’accezione originale significava codificare definitivamente i doveri che ognuno doveva coprine in una società conforme ai voleri del cielo. Il suddito ha il dovere di essere suddito, il sovrano di essere sovrano. Confucio individua 5 rapporti diritti-doveri fondamentali: Sovrano-suddito Padre-figlio Fratello maggiore-fratello minore Moglie-marito Maestro-allievo Da notare che se in Cina il rapporto padre-figlio precede quello di sovranosuddito (la famiglia è più importante dello stato), in Giappone è il rapporto sovrano-suddito a prevalere. Il taoismo Contemporaneamente sviluppando un’altra all’affermazione corrente di della scuola pensiero che confuciana, si andava influenzerà altrettanto pesantemente la società asiatica: il taoismo, il cui fondatore si dice sia Lao Tzu, o Lao Tze. Sebbene Lao Tzu nasca a Loyang, sulle rive del Fiume Giallo, la scuola taoista si sviluppa più a sud, lungo le lussureggianti valli dello Chang Jiang, o Yangtze Kiang La connotazione geografica è fondamentale: le scuole di pensiero sino ad ora avevano avuto origine lungo le valli del Fiume Giallo, a ridosso dei centri del potere politico; il taoismo, invece, nasce in una regione socialmente isolata ed arretrata, inserita in un contesto naturale lussureggiante, dove la meditazione, l’animismo, il culto per la natura, era molto più accentuato. E’ molto probabile che il taoismo, come molte altre religioni, si sia inserito in uno strato culturale di eremitaggio già consolidato e che si contrapponeva, denigrandola, alla società ricca, opulenta, intellettuale del Nord. La natura taoista Regina assoluta del pensiero taoista è la Natura, la cui azione è espressa nel Tao Te Ching. La Natura taoista è però completamente indifferente alla sorte umana, ben lontana dalle accezioni assolutistiche e positive che le scuole New Age importate in Occidente le conferiscono. Il carattere centrale del taoismo è la qualità non antropocentrica e indifferente del Tao. La distanza tra Natura e Uomo, è, per i taoisti, l’elemento più deprecabile della dottrina confuciana. Secondo il taoismo l’unica conoscenza possibile è quella intuitiva, non acquisibile con alcun tipo di studio. Inoltre la società ideale proposta da Confucio, strettamente codificata in rapporti verticali, impedirebbe il divenire della Natura e la percezione da parte dell’uomo dei suoi infiniti fenomeni. Da qui la verità taoista del wu wei, grossolanamente tradotto come “non agire”, ma che nel suo significato più intrinseco significa “non agire contro natura e contro il fluire del Tao”. Applicare il wu wei alla società significa limitare al minimo le leggi e non imporre al popolo volontà imposte dall’alto. Questo “estremismo” naturale apre le porte ad una nuova corrente di pensiero: il buddhismo. Il buddhismo Il buddhismo nasce nell’India del Nord nel VI secolo a.C., a quel tempo divisa in numerosi regni dediti all’agricoltura. Buddha nasce col nome di Siddhartha, della famiglia Gautama, del clan dei Sakya: da qui il nome con cui è noto secolarmente Siddharta Gautama Sakyamuni. Il padre, Suddodhana era il re del regno Sakya. Secondo la leggenda alla nascita, Siddhartha compie sette passi e ad ogni passo sboccia in fiore di loto annunciando al mondo la sua venuta e la missione. Un asceta aveva profetizzato per Siddhartha una vita monacale e Suddodhana, per evitare che il suo primogenito rifiutasse l’eredità del trono, impone alla corte di circondare il figlio di ogni tipo di attenzioni. A 16 anni sposa la cugina Yasodhara che gli darà un figlio, Rahula. La vita di corte, però non soddisfa Siddhartha e, a 29 anni, durante un’uscita da palazzo, incontra quattro situazioni che imporranno il cambiamento di vita: un vecchio, un malato, un morto gli svelano la caducità e la sofferenza della vita. La serenità di un asceta, però, gli fa scoprire che c’è la possibilità di cercare e trovare la serenità. Decide di dedicarsi alla ricerca della pace e abbandona la famiglia. Segue diverse scuole filosofiche mortificando il suo corpo, sino a quando decise che dedicare la vita ai piaceri mondani o ad una mortificazione corporale non erano le vie consone per raggiungere la pace interiore. Intraprende quindi la via di mezzo che lo porterà a sperimentare la perfetta purezza sotto un fico indiano a Bodh Gaya enunciando le 4 Nobili Verità Tutto è dolore Il termine esatto sarebbe dukkha che implica una sofferenza non solo fisica o morale, ma ingloba un concetto più ampio: anche ciò che apparentemente rende felici è, in realtà, dukkha perché impermanente, transitorio. Tutto è privo di sé, di consistenza perché destinato a finire. La causa del dukkha è il desiderio Causa della sofferenza non è né il mondo, né il fato né le divinità. La causa della sofferenza è nel presente e nell’io stesso e nella mia ignoranza. Ignoranza nel senso di desiderare qualcosa che in realtà non esiste. L’ignoranza causa desiderio, il desiderio genera l’attaccamento e questo determina la sofferenza. E’ possibile liberarsi dalla sofferenza E se sono io la causa della mia sofferenza, significa che io sono padrone di eliminarla. Sakyamuni, diventando Buddha, ci ha indicato la via per raggiungere il Nirvana. La via per estinguere la sofferenza è l’Ottuplice Sentiero Per estinguere la sofferenza e raggiungere il Nirvana occorre seguire la via di mezzo indicata dall’Ottuplice Sentiero. L’Ottuplice sentiero si può dividere in tre parti: fattori che sviluppano l’intuizione (Giusta visione e Giusto pensiero) fattori che indicano la condotta etica da perseguire (Giusta parola, Giusta azione, Giusto modo di sostentamento) fattori che favoriscono la concentrazione mentale (Giusto sforzo, Giusta consapevolezza, Giusta concentrazione) Il buddhismo ha fortuna fuori dalla sua terra natale, l’India e, sincretizzandosi con culture e religioni preesistenti, assume diverse forme che si possono ricondurre a due grandi scuole: la Theravada (o Hinayana, o ancora Piccolo Veicolo) e la Mahayana (o Grande Veicolo). La prima si afferma in Sud Est Asiatico e in Sri Lanka, mentre la seconda varca i contrafforti himalayani e, nel primo secolo d.C. raggiunge la Cina durante la dinastia Han con uno sviluppo meno sistematico che altrove. I testi vi giungono in forma sparsa portati da filosofi, ma anche da mercanti, soldati, ambascerie. Le dottrine vengono quindi introdotti senza un metodo coerente e le diverse scuole ne assumono alcune, rifiutandone altre. Il buddhismo cinese si fraziona immediatamente in migliaia di sette. Lo stesso Nirvana può essere raggiunto in diversi modi: con la meditazione, con la fede, la magia, la ricerca filosofica. Una delle prime problematiche che i pensatori buddisti si trovano a dover risolvere, è quello di tradurre i nuovi concetti filosofici sanscriti in lingua cinese. Il problema viene risolto scegliendo termini già in uso nelle tradizioni locali adeguandole ai nuovi concetti religiosi. Questo sincretismo influenza in senso taoista tutto lo sviluppo buddhista in Cina. Dal VII secolo l’assoluta superiorità cinese nella civiltà mondiale, permette anche agli stati limitrofi di sviluppare il concetto di communitas Buddhica, entrando così a far parte di un unico universo culturale. E’ da questo momento, dalla creazione della communitas Buddhica, che la Cina ingrandisce il proprio territorio, ma, soprattutto durante la dinastia Sui, nel VI secolo d.C., allarga la propria influenza sugli stati confinanti: Corea, Giappone, Vietnam, Laos, Cambogia divengono stati tributari della Cina La diatriba tra buddhismo e potere, ha una risoluzione durante la Dinastia Sui, nel VI secolo d.C. Durante questa dinastia imperatore e monaci gestiscono un compromesso importantissimo per il futuro della storia cinese (e degli stati limitrofi, come il Tibet): il buddhismo assicura il proprio appoggio al sovrano, mentre il sovrano, da parte sua, assicura la protezione religiosa da parte del potere temporale. Il cristianesimo in Asia e la crisi dei valori Nel XVI secolo fa la sua comparsa in Asia Orientale, l’Occidente, in particolare con i missionari cattolici. Principale artefice di questo incontro è il gesuita Matteo Ricci che comprese la necessità di ridurre al minimo (soprattutto sul piano esteriore) gli aspetti di novità rappresentati dalla religione cristiana. E’ l’inculturazione, osteggiata dai Francescani. Ricci visse in Cina tra i cinesi, vestendo e parlando come un cinese. Un atteggiamento, questo, che esprime una volontà di comprensione del mondo cinese e asiatico così ampia, che ancora oggi ben pochi dei nostri politici o dei nostri imprenditori possono vantare. I caratteri principali della presenza in Cina dei Gesuiti si esplicano in una simpatia verso il Confucianesimo (a cui Ricci attribuiva valori morali molto simili al cristianesimo) alternati ad una ostilità nei confronti del buddhismo. Inoltre il cristianesimo deve affrontare i medesimi problemi di traduzione dei termini dogmatici che dovette affrontare il buddhismo all’atto della sua entrata in Cina, risolvendoli allo stesso modo La presenza cristiana in Asia viene praticamente arrestata nel 1742, quando papa Benedetto XIV emana la Ex quo singulari, proibendo ogni culto esterno alla dottrina cristiana (culto degli antenati, omaggio referenziale all’imperatore). Ma la presenza del cristianesimo ha ormai aperto la via al colonialismo e al pensiero occidentale iniettando i germi di una crisi politica e sociale nei Paesi asiatici ponendo l’intera Asia Orientale di fronte ad un dilemma aperto ancora oggi: Come potevano minuscoli Paesi, con popoli di fedi, governi, strutture sociali così diverse, provenienti da terre lontanissime imporre la loro legge a intere nazioni la cui civiltà affondava le radici in millenni di storia? La domanda è basilare per capire la storia del XX secolo in Asia. Le rivoluzioni marxiste e la società del riso Nascono due correnti di pensiero: c’è chi auspica un ritorno al passato, ai valori tradizionali esprimendo tutto il suo astio nei confronti della cultura occidentale c’è, invece, chi considera sorpassata e anacronistica la cultura autoctona, invitando ad abbracciare i nuovi valori portati dai colonizzatori. E’ il pensiero intermedio che prevale in Asia Orientale: i movimenti rivoluzionari, se da una parte respingono decisamente la politica colonialista europea, dall’altra ne assorbono, a volte entusiasticamente, gli apporti scientifici e filosofici. E se le moderne ideologie repubblicane e rivoluzionarie non vedono di buon occhio i vecchi valori confuciani e buddisti, sono però consapevoli che non è possibile estirpare il pathos nazionale solo con slogan e coercizione. Il marxismo assume un’importanza significativa dopo la Seconda Guerra Mondiale. Mao ha il merito di aver assorbito una filosofia politica extra continentale per poi adattarla alla situazione contingente. Le masse rivoluzionarie non sono i proletari sfruttati che vivono negli slums delle periferie urbane, ma i contadini. Buon conoscitore della storia asiatica e dei suoi valori, Mao, così come, seppur in misura minore, Ho Chi Minh, capisce che nei millenni di storia cinese, ogni sommovimento dinastico ha fatto leva su una sommossa contadina. In pochi anni alcuni dei principali stati asiatici si rivolgono al socialismo come nuova speranza di sviluppo e di grandezza mondiale: Cina, Vietnam, Corea del Nord, Cambogia. La cultura risicola è un terreno fertile su cui impiantare i semi del collettivismo. Affinché la produzione del riso possa essere abbondante, occorre un controllo sociale organizzatissimo. Tutta la comunità deve muoversi all’unisono e non sono ammesse decisioni individualiste. La preparazione del terreno Il dissodamento Il trapianto L’irrigazione Il raccolto La brillatura La distribuzione Sono tutte fasi che devono avvenire collettivamente. Non c’è spazio per il singolo. Nelle società asiatiche l’individuo è subordinato alla comunità, esattamente il contrario da ciò che avviene nelle società occidentali. Le polemiche della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo E’ questa differenza che ha indotto molti governi asiatici a chiedere la revisione della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo, redatta nel 1948 dalle Nazioni Unite e stipulata sulla base delle culture prevalenti nel panorama politico internazionale. Dei 48 Paesi che nel 1948 hanno firmato la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, solo tre appartenevano all’area dell’Asia Orientale, mentre ne erano esclusi quasi tutti i Paesi africani E’ sulla base di questo nuovo ordine mondiale che molti Paesi che non si sentono rappresentati dalla cultura imperante nell’immediato dopoguerra, chiedono una revisione di questa carta tenendo conto di valori differenti. Bibliografia Buddhismo E. Conze, Breve storia del Buddhismo, Rizzoli M. Zago, La spiritualità buddhista, Studium M. Zago, Il Buddhismo, Rizzoli M. Zago, Buddhismo e Cristianesimo in dialogo, Città Nuova Filippani Ronconi, Il buddhismo, Newton Compton, Roma H.-C. Puech, Storia del buddhismo, Mondadori (Oscar), Milano Hermann Hesse, Siddharta Erik Zurcher. Il Buddhismo in Cina in Giovanni Filoramo (a cura di), Buddhismo. Bari, Laterza, Paul Demieville. Il Buddhismo cinese, in Henri-Charles Puech Storia del Buddhismo. Filosofia cinese Fun Yu-lan, Storia della filosofia cinese Granet M, Il pensiero cinese Santangelo P, Storia del pensiero cinese Confucianesimo e taoismo Federico Avanzini. Confucianesimo e Taoismo. Queriniana Jennifer Oldstone-Moore. Capire il Confucianesimo. Milano, Feltrinelli Tao Te Ching, Adelphi Yi Ching, il Libro dei Mutamenti