psicologia individuale comparata: i temi chiave

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PSICOLOGIA INDIVIDUALE COMPARATA: I TEMI CHIAVE
di Luisa Ghianda
I sogni sono illustrazioni dal libro che la tua anima sta scrivendo su di te.
Alan Drew, Nei giardini d’acqua
Alfred Adler
La Menschenkenntnis (conoscenza "pratica" dell'uomo) adleriana propone una
griglia interpretativa1, a partire dal presupposto che l’essere umano è un tutto unico e
1
H.F. Ellenberger, La scoperta dell'inconscio, Torino, Boringhieri, vol. II, 1976.
irripetibile, sia per quanto riguarda il rapporto psiche-corpo, sia per quanto riguarda le varie
attività mentali. La mente è in continua trasformazione e può essere analizzata solo come
un organo parte del corpo, poiché tutti gli elementi della psiche si organizzano
coerentemente con lo scopo cui sono preposti, avendo un senso solo se interpretati come
elementi di un insieme.
Adler definisce la psiche organo psichico, non con l’intento di attribuirle una consistenza
organica (in alcune occasioni chiama la psiche “anima”, senza alcun connotato religioso),
ma pensandola come una “entità funzionale”, una matrice di processi psicodinamici,
sicuramente altro dall’apparato psichico freudiano di spostamenti di energia 2. La funzione
dell’organo psichico è quella di produrre azioni inserite nel contesto relazionale, in
particolare svolgere compiti di attacco e difesa, al fine di garantire all’uomo la sopravvivenza,
ma anche l’affermazione sul piano personale e l’integrazione sociale.
I tre compiti vitali3 di cui si occupa l’organo psichico sono l’amore (affettività e sessualità), il
lavoro (esercizio pieno dell’intelligenza secondo le proprie attitudini) e l’amicizia (vita sociale,
compartecipazione emotiva con figure significative). Il suo raggio d’azione è, dunque,
decisamente più ampio rispetto al settore d’intervento dell’apparato psichico freudiano,
ovvero la sessualità.
Secondo Adler, è possibile formulare un giudizio esatto su una persona solo quando
se ne conosce la modalità di gestione dei tre compiti vitali, indagando se e come li affronta,
se crea pretesti per aggirarli, se li risolve solo in parte. Il modo con cui l’individuo gestisce
questi tre problemi esistenziali riflette il suo stile di vita. Essi sono legati alla natura
dell’essere umano, che lo vuole inscindibilmente legato alla necessità di socializzare. Ne
consegue che per essere risolti in modo corretto, è necessaria una congrua misura di
sentimento sociale o senso di comunità (Gemeinschaftsgefühl), che rimanda al bisogno di
2
3
F. Parenti, Alfred Adler, Roma-Bari, Universale Laterza, 1987.
A. Adler, Il senso della vita, Roma, Newton Compton, 2012, p. 34.
compartecipazione emotiva, quel bisogno innato, o precocemente appreso, di condividere
le emozioni.
La tendenza verso il sociale è innata, l’uomo è un essere sociale, tanto che non è possibile
comprenderne a fondo i meccanismi interiori se non studiandolo all’interno del contesto
sociale di appartenenza4, concetto ben espresso nella denominazione "Società di
Psicologia Individuale Comparata", dove l’aggettivo finale rimanda all’idea di interazione
sociale. L’abbinamento dei due termini esprime la concezione di una psiche individuale
unica e irrepetibile e assieme portatrice dell’esigenza di integrarsi con altre unità psichiche.
Adler dimostra, così, di essere il precursore del filone della psicologia dinamica a
impronta socio-culturale. Il bambino cresce con l’obbligo di adattarsi alle costrizioni della
cultura di riferimento, comprendendo di doversi accomodare alle regole della collettività,
pena la sensazione di commettere una colpa sociale. Al tempo stesso, l’adattamento gli
consente di appagare il bisogno di sicurezza, di appartenenza. L’individuo riesce a
soddisfare le proprie esigenze personali solo quando si sente riconosciuto come parte
integrante della collettività, quando è messo nella condizione di esprimere le proprie
attitudini all’interno di una fine divisione del lavoro, cogliendo un certo apprezzamento per il
suo contributo.
L’esistenza di un buon rapporto con gli altri è alla base di un sano equilibrio psichico:
la relazionalità è una qualità primaria della psiche, sebbene sia importante mantenere, al
tempo stesso, un’inalterata individualità. Gli uomini si organizzano in modo funzionale al
“sistema” sociale di cui fanno parte, costituendosi come individualità psichiche uniche ed
irripetibili, parte di una struttura comunitaria formata da altre unità psichiche, uniche e
irripetibili, e tra loro interagenti. Una vita con buone relazioni sociali ed affettive è segno di
sviluppo armonico della personalità; al contrario, l'isolamento, gli atteggiamenti poco
4
P.L. Pagani, Adler e lo studio della personalità, in L.M. Lorenzetti, Psicologia e Personalità, Milano, Franco Angeli,
1995, p.161.
indulgenti, oppositivi o critici, denunciano un disturbo nella relazione con il mondo e la realtà.
Il sentimento sociale diviene, dunque, un criterio per misurare la salute psichica: solo chi sa
collaborare dimostra di essere sano, poiché è integrato. Avrà, infatti, un buon giudizio di sé,
del mondo e della realtà e saprà dedicarsi a ciò che è socialmente utile, eludendo modalità
che porterebbero vantaggio solo al singolo.
E’ la famiglia l’entità preposta a preparare il bambino alla vita sociale ed a svilupparne
una sana socialità. Il nucleo familiare è, infatti, il primo cardine relazionale in cui l’individuo
si confronta con altri soggetti diversi da sé. Se al padre spetta il compito di trasmettere al
figlio l’amore per il lavoro e per gli altri componenti familiari, la madre ha il dovere di educare
alla cooperazione. In qualità di “prima rappresentante del prossimo”, la madre invia al
neonato un primo impulso affinché questi possa orientarsi nella vita a livello sociale. Madri
distanti o iperprotettive falliscono profondamente il loro compito educativo: le prime non
consentono di esperire una adeguata appartenenza al contesto di riferimento, né di
implementare una solida autostima; le seconde, proponendo un mondo dove tutto è dovuto
senza impegno alcuno, crescono il bambino viziato, impedendogli di esplorare il sentimento
sociale. All'interno della famiglia si acquisiscono regole e principi che, integrati poi dalle
future esperienze, rappresentano il sistema di valori di ciascun individuo. La capacità di
collaborare, assimilata in seno alla famiglia di origine, si esplicherà anche nella relazione
con l'eventuale nucleo familiare acquisito con il matrimonio e con la collettività, in generale.
Adler pone l'accento sulla correlazione tra l'insorgenza di disturbi nevrotici nell'età
adulta e la condizione di bambino trascurato o viziato, i due opposti, ugualmente distorti, di
una educazione fallimentare. L’incanalamento in valide attività lavorative sembra essere
prerogativa di individui che, già durante l'infanzia, hanno strutturato mete di inserimento
sociale attivo, prefigurandosi un compito capace di farli apprezzare dal contesto sociale. Per
contro i bambini che sono stati viziati tendono, da adulti, ad abbracciare una posizione
astensionistica o sterilmente polemica; gli iper-competitivi si lanciano in una conquista del
potere prevaricante; gli insicuri riversano la loro frustrazione in una ricerca continua di
protezione, a sua volta generatrice d'angoscia.
E’ chiara l’attenzione della ricerca adleriana per gli stimoli offerti all’infante da tutta
la costellazione familiare, con particolare riguardo anche alle figure dei fratelli e delle sorelle,
poco considerate dalle altre correnti della psicologia del profondo. La posizione di nascita
all’interno della famiglia genera un determinato vissuto: il bambino sperimenta il rispetto per
i fratelli maggiori, la competizione con gli altri figli, l’ansia da secondogenito, la cura verso i
più piccoli, la tolleranza verso chi presenta tratti diversi da sé. Nell’interazione con i fratelli,
i genitori, i coetanei, il bambino apprende le regole sociali, le forme collaborative, ma
potrebbe anche trovarsi a vivere storture relazionali difficili da sopportare, come l’alternanza
tra momenti di dominio e di sottomissione, la preferenza per un altro figlio da parte dei
genitori, eccessi di protezione, severità o di indifferenza, come prima menzionato. Il primo
periodo della vita del bambino è, quindi, caratterizzato da stimoli rassicuranti, come pure da
richieste restrittive e costrittive, conformi alle regole sociali, nonché da una marcata
condizione di insufficienza e di insicurezza, da una fisiologica sensazione di dipendenza
dagli adulti, che gli appaiono più grandi, più forti e più esperti di lui, da cui deriva un
sentimento di inferiorità. L’inferiorità infantile è abitualmente ben superata, se l’ambiente
offre al piccolo atteggiamenti equilibrati, protettivi e incoraggianti. Se ciò non avviene, se il
bimbo soffre di un handicap fisico reso oggetto di compassione o umiliazione, o se
l’esistenza prosegue intessuta di circostanze negative, mortificazioni, lotte, reali o presunte,
si può ulteriormente radicare nell’essere umano quel sentimento di insicurezza, di rivalsa
aggressiva, che acuiscono il sentimento di inferiorità, trasformandolo in un complesso di
inferiorità.
La prima forma di ambiente extra-familiare è costituito dalla scuola, che funge da
palestra sperimentante e competitiva, proponendo modelli, formulando giudizi, creando un
campo di confronto con i coetanei. Nervosismo, forme di rifiuto, eccessiva eccitazione,
isolamento, mancanza di interesse o concentrazione, assenteismo, ritardi, sono
comportamenti che rivelano l’incapacità del bambino, giunto all’esperienza scolastica, di
cooperare, a seguito di un marcato sentimento di superiorità o complesso di inferiorità.
Il tema scolastico offre ad Adler l'opportunità di esporre la sua dottrina pedagogica, ancora
attuale. Lo schema auspicato è quello di una "scuola sociale" capace di formare individui
adulti disposti ad operare per la collettività, più che a competere fra loro, svolgendo un
compito congeniale alle loro attitudini, assieme etico e gratificante. Dovere della scuola
sarebbe riconoscere le attitudini di ciascun allievo, incoraggiandone la realizzazione,
affinché da adulti queste competenze possano esprimersi nella professione. Un insegnante
può aiutare il giovane a sviluppare il sentimento sociale, facendogli percepire l’importanza
della cooperazione e della necessità di un futuro impegno nel lavoro, quale indice di un buon
sviluppo psichico.
L’infanzia può lasciare un complesso di inferiorità, ma come scrive Adler, “essere
uomini significa avvertire un sentimento di inferiorità che esige di essere superato.” 5 Le vie
per farlo sono diverse, perché diverse sono le mete di perfezione che l’uomo si prefigge.
Certamente, maggiore è il senso d’inferiorità, maggiore è la spinta verso il superamento, ma
l’equilibrio psichico è decisamente più in pericolo, causando una serie di modificazioni a
livello neurovegetativo, che possono perfino essere la causa di nevrosi funzionali con
somatizzazioni. Grazie al proprio potere creativo, il bambino può superare, con maggior o
minor successo, la propria condizione interiore di inferiorità, principalmente sviluppando un
nuovo senso della collettività, che lo porterà, da adulto, a confrontarsi in modo adeguato
con i tre compiti vitali.
All’interno di questo processo di maturazione, farà il suo corso anche la volontà di potenza
(der Wille zur Macht), istanza innata preposta ad approntare un meccanismo di difesa,
5
A. Adler, Il senso della vita, cit., p.51.
concretizzato in reazioni positive o morbose, attive o passive. La propensione alla
superiorità è una “tendenza aggressiva ed autoprotettiva, che mira ad affermare in ogni
modo la personalità dell’individuo o, se ciò non è possibile, ad evitarle traumi ed
offese…Non è altro che la forza direttrice cui si devono le conquiste e la sopravvivenza
attiva della specie umana.”6 Ogni attività messa in atto dall’essere umano è diretta, infatti, a
prendere le distanze da una situazione di minus per orientarsi a una situazione di plus,
espressione della volontà di potenza. La tendenza a prevalere diviene segno di patologia,
portando alla nevrosi, solo quando si manifesta in modo esasperato. Se è in equilibrio con
il sentimento sociale è una istanza che garantisce la salute mentale. L’evoluzione
dell’umanità sta proprio in un movimento che muove da un senso di inferiorità, da un
incessante aspirazione al perfezionamento, verso un senso di maggior sicurezza, attraverso
vari tentativi personali. Gli organi e la mente lavorano assiduamente per garantire all’uomo
una condizione migliore, facendogli superare gli ostacoli che minano il suo senso di
sicurezza. L’aspirazione ad emergere è, quindi, la forza che porta al superamento del
complesso di inferiorità.
Il dinamismo costante da una condizione di inferiorità ad una di maggiore sicurezza
e stabilità è guidato da una tensione persistente verso una meta ideale, che rimane
prevalentemente inconscia. La reazione ad emozioni di insicurezza e umiliazione è la
nascita delle compensazioni, ovvero artifici diretti ad aggirare un handicap psicologico. Ciò
significa che molti disturbi nevrotici dell’infanzia e dell’adolescenza potrebbero essere la
compensazione innaturale di un sentimento di inferiorità che si sviluppa nella dinamica della
vita familiare e collettiva, oppure nascere anche da una imperfezione fisica o da una malattia
organica, da cui il concetto di inferiorità d’organo. Il giovane, teso a evitare l’umiliazione ed
il confronto negativo con l’ambiente, dà vita a “reazioni nevrotiche compensatorie spesso
6
F. Parenti, saggio introduttivo, in A. Adler, La psicologia individuale, Roma, Newton Compton, 1995, p. 12.
inconsce, impostate sulla difesa o sull’offesa e concretabili rispettivamente nella fuga, nella
timidezza o nelle opposte manifestazioni di un comportamento violento, superbo ed
antisociale.”7
Le compensazioni non devono, però, essere viste solo come artifici nevrotici, ma anche
come elementi positivi di superamento dell'inferiorità, ovvero compensazioni positive capaci
di trasformare un complesso di inferiorità in uno stimolo di crescita e valorizzazione di sé.
Per essere tali non devono intaccare l’armonia dei rapporti interpersonali. Compensazioni
dal significato positivo sono le scelte, le decisioni, le azioni che portano al successo o al
superamento di una avversità; compensazioni dal significato negativo sono le
compensazioni decisamente morbose (nevrosi, ansia, depressione, fobie, disturbi
psicosomatici, deviazioni del comportamento sessuale). Altre compensazioni negative ma
non francamente patologiche sono le scelte ipertrofiche (vanità, avarizia, dongiovannismo),
oppure, per contro, la timidezza, la pigrizia, l’incertezza decisionale, l’astensionismo
autoprotettivo. Alcuni artifici a compensazione di un sentimento di inferiorità sono soltanto
embrionalmente nevrotici e fanno parte del bagaglio difensivo comune, ad esempio un modo
di abbigliarsi particolarmente vistoso o per contro dimesso, la scelta di una professione
subordinata o socialmente in vista, un atteggiamento schivo o troppo espansivo, tutte forme
compensatorie che mirano ad ottenere una rivincita sociale, indirizzate lungo la via
dell’affermazione aggressiva o del ripiegamento passivo.
Se
la
volontà
di
potenza
ha,
invece,
il
sopravvento
si
creano
delle
supercompensazioni, da cui nasce un complesso di superiorità, che porta con sé rancore
verso il prossimo. Un complesso di inferiorità mai superato può, quindi, sfociare in un
complesso di superiorità. Ne sono un esempio atteggiamenti quali: avere la puzza sotto il
naso, dimostrarsi molto vanitosi, vestirsi in modo eccessivamente eccentrico o volutamente
7
F. Parenti, saggio introduttivo, in A. Adler, La psicologia individuale, Ivi, p. 13.
trascurato, sfoggiare un aspetto troppo mascolino se donna e troppo femminile se uomo,
adottare modalità arroganti e tiranniche, esternare eccessiva espansività, snobismo,
vanagloria, critica malevola verso chiunque, provare devozione per gli eroi, avere il culto
delle relazioni altolocate, agire modalità strumentalizzanti verso i deboli, serbare sete di
vendetta, manifestare cali di umore, picchi di irascibilità, entusiasmi repentini, fino a credere
nei propri poteri soprannaturali.
La persistenza del complesso di inferiorità nella vita di un essere umano si spiega
con una forte carenza di sentimento sociale. Il servilismo, la dipendenza, la negligenza, il
masochismo sono, ad esempio, indizi di un sentimento di inferiorità. Chi manca di
sentimento sociale, utilizza questi atteggiamenti come forma di protesta per non affrontare
i problemi esistenziali ed evitarsi una rischiosa sconfitta. Questi individui sono convinti che
siano gli altri a doversi occupare di loro e con le loro malattie li obbligano a farlo. Questi
malati pagano il prezzo della loro posizione “privilegiata”, ad esempio soffrendo,
lamentandosi, provando sensi di colpa, senza mai retrocedere. Il nevrotico non ha un
conflitto tra conscio ed inconscio, ma è affetto da una totale mancanza di coraggio
nell’affrontare i compiti della vita, mancanza che risale all’infanzia. Ha subito uno shock che
perdura nel tempo, continuando a condizionarlo in direzione di una ritirata: “Il nevrotico
arretrando si mette “al sicuro” e assicura il proprio ripiegamento, accentuando i fenomeni
fisici e psichici prodotti dal trauma dell’impatto con il problema che non sa risolvere.
Preferisce la sofferenza prodotta dalla sua malattia a quella che gli provocherebbe un’offesa
arrecata alla sua personale ambizione…Solo la resa lo preserva dalla paura di dover
mostrare pubblicamente la sua assenza di valore…Il nevrotico soffre, però preferisce la sua
sofferenza a una sofferenza ancora maggiore, quella che gli procurerebbe la presa d’atto
della sua incapacità di affrontare la vita.”8
8
A. Adler, Il senso della vita, cit., p.101.
Tutto quanto esposto evidenzia che il senso della vita è un processo volto al
superamento di una condizione di limitazione, fragilità, insicurezza, inferiorità, di fronte
all’incapacità di superare gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento dei propri
obiettivi. L’uomo sente fortemente il bisogno di progettare il suo domani. “Adler rileva che la
continua fatica progettuale dell’individuo, spinta dal bisogno di emergere e contemporanee
preoccupazioni difensive, tende a privilegiare, con possibili variazione nell’arco del tempo,
una particolare finalità, che finisce per improntare di sé i successivi periodi della vita,
rinnovandosi o invece perdurando con modifiche marginali.”9 Tale finalità è chiamata fine
ultimo, meta composta da una parte consapevole e da una parte di cui l'individuo non è
consapevole. Dato comune a tutte le mete è la necessità di ottenere quel senso di sicurezza,
così indispensabile all’equilibrio dell’essere umano.
Le linee direttrici sono le tattiche disposte per raggiungere il fine ultimo. Il piano di vita è il
nome dato alla progettualità esistenziale proiettata verso una meta prevalente.
Nel progettare il proprio piano di vita, il proprio futuro quindi, l’essere umano può incappare
in dinamiche positive, come pure in dinamiche patologiche, fatte di una valutazione di sé e
della realtà esterna non sempre oggettiva, producendo una serie di finzioni, ovvero
costruzioni soggettive carenti di obiettività, poste al servizio del fine ultimo, più spesso
tipiche dell’età evolutiva, secondo Adler, ma anche dell’età adulta, secondo Parenti. Le
finzioni aiutano a trattare la realtà più facilmente, ma non risultano accettabili sul piano
dell’equilibrio psichico quando arrivano a creare una distanza incolmabile tra il soggetto ed
i suoi simili, alterando la sua coerenza di pensiero. In tal caso si ha un fine ultimo fittizio,
fatto di finzioni rafforzate, di ordine patologico o quantomeno deviante, dove il sentimento
sociale risulta inevitabilmente compromesso, creando un notevole distacco tra l’individuo e
la collettività. Sostanzialmente, la meta personale assume carattere fittizio quando è
9
F. Parenti, Alfred Adler, cit., p. 52.
inquinata da elementi patologici ed è compensatoria di complessi, arrivando a creare una
distanza relazionale.
L’individuo si muove verso la propria meta, approntando un personalissimo stile di vita,
anch’esso con un versante conscio ed uno strato subconscio. Lo stile di vita rappresenta,
così, “l’impronta unica e irripetibile di ogni individuo, costituita dalla risultante di tratti
comportamentali, orientamento del pensiero, sentimenti ed emozioni, posti al servizio del
fine ultimo perseguito.”10 Tale modalità è inevitabilmente influenzata dalla percezione
soggettiva che l’individuo ha di sé, formatasi nella primissima infanzia attraverso le relazioni
con i familiari. Osservando la gestione abitudinaria della vita di una persona, ascoltandone
le opinioni su di sé ed il mondo, analizzandone l’espressione affettiva in varie circostanze è
possibile risalire allo stile di vita di un individuo.
L’artefice di artefici in grado di compensare condizioni di inferiorità e insicurezza, di
programmare le linee guida per raggiungere finalità prevalenti, di manipolare le immagini di
sé e del mondo per adattarle alle esigenze della meta perseguita, è il Sé creativo, una
specifica funzione creativa atta a ricercare continuamente soluzioni nuove. Secondo Adler,
non sono tanto le esperienze del passato in sé a forgiare la personalità di un individuo,
quanto piuttosto il modo soggettivo con cui tali esperienze vengono interpretate,
memorizzate, connesse tra loro ed adoperate per superare nuove difficoltà supposte o reali.
Il Sé creativo si inserisce proprio fra l'azione degli stimoli sull’individuo e la risposta
dell’individuo a tali stimoli. La capacità espressiva richiede, però, un adeguato livello di
autostima, garantito solo da un appropriato processo di crescita e di maturazione. Se il
processo di sviluppo è stato incompleto, il complesso d'inferiorità impedisce l'espressione
della creatività e l'individuo è costretto ad adottare artifici nevrotici per mantenere il proprio
livello di autostima. Il Sé creativo è avverso ad accettare la condizione di compromesso che
10
F. Parenti, Alfred Adler, Ivi, p. 69.
gli impedisce di esprimersi e tende, così, a generare una spinta in direzione di una via
d’uscita, assieme agli artifici nevrotici di compenso a salvaguardia dell'autostima. Il Sé
creativo costituisce, quindi, il punto d’appiglio della psicoterapia adleriana per coinvolgere il
paziente in un processo di ricostruzione dello stile di vita, proprio perché contiene
le potenzialità creative di ogni essere umano, costituendone l'essenza e l’unicità.
Ultimo tema chiave, che merita di essere citato, è quello relativo ai rapporti tra i sessi,
sessualità e orientamento sessuale. Si è rimproverato ad Adler di aver trascurato
l’importanza della sessualità nella genesi delle nevrosi. In realtà, secondo Parenti, Adler
affronta con grande attenzione il tema, ma studia i conflitti fondati sul sesso alla luce di una
tendenza aggressiva o autoprotettiva. Il carattere della madre di Adler, donna poco adusa
ad esercitare un ruolo subordinato, e della moglie di Adler, donna intelligente, combattiva,
capace di sostenere idee anticonformiste, inesperta dei lavori domestici, poco curata nel
vestire e di piccola statura, influenzano la visione adleriana del femminile. Affiora in lui un
certo rispetto del ruolo della donna nella collettività e ne scaturisce il desiderio di
una posizione evoluta e paritaria per lei.
Adler subordina l’autenticità dei rapporti amorosi al grado di sentimento sociale posseduto
dai partner. L'addestramento all'armonia interpersonale è una premessa indispensabile per
una serena integrazione affettiva e sessuale nella coppia. Già ai tempi di Adler, la donna
tentava una ribellione al dominio del maschio, seppur non con modalità dirette, ma con una
celata aggressività nevrotica. L’uomo, dal canto suo, pagava il prezzo per il suo privilegio di
supremazia, misurandosi costantemente con il suo ruolo virile, tanto da incappare in
complessi di inferiorità (Parenti, 1987). La lotta tra i sessi e la presunta inferiorità femminile
sfocia nel concetto adleriano di protesta virile, intesa come forma di compensazione, sia
maschile che femminile, per “progettare una linea direttrice caratterizzata da schemi di
virilità ipertrofica.”11 La protesta virile parte dal bisogno di rimediare a un complesso di
inferiorità legato alla convinzione soggettiva di coincidere con l’immagine di femmina
subordinata all’uomo, o di maschio inadeguato.
Per quanto riguarda la sessualità, Adler non condivide l'idea che il mancato appagamento
sessuale sia alla base delle nevrosi. La sessualità è un’espressione della vita di relazione e
l'individuo si esprime nella propria vita sessuale secondo le linee fondamentali del proprio
stile di vita. Abbandonato il determinismo pulsionale della psicoanalisi, Adler intende le
pulsioni sessuali come espressioni della compartecipazione emotiva. Inoltre, l'invidia del
pene, attribuita da Freud alle donne come fattore nevrogeno, non sarebbe altro per Adler
che l'invidia della preminenza maschile nella civiltà occidentale; parimenti, la nevrosi
maschile rappresenterebbe una protesta virile, una sovracompensazione nei confronti di un
sentimento di inadeguatezza.
Altra forma di sessualità, l’omosessualità, è per Adler un fattore legato alla nevrosi
individuale, non congenito. Nel 1917, pubblica "Il problema dell'omosessualità" e nel 1930
"Psicologia dell'omosessualità". Adler ritraccia nell’omosessuale tratti caratteriali quali
un’ambizione smisurata, prudenza, paura della vita, profondo scoraggiamento, mancanza
di facoltà cooperative. Nell’infanzia, l’omosessuale sembra non aver goduto di quelle
esperienze atte alla realizzazione di una differenziazione del suo sesso con quello
femminile, finendo, per esempio, ad indossare troppo a lungo vesti da bambine o a giocare
con loro, oppure trovandosi a vivere una condizione di oppressione all’interno del nucleo
familiare, il cui strascico sono sentimenti di inferiorità, debolezza, sfiducia in se stesso. Da
adulto, si trova impreparato rispetto alle relazioni con l’altro sesso, verso il quale arriva a
provare repulsione. Ecco che l’omosessualità, come pure il feticismo o il masochismo,
diventano espressioni di un incremento della distanza fra uomo e donna, rappresentando
11
F. Parenti, Alfred Adler, Ivi, p.69.
una rivolta contro il normale adattamento sessuale, forme di disprezzo verso il partner,
compensazioni per ridurre il presunto senso di superiorità femminile.
L'educazione assume un senso di primaria importanza nell’espressione della sessualità: un
padre-tiranno può essere causa dell'insicurezza del figlio, inducendogli un grave senso di
inferiorità, che questi tenderà a gestire opponendosi all'autorità paterna in modo nascosto,
acquisendo le doti tipiche del perverso. Una madre forte e possessiva potrebbe causare un
forte senso di scoraggiamento e, quindi, un senso di repulsione verso la donna.
La cura dell’omosessualità obbliga a ricercarne le origini nell’infanzia, rilevare la distanza
dal partner sessuale, evidenziare l'aspetto dell'antisocialità ed, infine, sciogliere il senso di
superiorità adottato per compensazione.
Adler è il primo geniale “eretico” della psicoanalisi: Freud vede la vita dell'uomo in
funzione del passato, Adler la legge in funzione del suo futuro, spostando l’attenzione dalle
cause alle mete. Freud tende ad esplorare le cause dei comportamenti, Adler, si volge a
sondare il piano di vita, solo in parte cosciente, soffermandosi sulle strategie messe in atto
dall’individuo per raggiungere il fine ultimo. L’impianto adleriano considera la condotta
umana una proiezione del Sé nel futuro, piuttosto che l’esito di situazioni passate: ogni
essere umano, secondo un modo personale, originale, creativo, inconsapevolmente delinea
il proprio senso della vita. Per alcuni si concretizza nella fama, nell’accumulo di denaro, nella
stabilità familiare, ma tanti altri, quanti sono gli esseri umani, possono essere i significati dati
alla vita. Nonostante ognuno di questi significati possa contenere un margine variabile di
errore, “qualsiasi significato che sia anche minimamente utilizzabile non può essere definito
completamente sbagliato."12
La Psicologia Individuale, diversamente dalla psicanalisi, sottolinea l'importanza del
fattore sociale nella comparsa della nevrosi. Lo sforzo dell'individuo per emergere, per
12
A. Adler, Cos’è la Psicologia Individuale, Roma, Newton Compton, 1976, p. 24.
imporsi, rappresenta il tentativo di superare un antico complesso di inferiorità. Tale tentativo
comporta a volte obiettivi fittizi. Nel soggetto normale questa contraddizione fra visione
fittizia della vita e realtà viene mediata, consentendogli di stabilire rapporti sociali
soddisfacenti. Nel nevrotico questa mediazione fallisce, neutralizzando la possibilità di una
relazione sociale positiva. Il trattamento adleriano mira a determinare come si è formato
questo autoinganno, attraverso l’analisi di ricordi e di sogni, grazie ad una partecipazione
attiva del terapeuta, tesa a smascherare i falsi obiettivi del paziente per poi fornirgli mete
esistenziali più idonee e stimolanti.
Mentre la psicoanalisi freudiana è dichiaratamente “deterministica”, perché inquadra
ogni fenomeno come effetto di una causa, la Psicologia Individuale ha un orientamento
teleologico ed un approccio finalistico: “E’ il perseguimento di un fine ultimo a determinare
l’intera vita umana”; “Si può veramente concepire l’organo psichico solo in funzione del fine
che si propone” (Adler, Conoscenza dell’uomo).
In realtà, non solo le interpretazioni di Freud sono in parte finalistiche (ne è un esempio il
sogno inteso come realizzazione di un desiderio rimosso), sebbene lo siano
inconsapevolmente, ma anche Adler ripropone un certo determinismo di fondo, ad esempio
quando assegna rilevanza ai primi ricordi infantili, oppure quando sostiene che lo stile di vita
tende a protrarsi nei suoi elementi essenziali dall’infanzia fino all’età adulta.
Causalismo e finalismo sono, in realtà, intimamente collegati in successione temporale,
come riassume Parenti, da cui la definizione finalismo causale, data da alcuni continuatori
di Adler all’orientamento teleologico della Psicologia Individuale. “Un individuo pone in atto
una modalità di comportamento che risulta positiva o negativa nei confronti di un altro
individuo. Questi risponderà all’azione ricevuta con una reazione necessariamente
progettuale e quindi finalista. Inoltre un’indagine che risalga nel tempo dimostrerà che anche
l’azione del primo individuo è stata a sua volta progettuale.”13
Rispetto al concetto di inconscio, la teoria adleriana si differenzia notevolmente dalla
teoria psicoanalitica. Innanzitutto, l’inconscio non è una zona pseudo-anatomica
dell’apparato psichico. I processi inconsci derivano, piuttosto, dallo stesso organo psichico
unitario che produce i processi coscienti (Parenti, 1987). Adler ipotizza la presenza di piani
di vita consci e inconsci. Il riconoscimento di dinamiche inconsce presume una loro
motivazione, ma secondo Adler non esiste una sola causa. Se Freud spiega la rimozione
come un conflitto tra pulsionalità ed etica, tra Es e Super-Io, Adler presuppone una linea
finalistica mantenuta anche a livello inconscio. Diverse le motivazioni possibili: censure di
ordine etico di varia natura, e non solo relative alla sessualità, angoscia legata al senso di
inferiorità, valutazioni di rischi che bloccano scelte ritenute troppo azzardate. Questi possibili
motivi, ed altri ancora, sono di ostacolo ad una meta cosciente rigidamente progettata. Il
nevrotico, per esempio, “si serve dell’inconscio per poter perseguire il fine della superiorità
con i suoi antichi sintomi…L’anima nevrotica, per potersi dirigere verso i propri utopici scopi,
si vede obbligata a ricorrere ad artifizi e simulazioni. Uno di questi artifici consiste nel
trasferire lo scopo od il suo equivalente nell’inconscio.”14 Il malato e l’analista possono, però,
rintracciare lo scopo finale, ponendo attenzione a quanto contenuto in un ricordo, un
sintomo, una fantasia, che dimostrano tendenziosamente qualcosa di più importante per il
malato, di quanto appaia a prima vista. Si potrebbe perfino sostenere che questi frammenti
di esperienze, legati a uno scopo personale, devono restare sufficientemente accessibili alla
coscienza, per permettere una rivalutazione dell’ideale personale. L’importanza biologica
della coscienza e dell’inconscio risiedono nella spinta all’azione, secondo un piano di vita
13
F. Parenti, Alfred Adler, cit., p.54.
14
A. Adler, La psicologia individuale, cit., p. 194.
uniformemente orientato. Ogni manifestazione cosciente fornisce degli indizi riguardo allo
scopo finale inconscio; lo stesso avviene per la tendenza inconscia, sebbene sia più difficile
afferrarne il senso. Lo scopo finale e le sue modalità devono rimanere incompresi
nell’inconscio, per non rischiare di trovarsi annullati a causa di una contraddizione manifesta
di fronte alla realtà e per permettere un’azione nel senso della linea di condotta nevrotica.
Quando lo scopo nevrotico rischia di annullarsi divenendo cosciente, a causa della sua
grande contraddizione con il sentimento sociale, esso conserva il piano di vita nell’inconscio.
Per Adler, solamente l’idea dominante inconscia della personalità rende veramente
possibile l’esistenza dell’impianto nevrotico. Il nevrotico sarebbe mosso, non tanto da
tendenze sessuali o da complessi, come sostiene Freud, ma da inclinazioni di dominio,
trasposte nell’inconscio, al fine di evitare qualsiasi critica; l’ideale della personalità si
preserva, così, dalla sua dissoluzione. Il comportamento nevrotico deve apparire
inattaccabile al mondo ed assicurare la sua posizione di dominio nevrotica. Ogni forma di
nevrosi (stati d’angoscia e stati ossessivi, stati d’insonnia, tendenze sincopali, perversioni,
allucinazioni, stati affettivi patologici, complessi psicoastenici ed ipocondriaci, quadri
psicotici), che inevitabilmente porta all’isolamento dal contesto sociale, può essere
considerata come un tentativo culturale non realizzato per liberarsi da un sentimento
d’inferiorità ed acquisire un sentimento di superiorità: il nevrotico, attraverso le sue “astuzie
stravaganti”, si evita lo scontro con i problemi reali, liberandosi da ogni azione, obbligo o
responsabilità sociale, evitando di risolvere i problemi vitali ed eludendo lo sviluppo del
sentimento sociale. Il “privilegio” della malattia e della sofferenza gli forniscono una
sostituzione dello scopo originale. La psicoterapia dovrebbe rendere cosciente il nevrotico
che la sua tendenza a dominare gli altri, e principalmente i suoi familiari, deriva da una
esigenza di grandezza, ma la sua efficacia è nulla.
A conclusione del capitolo, qualche accenno alla biografia di questo grande studioso,
al fine di comprendere il terreno dove il suo pensiero ha preso vita.
Adler nasce il 7 febbraio del 1870 a Penzing, sobborgo di Vienna, da una
famiglia ebraica ungherese. I diversi cambiamenti di residenza, consentono al piccolo di
frequentare ambienti socio-culturali diversi e di sperimentare, così, quel senso di amicizia e
di integrazione sociale, che caratterizzeranno tutta la sua opera.
Alfred è secondogenito di quattro fratelli e due sorelle; di rilievo solo la relazione con il fratello
maggiore, Sigmund, caratterizzata da una marcata competitività.
Nei primi anni di vita, Adler è cagionevole di salute e affetto da rachitismo, relegato, dunque,
ad una grande limitazione nell'attività fisica, in netto contrasto con il desiderio infantile di
muoversi liberamente. Da questa esperienza nascerà, in seguito, una ipercompensazione
positiva, che lo porterà al recupero fisico e a dedicarsi a diverse attività sportive.
Altra dura esperienza è il precoce contatto con la morte: un fratellino minore muore nel letto
accanto a lui e Adler stesso rischia di morire, in seguito ad una grave forma di polmonite. E’
in seguito a questi avvenimenti che il giovane inizia a maturare il desiderio di diventare
medico.
Nel 1898 Adler inizia la sua carriera, svolgendo attività privata come medico generico
ed oculista nel sobborgo viennese del Prater, curando i medi-piccolo borghesi del quartiere,
i camerieri, gli artisti e gli acrobati, spiegando loro con chiarezza la natura e le conseguenze
della malattia, a dimostrazione della sua volontà di utilizzare una comunicazione aperta,
rispettosa, trasparente. Contemporaneamente all'attività di medico, approfondisce lo studio
della psicologia e della filosofia.
Nel 1902 avviene l'incontro con Sigmund Freud, pare a seguito della pubblica difesa
di Adler in favore de "L'interpretazione dei sogni", evento da cui nasce la partecipazione di
Adler agli incontri del mercoledì a casa di Freud con altri seguaci, base per quella che
diventerà la futura Società psicoanalitica.
Nel 1907, pubblica lo studio “sull’inferiorità organica”, testo in cui si configurano già i
presupposti della Psicologia Individuale, dove dimostra come i bambini tendano a
compensare i difetti fisici o costituzionali con una linea di difesa a volte attiva e altre volte
passiva.
Nel 1909, si specializza in malattie nervose e nel 1912 pubblica la sua dottrina: “Il
temperamento nervoso”.
Nel 1910 diviene presidente della “Società Psicoanalitica Viennese”, e poi
condirettore della rivista “Zentralblatt fur Psychoanalyse”, dando un apporto concreto nella
formulazione di nuove teorie.
Nel 1911 il dissidio con la dottrina freudiana si fa marcato, fino a sfociare in una
scissione tra i due. I termini dello scontro possono essere riassunti nei seguenti punti, come
specifica Parenti15:
- una “teoria della compensazione”, legata alla dinamica dei rapporti interpersonali, contro
una dottrina introspettiva;
- una ricerca in direzione di un finalismo delle nevrosi, contro una valutazione causalistica
della loro origine;
- l’individuazione della “volontà di potenza” insita in tutte le azioni umane e della “protesta
virile”, contro la concezione della “libido”;
- la teoria di una psiche unitaria dinamica e non topica, produttrice di dinamiche sia consce,
sia inconsce;
- il concetto di “finalismo causale”, non in contrasto ma a perfezionamento del determinismo
freudiano;
- il rifiuto di un linguaggio simbolico universale per l’interpretazione dei sogni, sostituito
dall’idea di un simbolismo sia culturale che personale;
- la considerazione della sessualità come momento relazionale;
15
M. Masci, “La psicologia individuale di Alfred Adler”. Attualità in Psicologia [Online]. 1989, volume 4, n. 1.
Disponibile
12/08/2015).
all’indirizzo
http://www.psicologi-psicoterapeuti.info/public/minisitoPagine/538.pdf
(Consultato
il
- una modalità nella gestione della relazione terapeutica, sempre non direttiva e di
profondità, ma meno ritualizzata, più paritaria e indirizzata ad un processo di
incoraggiamento, fondato sullo smantellamento delle finzioni.
Adler abbandona Freud con altri sei membri del gruppo, fondando nel 1912 la
"Società per la Libera Psicoanalisi", a cui cambia poi il nome in “Società di Psicologia
Individuale”, su richiesta di Freud, che desiderava mantenere vincolato a sé il termine
"psicoanalisi".
Nel 1913 circa, fonda la “Zeitschrift fur Individualpsychologie” e inizia a curare l’ampia
raccolta degli scritti di Psicologia Individuale: “Heilen und Bilden”.
La prima guerra mondiale lo vede medico militare, mettendolo a contatto con le
nevrosi belliche. Questa esperienza lo porta a maturare il concetto di sentimento sociale,
unica esperienza interiore capace di generare il rispetto per l’essere umano, e lo sprona
verso una posizione solidale del setting psicoterapeutico.
Nel 1917 pubblica l’opera “Il problema dell’omosessualità”.
Nel 1920, cura la fondazione di diverse strutture psicopedagogiche, asili con
impostazione psicologica, consultori per insegnanti, scuole sperimentali volte a promuovere
la socialità e la libertà individuale.
Negli anni a seguire, porta a piena maturazione la sua teoria, pubblicando “Prassi e
teoria della Psicologia Individuale” e “Fondamenti e progressi della Psicologia Individuale”.
Nei confronti della religione mantiene un atteggiamento critico, considerandola uno
strumento atto allo sviluppo del sentimento sociale, benché sporcato di dogmi e proibizioni,
che limitano il Sé e la libera espressione del pensiero scientifico. Nel 1904 Adler si era
convertito al Protestantesimo, da lui motivato con la necessità interiore di passare da una
religione ristretta (l'Ebraismo) ad una fede universale meno rigida.16
16
F. Parenti, Alfred Adler. L'uomo, il pensiero, l'eredità culturale, Laterza, Roma-Bari, 1987, p.17.
Nel 1926 viene nominato professore dell’Istituto pedagogico di Vienna. Il suo
pensiero circa la materia è racchiuso nei testi “Psicologia della scuola” (1929),
“L’educazione del bambino” (1930).
Tra il 1928 e il 1933, pubblica “Conoscenza dell’uomo”, “La tecnica della Psicologia
Individuale”, “Il caso della signora A”, “Il senso della vita”, “Psicologia e religione”.
Nel 1934, quando la minaccia nazista diviene più incalzante, decide di trasferirsi con
la famiglia negli Stati Uniti, nazione che lo aveva già ospitato a partire dal 1926 per lezioni
e conferenze dirette a diffondere il suo pensiero, delle quali il testo “What life schould mean”
(1931), rappresenta una raccolta sistematica.
Il 28 maggio 1937, già sofferente di cuore, è stroncato da una crisi coronarica.
L’efficacia del suo metodo consiste in:
- uno studio puntuale dei sintomi del paziente, condotto tenendo presente il finalismo
aggressivo ed autoprotettivo, al fine di scoprire le cause della nevrosi;
- una analisi dei meccanismi di compensazione con l’obiettivo di svelarne l’inutilità agli effetti
del raggiungimento di una vera sicurezza interiore;
- una fase rieducativa del paziente diretta ad eliminare le modalità compensatorie,
normalizzando il comportamento in ogni settore della vita;
- un percorso terapeutico in grado di favorire una nuova integrazione interpersonale e
sociale, in direzione di un appagamento dei tre compiti vitali.
Concretezza, semplicità, empatia sono, ancora oggi, gli elementi principi del
processo terapeutico adleriano, valori promossi dalla SIPI (Società Italiana di Psicologia
Individuale), parte della International Association of Individual Psychology (I.A.I.P.), di cui
Francesco Parenti è presidente.
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