ALZATEVI DAI BANCHI E … VOLATE!
UN’INTERPRETAZIONE DELL’ULISSE DI DANTE (INFERNO: CANTO XXVI)
a cura del prof. Davide Grassi
Alcune interpretazioni dell’episodio
L’episodio di Ulisse, inserito da Dante nel Canto XXVI dell’Inferno, ha dato luogo, nel corso della storia
della critica, ad una pluralità di interpretazioni, che in questa sede è impossibile riassumere in maniera
esaustiva.
Possiamo partire dalla tradizionale interpretazione di Croce, che vede in Ulisse un eroe titanico, quasi
romantico, ribelle alla volontà di Dio ed animato da una sete di conoscenza, che lo porta ad infrangere i
divieti imposti dalla legge divina e a tentare un’impresa impossibile. A causa di questa ribellione Dante è
costretto a condannarlo e a metterlo nell’Inferno. Accanto alla condanna, tuttavia, è presente nell’animo del
poeta una profonda ammirazione per l’eroe greco, al punto che il Croce parla di un dissidio tra il Dante –
teologo, costretto ad ubbidire alle leggi della Morale cattolica e il Dante – uomo, che è preso da ammirazione
per l’eroe e per il suo <<sublime peccato>>. Così, infatti, si esprime il Croce: << Ulisse che, ardente sempre
della volontà di conoscere il mondo e gli uomini, non ritenuto né da dolcezza di figlio, né da pietà verso il
vecchio padre, né da amor di moglie, con canuti compagni a lui fidi, si mette ancora pel mare alla scoperta
della parte non conosciuta della sfera terrestre; Ulisse che infiamma i suoi compagni con le alte parole
“Fatti non foste a viver come bruti, Ma per seguir virtude e conoscenza”, é una parte di Dante stesso, cioé
delle profonde aspirazioni che la riverenza religiosa e l’umiltà cristiana potevano in lui raffrenare, ma non
già distruggere. Donde la figura di questo Ulisse dantesco, peccaminoso , ma di sublime peccato, eroe
tragico, maggiore forse di quel che fu mai nell’epos e nella tragedia greca>>1. L’interpretazione crociana,
seguita anche da altri critici, come Pietrobono e Nardi, è stata corretta e rivisitata dalla critica moderna. Tale
interpretazione, in effetti, pone due questioni non risolte dai critici sopracitati:
1)
la sovrapposizione tra il peccato di frode, per il quale Ulisse è punito nell’VIII cerchio, e il peccato di
superbia, per il quale egli dovrebbe essere punito, avendo sfidato Dio
2)
il dissidio tra Dante-uomo e Dante-teologo, l’uno ammiratore dell’eroe, l’altro costretto a condannarlo;
tale dissidio non corrisponde, infatti, all’immagine unitaria che il poeta vuol dare di sé e che è la più coerente
con il pensiero medioevale.
Le nuove interpretazioni, pertanto, tendono a vedere in Ulisse l’insufficienza della umanità pagana, incapace,
con le sue sole forze, di raggiungere la piena conoscenza. A tal proposito Fubini così si esprime: <<Vi è
nell’impresa di Ulisse il segno della grandezza e della insufficienza dell’umanità pagana, vale a dire
dell’umanità tutta priva del soccorso della rivelazione. Perciò quella che abbiamo riconosciuto come
celebrazione della natura umana in una delle sue più nobili incarnazioni è anche un’energica affermazione
del limite opposto al suo operare. Nulla è di peccaminoso nell’operato di Ulisse, e ciononostante la
catastrofe non può non esserne la conclusione. Poeticamente e idealmente essa è intrinseca alla concezione
di Dante: né per riconoscere all’Ulisse dantesco questo carattere drammatico è necessario attribuirgli una
volontà consapevole di ribellione […] Ulisse perciò ci appare il prototipo dell’umanità pagana che, fidando
nelle sue proprie forze, è giunta tant’oltre da intravedere il monte del Paradiso Terrestre, quasi simbolo del
punto estremo a cui può spingersi l’uomo per la sua intrinseca natura>>2. L’ipotesi di Fubini è stata ripresa
da altri critici, come Barbi, Getto ed Auberbach. Quest’ultimo afferma che il viaggio di Ulisse deve essere
inteso all’interno dell’<<interpretazione figurale>> attribuita a Dante: il folle volo sarebbe, pertanto, una
figura delle cadute morali, in cui l’uomo può imbattersi.
Tra le interpretazioni della critica moderna, possiamo citare quella di J.M. Lotman, studioso di semiotica.
Secondo l’italianista russo nella Commedia dantesca tutta la struttura è organizzata secondo l’asse alto –
basso. Secondo questa struttura tutto il viaggio di Dante corrisponde ad un cammino verso la Verità,
contrapposta alla menzogna. Nell’universo dantesco l’uomo può muoversi verso l’alto (Verità) o verso il
basso (peccato). Da questo punto di vista il viaggio di Ulisse appare atipico; esso infatti si svolge non in
verticale, come quello di Dante, ma in linea retta. In questo viaggio, in pratica, manca la dimensione alto –
basso e perciò il percorso si trasforma in un movimento rotatorio che conduce l’eroe alla caduta, a causa
della sua folle temerarietà. Anche secondo Lotman, comunque, Ulisse simboleggia pur sempre <<la
concezione laica e audace dell’uomo antico>>.
1
2
B. Croce, La poesia di Dante, Bari, Laterza, 1921 p. 88
M. Fubini, Il Canto XXVI dell’Inferno, Roma, Signorelli, 1952
Il folle volo non è condannato
La mia personale interpretazione, pur non contestando quelle precedenti ed anzi accettando la proposta di
Fubini e Bigi, vuol essere di carattere essenzialmente morale, ed ha lo scopo di individuare nelle parole di
Dante un insegnamento da proporre ai giovani di oggi, sempre più privi di ideali e di punti di riferimento.
Innanzitutto è bene ribadire che Dante non condanna assolutamente Ulisse per il suo viaggio oltre le Colonne
d’Ercole e per il suo folle volo, che, anzi, mostra palesemente di ammirare. Del resto, da un punto di vista
strettamente teologico, non vi era nulla di peccaminoso nel tentare di varcare un limite geografico, né Ulisse
appare consapevole di sfidare, in qualche modo, Dio. Possiamo riprendere, a nostro sostegno, la tesi di
Fubini, che afferma: <<Non peccato di ribellione è in Ulisse, perché nulla ci fa riconoscere nelle Colonne
d’Ercole un divieto divino, né oltrepassando lo stretto l’eroe ha coscienza di violare una legge posta agli
uomini dalla divinità. Non sono quelle colonne se non un avvertimento di un uomo ad altri uomini, un
avvertimento che lì è il termine della terra abitata e che vano perciò sarebbe navigare più oltre […] Chi
parla di un Ulisse simile a un Dio ribelle, di un Ulisse che rinnova la ribellione di Lucifero, fraintende
radicalmente la concezione di Dante>>3. Anche Getto si esprime in modo simile: << per il suo viaggio,
Ulisse […] non pecca e non è punito, anzi segue una legge nobilissima della natura umana che va ad urtare
contro un invalicabile limite, che non è la punizione di una specifica, inesistente colpa, ma una legge
naturale, il destino dell’uomo>>4. In ogni caso, a fugare ogni dubbio, intervengono le parole di Dante stesso,
che ci fornisce le motivazioni della condanna di Odisseo: l’inganno del cavallo di Troia, l’inganno nei
confronti di Achille, che – convinto ad andare in guerra – lasciò Deidamia morire di dolore, il furto del
Palladio (una statua di Atena che si trovava dentro la città di Troia e la rendeva inespugnabile):
<<Rispuose a me: "Là dentro si martira
Ulisse e Diomede, e così insieme
a la vendetta vanno come a l'ira;
e dentro da la lor fiamma si geme
l'agguato del caval che fé la porta
onde uscì de' Romani il gentil seme.
Piangevisi entro l'arte per che, morta,
Deidamìa ancor si duol d'Achille,
e del Palladio pena vi si porta".>>
(Dante, Inferno Canto XXVI, vv. 55 – 63)
Se dunque il viaggio di Ulisse non è condannabile, possiamo sicuramente desumere da esso insegnamenti di
tipo morale, compatibili anche per chi, come Dante, professa una concezione cristiana della vita.
Quali sono questi insegnamenti?
Il programma di vita
Un primo insegnamento si può trovare nel programma di vita che Ulisse enuncia e propone ai suoi
compagni, ormai vecchi e tardi, ma sempre disposti a seguirlo per nuove avventure. Esaminiamo, a questo
proposito, le parole dell’eroe.
Ai vv. 90 – 99 leggiamo:
( … ) Quando
mi diparti' da Circe, che sottrasse
me più d'un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enea la nomasse,
né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né 'l debito amore
3
4
M. Fubini, Op. cit.
G. Getto, Aspetti della poesia di Dante, Firenze, Sansoni, 1947
lo qual dovea Penelopé far lieta,
vincer potero dentro a me l'ardore
ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto,
e de li vizi umani e del valore;
Abbiamo un forte invito alla conoscenza, all’arricchimento del proprio bagaglio culturale, all’acquisizione di
nuove esperienze, che possono rendere l’uomo più esperto del mondo, più preparato nell’affrontare i
problemi che pone la società. È un richiamo al dovere di ogni essere umano a conoscere i propri simili, sia
per quanto riguarda le loro virtù, e cioè le loro qualità positive, sia per quanto riguarda i loro vizi, e cioè gli
aspetti negativi, o comunque i limiti. Il mio pensiero non può non andare alla Storia, e in particolar modo al
difficile mestiere dello storico, che deve farsi conoscitore degli uomini, per documentarne vizi e virtù e
poterli trasmettere ai posteri, sforzandosi di essere, il più possibile, imparziale ed obiettivo. La Storia,
dunque, come conoscenza degli uomini, come mezzo per studiare il comportamento e l’evoluzione della
società e delle sue strutture, come scoperta e come memoria per il futuro.
Nei vv. 112 – 117 l’eroe greco così prosegue:
"O frati", dissi "che per cento milia
perigli siete giunti a l'occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d'i nostri sensi ch'è del rimanente,
non vogliate negar l'esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Prosegue l’invito alla conoscenza, visto, questa volta, come esperienza dell’inconoscibile, dell’ignoto, di ciò
che può farci paura, ma che per ciò stesso risulta più avvincente e più affascinante. Che cosa può essere,
concretamente, il mondo sanza gente? Sicuramente il mio pensiero va agli esploratori, che hanno contribuito,
con le scoperte geografiche, alla definizione dei confini del Pianeta e alla conoscenza di nuovi popoli, di
nuove culture, di mondi sconosciuti e lontani dai nostri orizzonti. Tuttavia l’esperienza può significare anche
la scoperta di nuove specie, di nuove leggi, di nuovi meccanismi che regolano il comportamento della Natura
e il funzionamento della vita stessa dell’uomo. Il termine esperienza deriva dal verbo latino experior, -iris,
expertus sum, - iri che significa fare esperienza, sperimentare, trovare … così come il termine conoscenza
deriva dal verbo cognosco, -is , cognovi, cognitum, - ere che significa conoscere, apprendere, imparare,
sapere ... Siamo di fronte, a mio giudizio, ad un chiaro invito alla Scienza, alle capacità del pensiero umano a
proseguire nei suoi studi, nelle sue ricerche, nelle sue ipotesi per dare una risposta agli interrogativi che
ancora assillano l’uomo, per trovare rimedi ai problemi e ai mali che affliggono l’Umanità, per entrare
sempre più a fondo nei meccanismi fisici e biologici che regolano la Natura. Dopo la Storia, quindi, la
Scienza, come forma di indagine e di scoperta per migliorare il corso dell’Umanità, per contribuire al
progresso dell’uomo, per fondare un ordine migliore e migliorare la qualità della vita. Accanto alla Scienza,
se vogliamo, possiamo mettere la Filosofia, come amore per il sapere e come conoscenza per eccellenza
dell’uomo, delle sue virtù e dei suoi valori, degli sviluppi del suo pensiero e delle manifestazioni progressive
della sua ricerca e della sua speculazione morale ed intellettuale. Infatti Ulisse termina il suo breve discorso
ai marinai proprio con un accorato appello alla conoscenza:
vv. 118 – 120:
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza".
Virtute e canoscenza sono le supreme forme di elevazione dell’individuo, che si estrinsecano nelle tre
manifestazioni che prima ho citato: la Storia, la Scienza, la Filosofia. D’altra parte non si può non trovare,
nelle parole dell’eroe, un chiaro significato morale, che ricapitola tutto il senso del discorso e che si
sintetizza nell’imperativo finale: << seguir virtute e canoscenza>>. L’uomo si deve distinguere dalla bestia,
proprio per la sua coscienza che lo eleva al di sopra di una vita puramente materiale, basata solo sugli istinti
e sulla conservazione biologica. Seguir virtute e canoscenza significa cercare l’ignoto, ciò che non si
conosce, ciò di cui si ha paura, significa non arrestarsi di fronte alle difficoltà, ai termini e ai divieti che gli
uomini spesso hanno posto per autolimitarsi, per sentirsi protetti, per non prendersi le loro responsabilità di
fronte al Tribunale della coscienza e di fronte alla Storia, significa, in ultima analisi, dare il proprio personale
contributo per migliorare lo stato di evoluzione in cui si trova la società, significa avere il coraggio di
proseguire nella ricerca della Verità. Ma per fare questo occorre distruggere limiti, barriere, confini! Varcare
questi limiti e questi confini è dovere proprio dell’uomo, che si distingue, come tale, dall’animale. È certo
che per compiere scelte simili occorre avere una dirittura morale, una motivazione forte, che riesca a vincere
le paure e riesca ad infrangere le sicurezze (ma chiamiamole meglio con il termine “comode prigioni” ) di
cui uno preferisce usufruire. Ulisse individua nella sete di virtù e di conoscenza il fine dell’esistenza umana e
per questo ricorda ai suoi compagni che non sono stati creati a viver come bruti. Abbiamo visto che la
proposta di vita dell’eroe greco si può tradurre, per noi, uomini di oggi, nelle tre forme di conoscenza: la
Storia, la Scienza, la Filosofia, che possono diventare un programma di vita. Un programma che, come si è
detto, ha un chiaro significato morale. È infatti necessario che l’uomo abbia ideali, principii in cui credere e
che individui lo scopo della sua esistenza in un alto valore spirituale. Solo così sarà possibile elevarsi dal
materialismo, dall’edonismo, dal disorientamento ideologico, etico, culturale che caratterizzano l’uomo di
questa epoca, privo di valori e di punti di riferimento, sempre più chiuso nel proprio interesse privato e
sempre più frammentato nella propria personalità, ormai priva di una coscienza che possa farsi sintesi di
moralità. Sicuramente siamo di fronte ad un programma di vita difficile ed impegnativo, e non a caso Ulisse
definisce questo itinerario un folle volo.
Le ragioni del folle volo
Ulisse chiama il suo volo folle, perché presuntuoso e temerario, e perciò destinato a terminare con la
sconfitta, con la morte stessa dei protagonisti, che finiranno inghiottiti dal mare.
Ecco le parole di Odisseo nei vv. 121 - 126:
Li miei compagni fec'io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;
e volta nostra poppa nel mattino,
de' remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.
Abbiamo già detto, però, che in Dante non vi è condanna per il folle volo di Ulisse e che, anzi, a nostro
avviso è possibile trarre da esso alcuni insegnamenti. Esaminiamo meglio i due termini volo e folle: perché
volo e perché folle?
Volo è una metafora del viaggio che si compie con una nave, della quale i remi costituiscono le ali. La
metafora rappresenta, ovviamente, qualche cosa di altro da sé, un significato diverso rispetto al significante.
Allora, che cosa può essere il volo, applicato alla realtà concreta, anche di oggi?
Volare significa alzarsi, elevarsi, stare al di sopra, andare oltre… concretamente volare sta a significare
elevarsi rispetto alla normalità quotidiana, intraprendere un cammino mai tentato, mettere in discussione noi
stessi e le convenzioni del nostro tempo, rischiare anche la nostra credibilità, forse la nostra vita, pur di
raggiungere lo scopo che ci siamo prefissi. Oggi chi vola può essere lo scienziato, che esplora strade ancora
sconosciute e magari proibite per conoscere meglio la Natura; può essere il medico, che si sforza di trovare
nuovi rimedi per le malattie incurabili, magari attirandosi gli odi della Medicina ufficiale e dei moralisti; può
essere l’intellettuale, che azzarda una nuova interpretazione non in linea con la cultura dominante; può essere
il filosofo, che ha il coraggio di proporre una nuova visione della vita, più illuminata rispetto all’attuale
opacità; può essere il teologo, che esplora i confini del divino, cercando di scoprire e di intuire meglio la
manifestazione del pensiero dell’ Assoluto. Chi vola può anche essere il giovane, che non si rassegna
all’appiattimento ed al trito conformismo al quale vorrebbe omologarlo questa società arida ed edonista,
questa società dell’apparenza e del superfluo, della vuotezza e della superficialità.
Volare comporta sacrifici enormi, ma se nessuno finora avesse volato, il mondo non sarebbe progredito e
sarebbe rimasto fermo e bloccato. Non avremmo avuto, forse, esploratori come Cristoforo Colombo,
scienziati come Galileo, poeti come Dante e Leopardi, e tanti altri spiriti elevati che, spesso, hanno pagato di
persona per le loro geniali intuizioni; forse non ci sarebbero state quelle invenzioni e quelle scoperte che
hanno permesso all’Umanità di progredire, fino a conquistare la Luna e fino ad arrivare alla rivoluzione
informatica, l’ultima in ordine di tempo!
Veniamo ora al termine folle. È Ulisse stesso che chiama così il suo volo (v. 125), dandone una connotazione
implicitamente negativa; ma più avanti lo definirà con il termine alto passo (v. 132), che ha ben altra
connotazione. Ciò significa che l’aggettivo folle rappresenta il punto di vista degli altri, di coloro che non
approvano il gesto di coraggio e di determinazione dell’eroe. In pratica Ulisse si mette, per così dire, dalla
parte di chi non lo capisce, dalla parte di chi non è in grado di comprendere le ragioni del suo gesto. Oggi chi
potrebbero essere questi altri, che non sono in grado di comprendere il volo degli eroi? Sono ovviamente tutti
coloro che preferiscono vivere nel conformismo e nelle loro piccole sicurezze, coloro che non sono disposti a
rischiare per i loro ideali e per le loro convinzioni, coloro che preferiscono servire la mentalità dominante e il
potente di turno: in una parola i mediocri! Sì perché di mediocri si tratta, ed è triste constatare come siamo
circondati sempre di più da un mondo e da una società composta, in larga parte, da mediocri. Allora volare
vuol dire, anzitutto, elevarsi sopra questi mediocri, stare al di sopra di loro, superare le loro anguste barriere
e i loro troppo stretti confini, varcare i loro stupidi steccati, per essere più grandi di loro, per essere più in
alto di loro, per essere più liberi di loro!
Il passo di Dante è quindi ancora attuale, e può, come ogni capolavoro letterario, servire da stimolo per
indurci a seguire i nostri alti ideali e le nostre nobili aspirazioni, per indurci ad essere veramente uomini
liberi, al di sopra dell’egoismo privato e personale, al di sopra della meschinità e dell’opportunismo, al di
sopra di ogni limite, per indurci a volare!
Ai miei allievi non posso che formulare, con tutto il mio cuore, questa mia convinzione che è poi il mio
augurio:
<<Abbiate il coraggio anche voi di rischiare, il coraggio della follia: alzatevi dai banchi e volate!>>
DAVIDE GRASSI