Indice 1. La medicina legale come punto d’incontro tra medicina e diritto Definizione Cenni storici Sviluppo, complessità ed esercizio della professione medico-legale 2. Rapporto di causalità Concause preesistenti Concause simultanee Concause sopravvenute Criteri da seguire nella valutazione del rapporto causale 3. Diagnosi di morte e denuncia delle cause della morte Diagnosi di morte Collegio medico per accertamento della morte Periodo di osservazione Visita del medico necroscopo Certificazione di morte e sepoltura del cadavere Denuncia sanitaria delle cause di morte 4. Esame del cadavere. Sopralluogo giudiziario Riscontro diagnostico e autopsia giudiziaria Esame esterno del cadavere Esame degli organi interni Diagnosi differenziale fra lesioni vitali e post mortali Giudizio conclusivo sulla causa mortis Luogo della morte e indagini di sopralluogo 5. Epoca della morte e modificazioni tanatologiche del cadavere Raffreddamento del cadavere Rigidità cadaverica Ipostasi Disidratazione Acidificazione Putrefazione Saponificazione Adipocera Mummificazione Macerazione Corificazione Bibliografia I capitolo Definizione La medicina legale è la disciplina che affronta tutti i momenti cruciali della umana esistenza, dalla procreazione assistita alla interruzione della gravidanza, dalla sperimentazione dei farmaci al trapianto di organi, dagli effetti lesivi della violenza e dell'incuria alle esigenze di giustizia penale e civile, rappresentando nel corso degli studi universitari ed in specie di quelli biomedici e giuridici l’unica occasione che consente la formazione di una coscienza bioetica adeguata alle complesse questioni inerenti la persona e i fondamentali diritti alla vita e alla salute, alla dignità e alla libertà dell’uomo. Le scienze medico-legali implicano anche attività - in ambito di ricerca, didattica e formazione, assistenza – inerenti innanzitutto la clinica con assolute esigenze di collaborazione con peculiari specialità quali la cardiologia, la oncologia, la oftalmologia, la reumatologia. Non secondarie le implicazioni con l’ambito della comunicazione e dei linguaggi (verbale e non, orale e scritto, grafico e iconografico), gli aspetti e i problemi economici e finanziari dell’assistenza e delle assicurazioni (sociali e private con particolare riferimento all’ambito della responsabilità civile auto), la psicologia e la grafologia; si deve altresì segnalare la pertinenza e la rilevanza di settori ed attività di specifica competenza correlati alla analisi del crimine violento, alla antropologia e alla afrodisiologia forensi, alla balistica. Essenziale il contributo dei giuristi per le basi del diritto, la normativa e la giurisprudenza di riferimento in ambito di medicina legale penalistica, civilistica, assicurativa, la comunicazione, i linguaggi, la persuasione, le investigazioni, la formazione della prova nel processo penale con particolare riferimento ai temi delle testimonianze, delle perizie e consulenze tecniche, della informatizzazione di didattica, giustizia e sanità. La medicina legale può essere definita come il complesso delle conoscenze biologico-cliniche concernenti l’essere umano, suscettibili di proiezione o di applicazione entro tutto il sistema del diritto. Questa scienza complessa, costituisce il punto d’incontro fra il sapere medico e quello giuridico, dimostrandosi utile sia ai fini della corretta elaborazione ed interpretazione delle norme giuridiche concernerti questioni d’interesse medico (Medicina Giuridica che è una branca della medicina legale che si occupa dell'evoluzione del diritto in sanità, dell'intepretazione delle norme e della loro applicabilità dal punto di vista medico), sia ai fini della applicazione ai casi concreti ( Medicina Forense che studia le applicazioni della scienza medica alle questioni legali, ossia le conseguenze di lesioni biologiche provocate dai più diversi agenti eziologici) delle diverse disposizioni di legge. La medicina legale ha seguito il processo evolutivo delle conoscenze mediche e con il formarsi di stati organizzati dotati di leggi e norme questi attinsero alla medicina per trarre nozioni utili per la loro legislazione. Prime tracce di medicina legale si riscontrano a partire dalla 2700 a.c. in Egitto; in Mesopotamia il codice di leggi dei Sumeri (2500-1950) prevedeva risarcimenti in caso di lesioni personali; famosissimo il babilonese Codice di Hammurabi (1728-1686) che affermava tra l'altro il principio della responsabilità professionale in caso di morte o lesione. Si riporta: "Se un medico ha eseguito un difficile intervento col coltello di bronzo ed ha provocato la morte del soggetto gli si tagli la mano" (paragrafo 218 della legge di Hammurabi). Presso gli Ebrei sia nelle leggi di Mosè che in quelle successive del Talmud si riscontravano nozioni medico legali e severe leggi in tema di igiene pubblica. Nell'antica Grecia, dominata dalla figura di Ippocrate, nascono i principi di Etica medica e di Deontologia. Le origini della medicina legale sono quindi antichissime, presso gli Egizi veniva esercitata l’attività peritale e anche presso i Romani (quasi tremila anni a.C.). Fra le leggi emanate da Silla (138-78 a.C.), ad esempio, si ricordano la Lex Cornelia e la Lex Aquilia. Con la prima si obbligavano i tribunali al “quaerere de veneno” e di espletare tutte quelle ricerche necessarie a scoprire coloro che s’adoperassero a celare i loro delitti (“consuetudo criminandi”). Con l’altra si punivano severamente i medici riconosciuti responsabili della morte del loro assistito per negligenza o imperizia. Lo sviluppo della disciplina deve molto al Diritto Canonico e alle varie “Decretales” papali, fra le quali ricordiamo quelle di Gregorio IX divise in 5 parti, delle quali le più che ci riguardano sono la quarta che tratta del matrimonio e dei suoi impedimenti, e la quinta, che tratta della imputabilità, dei crimini e delle relative pene. Nell’evoluzione storica della medicina medico-legale spicca soprattutto il nome di Paolo Zacchia (1584-1659), archiatra del Pontefice Innocenzo X e da questi nominato Protomedico degli Stati Ecclesiastici. A Roma fu il primo, nel campo del giure, che esaminò ed espose la particolare posizione del sordomuto nei confronti della legge e del diritto canonico pubblicando, nel 1661, un'opera dal titolo "Quaestiones Medico-legales": La mancanza dell'udito, se congenita, rende l'intelletto più ottuso, impedendo che possa erudirsi. Tale opera è stata preceduta dagli studi altrettanto importanti dei tre illustri: Gian Filippo Ingrassia (1510-1580) attraverso un'accurata ricerca sull'anatomia umana scoprì un ossicino all'interno dell'orecchio che egli stesso chiamò "staffa" o "deltoide" che permise una più idonea comprensione dello stimolo acustico. Fece delle accurate ricerche sulle vesciche seminali che fecero capire meglio il loro funzionamento. Fondò la medicina pubblica quella legale e la polizia sanitaria. Grazia al suo intervento furono presi provvedimenti sulla sanità pubblica e sull'igiene di Palermo. Tra il 1575 e il 1576 scoppiò in Sicilia un'epidemia di peste; il viceré Don Carlo convocò l'ormai vecchio ed ammalato Gian Filippo Ingrassia e gli diede la carica di deputato per il tempo della peste e di consultore sanitario. Egli fu molto generoso nel dare cura e soccorso agli ammalati. Scrisse un libro che intitolò "Informatione del Pestifero et Contagioso Morbo" che conteneva le sue riflessioni su questa esperienza. Questo libro, pur essendo inferiore ad altri suoi scritti rimane il suo capolavoro. Ingrassia si riteneva un uomo "servo" della patria e fu per questo che rifiutò lo stipendio che gli spettava ogni mese. Morì il 6 novembre 1580. In suo onore il paese di Regalbuto ha intitolato una delle vie principali la scuola elementare e la scuola media. A Catania a questo famoso personaggio e stato intestato l'Istituto di Anatomia. Fortunato Fedeli (1550-163) E' ritenuto, il fondatore della medicina legale per avere compendiato in quattro libri, pubblicati nel 1602, ogni tipo di Relazione sui referti che i medici sono chiamati a presentare nelle cause e nei processi dove sia danno fisico a persone. Giovan Battista Codronchi (1524-1628) il cui testo più significativo è: Methodus testificandi (1597). La nascita della Medicina Legale come corpo dottrinale unitario è stata grandemente condizionata dalla promulgazione della Costitutio Criminalis Carolina da parte di Carlo V (1500-1558) nella Dieta di Ratisbona (1532). La necessità di disciplinare in modo organico l’istituto peritale nei processi penali diede vita ad una serie di studi che portarono ad una sistematizzazione della materia. Il volume dello Zacchia rimase il testo ufficiale della Medicina Legale per quasi duecento anni. Fu nell’800, il secolo della Rivoluzione industriale, che questa scienza entrò definitivamente nella istituzione universitaria e nella prassi giudiziaria. Si accentuò inoltre la sua valenza clinica, oltre a quella classica tanatologica. Questo perchè la rivoluzione industriale portò ad un incremento notevole degli infortuni connessi all’impiego delle macchine e ai nuovo ritmi e metodi di produzione, dando così, impulso allo sviluppo della Medicina Previdenziale, della Medicina Infortunistica, della Medicina Assicurativa, della Medicina del Lavoro. Nell’ambito della disciplina si delinearono diversi filoni di ricerche e applicazioni, il cui sviluppo fu condizionato dall’evoluzione del pensiero giuridico, dalla riforma dei codici, dal continuo progresso scientifico in campo medico e tecnologico. Alla fine dell’800 veniva promulgato il Codice Zanardelli (1890) con il quale l’istituto peritale e la Medicina Legale entrarono ufficialmente nelle aule di giustizia. Nello stesso periodo venivano pubblicati gli studi di Cesare Lombroso (18351908) il quale si occupò di antropologia criminale, disciplina di cui egli stesso fu inventore e secondo la quale i tratti della personalità criminale sono determinati da tare e anomalie somatiche. Lombroso fu uno dei principali rappresentanti del positivismo italiano, e le sue tesi ebbero larga risonanza negli ambienti giuridici e criminologici europei e sudamericani. Nonostante i suoi gravi limiti, riassumibili nell’interpretazione aprioristicamente patologistica e organicistica della condotta criminale, l’opera lombrosiana ebbe il merito di sostituire al tradizionale studio astratto del delitto lo studio concreto del delinquente, aprendo la strada alle più moderne e articolate formulazioni della psicologia criminale, che in Italia ebbe i suoi rappresentanti principali in Sante De Sanctis e Agostino Gemelli. Nel 1876 ad Aversa venne fondato il primo manicomio giudiziario. Nei primi anni del ‘900, l’Ottolenghi, grande cultore di antropologia criminale, fondò il primo istituto di Medicina Legale dell’Università di Roma. Istituì inoltre la Scuola Superiore di Polizia Scientifica che contribuì allo sviluppo dell’antropologia criminale, orientando gli interessi degli studiosi sull’autore del reato e sulla sua pericolosità. Con la Scuola Positiva per la prima volta si iniziò a parlare di misure di difesa sociale, di pericolosità sociale, di pena finalizzata al recupero del delinquente, di personalizzazione della sanzione penale, ecc. In epoca moderna, la Medicina Legale ha avuto un notevole sviluppo in tutti i settori che la costituiscono e fra essi: -l’Etica medica e la Bioetica; -l’Infortunistica e la Traumatologia forense; -la Tossicologia forense; -la Balistica forense; -la Radiologia forense; -la Medicina previdenziale e la Pensionistica ordinaria e privilegiata; -la Criminologia clinica; -la Psichiatria forense; -la Medicina delle Assicurazioni Private; -la Tanatologia; -l’Identificazione personale; -la Responsabilità professionale; -la Valutazione del danno alla persona in R.C. ecc. Peraltro, appaiono sempre più importanti e articolate nel quadro dell’attività del S.S.N. le prestazioni medico-legali svolte dalle varie Aziende sanitarie locali. Lo specialista in Medicina Legale può trovare oggi proficua collocazione in diversi ambiti lavorativi: S.S.N. : nei settori o servizi di Medicina Legale delle varie Aziende sanitarie. Nell’area specifica sono trattate le diverse problematiche concernenti la gestione e il coordinamento delle attività di accertamento della validità dei cittadini residenti nel territorio di competenza, ai fini del rilascio delle varie certificazioni richieste, della valutazione della idoneità generica e specifica al lavoro, e dello stato di incapacità temporanea al lavoro, dello stato di permanente incapacità al lavoro proficuo, della condizione di handicap, ecc. nonché quelle concernenti la gestione delle attività della polizia mortuaria, la partecipazione alle Commissioni per l’accertamento degli stati di invalidità civile, ai Collegi per l’accertamento della morte, ecc. • Istituti previdenziali: INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale); INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul lavoro); • Servizi di Medicina Legale delle Forze armate; • Servizi di Medicina Legale delle FF.SS.; • Attività medico-legali come medici fiduciari delle diverse Compagnie di Assicurazione; • Istituti di Patronato (Enti pubblici di assistenza dei lavoratori); • Ufficio medico-legale presso il Ministero della Sanità; • Istituti Universitari di medicina Legale; • Attività libero-professionale. Al medico legale possono essere chieste relazioni peritali o di consulenza tecnica con valutazione del danno alla persona in Responsabilità penale (es.: lesione personale, omicidio; imputabilità ecc.), in Responsabilità civile (es.: danni alla persona conseguenti a lesioni patite a causa di incidenti stradali, ecc.), in ambito infortunistico INAIL, in ambito previdenziale (assegno ordinario di invalidità o pensione di inabilità INPS), o di sicurezza sociale (certificazioni per il riconoscimento della invalidità civile, della condizione di handicap, ecc.), o in materia di controversie di lavoro o assicurative private (ad es. consulenze medico-assicurative, arbitrati), ecc. Le regole alle quali attenersi nella prestazione medico-legale, quale che sia l’ambito in cui questa venga effettuata, sono due: 1) il rigorismo obiettivo del metodo; 2) la dominante conoscenza del rapporto giuridico cui il fatto si riferisce. Il rigorismo obiettivo del metodo. Il principio di obiettività impone a ciascuno di essere rigorosamente aderente alla realtà dei dati clinici o tanatologici o di laboratorio o strumenti rilevati. La valutazione dei dati e la formulazione dei giudizi definitivi dovranno fondarsi su motivazioni logiche e plausibili, che tengano conto dei reperti, segni e dati obiettivi riscontrati, della documentazione medica a disposizione e delle più accreditate conoscenze scientifiche, concernenti il caso trattato. Il metodo medico-legale si differenzia nettamente da quello proprio delle altre branche della medicina per essere condizionato dall’istituto della prova. Non è consentito trasformare il dubbio in certezza e viceversa porre in dubbio, senza che ve ne sia fondamento, ciò che costituisce un dato di certezza. La dominante conoscenza del rapporto giuridico cui il fatto si riferisce. Il medico legale dovrà improntare ed orientare la sua indagine soprattutto tenendo conto delle norme giuridiche di volta in volta interessate dallo specifico caso in discussione. II capitolo Rapporto di causalità Il primo e più importante dei problemi che il medico legale si trova ad affrontare nella sua attività è la valutazione del rapporto da causalità. Molto spesso gli viene chiesto di stabilire se un dato evento biologico (la morte, una lesione, una data malattia ecc.) sia stato causato da un fatto o da una condotta umana (attiva od omissiva), così da poter essere addebitato all’autore della condotta stessa. Nella pratica è facile osservare che quel dato evento non è mai il prodotto esclusivo di un solo fattore causale, ma di una pluralità di fattori (concause), di diverso significato e di cui peraltro solo alcuni hanno valore oltre che medico anche giuridico. Al medico, in quanto tale, spetta il compito di chiarire nel dettaglio il meccanismo patogenetico con cui si producono determinati eventi di danno alla persona (lesione, malattia, invalidità, morte), confrontando il diverso peso specifico dei vari antecedenti causali, volta per volta in discussione, di rilevanza medica e giuridica. Il rapporto di causalità deve essere concepito “come una catena in cui ciascun anello trasmette a quello che segue un impulso verso un fine determinato, impulso che a sua volta ha ricevuto dall’anello precedente..” (Diez). Gli eventi più importati di questa catena sono in generale l’ultimo, che costituisce l’evento finale di danno, ed il primo, che rappresenta l’evento lesivo iniziale. La valutazione corretta del rapporto di causalità consente di identificare dell’evento dannoso considerato la causa unica oppure, più di frequente, lo si ripete, i molteplici concausali e in tal caso occorrerà specificare, secondo un criterio comparativo, il diverso peso specifico che ciascuno di essi ha avuto nel determinismo dell’evento considerato (lesione iniziale, esito invalidante finale, exitus). Causa in senso letterale è ciò che modifica, e più precisamente, può essere definita come quell’antecedente di interesse e valore medico e giuridico da cui dipende invariabilmente e necessariamente l’avverarsi della condizione maggiorativi dello stato anteriore, anch’essa di rilevanza medica e giuridica. La differenza tra la causa e la concausa sta nel fatto che pur trattandosi in entrambi i casi di antecedenti necessari, solo la causa è da sé sola sufficiente alla produzione dell’evento. Si comprende che nella pratica forense il compito più importante che il giudice si trova ad affrontare, oltre a quello di stabilire il quantum di danno sofferto da una certa persona, è in via preliminare proprio quello di verificare se effettivamente quel danno derivi causalmente o concausalmente dalla condotta del colpevole o dal fatto illecito considerato; talora, se il soggetto stesso, al quale si imputa di averlo provocato, possa effettivamente esserne giudicato responsabile, ecc. È proprio su questo che vertono le questioni più decisive al fine del giudizio conclusivo. Ove si dimostri che l’imputato e la condotta che ha posto in essere sono estranei al fatto, il soggetto in questione non sarà chiamato a risponderne in sede penale o civile. Talora questa estraneità verrà accertata e confermata a livello psichico, vale a dire come assenza psichica dell’autore al momento del fatto, assumendo in merito importanza decisiva la dimostrazione della sua eventuale incapacità di intendere o di volere al momento del fatto o dell’assenza di dolo o di colpa nella produzione dell’evento dannoso considerato. Dunque, nella attribuzione della responsabilità, il Magistrato pone attenzione non soltanto alla causazione, ovvero alla produzione materiale o fisica o biologica o anatomo-patologica del danno in esame ma anche ai cosiddetti fattori psichici. Perciò egli rivolgerà l suo interesse non solo al danno biologico subito dalla vittima, ma anche alla personalità e alla effettiva consapevolezza del soggetto che ha posto in essere la condotta lesiva e cagionato i relativi esiti, valutandone in particolare l’imputabilità e la colpevolezza. Si comprende in definitiva che la valutazione del nesso causale, in quanto ricerca che mira alla identificazione di cause imputabili all’uomo, è sempre fondata sull’analisi di un duplice ordine di rapporto: -Rapporto di causalità giuridico-materiale o anatomo-patologica. Si tratta di studiare il rapporto fisico od oggettivo esistente fra una certa condotta illecita, o, più in generale, fra un dato antecedente, di rilevanza medica e giuridica, e un determinato evento dannoso, pur esso di rilevanza medica e giuridica ad un tempo. -Rapporto di causalità psichica. Si intende il rapporto psicologico soggettivo che intercorre tra la personalità del soggetto, autore della specifica condotta considerata, e l’insorgenza dell’evento dannoso in esame. Solo dopo che si è dimostrata l’effettiva sussistenza di entrambi (rapporto causalità materiale e rapporto causalità psichica), il giudice potrà valutare il modo corretto e completo il caso in esame ed emettere la sua sentenza. Si capisce dunque che nel giudizio conclusivo sulla responsabilità, il Magistrato dovrà tenere nella debita considerazione se trattasi di reato doloso o colposo, se e quanto al determinarsi del fatto obiettivato abbiano concorso il dolo o la colpa dello stesso danneggiato o di terzi; l’eventuale colpa dei sanitari intervenuti successivamente al fatto lesivo, ecc. Concause preesistenti L’art. 41 del c.p. recita testualmente: “Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione od omissione e l’evento. Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento. In tal caso, se l’azione od omissione precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita. Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui”. Dal punto di vista medico-legale per causa si intende ciò che modifica, cioè più precisamente l’antecedente, di rilevanza medica e giuridica ad un tempo, necessario da sé solo sufficiente e quindi adeguato e determinante alla produzione dell’evento dannoso, previsto dalla legge come reato. Per concausa si intende invece uno degli antecedenti causali, pur esso di rilevanza sia medica che giuridica, che concorre con gli altri alla produzione dell’evento finale di danno sicché senza di esso l’evento dannoso non si sarebbe verificato, nonostante l’attualità degli altri fattori produttivi. In questo senso la concausa, anche se necessaria, non è da sé sola sufficiente e determinante a produrre l’evento dannoso in questione. Compito specifico del medico legale è proprio quello di stabilire con la massima accuratezza e seguendo criteri scientificamente corretti, il peso specifico che quel determinato antecedente assume nei riguardi della produzione dell’evento finale di danno. Da ciò la necessità del confronto, fra quello stesso antecedente ed altri, che pure si dimostri abbiano avuto un certo ruolo nel determinismo dell’evento considerato. L’art. 41 c.p. dispone espressamente che il rapporto di causalità non è escluso, ove alla produzione dell’evento dannoso o pericoloso abbiano contribuito oltre all’antecedente giuridicamente rilevante considerato anche altre eventuali concause preesistenti, simultanee o sopravvenute, pure se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole. Le concause preesistenti di lesione possono essere distinte in: - concause preesistenti anatomiche; - concause preesistenti fisiologiche; - concause preesistenti patologiche. Concause simultanee In genere si porta l’esempio di una ferita inferta con uno strumento contaminato, come la lama sporca di un pugnale, per cui oltre alla ferita da taglio, il colpevole risponderà anche del quadro infettivo causato dagli agenti microbici introdotti nell’organismo dalla lama e dei suoi esiti eventuali. Concause sopravvenute Si può pensare ad esempio ad una persona ferita in modo non grave che muore per una successiva complicanza settica della ferita stessa, per un inadeguato trattamento dei medici o per una scarsa cura da parte dello stesso ferito, ecc. Il feritore sarà comunque chiamato a rispondere della morte, sia pure a titolo diverso da quello di omicidio doloso (si potrà parlare di omicidio preterintenzionale e potranno essere concesse le attenuanti del caso, valendosi il Giudice del proprio potere discrezionale nell’applicazione della pena). Criteri da seguire nella valutazione del rapporto causale Effettuato il raffronto tra ciò che quella persona era prima di un certo fatto e ciò che è al momento dell’esame clinico e medico-legale, si dovrà stabilire quale o quali delle modificazioni eventualmente obiettivate siano da riferire causalmente o concausalmente all’antecedente o agli antecedenti, giuridicamente rilevanti, considerati. Si preciseranno quindi la natura e l’entità del danno funzionale, tenuto conto dello specifico rapporto giuridico cui il fatto si riferisce. I vari criteri di ricerca del rapporto causale tendono alla conoscenza dei meccanismi etio-patogenetici del danno considerato. Nessuno di essi è però da sé solo sufficiente a giustificare, provare o convalidare il nesso causale. Solo la concordanza dei dati che emergono dall’analisi dei vari criteri, insieme considerati, può condurre ad un giudizio effettivamente motivato in materia di ammissione o esclusione del nesso causale. I criteri di cui trattasi sono: -criterio cronologico; -criterio qualitativo; -criterio quantitativo; -criterio modale; -criterio topografico; -criterio della continuità fenomenologica; -criterio di esclusione. III capitolo Diagnosi di morte e denuncia delle cause ella morte La morte può essere definita in negativo come la privazione di tutte le proprietà biologiche dell’essere vivente. Ha inizio con la cessazione irreversibile delle tre funzioni: cardiocircolatoria (morte clinica); respiratoria (morte reale); nervosa (morte legale). Prosegue con le trasformazioni e il degrado del cadavere e termina con la distruzione completa, ovvero con la dissoluzione di ogni cellula dell’organismo. Durante la morte la persona diventa cadavere e perde la sua capacità giuridica. Da qualsiasi punto la si studi la morte rappresenta un evento unitario e dal significato in equivoco; quel giudizio dovrà essere quindi il risultato di una diagnosi certa e non di una prognosi. Il momento centrale e più importante ai fini della diagnosi è costituito dal rilievo della cessazione globale e definitiva, perciò irreversibile ed inemendabile, di tutte le funzioni dell’encefalo (legge n. 578 29 dicembre 1993: Norme per l’accertamento e la certificazione di morte, GU n. 5 dell’8 gennaio 1994). Diagnosi di morte Quando si hanno segni certo della cessazione delle funzioni non solo della corteccia cerebrale e degli emisferi, ma anche del tronco e quindi di tutto il cervello, la prosecuzione della vita vegetativa risulterà impossibile. Solo allora il paziente si giudicherà clinicamente morto. Essendo la morte un fenomeno unitario, è errato parlare distintamente di una morte cardiaca o respiratoria o di una morte cerebrale. È più corretto parlare di criteri cardiologici, respiratori o neurologici per l’accertamento del decesso. La legge 578/93 afferma all’art. 2 che anche la morte per arresto cardiaco s’intende avvenuta quando la respirazione e la circolazione sono cessate per un intervallo di tempo tale da comportare la perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo. Collegio medico per l’accertamento della morte È nominato dalla Direzione Sanitaria ed è composto da un medico legale o, in mancanza, da un medico della direzione sanitaria o da un anatomo-patologo, da un medico specialista in anestesia e rianimazione e da un medico neurofisiopatologo o, in mancanza, da un neurologo o da un neurochirurgo esperto in elettroencefalografia. Periodo di osservazione La durata dell’osservazione ai fini dell’accertamento della morte deve essere non inferiore a: - sei ore per adulti e bambini in età superiore ai cinque anni; - dodici ore per i bambini di età compresa tra uno e cinque anni; - ventiquattro ore nei bambini in età inferiore ad un anno. Qualora l’accertamento della morte venga effettuato senza l’ausilio di strumentazione adeguata e al di fuori delle strutture ospedaliere, al fine di scongiurare il pericolo di inumare persone in stato di morte apparente, il Regolamento di Polizia Mortuaria DPR 10 settembre 1990 n. 285 prevede che venga rispettato un più lungo periodo di osservazione, esteso sino alla comparsa di fenomeni tanatologici certi. Si dispone che nessun cadavere venga chiuso in cassa, né sottoposto ad autopsia o a trattamenti conservativi, a conservazione in celle frigorifere, né inumato, tumulato, cremato, imbalsamato, ecc. prima che siano trascorse 24 ore dal momento del decesso o 48 ore nei casi di morte improvvisa o nel sospetto di morte apparente. Si fa eccezione per i casi di decapitazione o maciullamento o per quelli nei quali il medico necroscopo avrà accertato la morte anche mediante l’ausilio di elettrocardiografo, la cui registrazione deve avere una durata non inferiore a 20 minuti primi. Ove la morte sia dovuta ad una delle malattie infettive o diffusive, comprese in un apposito elenco pubblicato dal Ministero della Sanità oppure nei casi in cui il cadavere presenti già segni di iniziata putrefazione, oppure quando altre ragioni speciali lo richiedano, su proposta del coordinatore sanitario dell’A.s.s.l., il Sindaco può ridurre la durata dell’osservazione a meno di 24 ore. Durante tale periodo, il corpo deve essere posto in condizioni tali che non ostacolino eventuali manifestazioni di vita. Visita del medico necroscopo Il Regolamento di Polizia Mortuaria stabilisce che la visita del medico necroscopo deve essere sempre effettuata non prima di 15 ore dal decesso salvo i casi particolari che sono previsti dall’art. 8, vale a dire i casi di decapitazione, di maciullamento, ecc. nonché quelli sottoposti ad accertamento precoce della morte, e non dopo le trenta ore. L’accertamento della morte eseguito dall’apposito Collegio medico secondo le modalità prima indicate esclude ogni ulteriore accertamento da parte del medico necroscopo e l’obbligo della certificazione della morte, compete al componente medico-legale o in mancanza a chi è stato designato a sostituirlo. Certificato di morte e sepoltura del cadavere Occorre distinguere il certificato di constatazione del decesso dalla denuncia delle cause di morte. Il primo può essere chiesto a qualsiasi medico che abbia prestato assistenza al morente oppure che sia intervenuto a decesso appena verificatosi. Si tratta di una attestazione scritta nella quale il medico dà atto dell’avvenuto decesso e, ove siano riconoscibili, attesta quali siano le cause immediate del suo verificarsi, le eventuali terapie praticate, ecc. La denuncia delle cause di morte, sarà obbligatoria solo per chi realmente conosce la concatenazione causale degli eventi che hanno condotto all’exitus il paziente. Tale obbligo vale in genere per il medico curante oppure per il medico necroscopo. Se l’esame esterno del cadavere pone in evidenza segni certi o sospetti di morte violenta, il medico avrà anche l’obbligo di stilare il referto e di mettere quindi la salma a disposizione dell’Autorità giudiziaria. È indispensabile che si sappia fare una corretta diagnosi differenziale tra morte naturale e morte violenta e che si sappia indicare l’epoca a cui risale l’exitus. Va infine segnalato che il medico può trovarsi di fronte a parti di cadavere oppure a resti mortali o ad ossa umane. Chi ne fa la scoperta deve informarne immediatamente il Sindaco, il quale ne dà subito comunicazione all’Autorità Giudiziaria, a quella di Pubblica Sicurezza ed all’azienda u.s.l. incarica dell’esame del materiale rinvenuto il medico necroscopo e comunica i risultati degli accertamenti eseguiti al Sindaco ed alla stessa Autorità Giudiziaria affinché questa rilasci il nulla osta per la sepoltura. Ad eccezione dell’ipotesi precedenti concernenti il rinvenimento di resti mortali, l’unica certificazione che abbia valore giuridico ai fini del rilascio dell’autorizzazione alla sepoltura da parte dell’Ufficiale di Stato civile, è il certificato di visita necroscopica ovvero la denuncia delle cause di morte. Solo quando queste risulteranno accertate, il cadavere potrà essere sepolto. Tale accertamento, che escluda il sospetto di morte violenta, è altresì necessario e pregiudiziale perché il corpo possa essere cremato, ferma restando in tal caso la necessità di una specifica disposizione espressa in vita dal defunto e dell’autorizzazione del Sindaco. Denuncia sanitaria delle cause di morte È una denuncia obbligatoria diretta al Sindaco del comune di residenza da inviare entro le 24 ore dall’accertamento del decesso. Con essa il medico precisa quali siano state le cause iniziali, intermedie e tardive che a suo giudizio hanno condotto a morte il proprio assistito. L’obbligo della denuncia della causa di morte vale anche per i medici che siano stati incaricati di eseguire autopsia giudiziaria oppure di effettuare un riscontro diagnostico, disposto dall’Autorità sanitaria. La denuncia deve essere fatta entro le 24 ore dall’accertamento del decesso su apposita scheda di morte, stabilita dal Ministero della Salute, d’intesa con l’Istituto Nazionale di Statistica. Al Comune pervengono sia le schede-denuncia delle cause di morte sia i certificati del medico necroscopo. Tali ultimi saranno allegati al registro di morte. La scheda di denuncia ISTAT comprende due riquadri: uno per la morte dovuta a causa naturale e l’altro per la morte dovuta a causa violenta. Per quest’ultima il medico dovrà precisare se si tratta di suicidio o di omicidio o di accidente o di infortunio sul lavoro. Dovrà quindi saper descrivere la lesione causale iniziale, le complicazioni sopravvenute, gli eventuali stati morbosi preesistenti, il mezzo, il modo, il luogo e l’epoca della lesione stessa, quindi l’intervallo di tempo eventuale intercorso fra il momento del fatto violento e l’epoca del decesso. Allorché sussista un dubbio fondato e motivato sulle cause cliniche della morte, il medico curante oppure il medico necroscopo dovrà chiedere alla competente Autorità Sanitaria di disporre il riscontro diagnostico. Il Procuratore della Repubblica cui perviene il referto accerta attraverso un proprio Perito la causa della morte ordinando l’esame esterno del cadavere oppure l’autopsia secondo le modalità stabilite dal codice di procedura penale. Trattandosi di persona sconosciuta, ordina che il cadavere sia esposto nel luogo pubblico a ciò designato e, all’occorrenza, sia fotografato. Si eseguiranno le varie indagini occorrenti per la sua identificazione. La sepoltura in questi casi non può mai essere eseguita senza l’ordine del Procuratore della Repubblica. IV capitolo Esame del cadavere. Sopralluogo giudiziario Il sopralluogo giudiziario rappresenta inevitabilmente il punto di partenza di fondamentale importanza ai fini della comprensione dell’evento doloso. Mentre l’esame sistematico del cadavere eseguito su disposizione dell’Autorità sanitaria, prende il nome di riscontro diagnostico, l’autopsia è ordinata dal Magistrato, quando è ritenuta necessaria per l’identificazione del cadavere o per stabilire la causa, i mezzi, l’epoca e le modalità della morte ai fini del giudizio di responsabilità. L’autopsia è considerata un accertamento tecnico non ripetibile. Quindi risulta fondamentale l’attività del Pubblio Ministero e del suo consulente che dovrà saper orientare sull’opportunità di promuovere “incidente probatorio”. L'incidente probatorio è un istituto del diritto processuale penale con il quale il pubblico ministero e la difesa dell'indagato possono chiedere l'assunzione anticipata dei mezzi prova nelle fasi precedenti il dibattimento. Anche se è prescritto durante la fase delle indagini preliminari non ne è escluso il suo ricorso nell'udienza preliminare - in questo caso competente è il gip che procede - e nella fase predibattimentale. I presupposti che lo giustificano non sono da ricercare soltanto nell'irripetibilità del mezzo prova da assumere ben potendo anche consistere in una mera ragione di opportunità (come accade nel caso di una perizia che se disposta nella fase dibattimentale per la sua complessità determinerebbe una sospensione del processo per oltre 60 giorni). Tale richiesta viene avanzata quando la prova riguardi una persona, una cosa o un luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile oppure, quando, se la perizia fosse disposta nel dibattimento, ne potrebbe determinare una sospensione superiore a 60 giorni. I metodi e le tecniche per stabilire sesso, età razza, statura, e per analizzare traumi sono utili all’antropologo per capire le differenze verticali e orizzontali (nel tempo e nello spazio) delle popolazioni mondiali. Quando gli stessi metodi vengono applicati a resti moderni di soggetti sconosciuti, con lo scopo di identificare e stabilire una modalità di morte, allora siamo nell’ambito forense. Spesso si tende a confondere il medico legale con l’antropologo forense. Esistono delle differenze di percorso formativo e di campo d’indagine, anche se la stretta collaborazione delle due discipline si rende necessaria per ottenere una completezza di risultati. L’antropologo forense è un esperto delle ossa, dello scheletro. Il patologo forense è un medico che effettua autopsie con lo scopo di stabilire una causa di morte, classificata in diversi modi come causa naturale, accidentale, suicida, omicida, ecc. Mentre l’antropologo forense focalizza sull’osso, il patologo forense focalizza l’attenzione sui tessuti molli. Questo spiega perché si possa incorrere in errori valutativi, quando una disciplina cerchi di prevaricare l’altra: il medico legale non può improvvisarsi antropologo e l’antropologo non può sopperire al medico legale. Il medico legale, l’antropologo e l’odontologo, ad esempio, una volta effettuati i prelievi sul luogo, necessitano di analisi più approfondite, che vanno dall’esame autoptico ad una serie di analisi di laboratorio, generalmente finalizzate a ricostruire un profilo biologico, un’identità personale quando possibile, una causa di morte ed un’epoca della morte. I risultati che ne derivano vengono poi tramutati in consulenze tecniche o perizie, che hanno lo scopo di tradurre al magistrato il dato tecnico specialistico. Il Magistrato, proprio per il ruolo che ricopre è, per antonomasia, il “peritus peritorum”. Poiché le sue competenze tecniche non gli consentono di portare avanti una specifica indagine sul quesito da egli stesso formulato, è tenuto a nominare, per tale compito, un esperto. Il sopralluogo giudiziario rappresenta inevitabilmente il punto di partenza di fondamentale importanza in un’inchiesta di polizia. E’ un momento di collaborazione tra magistratura, polizia giudiziaria e medicina legale. Il proposito dell’investigazione sulla scena del crimine è quello di stabilire cosa sia successo (ossia ricostruire la scena del crimine) e identificare la/e persona/e responsabili. Ciò è possibile documentando le condizioni del luogo di ritrovamento e riconoscendo tutte le evidenze fisiche. Un esperto non deve trarre delle conclusioni affrettate basandosi solo su informazioni approssimative, ma deve prendere in considerazione una serie ipotesi di modalità di reato, non scartando quelle possibili: “qualsiasi elemento, come pure l’assenza di elementi, può costituire una prova”. Lo scopo dell’investigazione si estende anche alla considerazione degli episodi connessi al decesso (suicidio/ autodifesa) e alla documentazione di quegli elementi che supportano o confutano tali ipotesi. Riscontro diagnostico e autopsia giudiziaria L’indagine autoptica si effettua tutte le volte che il Magistrato le richiede. Secondo la raccomandazione del Consiglio della Comunità Europea n. R (99)3 le autopsie dovrebbero essere effettuate in tutti i casi di morte non naturale, certa o sospetta, anche se sia trascorso un certo tempo tra l’evento reputato responsabile sotto il profilo causale e il decesso. Essa va effettuata: -nei casi di omicidio certo o sospetto; -nei casi di suicidio; -nei casi di morte improvvisa; -nei casi di sospetta violenza dei diritti umani; -nei casi di morte iatrogena o in rapporto a “mal practice” professionale; -incidenti stradali; -infortuni sul lavoro; -malattie professionali; -incidenti domestici; -catastrofi naturali o tecnologiche; -morte in condizione di detenzione carceraria o in rapporto ad azioni di polizia; -cadaveri non identificati o resti scheletrici. Il riscontro diagnostico è disciplinato dall’art. 37 del Regolamento di Polizia mortuaria (DPR 10 settembre 1990, n. 285). Esso viene eseguito quando si tratta di accertare le cause della morte nel caso di cadavere di persone decedute senza assistenza medica, trasportati in un ospedale o in un obitorio o in un deposito di osservazione o nel caso di cadaveri di persone decedute in ospedali, Cliniche universitarie o negli Istituti di cura privati, tutte le volte che lo dispongano i rispettivi direttori sanitari, primari o medici curanti per il controllo della diagnosi o per il chiarimento di quesiti clinico-scientifici. Esame esterno del cadavere Le principali finalità dell’indagine sono sostanzialmente le seguenti: -accertare l’identità del cadavere; -stabilire l’epoca della morte; -precisare la causa del decesso e quindi: • descrivere i segni esteriori di lesività ed i vari reperti traumatologici senza modificare lo stato fisico del cadavere; • obiettivare eventuali reperti morbosi in atto all’epoca del decesso, ovvero consolidati (esiti di malattie pregresse). A parte i dati concernenti la statura, il peso, il sesso, l’età apparente, la forma del cranio, il colore dei capelli, il carattere dei peli, la presenza dei nei, di cicatrici, di deformazioni ossee, si prenderà nota delle eventuali lesioni, antiche o recenti, dei materiali estranei presenti sul corpo come tracce di sangue e di altre macchie sospette, di capelli, di peli, ecc. Esame degli organi interni Le finalità dell’indagine in ambito medico-legale sono quelle di mettere in evidenza tutti i reperti anatomo-patologici (macro e microscopici) utili ai fini della identificazione personale, dell’accertamento dell’epoca della morte e della causa mortis. La dissezione va sempre effettuata con sistematicità e dopo aver compreso il significato dei quesiti a cui occorre rispondere. Vanno evitate mutilazioni inutili e la salma va ricomposta in ogni caso in modo soddisfacente così da essere restituita alla pietà dei congiunti. Solitamente si procede aprendo dapprima la cavità cranica, poi quella toracica, quindi il collo, la cavità addominale, il bacino e gli arti. Occorre essere preparati in anticipo a raccogliere campioni dei vari liquidi corporei quali il sangue, l’urina, il contenuto gastrico ed intestinale, il liquido cerebro spinale, la bile, ecc. nonché frammenti di organi o tessuti. Prima che un organo venga tagliato o ripulito in acqua occorre farne una preliminare, accurata ispezione precisandone la forma, il volume, i diametri, il peso, il colorito, l’aspetto della superficie, degli involucri, la consistenza, ecc. Diagnosi differenziale fra lesioni vitali e post mortali A volte, nello studio medico-legale del cadavere e delle cause della morte ci si trova di fronte alla necessità di distinguere se determinate lesioni siano state prodotte in vita oppure se siano state prodotte dopo la morte. I segni che depongono per il carattere pre-mortale o vitale della lesione sono: -reazione flogistica a carico dei margini della ferita, con aspetti di diverso tipo, anche in base al tempo trascorso dal momento di produzione della lesione, sino all’instaurarsi dei processi di granulazione e di cicatrizzazione; -infiltrazione leucocitaria in corrispondenza dei margini della ferita; -infiltrazione leucocitaria perivascolare; -infiltrazione emorragica. Giudizio conclusivo sulla causa mortis A seconda delle cause che la provocano si parla distintamente di: • morte naturale: se il decesso rappresenta la naturale conclusione del processo di malattia; • morte improvvisa: quando il decesso si verifica in modo istantaneo o rapido, inatteso od inopinato rispetto alle condizioni cliniche preesistenti al decesso; • morte iatrogena: ci si riferisce in genere a quei decessi nella cui genesi assumono importanza fattori legati al trattamento medico o chirurgico instaurato, a reazioni dannose o tossiche o allergiche ai farmaci somministrati ecc.; • morte violenta: se il decesso è causato dal comportamento violento di terzi oppure della persona su se stessa (omicidio, suicidio, accidente). Luogo della morte e indagini di sopralluogo Le indagini di sopralluogo sono tutte quelle che vengono effettuate sullo stesso luogo del ritrovamento del cadavere o dove si suppone sia stato commesso un delitto il medico incaricato di effettuarle deve rispettare tre regole fondamentali: 1. analizzare la scena del delitto, rilevando analiticamente e con il massimo scrupolo i vari dati ambientali. Potrà essere di grande utilità il rilievo di eventuali impronte di piedi, di tracce di veicoli o di sangue o di altri liquidi biologici come sperma, saliva, feci meconio, latte, ecc. oppure il rinvenimento di capelli, peli, ecc. o di oggetti di particolare significato criminologico come armi da fuoco, da taglio, ecc. Si valuterà se sono presenti segni di colluttazione, quale sia l’ubicazione della vittima in rapporto al luogo ove si trova, quale l’atteggiamento dei vari segmenti corporei, lo stato delle vesti, segni di bavagli, di legature ecc. 2. registrare i dati obiettivati mediante appunti, disegni, fotografie, schemi, ecc. 3. non modificare la scena del delitto senza che siano state completamente effettuate le indagini preliminari necessarie. Completato il sopralluogo, il corpo potrà essere traslato all’obitorio per l’esame settorio. VI capitolo Epoca della morte e modificazioni tanatologiche del cadavere I segni della morte considerati in rapporto al tempo, possono distinguersi in: - immediati: cessazione definitiva delle funzioni respiratoria, cardiocircolatoria e nervosa; - consecutivi: raffreddamento, rigidità, ipostasi, disidratazione, acidificazione; - trasformativi: sia distruttivi, sia conservativi: putrefazione, macerazione, mummificazione, saponificazione. Raffreddamento del cadavere Subito dopo il decesso, la temperatura del corpo diminuisce sino a raggiungere l’equilibrio con quella ambientale. Il decremento termico non segue però le comuni leggi fisiche, poiché, anche dopo la morte, si verificano processi biochimici capaci di produrre calore. Tali processi sono più intensi nelle fasi che seguono immediatamente l’exitus; poi si riducono gradualmente mano a mano che trascorre più tempo dal momento della morte. Si possono distinguere: - fase di discesa lenta: durante le prime quattro ore. La temperatura decresce di circa mezzo grado l’ora; - fase di discesa rapida: durante le successive dieci ore. La temperatura decresce di circa un grado l’ora; - fase di nuova discesa lenta: fra la quindicesima e la ventiquattresima ora dal momento del decesso. La temperatura scende dapprima di tre quarti di grado per ora, sino a raggiungere la temperatura ambientale. A causa dell’evaporazione post-mortale, la temperatura del corpo si abbassa ulteriormente di circa mezzo grado – un grado rispetto a quella esterna; - fase dell’equilibrio termico: oltre la ventiquattresima ora. Rigidità cadaverica Il rigor mortis consiste nell’irrigidimento dei muscoli volontari e involontari, che si manifesta dopo una fase di iniziale flaccidità post-mortale. Diventano rigide dapprima le palpebre, circa due, tre ore dopo il decesso. Successivamente il rigor si estende ai muscoli mimici del volto, quindi al resto della muscolatura della testa e del collo, del tronco, dell’addome, degli arti inferiori e dei piedi. Generalmente il processo si completa in un intervallo di tempo compreso fra le otto e le dodici ore seguendo un ordine cranio-caudale. Raggiunge il massimo fra le trentasei e le quarantotto ore dopo la morte ed inizia a regredire man mano che l’autolisi distrugge le proteine muscolari. La rigidità cadaverica consiste essenzialmente in un processo post-mortale di gelificazione dell’actomiosina con conseguente retrazione della fibra muscolare. Il muscolo rimane in stato di contrattura sino a che non iniziano i fenomeni putrefattivi e più precisamente la distruzione autolitica dei ponti gelificati di actomiosina. Ipostasi Venuta meno l’energia presso ria prodotta dalle contrazioni del cuore, il sangue si raccoglie nelle parti declivi, sotto la spinta della forza di gravità e della funzione vasale residua. Le ipostasi indicano la posizione assunta dal corpo dopo la morte e concorrono con altri dati a stabilire l’epoca del decesso. Le ipostasi indicano la posizione assunta dal corpo e concorrono con altri dati a stabilire l’epoca del decesso. Talora possono fornire utili indizi circa a stessa causa di morte. Quando il cadavere assume una posizione supina, le macchie ipostatiche sono situate alla nuca, sul dorso e sulla faccia posteriore degli arti, nella posizione prona, sono situate invece sulle ragioni anteriori o ventrali; nel decupido laterale sono situate sull’emifianco di decupido, ad eccezione dei punti di appoggio. Si parla di ipostasi anti-gravitarie quando si formano in zone non declivi, per ostacolo al deflusso ematico verso le regioni declivi. Talora si costituiscono grazie alla cosiddetta pseudo circolazione post-mortale causata dalla rigidità dei muscoli, che può spingere il sangue nelle sedi a monte, oppure dall’aumento putrefattivi della pressione endoaddominale. In rapporto al tempo si distinguono diverse fasi. In linea generale quando ancora non si vedono ipostasi sul corpo, possiamo supporre che siano trascorse meno di due ore dal momento della morte. Dalla seconda, terza ora in poi e sino alle dodici ore successive, le macchie aumentano d’intensità. Si è soliti distinguere: - fase di migrabilità assoluta o totale: movendo il cadavere, le ipostasi possono spostarsi completamente dalla prima sede e ricomparire nella nuova diventata declive. In questo caso si può pensare che siano passate 6-8 ore dal momento della morte; - fase di migrabilità parziale: movendo il cadavere le macchie ancora si spostano, ma solo parzialmente. Perciò accanto alle ipostasi si producono nuove piccole macchie, mentre le prime si attenuano d’intensità pur senza scomparire. In questo caso possiamo pensare che siano trascorse 8-12 ore dal momento del decesso; - fase di fissità relativa: può essere considerata estesa dalla dodicesima sino alla quarantottesima o settantaduesima ora circa. Le macchie possono ancora scomparire o spostarsi dalla posizione originaria, ma solo esercitando un’azione presso ria locale più o meno intensa; - fase di flessibilità assoluta: dopo le 48-72 ore dal momento della morte, la macchia ipostatica non è più spostabile. Ciò si verifica per la diffusione dei pigmenti ematici attraverso le pareti vasali interessate dal fenomeno putrefattivi. Le ipostasi sono di colorito rosso-violaceo. Possono assumere in colorito rosso ciliegia nell’avvelenamento di ossido di carbonio; un colore rosso vivo nell’avvelenamento da cianuro, un colorito bruno caffè nelle morti causate da veleni metaemoglobolizzanti (vapori nitrosi, anilina, ecc.). Il colorito diventa verdastro nello stadio colorativi della fase putrefattiva per formazione di solfo-emoglobina. Hanno un colorito assai pallido e sono estremamente scarse nelle morti per shock emorragico. Disidratazione Anche l’evaporazione ed il conseguente disseccamento post-mortale sono più o meno rapidi ed intensi a seconda dei vari fattori estrinseci (temperatura, ventilazione, umidità) ed intrinseci (costituzione, peso, condizioni del pannicolo adiposo sottocutaneo, sottigliezza della cute, ecc.). Una disidratazione cadaverica rapidissima quale può verificarsi in climi assai asciutti, caldi e ventilati può esitare in uno stato di mummificazione naturale. La disidratazione cadaverica assume aspetti particolarmente evidenti a livello oculare: - tela di Winslow (velo corneale) ovvero opacamento corneale; - macchie sclerali; - infossamento del bulbo e riduzione della tensione endoculare: segno di Louis. Acidificazione È dovuta sostanzialmente all’accumulo di acido lattico provocato dalla cessazione dei meccanismi ossido riduttivi a livello cellulare. L’accumulo di cataboliti acidi può essere studiato a livello di: -liquidi organici; -visceri interni; -umor acqueo e umor vitreo. I risultati non sono univoci e per tale motivo i dati che ne derivano non sono generalmente utilizzabili ai fini della valutazione dell’epoca della morte. Putrefazione Man a mano che ci si allontana dal momento della morte, i vari tessuti del corpo vanno incontro ad un progressivo sfacelo per l’azione di microrganismi saprofiti (batteri aerobi e anaerobi), che vengono a sommare i loro effetti a quelli dei fermenti autolitici. L’andamento della putrefazione segue generalmente la regola dell’1.2.8 esposta a suo tempo da Camper: il grado di putrefazione di un cadavere esposto all’aria da una settimana (1), corrisponde a quello raggiunto in due settimane dall’annegato (2) e in otto settimane dal cadavere inumato (8). La mancanza d’aria, l’assenza di microrganismi, le temperature basse o molto elevate, l’atmosfera secca ed asciutta, o per converso l’emersione in acque fredde, oppure l’interramento tendono a rallentare notevolmente la degradazione del cadavere. Tra i fattori intrinseci più importanti che possono la maggiore rapidità del processo putrefattivi, a parte l’età, sono da annoverare soprattutto le cause infettive della morte e l’obesità. A seconda del tempo trascorso rispetto al momento del decesso si distinguono: - periodo colorativo contraddistinto dalla cosiddetta macchia verde putrefattiva che compare verso il secondo o terzo giorno dopo la morte ad una temperatura ambientale di 20°C; - periodo gassoso inizia verso il terzo, quarto giorno, in inverno entro 15-20 giorni dal momento del decesso; - periodo colliquativo si rende ben manifesto in estate verso il 2° mese, in inverno solo dopo 4 mesi o più dalla morte. Il cadavere viene aggredito da parte di germi aerobi e anaerobi; - periodo della scheletrizzazione si completa in genere dopo 3-5 anni. È più precoce nei cadaveri interrati. Più tardivo nei cadaveri sepolti in cassa di zinco. Saponificazione Adipocera È un processo trasformativo che si verifica nei cadaveri esposti ad elevata umidità ambientale e scarsa ventilazione o che restano per molto tempo in acqua. Si tratta generalmente di soggetti morti per annegamento e rimasti in acqua oppure di cadaveri sommersi o di corpi inumati in terreno umido, come avviene nel caso di superficialità della falda freatica. La saponificazione non è sempre preceduta da un certo grado di putrefazione del cadavere. Esternamente l’adipocera si presenta come una massa bianca, saponosa, di consistenza friabile oppure più o meno dura e compatta, untuosa, viscida, dal tipico odore di formaggio o rancido. Si forma una specie di corazza untuosa che sembra fatta di calce o di lardo che circonda tutto il corpo del cadavere. Essa quando si verifica è ben evidente già dopo sei mesi dalla morte. Mummificazione Quando il processo putrefattivi si arresta negli stadi iniziali, essendo il cadavere posto in ambiente asciutto, assai caldo e ben ventilato, il corpo va incontro ad una rapida e massiva perdita di liquidi. È in queste condizioni che si verifica il fenomeno di mummificazione più frequente nel caso di soggetti magri. Il corpo assume un colorito bruno, pergamenaceo, a tipo cuoi vecchio, a differenza di quello lucente, tipico della codificazione: varietà di processo trasformativo che può osservarsi fra il 1° e il 2° anno di inumazione nei cadaveri rimasti in casse metalliche ermeticamente chiuse, specie se di zinco. In condizioni favorevoli il processo può completarsi anche entro un anno dalla morte. Macerazione Per macerazione si intende il processo trasformativo cui va incontro il feto in caso di morte in utero e di mancata o ritardata espulsione, dovuto prevalentemente ad azione di enzimi autolitici. Corificazione La codificazione è il processo trasformativo dei cadaveri nelle casse di zinco. Avviene più lentamente nel tempo rispetto ai cadaveri inumati. La cute assume un caratteristico aspetto di “cuoio recente” e sul fondo della cassa è dato di osservare per molto tempo una certa quantità di liquame cadaverico. Bibliografia Bazzi,T., De Vincentiis, G., La valutazione medico-legale e l'inquadramento clinico delle tossicomanie, Giuffrè, Milano 1960 Bertolino, M., L'imputabilità ed il vizio di mente nel sistema penale italiano, Giuffrè, Milano 1990. Bruno, F., La pericolosità sociale psichiatrica, in F. Ferracuti (a cura di), Trattato di Criminologia, Medicina Criminologica e Psichiatria Forense, vol. XIII, Giuffrè, Milano 1990. Crespi, A., voce Imputabilità, in Enciclopedia del diritto, vol. XX, Giuffrè, Milano 1970. Macchiarelli L., Albarello P., Cave Bondi G., Di Luca N.M., Feola T., Medicina Legale, Minerva Medica, Torino 2006 Puccini C. - Istituzioni di Medicina Legale - Ed. Ambrosiana Milano Pazzini A., Storia della medicina vol. I-II, Società Editrice libraria, Milano 1947