10. Per una scuola aperta a tutti. immigrazione e

10. Per una scuola aperta a tutti. Immigrazione e
educazione interculturale
Marco Catarci
Università degli Studi Roma Tre
[email protected]
Abstract
A partire da un riferimento al principio e al
progetto culturale di scuola “aperta a tutti”
proposti nella Costituzione della Repubblica
Italiana, il contributo intende analizzare alcuni recenti aspetti delle pratiche educative interculturali in Italia, per poi descrivere la sperimentazione di dispositivi didattici in corso
nella scuola, con una riflessione sul possibile
impiego delle tecnologie dell’informazione e
della comunicazione in tale ambito. Vengono
discusse, infine, alcune criticità di tali esperienze e, in conclusione, vengono avanzate
alcune proposte per il futuro.
Abstract
Moving from a reference on the juridical principle and the cultural project of “school open
to everyone” stated by the Constitution of the
Italian Republic, the essay focuses on the
analysis of some recent aspects of practices
of intercultural education in Italy; hence, it
describes the intercultural didactics experimentation in schools, with a reflection on the
potentiality of information and communication technology in this field. Finally, the essay
considers some criticalities of such experiences and closes by putting forward some proposals for the future.
Parole chiave: educazione interculturale, pedagogia interculturale, immigrazione, Italia,
didattica interculturale, allievi stranieri, mediazione culturale, apertura
Key words: intercultural education, intercultural pedagogy, immigration, Italy, foreign
students, cultural mediation, opening
R. Roig Vila & M. Fiorucci (Eds.) (2010). Claves para la investigación en innovación y calidad educativas. La integración
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l’innovazione e la qualità in ambito educativo. Le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione e l’Interculturalità
nella scuola. Alcoy & Roma: Marfil & Università degli Studi Roma Tre, 111-120.
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MARCO CATARCI
1. Il progetto culturale di scuola “aperta a tutti” pensato nella Costituzione
L’istituzione scolastica ha sempre rappresentato in Italia uno spazio rilevante di mediazione di conflitti culturali e sociali, che sono poi parte integrante della vita democratica di una
società.
Pur con le difficoltà e le criticità evidenziate dalla ricerca storica in prospettiva educativa,
l’intento di mediazione di molteplici differenze sociali e culturali ha caratterizzato molti passaggi della storia della scuola italiana, che è sempre stata, in fin dei conti, uno spazio di conflitti tra
le polarità dei mutamenti sociali in atto (Barbagli-Dei, 1969; Campani, 2008).
Per comprendere la profonda vocazione di mediazione culturale dell’istituzione scolastica,
è sufficiente fare riferimento al principio e al progetto culturale di “scuola aperta a tutti” proposto nella Costituzione della Repubblica, in particolare negli articoli 33 e 34.
All’indomani della seconda guerra mondiale, la Costituzione assegna alla scuola, infatti, un
vero e proprio ruolo di mediazione di conflitti sociali e culturali, attraverso il riferimento ai valori
laici ed egualitari nel sistema educativo pubblico. Non a caso la stessa carta costituzionale
nasce da una mediazione tra le grandi forze democratiche del secondo dopoguerra: quella
cattolica, quella comunista, quella socialista e quella liberale.
Cosa rimane di questo progetto di “scuola aperta” oggi? In un’attualissima riflessione, uno
dei padri della Costituzione, Piero Calamandrei, spiega che la scuola pubblica è un “organo
costituzionale” della democrazia. Proprio come il Presidente della Repubblica, la Camera dei
Deputati, il Senato, la Magistratura, anche la scuola è un organo che attua, mette in pratica la
Costituzione, con il compito essenziale di promuovere la mobilità sociale, dunque la possibilità
per gli allievi di migliorare la propria vita e la società: “La scuola è aperta a tutti –sostiene
Calamandrei nel 1950 in occasione di un convegno dell’Associazione a Difesa della Scuola
Nazionale–. Lo stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è scritto
nell’articolo 33 della Costituzione. La scuola di stato, la scuola democratica, è una scuola che
ha un carattere unitario, è la scuola di tutti” (Calamandrei, 1950: 89). Si tratta, dunque, di uno
“strumento di eguaglianza civica, di questo rispetto per le libertà di tutte le fedi e di tutte le
opinioni” (Calamandrei, 1950: 90).
Diversi episodi della storia dell’istituzione scolastica italiana dimostrano, senza dubbio,
che il progetto di “scuola aperta” prescritto dal dettato costituzionale non è stato –e, si può
aggiungere, non è nemmeno oggi– di semplice attuazione.
Per richiamare un episodio emblematico, la difficoltà del sistema educativo di mediare
tra differenze sociali e culturali sempre presenti nella società è sicuramente ben espressa
dalle parole degli otto ragazzi della Scuola di Barbiana che, all’alba di una stagione del paese
nella quale forse i conflitti sociali non possono ulteriormente essere repressi, rivolgendosi agli
insegnanti per denunciare le dinamiche di esclusione sociale perpetuate dall’istituzione pubblica scolastica, scrivono: “tutta la vostra cultura è costruita così. Come se il mondo foste voi”
(Scuola di Barbiana, 1967, p. 13). Si tratta di parole che potrebbero essere espresse, oggi, da
qualche allievo straniero. La Lettera a una professoressa denuncia, infatti, che l’incapacità
della scuola di stabilire mediazioni efficaci tra differenze sociali e culturali è causa di diffusi
episodi di esclusione sociale.
La scuola italiana diventa poi -per citare un altro passo della storia dell’istituzione scolastica- uno straordinario “laboratorio sociale” di mediazione e gestione delle differenze sociali
e culturali nel nord Italia quando, dalla metà degli anni cinquanta e per tutti gli anni sessanta
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del Novecento, si realizza un impressionante spostamento di persone dal sud al nord del
paese e dalle campagne alle città, che secondo Paul Ginsborg interessa ben nove milioni
di italiani. In questi anni, mentre l’Italia si trasforma repentinamente da paese agricolo in
paese industriale, il miracolo economico rappresenta anche “l’occasione per un rimescolamento senza precedenti della popolazione italiana” (Ginsborg, 1989: 295) nella società e
nella scuola.
Il progetto costituzionale di “scuola aperta” resta, allora, un progetto educativo che impegna educatori, insegnanti, ricercatori, studiosi, per cogliere, come ben espresso in un suggestivo invito di Aldo Capitini negli anni Sessanta, una straordinaria opportunità del nostro tempo
in cui, con le culture di tutto il mondo presenti a scuola, si può apprendere lo spirito del dialogo praticandolo quotidianamente: “Auguro a tutti i ragazzi –afferma Capitini– di frequentare
scuole nelle quali abbiano compagni di diversa educazione ideologica religiosa e politica: è
evidente che una scuola ideologicamente uniforme e chiusa può molto più facilmente portare
all’ostilità e alla guerra, perché educa a considerare le diversità come insopportabili e da eliminare in nome dell’ideologia appresa” (Capitini, 1967: 295).
Poiché il raccordo di una pluralità di orientamenti sociali, politici e culturali è sempre stato
parte rilevante dell’orizzonte educativo della scuola pubblica, il contesto multiculturale rappresenta oggi solo una dimensione di quell’ampia diversità culturale e linguistica che ha costantemente caratterizzato, in fin dei conti, la scuola a partire dall’Unità d’Italia.
La scuola multiculturale diviene, inoltre, una straordinaria risorsa e un’irrinunciabile opportunità per costruire, attraverso la pratica quotidiana del dialogo nella scuola, una feconda
cultura di pace nella società, vale a dire una cultura in grado di preparare, sviluppare, difendere la pace.
Il progetto di “scuola aperta” pensato nella Carta Costituzionale va tradotto allora oggi
nell’impegno a garantire condizioni per l’uguaglianza di opportunità formative, a partire dal
riconoscimento della presenza e dei bisogni di 680 mila allievi di differente origine culturale
(Caritas-Migrantes, 2009: 175), nella prospettiva di una società aperta, democratica e pluralista.
In questo senso, l’approccio interculturale rappresenta, nel nostro tempo, il migliore orientamento per la progressiva attuazione di quella idea di “scuola aperta a tutti” prevista dal
dettato costituzionale.
2. Immigrazione e educazione interculturale
Nella prospettiva di un positivo inserimento sociale degli allievi stranieri, l’orientamento
interculturale deve essere volto a garantire, in primo luogo, l’uguaglianza delle opportunità
formative.
I nuovi “allievi della Scuola di Barbiana” che rischiano di restare esclusi dalla possibilità
di percorsi di mobilità sociale ascendente sono insomma oggi, come denunciano i dati relativi
agli abbandoni scolastici negli istituti secondari di II grado (Ministero dell’Istruzione, 2009: 24),
soprattutto gli allievi stranieri.
È indispensabile, tuttavia, chiarire anche quale è il contesto effettivo nel quale la scuola
dovrebbe operare per promuovere “percorsi di mobilità sociale ascendente” per gli allievi stranieri e, di conseguenza, quali aspetti nuovi sta acquisendo il fenomeno migratorio. Così come
nel corso degli anni Novanta si è preso atto che l’immigrazione era ormai un fenomeno stabile
e che la presenza degli allievi stranieri nella scuola italiana era destinata ad assumere dimen-
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MARCO CATARCI
sioni sempre più consistenti nel corso del tempo, occorre oggi cogliere alcuni aspetti nuovi del
fenomeno migratorio.
Il primo è inerente il rapido mutamento in corso del panorama dei bambini e degli adolescenti stranieri, sempre più visibile nella scuola. Vi è ormai un cospicuo numero di allievi
di origine straniera nati in Italia, il 35% degli allievi con cittadinanza non italiana, con bisogni
formativi diversi rispetto a quelli della prima generazione di studenti stranieri, che pongono,
però, problemi pedagogici altrettanto rilevanti, a cui è necessario fornire risposte educative
attraverso un investimento formativo interculturale “stabile”. Si tratta, dunque, di allievi che
vengono definiti “stranieri”, pur essendo in molti casi nati in Italia o anche in possesso solo di
un vago riferimento con la cultura di origine dei propri genitori.
Il secondo aspetto riguarda l’attuale percezione diffusa del fenomeno migratorio in Italia.
Vi è oggi una grande attenzione in Italia nei confronti del fenomeno dei cosiddetti “sbarchi”.
Va forse precisato che gli ingressi via mare dalle coste del Sud Italia costituiscono soltanto il
10% di tutti gli ingressi del territorio nazionale (Caritas-Migrantes, 2009: 496): l’attenzione dei
media a questo aspetto è dunque evidentemente sproporzionata, benché contribuisca enormemente alla formazione di percezioni sovradimensionate degli arrivi di migranti in Italia. Tale
dato aiuta poi a comprendere l’effettivo percorso di chi si trova in condizione di irregolarità giuridica: il 60-65% degli irregolari diventa tale soltanto dopo l’ingresso regolare nel paese, dopo
non esser riusciti a corrispondere ai requisiti normativi previsti (OECD, 2008: 252).
Un ultimo aspetto concerne quanto evidenziato da ricerche del Ministero dell’Interno e
della Banca d’Italia. Tali indagini mettono in luce contesti di vita e di lavoro di forte disparità
tra italiani e stranieri. Nel percorso di inserimento lavorativo, il titolo di studio non agisce, ad
esempio, per uno straniero nello stesso senso che per un italiano. Per livelli di istruzione simili
si profilano condizioni occupazionali del tutto differenti: l’incidenza percentuale di lavoro non
qualificato è sempre più elevata per gli stranieri –e in particolare per le donne– che per gli
italiani (Ministero dell’Interno, 2007: 190-194).
Mentre per gli uomini stranieri la probabilità di lavorare nei segmenti occupazionali caratterizzati da competenze di basso profilo è, infatti, doppia rispetto agli italiani, per le donne tale
probabilità diventa circa 8 volte superiore a quella delle italiane (Ministero dell’Interno, 2007:
209).
Si tratta di uno scenario che viene approfondito anche da uno studio dei ricercatori della
Banca d’Italia in riferimento alle retribuzioni degli immigrati nel mercato del lavoro italiano. Per
gli immigrati irregolari la retribuzione è inferiore di circa il 20% rispetto a quella di coloro che
sono regolarmente presenti in Italia: per le donne straniere il salario si riduce, poi, del 26-28%
rispetto agli uomini (Accetturo-Infante, 2008: 12-13).
Perché tutto ciò riguarda la scuola? È doveroso tenere nella giusta considerazione tali
aspetti perché la scuola deve, in questo senso, sicuramente costruire le basi per una cultura
dell’accoglienza, ma a tal fine deve ancor prima adoperarsi per consentire l’acquisizione delle
conoscenze necessarie per attuare una corretta percezione del fenomeno migratorio, di fronte
a messaggi erronei ma ben più pervasivi che vengono trasmessi al di fuori della scuola: non è
allora oggi forse più sufficiente operare per la sensibilizzazione e per l’apertura verso elementi
culturali altri, attraverso un approccio “culturalista” che rischia di essere poco efficace, ma
occorre costruire, invece, percezioni corrette della presenza e della vita di quattro milioni e
seicentomila lavoratori stranieri che spesso svolgono ruoli –che sono stati definiti con impressionante lucidità di quanto accade– di “servi” degli italiani (Rovelli, 2009).
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Per perseguire l’obiettivo di una effettiva uguaglianza di opportunità formative, dal quale
far scaturire percorsi di mobilità sociale ascendente, si deve tener presente che questo, e non
un altro, è il punto di partenza per qualsiasi orientamento di educazione interculturale.
3. La revisione della didattica in senso interculturale
In questi anni, nella scuola italiana, in particolare negli istituti primari, si è sviluppata una
ricca sperimentazione di percorsi e dispositivi didattici interculturali.
Per molti docenti l’educazione interculturale rappresenta il proseguimento di didattiche
già da tempo orientate verso l’educazione alla pace e ai diritti umani; in tali casi, l’esperienza
pregressa facilita senza dubbio la sperimentazione di metodologie in grado di trasformare gli
approcci teorici dell’educazione interculturale in prassi. Alcune strategie in grado di favorire la
revisione della didattica in senso interculturale sono state le seguenti:
@ la predisposizione di specifici spazi e momenti per l’accoglienza degli allievi stranieri;
 l’avvio di percorsi formativi a favore degli insegnanti, sui temi della didattica interculturale;
@ l’assegnazione ad un docente della funzione di “referente per l’intercultura” o di “facilitatore” dell’inserimento degli allievi stranieri;
@ l’avvio, anche attraverso gruppi di lavoro di insegnanti, di una riflessione critica, che
chiama in causa obiettivi (soprattutto cognitivi e relazionali), contenuti, metodologie,
strumenti e stili del processo di insegnamento-apprendimento.
Seppure in modo eterogeneo e a volte poco consapevole, sono stati sperimentati vari dispositivi didattici volti, da una parte, all’inserimento degli allievi stranieri e, dall’altra, al riorientamento della didattica in senso interculturale.
Nel primo caso, sono stati adottati:
@ il protocollo d’accoglienza, che è un documento, di solito deliberato dal Collegio dei docenti e inserito nel Piano dell’Offerta Formativa della scuola, che predispone e organizza
le procedure che la scuola intende mettere in atto riguardo l’iscrizione e l’inserimento
di alunni stranieri. Tale strumento nasce dunque dall’esigenza di definire pratiche condivise in tema di accoglienza degli alunni stranieri, individuando: criteri e indicazioni
riguardanti l’iscrizione e l’inserimento a scuola degli alunni stranieri; compiti e ruoli degli
operatori scolastici; fasi dell’accoglienza; modalità di intervento per l’apprendimento della lingua italiana; risorse necessarie per tali interventi;
@ laboratori di insegnamento dell’italiano come lingua seconda;
@ sportelli di informazione per le famiglie straniere e materiali informativi o percorsi conoscitivi per i genitori stranieri sul sistema scolastico italiano, anche grazie al contributo di
mediatori linguistico-culturali.
Al secondo ambito di interventi –quello relativo al riorientamento della didattica in senso
interculturale– fanno capo le seguenti attività:
@ percorsi didattici interculturali. Sono stati sperimentati in questi anni percorsi volti alla
conoscenza delle differenti culture, rivolti alla conoscenza di uno specifico contesto culturale, anche al di là della presenza di eventuali alunni stranieri nella classe; percorsi sul tema delle migrazioni, attraverso un lavoro diretto degli studenti su materiali e
documentazione di vario tipo, ad esempio giornali, libri, film, romanzi, racconti, poesie
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MARCO CATARCI
che affrontano questo argomento; percorsi volti al decentramento dei punti di vista, che
mirano ad evi­den­ziare l’esistenza di una pluralità di prospettive nell’analisi di qualsiasi
oggetto; percorsi volti alla prevenzione degli stereotipi, dei pregiudizi e del razzismo, volti
ad evidenziare gli stereotipi e i pregiudizi, presenti in molti ambiti della comunicazione
sociale e della stessa tradizione culturale; percorsi di educazione alla gestione creativa e
nonviolenta dei conflitti, mirati alla conoscenza di comportamenti e tecniche di gestione
del “conflitto”; percorsi di educazione democratica, ai diritti umani e allo sviluppo, che
coinvolgono ambiti specifici, con un percorso per alcuni versi autonomo, ma strettamente connesso all’educazione interculturale.
@ il referente per l’intercultura, un docente al quale viene chiesta una costante attività di
formazione rispetto alla normativa, ai contenuti didattici, alla capacità di mediazione,
alle tecniche di cooperazione, alle interazioni con il territorio alla luce dei cambiamenti
in atto nella società.
@ percorsi formativi per gli insegnanti e di sensibilizzazione per il personale scolastico,
anche di quello non docente.
@ sportelli di consulenza per i docenti, anche grazie all’impiego di mediatori linguisticoculturali.
4. Il possibile contributo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione all’orientamento interculturale
La capacità di interrogarsi criticamente su contenuti curricolari, stili educativi e modalità
con cui si conduce il lavoro didattico costituisce la risorsa più rilevante per costruire un orientamento interculturale efficace. Vi è infatti un ruolo cruciale dei gruppi di studio e di riflessione
critica, composti da docenti che intendono interrogarsi sulle metodologie e sugli “oggetti” di
insegnamento, per costruire una prospettiva metodologico-didattica di educazione interculturale.
In questo senso, appare utile interrogarsi anche sul ruolo -forse ancora poco esplorato- che può avere l’impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nella
costruzione di un orientamento di educazione interculturale, a partire in primo luogo da quel
carattere di “apertura” dei processi, strettamente connesso all’impiego delle tecnologie multimediali.
La letteratura scientifica ha evidenziato, ad esempio, come la pedagogia interculturale
possa essere ben rappresentata dalla metafora della “rete”, dal momento che si tratta di un
campo di ricerca e di studi che si situa alla confluenza di diversi e complessi apporti, caratterizzandosi come una pedagogia di frontiera in cui si innestano non solo i saperi pedagogici,
ma anche saperi psicologici, antropologici, storici, geografici, economici, sociologici, letterari,
linguistici (Susi, 1999: 9). La stessa “competenza interculturale” viene quindi costruita come
una ragnatela di conoscenze, “tenute” da alcuni nodi fondamentali che ne costituiscono l’intelaiatura.
Tale dimensione è del resto ben presente nella pratica degli insegnanti che impiegano
la rete Internet per il reperimento di informazioni necessarie a costruire percorsi didattici interculturali, attraverso, ad esempio, la creazione di ipertesti, a partire dai materiali reperiti
mediante la rete; attività di comunicazione attraverso la rete, allo scopo di stabilire contatti
con classi, scuole e paesi lontani; la costruzione di un sito web della scuola o di un progetto,
che costituisce uno strumento in grado di raccogliere informazioni multimediali condivise dagli
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10. PER UNA SCUOLA APERTA A TUTTI. IMMIGRAZIONE E EDUCAZIONE INTERCULTURALE
studenti; attività interdisciplinari, facilitate proprio dalla dimensione multimediale della rete e
degli strumenti informatici; percorsi di e-learning.
È stato osservato, inoltre, che le relazioni tra tecnologie dell’informazione e della comunicazione ed educazione interculturale non si esplicano solo nel ruolo della rete di bacino di contenuti e di informazioni interculturali, ma anche nell’ampia possibilità di scambio e di incontro
con realtà altre e lontane, nel quale la multimedialità assume il ruolo di facilitatore per l’acquisizione di competenze ed abilità tipicamente interculturali. In questo senso, le interazioni di
matrice interculturale possono essere attivate secondo una complessità crescente:
– attività di documentazione e di scambio di esperienze;
– conoscenza di diverse culture;
– partenariato e collaborazione a distanza;
– partecipazione alla creazione di una “intelligenza collettiva”, che si sviluppa attraverso
la cooperazione di persone che riflettono su un medesimo problema (Tosolini-Trovato,
2001: 60).
In ambito educativo, in particolare, la rete configura una struttura di relazioni sociali tra
persone che apprendono, attraverso un comportamento collaborativo. Tale prospettiva cooperativa, in cui, ad esempio, persone appartenenti a differenti culture interagiscono per costruire
“oggetti” di apprendimento, realizza nel modo migliore l’integrazione dialettica propria della
prospettiva interculturale.
La logica della reticolarità tipica delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione
in ambito didattico promuove, infatti, principi essenziali all’orientamento interculturale, come
gli elementi di dialogicità e di apertura, il riconoscimento della pluralità degli stili di apprendimento o di modi di conoscere, nonché il confronto tra i diversi punti di vista.
Dovrà quindi essere sviluppato sempre di più, in ambito didattico, il ruolo di tali tecnologie nella promozione di forme di interazione collettiva di matrice collaborativa tra soggetti di
culture differenti, nonché la valenza di esse nella complessiva costruzione di quelle strategie
didattiche indispensabili a favorire una modalità di insegnamento realmente dinamica e flessibile, nonché una comunicazione aperta ed efficace all’interno della classe, in vista del superamento di un modello didattico esclusivamente verbale, astratto, deduttivo e rivolto in maniera
indifferenziata all’intera classe.
Una tale riflessione critica sulle modalità con cui si svolgono i processi di comunicazione
in classe è indirizzata, quindi, alla ricerca di una maggiore congruenza tra i canali della comunicazione didattica e lo stile cognitivo del singolo allievo. Per garantire una proposta formativa
efficace, qualsiasi orientamento interculturale deve porsi il problema, infatti, delle diversità
degli stili cognitivi degli allievi.
Va sottolineato, inoltre, che l’impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nella didattica modifica anche le strutture costitutive dell’esperienza, nelle sue dimensioni cognitive, percettive ed emozionali. In particolare elementi tipici della multimedialità,
quali l’apertura, gli ordinamenti mobili basati sull’associazione, sull’analogia e la differenza,
sull’orizzontalità, possono favorire il perseguimento di obiettivi rilevanti per qualsiasi orientamento interculturale, come il “decentramento cognitivo” o il confronto tra punti di vista.
Tale prospettiva può contribuire, altresì, al superamento della rigida suddivisione in discipline nei percorsi educativi, a favore di un modello di conoscenza come fatto sociale, quindi reticolare, vale a dire ricco di interrelazioni e di confronti tra differenti interpretazioni della realtà.
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Proprio la presenza di allievi di differente provenienza culturale può fornire, quindi, un’importante opportunità per ripensare lo stile di insegnamento e, al contempo, la comunicazione didattica.
5. Criticità delle pratiche educative interculturali
Un’approfondita analisi del contesto delle odierne pratiche interculturali non può prescindere dalla segnalazione di alcune criticità, che rischiano di minare l’efficacia di un tale orientamento educativo.
La prima criticità che si intende qui segnalare concerne il fatto che l’educazione interculturale appare ancora troppo spesso attuata soltanto quando vi è una presenza di allievi stranieri
nella classe. È senza dubbio vero che è quest’ultima a spingere in qualche modo la scuola a
“ripensarsi”. Tale aspetto rischia, tuttavia, di confinare l’educazione interculturale a un insieme di approcci emergenziali da indirizzare soltanto verso gli allievi stranieri. Per assumere un
orientamento di mediazione culturale permanente è necessario, invece, rendere “visibile” l’investimento interculturale all’interno della scuola al di là della presenza di allievi stranieri: l’educazione può infatti incidere efficacemente sui contesti sociali solo se i diversi attori scolastici
si adoperano coscientemente, intenzionalmente e stabilmente per coltivare la conoscenza, il
dialogo, la cooperazione tra lingue, culture e religioni diverse.
Si tratta, dunque, di cogliere l’opportunità di innovazione pedagogica che il contesto sociale multiculturale offre. I sistemi educativi non hanno reagito, tuttavia, in questi anni in modo
trasformativo ai mutamenti sociali in atto, bensì con continui adattamenti volti ad affrontare
le diverse problematiche secondo uno stile emergenziale: è necessario, invece, porsi in una
prospettiva di interrogazione critica su quanto è stato fatto fino ad oggi, per assumere un orientamento di innovazione della progettazione didattica.
Una seconda criticità in cui può incorrere chi si impegna in un percorso interculturale concerne, inoltre, una possibile riduzione dell’educazione interculturale a un insieme di tecnicismi
e metodologismi. Ciò è forse dovuto alla necessità che l’educazione risponda in modo adeguato ad esigenze urgenti, segnalate anche dal contesto sociale. Parlare di orientamenti e approcci educativi significa, però, fondamentalmente fare riferimento a un’idea di società da costruire
e di uomo e donna che ci vivranno. L’educazione interculturale rischia, pertanto, di smarrire un
aggancio con un progetto di società ben definito: non tanto nel senso di un presunto “orizzonte
teorico” di riferimento, forse difficilmente precisabile, quanto piuttosto nella sua valenza di
consapevole risposta a quanto accade nella realtà sociale circostante.
In questo senso, vanno sottolineati due aspetti della questione. Anzitutto il rapporto tra
persone di culture diverse non è affatto simmetrico, al contrario spesso si presenta come un
rapporto di forza, con una cultura egemone ed una subalterna, perché all’interno di relazioni
socio-economiche. Inoltre la scuola e, in particolare, l’educatore non sono attori neutri di una
mediazione culturale, ma sono soggetti storicamente situati, che dunque debbono compiere
scelte pedagogiche e didattiche: è indispensabile, allora, chiedersi quale tipo di società si intende costruire con un approccio di educazione interculturale.
Una prospettiva di pedagogia interculturale richiede, infatti, di produrre descrizioni del
“sistema-mondo” che esplicitino e rendano visibili i rapporti di forza tra i paesi, tra le culture,
tra i gruppi sociali, tra i generi. Come ha sottolineato con la sua pedagogia degli oppressi Paulo
Freire (Freire, 2002), deve essere riconosciuto che le isti­tuzioni educative non svolgono una
funzione neutrale, ma al contrario contribuiscono con la loro azione agli orientamenti, alle
scelte di valore e al tipo di società da costruire.
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10. PER UNA SCUOLA APERTA A TUTTI. IMMIGRAZIONE E EDUCAZIONE INTERCULTURALE
6. Conclusione
Dalle criticità discusse debbono scaturire possibili sviluppi per la costruzione di nuove risposte educative alle questioni poste dalla società multiculturale.
A conclusione del presente ragionamento, si intendono avanzare, dunque, alcune proposte per il futuro. Va riconosciuto, in primo luogo, che il problema dell’integrazione degli allievi
stranieri non si gioca spesso solo a scuola, ma più in generale nella società. Sono infatti le
famiglie straniere nel loro complesso che necessitano di interventi volti a contrastare l’esclusione sociale. La scuola può divenire, in questo senso, un formidabile agente di inclusione
sociale anche per i genitori, facilitando l’orientamento di essi nei percorsi di Educazione degli
adulti. Per questo motivo, sarebbero auspicabili maggiori raccordi tra i servizi di Educazione
degli adulti, la cui attenzione deve essere sempre rivolta ad un maggiore coinvolgimento nei
percorsi formativi degli adulti che per diverse ragioni non riescono ad esercitare il proprio
diritto all’apprendimento permanente, e le istituzioni scolastiche, che costituiscono un luogo
naturale di passaggio per certi versi “obbligato” per le famiglie in difficoltà o a rischio di esclusione sociale.
A tal fine, occorre concepire l’istituzione scolastica non solo come un luogo in cui si erogano percorsi di istruzione, ma anche come uno spazio di “orientamento sociale” per le famiglie
degli allievi: ciò impone ovviamente di dotare la scuola di risorse e professionalità adeguate
a tale ruolo.
In secondo luogo è necessario adoperarsi affinché la competenza interculturale venga intesa come un bagaglio indispensabile di cui dotare qualsiasi allievo. Occorre infatti acquisire
consapevolezza del fatto che i nostri saperi non sono altro che il prodotto di costruzioni sociali
di una determinata epoca storica. Se non si ripensano i dispositivi del sapere, viziati da un
riconoscimento esclusivo di un’unica tradizione “etnocentrica” e da una valutazione condotta
soltanto secondo il proprio punto di vista assiologico, l’educazione rischia di restare invischiata
in quella che la studiosa femminista bengalese Gayatri Chakravorty Spivak definisce opportunamente “violenza epistemica” (Spivak, 2004).
È necessario proseguire, pertanto, in direzione di un ripensamento dei saperi disciplinari
insegnati nella scuola, per rendere possibile una revisione delle impostazioni etnocentriche e
garantire la partecipazione di tutti i gruppi sociali e culturali alla “costruzione” del sapere.
In questa prospettiva, qualsiasi attività didattica interculturale non dovrà essere considerata come un percorso “supplementare” al normale curricolo, ma come un’azione educativa
“ordinaria”, da dichiarare nella programmazione didattica e da includere nel Piano dell’Offerta
Formativa.
È in questo modo che l’orientamento interculturale può davvero contribuire alla traduzione
in prassi di quel progetto di “scuola aperta a tutti”, ancora oggi attualissimo, pensato nella
Costituzione della Repubblica Italiana.
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