Figura 1.1 René Magritte, Il falso specchio, 1928. http://www.helvetika.it/assets/portfolio/newsletter%200/4%20rene_magritte_004_falso_s pecchio_1928-ok.jpg 28/12/2014 12 1. Concetti chiave dell’identità nella storia 1.1. Le origini della riflessione Il termine identità si mostra apparentemente come un termine banale poiché tutti pensiamo di conoscerne il significato. La prima concezione dell’identità nasce dalle più antiche discussioni socratiche circa la natura del giudizio, partendo dal presupposto che una cosa, se è, non può essere se non quella che è.1 Nel pensiero orientale l’inizio è addirittura precedente, testi sulla coscienza come le Upanishad e il Tao Te Ching risalgono tra il VII e il VI secolo a.C.2 Pur essendo note sin da Platone le discussioni connesse all’identità, è con la filosofia greca e con Aristotele, intorno al IV secolo a.C., che il pensiero occidentale cerca di dare per la prima volta una veste concettuale all’identità umana.3 Aristotele considera l’identità un concetto unitario e inerente la sostanza, in base alla quale le cose sono identiche solo se è identica la definizione della loro sostanza.4 La sostanza permette ad una cosa di rimanere uguale a se stessa sia nell’evolversi del tempo che nel mutare delle condizioni. 1 Cfr. Guido Calogero, Identità, in l’Enciclopedia Italiana, Treccani, Roma 1993. 28/12/2014 2 Cfr. Alessandra Talamo, Fabio Roma (a cura di), La pluralità inevitabile. Identità in gioco nella vita quotidiana, Apogeo Editore, Milano 2007, p.9. 3 Cfr. Livia Profeti, L’identità umana. Nati uguali per diventare diversi, L’asino d’oro Edizioni, Roma 2010, p.15. 4 Cfr. Paola Canestrari, Consumi e identità. Dal consumo di immagini al consumo di valori, Edizioni Nuova Cultura, Roma 2013, p.21. 13 La parola identità deriva dal tardo latino identitas–atis, derivazione di idem ed indica l’essere identico, la perfetta uguaglianza, l’essere quello e non un altro.5 In Grecia ogni individuo possiede una doppia identità, una personale contraddistinta dal nome che indica la discendenza paterna e una comunitaria che lo collega alla stirpe, al popolo, alla nazione.6 Nella Grecia antica il concetto d’identità è rafforzato dall’utilizzo delle maschere. Nel teatro greco la maschera ha il compito di intensificare il carattere del personaggio e aiutare lo spettatore nel seguire meglio la trama dello spettacolo. Consultando il vocabolario, alla voce “persona”, possiamo notare che il termine, di probabile origine etrusca (phersu), significa proprio “maschera teatrale” per poi prendere successivamente il valore di “individuo di sesso non specificato” e di “corpo”.7 I latini chiamano persona (da per-sonàr, risuonare a traverso) la maschera di legno portata sulla scena dagli attori nell’antica Grecia, nella quale i tratti del viso sono enfatizzati per essere più facilmente compresi dagli spettatori e la bocca è fatta in modo da amplificare (ut personaret) il suono della voce. Il vocabolo viene in seguito utilizzato per esprimere l’individuo rappresentato sulla scena che oggi comunemente chiamiamo “personaggio”.8 5 Ad vocem Identità, in l’Enciclopedia Italiana Treccani.it, Vocabolario on line, Roma 2014. http://www.treccani.it/vocabolario/identita/ 28/12/2014 6 Cfr. Alain de Benoist, Identità e comunità, Alfredo Guida Editore, Napoli 2005, p.10. 7 Ad vocem Persona, in l’Enciclopedia Italiana Treccani.it, Vocabolario on line, Roma 2014. http://www.treccani.it/vocabolario/persona/ 28/12/2014 8 Ad vocem Persona, in Dizionario Etimologico Online. 14 Nel Medioevo il valore che prevale è quello della lealtà, l’identità non è sapere chi sono ma nei confronti di chi devo essere leale, a chi devo essere fedele.9 Con Cartesio intorno alla prima metà del 1600 inizia l’attività della messa in discussione di tutte le certezze. Cartesio ci pone di fronte ad un concetto di Io come colui che pensa, giungendo alla conclusione che solo chi è in grado di pensare esiste e può dubitare.10 In filosofia il principio logico asserisce l’identità di una cosa con se stessa (A è A) ed esclude l’identità con altro separando identità e alterità (A non è A).11 I primi filosofi che affrontano l’argomento sono John Locke e David Hume. Locke è il primo, nel 1689 con il Saggio sull’intelletto umano, ad usare il termine “identità personale”.12 Il filosofo britannico definisce il significato della parola “persona” come un essere pensante intelligente, dotato di ragione e riflessione, che può http://www.etimo.it/?term=persona 28/12/2014 9 Cfr. Alain de Benoist, Identità e comunità, Alfredo Guida Editore, Napoli 2005, p.101. 10 Cfr. Renè Descartes, Discorso sul metodo [1637], Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1993, p.90. 11 Ad vocem Identità, in l’Enciclopedia Italiana Treccani.it, Vocabolario on line, Roma 2014. http://www.treccani.it/vocabolario/identita/ 28/12/2014 12 Cfr. Remo Bodei, Che cos’è l’identità, in Rai Cultura Filosofia, Roma 2000. http://www.filosofia.rai.it/articoli/remo-bodei-che-cos%C3%A8lidentit%C3%A0/5314/default.aspx 06/01/2015 15 considerare se stesso come la stessa cosa pensante, in diversi tempi e luoghi, mediante quella coscienza che è inseparabile dal pensare.13 Con Locke l’identità coincide con la coscienza, una riflessione su se stessi che si estende anche al passato attraverso i ricordi. L’identità è un meccanismo basato sulla capacità della memoria di ricostruire le impressioni e i pensieri, fondamentale per costituire l’identità personale e garantire la continuità nel tempo della consapevolezza del sé. “Solo per mezzo della coscienza che ha dei propri pensieri e azioni presenti, l’io è ora un io per se stesso, e così sarà lo stesso finché la stessa coscienza può estendersi ad azioni passate o a venire.” John Locke, Saggio sull’intelletto umano (1689), De Agostini Libri, Novara 2013, Libro II, Capitolo XXVII, par.12. Hume effettua le sue ricerche nel Trattato della natura umana nel 1739, sostenendo che l’io è soltanto la collezione di diverse percezioni che si susseguono, che originano l’esperienza della coscienza.14 A differenza di Locke, Hume cerca di sottolineare la discontinuità della memoria, riducendo l’Io ad un fascio di sensazioni e accentuando la fragilità dell’identità.15 L’identità è quasi un’illusione a cui non possiamo attribuire un significato concreto. 13 Cfr. John Locke, Saggio sull’intelletto umano (1689), De Agostini Libri, Novara 2013, Libro II, Capitolo XXVII, par.11. 14 Cfr. David Hume, Le opere, Volume Primo, Trattato sulla natura umana (1738), Editori Laterza, Bari 1978, p.264-265. 15 Cfr. Remo Bodei, Che cos’è l’identità, in Rai Cultura Filosofia, Roma 2000. http://www.filosofia.rai.it/articoli/remo-bodei-che-cos%C3%A8lidentit%C3%A0/5314/default.aspx. 06/01/2015 16 “Noi non siamo altro che fasci o collezioni di differenti percezioni che si susseguono con una inconcepibile rapidità, in un perpetuo flusso e movimento. I nostri occhi non possono girare nelle loro orbite senza variare le nostre percezioni. Il nostro pensiero è ancora più variabile della nostra vista, e tutti gli altri sensi e facoltà contribuiscono a questo cambiamento; né esiste forse un solo potere dell’anima che resti identico, senza alterazione, un momento. La mente è una specie di teatro, dove le diverse percezioni fanno la loro apparizione, passano e ripassano, scivolano e si mescolano con un’infinita varietà di atteggiamenti e di situazioni. Né c’è, propriamente, in essa nessuna semplicità in un dato tempo, né identità in tempi differenti, qualunque sia l’inclinazione naturale che abbiamo ad immaginare quella semplicità e identità. E non si fraintenda il paragone del teatro: a costituire la mente non c’è altro che le percezioni successive: noi non abbiamo la più lontana nozione del posto dove queste scene vengono rappresentate, o del materiale di cui è composta.” David Hume, Le opere, Volume Primo, Trattato sulla natura umana (1738), Editori Laterza, Bari 1978, p.264-265. Il tema dell’identità è molto complesso poiché sono molteplici le discipline che lo coinvolgono: la psicanalisi, la psicologia, la sociologia, l’antropologia ma anche l’economia, la matematica e l’informatica. In psicologia l’identità indica il senso del proprio essere continuo attraverso il tempo e distinto come entità dalle altre 16 , l’insieme delle caratteristiche psichiche della persona che formano la coscienza. Il primo studioso che offre un significato del concetto di identità in psicologia è William James, che nel 1890 in Principi di psicologia dedica uno dei suoi capitoli alla Coscienza del sé. Probabilmente è uno dei primi a sottolineare l’importanza dello studio del sé per la comprensione del comportamento umano. James distingue l’identità personale in tre aspetti fondamentali: il “sé materiale” che costituisce le nostre caratteristiche fisiche, le persone e le cose che ci circondano, il “sé spirituale” che rappresenta il nostro 16 Ad vocem Identità, in Enciclopedia Garzanti Linguistica, Dizionario on line, Milano 2014. http://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=identit%C3%A0 28/12/2014 17 aspetto interiore e la nostra soggettività, e il “sé sociale” mediante il quale ci mostriamo agli altri e otteniamo riconoscimento. “Alcuni direbbero che si tratta di una sostanza semplice attiva, della quale essi sono in tal modo coscienti; altri che non è altro che una finzione, l’essere immaginario che viene indicato dal pronome Io, e tra questi due estremi si possono trovare tutti i tipi di posizioni intermedie.” Trad. It. da William James, The principles of psychology (1890), Volume One, Henry Holt & Co, New York 1890, p.298. Le scienze sociali iniziano ad interessarsi al concetto di identità a partire dalla seconda metà degli anni ’50 considerandolo il complesso degli elementi e dei processi relativi all’individuazione di una persona da parte di sé o da parte degli altri.17 La sociologia si concentra sull’aspetto relazionale analizzando i fattori d’interazione. Se nella filosofia classica l’identità è collegata all’essere, in sociologia è collegata al fare, al rappresentare, al fingere.18 17 Ad vocem Identità, in l’Enciclopedia Italiana Treccani.it, Enciclopedie on line, Roma 2014. http://www.treccani.it/enciclopedia/identita/ 28/12/2014 18 Cfr. Francesco Remotti, Identità, in L’Enciclopedia Italiana Treccani.it, Roma 2013. http://www.treccani.it/scuola/dossier/2013/parole/identita.html 28/12/2014 18 1.2. Il sé riflesso Agli inizi del 1900 viene introdotto un nuovo approccio volto ad esplorare la capacità di autoriflessione dell’individuo che converte l’identità in sé. Charles Horton Cooley con il suo studio Human Nature and the Social Order pubblicato per la prima volta nel 1902, introduce la teoria del Looking-Glass Self secondo la quale ogni individuo crea l’immagine di sé attraverso il riflesso visto nell’opinione degli altri. L’io riflesso si costituisce attraverso l’immaginazione di come la propria identità possa essere compresa dal prossimo. Ci vediamo riflessi nello sguardo dell’altro, come se chi ci sta di fronte fosse uno specchio in cui riconosciamo la nostra immagine. È nell’opinione degli altri che l’immagine del nostro Io viene costruita, elaborata e conservata. “Ciascuno è specchio dell'altro e riflette chi passa.” Trad. It. da Charles Horton Cooley, Human nature and the social order, Charles Scribner’s Sons, New York 1902, p.184. L’identità si forma con il confronto e l’uomo non riesce a fare a meno della presenza dell’altro, ha bisogno di essere costantemente riconosciuto e apprezzato. L’alterità, tutto ciò che vorremmo poter escludere e che sentiamo estraneo, non è solo intorno a noi ma anche dentro di noi.19 19 Cfr. Carlo Pancera, Le maschere e gli specchi. Identità e differenze tra omologazione, eterogeneità, osmosi e complessità, Franco Angeli Editore, Milano 2011, p.63. 19 “SOCRATE Hai notato che quando guarda nell’occhio il volto si riflette nello sguardo di chi si trova di fronte come in uno specchio, cosa che chiamiamo anche pupilla, dato che è come un’immagine di chi guarda? ALCIBIADE Quel che dici è vero. SOCRATE Dunque quando un occhio osserva un occhio e guarda in esso ciò che appunto esso ha di più bello, e con cui vede, in tal caso potrebbe vedere se stesso. ALCIBIADE È evidente. SOCRATE Ma se un occhio volesse guardare a un’altra delle parti dell’uomo o a qualche altro oggetto, se non ciò a cui casualmente sia simile, non vedrà se stesso. ALCIBIADE Quel che dici è vero. SOCRATE Se dunque un occhio ha intenzione di guardare se stesso, deve guardare in un occhio e in quel punto dell’occhio nel quale si trova a risiedere la virtù propria dell’occhio: e questa non è la vista? ALCIBIADE È così. SOCRATE Dunque, caro Alcibiade, anche l’anima, se vuole conoscere se stessa, deve guardare a un’altra anima, e in particolar modo in quella sua parte nella quale risiede la virtù propria dell’anima, la saggezza, o a qualcos’altro a cui questa parte possa risultare simile. ALCIBIADE A me pare così, Socrate.” Enrico V. Maltese (a cura di), Platone, Alcibiade [395 a.C.] in Platone. Tutte le opere, Volume 2, Newton Compton Editori, Roma 1997, p.587589. L’identità non è quindi un concetto predefinito e statico ma si sviluppa di continuo, forse senza mai arrivare ad un punto di arrivo. Anche secondo il sociologo Émile Durkheim l’identità è il traguardo raggiunto dopo uno sforzo, frutto di un complesso processo di elaborazione, continuamente messo in discussione. Il filosofo comportamentista e sociologo George Herbert Mead, concentra tutta la sua riflessione attorno all’uomo, alla sua natura sociale e ai rapporti con l’ambiente che lo circonda. Mead pone l’accento sulla capacità dell’individuo di riflettere su se stesso attraverso gli occhi degli altri, attraverso le immagini che gli altri hanno creato per lui, cercando di soddisfare tutte le loro aspettative. 20 L’individuo acquista esperienza di se stesso solo in modo indiretto, cioè attraverso le opinioni degli altri appartenenti al suo gruppo sociale.20 Mead distingue il Sé in “Io” e “Me”. L’Io è la parte più vera e intima della persona, l’istinto, l’originalità, ciò che lo differenzia dagli altri e che lo rende unico. Il Me è la componente sociale del sé, i comportamenti, i ruoli e le esperienze. Il Me di Mead non è più l’Io spontaneo, bensì i molteplici Me dell’individuo, l’insieme delle esperienze e dei ruoli interpretati. Il Sé è sociale in quanto sono le relazioni in cui il soggetto è coinvolto a permettergli di autorappresentarsi. Il sociologo è convinto che l’identità non esista dalla nascita ma che si sviluppi attraverso l’interazione con gli altri e nel tentativo di adattarsi all’ambiente circostante. L’ambito del gioco ricopre una notevole importanza ed esistono due fasi dello sviluppo del sé: una del gioco libero denominata “play” e una del gioco organizzato denominata “game”. Nella prima fase il bambino interpreta ruoli di persone o animali che sono entrati a far parte della sua vita costruendosi dei Sé parziali. Nella seconda invece riesce a racchiudere in Sé le caratteristiche di tutti gli altri giocatori, generalizzando l’atteggiamento dell’assunzione dei ruoli altrui.21 Da qui il concetto di “altro generalizzato”, secondo il quale l’individuo diventa un essere sociale quando si abitua all’astrazione dal proprio ruolo. L’”altro generalizzato” è lo specchio sociale nel quale l’uomo guarda per scorgere le opinioni altrui nei propri confronti. 20 Cfr. George Herbert Mead, La filosofia del presente [1932], Alfredo Guida Editore, Napoli 1986, p.13. 21 Cfr. George Herbert Mead, Mente, sé e società [1934], Giunti Editore, Firenze 2010, p.24. 21 È l’assunzione degli atteggiamenti dell’intera comunità.22 Nel momento in cui l’individuo riesce ad assumere il ruolo dell’altro e diventa capace di integrare tutti i vari Me in un unico Sé è veramente in grado di guardare se stesso. “Nella misura in cui ci è possibile assumere il ruolo degli altri, siamo in grado, per così dire, di guardarci (di risponderci) da quella prospettiva e di diventare perciò oggetto a noi stessi.” George Herbert Mead, Mente, sé e società [1934], Giunti Editore, Firenze 2010, p.24. In quanto animali umani osserviamo nei nostri atteggiamenti, nelle nostre immagini, nei nostri pensieri e nelle nostre emozioni aspetti di noi stessi che non ci è possibile osservare con altrettanta completezza negli altri.23 Con l’espressione ànthropos zoon politikon anche Aristotele afferma che l’uomo è un essere politico e portato naturalmente alla vita in società24, quindi un essere socievole25così come Seneca, qualche secolo più tardi, considera l’uomo come un animale sociale nato per il bene comune.26 22 Cfr. Loredana Sciolla, Identità personale e collettiva, in Enciclopedia delle scienze sociali, Treccani, Roma 1994. http://www.treccani.it/enciclopedia/identita-personale-ecollettiva_%28Enciclopedia_delle_scienze_sociali%29/ 28/12/2014 23 Cfr. George Herbert Mead, Mente, sé e società [1934], Giunti Editore, Firenze 2010, p.15. 24 Cfr. Aristotele, Volume Secondo, Etica Nicomachea [350 a.C.], (“I classici del pensiero”, 4), Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2008, Libro IX, Cap.9, 1169b, p.243. 25 Cfr. Aristotele, Volume Secondo, Politica [350 a.C.], (“I classici del pensiero”, 4), Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2008, Libro I, Cap. 2, 1253a, p.478. 26 Cfr. Lucio Anneo Seneca, De Clementia [55 a.C.], Parte Terza, cap.1, par.2. 22 A differenza di quanto asserito dalle prime teorie filosofiche, con la sociologia ci troviamo di fronte ad un Io che non è più l’esordio per le nostre relazioni ma il risultato delle interazioni con gli altri. “Come quando vogliamo vedere la nostra faccia, la vediamo guardandoci nello specchio, similmente quando vogliamo conoscere noi stessi, potremo conoscerci guardando nell’amico. Infatti l’amico è, come abbiamo detto, un altro noi stessi.” Aristotele, Volume Secondo, Grande etica [350 a.C.), (“I classici del pensiero”, 4), Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2008, Libro II, Cap.15, 1213a, p.366. Secondo il filosofo e sociologo austriaco Alfred Schütz l’identità non è una proprietà fissa ma intersoggettiva, il risultato delle rappresentazioni e delle interazioni dei membri della società stessa. L’identità è uno dei temi centrali anche della poetica di Luigi Pirandello. L’individuo che si trasforma in personaggio indossando molteplici maschere è l’elemento che accomuna tutte le sue opere. Nella sua opera del 1926 Uno, nessuno e centomila descrive la crisi d’identità del protagonista, che non riuscendo a riconoscersi nelle diverse immagini di se stesso proiettate negli occhi degli altri, arriva a rifiutare la sua identità, frantumandola in mille pezzi. “Perché una realtà non ci fu data e non c'è; ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere; e non sarà mai una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile.” Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila (1926), Feltrinelli Editore, Milano 1994. Talcott Parsons nell’opera La struttura dell’azione sociale del 1937 rifiuta l’identità sia come il risultato delle interazioni dell’individuo che come autocostruzione. 23 Secondo il sociologo l’identità dovrebbe essere pensata come un equilibrio tra componenti sociali e componenti personali dell’individuo. L’identità non è mai del tutto definita ma continuamente soggetta a cambiamenti e messe in discussione. Il filosofo francese Paul Ricœur distingue il concetto d’identità in due accezioni diverse: l’identità come medesimezza (dal latino idem, lo stesso) e l’identità come ipseità (dal latino ipse, se stesso).27 L’idem risponde alla domanda “Che cosa sono io?” e indica la continuità e la permanenza dell’identità nel tempo, l’uguaglianza di un individuo rispetto a se stesso e agli altri, le relazioni che lo costituiscono. L’ipse risponde alla domanda “Chi sono io?” e indica la singolarità dell’individuo, l’essere come azione soggetto a continue trasformazioni.28 Nel 1959 il sociologo Ervin Goffman pubblica il testo dal titolo La vita quotidiana come rappresentazione in cui la vita viene descritta con una metafora teatrale. La sua ricerca pone particolare attenzione al comportamento sociale delle persone e alla loro immagine pubblica. A differenza di Mead che divide il Sé in Io e Me, per Goffman l’individuo è scisso in due componenti: l’”attore” e il “personaggio”. Come attore il soggetto è impegnato a presentare immagini convincenti di sé cercando di soddisfare il suo pubblico e adattandosi ai vari palcoscenici. Il personaggio è invece quello che appare del soggetto 27 Cfr. Paul Ricœur, Sé come un altro, Editoriale Jaca Book, Milano 1993, p.204. Cfr. Marialuisa Pulito, Identità come processo ermeneutico. Paul Ricœur e l'analisi transazionale, Armando Editore, Roma 2003, p.166. 28 24 nelle situazioni sociali, che viene descritto come un “self locale” (un sé situato), una maschera.29 Per Goffman la vita è un insieme di palcoscenici dove siamo chiamati a rappresentare noi stessi in modi diversi a seconda della scena, in cambio di accettazione sociale da parte del pubblico. “L’individuo è stato considerato come attore, un affaticato fabbricante di impressioni, immerso nel fin troppo umano compito di mettere in scena una rappresentazione ed è stato considerato come personaggio, una figura per definizione dotata di carattere positivo il cui spirito, forza ed altre qualità eccezionali debbano essere evocate nella rappresentazione.” Ervin Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, Bologna 1995, p.288. 29 Cfr. Paola Parmiggiani, Consumo e identità nella società contemporanea, Franco Angeli Editore, Milano 1997, p.44. 25 1.3. La modernità liquida “Modernità liquida” è l’espressione che Zygmunt Bauman utilizza per descrivere la società odierna, un’epoca in cui tutto scorre e si modifica velocemente. La modernità solida caratterizzata da rigidità, ripetizioni ma anche da sicurezze è ormai alle nostre spalle.30 Oggi ci troviamo in un mondo in cui tutto è più fluido, più sfuggente, tutto si trasforma con più facilità e l’individuo è costretto ad adattarsi, ad essere versatile e dinamico. Siamo passati dalla parte “solida” alla parte “liquida” della modernità: i “fluidi” sono definiti tali perché non riescono a mantenere a lungo una forma, anzi si plasmano continuamente sotto l’influenza di ogni minima forza.31 L’identità non ha più una struttura propria, i suoi contorni diventano sempre meno nitidi e subisce continue trasformazioni in base al contesto in cui si trova. Molte sono le immagini che Bauman utilizza per raccontarci il mondo attuale. Per descrivere la pervasività del nuovo mondo sociale Bauman utilizza la metafora del pellegrino e del turista. In passato la vita era paragonabile ad un pellegrinaggio, un percorso definito, oggi al contrario ci muoviamo come turisti da una meta all’altra, talvolta senza neanche una destinazione. 30 Cfr. Zygmunt Bauman, Una nuova condizione umana, Vita e Pensiero Editrice, Milano 2003, p.14. 31 Cfr. Zygmunt Bauman, Intervista sull’identità, Editori Laterza, Roma 2003, p.59. 26 Così facendo ci sentiamo forse più liberi ma allo stesso tempo molto più esposti e fragili.32 Bauman definisce la nostra era come l’età dell’identità, piena di urla e di furore 33 , probabilmente per sottolineare la confusione creatasi nella società sotto la spinta della globalizzazione. Oggi l’identità diventa un gioco liberamente scelto, una presentazione teatrale del sé.34 “Si diventa consapevoli che l’appartenenza e l’identità non sono scolpite nella roccia, non sono assicurate da una garanzia a vita, che sono in larga misura negoziabili e revocabili; e che i fattori cruciali per entrambe sono le proprie decisioni, i passi che s’intraprendono, il modo in cui si agisce e la determinazione a tener fede a tutto ciò.” Zygmunt Bauman, Intervista sull’identità, Editori Laterza, Roma 2003, p.6. Nelle “comunità guardaroba”, le identità prendono corpo quando si appendono i cappotti ed hanno vita breve, scompaiono non appena gli spettatori ritirano i cappotti appesi nel guardaroba.35 Le identità sono anche vestiti che indossiamo e mostriamo agli altri ogni giorno.36 Se si dovesse paragonare l’identità ad un oggetto sarebbe più simile ad un vestito che alla pelle: intercambiabile, facilmente rimpiazzabile e soggetta a veloci sostituzioni.37 32 Ivi, p.18. Cfr. Zygmunt Bauman, La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza, Il Mulino, Bologna 2010, p.191. 34 Cfr. Zygmunt Bauman, La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna 1990, pag.30. 35 Cfr. Zygmunt Bauman, Intervista sull’identità, Editori Laterza, Roma 2003, p.33. 36 Ivi, p.87. 37 Cfr. Maria Grazia Simone, Consumo, identità, educazione, Armando Editore, Roma 2009, p.17. 33 27 Lo psicologo Kenneth Gergen ha rinominato la personalità dell’individuo odierno come “pastiche personality”, ossia come un camaleonte sociale che prende costantemente in prestito frammenti di identità da qualsiasi fonte disponibile per combinarli e adattarli alla situazione in cui si trova.38 Ogni individuo è immerso quotidianamente in quello che Gergen chiama “saturazione sociale”: il sovraccarico di relazioni e stimoli imposto dalla società che rende il sé scomposto e frammentato.39 “Non è il singolo individuo a creare le relazioni, ma sono le relazioni a creare il sentimento dell’Io, allora l’Io cessa di essere il centro del successo o del fallimento, colui che è valutato bene o male, e così via. Piuttosto, io sono me stesso in virtù della particolare posizione che occupo in una relazione.” Trad. It. da Kenneth Gergen, The saturated self. Dilemmas of identity in contemporary life, Basic Books, New York 1991, p.157. Dal punto di vista formale potremmo dire che identità significa essere perfettamente uguali a noi stessi, ma un individuo uguale a se stesso per tutta la vita non esiste. Siamo caratterizzati dal continuo divenire, sia dal punto di vista fisico che mentale, eppure inizialmente l’identità è considerata come un elemento eterno, immutabile e senza relazioni. L’identità è l’essere presente a noi stessi e agli altri, il nostro riconoscerci, il nostro agire, le nostre particolarità ma rappresenta anche le nostre tradizioni, le nostre abitudini, il modo in cui ci uniamo agli altri e il modo in cui ci distinguiamo dagli altri. 38 Cfr. Kenneth Gergen, The saturated self. Dilemmas of identity in contemporary life, Basic Books, New York 1991, p.150. 39 Cfr. Alessandra Talamo, Fabio Roma (a cura di), La pluralità inevitabile. Identità in gioco nella vita quotidiana, Apogeo Editore, Milano 2007, p.3. 28 Chi sono io? Una domanda che molto spesso ci poniamo proprio perché non siamo sicuri di potervi fornire una risposta. La risposta è formata dai legami instaurati con l’altro, dalla fiducia che riponiamo in essi e dalla loro stabilità.40 Siamo legati a situazioni, ambienti, esperienze e nessuno è pienamente se stesso se completamente solo. 40 Cfr. Zygmunt Bauman, Intervista sull’identità, Editori Laterza, Roma 2003, p.111. 29