Figura 1.1 René Magritte, Il falso specchio, 1928. http://www

Figura 1.1 René Magritte, Il falso specchio, 1928.
http://www.helvetika.it/assets/portfolio/newsletter%200/4%20rene_magritte_004_falso_s
pecchio_1928-ok.jpg
28/12/2014
12
1. Concetti chiave dell’identità nella storia
1.1. Le origini della riflessione
Il termine identità si mostra apparentemente come un termine banale
poiché tutti pensiamo di conoscerne il significato.
La prima concezione dell’identità nasce dalle più antiche discussioni
socratiche circa la natura del giudizio, partendo dal presupposto che
una cosa, se è, non può essere se non quella che è.1
Nel pensiero orientale l’inizio è addirittura precedente, testi sulla
coscienza come le Upanishad e il Tao Te Ching risalgono tra il VII e il
VI secolo a.C.2
Pur essendo note sin da Platone le discussioni connesse all’identità, è
con la filosofia greca e con Aristotele, intorno al IV secolo a.C., che il
pensiero occidentale cerca di dare per la prima volta una veste
concettuale all’identità umana.3
Aristotele considera l’identità un concetto unitario e inerente la
sostanza, in base alla quale le cose sono identiche solo se è identica la
definizione della loro sostanza.4
La sostanza permette ad una cosa di rimanere uguale a se stessa sia
nell’evolversi del tempo che nel mutare delle condizioni.
1
Cfr. Guido Calogero, Identità, in l’Enciclopedia Italiana, Treccani, Roma 1993.
28/12/2014
2
Cfr. Alessandra Talamo, Fabio Roma (a cura di), La pluralità inevitabile. Identità in gioco
nella vita quotidiana, Apogeo Editore, Milano 2007, p.9.
3
Cfr. Livia Profeti, L’identità umana. Nati uguali per diventare diversi, L’asino d’oro Edizioni,
Roma 2010, p.15.
4
Cfr. Paola Canestrari, Consumi e identità. Dal consumo di immagini al consumo di valori,
Edizioni Nuova Cultura, Roma 2013, p.21.
13
La parola identità deriva dal tardo latino identitas–atis, derivazione di
idem ed indica l’essere identico, la perfetta uguaglianza, l’essere quello
e non un altro.5
In Grecia ogni individuo possiede una doppia identità, una personale
contraddistinta dal nome che indica la discendenza paterna e una
comunitaria che lo collega alla stirpe, al popolo, alla nazione.6
Nella Grecia antica il concetto d’identità è rafforzato dall’utilizzo delle
maschere. Nel teatro greco la maschera ha il compito di intensificare il
carattere del personaggio e aiutare lo spettatore nel seguire meglio la
trama dello spettacolo.
Consultando il vocabolario, alla voce “persona”, possiamo notare che il
termine,
di
probabile
origine
etrusca
(phersu),
significa
proprio
“maschera teatrale” per poi prendere successivamente il valore di
“individuo di sesso non specificato” e di “corpo”.7
I latini chiamano persona (da per-sonàr, risuonare a traverso) la
maschera di legno portata sulla scena dagli attori nell’antica Grecia,
nella quale i tratti del viso sono enfatizzati per essere più facilmente
compresi dagli spettatori e la bocca è fatta in modo da amplificare (ut
personaret) il suono della voce.
Il vocabolo viene in seguito utilizzato per esprimere l’individuo
rappresentato
sulla
scena
che
oggi
comunemente
chiamiamo
“personaggio”.8
5
Ad vocem Identità, in l’Enciclopedia Italiana Treccani.it, Vocabolario on line, Roma 2014.
http://www.treccani.it/vocabolario/identita/
28/12/2014
6
Cfr. Alain de Benoist, Identità e comunità, Alfredo Guida Editore, Napoli 2005, p.10.
7
Ad vocem Persona, in l’Enciclopedia Italiana Treccani.it, Vocabolario on line, Roma 2014.
http://www.treccani.it/vocabolario/persona/
28/12/2014
8
Ad vocem Persona, in Dizionario Etimologico Online.
14
Nel Medioevo il valore che prevale è quello della lealtà, l’identità non
è sapere chi sono ma nei confronti di chi devo essere leale, a chi devo
essere fedele.9
Con Cartesio intorno alla prima metà del 1600 inizia l’attività della
messa in discussione di tutte le certezze.
Cartesio ci pone di fronte ad un concetto di Io come colui che pensa,
giungendo alla conclusione che solo chi è in grado di pensare esiste e
può dubitare.10
In filosofia il principio logico asserisce l’identità di una cosa con se
stessa (A è A) ed esclude l’identità con altro separando identità e
alterità (A non è A).11
I primi filosofi che affrontano l’argomento sono John Locke e David
Hume.
Locke è il primo, nel 1689 con il Saggio sull’intelletto umano, ad usare
il termine “identità personale”.12
Il filosofo britannico definisce il significato della parola “persona” come
un essere pensante intelligente, dotato di ragione e riflessione, che può
http://www.etimo.it/?term=persona
28/12/2014
9
Cfr. Alain de Benoist, Identità e comunità, Alfredo Guida Editore, Napoli 2005, p.101.
10
Cfr. Renè Descartes, Discorso sul metodo [1637], Arnoldo Mondadori Editore, Milano,
1993, p.90.
11
Ad vocem Identità, in l’Enciclopedia Italiana Treccani.it, Vocabolario on line, Roma 2014.
http://www.treccani.it/vocabolario/identita/
28/12/2014
12
Cfr. Remo Bodei, Che cos’è l’identità, in Rai Cultura Filosofia, Roma 2000.
http://www.filosofia.rai.it/articoli/remo-bodei-che-cos%C3%A8lidentit%C3%A0/5314/default.aspx
06/01/2015
15
considerare se stesso come la stessa cosa pensante, in diversi tempi e
luoghi, mediante quella coscienza che è inseparabile dal pensare.13
Con Locke l’identità coincide con la coscienza, una riflessione su se
stessi che si estende anche al passato attraverso i ricordi.
L’identità è un meccanismo basato sulla capacità della memoria di
ricostruire le impressioni e i pensieri, fondamentale per costituire
l’identità
personale
e
garantire
la
continuità
nel
tempo
della
consapevolezza del sé.
“Solo per mezzo della coscienza che ha dei propri pensieri e azioni
presenti, l’io è ora un io per se stesso, e così sarà lo stesso finché la
stessa coscienza può estendersi ad azioni passate o a venire.”
John Locke, Saggio sull’intelletto umano (1689), De Agostini Libri,
Novara 2013, Libro II, Capitolo XXVII, par.12.
Hume effettua le sue ricerche nel Trattato della natura umana nel
1739, sostenendo che l’io è soltanto la collezione di diverse percezioni
che si susseguono, che originano l’esperienza della coscienza.14
A differenza di Locke, Hume cerca di sottolineare la discontinuità della
memoria, riducendo l’Io ad un fascio di sensazioni e accentuando la
fragilità dell’identità.15
L’identità è quasi un’illusione a cui non possiamo attribuire un
significato concreto.
13
Cfr. John Locke, Saggio sull’intelletto umano (1689), De Agostini Libri, Novara 2013, Libro
II, Capitolo XXVII, par.11.
14
Cfr. David Hume, Le opere, Volume Primo, Trattato sulla natura umana (1738), Editori
Laterza, Bari 1978, p.264-265.
15
Cfr. Remo Bodei, Che cos’è l’identità, in Rai Cultura Filosofia, Roma 2000.
http://www.filosofia.rai.it/articoli/remo-bodei-che-cos%C3%A8lidentit%C3%A0/5314/default.aspx.
06/01/2015
16
“Noi non siamo altro che fasci o collezioni di differenti percezioni che
si susseguono con una inconcepibile rapidità, in un perpetuo flusso e
movimento. I nostri occhi non possono girare nelle loro orbite senza
variare le nostre percezioni. Il nostro pensiero è ancora più variabile
della nostra vista, e tutti gli altri sensi e facoltà contribuiscono a questo
cambiamento; né esiste forse un solo potere dell’anima che resti
identico, senza alterazione, un momento. La mente è una specie di
teatro, dove le diverse percezioni fanno la loro apparizione, passano e
ripassano, scivolano e si mescolano con un’infinita varietà di
atteggiamenti e di situazioni. Né c’è, propriamente, in essa nessuna
semplicità in un dato tempo, né identità in tempi differenti, qualunque
sia l’inclinazione naturale che abbiamo ad immaginare quella
semplicità e identità. E non si fraintenda il paragone del teatro: a
costituire la mente non c’è altro che le percezioni successive: noi non
abbiamo la più lontana nozione del posto dove queste scene vengono
rappresentate, o del materiale di cui è composta.”
David Hume, Le opere, Volume Primo, Trattato sulla natura umana
(1738), Editori Laterza, Bari 1978, p.264-265.
Il tema dell’identità è molto complesso poiché sono molteplici le
discipline che lo coinvolgono: la psicanalisi, la psicologia, la sociologia,
l’antropologia ma anche l’economia, la matematica e l’informatica.
In psicologia l’identità indica il senso del proprio essere continuo
attraverso il tempo e distinto come entità dalle altre 16 , l’insieme delle
caratteristiche psichiche della persona che formano la coscienza.
Il primo studioso che offre un significato del concetto di identità in
psicologia è William James, che nel 1890 in Principi di psicologia
dedica uno dei suoi capitoli alla Coscienza del sé. Probabilmente è uno
dei primi a sottolineare l’importanza dello studio del sé per la
comprensione del comportamento umano.
James distingue l’identità personale in tre aspetti fondamentali: il “sé
materiale” che costituisce le nostre caratteristiche fisiche, le persone e le
cose che ci circondano, il “sé spirituale” che rappresenta il nostro
16
Ad vocem Identità, in Enciclopedia Garzanti Linguistica, Dizionario on line, Milano 2014.
http://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=identit%C3%A0
28/12/2014
17
aspetto interiore e la nostra soggettività, e il “sé sociale” mediante il
quale ci mostriamo agli altri e otteniamo riconoscimento.
“Alcuni direbbero che si tratta di una sostanza semplice attiva, della
quale essi sono in tal modo coscienti; altri che non è altro che una
finzione, l’essere immaginario che viene indicato dal pronome Io, e tra
questi due estremi si possono trovare tutti i tipi di posizioni intermedie.”
Trad. It. da William James, The principles of psychology (1890), Volume
One, Henry Holt & Co, New York 1890, p.298.
Le scienze sociali iniziano ad interessarsi al concetto di identità a
partire dalla seconda metà degli anni ’50 considerandolo il complesso
degli elementi e dei processi relativi all’individuazione di una persona
da parte di sé o da parte degli altri.17
La sociologia si concentra sull’aspetto relazionale analizzando i fattori
d’interazione. Se nella filosofia classica l’identità è collegata all’essere, in
sociologia è collegata al fare, al rappresentare, al fingere.18
17
Ad vocem Identità, in l’Enciclopedia Italiana Treccani.it, Enciclopedie on line, Roma 2014.
http://www.treccani.it/enciclopedia/identita/
28/12/2014
18
Cfr. Francesco Remotti, Identità, in L’Enciclopedia Italiana Treccani.it, Roma 2013.
http://www.treccani.it/scuola/dossier/2013/parole/identita.html
28/12/2014
18
1.2. Il sé riflesso
Agli inizi del 1900 viene introdotto un nuovo approccio volto ad
esplorare la capacità di autoriflessione dell’individuo che converte
l’identità in sé.
Charles Horton Cooley con il suo studio Human Nature and the Social
Order pubblicato per la prima volta nel 1902, introduce la teoria del
Looking-Glass Self secondo la quale ogni individuo crea l’immagine di
sé attraverso il riflesso visto nell’opinione degli altri.
L’io riflesso si costituisce attraverso l’immaginazione di come la propria
identità possa essere compresa dal prossimo. Ci vediamo riflessi nello
sguardo dell’altro, come se chi ci sta di fronte fosse uno specchio in cui
riconosciamo la nostra immagine. È nell’opinione degli altri che
l’immagine del nostro Io viene costruita, elaborata e conservata.
“Ciascuno è specchio dell'altro e riflette chi passa.”
Trad. It. da Charles Horton Cooley, Human nature and the social
order, Charles Scribner’s Sons, New York 1902, p.184.
L’identità si forma con il confronto e l’uomo non riesce a fare a meno
della
presenza
dell’altro,
ha
bisogno
di
essere
costantemente
riconosciuto e apprezzato. L’alterità, tutto ciò che vorremmo poter
escludere e che sentiamo estraneo, non è solo intorno a noi ma anche
dentro di noi.19
19
Cfr. Carlo Pancera, Le maschere e gli specchi. Identità e differenze tra omologazione,
eterogeneità, osmosi e complessità, Franco Angeli Editore, Milano 2011, p.63.
19
“SOCRATE Hai notato che quando guarda nell’occhio il volto si riflette
nello sguardo di chi si trova di fronte come in uno specchio, cosa che
chiamiamo anche pupilla, dato che è come un’immagine di chi
guarda?
ALCIBIADE Quel che dici è vero.
SOCRATE Dunque quando un occhio osserva un occhio e guarda in
esso ciò che appunto esso ha di più bello, e con cui vede, in tal caso
potrebbe vedere se stesso.
ALCIBIADE È evidente.
SOCRATE Ma se un occhio volesse guardare a un’altra delle parti
dell’uomo o a qualche altro oggetto, se non ciò a cui casualmente sia
simile, non vedrà se stesso.
ALCIBIADE Quel che dici è vero.
SOCRATE Se dunque un occhio ha intenzione di guardare se stesso,
deve guardare in un occhio e in quel punto dell’occhio nel quale si
trova a risiedere la virtù propria dell’occhio: e questa non è la vista?
ALCIBIADE È così.
SOCRATE Dunque, caro Alcibiade, anche l’anima, se vuole conoscere
se stessa, deve guardare a un’altra anima, e in particolar modo in
quella sua parte nella quale risiede la virtù propria dell’anima, la
saggezza, o a qualcos’altro a cui questa parte possa risultare simile.
ALCIBIADE A me pare così, Socrate.”
Enrico V. Maltese (a cura di), Platone, Alcibiade [395 a.C.] in Platone.
Tutte le opere, Volume 2, Newton Compton Editori, Roma 1997, p.587589.
L’identità non è quindi un concetto predefinito e statico ma si sviluppa
di continuo, forse senza mai arrivare ad un punto di arrivo.
Anche secondo il sociologo Émile Durkheim l’identità è il traguardo
raggiunto dopo uno sforzo, frutto di un complesso processo di
elaborazione, continuamente messo in discussione.
Il filosofo comportamentista e sociologo George Herbert Mead,
concentra tutta la sua riflessione attorno all’uomo, alla sua natura
sociale e ai rapporti con l’ambiente che lo circonda. Mead pone
l’accento sulla capacità dell’individuo di riflettere su se stesso attraverso
gli occhi degli altri, attraverso le immagini che gli altri hanno creato per
lui, cercando di soddisfare tutte le loro aspettative.
20
L’individuo acquista esperienza di se stesso solo in modo indiretto, cioè
attraverso le opinioni degli altri appartenenti al suo gruppo sociale.20
Mead distingue il Sé in “Io” e “Me”. L’Io è la parte più vera e intima
della persona, l’istinto, l’originalità, ciò che lo differenzia dagli altri e che
lo rende unico. Il Me è la componente sociale del sé, i comportamenti, i
ruoli e le esperienze. Il Me di Mead non è più l’Io spontaneo, bensì i
molteplici Me dell’individuo, l’insieme delle esperienze e dei ruoli
interpretati.
Il Sé è sociale in quanto sono le relazioni in cui il soggetto è coinvolto
a permettergli di autorappresentarsi.
Il sociologo è convinto che l’identità non esista dalla nascita ma che si
sviluppi attraverso l’interazione con gli altri e nel tentativo di adattarsi
all’ambiente circostante.
L’ambito del gioco ricopre una notevole importanza ed esistono due fasi
dello sviluppo del sé: una del gioco libero denominata “play” e una del
gioco organizzato denominata “game”. Nella prima fase il bambino
interpreta ruoli di persone o animali che sono entrati a far parte della
sua vita costruendosi dei Sé parziali. Nella seconda invece riesce a
racchiudere
in
Sé
le
caratteristiche
di
tutti
gli
altri
giocatori,
generalizzando l’atteggiamento dell’assunzione dei ruoli altrui.21
Da qui il concetto di “altro generalizzato”, secondo il quale l’individuo
diventa un essere sociale quando si abitua all’astrazione dal proprio
ruolo. L’”altro generalizzato” è lo specchio sociale nel quale l’uomo
guarda per scorgere le opinioni altrui nei propri confronti.
20
Cfr. George Herbert Mead, La filosofia del presente [1932], Alfredo Guida Editore, Napoli
1986, p.13.
21
Cfr. George Herbert Mead, Mente, sé e società [1934], Giunti Editore, Firenze 2010, p.24.
21
È l’assunzione degli atteggiamenti dell’intera comunità.22
Nel momento in cui l’individuo riesce ad assumere il ruolo dell’altro e
diventa capace di integrare tutti i vari Me in un unico Sé è veramente
in grado di guardare se stesso.
“Nella misura in cui ci è possibile assumere il ruolo degli altri, siamo in
grado, per così dire, di guardarci (di risponderci) da quella prospettiva
e di diventare perciò oggetto a noi stessi.”
George Herbert Mead, Mente, sé e società [1934], Giunti Editore,
Firenze 2010, p.24.
In quanto animali umani osserviamo nei nostri atteggiamenti, nelle
nostre immagini, nei nostri pensieri e nelle nostre emozioni aspetti di noi
stessi che non ci è possibile osservare con altrettanta completezza negli
altri.23
Con l’espressione ànthropos zoon politikon anche Aristotele afferma
che l’uomo è un essere politico e portato naturalmente alla vita in
società24, quindi un essere socievole25così come Seneca, qualche secolo
più tardi, considera l’uomo come un animale sociale nato per il bene
comune.26
22
Cfr. Loredana Sciolla, Identità personale e collettiva, in Enciclopedia delle scienze sociali,
Treccani, Roma 1994.
http://www.treccani.it/enciclopedia/identita-personale-ecollettiva_%28Enciclopedia_delle_scienze_sociali%29/
28/12/2014
23
Cfr. George Herbert Mead, Mente, sé e società [1934], Giunti Editore, Firenze 2010, p.15.
24
Cfr. Aristotele, Volume Secondo, Etica Nicomachea [350 a.C.], (“I classici del pensiero”, 4),
Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2008, Libro IX, Cap.9, 1169b, p.243.
25
Cfr. Aristotele, Volume Secondo, Politica [350 a.C.], (“I classici del pensiero”, 4), Arnoldo
Mondadori Editore, Milano 2008, Libro I, Cap. 2, 1253a, p.478.
26
Cfr. Lucio Anneo Seneca, De Clementia [55 a.C.], Parte Terza, cap.1, par.2.
22
A differenza di quanto asserito dalle prime teorie filosofiche, con la
sociologia ci troviamo di fronte ad un Io che non è più l’esordio per le
nostre relazioni ma il risultato delle interazioni con gli altri.
“Come quando vogliamo vedere la nostra faccia, la vediamo
guardandoci nello specchio, similmente quando vogliamo conoscere
noi stessi, potremo conoscerci guardando nell’amico. Infatti l’amico è,
come abbiamo detto, un altro noi stessi.”
Aristotele, Volume Secondo, Grande etica [350 a.C.), (“I classici del
pensiero”, 4), Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2008, Libro II, Cap.15,
1213a, p.366.
Secondo il filosofo e sociologo austriaco Alfred Schütz l’identità non è
una proprietà fissa ma intersoggettiva, il risultato delle rappresentazioni
e delle interazioni dei membri della società stessa.
L’identità è uno dei temi centrali anche della poetica di Luigi Pirandello.
L’individuo che si trasforma in personaggio indossando molteplici
maschere è l’elemento che accomuna tutte le sue opere.
Nella sua opera del 1926 Uno, nessuno e centomila descrive la crisi
d’identità del protagonista, che non riuscendo a riconoscersi nelle
diverse immagini di se stesso proiettate negli occhi degli altri, arriva a
rifiutare la sua identità, frantumandola in mille pezzi.
“Perché una realtà non ci fu data e non c'è; ma dobbiamo farcela noi,
se vogliamo essere; e non sarà mai una per sempre, ma di continuo e
infinitamente mutabile.”
Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila (1926), Feltrinelli Editore,
Milano 1994.
Talcott Parsons nell’opera La struttura dell’azione sociale del 1937
rifiuta l’identità sia come il risultato delle interazioni dell’individuo che
come autocostruzione.
23
Secondo il sociologo l’identità dovrebbe essere pensata come un
equilibrio tra componenti sociali e componenti personali dell’individuo.
L’identità non è mai del tutto definita ma continuamente soggetta a
cambiamenti e messe in discussione.
Il filosofo francese Paul Ricœur distingue il concetto d’identità in due
accezioni diverse: l’identità come medesimezza (dal latino idem, lo
stesso) e l’identità come ipseità (dal latino ipse, se stesso).27
L’idem risponde alla domanda “Che cosa sono io?” e indica la
continuità e la permanenza dell’identità nel tempo, l’uguaglianza di un
individuo rispetto a se stesso e agli altri, le relazioni che lo costituiscono.
L’ipse risponde alla domanda “Chi sono io?” e indica la singolarità
dell’individuo, l’essere come azione soggetto a continue trasformazioni.28
Nel 1959 il sociologo Ervin Goffman pubblica il testo dal titolo La vita
quotidiana come rappresentazione in cui la vita viene descritta con
una metafora teatrale.
La sua ricerca pone particolare attenzione al comportamento sociale
delle persone e alla loro immagine pubblica. A differenza di Mead che
divide il Sé in Io e Me, per Goffman l’individuo è scisso in due
componenti: l’”attore” e il “personaggio”.
Come attore il soggetto è impegnato a presentare immagini convincenti
di sé cercando di soddisfare il suo pubblico e adattandosi ai vari
palcoscenici. Il personaggio è invece quello che appare del soggetto
27
Cfr. Paul Ricœur, Sé come un altro, Editoriale Jaca Book, Milano 1993, p.204.
Cfr. Marialuisa Pulito, Identità come processo ermeneutico. Paul Ricœur e l'analisi
transazionale, Armando Editore, Roma 2003, p.166.
28
24
nelle situazioni sociali, che viene descritto come un “self locale” (un sé
situato), una maschera.29
Per Goffman la vita è un insieme di palcoscenici dove siamo chiamati a
rappresentare noi stessi in modi diversi a seconda della scena, in
cambio di accettazione sociale da parte del pubblico.
“L’individuo è stato considerato come attore, un affaticato fabbricante
di impressioni, immerso nel fin troppo umano compito di mettere in
scena una rappresentazione ed è stato considerato come personaggio,
una figura per definizione dotata di carattere positivo il cui spirito,
forza ed altre qualità eccezionali debbano essere evocate nella
rappresentazione.”
Ervin Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino,
Bologna 1995, p.288.
29
Cfr. Paola Parmiggiani, Consumo e identità nella società contemporanea, Franco Angeli
Editore, Milano 1997, p.44.
25
1.3. La modernità liquida
“Modernità liquida” è l’espressione che Zygmunt Bauman utilizza per
descrivere la società odierna, un’epoca in cui tutto scorre e si modifica
velocemente.
La modernità solida caratterizzata da rigidità, ripetizioni ma anche da
sicurezze è ormai alle nostre spalle.30
Oggi ci troviamo in un mondo in cui tutto è più fluido, più sfuggente,
tutto si trasforma con più facilità e l’individuo è costretto ad adattarsi, ad
essere versatile e dinamico.
Siamo passati dalla parte “solida” alla parte “liquida” della modernità: i
“fluidi” sono definiti tali perché non riescono a mantenere a lungo una
forma, anzi si plasmano continuamente sotto l’influenza di ogni minima
forza.31
L’identità non ha più una struttura propria, i suoi contorni diventano
sempre meno nitidi e subisce continue trasformazioni in base al contesto
in cui si trova.
Molte sono le immagini che Bauman utilizza per raccontarci il mondo
attuale.
Per descrivere la pervasività del nuovo mondo sociale Bauman utilizza
la metafora del pellegrino e del turista. In passato la vita era
paragonabile ad un pellegrinaggio, un percorso definito, oggi al
contrario ci muoviamo come turisti da una meta all’altra, talvolta senza
neanche una destinazione.
30
Cfr. Zygmunt Bauman, Una nuova condizione umana, Vita e Pensiero Editrice, Milano
2003, p.14.
31
Cfr. Zygmunt Bauman, Intervista sull’identità, Editori Laterza, Roma 2003, p.59.
26
Così facendo ci sentiamo forse più liberi ma allo stesso tempo molto più
esposti e fragili.32
Bauman definisce la nostra era come l’età dell’identità, piena di urla e
di furore 33 , probabilmente per sottolineare la confusione creatasi nella
società sotto la spinta della globalizzazione.
Oggi l’identità diventa un gioco liberamente scelto, una presentazione
teatrale del sé.34
“Si diventa consapevoli che l’appartenenza e l’identità non sono
scolpite nella roccia, non sono assicurate da una garanzia a vita, che
sono in larga misura negoziabili e revocabili; e che i fattori cruciali per
entrambe sono le proprie decisioni, i passi che s’intraprendono, il modo
in cui si agisce e la determinazione a tener fede a tutto ciò.”
Zygmunt Bauman, Intervista sull’identità, Editori Laterza, Roma 2003,
p.6.
Nelle “comunità guardaroba”, le identità prendono corpo quando si
appendono i cappotti ed hanno vita breve, scompaiono non appena gli
spettatori ritirano i cappotti appesi nel guardaroba.35
Le identità sono anche vestiti che indossiamo e mostriamo agli altri ogni
giorno.36
Se si dovesse paragonare l’identità ad un oggetto sarebbe più simile ad
un vestito che alla pelle: intercambiabile, facilmente rimpiazzabile e
soggetta a veloci sostituzioni.37
32
Ivi, p.18.
Cfr. Zygmunt Bauman, La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza, Il
Mulino, Bologna 2010, p.191.
34
Cfr. Zygmunt Bauman, La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna 1990, pag.30.
35
Cfr. Zygmunt Bauman, Intervista sull’identità, Editori Laterza, Roma 2003, p.33.
36
Ivi, p.87.
37
Cfr. Maria Grazia Simone, Consumo, identità, educazione, Armando Editore, Roma 2009,
p.17.
33
27
Lo
psicologo
Kenneth
Gergen
ha
rinominato
la
personalità
dell’individuo odierno come “pastiche personality”, ossia come un
camaleonte sociale che prende costantemente in prestito frammenti di
identità da qualsiasi fonte disponibile per combinarli e adattarli alla
situazione in cui si trova.38
Ogni individuo è immerso quotidianamente in quello che Gergen
chiama “saturazione sociale”: il sovraccarico di relazioni e stimoli imposto
dalla società che rende il sé scomposto e frammentato.39
“Non è il singolo individuo a creare le relazioni, ma sono le relazioni
a creare il sentimento dell’Io, allora l’Io cessa di essere il centro del
successo o del fallimento, colui che è valutato bene o male, e così via.
Piuttosto, io sono me stesso in virtù della particolare posizione che
occupo in una relazione.”
Trad. It. da Kenneth Gergen, The saturated self. Dilemmas of identity
in contemporary life, Basic Books, New York 1991, p.157.
Dal punto di vista formale potremmo dire che identità significa essere
perfettamente uguali a noi stessi, ma un individuo uguale a se stesso
per tutta la vita non esiste.
Siamo caratterizzati dal continuo divenire, sia dal punto di vista fisico
che mentale, eppure inizialmente l’identità è considerata come un
elemento eterno, immutabile e senza relazioni.
L’identità è l’essere presente a noi stessi e agli altri, il nostro
riconoscerci, il nostro agire, le nostre particolarità ma rappresenta anche
le nostre tradizioni, le nostre abitudini, il modo in cui ci uniamo agli altri
e il modo in cui ci distinguiamo dagli altri.
38
Cfr. Kenneth Gergen, The saturated self. Dilemmas of identity in contemporary life, Basic
Books, New York 1991, p.150.
39
Cfr. Alessandra Talamo, Fabio Roma (a cura di), La pluralità inevitabile. Identità in gioco
nella vita quotidiana, Apogeo Editore, Milano 2007, p.3.
28
Chi sono io? Una domanda che molto spesso ci poniamo proprio perché
non siamo sicuri di potervi fornire una risposta.
La risposta è formata dai legami instaurati con l’altro, dalla fiducia che
riponiamo in essi e dalla loro stabilità.40
Siamo legati a situazioni, ambienti, esperienze e nessuno è pienamente
se stesso se completamente solo.
40
Cfr. Zygmunt Bauman, Intervista sull’identità, Editori Laterza, Roma 2003, p.111.
29