RIFLESSIONI Ha ancora senso l’etica di impresa? Le nuove vie delle scienze cognitive Stefano Consonni “Ciascuno di noi dovrebbe comportarsi in modo etico per obbedire a una sorta di richiamo intimo al rispetto di sé stesso e quindi dell’altro che incontra ogni giorno nella sua vita. Solo intimamente in pace con noi stessi, perché seguiamo una legge morale, possiamo erigere sia leggi sia etiche che condizionino le organizzazioni in cui operiamo” scrive Giulio Sapelli, nel suo ultimo libro. Ma ancora senso parlare di Responsabilità sociale d’impresa dopo la creazione di ‘shadow bank’ per la vendita di derivati fuori dai controlli, il caso Enron, il caso Parmalat, il recente caso Volkswagen e tanti altri? Product Manager in Gbr Rossetto SpA. Da gennaio 2017 è Vice Direttore del Comitato di Direzione dell’Associazione Centro Studi Grande Milano. Si è laureato in Scienze Filosofiche all’Università degli Studi di Milano con una tesi sulla natura del potere. 66 PERSONE&CONOSCENZE N.121 Per parlare di Corporate Social Responsability non è casuale partire dalla domanda: “Che cos’è l’etica?”. Soprattutto se l’obiettivo è ripercorrere il pensiero di Giulio Sapelli, maestro e amico di grande umanità, che ha formato e continua a formare fior di dirigenti delle più importanti aziende pubbliche e private italiane, oltre ad aver presieduto gli audit committee di organizzazioni internazionali come Eni e Unicredit. Quando mi sono chiesto che cos’è l’etica, mi è subito balzato alla mente Theodor Adorno che nell’incipit di Minima Moralia. Meditazioni sulla vita offesa sostiene che “qualcosa che è caduto in preda al disprezzo intellettuale”. Questo qualcosa è l’etica intesa come “dottrina della retta via”. Ecco, a mio avviso Sapelli fa sua questa definizione: un corso sull’etica d’impresa deve indirizzare le persone, i manager, la proprietà, ad avere un’idea di giustizia. Se invece apriamo un trattato tradizionale di business ethics difficilmente troveremmo un punto di partenza con un cuore così squisitamente filosofico. Per esempio, citando da un edizione del 2014, si legge: “Primo. Non vogliamo fare la morale dicendovi cosa è giusto o sbagliato in una data situazione. Secondo,[…] non prescriviamo alcuna filosofia o processo come migliore o etico. Terzo, questo libro non vi renderà più etici, né vi dirà come giudicare l’eticità del comportamento degli altri”. Il pensiero mainstream, come si può vedere da queste poche righe, ha un punto di partenza diverso rispetto all’assunto filosofico che intende l’etica come dottrina della retta via. Esso si riduce spesso a un problema di compliance, ossia di conformità alle regole vigenti in una certa organizzazione. Qui però affiora una domanda che lasciamo un attimo da parte per riprenderla più in là, e che mette in evidenza un punto di debolezza del mainstream: “Qual è il motivo per cui gli uomini obbediscono alla legge?”. pratica? Diceva ciò che è inciso sull’epitaffio della sua tomba: “Due cose riempiono la mente con sempre nuova e crescente ammirazione e rispetto, tanto più spesso e con costanza la riflessione si sofferma su di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”. Ogni persona si deve comportare come se il destino del mondo dipendesse dalle sue azioni. Ecco le ragioni che sostengono la formazione etica di Giulio Sapelli. La differenza di significato tra legge, morale ed etica Prima di arrivare a definire l’etica nelle organizzazioni, è necessario fare un po’ di chiarezza su alcune differenze di concetto fondamentali: “Legge, morale ed etica sono tre cose diverse che devono stare unite”. La morale come abbiamo visto “è intransitiva”, si riferisce al soggetto. Discende dalla cultura e dalla religione ma ogni individuo sviluppa la propria: la morale di Giulio Sapelli, relatore a uno degli incontri dell’Este Ateneo. un induista non è certamente quella di un cattolico ma Il ciclo di conferenze, organizzato da Este Edizioni, differisce persino da quella di un altro induista seppur ha avuto lo scopo offrire ai manager la possibilità di aprire con qualche somiglianza nella sensibilità. E la morale la propria mente e allargare lo sguardo, oltre i confini di ciò che in che rapporto sta con la legge? si definisce in senso stretto ‘management’ e sapere trasmesso dalle Business School. La legge come sappiamo è un sistema di convenzioni che promana dalla Stato, nella legislazione romanogermanica, e dalle corti giudiziarie nei sistemi a comLe ragioni che distinguono l’approccio di Giulio Sapelmon law, con il medesimo fine di regolare la vita soli all’etica d’impresa rispetto al mainstream sono conciale diminuendo gli attriti e le violenze fra individui. tenute in questo passo del suo ultimo libro sul tema, La legge però, ci dice Sapelli, non basta da sola per dal titolo Dialoghi inattuali sull’etica. Quello che le regolare anche la vita delle organizzazioni perché “è business school non dicono, scritto insieme ad Augusto come buttare nel mare una rete dalle maglie molto larCarena ed edito da Guerini&Associati. Alla domanda ghe: posso catturare i pesci grossi, ma quelli piccoli mi di Carena: “D’accordo che leggere un libro non basta, sfuggono”. Ecco allora che emerge il rapporto che susma noi non vogliamo invece provare siste tra legge e morale: io rispetto la a invitare il nostro lettore a essere più legge non perché mi sento obbligato etico anche nell’ambiente di lavoro?” dalle forze armate, ma, come abbiaSapelli risponde: “Non esiste una momo già detto, perché un qualcosa nelrale a compartimenti stagni. Ciascuno la mia interiorità mi spinge ad agire in di noi dovrebbe comportarsi in modo modo conforme alle regole: la morale etico per obbedire a una sorta di riappunto. chiamo intimo al rispetto di sé stesso Abbiamo quindi da un lato la legge e quindi dell’altro che incontra ogni che promana dallo Stato o dalle corti giorno nella sua vita […] Solo intimagiudiziarie e dall’altra le diverse momente in pace con noi stessi, perché rali degli individui. Questi due poli seguiamo una legge morale, possiamo sono in costante dialettica tra loro erigere sia leggi sia etiche che condianche se è evidente che uno Stato di zionino le organizzazioni in cui operiaDiritto “può ospitare al suo intermo”. Ecco che arriviamo a rispondere no morali molto diverse” tra loro. A alla domanda posta più sopra: l’uomo questo punto entra in gioco l’etica agisce secondo le regole perché ha una che differisce sia dalla legge dello Stasua morale che si costruisce attraverso to che dalla morale. Un errore molto la formazione, la cultura, l’educazione, comune è quello di dire: “Io ho dei la fede religiosa e non perché ha paura La copertina del libro “Dialoghi principi etici. Ma non ci si dovrebinattuali sull’etica. Quello che le della punizione. È questo un assunto Business School non dicono”, scritto be mai esprimere in questo modo. È proprio della morale kantiana. Cosa da Augusto Carena e Giulio Sapelli, corretto dire che si hanno dei princidiceva Kant nella Critica della ragion edito da Guerini&Associati pi morali”. È la morale che riguarda PERSONE&CONOSCENZE N.121 67 Theodor Adorno a Heidelberg nel 1965. Il filosofo ha definito l’etica “qualcosa che è caduto in preda al disprezzo intellettuale” la sfera intima dell’individuo: “L’etica invece nasce quando in una comunità, o in un’organizzazione, devono convivere individui che posseggono sensibilità morali almeno parzialmente diverse. Come possiamo convivere e cooperare? Qui entra in gioco l’etica: un accordo che le persone contraggono tra di loro, con cui essi condividono alcune sfere della loro vita morale per raggiungere determinati fini. È un fenomeno che o è collettivo o non è, e soprattutto è diretto –‘transitivo’– a raggiungere uno scopo”. L’etica è una scelta, un patto. L’etica d’impresa in Gbr Rossetto Spa: il modello europeo e il modello anglosassone Colgo l’occasione per fare un esempio concreto di ciò che accade in Gbr Rossetto Spa, azienda in cui lavoro come Product Manager nel settore dei noleggi di macchine stampanti e fornitura di prodotti per ufficio. Lo sforzo di Antonio ed Elisabetta Rossetto insieme al management e in condivisione con i 120 dipendenti ha fatto si che ogni cliente che desideri noleggiare il proprio parco stampanti con Gbr possa partecipare alla riforestazione del Pianeta e ottenere la certificazione ‘Print Releaf’. Non ci sono leggi che impongono che ogni 8.333 pagine stampate da un’azienda o ente pubblico debba essere piantumato un albero che crei una certa percentuale di metri cubi di ossigeno. Però Gbr Rossetto ha detto: facciamo un patto etico. Lasciamo da parte le differenze morali individuali e ci mettiamo d’accordo sull’etica collettiva: ciò che commercializ- 68 PERSONE&CONOSCENZE N.121 ziamo non deve produrre conseguenze negative per le generazioni che verranno dopo di noi. Questo è ciò che si chiama sostenibilità. Cioè laddove non ci sono leggi, mi autoimpongo, scelgo di rinunciare a una parte di utile per non creare conseguenze negative a chi verrà dopo di noi. Questa è quella che si chiama etica dell’impresa cioè un’etica che si rivolge agli stakeholder esterni. Esiste poi un’etica nell’impresa, “cioè rivolta alle persone che ne fanno parte”. Anche qui fortunatamente posso fare esempi di casa mia: per l’estate Gbr Rossetto riduce l’orario di lavoro a tutti i dipendenti, che terminano la settimana lavorativa il venerdì alle 12.30 anziché alle 17.30 incentivando un maggior recupero psicofisico perché il weekend diventa più lungo. O ancora: è stata adottata una prassi consolidata nella concessione del part time (per un primo periodo) alle madri appena rientrate dalla maternità. Non sono cose scontate. A questo punto emerge in modo chiaro che l’impresa non è un qualcosa il cui fine è esclusivamente il profitto come spesso sentiamo dire. Sapelli afferma –sempre in Dialoghi inattuali sull’etica che guida questa esposizione– che: “La finalità dell’impresa è produrre beni e servizi nel miglior modo possibile per soddisfare coloro che a quest’impresa richiedono tale produzione, avendo come criterio di regolazione il perseguimento di un profitto”. Il profitto è inteso dunque come un elemento di regolazione, ciò significa che non è l’unico fine dell’impresa, che deve mirare anche a “fiorire nel lungo periodo” e a crearsi una buona reputation. Queste sono le caratteristiche principali dell’etica d’impresa in Europa: le parole chiave sono sostenibilità e cura delle proprie persone, dei propri dipendenti. È chiaro che si sta parlando di imprese strutturate, mentre l’azienda cresce deve darsi delle procedure e un’organizzazione. In Italia, lo sanno tutti, la maggior parte delle imprese sono di piccole dimensioni e badate bene, questo non significa che non sia presente l’etica: ci sono tante persone semplici, piccoli imprenditori “che non saprebbero dire che cosa sia la Corporate Social Responsability. Però si danno un sacco da fare, trattano bene i dipendenti, fanno gli asili nido, l’orario flessibile, danno i soldi alla chiesa perché restauri l’organo”. Queste sono parole che sottolineano nuovamente la fiducia che Sapelli ha nella persona e la sua centralità, “c’è una scintilla divina in ognuno di noi”, dice spesso. Se alziamo gli occhi e guardiamo alla tradizione del capitalismo anglosassone il focus è diverso. Non si parla solo di responsabilità sociale e sostenibilità, concetti comunque di fondamentale importanza, ma anche e soprattutto di “transparency, disclosure, accountability. Tutto deve essere tracciato, verificato […] Piuttosto che occuparti dei dipendenti, dell’ambiente, tu devi preoccuparti che l’azienda venga ben governata Etica e strumenti. Ovvero vanità e inganno della Corporate Social Responsability di Francesco Varanini Immaginate un edificio abbellito da accattivanti insegne sulla facciata e da bandiere sventolanti sul tetto. Immaginate che questo lussuoso apparato comunicativo sia ostentato come significativa miglioria. Eppure chi vive nell’edificio sa –o dovrebbe sapere– che le fondamenta sono poco solide, e che i sotterranei sono infestati da topi, e sono anche luogo di turpi commerci. Comunicazione, sovrastruttura, operazione di immagine meramente descrittiva. Questo è, non di rado, il ‘bilancio sociale’, e nel complesso tutta l’impalcatura degli strumenti della Corporate Social Responsibility, CSR (o Responsabilità sociale d’impresa, RSI). Allora, perché se ne parla tanto? Tutto nasce dal bisogno, diremmo addirittura dalla fame di etica. La morale non è, in origine, necessaria. È del tutto fondato lo scetticismo di chi si domanda ‘perché devo essere morale se l’immoralità consente ad altri di ottenere a buon mercato successo e felicità?’. La ‘morale’, infatti, viene di attualità quando è finalizzata solo agli interessi di chi nella comunità detiene il potere. Allora si manifesta il bisogno di una ‘scienza della morale’, di un’etica. È abbastanza evidente che ci troviamo oggi proprio in questa situazione. Di qui l’attenzione alla ‘sostenibilità’, alla ‘Corporate Governance’ e alla Corporate Social Responsibility. Ciò che desta meraviglia, e che un po’ preoccupa, non è tanto la sostanza, ma l’enfasi del nuovo. Si dovrebbe riprendere in mano la riflessione sulle regole della convivenza, sul controllo e sul contratto sociale, e anche sulla teoria pura del diritto e sulle diverse genesi dei patti costituzionali. attraverso un sistema di balance of power tra coloro che posseggono l’impresa e coloro che la dirigono”. Gli shareholder devono limitare la propria fame di utile e i manager non devono diventare troppo potenti altrimenti ‘l’impresa ti punisce’. È il focus a essere diverso: nelle public company (aziende possedute da più famiglie) l’etica di impresa è soprattutto un modo per far si che non ci siano oscurità; qualsiasi cosa tu faccia deve essere riscontrabile, avere un riscontro; devi essere pronto a dimostrare che su quella cosa ci sono le procedure […]”. La cosa interessante è che il modello europeo negli ultimi anni ha accolto in sé alcuni elementi della corporate law e li ha fatti propri, ne è un esempio l’introduzione della Legge 231 del 2001: l’impresa viene riconosciuta dal diritto europeo come corpo sociale, come “potere corporato”, non come potere personale. Ciò significa che come soggetto giuridico la responsabilità dei suoi atti non è solo degli amministratori ma anche della corporation. In questo senso l’impresa deve dotarsi di uno “schermo giuridico” in grado di “dimostrare che ha fatto in modo che ci siano delle regole sufficienti” per impedire per esempio la corruzione, oppure che la gente si faccia del male. Se non dimostra questo incorre in una sanzione. La prima sentenza in Italia riguarda il caso Siemens quando si scopre che paga le tangenti all’Enel. Non vengono colpiti solo i dirigenti, i giudici italiani condannano la corporation che per tre anni non può partecipare agli appalti con le imprese pubbliche. Sono elementi di autoregolazione certamente positivi anche se, è sotto gli occhi di tutti, la formazione sull’etica non ha portato i risultati sperati. Il fallimento della formazione sull’etica e le nuove vie aperte dalle scienze cognitive Sono molti gli strumenti che gli anglosassoni e ormai anche gli europei hanno messo in campo per controllare i comportamenti etici: organi di vigilanza (audit committee), codici etici, carte dei valori, cambiamenti delle regole di borsa e una valanga di formazione. Sono molti anche gli scandali a cui abbiamo assistito negli ultimi vent’anni: la creazione di shadow bank per la vendita di derivati fuori dai controlli, il caso Enron, il caso Parmalat, il recente caso Volkswagen e tanti altri. La domanda è: “Quali sono le ragioni di questo fallimento? Perché la formazione sull’etica non funziona? E com’è possibile migliorarsi?”. Negli ultimi anni le ricerche in campo cognitivo sem- Uno degli stabilimenti Gbr Rossetto con sede a Rubano, in provincia di Padova PERSONE&CONOSCENZE N.121 69 La mappa della riforestazione attuata grazie al progetto ‘Print Releaf’ brano fare un po’ di luce su questo mistero. In sostanza seguendo quanto dice Augusto Carena in Dialoghi inattuali sull’etica ci sono una serie di dati che è bene tenere in considerazione. Innanzitutto, lo statuto della morale: essa non sembra “un’invenzione strettamente culturale” ma pare abbia radici “nell’evoluzione per selezione naturale”. Quest’ultima “l’avrebbe favorita al fine di dotare l’essere umano di un robusto strumento per affrontare uno dei problemi centrali della vita sociale: il problema della cooperazione”. Sono state favorite quelle morali che hanno orientato il nostro comportamento “per favorire quelle forme di altruismo che formano un forte collante sociale, e permettono all’uomo di affrontare imprese che da solo non sarebbe in grado di compiere”. Quelle morali cioè che conseguono un vantaggio competitivo. Se la morale ha radici addirittura biologiche possiamo sottolineare una prima conseguenza nella formazione sull’etica: risulta difficile eludere un istinto morale senza generare conflitti che magari, rimangono sotto traccia per anni, ma poi riemergono. “È un punto su cui chi fa le regole, per un organizzazione o una società dovrebbe porre molta attenzione”, scrive Carena. Su questa stessa linea si colloca un’altra interessante scoperta della behavioral ethics che riporta l’attenzione più che sulle regolamentazioni, sull’individuo. Studiando come le persone si comportano realmente quando si trovano ad affrontare un problema etico: gli scienziati si sono accorti di alcuni errori, “distorsioni del comportamento razionale […] etichettati con il nome di bias cognitivi” a cui tutti siamo soggetti. Sono errori particolarmente insidiosi per due motivi: “I meccanismi che li generano passano al di sotto del livello della nostra coscienza” e anche nel momento in 70 PERSONE&CONOSCENZE N.121 cui qualcuno ce li facesse riconoscere come errori, noi continueremmo a ripeterli e a sostenere che in fondo siano percezioni di “assoluto buon senso”. Questo perché vogliamo proteggere l’integrità dell’immagine che abbiamo verso gli altri e nei confronti di noi stessi. Una sorta di “sistema immunitario psicologico” come lo chiama Timothy Wilson. La cosa diventa interessante se la caliamo nel contesto dell’etica d’impresa: questi errori, dice Carena, “ci permettono di spostare il punto di vista su un dilemma etico in modo da trasformarlo in un problema diverso –di business per esempio”. Pensiamo ai venditori dei mutui subprime: è difficile credere che questi ultimi non avessero il sentore che parte dei loro clienti non avrebbero potuto ripagare i mutui che essi collocavano senza garanzie. Lo stesso vale per i clienti che accettavano sapendo di non avere coperture finanziarie. Questo comportamento non è certamente morale, ma è difficile dire che tutti questi attori abbiano agito consapevolmente. Quello su cui la behavioral ethics ci illumina è questo spostamento: il problema da etico passa sotto un’altra etichetta che mi permette di salvare la mia immagine di persona morale di fronte a me stesso, al mio capo ecc. Tutto ciò avviene al di sotto del livello di coscienza. È chiaro come queste nuove scoperte, da un lato, sono la spiegazione del perché la formazione sull’etica d’impresa ha fallito insieme agli strumenti atti a regolarla, e dall’altro, aprono nuove e importanti sfide sul modo con cui affrontare la corruzione e la disonestà nel mondo del lavoro e sul modo di fare formazione. “È ora di inaugurare una nuova strada” che faccia tesoro di ciò che è stato e ci renda più consapevoli dei nostri limiti nel progettare ciò che sarà.