1 - Introduzione. E’ noto da secoli che le radici delle piante terrestri traggono nutrimento dal suolo. L’aggiunta di sostanze al terreno per stimolare la crescita delle piante è probabilmente vecchia come l’agricoltura stessa. Soltanto però nella prima meta dell’ottocento i botanici cominciarono a capire che crescita e sviluppo vegetale avvengono soltanto quando alle piante vengono dati alcuni elementi chimici denominati “essenziali”. Questi elementi sono assorbiti dalle radici come sali disciolti nell’acqua che è presente nel terreno. Le piante si differenziano dagli animali per un importante aspetto: esse sono in grado di costruire tutte le molecole organiche complesse che costituiscono il loro corpo ((proteine, vitamine, zuccheri, cellulosa ecc) a partire dai composti minerali semplici (inorganici) presenti nel terreno e nell’atmosfera. Esse sono dette per ciò autotrofe (che letteralmente significa “si nutrono da sole”), al contrario degli animali che sono eterotrofi perché sono incapaci di sintetizzare molte delle molecole organiche che formano il loro corpo, e devono assumere (mangiare), molti tipi diversi di nutrimenti (proteine, vitamine, grassi, zuccheri ecc) per sostenere la loro crescita. La nutrizione delle piante è per conseguenza , molto più semplice di quella animale, limitandosi a un ristretto gruppo di sostanze minerali, all’ anidride carbonica, all’ossigeno e all’idrogeno contenuti nell’aria e nell’acqua. Gli elementi nutritivi che la pianta utilizza derivano dalla solubilizzazione dei minerali costituenti il terreno e dal riciclaggio delle sostanze organiche degli organismi morti che vengono di nuovo mineralizzate dai batteri e da altri microrganismi. La concimazione consiste nel fornire gli stessi elementi in forma minerale (concimazione chimica) o come sostanza organica da decomporre (concimazione organica). I prodotti finali della decomposizione dei materiali forniti con la concimazione organica sono però gli stessi, le differenze tra le due tecniche sono di ordine ecologico piuttosto che chimico. Ci occuperemo per ora solo dei concimi chimici. Quali sono gli elementi indispensabili e in quale forma chimica devono essere presenti? Vi sono sedici elementi minerali, considerati indispensabili per tutte le piante superiori. Innanzitutto Carbonio, Idrogeno ed Ossigeno, che la pianta trae dall’aria e dall’acqua e che non interessano la concimazione. Poi vi sono tre elementi indispensabili in quantità relativamente grandi e detti quindi macroelementi che sono l’azoto, N, il fosforo P e il potassio K. Ve ne sono altri tre altrettanto indispensabili, ma in quantità minore, e sono il magnesio, Mg, lo zolfo S, e il calcio Ca. Infine vi è una serie di elementi, sempre indispensabile, ma in quantità relativamente piccole, e quindi detti microelementi, cioè Boro, B, Cloro, Cl, Rame, Cu, Ferro, Fe, Manganese, Mn, Molibdeno, Mo e Zinco, Zn. Nella coltivazione in terra generalmente risultano carenti solo i tre macroelementi N, P e K oltre a forse Mg e Fe. In idroponica, invece occorre che la soluzione nutritiva contenga tutti gli elementi menzionati, nelle proporzioni adeguate, altrimenti si hanno anomalie più o meno gravi nella crescita e nello sviluppo della pianta. I fertilizzanti, o concimi chimici, che si trovano in commercio sono costituiti da una miscela di alcuni (o tutti) di questi elementi, nella forma chimica più adatta al loro assorbimento. Contrariamente a quanto il marketing che sta dietro alla produzione di tali concimi afferma, essi sono essenzialmente tutti uguali fra loro, variando solo la composizione, la proporzione e la concentrazione dei vari elementi, e la purezza della materia prima impiegata, ma sono costituiti esattamente dagli stessi composti. Nulla ci impedirebbe di preparare da soli la miscela, a partire dai composti base ed effettivamente nell’agricoltura professionale molti lo fanno. Generalmente, nelle coltivazioni casalinghe, è però più conveniente utilizzare miscele già pronte e dosate, ma è bene sempre conoscerne la composizione piuttosto che abbandonarsi ciecamente all’informazione pubblicitaria che ne sostiene la loro vendita. Per cercare di differenziare i loro prodotti, alcune case pubblicizzano l’aggiunta di altri componenti, quali aminoacidi, enzimi, “regolatori” o “potenziatori” della crescita o della fioritura. L’effetto o l’utilità di tali componenti non è affatto dimostrata sperimentalmente ne provata scientificamente per cui non ci occuperemo qui di tali sostanze. Nel prossimo capitolo come esempio, analizzeremo più approfonditamente uno di questi prodotti, trendone spunto per introdurre alcuni concetti fondamentali. 2 - Un esempio pratico Proviamo a leggere attentamente l’etichetta del Bcuzz Atami, che è un prodotto abbastanza diffuso tra i coltivatori di piante: La parte più importante di questa etichetta sono i tre numerini 4-0-4. Questi numeri specificano in quale percentuale sono presenti i tre più importanti elementi nutritivi: N Azoto P Fosforo K Potassio Bcuzz A NPK In questo prodotto abbiamo il 4% di N, niente Fosforo e il 4% di K. Inoltre il prodotto contiene 1,3% in Magnesio Mg. Bcuzz A Analysis Nella soluzione B i numerini sono 0-4-6, ossia niente Azoto (N), 4% di Fosforo (P) e 6% di Potassio (K). Perché NPK? La chimica moderna nasce dall’alchimia dei secoli passati. Gli alchimisti usavano il latino ed alcuni elementi chimici vengono identificati con l’iniziale del loro nome latino. Così: Azoto Nitrogenum, N Fosforo: Phosphorus, P Potassio: Kalium, K. Bcuzz B NPK Questi elementi non esistono in natura in forma pura, cioè come singoli atomi liberi ma si trovano combinati con altri a formare dei composti. Sempre nella nostra etichetta ad es. leggiamo: Derivanti da: acido nitrico, nitrato di calcio, nitrato di ammonio, nitrato di magnesio, idrossido di potassio. Bcuzz A DerivedFrom Questi composti si estraggono da giacimenti minerali oppure sono preparati dall’industria chimica di base e poi vengono miscelati dal produttore del fertilizzante, che in questo caso li offre gia disciolti in acqua come soluzione concentrata. I due prodotti A e B vanno utilizzati assieme diluendoli in acqua in ragione di circa 2ml di A + 2 ml di B per litro, una diluizione di 4:1000 (cioè 1:250). I due prodotti uniti contengono circa il 20% di sostanze fertilizzanti, che dopo diluizione a 1:250 diventa lo 0,08% cioè, 0,8 grammi per litro (1litro di acqua = 1000gr). Come linea guida generale una concentrazione intorno a 1g/lit è da considerarsi standard e corrisponde alla concentrazione di 1000 PPM (parti per milione). Possiamo prendere questo come un punto di riferimento per la diluizione di qualsiasi tipo di fertilizzante chimico, sia esso in polvere o liquido. Se in polvere il calcolo è presto fatto, se è liquido dobbiamo tener conto della concentrazione effettiva delle sostanze nel prodotto. Occorre comunque sempre verificare con il conducimetro l’effettiva concentrazione finale della nostra soluzione fertilizzante, potendo variare il grado di purezza dei composti chimici contenuti nei fertilizzanti. Lo standard di riferimento della conducibilità e di circa 1000 microSiemens in sostanze fertilizzanti, a cui va aggiunta la conducibilità dell’acqua di partenza che dipende dalla sua purezza e dagli eventuali trattamenti demineralizzanti. Nel prossimo capitolo vedremo più da vicino uno degli elementi più importanti, l’azoto e vedremo in quale forma esso è assorbito e utilizzato dalle piante. 3 - L'azoto e gli ioni. Prendendo ancora come riferimento il prodotto della Atami (l’ho scelto solo perché è l’unico di cui ho trovato l’etichetta su internet non c’è alcuna preferenza personale per uno o l’altro) esaminiamo più approfonditamente l’elemento azoto. Esso è un costituente fondamentale della materia vivente, e quindi dove non c’è azoto non c’è vita. Entra nella composizione degli aminoacidi, i “mattoni” che formano le proteine e degli enzimi regolatori del metabolismo ed esplica una macroscopica azione stimolante sulla vegetazione. Abbiamo visto che nel nostro prodotto il 4% di azoto totale è suddiviso in 0,10 di azoto ammoniacale e 3,9% di azoto nitrico. Nell’introduzione avevamo visto che gli elementi indispensabili non sono mai presenti in natura come atomi puri poiché essi tendono sempre a legarsi con altri a formare composti molecolari. Questi composti sono tenuti assieme da legami più o meno forti e possono cambiare la loro configurazione in seguito al contatto con altre molecole come ad es l’acqua. L’azoto è un elemento abbondantissimo in natura dato che la nostra atmosfera è composta d’azoto per il 78,9%. Ma l’azoto atmosferico non può essere utilizzato dai viventi (tranne un’importante eccezione che vedremo in seguito) perché è fatto in modo da legarsi con un legame triplo con se stesso a formare la molecola d’azoto N2, un legame talmente forte da richiedere una grandissima energia per essere spezzato. Tale legame con se stesso neutralizza completamente la molecola che non reagisce (non si lega) più con niente altro. Allo stato libero l’azoto è un gas inerte. Tuttavia l’atomo si può legare anche con l’idrogeno, formando ammoniaca NH3, e con l’ossigeno formando diversi tipi di ossidi d’azoto. Un altro composto comune è l’acido nitrico HNO3, da cui derivano diversi sali (i nitrati). Quando vengono a contatto con l’acqua, che ha una molecola fortemente polare, queste sostanze si dissociano in ioni. L’acqua è una molecola molto speciale. Sappiamo che l’acqua, H2O è un atomo di ossigeno legato a due atomi di idrogeno. Per questioni di equilibrio delle forze di legame però la molecola non è simmetrica ma i due idrogeni si dispongono dalla stessa parte col risultato che la molecola di H2O è fortemente polare, ed ha un lato positivo ed uno negativo. Quando una sostanza viene a contatto con l’acqua, la forza della sua polarità può superare la forza che tiene insieme la sua molecola che in tal caso si separa un due parti, dette ioni. Quasi tutte le sostanze che si sciolgono nell’acqua sono presenti in essa come ioni separati fra loro. Ad esempio il sale, cloruro di sodio NaCl, in acqua si dissocia in Na+ e Cl- separati fra loro. L’acido nitrico si separa in H+ e NO3- cosi come ad es il nitrato di calcio CaNO3 si separa in Ca+ e NO3-. Tutta la chimica che riguarda la nutrizione della pianta è chimica delle soluzioni acquose, perché è l’acqua, con gli elementi in essa disciolti in forma di ioni, che la pianta assorbe e trasporta nelle sue cellule. Possiamo parlare indifferentemente di sali o acidi o altri composti ma in realtà una volta disciolti in acqua parliamo di ioni. E’ lo ione nitrico NO3- ad essere principalmente assorbito dalle piante, ma anche lo ione ammoniacale NH4- viene assunto in maniera abbastanza importante. Avevamo visto che il Bcuzz hydro soluzione A è una miscela di acido nitrico HNO3, nitrato di calcio CaNO3, nitrato di ammonio NH4NO3 e nitrato di magnesio MgNO3 oltre ad idrossido di potassio KOH. In soluzione acquosa il prodotto è una miscela di ioni NO3-, NH4-, Ca+, Mg+, K+ e lo ione nitrico è apportato da diversi composti. Siccome lo ione nitrico è direttamente e facilmente assorbito dall’apparato radicale delle piante, possiede una notevole prontezza d’azione. Altra caratteristica importante dello ione nitrico è quella di non essere trattenuto dal potere assorbente del terreno per cui è notevolmente soggetto a perdite per dilavamento. In coltivazione idroponica ciò non è rilevante, ma in terra è importante conoscere questo comportamento perché ci suggerisce di applicare il fertilizzante in distribuzioni frazionate e frequenti e che la sua capacità di azione è piuttosto limitata nel tempo. In secondo luogo, se per caso abbiamo ecceduto nel dosaggio, è facile, con un lavaggio con acqua eliminare l’eccedenza che può essere dannosa. Lo ione ammonio, viene assorbito dalle piante generalmente in quantità più modesta dello ione nitrico. La sua importanza è però notevole nelle coltivazioni in terra perché viene trattenuto dai colloidi del terreno (argilla, humus ecc) per cui rimane disponibile per lungo tempo. Inoltre viene ridotto gradualmente dall’attività microbica a nitrato e quindi costituisce una riserva importante di azoto a lenta cessione. In idroponica la sua efficacia è minore però è utile in quanto contribuisce a rendere più stabile il pH della soluzione. In molti fertilizzanti si trova anche azoto in forma detta organica, contenenti urea e/o calciocianamide. Questi hanno caratteristiche molto simili ai composti ammoniacali, in quanto, subito dopo lo spargimento il loro azoto viene rapidamente trasformato in forma ammoniacale. L’urea in particolare può essere interessante perché ha un elevato contenuto d’azoto (46% di N), è poco costosa ed ha un discreto assorbimento e una sufficiente prontezza d’azione. 4 – Fosforo e potassio Sempre dal sito Atami, ecco l’etichetta di un altro prodotto, il PK 13-14. Guardando la sua composizione notiamo che esso non è altro che una miscela di acido fosforico H2PO4 e idrossido di potassio KOH, che incidentalmente sono gli stessi identici componenti della Bcuzz B, solo un po più concentrati. Il fosforo è un elemento indispensabile, perché presente in talune proteine, negli acidi nucleici (DNA e RNA) e nelle lecitine. A livello macroscopico una pianta allevata in carenza di fosforo presenta fenomeni di nanismo, di ritardo vegetativo e di stentata formazione di fiori e semi. La sua presenza favorisce l’espansione delle radici e rende la pianta più resistente alle malattie e più robusta. Esso possiede una scarsissima mobilità nel terreno. Il fertilizzante fosfatico più conosciuto è il perfosfato minerale o superfosfato minerale che viene ottenuto trattando i fosfati naturali con acido solforico. Questi composti presentano però dei problemi di solubilità. Nei fertilizzanti liquidi si può impiegare l’acido fosforico H2PO4, che in acqua si dissocia in 2 ioni H+ e nello ione PO4-. E’ un’acido abbastanza forte, e non può essere impiegato da solo, ma va abbinato a una base altrettanto forte che lo neutralizzi. Ecco la ragione della composizione del PK 13-14, e del Bcuzz B formato da H2PO4 e KOH, che si neutralizzano a vicenda.. Si capisce anche perchè le soluzioni sono separate in due bottigliette: oltre al fatto di vendere due prodotti invece di uno, l’equilibrio acido base in soluzione concentrata è delicato e sarebbe difficile da mantenere in presenza di altri composti. Anche la formulazione della soluzione A (che ricordiamo e 4-0-4) è spiegata dalla necessità di neutralizzare l’acido nitrico, uno degli acidi più forti esistenti, con una base che anche in questo caso è l’idrossido di potassio, KOH. Niente di magico quindi in questi prodotti e nella scelta della proporzione NPK, pura convenienza economica e necessità di mantenere un pH accettabile. Aggiungo, solo per dovere di informazione che in qualsiasi consorzio agrario o fornitore di concimi si vende H2PO4 al 75% in taniche da 25 litri al prezzo di circa 35 Euro e che il KOH è ancor più economico. Per i più arditi, un modo per farsi in casa un prodotto equivalente alla sol B e al PK 13-14 ad un centesimo del costo delle due bottigliette. Il Potassio non entra a far parte direttamente delle molecole organiche della pianta ma è strettamente legato all’attività vitale del plasma (il contenuto delle cellule) come regolatore di numerose funzioni. E’ particolarmente abbondante nelle gemme e negli organi giovani e in via di accrescimento come germogli e fiori. Prende parte attiva nella regolazione del ricambio idrico e del metabolismo degli zuccheri. Assieme al fosforo controbilancia gli effetti dell’azoto che tende a far allungare e indebolire i tessuti di sostegno delle piante, favorendo una struttura più robusta e una maggior resistenza alle malattie, al freddo e alla siccità. Infine migliora la qualità dei fiori e il contenuto in resina e profumo. Anche il potassio come il fosforo risulta poco mobile nel terreno. Viene impiegato per la concimazione soprattutto come solfato e cloruro potassico, come nitrato (KNO3) oppure come idrossido di potassio quando è unito a un acido forte che ne neutralizzi l’alcalinità come abbiamo visto precedentemente. Sebbene i composti di potassio siano abbastanza abbondanti nel terreno una quantità abbastanza piccola risulta accessibile per le piante data la difficile e lenta solubilità dei minerali potassici cosicchè in molti terreni coltivati si riscontrano spesso fenomeni di sofferenza per penuria di potassio. Nella coltivazione outdoor è consigliato, qualora non sia disponibile letame, cenere di legna o simili, fertilizzare con potassio. La pianta, essendo una pianta erbacea di rapido sviluppo e necessitando di mantenere un grande turgidità (alta pressione intracellulare) nonostante la forte traspirazione, risulta piuttosto esigente in potassio e ne consuma quantità rilevanti, specialmente nella fase di fioritura. 5 – Gli altri elementi Tra gli altri elementi essenziali, di fondamentale importanza, specialmente per la pianta, è il magnesio. Si trova nel terreno soprattutto come carbonato (MgCO3) e come dolomite (MgCO3.CaCO3). In terra e in outdoor, la necessità di aggiungere magnesio è relativa mentre in idroponica è fondamentale. Rispetto al K è contenuto in quantità molto minori nella pianta, ma è largamente distribuito nei vari organi. Ha parte importantissima nella molecola della clorofilla ed è fondamentale per la funzione fotosintetica ed inoltre agisce come regolatore e catalizzatore di molte reazioni biochimiche. Nei concimi chimici si usa per fornire magnesio il solfato MgSO4 (detto anche sale epson) molto solubile, e l’ossido Mg0 oltre al carbonato e alla dolomite. L’Mg interagisce col calcio ed è importante che i due elementi siano presenti assieme, poiché se non bilanciato può avere azione tossica. In idrocoltura, la disponibiltà sia di Mg che di Ca può essere influenzata dal pH della soluzione. In questo caso è consigliato mantenere un pH piuttosto acido (5,4-5,9) per garantire il miglior assorbimento e il miglior bilanciamento dei due elementi. Il calcio è abbondante nel terreno come solfato, fosfato e soprattutto carbonato. La solubilità di questi sali non è molto elevata ma comunque sufficiente ai fabbisogni della pianta. E’ abbondante soprattutto nelle parti vecchie della pianta ed ha un effetto sull’accrescimento delle radici e la formazione dei peli radicali ed entra nella composizione delle pareti cellulari. Il calcio è presente in molti sali e vi sono molte forme utilizzabili, come ad es CaO, dolomite e CaNO3, che è anche un’ottima fonte di azoto. Lo zolfo può venire utilizzato dalla pianta solo sotto forma di ione solfato SO4-. E’ abbondante nel terreno e la pianta ne utilizza relativamente poco. Entra a far parte delle proteine ed è per questo indispensabile. Normalmente e presente nei sali impiegati per fornire altri elementi come ad es nell’ MgSO4 o nel KSO4. Anche l’acido solforico, opportunamente neutralizzato, può essere impiegato. Tra i microelementi, indispensabili, ma sufficienti in piccole quantità è importante il ferro, poiché in assenza di ferro è impossibile la formazione della clorofilla, nel senso che pur non entrando a far parte di essa, partecipa alla sua sintesi. La manifestazione più evidente di mancanza di ferro è infatti la clorosi (ingiallimento) delle foglie per mancanza di clorofilla. Nei concimi chimici viene somministrato sopratutto in forma di complessi detti “chelati”, come il FeEDTA, una forma chimica che è molto efficace per la sua pronta assimilazione. Gli altri microelementi (Zinco, Boro, Manganese, Rame, Molibdeno, Cloro) sono necessari in piccolissime quantità, e normalmente nei terreni non se ne riscontrano carenze. In idroponica, soprattutto usando acqua demineralizzata è però sempre necessario aggiungerne una piccola quantità poiche tutti entrano a far parte del metabolismo e la loro completa assenza può bloccare lo sviluppo e la crescita della pianta. Generalmente si somministrano come preparati già miscelati che ne contengono in quantità sufficiente. Nel prossimo capitolo vedremo i principali sintomi che la pianta esprime quando si trova in situazione di carenza (o di eccesso) di questi elementi, per avere una guida nella ricerca della formulazione più adatta del fertilizzante o della soluzione nutritiva. Non esiste infatti una formula adatta a tutte le situazioni ma occorre imparare, attraverso l’osservazione della pianta come adattare la concimazione al nostro specifico ambiente. 6 - Carenze Vediamo con un supporto grafico, quali sintomi normalmente presenta la pianta quando uno dei principali elementi viene a mancare. - Foglia normale Ecco, per riferimento, una foglia sana. E’ verde intenso ma non troppo scuro, uniforme, con le venature più chiare e ben rilevate. I margini e le punte non presentano necrosi (tessuti morti e secchi), La foglia è piatta e liscia e si orienta facilmente verso la luce disponendosi su un piano perpendicolare ai raggi. Il picciolo è rigido e mantiene la foglia in posizione ben eretta od orizzontale. La lamina non presenta bollosità, arricciamento, curvature e macchie clorotiche (giallastre). Foglia sana Azoto carenza - Azoto Nelle piante giovani crescita stentata e foglie giallognolo verde. Foglie più vecchie verde chiaro, seguito da ingiallimento ed essiccamento e caduta. Margini non ripiegati. Il problema si evidenzia maggiormente nella parte più bassa e media, dato che (il poco) azoto disponibile viene traslocato nelle zone a più attiva crescita e divisione (l’apice). I germogli sono corti e sottili, la fioritura è molto ridotta. - Fosforo Piante giovani tozze, foglie verdi-blu scuro, talvolta tendenti al rosso-porpora, anche sui fusti e piccioli. La colorazione rossa però può essere una caratteristica normale in talune varietà. I margini possono arricciarsi all’ingiù. La divisione cellulare si riduce o cessa, fiori e germogli non crescono. Le piante spesso sono nane a maturità. - Potassio Foglie verde pallido e screziate di giallo soprattutto nella zona marginale e sulle punte. Margini e punte diventano poi necrotiche e possono curvarsi all’insù e corrugarsi. Compare dapprima sulle foglie vecchie. Fosforo carenza - Magnesio Clorosi screziata o maculata che compare dapprima sulle foglie vecchie. Le nervature principali rimangono più verdi. Le foglie diventano fragili e spesso si verifica necrosi, e possono cadere senza la fase di appassimento. I margini si possono curvare all’insù e le punte possono piegarsi. Potassio Carenza - Ferro Clorosi bianca internervale, che compare dapprima nelle foglie giovani, a partire dalla base (picciolo) ma che può estendersi a tutta la parte aerea, fino alla decolorazione completa e alla necrosi. Magnesio carenza Ferro carenza 6.2 – Carenze (schema diagnostico generale) Come guida alla diagnosi può essere utile lo schema seguente, che prende in considerazione, tra l’altro, anche l’aspetto delle radici: 1. Manifestazioni su tutta la pianta o nelle foglie inferiori 1. Fusto esile e corto , ingiallimento ed essiccamento delle foglie inferiori Carenza d’azoto: Pianta verde chiara, le foglie inferiori ingialliscono ed essiccano con colore bruno-chiaro. Radici lunghe scarsamente ramificate, bianche. Carenza di fosforo: Pianta verde scura, le foglie ingialliscono ed essiccano con colore verde-bruno o nero. Radici lunghe, scarsamente ramificate, bruno-rossastre. 2. Foglie inferiori pallide o macchiettate (chiazze morte), che non essiccano. Carenza di potassio: Foglie inferiori con necrosi marginali ed apicali. Radici gialle, mucose. Carenza di magnesio: Foglie inferiori clorotiche, nervature principali verdi. Radici come in carenza di potassio. 2. Manifestazioni nelle foglie giovani e nelle gemme 1. La gemma terminale è viva; clorosi nelle foglie giovani. Carenza di ferro: Foglie uniformemente clorotiche (non chiazzate); solo le nervature principali sono verdi. Radici corte, riccamente ramificate, brune. Carenza di manganese: Foglie chiazzate, qua e là necrosate; nervature verdi. Radici scarse. 2. La gemma terminale muore dopo marcate alterazioni. Carenza di zolfo: Foglie cerde chiaro, radici abbondanti, riccamente ramificate. Carenza di calcio: Foglie ripiegate ad uncino, morenti dall’apice al margine. Radici in disfacimento. 6.3 Schema diagnostico (dalle faq di OG) Tradotto da OG il seguente schema diagnostico, può dare ulteriori indicazioni Nutrient Disorder Problem Solver Version 1.1 - Feb. 1998 - distribution okay Per usare il problem-solver, partire semplicemente dal punto 1 seguente. Quando credete di aver identificato il problema, leggete la sezione Nutrienti per capire meglio la questione. Diagnosticate con attenzione prima di applicare modifiche sostanziali. 1. 2. o o o Se il problema interessa solo la parte inferiore o mediana della pianta andare al punto 2. Se interessa solo la parte superiore o l’apice vegetativo saltare al numero 10. Se il problema sembra interessare tutta la pianta in modo uniforme saltare al numero 6. o o Le foglie sono uniformemente gialle o verde chiaro, muoiono e si staccano; la crescita è stentata. >> Carenza di azoto (N). Altrimenti andare al numero 3. o I margini delle foglie sono girati all’insù e le punte possono essere ricurve. Le foglie ingialliscono (e possono diventare brune), ma le venature rimangono abbastanza verdi >> Carenza di magnesio (Mg). Altrimenti andare al numero 4. 3. o 4. o o Le foglie imbruniscono o ingialliscono. Macchie gialle, brune o necrotiche (morte), specialmente vicino ai margini della foglia, che può essere arricciata. Le piante possono apparire troppo alte. >> Carenza di Potassio (K) Altrimenti continuare a leggere. 5. o o Le foglie sono verde scuro o rosso porpora. Steli e piccioli possono avere del rosso o porpora. Le foglie possono diventare gialle o arricciarsi verso il basso. Le foglie possono distaccarsi facilmente. La crescità può essere lenta e le foglie piccole. >> Carenza di Fosforo (P). Altrimenti andare al numero 6 6. 7. o Le punte delle foglie sono gialle, brune o morte. Le piante sembrano altrimenti sane e verdi. Gli steli possono essere teneri. >> Eccesso di fertilizzanti (specialmente N), eccesso di acqua, radici danneggiate o insufficiente aerazione del terreno (usare più sabbia o perlite. Occasionalmente dovuto a insufficiente N, P o K) o Altrimenti andare al numero 7 o Le foglie sono ripiegate in basso come un corno d’ariete, e sono verde scuro, grigio o oro >> Eccesso di fertilizzanti (troppo N). o Altrimenti andare al numero 8 o La pianta è appassita, sebbene il terreno sia umido >> Eccesso di fertilizzazione, suolo saturo di acqua, radici danneggiate, malattia; carenza di rame (molto rara). o Altrimenti andare al numero 9 o o Le piante non fioriscono anche se hanno 12 ore di buio per più di due settimane >> Il periodo notturno non è completamente buio. Troppo azoto. Troppe potature e taleaggi. Altrimenti andare al numero 10 o o Le foglie sono gialle o bianche, ma le venature sono per la maggior parte verdi. >> Carenza di Ferro (Fe). Altrimenti andare al numero 11 o o Le foglie sono verde chiaro o giallo a iniziare dalla base, mentre i margini rimangono verdi. Macchie necrotiche possono apparire tra le venature. Le foglie non sono arricciate. >> Carenza di Manganese (Mn). Altrimenti andare al numero 12 o o Le foglie sono ritorte. Per il resto, circa come al numero 11. >> Carenza di Zinco (Zn). Altrimenti andare al numero 13 o Le foglie si torcono, quindi diventano marrone o muoiono. >> Le lampade possono essere troppo vicine alle piante. Raramente una carenza di Calcio o Boro. Altrimenti….Postreste avere solamente una pianta debole 8. 9. 10. 11. 12. 13. o 6.4 Carenze (commenti) Abbiamo insistito sull’argomento carenze e sulla loro diagnosi perchè questa è la chiave per utilizzare correttamente i fertilizzanti. Ogni situazione è particolare e non è possibile dare una ricetta generale. Nella scelta del dosaggio e del bilanciamento più opportuno bisogna lasciarsi guidare dall’esperienza, aggiustando la mira sulla base della risposta delle piante. E’ importante osservare come le piante reagiscono all’apporto dei nutrienti ed eventualmente correggere gli squilibri il più precocemente possibile. Purtoppo non è sempre semplice giungere ad una diagnosi precisa, ed occorre una certa esperienza specifica. Il quadro è spesso complicato dalla sovrapposizione di diverse carenze, dalla genetica delle piante e soprattutto dalle altre condizioni ambientali, quali luce, temperatura, quantità e qualità dell’acqua, pH, tipo di substrato e tecnica colturale. Prima di tentare una diagnosi occorre conoscere bene la qualità dell’acqua utilizzata. Per acqua di acquedotto è normalmente facile ottenere un’analisi, almeno della durezza, pH ed eventuali sostanze aggiunte (cloro) o inquinanti. Non fidarsi di acque distillate o demineralizzate comprate, misurarne sempre almeno pH e EC. Se l'EC dell'acqua disponibile è superiore a circa 500 uS considerare l'acquisto di un demineralizzatore a osmosi inversa. Il pH, dopo l’aggiunta dei fertilizzanti deve essere compreso tra 5,9 e 6,5 per colture in terra e 5,3-6 per idroponica. La temperatura dell’acqua dovrebbe essere di 20-25 °C e comunque non inferiore ai 10°C. Troppo calore dovuto a eccessiva vicinanza delle lampade può dare sintomi simili a quelli di carenze. Controllare che le foglie non si scaldino troppo. Anche l’eccesivo freddo induce comportamenti anomali. In indoor non scendere possibilmente sotto i 15°C (ottimale 20-22° notte 26-28°C giorno). Non bagnare le foglie se in luce artificiale poiché le goccioline trattenute dai piccoli peli (tricomi) presenti sulle foglie agiscono da lente e bruciano i tessuti. Gli eventuali fertilizzanti presenti si concentrano con l’evaporazione e peggiorano le lesioni. Assicurarsi che l’apparato radicale sia sano e proporzionato alla chioma della pianta e che essa non subisca stress idrici per eccesso o mancanza di irrigazione o per mancanza di aerazione nel substrato o per umidità dell’aria troppo bassa. Assicurarsi che le lampade siano di tipo adeguato e che la luminosità fornita sia sufficiente (almeno 50-60000 lumen per metro quadrato su piante in sviluppo o fioritura). Queste condizioni determino sintomi (necrosi, arricciamenti, clorosi) che possono confondersi o sovrapporsi a quelli determinati dai disordini nutrizionali, rendendone più difficile l’individuazione. 6.5 Eccesso di fertilizzanti Ben di rado in pratica si ha un eccesso di elementi minerali nel terreno. Nella coltivazione in vaso si può avere invece un accumulo di sali che può risultare tossico per le radici e per la pianta. Essendo però i fertilizzanti impiegati molto solubili è sufficiente generalmente qualche “lavaggio” con acqua pura per ristabilire un giusto equilibrio. Il problema diviene grave soprattutto quando non si irriga correttamente (si utilizzano piccole quantità di acqua e spesso) e quando la pianta subisce stress idrici. In tal caso la concentrazione del plasma cellulare (il contenuto liquido delle cellule) aumenta per mancanza di acqua e la pianta diviene molto più sensibile all’effetto tossico dei fertilizzanti. Quella che viene normalmente classificata come "overfertilizzazione" è spesso dovuta ad una errata pratica di irrigazione. La quantità massima dei fertilizzanti applicabili dipende da molti fattori e può essere differente per ogni situazione. In generale, l’aumento di produzione non è direttamente proporzionale alla quantità di nutrimento disponibile, ma ha un’andamento logaritmico, cioè aumentando progressivamente la dose di nutrimento l’entità del raccolto aumenta sempre meno finchè si raggiunge un punto in cui ulteriori aggiunte cessano di avere effetto. Questo punto dipende dalla luce disponibile, dalla temperatura, dallo stadio di sviluppo della pianta e dalla sua genetica. Sintomi di fertilizzazione eccessiva sono specialmente evidenti per l’azoto. Le foglie sono di un verde eccessivamente scuro e i tessuti sono eccessivamente allungati e molli. Se l'eccesso persiste, il sistema radicale può danneggiarsi e morire, e i sintomi sono simili a quelli della siccità o mancanza di acqua: appassimento delle foglie, disseccamento delle punte e dei margini, ingiallimento e caduta delle foglie. 7 - Tipi di fertilizzanti chimici Esistono in commercio numerosi tipi di fertilizzanti, che seppur simili nei principi fondamentali e alla analisi chimica, possono variare molto nella forma in cui gli elementi nutritivi sono resi disponibili. Una prima distinzione si può fare tra fertilizzanti a pronto effetto e quelli a lenta cessione. Per idroponica e simili il primo tipo viene utilizzato quasi esclusivamente, mentre il secondo tipo può essere interessante per coltivazioni in terra o outdoor. Abbiamo visto ad es che l’azoto può essere in forma nitrica oppure ammoniacale. La prima forma (NO3-) è di pronto effetto ma viene dilavato altrettanto velocemente, la seconda (NH4-) e a più lenta assimilazione ma rimane più stabilmente legato all’argilla e all’ humus nel terreno per cui rimane più a lungo disponibile. Anche per gli altri elementi possono essere impiegate formulazioni chimiche a pronta azione o a lenta cessione. Ove sia necessaria una cessione lenta (6-12 mesi) e controllata si possono usare inoltre formulazioni speciali in cui i composti solubili sono contenuti in “palline” formate da membrane lentamente biodegradabili che rilasciano gradualmente il loro contenuto ad ogni irrigazione. Un’altra distinzione riguarda la solubilità. Alcuni fertilizzanti sono concepiti per essere miscelati in forma di polvere o granuli direttamente al terreno prima della semina o durante la crescita. Altri vanno applicati disciolti in acqua (fertirrigazione) e possono essere in polvere solubile o già in forma liquida concentrata. Alcuni fertilizzanti, molto puri e solubili, sono adatti anche alla concimazione per via fogliare. La purezza e la qualità delle materie prime impiegate può variare notevolmente, come il loro prezzo. La scelta di un fertilizzante più o meno puro è essenzialmente di ordine economico: nel nostro caso, i forti costi che comunque dobbiamo sopportare portano in secondo piano tali considerazioni, riducendo la scelta ai prodotti di massima purezza. Un’altra distinzione riguarda la concentrazione delle materie prime. Potremo trovare dei fertilizzanti con titolo ad es 44-4 oppure 20-20-20, con bilanciamento simile ma concentrazioni differenti. Ovviamente il primo tipo dovrebbe costare molto meno poiché poi saremo noi a stabilire la concentrazione finale da dare alla pianta diluendo opportunamente il concime e ovviamente un tipo ad alta concentrazione “rende” di più di uno a bassa concentrazione. Va tenuto però conto che il titolo NPK serve solo per un orientamento di base circa l’effettiva concentrazione e che bisogna sempre valutare l’effettiva composizione del fertilizzante. Infine, la differenza più sostanziale tra i vari prodotti disponibili: il rapporto o bilanciamento tra le varie sostanze nutritive. Il rapporto NPK può variare in un gamma enorme, come anche la presenza e quantità di elementi minori. Nella pratica però due o tre formulazioni, compatibili e miscelabili fra loro, coprono le esigenze di un intero ciclo. Non prendiamo per ora in considerazione i fertilizzanti organici, capitolo troppo vasto e che merita una trattazione a parte, ma che comunque costituisce una importantissima parte della concimazione e amplia ancor più le possibilità a nostra disposizione. Quanto detto potrebbe scoraggiare e confondere. In realtà le cose sono molto più semplici: la scelta verrà dettata da come vogliamo coltivare e quali obbiettivi vogliamo ottenere, oltre che da motivi pratici tipo come dove e che costo riusciremo a procurarci effettivamente i prodotti da impiegare. Vedremo più avanti come utilizzare e scegliere nella pratica il tipo più adatto di fertilizzante, facendo alcuni esempi basati su prodotti esistenti in commercio e su situazioni tipiche di coltivazione. 8 - Linee guida per la quantità (concentrazione). E’ abbastanza diffusa una certo timore e una certa diffidenza circa l’uso dei fertilizzanti. Molti sopravvalutano il pericolo che potrebbe derivare da un loro uso scorretto. In realtà basta tenersi entro alcuni limiti di sicurezza e avere un minimo di conoscenze per evitare ogni problema: al massimo non raggiungeremo il massimo potenziale di crescita, ma difficilmente procureremo danni alla pianta. Certamente l’argomento interessa maggiormente chi ha già un po di esperienza di base nella coltivazione e sa già come maneggiare i principali fattori di crescita della pianta e vuole migliorare ulteriormente la produzione. Per chi è all’inizio e quindi presumibilmente deve mettere a punto ancora una tecnica di base basta applicare una maggior prudenza attenendosi a limiti di sicurezza inferiori. Uno strumento indispensabile per ottenere dei risultati soddisfacenti è il conducimetro che ci permette di misurare la concentrazione delle soluzioni. Questo strumento, che di solito è abbinato a un pHmetro, unito alla osservazione continua della risposta della pianta (che nella pianta è solitamente rapida ed evidente) è sufficiente a evitare possibili problemi. Con esso è possibile controllare molto meglio la concimazione e avere dei riferimenti numerici per le nostre osservazioni qualitative. Il conducimetro misura indirettamente la concentrazione degli ioni nelle soluzioni acquose. Abbiamo già visto che i sali quandi si sciolgono in acqua si dissociano in ioni che hanno una carica elettrica non essendo più legati alla controparte che li equilibra. L’acqua che quando è pura non conduce che una piccolissima corrente elettrica, per effetto degli ioni in soluzione diventa un buon conduttore e immergendo in essa due elettrodi collegati ad una batteria possiamo rilevare con un amperometro una corrente che scorre tra i due elettrodi. L’entità di tale corrente è direttamente proporzionale alla quantità di ioni presenti in soluzione e quindi in definitiva alla concentrazione della soluzione. Il conducimetro misura tale corrente e la esprime in unità di conduttività (il reciproco della resistenza) elettrica che è il Siemens/cm. In pratica si utilizzano dei sottomultipli, il milliSiemens (mS) e il microSiemens (uS) omettendo per semplicità il denominatore cm. Un’acqua praticamente pura (distillata) ha una conduttività intorno ai 10-20 uS. Una buona acqua di sorgente ha una EC (ElettroConduttività) intorno ai 100-200uS. E’ considerata ancora sufficientemente buona ai fini della coltivazione un’acqua di acquedotto o di pozzo avente 400uS. Ad essa possiamo aggiungere fertilizzanti fino ad avere 1500-2000uS. Oltre tale limite entriamo in zona problematica, ove possiamo avere dei danni. Usando un buon fertilizzante tale conduttività si raggiunge alla concentrazione di 2-3 grammi/litro. Un livello di assoluta sicurezza, che corrisponde alla concentrazione media delle soluzioni nutritive usate in idroponica e di 1000-1200 uS. Occorre tener presente che tale livello si intende per la conducibilità “totale” della soluzione, dovuta oltre alle sostanze nutritive da noi aggiunte anche a quelle già presenti nell’acqua di partenza. E ovvio che se riusciamo a sloggiare i sali già presenti che normalmente non sono utili alla pianta, riusciremo ad avere più posto per le sostanze utili che noi aggiungiamo. Da qui deriva l’indubbia utilità dei depuratori (demineralizzatori, impropriamente detti “filtri”) ad osmosi inversa che rappresentano oggi la migliore e meno costosa tecnologia per la demineralizzazione dell’acqua. L'intervallo in cui varia la gran maggioranza delle soluzioni nutritive sarà quindi 500 - 1500 uS. La concentrazione della soluzione deve essere modulata all’interno di questo intervallo in funzione della tecnica di coltivazione e dello stadio fenologico della pianta. La pianta dalla germinazione al raccolto attraversa diversi stadi di sviluppo. La prima fase è la formazione della piantina a partire dal seme o da una talea. In questo stadio le radici sono primordiali e normalmente ogni concimazione è inutile. Una volta che le radici prendono possesso del substrato e inizia la distensione delle foglie e la formazione di nuovi tessuti inizia la fase di crescita vegetativa in cui la pianta necessita di dosi via via maggiori di nutrimento, con conseguente aumento graduale della concentrazione di fertilizzante. Raggiunto un certo livello di crescita vegetativa, la pianta rallenta la formazione di nuovi tessuti e inizia a prepararsi per la fase riproduttiva, che parte effettivamente quando il fotoperiodo diventa favorevole (12 ore di buio). A questo punto inizia un nuovo tipo di crescita ove la pianta richiede il maggior sostegno nutritivo, e che corrisponde all’inizio della fioritura. In natura la pianta viene rapidamente impollinata e entra nella fase di formazione dei semi, attività che richiede un grande consumo di nutrienti. In coltivazione la fase di fioritura viene prolungata al massimo evitando ogni impollinazione per ottenere il prodotto finale, più ricca di resina e di profumo, e tale fase va sostenuta con concimazioni sopratutto fosfo-potassiche, fino al punto in cui la concimazione viene di nuovo diminuita fino alla sospensione completa una settimana prima del raccolto. La concentrazione della soluzione viene quindi gradualmente aumentata fino a raggiungere il massimo picco all’inizio della fioritura e quindi mantenuta elevata per il tempo necessario, e quindi, più rapidamente, diminuita nelle fasi finali. Anche la qualità, cioè il tipo e la proporzione di elementi nutritivi cambia durante le varie fasi fenologiche. Approfondiremo questo aspetto più avanti, riprendendo in considerazione anche quanto detto finora. Anche la tecnica di coltivazione influisce sulla concentrazione. In vaso, con terra cocco e altri substrati viene assorbita solo una parte degli elementi e l'acqua in cui essi sono disciolti viene eliminata per assorbimento ed evaporazione più rapidamente di quanto vengono assorbiti gli elementi chimici. Questi diventano quindi all'interno del vaso sempre maggiormente concentrati per cui va tenuta in considerazione la quantità precedentemente applicata e vanno previsti periodici lavaggi con acqua pura per ripristinare le condizioni iniziali. In idro, se si utilizza il ricircolo della soluzione (es. flusso e riflusso o dwc) occorre monitorare costantemente la concentrazione e reintegrare il mancante, oltre che prevedere un completo ricambio periodico. Se la soluzione è a perdere (es aereo), occorre che la soluzione sia sempre alla concentrazione ottimale. In outdoor bisogna impiegare una parte di concimi a lenta cessione (chimici od organici) e una piccola parte di concimi a pronto effetto quando necessari. Vale anche qui quanto detto per la coltivazione in vaso, tranne che è più difficile dilavare efficacemente per cui occorre maggior prudenza nel dosaggio. 10 - Il bilanciamento dei nutrienti durante le fasi di crescita. Abbiamo visto il ruolo centrale della fotosintesi nella crescita e che la pianta verde è autotrofa grazie ad essa. Fino a che l’embrione contenuto nel seme non è in grado di fotosintetizzare viene nutrito dalle sostanze di riserva (amidi) che costituiscono la gran parte del seme. Una volta emessa la radichetta iniziale e le due foglie cotiledonari la pianta inizia la sua vita autonoma. In mezzo alle due foglie cotiledonari vi è un piccolo gruppo di cellule indifferenziate, il meristema apicale, che hanno l’unico scopo di dividersi e creare nuove cellule. Abbiamo visto il ruolo importante del fosforo per la divisione cellulare. Le nuove cellule appena create pian piano di distendono e si differenziano ossia indirizzano la loro maturazione e il loro funzionamento per un determinato scopo, e così si formano i vari tessuti e i vari organi che formano la pianta. La costruzione di tutto questo nuovo materiale cellulare richiede forti quantità di azoto. Man mano che le cellule si differenziano e specializzano inizia anche una forte attività di traslocazione dei loro prodotti nelle altre parti della pianta, dove sono richiesti. Il potassio in questa fase è importante come regolatore ed attivatore. Parallelamente al progresso dell’organogenesi la fotosintesi diventa sempre più attiva. In questa fase è nostro compito favorire il suo svolgimento ottimale. Sia per l’organogenesi che per la fotosintesi, nessuno dei tre elementi fondamentali deve mancare, pena forti decrementi di produzione. Preponderante è però il consumo di azoto per la gran quantità di nuovi tessuti che devono essere formati. Dal momento in cui un sufficiente apparato radicale è stato creato un’apporto di azoto, fosforo e potassio nella percentuale di 2-1-1 (se l’azoto è nitrico o di 3-1-1 se è in parte ammoniacale o ureico) sostiene una crescita equilibrata della pianta. Man mano che la crescita prosegue manteniamo lo stesso bilanciamento, ma aumentiamo le dosi in maniera proporzionale alla superficie fogliare creata. Nel caso notassimo un eccessivo allungamento e una crescita disequilibrata diminuiamo la quantità di azoto se la luce è un fattore limitante o aumentiamo fosforo e potassio se abbiamo abbondanza di luce. Indispensabile in questa prima fase è anche un apporto di calcio e di magnesio. Se usiamo acqua demineralizzata dobbiamo fornire assolutamente del calcio, altrimenti è probabile che quantità sufficienti siano già presenti nell’acqua di partenza. Al primo sintomo di carenza di magnesio dobbiamo aumentare la dose di tale elemento, che dovrebbe essere sempre presente circa per un decimo del potassio aggiunto. Anche i microelementi, alla dose di circa un decimo di grammo per litro devono sempre essere presenti. Parallelamente all’aumento di concentrazione di NPK, man mano che la crescita procede possiamo spostare gradualmente l’equilibrio verso il P e K in anticipazione della fase di fioritura, fino ad arrivare al termine della fase vegetativa con un rapporto NPK vicino a 1-1-1. All’induzione a fiore dovremmo essere arrivati a una concentrazione intorno ai 1000 uS. Con l’effetto dell’induzione inizia la maturazione della pianta che si manifesta a livello macroscopico con l’allungamento della cima centrale (stretching) per effetto della distensione e maturazione delle cellule più giovani. Il potassio diventa in tale fase l’elemento più importante ma anche il fosforo deve essere abbondante per evitare uno stretching eccessivo e per favorire la formazione dei fiori. L’azoto diventa meno essenziale perché cessa la crescita tumultuosa ma deve rimanere presente per i compiti di routine. Con l’entrata nella fase di fioritura continuaiamo a spostare l’equilibrio verso P e K, aumentando ancora le dosi, per arrivare all’inizio della fioritura ad un rapporto 1-2-2 con circa 1200 uS. Dall’inizio della fioritura fino alla maturazione aumentiamo ancora il potassio, che favorisce una resa in resina maggiore fino ad un equilibrio intorno a 1-2-3. Con l’inizio della senescenza dei pistilli, che imbruniscono e seccano termina il ciclo di coltivazione, che va continuato giusto per il tempo sufficiente a maturare ed affinare la resina. In questo periodo sospendiamo ogni concimazione per far si che la pianta consumi tutte le riserve presenti eliminando dalle sue foglie ogni traccia di sostanza chimica che potrebbe influire sul “bouquet” (cioè sull’aroma del prodotto) e per avere un prodotto sicuro per la salute. In quest’ultimo stadio dovrebbe aversi un importante ingiallimento e caduta delle foglie più basse e più larghe, che è la prova della “pulizia” dei tessuti da ogni residuo e del consumo delle risorse rimaste che vengono traslocate nelle zone apicali ricche di fiori. Appendice 1 : L’assorbimento dell’acqua e dei nutrienti Dobbiamo innanzitutto distinguere tra assorbimento ed assimilazione. L’assorbimento è il processo in cui i peli radicali fanno penetrare all’interno della pianta l’acqua del terreno (substrato) e i suoi soluti. Gli elementi minerali inorganici assorbiti dall’esterno vengono poi trasformati a composti organici vegetali che costituiscono la pianta. Questa è l’assimilazione che quindi riguarda lo studio delle vie biochimiche attraverso cui si trasformano i nutrienti, l’ anidride carbonica, l’acqua e l’ossigeno. I nutrienti che vengono assorbiti, se necessari all’economia della pianta vengono assimilati subito, altrimenti vengono tenuti in riserva nei vacuoli delle cellule. Per comprendere come avviene l’assorbimento dobbiamo vedere più da vicino come è fatta una cellula vegetale (vedi figura). Essa è formata di una parete cellulare di cellulosa che racchiude il “citoplasma” (o semplicemente plasma) che è un aggregato colloidale proteico in cui “organelli” specializzati compiono le varie funzioni vitali in cui la cellula è specializzata e un cui si trova il “nucleo” formato di DNA che gestisce e controlla le attività cellulari. Il citoplasma è contornato da una sottilissima membrana lipoproteica (formata da acidi grassi legati e attraversati da reticoli proteici) che lo contiene e lo separa dalla parete cellulare. All’interno del citoplasma, durante lo sviluppo cellulare si vengono a formare dei “vacuoli”, delle bolle liquide contenenti in soluzione metaboliti intermedi o di riserva. Anche i vacuoli sono contornati e contenuti da una membrana simile alla membrana cellulare. Con la maturazione della cellula e con la sua piena entrata in attività nel tessuto di cui fa parte i vacuoli si concentrano in un unico grande vacuolo centrale che spesso viene ad occupare la grande maggioranza del volume cellulare (come ad esempio nei tessuti interni delle foglie). La cellulosa è porosa all’acqua e a tutte le sostanze in essa disciolte e per la sua struttura attrae l’acqua per “imbibizione”, come la carta assorbente (che è fatta di cellulosa), esercitando una forza di suzione dell’acqua che è proporzionale al suo grado di imbibizione (molto forte quando è “secca” fino ad annullarsi a saturazione). Ma ancor più forte è la forza di assorbimento di acqua per imbibizione da parte del citoplasma. Esso è formato da una complessa e variabile miscela acquosa di assai diverse sostanze per lo più di natura organica (proteine, acidi nucleici ecc), in parte anche minerale per lo più disciolte ma anche allo stato solido in incessante trasformazione e rielaborazione. Lo stato fisico del citoplasma è una via intermedia tra i liquidi e i solidi detto stato “colloidale”. I colloidi esercitano una forte attrazione di acqua per imbibizione, anch’essa proporzionale al contenuto di acqua presente. Per avere un esempio dell’azione di tale meccanismo di assorbimento basta osservare come si rigonfia un seme in germinazione assumendo acqua attirata dalla cellulosa dal plasma cellulare e dagli amidi di riserva, per imbibizione colloidale. La forza di assorbimento di semi secchi arriva a diverse centinaia di atmosfere, ma poi diminuisce rapidamente man man che procede la loro imbibizione. Nelle condizioni fisiologiche normali di una pianta in piena attività, i colloidi sono molto vicini allo stato di saturazione con acqua: il loro potere di imbibizione ha allora importanza, più che per l’assunzione di altra acqua dall’esterno, per mantenere in un determinato stato fisico chimico le delicatissime strutture del plasma, dalla cui efficienza dipende la vita della cellula. L’assorbimento di acqua, in queste condizioni, avviene per un altro meccanismo, cioè per osmosi attraverso la membrana esterna al citoplasma e al vacuolo. Tali membrane sono infatti parzialmente “semipermeabili” (cioè sono permeabili all’acqua e impermeabili alle molecole disciolte in essa) e quando la soluzione esterna è meno concentrata di quella interna alla membrana per il principio fisico dell’osmosi viene richiamata acqua all’interno. La concentrazione dei soluti presenti nel vacuolo centrale richiama acqua dall’esterno e ne determina un aumento di volume esercitando una pressione dall’interno sulla parete cellulare la quale diviene rigida e sempre più tesa: la cellula si trova allora in uno stato di “turgore” determinato dall’interna pressione osmotica. Quanto sia importante il turgore cellulare appare chiaro quando si ricordi che su di esso si basa la solidità meccanica delle piante erbacee, soprattutto evidente quando foglie, rami, intere piante diventano flaccide e cascanti quando disgraziatamente viene loro a mancare l’acqua. Sempre per lo stesso motivo si manifestano fenomeni di appassimento in conseguenza di eccessiva fertilizzazione. In questo caso la concentrazione della soluzione nutritiva è più elevata di quella interna alle membrane cellulari o è poco differente da essa per cui la pressione osmotica è insufficiente a far “salire” l’acqua col risultato di far appassire le parti più sensibili fino ad arrivare alla necrosi delle parti che più difficilmente riescono a mantenere una sufficiente imbibizione (punte delle foglie, più lontane dal rifornimento di acqua). La punta di ogni radice è formata da un gruppo di cellule indifferenziate che continuano a dividersi e produrre nuove cellule (meristema). Le cellule prodotte man mano che maturano estroflettono lunghe proberanze dette “peli radicali” che aumentano enormemente la zona di contatto e “interfaccia” con l’esterno. La superficie totale dei peli radicali raggiunge diverse centinaia di mq! La parete cellulare è molto fine e la membrana semipermeabile del citoplasma è quasi a diretto contatto col terreno e con la soluzione circolante. Invecchiando la cellula della radice perde le estroflessioni e matura la sua parete cellulare e ingrandisce i vacuoli. Le cellule radicali più attive nell’assorbimento sono quindi quelle poco dietro alla punta, molto ricche di peli radicali e citoplasma. Subito dietro a loro si iniziano a formate tessuti tubulari che poi, sempre salendo dalla punta di una radice lungo le sue ramificazioni, fino al fusto si evolvono in efficienti strutture di trasporto (il tessuto vascolare) che arrivano fino alle foglie. Man mano che le foglie perdono acqua attraverso gli stomi (che sono delle finissime aperture regolabili (stoma =bocca) dell’epidermide fogliare necessarie a far entrare l’anidride carbonica dell’aria per la fotosintesi) il loro turgore diminuisce, la loro forza di assorbimento aumenta per osmosi e l’effetto si diffonde fino alle punte delle radici che fanno entrare attraverso le loro membrane nuova acqua. Le membrane tuttavia non sono perfettamente semipermeabili in quanto evidentemente, oltre all’acqua fanno passare anche alcune molecole disciolte in essa. Questa parziale permeabilità è però selettiva e riguarda solo alcuni soluti. Le membrane plasmatiche sono oggetto di grande studio e interesse scientifico e non ancora completamente conosciute. Sono state trovati alcuni meccanismi di trasferimento attivo, mediato da proteine e altri meccanismi più complessi del semplice trasporto per diffusione e filtrazione anche se questo meccanismo è quello fondamentale. Gli ioni minerali che abbiamo già visto essere essenziali per la crescita passano abbastanza liberamente sebbene meno facilmente che non le molecole di acqua. Vi sono altre molecole, pur solubili, che non passano attraverso le membrane plasmatiche, ad esempio tutte le molecole organiche (aminoacidi, peptidi ecc) che altrimenti potrebbero passare anche dall’interno della pianta alla terra perdendosi e molte molecole minerali che non hanno una forma “adatta”. Gli ioni minerali che fossero presenti in eccedenza nella soluzione nutritiva e quindi non direttamente assimilati possono venire accumulati nei vacuoli. Aumenta di conseguenza la concentrazione interna che richiama maggiormente l’acqua in un equilibrio dinamico incessante. Le cellule essendo in comunicazione fra loro si distribuiscono i materiali accumulati che si spostano dalle zone di maggior concentrazione a quelle di minor concentrazione (dove vengono usati) equilibrando in continuo la loro concentrazione. Alcuni elementi come ad esempio il calcio se presente in eccesso viene trasformato in forme insolubili (ossalato o carbonato di calcio) è così neutralizzato. Lo ione potassio può essere legato con lo ione malato (lo ione dell’acido malico, non quello che non sta molto bene…) e bloccato dalle membrane e così via per una quantità di meccanismi che fanno si che l’assorbimento dei minerali sia in qualche modo regolato e adeguato alle effettive esigenze della pianta nel suo complesso anche se non direttamente al livello dei peli radicali. In definiva, anche l’assorbimento dei nutrienti non è da considerarsi “passivo” cioè indipendente da quanto avviene in ogni momento dentro e fuori la pianta, ma parte di un complesso sistema di equilibri che si è evoluto durante miliardi di anni per adattarsi all’ambiente emergendo attraverso la selezione. Ne deriva, come insegnamento pratico, che non potremo mai forzare comportamenti diversi da quelli naturali, ma dovremmo cercare di capirli ed assecondarli per aiutare le nostre amate a sviluppare ed esprimere tutte le risorse che esse potenzialmente dispongono.