UNITÀ 6 – GLI APPARATI DI RELAZIONE
Lezione 1 – Il movimento: l’apparato locomotore
Approfondimento - Il trapianto di midollo
Il trapianto di midollo osseo (TMO) è una tecnica alquanto complessa, che serve per la cura di
gravissime malattie del sangue, come la leucemia in fase acuta e le aplasie midollari, ossia
l’incapacità, più o meno completa, di produrre sangue.
In realtà il trapianto di midollo consiste nel trapianto di cellule staminali emopoietiche (CSE) che
si trovano immerse nel midollo osseo che si trova nelle ossa. Le cellule staminali emopoietiche
sono in grado di produrre globuli rossi, globuli bianchi e piastrine.
Le cellule staminali si trovano anche nel sangue periferico ma in compatibilità: possibilità di
di organi o tessuti
quantità molto ridotta. Il trapianto consiste nel trasferire midollo trasferimento
senza che avvenga rigetto.
sano da un donatore, che ne abbia compatibilità, a un ricevente malato, che in questo modo, potrà ricostruire nuovamente cellule
del sangue sane.
Generalmente il prelievo viene fatto dalle ossa del bacino. L’intervento viene fatto in anestesia
locale o generale e dura, di norma, meno di un’ora. La quantità di midollo prelevata dipende dal
peso del donatore (circa 10-20 ml/kg).
Il prelievo è completamente innocuo per il donatore perché in poche settimane il midollo prelevato
viene ricostituito, mentre può ridonare la vita a chi, malato, non sarebbe in grado di sopravvivere
che per un tempo molto breve.
Quando si parla di trapianto di midollo osseo ci deve essere un donatore e un ricevente. Se il
donatore e il ricevente sono la stessa persona si parla di trapianto di midollo osseo autologo,
quando invece il donatore e il ricevente sono persone diverse si parla di trapianto allogenico. Nel
trapianto allogenico il donatore può essere un fratello, una sorella o un parente e in alcuni casi
anche una persona estranea alla famiglia, ma in tutti i casi questi donatori devono essere compatibili
con il ricevente.
UNITÀ 6 – GLI APPARATI DI RELAZIONE
Lezione 1 – Il movimento: l’apparato locomotore
Approfondimento - Muscoli antagonisti
I muscoli scheletrici sono inseriti sulle ossa
mediante dei cordoni di tessuto connettivo, i
tendini, le cui estremità sono collegate a due o
più pezzi scheletrici. Per comprendere il
meccanismo con cui i muscoli determinano lo
spostamento delle ossa, osserviamo il
movimento di flessione dell’avambraccio sul
braccio.
Il muscolo bicipite è fissato con un’estremità
all’omero, l’osso del braccio, e con l’altra al
radio, una delle ossa dell’avambraccio.
Quando il bicipite si contrae, accorciandosi,
l’avambraccio si avvicina al braccio.
Per tornare nella posizione di partenza, cioè
con l’arto disteso, entra in azione un altro
muscolo, il tricipite, situato posteriormente al
bicipite, mentre quest’ultimo si rilassa.
Quindi, quando l’uno si contrae, l’altro si
rilassa. I due muscoli, bicipite e tricipite, per
la loro azione, si chiamano antagonisti [fig. 1].
Fig. 1. La contrazione (A) e l’estensione (B) del braccio avviene
per l’impulso inviato dal cervello.
UNITÀ 6 – GLI APPARATI DI RELAZIONE
Lezione 2 – La comunicazione: il sistema nervoso
Approfondimento - I vari tipi di recettori
I recettori sono specializzati nel recepire stimoli di diversa natura; per questa ragione possiamo
distinguere:
♦ i propriocettori, che ci informano sui movimenti che i
nostri organi stanno effettuando; per esempio percepiamo
lo stato dei nostri muscoli, ma anche la posizione assunta
dal nostro corpo, siamo consapevoli cioè di essere seduti o
in piedi anche senza avere gli occhi aperti. Il sistema dei
propriocettori è influenzato dalla gravità e ci permette
anche di conoscere la posizione dei nostri arti senza
guardarli. Queste percezioni sono importanti per
l’equilibrio e per il controllo del movimento. Grazie a essi,
il cervello riceve informazioni da tutte le articolazioni e i
muscoli: infatti, sappiamo sempre se abbiamo un braccio
alzato o una gamba tesa in avanti [fig. 1]. Possiamo citare i
propriocettori dei muscoli o fusi muscolari, costituiti da
un fascio di fibre muscolari avvolte da tessuto connettivo,
in cui ogni fuso è innervato da fibre motorie e da fibre
sensitive;
♦ i chemiorecettori che sono stimolati da sostanze chimiche:
Fig. 1. I propriocettori muscolari e
sono recettori gustativi e olfattivi;
♦ i meccanorecettori sensibili a stimoli di natura meccanica tendinei con i corpuscoli di Pacini,
derivanti per esempio da variazioni di pressione o da recettori per la sensibilità tattile
profonda (delle mani, dei piedi,
trasmissione di onde di tipo sonoro: sono recettori pressori e
ecc.).
acustici;
♦ i fotorecettori che sono stimolati da impulsi luminosi come
succede alle cellule sensoriali dell’occhio;
♦ i termorecettori stimolati da variazioni di temperatura:
sono perciò recettori del caldo e del freddo;
♦ i fonorecettori stimolati a loro volta dai suoni.
UNITÀ 6 – GLI APPARATI DI RELAZIONE
Lezione 2 – La comunicazione: il sistema nervoso
Approfondimento - I recettori del gusto e dell’olfatto
Il gusto è un senso che viene
stimolato da sostanze chimiche e i
recettori sono situati nelle papille
gustative che ricoprono la parte
superiore e i lati della lingua e della
gola. La sensazione di sapore si ha
quando i composti chimici, sciolti
dalla saliva o già in soluzione,
vengono a contatto con le papille
gustative [fig. 1].
La forma delle papille gustative è
alquanto varia: possono essere
filiformi, fungiformi, circumvallate e
fogliate.
Fig. 1. I recettori del gusto ci consentono di sentire i quattro gusti
I quattro gusti fondamentali, dolce, fondamentali: dolce, amaro, salato, acido.
amaro, salato, acido, ci consentono,
con le loro combinazioni, di avvertire i sapori che, in molti cibi, vengono evidenziati anche da
sensazioni termiche e olfattive. Infatti il profumo di un cibo è importante come il suo sapore per
farcelo gustare a pieno.
Quando siamo raffreddati, anche il gusto è alquanto indebolito; infatti, esso dipende in parte
dall’olfatto che non funziona in modo perfetto quando il naso è impregnato dal muco provocato dal
raffreddore.
I recettori dell’olfatto captano le molecole di sostanze che si trovano allo stato gassoso [fig. 2].
Essi risiedono nell’epitelio olfattivo del naso, o mucosa nasale, che riveste le cavità nasali
superiori, ed è sensibile a numerosi odori, probabilmente in base alla forma delle molecole delle
sostanze che sono solubili nel muco. Affinché una sostanza possa essere percepita, deve raggiungere la cellula cigliata sensibile a essa e stimolarla per farle inviare un impulso al cervello; questo
registra e decodifica lo stimolo come sensazione specifica di odore. Noi siamo in grado di percepire
molti più odori che sapori; infatti, anche se i due stimoli sono in relazione, siamo molto più sensibili
agli stimoli olfattivi che a quelli gustativi.
Fig. 2. I recettori dell’olfatto.
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Lezione 2 – La comunicazione: il sistema nervoso
Approfondimento - I difetti della vista
Fig. 1.
I difetti più comuni della vista sono:
♦ la miopia, che dipende da un’eccessiva curvatura del
cristallino o dal globo oculare troppo allungato [fig. 1A-B]; il
miope vede bene gli oggetti vicini e sfocati quelli lontani. Il
difetto si corregge con lenti biconcave o divergenti. Il grado di
miopia viene misurato in diottrie, cioè valutando l’inverso
della distanza del punto remoto, cioè il punto più lontano che
l’occhio vede nitido, espressa in metri. Se, per esempio, un
oggetto viene visto nitidamente e senza sforzo a una distanza di 25 cm (punto
remoto) si parla di una miopia di 4 diottrie: 1/0,25 m = 4 diottrie;
♦ la presbiopia, che è dovuta alla perdita di contrattilità del muscolo ciliare e
di elasticità del cristallino, per cui l’occhio perde la capacità di
accomodamento per vedere bene da vicino [fig. 2]. La distanza del punto
prossimo, cioè il punto più vicino che l’occhio vede nitido con il massimo
accomodamento, cresce con l’avanzare dell’età, in quanto si riduce il potere
di accomodamento del cristallino. Il punto prossimo si trova a una distanza
di circa 7 cm a 10 anni, di circa 15-20 cm a 30 anni, di 40 cm, e per alcune
persone anche oltre, a 50 anni. La presbiopia si corregge con lenti biconvesse
o convergenti. Il presbite, che generalmente è un anziano, vede bene gli
oggetti lontani e male quelli vicini;
♦ l’ipermetropia (che produce gli stessi effetti della presbiopia), che è comune
nei neonati e nei bambini, ed è dovuta al fatto che il globo oculare, non
avendo ancora raggiunto lo sviluppo definitivo, è troppo piccolo
relativamente al potere di convergenza dei cristallino [fig. 3]. È un difetto
che, in genere, scompare con la crescita;
♦ l’astigmatismo, che è dovuto a un difetto di curvatura della cornea per
cui le immagini risultano deformate [fig. 4].
Fig. 2.
Fig. 3.
Fig. 4.
Esistono altri difetti della vista, non legati a una malformazione o a un
malfunzionamento dell’occhio. Il più comune è il daltonismo, che è
dovuto all’incapacità di distinguere alcuni colori, soprattutto il rosso e il
verde [fig. 5]. In casi eccezionali si verifica l’acromatismo, cioè
l’impossibilità di percepire i colori, per cui l’immagine appare costantemente in bianco e nero.
È buona regola effettuare periodicamente una visita medico-oculistica per prevenire malattie quali il
glaucoma, causato da un aumento della pressione interna dell’occhio. Tale anomalia è dovuta alla
presenza di una maggiore quantità di umore acqueo e, se non curata tempestivamente, può portare
anche alla cecità.
Fig. 5. Tavole per la diagnosi del daltonismo:
chi non è affetto da daltonismo vede un pesce
nella tavola 1 e una barca a vela nella tavola 2;
chi non percepisce il verde non vede né il pesce
né la barca a vela; chi non percepisce il rosso
non vede il pesce e distingue con difficoltà la
barca a vela.
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Lezione 3 – Il controllo: il sistema endocrino
Approfondimento - La reazione dell’organismo allo stress
Spesso si sente parlare di stress; ma che cosa succede al nostro organismo quando si trova in questa
situazione? Ovviamente stiamo parlando di una situazione “acuta”, momentanea, come un esame,
uno spavento, una gara, un forte dispiacere. In caso di stress l’ipotalamo produce un ormone che
stimola l’ipofisi a secernere un altro messaggero chimico, che a sua volta stimola le ghiandole
surrenali. Sia la parte corticale sia la parte midollare (delle ghiandole surrenali) si attivano e
producono rispettivamente il cortisolo e l’adrenalina, ormoni che modificano l’attività cerebrale, in
modo tale che l’organismo affronti la situazione.
In questi momenti particolari gli ormoni delle ghiandole surrenali riducono il consumo di glucosio
da parte delle cellule, in modo tale che il cervello e il cuore abbiano più disponibilità di energia e
siano così più forti per affrontare la crisi. Da studi effettuati, sembra che gli ormoni stimolino anche
il sistema immunitario.
È ovvio che questa situazione di “forza” è solo temporanea, nel senso che, se lo stress continua per
un periodo troppo lungo si possono avere disturbi come febbre e aumento dei linfociti, causati dal
sistema immunitario, ma anche disturbi del sonno, difficoltà di apprendimento e di memoria e
cambiamenti di umore.
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Lezione 3 – Il controllo: il sistema endocrino
Approfondimento - Gli ormoni vegetali o fitormoni
La pianta non possiede un sistema nervoso che coordini le sue funzioni, ma il suo sviluppo deve
adeguarsi ai ritmi del giorno e della notte e all’avvicendarsi delle stagioni. Per regolare le proprie
funzioni e il proprio sviluppo, la pianta utilizza gli ormoni vegetali o fitormoni. Lungo i canali in
cui scorre la linfa essi raggiungono gli organi bersaglio e provocano determinate azioni, come
l’allungamento e la divisione delle cellule, l’inibizione dello sviluppo della radice, l’allungamento
del fusto, la fioritura.
Possiamo distinguere tre gruppi di fitormoni: le auxine, le gibberelline, le citochinine. Le auxine
esplicano molte azioni, di cui la più importante è la crescita del germoglio. Le gibberelline, con le
auxine, favoriscono l’allungamento del fusto e tutti i processi di crescita. Le citochinine stimolano
la divisione delle cellule degli apici e delle gemme, favoriscono l’espansione delle foglie e
collaborano alla germinazione del seme.
Altre sostanze provvedono, in autunno, a preparare la pianta per l’inverno. A primavera, l’azione di
queste stesse sostanze diminuisce progressivamente ed entrano in azione le gibberelline che
provocano il risveglio della pianta e lo spuntare delle gemme.
L’uso dei fitormoni prodotti artificialmente dall’uomo è ormai entrato largamente in agricoltura, per
programmare la fioritura delle piante, la maturazione dei frutti, per accelerare o ritardare la loro
crescita.
Con l’aiuto dei fitormoni – auxine nei pomodori, gibberelline nell’uva e nelle mele, citochinine nel
fusto – si sono ottenuti frutti senza semi come le arance clementine. Inoltre l’auxina viene utilizzata
per la sua proprietà di distruggere le erbe dannose o infestanti: viene quindi impiegata come
erbicida. La sua utilità si manifesta in modo
evidente nelle risaie dove, nei tempi passati, le
piante infestanti dovevano essere strappate a
mano scegliendole una a una [fig. 1].
compatibilità: possibilità di
trasferimento di organi o tessuti
senza che avvenga rigetto.
Fig. 1. I fitormoni consentono di ottenere gerani,
gardenie, ortensie e petunie con un apparato floreale
più appariscente e un fusto meno allungato.
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Lezione 4 – La riproduzione: l’apparato genitale
Approfondimento - Sterilità e fecondazione assistita
La sterilità si definisce come l’incapacità di fecondare o concepire individui, in età normalmente
feconda. La sterilità può dipendere dall’uomo o dalla donna, per cui si parla di sterilità maschile o
femminile.
La sterilità maschile è spesso dovuta a: produzione di un basso numero di spermatozoi
(ipospermia) o assenza di spermatozoi, scarsa mobilità degli spermatozoi, produzione di pochi e
deboli spermatozoi, gravi alterazioni della forma dei gameti, incapacità degli spermatozoi di
attraversare la zona pellucida dell’ovulo per fecondarlo.
La sterilità femminile può essere determinata da: assenza di ovulazione, occlusione delle tube,
secrezione di sostanze che danneggiano gli spermatozoi, incapacità dell’utero di accettare
l’annidamento dell’ovulo fecondato o di portare avanti una gravidanza (infertilità femminile).
Fu proprio per superare il problema dell’occlusione delle tube, per cui gli spermatozoi non riescono
a raggiungere l’ovulo e fecondarlo, che alla fine degli anni ’70 si ricorse ai famosi “figli della
provetta”. La prima bambina nata nel luglio del 1978 con questa tecnica fu Luise J. Brown e, da
allora, i bambini nati in questo modo sono moltissimi.
Tale notizia, apparsa sui giornali di tutto il mondo, generò molto scalpore, perché, interpretando
erroneamente il procedimento adottato dalla nuova tecnica di fecondazione, faceva supporre che il
bambino “soggiornasse” nella provetta per tutto il periodo della gravidanza. In realtà la
fecondazione in vitro o FIVET consiste nel prelevare un ovulo maturo direttamente dall’ovaia e
quindi collocarlo in una provetta contenente un terreno di coltura. Nella stessa provetta vengono
introdotti gli spermatozoi dell’aspirante padre per effettuare la fecondazione.
Durante questa operazione, l’ovulo
viene mantenuto fermo con una
micropipetta, mentre con un micro-ago
vengono inseriti degli spermatozoi
nella zona pellucida dell’ovulo [fig. 1].
Una volta fecondato, l’ovulo è messo
in coltura e allo stadio di poche cellule
(circa 4) viene inserito nell’utero
materno, sperando che s’annidi
nell’endometrio.
Gli studi e gli esperimenti non si sono
certo fermati in questi ultimi anni e le
tecniche di fecondazione assistita si
sono ormai perfezionate per poter
affrontare e risolvere le diverse forme
di sterilità.
In Italia, la procreazione medicalmente
Fig. 1. Fasi della fecondazione in provetta o FIVET.
assistita è regolata dalla Legge n. 40 del 19/02/2004.
Consideriamone le tecniche più utilizzate.
♦ Inseminazione artificiale: lo sperma viene inserito nell’utero o nelle tube per rendere più
facile l’incontro dei gameti. Si ricorre a tale tecnica in caso di sterilità maschile. Lo sperma
può essere del partner della donna ricevente (fecondazione omologa), nel caso di sterilità
dovuta a basso numero di spermatozoi o a scarsa motilità, o di un donatore anonimo
♦
♦
♦
♦
(fecondazione eterologa), nel caso di assenza totale di spermatozoi. Tale metodica è vietata
in Italia.
Mesa: viene utilizzata nel caso le vie spermatiche siano ostruite. Si prelevano gli
spermatozoi direttamente dall’epididimo e, in caso che anche questo non sia possibile,
direttamente dal testicolo (Tesa).
Ovodonazione: questa tecnica viene utilizzata in caso di sterilità femminile (assenza di
ovulazione) o se la donna è portatrice di malattie genetiche che possono essere trasmesse ai
figli. L’ovulo di una donatrice anonima viene fecondato in vitro con il seme del partner
dell’aspirante madre e quindi inserito nell’utero della donna. Tale tecnica è vietata dalla
nostra legge.
Icsi: è una tecnica utilizzata in caso di sterilità maschile. Consiste nella fecondazione in
provetta (Fivet) di un singolo spermatozoo, scelto al microscopio tra i più vitali, che viene
iniettato direttamente dentro l’ovulo da fecondare. Tale tecnica è stata ulteriormente
perfezionata; infatti, nei casi di incapacità di far maturare gli spermatozoi, si possono
utilizzare gli spermatidi.
Ciss: è una tecnica utilizzata in caso di sterilità maschile. Si selezionano al computer gli
spermatozoi più vitali in base alla loro velocità e li si utilizza nella Fivet o Icsi. La prima
nascita con tale tecnica risale al 1994.
La ricerca continua e ora si sta studiando come far “ringiovanire” gli ovuli di donne che non
riescono ad avere figli.
Comunque la maggior parte dei ricercatori si sono posti come obiettivo prioritario quello di
migliorare la percentuale di impianto dell’embrione nell’utero, che si aggira oggi intorno al 20%.
UNITÀ 6 – GLI APPARATI DI RELAZIONE
Lezione 4 – La riproduzione: l’apparato genitale
Approfondimento - L’amniocentesi e la villocentesi
L’amniocentesi e la villocentesi sono le tecniche più usate, dopo l’ecografia, per la diagnosi
prenatale delle malattie congenite. L’ecografia è sicuramente la pratica più usata e più conosciuta,
poiché viene utilizzata anche per controllare diversi organi interni del corpo umano: si tratta di una
tecnica che, mediante l’emissione di ultrasuoni, permette di ottenere un’immagine del feto o di
organi interni, visibili su uno schermo. Grazie a questo tipo di esame, completamente innocuo, si
possono evidenziare anomalie degli organi o del feto e per quest’ultimo si evidenzia anche il sesso,
a partire dal 5° mese circa di gravidanza.
L’amniocentesi e la villocentesi, invece, permettono di rilevare alcune malattie genetiche, che, in
alcuni casi, sarebbero evidenti solo dopo la nascita od oltre. L’amniocentesi si attua mediante il
prelievo dalla cavità amniotica, il sacco dove si trova il bambino, di un po’ di liquido, che contiene
alcune cellule embrionali. L’esame viene effettuato, generalmente, tra la 14a e la 16a settimana di
gravidanza e il prelievo viene effettuato mediante un ago sterile che, attraversando l’addome, arriva
sino alla cavità amniotica. L’intervento è indolore, viene praticato ambulatorialmente e sotto
controllo ecografico. La villocentesi invece può essere praticata tra la 6a e la 12a settimana di
gravidanza e consiste nel prelievo di alcuni villi coriali (ossia del corion cioè la membrana che
concorre alla formazione della placenta), le cui cellule presentano le stesse caratteristiche genetiche
dell’embrione [fig. 1].
Dall’analisi delle cellule prelevate, sia con
l’amniocentesi, sia con la villocentesi, si riesce
a conoscere il cariotipo. Grazie allo studio dei
cromosomi, si possono così scoprire le anomalie
cromosomiche responsabili di molte malattie
congenite, come la trisonomia 21 che causa la
sindrome di Down, oppure evidenziare la
mancanza di qualche enzima dovuta a
mutazioni.
cariotipo: “fotografia” dell’insieme
dei cromosomi di una cellula.
Fig. 1. Tecnica della villocentesi (a sinistra) e
dell’amniocentesi (a destra). La villocentesi si può
effettuare anche per via vaginale.
UNITÀ 6 – GLI APPARATI DI RELAZIONE
Lezione 4 – La riproduzione: l’apparato genitale
Approfondimento - L’aborto
L’aborto è un’interruzione di gravidanza che si verifica prima del 180° giorno. Esso può essere
spontaneo, se si verifica per cause naturali (come conseguenza di una malattia o di un
incidente), o volontario e si tratta allora di un aborto provocato. Esiste anche l’aborto
terapeutico, che viene praticato dal medico, mediante intervento chirurgico, quando la madre è
in pericolo di vita.
In Italia esiste una legge (n° 194 del 22 maggio 1978) che legalizza la pratica dell’aborto entro i
primi 90 giorni della gestazione e, solo in casi eccezionali, anche oltre tale termine. Esso può
essere effettuato per motivi di salute fisica o psichica della donna, o di natura sociale o
familiare, o per anomalie o malformazioni del futuro nascituro. Dopo 90 giorni l’aborto può
essere effettuato solo in casi di grave pericolo per la madre o per gravi anomalie del nascituro.
I medici “obiettori di coscienza”, che si dichiarano contrari all’aborto per motivi morali,
possono rifiutarsi di effettuare pratiche abortive.
Le tecniche chirurgiche adottate sono diverse a seconda del periodo di gestazione. Se l’aborto
viene praticato nel primo trimestre si procede mediante raschiamento della parete uterina o
mediante l’aspirazione dell’embrione. Se invece l’aborto viene praticato nel secondo trimestre,
si procede alla stimolazione, mediante ormoni o altre sostanze, della muscolatura dell’utero e
quindi si provoca un aborto spontaneo.
Purtroppo spesso l’aborto è concepito come un metodo di controllo delle nascite, senza
rendersi conto che tale esperienza può far insorgere turbe profonde nella donna che non
sempre sono facili da sconfiggere.