Comunicazione in medicina: evoluzione storica

Comunicazione in medicina:
evoluzione storica, riflessioni e prospettive
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La capacità di comunicare è sempre stata determinante per l'evoluzione dell’uomo e per il
suo progresso culturale. Per tale motivo la ricerca di mezzi e tecnologie utili a gestire e controllare
l'informazione ha caratterizzato la storia di ogni civiltà. Ogni nuovo strumento di comunicazione ha,
infatti, provocato un profondo impatto sulla cultura e la società nella quale è stato introdotto.
Comprendere in che modo le diverse tecnologie della comunicazione abbiano influito sui modelli
culturali del passato, costituisce una riflessione di fondamentale importanza per
intuire
i
cambiamenti di oggi e cercare di orientarli.
La comunicazione è uno strumento fondamentale anche in campo sanitario e il rapporto
medico-paziente ne costituisce il momento maggiormente caratterizzante: “L’atto medico può
esprimere varia profondità di conoscenze, può condensare un bagaglio più o meno ricco di
esperienza, può possedere un diverso contenuto tecnologico, ma se esso non è calato nella intimità
sofferente del malato, se non è preceduto e sostenuto da una condivisione profonda, perde in
partenza una parte essenziale della sua capacità terapeutica. La condivisione si realizza attraverso
un contatto umano, spirituale e anche verbale, di cui la comunicazione è il tramite
1
indispensabile”. 1 Molti sono stati gli studiosi (ad esempio, Harold Innis, Marshall McLuhan 2,
Walter J. Ong), che si sono cimentati nello studio di tale fenomeno, anche se occorre tener presente
che il processo comunicativo di trasmissione dei segni in sé, non è né buono né cattivo, mentre le
finalità legate al suo utilizzo dipendono dal codice linguistico e dal tipo di canale che si decide
di impiegare. I mezzi di comunicazione come la televisione, in fondo non sono altro che delle forme
di estensione di noi stessi: ad esempio, la macchina o la moto di per sé non costituiscono l’unico
modo per effettuare dei viaggi, visto che noi ci spostavamo già prima di utilizzarle. Esse
costituiscono solo delle modalità per conferire maggiore velocità allo spostamento stesso, riducendo
il tempo impiegato. La stessa cosa vale per la televisione o per Internet: attraverso questi media il
messaggio inviato dal mittente al destinatario viaggia più velocemente, ma il meccanismo di
trasmissione e condivisione delle informazioni era attivo anche in precedenza.
Nella prima parte di questa relazione analizzeremo le tappe principali dell’evoluzione storica
degli strumenti di comunicazione, gli effetti e le trasformazioni che essi hanno indotto sui modelli
culturali presenti nella società. 3 Nella seconda sezione metteremo in risalto il ruolo svolto dalla
comunicazione e dalle tecnologie informatiche e telematiche in campo sanitario e il modo con cui si
sono evoluti negli ultimi anni i concetti di “salute” e “benessere”, grazie all’enorme diffusione nei
media di notizie e di informazioni di carattere medico.
1
P. Danesino, A. Zonta, Etica della comunicazione medica, in colnuovo.unipv.it/corsi_seminari/Etica, Collegio NuovoFondazione Mattei di Pavia, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Pavia, a.a. 2005-06.
2
L’opera di Marshall McLuhan (1911-1980) è legata alla sua interpretazione“degli effetti prodotti dalla comunicazione
sia sulla società nel suo complesso sia sui comportamenti dei singoli. La sua riflessione ruota intorno all'ipotesi
secondo cui il mezzo tecnologico che determina i caratteri strutturali della comunicazione produce effetti pervasivi
sull'immaginario collettivo, indipendentemente dai contenuti dell'informazione di volta in volta veicolata. Di qui, la sua
celebre tesi secondo cui "il mezzo è il messaggio". La locuzione villaggio globale è stata usata per la prima volta da
McLuhan, nel 1964, in un libro, intitolato Gli strumenti del comunicare (Understanding Media: The Extensions of
Man) in cui, nel passaggio dall’era della meccanica a quella elettrica, ed alle soglie di quella elettronica, analizzava
gli effetti di ciascun "medium" o tecnologia sui cambiamenti del modo di vivere dell'uomo”. Cfr.
it.wikipedia.org/wiki/Marshall_McLuhan
3
Cfr. D. Mosca, R. Ruocco, Una breve storia dei media, in http:// www.garito.it
2
Nella storia della comunicazione, 4 si sono susseguite tre importanti rivoluzioni: la
rivoluzione chirografica (invenzione della scrittura nel quarto millennio a. C.), la rivoluzione
gutenberghiana (invenzione della stampa intorno alla metà del XV secolo) 5 e la rivoluzione elettrica
ed elettronica (invenzione del telegrafo, della radio e della televisione). Sempre in relazione alla
diffusione degli strumenti di comunicazione, si sono avvicendate -nell’arco dei millenni- quattro
tipi di culture: la cultura orale, la cultura manoscritta o chirografica, la cultura tipografica (nella
quale la trasmissione del sapere avviene grazie al libro stampato) e la cultura dei media elettrici ed
elettronici (nella quale le informazioni circolano in modo rapidissimo, attraverso i mass media
tradizionali quali la televisione, la radio o attraverso i nuovi media: reti telematiche e tecnologie
web). 6
Tutte le volte che si è verificata una delle rivoluzioni menzionate, gli uomini si sono divisi in
due fazioni: “da un lato quella degli apocalittici, coloro i quali ritenevano che l'introduzione di una
nuova tecnologia nella comunicazione avrebbe arrecato all'uomo solo effetti nocivi; dall'altro
quella degli integrati, che affermavano che da essa sarebbero venuti soltanto benefici”. 7 Un
appartenente alla schiera degli esponenti “apocalittici” può essere considerato Platone, che tentò di
4
Karl Erik Rosengren in Introduzione allo studio della comunicazione pubblicato da Il Mulino nel 2001, ci illustra
l’etimologia del termine comunicare: Il termine comunicare è storicamente collegato alla parola comune, che deriva dal
verbo latino communicare (“condividere”, “rendere comune”), a sua volta correlato alla parola latina communis
(“comune”). Quando comunichiamo, incrementiamo la nostra conoscenza condivisa, cioè il “senso comune”, la
precondizione essenziale per l’esistenza di qualsiasi comunità. (Rosengren, 2001, p. 11).
5
L'introduzione della stampa a caratteri mobili da parte di Gutenberg ha segnato un momento di svolta nella storia
dell'umanità. Per un rassegna delle tappe fondamentali del percorso di affermazione dei mezzi di comunicazione di
massa nella società (attraverso l’impiego di strumenti tecnici come la fotografia, il cinema, la radio, la televisione fino
alla diffusione di Internet). Cfr. Z. Ciuffoletti, E. Tabasso, Breve storia sociale della comunicazione, Roma, Carocci,
2005.
6 Cfr. P.C. Rivoltella, Teoria della comunicazione, La Scuola, Brescia, 1998.
7 G. Cappello, Comunicazione, storia e cultura, in http:// www.garito.it, p. 1. Apocalittici e integrati è un saggio di
Umberto Eco edito da Bompiani nel 1964, nel quale il semiologo fa una disamina della nuova cultura di massa
sottolineandone sia gli aspetti negativi che quelli positivi. Il concetto base che sottende tutta l’opera, si può riassumere
nell’opposizione tra apocalittici e integrati. Per gli apocalittici l’offerta culturale deve sempre tendere all’originalità
rifuggendo qualsiasi tentativo di omologazione, provocare emozioni, generare pensieri, nutrire il senso critico
dell’individuo. In una parola, si può dire che la cultura deve formare la persona che, però, deve avere anche gli
strumenti adeguati per comprenderla. La cultura non è una merce consumistica. Con l'avvento della società di massa, si
fa strada il modello integrato, che massifica il gusto, lo omologa, abbassando il livello dell'offerta culturale, che spesso
diventa puro intrattenimento. Si usano forme culturali considerate di serie B, quali, ad esempio, fumetti o narrativa
popolare o cinema. La proposta culturale a prezzi modici (lato positivo dell'integrato) da una parte favorisce l'accesso a
un vastissimo pubblico, dall'altra, però, porta al conformismo di valori e opinioni. La cultura è a portata di tutti e
acquistabile da tutti ma rimane a un livello superficiale di comprensione e di capacità di giudizio.
3
mitigare l'importanza della scrittura a vantaggio del sapere orale da egli ritenuto di importanza
fondamentale per sviluppare memoria e intelligenza. 8 Nella cultura orale dove non esistono testi
scritti, “il sapere deve essere organizzato in modo tale da poter essere facilmente mandato a
memoria. L'udito è considerato il senso più importante e il periodare del discorso è fondato sulla
coordinazione. Infatti, la subordinazione è tipica della scrittura e, a causa della sua complessità,
risulta difficile da memorizzare. Il discorso orale è piuttosto ridondante con frequenti ripetizioni,
citazioni e formule fisse e i precetti, come quelli legali e religiosi, non vengono enunciati in formule
astratte, ma basandosi sul caso concreto. E’ proprio grazie alla cultura orale che nasce la poesia:
la ritmicità, le formule fisse e le rime consentono infatti di mandare a memoria un gran numero di
concetti”. 9 Il merito di aver inventato la scrittura va ascritto ai Sumeri (ca. 3500 a. C.). Inizialmente
la scrittura cuneiforme veniva impiegata per esigenze di tipo contabile e amministrativo, solo in
seguito venne usata per descrivere eventi storici, religiosi e letterari. Intorno al 3000 a. C. gli antichi
Egizi diedero vita alla scrittura geroglifica; successivamente essi svilupparono altri due forme
basate sulle immagini: la ieratica e la demotica. “La scrittura cuneiforme, pur essendosi
ampiamente diffusa, non poté resistere all'avanzata dell'alfabeto greco. Infatti la rivoluzione
operata da questo alfabeto, consistette nel non considerare più la sillaba come l'unità linguistica
fondamentale, ma nello scinderla nelle sue componenti foniche fondamentali: le consonanti e le
vocali. Se la cultura orale era una cultura incentrata sulla memoria, la cultura chirografica è una
cultura che impara a fare a meno della memoria. Il libro, infatti, diventa una memoria artificiale,
un'estensione della mente”. 10
La nascita della scrittura consentì anche il fiorire di nuove scienze come la logica l'etica, la
filosofia: “I libri nell'antichità ebbero la forma del rotolo o quella del codice. I primi erano ottenuti
8 Nel Fedro, Platone fa dire a Socrate che la scrittura “è disumana, poiché finge di ricreare al di fuori della mente ciò
che in realtà può esistere solo al suo interno”. La scrittura è una cosa, un prodotto manufatto. In secondo luogo, la
scrittura distrugge la memoria: chi se ne serve cesserà di ricordare, e dovrà contare su risorse esterne quando
mancheranno quelle interiori”. W. J. Ong, Oralità e scrittura, Bologna, Il Mulino, 1976, pp. 1-3.
9
F. Repetto, Il mondo del mito primitivo, in Breve storia della comunicazione sociale, in http:// www.edscuola.it
10
G. Cappello, Comunicazione, storia e cultura, in http:// www.garito.it, pp. 6-7.
4
arrotolando il papiro intorno ad una bacchetta; i secondi, che avevano la forma in genere
rettangolare, erano ottenuti con la pergamena. Tutto questo consentì il sorgere di vere e proprie
librerie e di editori che si affidavano agli scrivani per la pubblicazione delle opere. Infatti l'arte
dello scrivere era riservata a pochi “librarii” che venivano onorati e rispettati”. 11 In tale contesto
nacquero le prime biblioteche tra le quali occorre ricordare quelle di Pergamo e Alessandria.
L'invenzione della stampa da parte di Johann Gutenberg (ca.1394-1468), provocò una vera e
propria rivoluzione nel mondo della comunicazione. La stampa fece in modo che le edizioni dei
testi fossero sempre più accurate e fedeli all'opera originale: “nel Medioevo la trascrizione manuale
delle opere faceva sì che gli errori aumentassero proporzionalmente al numero delle opere. I libri,
una volta stampati, venivano sempre diffusi con il medesimo testo e questo fece in modo che la
stampa rivestisse un ruolo fondamentale nella nascita delle lingue nazionali. La diffusione della
stampa consentì la nascita dei primi giornali, che con il perfezionamento della tecnica, diventarono
ben presto quotidiani”. 12
L'Ottocento ed il Novecento rappresentano i secoli del grande progresso tecnologico.
L’invenzione del telegrafo, del telefono, della radio, della televisione e del computer ha accelerato
in maniera esponenziale lo scambio di testi, suoni e immagini. 13 La più importante innovazione
“testuale di questi ultimi anni è stata la creazione dell'ipertesto: un sistema che permette di
consultare molto più velocemente solo le parti di un libro a cui siamo interessati. Molti studiosi
11
Ibidem.
Ibidem. pp.7-8.
13
A partire dall'Ottocento, la storia dei mezzi di comunicazione si legò in modo definitivo allo sviluppo tecnologico ed
industriale, subendo un’accelerazione mai vista sino ad allora. Due furono le grandi innovazioni portate dal secolo
scorso: la nascita dei primi sistemi di comunicazione a distanza (ad esempio, radio, telefono) e lo sviluppo delle prime
tecnologie dell'immagine (cinema, animazione, fotografia).Tra il 1830 e il 1840, l'invenzione e la diffusione del
telegrafo elettrico rese possibile per la prima volta la trasmissione di un segnale a distanza in tempo reale: nacquero così
le telecomunicazioni. Negli stessi anni Louis Daguerre (1787-1851) sviluppò la fotografia (dagherrotipo), che per la
prima volta permise la riproduzione di immagini della realtà mediante un apparato meccanico. Cfr. D. Mosca, R.
Ruocco, Una breve storia dei media, in http://www.garito.it. Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, si
diffuse il giornalismo popolare: è l’epoca dei giornali di massa, negli Stati Uniti e in Europa, e dei grandi giornali
italiani. Nascono la «Stampa» (1867), il «Corriere della sera» (1876), il «Messaggero» (1878), il «Sole», foglio
economico (1865). “Comunicazione di massa” è un termine inventato e diffuso in Europa e in America intorno agli anni
venti e trenta del Novecento con la diffusione dalla radio, la crescita del cinema hollywoodiano, l’affermarsi negli Stati
Uniti delle relazioni pubbliche e del marketing. Cfr. V. Fortichiari, L’importanza della comunicazione oggi, in
“Notiziario”, Relazione esterne Gruppo Longanesi, 2003, p. 2.
12
5
contemporanei hanno condannato l'utilizzo eccessivo dei mass media, 14 in modo particolare della
televisione, rea, secondo loro, di sottrarre tempo ad altre attività più costruttive e di creare delle
vere e proprie coscienze artificiali con il continuo bombardamento di pubblicità e di immagini
tendenziose e violente 15. Altri, invece, hanno sentenziato non la scomparsa dei libri, ma quella del
leggerli. Sicuramente le due tesi sono eccessivamente estremiste perché, se è vero che il processo
tecnologico è inarrestabile, è altrettanto vero che libri e mass media si completano a vicenda nella
formazione della cultura dell'individuo moderno”. 16
14
Viene definito “cultura di massa” il tipico contenuto prodotto e diffuso dai mezzi di comunicazione di massa e che va
distinto sia dall’alta cultura prodotta dall’élite culturale, sia dalla cultura del folclore, tradizionalmente prodotta in seno
alle classi rurali. Cfr. D. McQuail, Le comunicazioni di massa, Bologna, Il Mulino,1993. La “cultura di massa” può
considerarsi un derivato ineluttabile di alcuni processi legati alla società moderna: tra i quali vanno ricordati, la crescita
del mercato e la disponibilità di nuove tecnologie per la produzione culturale. Cfr. Z. Bauman, A Note on Mass
Culture: On Infrastructure in Sociology of Mass Communication, a cura di D. McQuail, Harmondsworth, London,
Penguin, 1972. I mezzi di comunicazione di massa (stampa, cinema, radio, televisione) hanno colonizzato le altre forme
culturali fino a costituire una nuova tipologia culturale. Cfr. M. Giangualano, Compendio di teoria della comunicazione,
in http://www.tecnolab.tm , 2004, p. 18.
15
Una vera democrazia “non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione, o più precisamente non può
esistere a lungo fino a quando il potere della televisione non sarà pienamente scoperto. Dico così perché anche i
nemici della democrazia non sono ancora del tutto consapevoli del potere della televisione. Quando si saranno resi
conto fino in fondo di quello che possono fare, la useranno in tutti i modi, anche nelle situazioni più pericolose. Ma
allora sarà troppo tardi”. K. Popper, Cattiva maestra televisione, Venezia, Marsilio, 2002.
16
La rivoluzione digitale ha trasformato“tutti i tracciati comunicativi, sottoponendo l'intero universo sociale allo
stimolo di tecnologie sofisticate e potenti che frantumano le antiche barriere spazio-temporali. Una delle nuove
caratteristiche dell'era digitale è l'istantaneità della comunicazione e la tempestività con cui gli attori comunicativi
sono chiamati ad interagire. La comunicazione di massa viene surclassata dalla possibilità dell'interazione a distanza
che può essere sia in tempo differito (posta elettronica) che in "tempo reale" (videoconferenza). La digitalizzazione
degli assetti e delle relazioni sociali (social networks) contrae tempo e spazio, riorganizzando intorno ai suoi inputs le
strutture organizzative pre-esistenti ed edificandone nuove più pervasive ed efficienti. In particolare, vengono messe in
piedi delle strutture organizzate che producono costantemente comunicazione implementata, sia con finalità
commerciale che per scopi di utilità sociale. Elaborazione, trasmissione e gestione dei flussi comunicativi si assettano
entro innovati quadri di interazione sociale e costituiscono la postazione avanzata della produzione della ricchezza
immateriale. La rivoluzione digitale richiede nuove "strutture di collegamento" e, soprattutto, nuove modalità di messa
in azione e interscambio della comunicazione, ormai risorsa strategica delle società globali in cui viviamo”. Cfr. A.
Ciocchi, Effetti della rivoluzione digitale, in “Società e conflitto”, XX, n. 37-38, 2008.
6
Tecnologie di comunicazione informatica e telematica per la sanità
Come si è avuto modo di dire in precedenza, i processi di innovazione legati all’espansione
delle tecnologie informatiche e telematiche costituiscono uno degli elementi che più hanno
contribuito a plasmare la fisionomia della società contemporanea. Negli ultimi decenni,
l’introduzione dei personal computer, lo sviluppo di Internet e delle reti telematiche, hanno indotto
molteplici trasformazioni anche nel campo della pubblica amministrazione, del welfare e del
sistema sanitario: “se pensiamo solo al mondo della sanità dobbiamo rilevare che non solo esso è
stato investito dalla informatizzazione delle procedure amministrative indotte dalle nuove
tecnologie, come avvenuto da tempo per altri settori. La combinazione della digitalizzazione delle
informazione e di reti telematiche per l’accesso a dati da remoto, sta trasformando la produzione,
archiviazione ed elaborazione dei dati sanitari -pensiamo alla digitalizzazione di immagini
radiografiche ed a cartelle cliniche informatizzate e consultabili da remoto, ma anche
all’estrazione di dati per la ricerca clinica- e sta trasformando anche attività sin qui realizzate in
modo tradizionale da parte del medico come l’attività chirurgica, grazie alla pianificazione
computerizzata degli interventi, alla chirurgia assistita dal calcolatore, alla chirurgia robotizzata;
ma anche come la produzione di conoscenze mediche, grazia all’accesso agli archivi informatizzati
per la Evidence Based Medicine (EBM), o lo stesso aggiornamento professionale, grazie all’elearning. 17
Nel corso degli anni Ottanta e Novanta del XX secolo il sociologo Achille Ardigò, 18 ha dato
l’avvio “ad una riflessione sociologica sulle nuove tecnologie dell’informazione e della
17
A. Paltrinieri, Tecnologie informatiche e telematiche per la sanità ed il sociale. La riflessione di Achille Ardigò, in
“Tendenze nuove”, Fondazione Smith Kline, n. 2, 2009, p. 127.
18
Achille Ardigò (1921-2008), professore ordinario di Sociologia presso l’Università di Bologna, direttore del Centro di
ricerca e documentazione su sociologia i informatica (CERSDI), amministratore di enti pubblici. La sociologia
sanitaria, ossia “la sociologia applicata allo studio dei fenomeni umani e sociali concernente la salute, la malattia, la
disabilità psico-fisica e l’organizzazione delle cure sanitarie”, è una disciplina che ha avuto origine negli anni Trenta
del XX secolo in Gran Bretagna e Stati Uniti. Cfr. F. Vanara, Achille Ardigò: alla ricerca di un paradigma sulle
interconnessioni possibili fra sistemi sociali e soggettività, in “Tendenze nuove”, Fondazione Smith Kline, n. 2, 2009,
pp. 148-149.
7
comunicazione con l’obbiettivo -sia- di conseguire una visione oggettiva ed equilibrata circa il loro
impatto sulla vita sociale, sia di esplorare e promuovere il loro impiego per fini civici e sociali, e
più in generale, per rinnovare il welfare state”. 19 Il core della riflessione di Ardigò, riguardante il
nesso esistente tra tecnologia e società, ha indotto lo studioso a concentrare la propria ricerca sugli
aspetti predominanti dell’innovazione tecnologica accantonando nel contempo quella acritica
fiducia nei confronti del progresso ininterrotto della Tecnica quale elemento automatico di
mutamento sociale: “un quadro tecnico-concettuale… interamente focalizzato sugli aspetti tecnici,
sull’evoluzione tecnologica e sulle possibilità dischiuse dalle nuove tecnologie, non risulta infatti in
grado di spiegare la “vischiosità” che spesso contraddistingue i processi di diffusione di nuove
tecnologie. In effetti, il ripetuto fallimento delle previsioni di diffusione tecnologica, anche in
ambito socio-sanitario, non deriva solo da un’intrinseca ed oggettiva difficoltà, ad esempio
imputabile alla molteplicità e complessità dei fattori da considerare, ma spesso anche da un limite
metodologiche di molte analisi, riconducibile ad un vero e proprio errore di prospettiva: 20 si
estrapola dalla tecnologia, invece di esaminare le caratteristiche del sistema sociale con il quale
l’innovazione tecnologica è destinata a interagire”. 21 In tale contesto, assume particolare rilievo la
questione della telemedicina che “pur esibendo ormai una storia trentennale di progetti
sperimentali e di applicazioni di nicchia, stenta ad incidere significativamente sull’organizzazione
dell’erogazione delle prestazioni mediche”.
Per comprendere meglio lo scarto esistente tra le ipotesi e la realtà legata all’introduzione di
una tecnologia d’avanguardia come la telemedicina, “occorre prestare attenzione al fatto che
l’adozione e la diffusione di un’innovazione richiede la coerente combinazione di più fattori:
l’approntamento dell’applicazione tecnologica ben funzionante, la disponibilità di sistemi
tecnologici coerenti con cui questa deve integrarsi, la risoluzione di correlati problemi
19
A. Paltrinieri, Tecnologie informatiche e telematiche per la sanità ed il sociale… cit., p. 127.
Ibidem, p. 130.
21
G. Martinotti, L’informatica domestica, in A. Ruberti (a cura di), Tecnologia domani, Roma-Bari, Laterza, 1985, pp.
225-258.
20
8
organizzativi, la disponibilità di un quadro istituzionale e normativo chiaro e coerente, oltre,
ovviamente, alla propensione all’utilizzo da parte dei professionisti e degli utenti”. 22
Nella visione di Ardigò, la relazione esistente tra tecnologia e società (nei suoi elementi
economici, giuridici e sociali) non è di tipo unidirezionale, ma ambivalente, cioè non si può
attribuire solo alle innovazione tecnologiche il ruolo-guida nel campo dell’evoluzione sociale, ma
occorre tener presente il contesto storico-sociale in cui queste vengono introdotte. Questa
concezione culturale del mutamento sociale prevede pertanto la possibilità di influenzare il percorso
compiuto dall’innovazione tecnologica e le modalità con cui questa si manifesta nella vita sociale
complessiva. La concezione ambivalente del legame tra società e techné (τέχνη), consente di
valutare criticamente e valorizzare fiduciosamente l’impatto delle nuove tecnologie nell’ambito
della sfera della realtà sociale collettiva: “si rende cioè trasparente la possibilità di un’influenza
sociale esplicita, ad esempio tramite decisioni collettivamente vincolanti o tramite programmi di
ricerca e sviluppo finanziati pubblicamente, sul corso dell’evoluzione tecnologica e delle concrete
applicazioni delle nuove tecnologie.
23
Le nuove tecnologie telematiche e telecomunicative sono il
prodotto dell’ingegno umano e di larghi finanziamenti pubblici. E’ questione di giustizia far sì che
vi sia una ricaduta anche non profit dei risultati di tali tecno-scienze, per impieghi di promozione
umana e sociale”, 24 dato che le nuove tecnologie non sono neutrali al contesto sociale in cui
possono essere impiegate.
Dalla seconda metà del XX secolo, grazie al progressivo miglioramento delle condizioni sociali
ed economiche della popolazione e all’introduzione di nuove terapie farmacologiche, gran parte
delle principali malattie infettive, potevano considerarsi malattie del passato. 25 La parabola
22
A. Paltrinieri, Tecnologie informatiche e telematiche per la sanità ed il sociale… cit., p. 130.
Ibidem, p. 132.
24
A. Ardigò, Nuove tecnologie, condizione umana, politiche sociali, in R. De Vita (a cura di), Tecnologia e mutamento
sociale, Milano, Franco Angeli, 1990, p. 38.
25
Introdotto in medicina da Ippocrate (ca. 460-377 a.C.), il termine tisi, phthisis, consunzione, indicava in origine
diverse forme di affezione polmonare. La phthisis dei greci -tabe per i popoli latini- la malattia che “danneggia i
polmoni e consuma l’uomo”, conosciuta anche con il nome di “peste bianca” o “mal sottile”, prenderà il nome di
tubercolosi (dai tubercoli polmonari osservati durante le autopsie, da tuberculum dimin. di tuber, escrescenza, tumore,
sorta di piccolo tubero con caseificazione centrale), solo agli inizi dell’Ottocento grazie a René Laënnec (1781-1826).
23
9
discendente delle forme infettive si intersecava con quella “ascendente delle malattie metabolicodegenerative in un punto cruciale che segna una svolta: è la svolta epidemiologica”. 26 La
scomparsa di gran parte delle “malattie del passato” coincise con l’aumento delle patologie
cardiovascolari e tumorali, 27 considerate “malattie del presente”. Con il variare del trend
epidemiologico mutarono anche i criteri anamnestici utilizzati per classificare le malattie e
prescrivere le cure ai pazienti: dall’osservazione dei sintomi affidata all’ ”occhio clinico” del
medico, si passò allo screening diagnostico in grado di supportare le diagnosi cliniche. Nelle
cartelle cliniche ora si mettevano in risalto i fattori di rischio del paziente, prestando attenzione “ai
Cfr. G. Cosmacini, La dinamica della storia, in Id., M. De Filippis, P. Sanseverino, La peste bianca. Milano e la lotta
antitubercolare (1882-1945), Milano, FrancoAngeli, 2004, pp. 17-18; Cfr. P. Dri, Tisi, in Dizionario di storia della
salute, a cura di G. Cosmacini, G. Gaudenzi, R. Satolli, Torino, Einaudi, 1996, p. 601. A partire dagli anni cinquanta
patologie come la polmonite, l’endocardite, la meningite e la setticemia, diventarono “di colpo malattie guaribili con
relativa facilità. Mentre la penicillina e la streptomicina” assestarono “il definitivo colpo di grazia al problema
biologico e sociale di sifilide e tubercolosi”. E. Marelli, Un Santo, un Re, una Città. Storia dell’Ospedale di Monza,
Roma-Bari, Laterza, 1996, p. 237. Grazie all’introduzione di nuovi farmaci antitubercolari come la streptomicina e
l’isoniazide, si poteva guarire con successo gran parte degli ammalati, impedendo il diffondersi del contagio causato
dalle espettorazioni tipiche delle forme avanzate di tubercolosi polmonare aperta. Il progressivo miglioramento delle
condizioni sociali ed economiche, una campagna mirata di vaccinazione con BCG (Bacillo biliato di Calmette-Guérin),
l’adozione di tecniche diagnostiche più avanzate contribuirono a ridurre l’impatto epidemiologico della tubercolosi
nell’intero paese. In particolare, la scoperta della streptomicina avvenuta nel 1942, grazie al microbiologo statunitense
Selman Abraham Waksman (1888-1973), rappresentò un evento di grandissimo rilievo nella storia della medicina:
“Iniettato per via intramuscolare, questo antibiotico poteva portare a una scomparsa rapida del germe dall’espettorato
e alla scomparsa dei segni generali della malattia. Fatto miracoloso, la streptomicina permetteva la guarigione della
meningite tubercolare, fino ad allora considerata una condanna a morte”. B. M. Assael, Il Favoloso Innesto.
Storia sociale della vaccinazione, cit., pp. 189-194.
26
G. Cosmacini, Scienza e umanità nella medicina del Novecento, in Il Bene e il Bello I luoghi della cura_cinquemila
anni di storia, Milano, Electa, 2000, p. 104.
27
Oltre alla tubercolosi e all’AIDS anche il cancro (dal latino cancer, cancrum, in greco karkinos, granchio; “male
oscuro”, “che consuma in modo inesorabile,“che rode e prolifera”- e che, come il granchio, non abbandona la presa),
nelle sue molteplici sembianze, raggiunse nel corso del Novecento una elevata diffusione, tanto da essere definito il
male del secolo. Negli anni venti l’incidenza del cancro registrò un aumento considerevole in tutti i paesi occidentali. In
quel periodo negli Stati Uniti e in Germania, ad esempio, l’indice di mortalità dei tumori era ormai superiore a quello
per tubercolosi. In Lombardia, in particolare, la media annuale per 100.000 abitanti passò da 70, 9 nel 1903 a 87, 2 nel
1917, mentre, nel medesimo periodo, Milano raggiunse quota 124. Per fronteggiare il “male oscuro”, furono creati
istituti in tutta Europa, quali, per citare i più noti, la “Fondazione per le ricerche sul cancro” a Londra nel 1902, l’
”Istituto del cancro” a Parigi nel 1926, l’ “Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori“ a Milano nel 1925 e l’
“Istituto Regina Elena” di Roma nel 1926. L'Istituto milanese, fortemente voluto da Luigi Mangiagalli (1849-1928),
clinico ostetrico, rettore dell’Università degli Studi e sindaco di Milano, fu fondato nel 1925 con il nome di “Istituto
Nazionale Vittorio Emanuele III per lo studio e la cura del cancro”. I primi reparti furono inaugurati nel 1928. Negli
anni trenta l’Istituto venne diretto da Gaetano Fichera (1880-1935) e Pietro Rondoni (1882-1956). Negli anni sessanta
fu la volta di Pietro Bucalossi, mentre nel 1975 l’incarico di direttore generale venne ricoperto da Umberto Veronesi
(passato a dirigere nel 1994 l’ “Istituto Europeo di Oncologia”). Per una storia dell’ “Istituto dei Tumori” di Milano cfr.
P. Placucci, Dal male oscuro alla malattia curabile. Storia dell’Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori di
Milano, Roma-Bari, Laterza, 1995. Il “Regio Istituto Regina Elena” di Roma, nato nel 1926 per svolgere attività di
studio e cura dei tumori, fu inaugurato ufficialmente nel 1933. Primo direttore generale dell’Istituto venne nominato il
chirurgo Raffaele Bastianelli (1863-1961).
10
comportamenti, agli stili di vita, ai condizionamenti ambientali e socioeconomici non meno che ai
fattori genetici, costituzionali, biologici, biomolecolari”. 28
Sin dal momento della sua comparsa l’AIDS ha rappresentato molto più che una semplice
malattia inguaribile. La paura del contagio, le modalità attraverso cui il virus si propaga, la scoperta
traumatica della sieropositività, hanno concorso nell’attribuire al complesso “problema AIDS” un
insieme di valori e significati ad ampio impatto psicologico, sanitario ed etico. 29 L’alto indice di
mortalità, la trasversalità dei ceti sociali colpiti, la diffusione su scala planetaria, hanno consentito
di effettuare concreti parallelismi con alcune gravi epidemie del passato: “Definizioni come “peste
del Duemila” o “collera di Dio”, spesso associate a pregiudizi di natura sessuale, hanno spinto
parte dell’opinione pubblica ad individuare “l’untore” all’interno di alcune categorie considerate
“a rischio”, quali ad esempio, gli omosessuali, le prostitute e i tossicodipendenti. La lettura
drammatizzata del fenomeno AIDS si è accompagnata con il riemergere di sospetti, discriminazioni
e timori che si credevano dimenticati”.
30
Una visione di questo tipo ha rallentato per molto tempo
la lotta contro l’HIV, decretando l’insuccesso delle campagne di prevenzione e perpetuando nei fatti
“l’immagine di un mondo diviso in due: da un lato il mondo dell’industrializzazione avanzata, dove
l’epidemia sembra ora stabilizzarsi, dall’altro il mondo del sottosviluppo cronico, dove la
situazione già esplosiva in Africa sembra ora diventarlo anche in America Latina e in Asia”. 31
Lo straordinario progresso avvenuto nel corso degli ultimi decenni nella tutela e nella cura
della salute, la decisa crescita delle aspettative di vita della popolazione dei paesi occidentali,
l’evoluzione delle discipline diagnostiche biomediche, inducono a ritenere che si assisterà, in un
futuro prossimo, ad un ulteriore ampliamento degli orizzonti terapeutici: “Eppure, il secolo che si è
28
Ibidem.
Il termine contagio proviene dal latino contagium, contatto, conctatum, voce verbale “formata da cum e da tangere,
donde contingere, toccare direttamente senza intermediazione”. G. Cosmacini, Introduzione, in Dagli antichi contagi
all’AIDS. Opere ed eventi al San Matteo di Pavia, Roma-Bari, Laterza, 1998, p. 10.
30
M. De Filippis, L’Ospedale Luigi Sacco..., cit., p. 79.
31
G. Cosmacini, Storia della medicina e della sanità…, cit., p. 361. In questi ultimi anni la lotta contro l’AIDS ha fatto
registrare numerosi progressi dal punto di vista clinico rallentando, grazie all’introduzione dei farmaci antiretrovirali e
all’impiego di nuovi protocolli terapeutici, il decorso della malattia ormai classificata in Occidente tra le patologie
croniche ad esito infausto. Cfr. M. De Filippis, L’Ospedale Luigi Sacco..., cit., p. 81.
29
11
appena aperto non sarà caratterizzato da una riduzione dei bisogni di cura della popolazione. Se il
nostro tenore di vita sarà ancora migliore di quello odierno e se potremo attenderci un ulteriore
allungamento delle nostre speranze di vita media, a ciò non corrisponderà la liberazione dai
problemi dell’invalidità e della convivenza con la malattia. Accadrà invece esattamente l’opposto.
La maggiore tutela di cui godrà la nostra salute sarà accompagnata infatti da un costante aumento
del bisogno di cura e accudimento. Se la vita si allungherà, infatti, con essa si estenderà anche il
periodo in cui, a seguito dell’età o di altre patologie rese curabili grazie ai progressi medici, molte
persone dovranno convivere con una condizione di inabilità o di non autosufficienza, di maggiore o
minore gravità”. 32
I mutamenti demografici e sociali legati alla globalizzazione, le dinamiche in atto nella sanità
pubblica e in quella privata sembrano, in effetti, confermare che nei prossimi anni si verificherà un
notevole incremento della domanda sociale di cura. Le modalità attraverso cui si cercherà di dare
una risposta a questo bisogno dovranno passare, necessariamente, attraverso l’adozione di logiche
di carattere sinergico e multiprofessionale capaci di coinvolgere tutti gli “addetti ai lavori”. Ad
interagire con il “paziente” saranno chiamati, accanto ai professionisti della sanità (medici, tecnici,
infermieri), anche altre figure professionali (assistenti sociali), volontari provenienti dal mondo
dell’associazionismo (ACOS, AVO) e religiosi dediti all’assistenza spirituale degli ammalati. La
complessità di questi fenomeni coinvolgerà, in misura sempre maggiore, il rapporto medicopaziente. L’approccio sempre più specialistico della pratica medica ha determinato, infatti, il
prevalere della tecnica sugli aspetti antropologici della cura provocando, nel contempo, un
progressivo aumento degli obblighi burocratici legati ai processi di ospedalizzazione e
medicalizzazione della cosiddetta “società del benessere”. I progressi tecnologici e scientifici,
paradossalmente, hanno infatti contribuito a disumanizzare l’ospedale, per secoli considerato luogo
della cura solidale e partecipe, spostando il fulcro dell’attività medica e delle politiche sanitarie
32
C. Ranci, I mercati sociali della cura: un modello valido per l’Italia?, in “L’Assistenza Sociale”, 2003, n. 3/4, p. 315.
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dall’attenzione nei confronti del paziente, alla relazione quasi esclusiva con la malattia di
quest’ultimo, finendo così per sostituire il terapeuta tradizionale con il medico specialista in una
patologia. 33
Di fronte alla progressiva evoluzione del mondo scientifico e sanitario è indispensabile riportare
al centro dell’attenzione generale il paziente rivalutando nel contempo il rapporto con l’istituto di
cura che lo ospita. Occorre, inoltre, che anche da parte degli operatori e degli amministratori della
sanità ci sia un impegno mirato alla promozione ed alla umanizzazione della salute.
Maurizio De Filippis
Estella Scontus
[email protected]
[email protected]
33
Cfr. G. Cosmacini, Aspetti storici dell’umanizzazione dell’ospedale, in L'umanizzazione dell'ospedale: riflessioni e
proposte, a cura di A. Delle Fave e S. Marsicano, Milano, Franco Angeli, 2004.
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