La spirometria Attualmente esistono differenti tipologie di spirometri: a camera intera, a campana (i più antichi, ma anche i più precisi) e portatili, che, sfruttando una membrana metallica ruotante, azionano dei magneti che trasmettono le informazioni su flussi e volumi ad un piccolo elaboratore collegato a una stampante. La spirometria è un esame che con alcuni limiti, dato che è viziato da una grande variabilità, anche nello stesso individuo. In medicina del lavoro quindi è utile come test di screening anche se ha sensibilità e specificità non elevate. Capiterà quindi di trovare soggetti grandi fumatori con spirometria normale e soggetti sani con spirometria alterata. Ha però l’indubbio vantaggio di essere un esame semplicissimo, rapidissimo e molto poco costoso, quindi molto utile in medicina del lavoro se integrato con una buona anamnesi e un buon esame obiettivo per trovare, fra una popolazione di lavoratori a rischio (es. muratori) quello che può avere dei problemi ed indirizzarlo verso esami più approfonditi. Dal punto di vista didattico, si distinguono tre sindromi disventilatorie: ostruttiva, restrittiva e mista. I parametri di una spirometria da analizzare sono FEV1, FVC e indice di Tiffeneau. Tutti gli altri indici che si trovano nelle spirometrie (ad esempio FEV75 e simili) venivano utilizzati in passato per porre diagnosi più precise (es. ostruzione delle piccole vie aeree), ma si è visto che in un esame così variabile come la spirometria sono fondamentalmente inutili. L’alterazione di FEV1, FVC e IT dovrebbe essere sufficiente, in teoria, per fare diagnosi ma in pratica non è così semplice soprattutto perché spesso non si conosce il basale del paziente e l’esame varia se eseguito in piedi o seduto. Teoricamente infatti il soggetto dovrebbe essere seduto, ma nelle ditte capita che per comodità si contravvenga a questa regola e i confronti con esami vecchi possono venir viziati da questa variabilità, che è nell’ordine del 5%. In linea generale: 1) una diminuzione isolata dell’FVC corrisponde ad una sindrome restrittiva 2) una diminuzione isolata della FEV1 corrisponde ad una sindrome ostruttiva 3) se sia FEV1 che FVC sono alterati, con IT <70 è una sindrome ostruttiva, con >70 è restrittiva. 4) se entrambi i parametri sono normali, ma l’IT è sotto il 70 siamo davanti a una sindrome ostruttiva lieve. Il problema è che questa analisi si può fare solo avendo in mano una buona curva F\V, e questa non è così facile da ottenere. Innanzitutto è importante farsi capire dal paziente (e non sempre è così facile, soprattutto con gli stranieri, spiegare esattamente la procedura) e poi ai primi tentativi le curve non sono mai ottimali. I manuali accademici suggeriscono di rifare il test almeno otto volte di fila, in realtà due-tre volte sono un buon compromesso per ottenere risultati accettabili, senza perdere troppo tempo e sfiancare il paziente. Esistono delle tabelle di riferimento per le spirometrie, ricavate da una popolazione di varie altezze e varie età considerata normale, dalle quale ricavare i valori normali. Intorno ai valori medi per età e statura i risultati statistici si distribuiscono su una gaussiana e per fare diagnosi ci deve essere un calo rispetto al valore medio di almeno il 17%, quindi si prende l’83% del valore normale come cutoff. Ogni 17% aumenta la gravità, quindi all’83% sarà lieve, 66% moderata etc. Da tener presente che questo test discrimina bene sotto il 50% di valori normali, quindi in casi teoricamente piuttosto gravi. Dal punto di vista della medicina del lavoro, una volta era importante riconoscere le sindromi restrittive (tipiche le varie pneumoconiosi) oggi, vista la relativa rarità di queste ultime, l’attenzione si concentra sulle sindromi ostruttive come l’asma allergica Inserendo i dati anagrafici nello spirometro viene richiesto anche il peso corporeo. Questo, in realtà, non viene utilizzato nelle tabelle della spirometria, ma è utile perché bisogna considerare che i soggetti obesi hanno una difficoltà nell’abbassamento delle basi e presenteranno quindi un quadro che tende al restrittivo. Anche la razza ha la sua importanza poiché le tabelle di riferimento che si usano in Europa (e negli USA) sono tarate sulla razza caucasica, alcune popolazioni (come ad esempio i peruviani) hanno una conformazione fisica che restituisce un quadro spiromentrico tendente alla sindrome restrittiva, pur non essendo patologico. Utilizzando un boccaglio monouso si respira nello spirometro normalmente per qualche secondo (in questo modo si registra il VT – volume corrente - anche se questo non ha grossa utilità per la MdL). Dopodiché va fatta un inspirazione forzata fino al massimo livello possibile seguita da un espirazione con la massima forza. I manuali riportano che il soggetto dovrebbe riuscire ad espirare per 6 secondi, in realtà statisticamente non riesce mai nessuno a mantenere un flusso per quel tempo. L’importante è non ricominciare ad inspirare subito. Passati i 6’’ si fa un’altra inspirazione profonda e la prova è finita. Le curve devono avere un picco (PEF) e una discesa rettilinea. Il PEF è utile soprattutto come indice di bontà del test: se il PEF è molto sotto la media è meglio fare un altro tentativo. In caso di concavità della curva, si può sospettare un deficit ostruttivo. Il deficit restrittivo, invece, presenta una curva all’incirca normale, ma con valori di volume più bassi del normale. L’audiometria L’audiometro serve, in medicina del lavoro, per valutare l’ipoacusia da rumore. Le valutazioni quindi verranno richieste su soggetti a rischio, che lavorano in ambienti molto rumorosi. Lo stesso strumento, però, viene usato in ORL per valutare molte altre malattie, da una banale otite al neurinoma (tumore del nervo acustico), consentendo molti tipi di diagnosi. L’audiometro si interfaccia col soggetto in analisi tramite due tipi di cuffie, quella classica e il vibratore. Quella classica stimola l’udito sfruttando la via aerea, che passa dal timpano e dagli ossicini. Questi sono martelletto, incudine e staffa. Il primo è appoggiato al timpano, mentre la staffa mette in vibrazione l’orecchio interno e quindi i liquidi labirintici (perilinfa e endolinfa) che stimolano i movimenti delle cellule del Corti, originando l’afferenza centrale. A livello dell’SNC esiste l’area acustica che consta di varie parti, ognuna in grado di discriminare una specifica frequenza. La via aerea viene danneggiata per esempio in caso di otiti o di perforazione del timpano. Se però l’orecchio interno funziona correttamente, esso può essere stimolato anche da vibrazioni provenienti da altre zone. La cuffia vibratore sfrutta proprio questo principio: mettendo in vibrazione l’osso mastoideo, stimola direttamente l’orecchio interno, permettendo di percepire i suoni senza passare dal timpano e dalla catena degli ossicini. Questo permette di fare diagnosi differenziale fra l’ipoacusia a carico delle componenti aeree (detta ipoacusia TRASMISSIVA) e quella a carico delle componenti nervose (detta ipoacusia NEUROSENSORIALE o PERCETTIVA). Quindi, per esempio, un’otite darà ipoacusia della via aerea, un neurinoma darà difetto di entrambe le vie. Questo implica che la via ossea risulterà sempre più sensibile o, al peggio, uguale alla via aerea. L’ipoacusia da rumore è un’ipoacusia di tipo neurosensoriale, quindi risulterà diminuita la percezione dei suoni sia in cuffia che tramite il vibratore. Prima di eseguire il test è comunque importante raccogliere una scrupolosa anamnesi (non solo lavorativa), poiché ai danni lavorativi possono sovrapporsi spesso pregresse otiti, piuttosto che accumulo di cerume o sinusiti, che peggiorano i risultati della via aerea, pur essendo talvolta reversibili o comunque non collegate con l’esposizione lavorativa al rumore. In questi casi si parla di ipoacusie miste. Dopo l’esame fisico, comprensivo di otoscopia (per valutare la presenza di cerume o di danni evidenti al timpano) il soggetto viene messo in cuffia (rosso = canale destro; blu = canale sinistro), meglio se in cabina insonorizzata o comunque in un ambiente assolutamente silenzioso. L’esaminatore, se possibile, si deve posizionare dietro al paziente per evitare di influenzarlo premendo i pulsanti. Il test deve iniziare dalla frequenza del parlato che va dai 1000 ai 4000 Hz, le frequenze sopra i 4 KHz sono generalmente le prime ad essere colpite nell’ipoacusia da rumore (classicamente il soggetto se ne accorge perchè non sente più bene il campanello o il telefono). Di contro, le frequenze basse (400-500 Hz) sono quelle coinvolte dall’otite. In pratica, si chiede il paziente di alzare la mano ogni volta che sente qualcosa e si manda in cuffia un suono costante (o pulsatile a 3-4 Hz) partendo da una frequenza di 1000 Hz con un’intensità di 0dB, crescendo lentamente finché il soggetto non alza la mano, indicando che ha percepito il suono. Il livello di intensità in dB minimo riferito dal paziente viene inserito in una tabella frequenza\intensità apposita. Si prosegue quindi con un suono a 2 KHz e così via.. La risultante di tutte le rilevazioni frequenza\intensità minima di percezione disegnerà una curva sulla quale si potrà porre diagnosi di soggetto normale, piuttosto che ipoacusia da rumore. La curva dell’ipoacusia da rumore presenta la classica conformazione “a cucchiaio” con perdita di sensibilità sopra i 4000 Hz e leggero recupero nelle frequenze più alte. Chiaramente, maggiore sarà la gravità dell’ipoacusia, più la perdita interesserà le frequenze del parlato o più basse. AUDIOGRAMMA -10 0 10 ) B 20 d ( A 30 V I T I D 40 U IA 50 L G O 60 S AU DX AU SN 70 80 90 250 500 1000 2000 3000 4000 8000 FREQUENZE (Hz) In caso di danni selettivi ad un orecchio, come ancora nel caso di neurinoma, potrebbe essere che il soggetto percepisca un suono anche dal lato danneggiato. Questo avviene perché le vie sensitive decussano a livello del lemnisco laterale del talamo, prima di arrivare all’area acustica della corteccia. In caso di danno monolaterale le fibre controlaterali finiscono, col tempo, per vicariare alla parte danneggiata. In questo caso, si procede al test con mascheramento: si invia il suono solo da una parte, mentre dall’altra si manda un suono di confondimento (rumore bianco). Il referto verrà scritto su una scheda che contiene la curva finale, ma anche gli elementi chiave dell’anamnesi come il numero di pregresse otiti, il fatto che abbia o meno sinusiti ricorrenti (per il ristagno di catarro nella via aerea), il fatto che pratichi attività subacquea (che può danneggiare il timpano) o ancora i farmaci assunti (molti dei quali –alcuni diuretici, tetracicline, antitubercolari sono ototossici). Inoltre occorre sempre chiedere al paziente se percepisce degli acufeni, poiché questi possono sovrapporsi ai suoni dell’audiometro e falsare il test. E’ altresì importante confrontare con un software apposito la curva finale con quella media per sesso ed età poiché la funzione uditiva peggiora fisiologicamente con il passare degli anni (fenomeno della presbiacusia). L’ipoacusia da rumore lavorativa è classicamente bilaterale, se è monolaterale probabilmente avrà altre cause (tipico il cacciatore che per mirare appoggia l’orecchio sul braccio destro e ha l’ipoacusia a sinistra). L’ipoacusia da rumore viene infine suddivisa in classi (da 1 a 5) a seconda della frequenza che colpisce. Se colpisce i 4 kHz si parla di classe 1, con i 3 kHz di classe 2 e così via. Dalla classe 2 si può parlare di malattia professionale, mentre dalla classe 3 si può fare la denuncia INAIL (i risarcimenti invece vengono concessi con difficoltà sempre maggiore) Riassumendo l’ipoacusia da rumore presenta le seguenti caratteristiche: 1) Neurosensoriale o percettiva 2) Bilaterale 3) Simmetrica 4) Irreversibile ma non evolutiva (interrompendo l’esposizione non migliora ma nemmeno peggiora) Test ortottico Negli ultimi anni l’organizzazione del lavoro è cambiata molto e, in particolare, si è passato da un panorama lavorativo centrato prevalentemente sull’industria ad uno basato sul terziario. Di conseguenza un numero sempre crescente di lavoratori utilizza per la maggior parte del tempo (o esclusivamente) un videoterminale. Questo ha determinato la comparsa di una nuova patologia detta sindrome astenopica, o stanchezza oculare. Questa malattia è caratteristica dei soggetti che lavorano per più di 20 ore alla settimana o più di 4 ore continuative al giorno ad un videoterminale. La grande maggioranza degli impiegati rientra in questi parametri. Per questi soggetti la normativa vigente (titolo VII D.Lgs 81/08) prevede l’effettuazione di una visita medica a cadenza quinquennale, che può essere supportata dall’utilizzo del test ortottico. Questo per rilevare l’insorgenza della sindrome astenopica (o affaticamento visivo) che comprende fra i suoi sintomi fotofobia, visione sfocata, aloni colorati, prurito, secchezza dell’occhio, bruciore come anche sintomi costituzionali (astenia, dispepsia, cefalea etc). La visita comprende anche un esame obiettivo oculare che mira a studiare la motilità oculare (III, IV e VI paio di nervi cranici) oltre al riflesso oculomotore, che deve essere diretto e consensuale (cioè proiettando una luce selettivamente in un occhio deve osservarsi miosi anche nell’occhio non illuminato). Infine si cercano anomalie a livello degli annessi oculari e si fa un esame del fondo dell’occhio. Il test ortottico va a valutare: - - Visione binoculare: capacità di fondere assieme le immagini dei due occhi. Può essere alterata se il soggetto presenta una ambliopia (o occhio pigro), un fenomeno particolarmente frequente negli strabici, dove un occhio, pur funzionando, non vede. Le immagini provenienti da quell’occhio, infatti, vengono scartate dalla corteccia poiché sono discordi con l’altro. Nei soggetti ipermetropi possono esserci dei casi di ambliopia di cui il soggetto non è cosciente C’è da dire che l’ambliopia viene generalmente scoperta in età pediatrica. In questo caso la si tratta con occhiali con una lente oscurata, che obbliga l’occhio “pigro” a riacquistare funzionalità. Acuità visiva: capacità di discriminare due punti vicini come effettivamente separati Stereopsi: capacità di percepire la profondità Cromatopsia: capacità di distinguere i colori (patologica nel daltonico) Forie: un tipo di difetto di assialità degli occhio I difetti di assialità degli occhi sono di tre tipi: difetti ai nervi cranici (diplopia), strabismo o, appunto, forie. 1) La diplopia è un difetto grave per cui il soggetto non riesce a seguire con lo sguardo un oggetto in movimento, ma lo vede doppio. 2) Lo strabismo (o eterotropia), è rilevabile ad occhio nudo e può essere convergente, associato all’ipermetropia, o divergente (o exotropia). Quest’ultimo è abbastanza fisiologico, tanto da essere considerato esteticamente gradevole (viene anche chiamato strabismo di Venere). 3) L’eteroforia, infine definita anche come “strabismo latente”. Questo perché il soggetto ha gli occhi leggermente fuori asse, ma riesce a mantenerli nella giusta posizione sfruttando la muscolatura estrinseca (che in questo modo si affatica). Lo strabismo latente si manifesta chiudendo un occhio e osservando che l’altro si sposta leggermente dalla posizione ideale del proprio asse. Le forie sono estremamente comuni nella popolazione, ma più sono gravi più alto è il rischio di incorrere nella sindrome astenopica. Il test sfrutta un’apparecchiatura con due oculari, che mostra una serie di immagini per valutare i parametri sopra indicati (fusione binoculare, acuità visiva, cromatopsia, stereopsi, forie verticali e orizzontali). In particolare l’acuita visiva può essere valutata con apposite lenti per la visione da vicino, da lontano (poco più di sei metri) ed intermedia (a 57cm, distanza media dal monitor del videoterminale). Nel soggetto miope si valuterà la visione intermedia e da lontano, nel presbite e nell’ipermetrope quella da vicina e intermedia, nell’astigmatico tutte e tre le tipologie di visione. Se il soggetto non ha particolari problemi di vista, ci si può limitare al test da distanza intermedia. I test verranno effettuati indossando gli occhiali che normalmente vengono utilizzati per lavorare al videoterminale.