Articolo n°21 La “finestra aperta” sulla realtà: Keith Haring di Alessandra Fanì “La società viene modellata e si auto modella nella progressiva presa di coscienza che il pubblico acquista attraverso il dialogo con l’artista” Giulio Carlo Argan Gli anni ’70/’80 apparentemente lontani, si dimostrano più vicini che mai nel nostro immaginario e non solo. Tornano a rinsaldare i legami col passato attraverso arte, musica, style, design, attitudini e stile di vita. Uno spirito rivoluzionario che ha influenzato generazioni, lasciato eredità intramontabili e regalato un sostanzioso bagaglio ideologico al quale approdiamo con piacere e che traduciamo in incitamento, eccitazione, slancio emotivo, culturale in un approccio alternativo. Le attitudini legate ai mestieri di quegli anni, le ideologie di menti attive, il fervore culturale sfociato in grandi risorse artistiche hanno prodotto una svolta epocale ed indotto prosegui. Ha sposato ideologie, nel senso di idee e coscienze, ma anche di “falsa coscienza del reale che la classe dominante stava elaborando a suo consumo”, lasciandoci la rilettura di una società di confine, di un terreno limite che ha iniziato a dare i suoi frutti solo quando l’artista ha tentato di trasformare la realtà “assumendo l’arte come modello di comportamento alternativo” e non più come produzione del “superfluo”. L’ eredità ideologico-iconografiche e l’atteggiamento di protesta di questi anni hanno smosso acque statiche, seppur “limpide”. In clima di seria ed impegnata leggerezza esprimo riflessioni, senza remore di eventuale caduta nel banale, di uno degli artisti icona di quegli anni: Keith Haring. Le sue opere e la sua vita sono esempi universali. Dai bassifondi alla borghesia ha trapassato gli strati più diversificati della società per riportare in auge, con il valore e la forza iconografica, un linguaggio antico di alto valore espressivo umano, sociale e quotidiano: il graffitismo e l’Art Brut. Mentre queste forme espressive assunsero nella storia un valore inferiore a causa della semplicità del tratto e della quasi banalità del significato, negli anni ‘70/’80, grazie ad alcuni pochi artisti , Haring in testa, si tradussero in libertà iconica di alto valore sociale ed evocativo. Haring apre una finestra sulla realtà di quel momento con l’espressione di un impulso emotivo. L’arte di Haring è manifesto sarcastico di una società industrializzata che ha ormai vinto, ostile verso l’altra faccia sociale emergente, meno ricca e forte. Si esprime proprio avvalendosi di superfici e mezzi che contesta in una sorta di protesta giocosa ed ossessiva. Fu rivoluzionaria perché cavalcò la corrente sociale schierata contro ogni forma di discriminazione, intolleranza ed odio e lo fece attraverso una libera espressione dalle forme infantili che restituiscono commozione ed affetto. La sua forma espressiva contrasta l’asetticità ed il perbenismo della società , che vuole pulizia formale delle menti e dei luoghi. Inizia la sua vena artistica ed espressiva per strada a riaprire spazi neri in attesa di essere riempiti da cartelloni pubblicitari, o in luoghi di passaggio, in superfici in movimento fino ad invadere oggetti e corpi. Attraverso contorni netti, dipinti in archetipi formali, Haring esprime non un limite, un confine, ma al contrario una porta aperta, uno spiraglio, o meglio dire un varco attraverso il quale passare per accedere ad un’identità ed interiorità della sua società. Il vuoto e la capienza dei personaggi stilizzati, che provengono da un accurato studio sul graffitismo, riconducono ad elementi spezzati, che si s riuniscono e che poi di nuovo frammentano per diventare punti, curve, tratti, come lance per “lanciarsi” indifferentemente e disordinatamente nella tela ed nello spazio. Così facendo si polarizzano tanto da creare pieni dentro i vuoti e fuori di essi, a ripetizione continua ed insistente, quasi in una condizione di monotonia che monotonia non è, fino a perdere ogni iconismo. Si scende nell’astrazione completa “eppure non c’è da temere l’indifferenza, la monotonia dell’interazione stanca;” l’ossessione delle varianti ripetute diventa piacevole fino ad essere “inebriante: come succede nella pratica dei balli, che consistono nella ripetizione smodata delle stesse mosse”. L’intenzione di manifestare una controtendenza diventava bramosia di accomunare pensieri, di riconoscere intenzioni comuni. Celebra una generazione che vuole riconoscersi ed esistere, ma anche quella che evolve velocemente. Quei contorni sono ipnotici ed ho la sensazione di entrare in uno spazio tridimensionale in cui ora i tratti sono confine, ora sono spazi sconfinati in cui i frammenti che li arricchiscono diventano parole che gravitano, persone che si muovono, flussi di elementi figli della produzione. Iconograficamente parlando, le sue tele mi riconducono ad oggi, ad un disordine esistenziale, una confusa condivisione di elementi e pensieri in spazi mentali in cui il loro avvicinarsi è il tentativo di creare connessioni, il loro allontanarsi di generare mancanza di comunicazione. I contorni riportano ad un vuoto esistenziale, in cui forse si può scorgere qualcosa per riscrivere o riempire. I pieni sono ingarbugliamento e confusione di una società disordinata e senza orientamento. Non si tratta di astrattismo vero e proprio, ma di espressione simbolica di un andamento astratto. Le sue tele, che rivoluzionano i tratti ed i legami logici per interpretare un sentimento di insoddisfazione e rivalsa comune, sono veri e propri manifesti del suo e del nostro tempo, scandito da una società che “non è più uno spazio di relazioni interpersonali, ma un luogo dello scambio, un puro passaggio di merci e della loro rappresentazione”. Allo stesso tempo la sua arte e la sua vita conservano un messaggio ottimistico, ci trasmettono la necessità di identificarci in qualcosa che si attivi, in un credo che accomuni ci accomuni ed esalti realtà ed ideologie, nell’accettazione di un cambiamento e nella consapevolezza di una necessità di farci portatori di ideali e di lottare per un miglioramento. Un credo tanto forte da trovare una sua rilettura nell’arte e nella cultura come spinta verso un cambiamento epocale. Gli artisti di ieri e di oggi possono aiutarci a credere in una svolta possibile. Difficile il tempo in cui visse Haring, in cui consumo, gioco serrato di pubblicità creano “fame” e sua insoddisfazione. Difficile il nostro tempo, vuoto e senza orientamento. Lui documenta con grande forza emotiva e sensibilità il suo tempo, ma veicola anche il nostro, attraverso un’ espressione artistica apparentemente infantile, ma di grande impatto emozionale; sarà questa spinta emotiva che muoverà gli animi e restituirà dignità e valore a chi li stava perdendo sulla scia di un ‘universalità di apparenza. 12 agosto 2015