INTRODUZIONE
Tra il teatro e il mondo dell’educazione è sempre esistito un intimo legame. Il
rapporto tra i due ha una duplice valenza: da una parte il teatro si mette al
servizio della scuola, proponendo spettacoli in linea con i programmi
didattici, dall’altra il teatro, con la propria forza comunicativa, può essere un
impulso per il mondo dell’educazione, arricchendolo di stimoli e contenuti
nuovi.
Con questa convinzione, il Teatro comunale San Teodoro organizza una
stagione rivolta alle scuole superiori, proponendo grandi classici messi in
scena da alcune delle migliori compagnie del panorama nazionale.
L’augurio è che il Teatro San Teodoro possa essere uno strumento utile per
accresce e valorizzare l’esperienza formativa degli studenti ed essere punto di
riferimento per quei docenti che si dedicano a loro con pazienza e
entusiasmo.
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15 novembre 2013
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Testi di William Shakespeare, Carmelo Bene, Paolo Faroni
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regia Mr Blusclint
con Paolo Faroni e Maria Concetta Gravagno
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La storia ricalca fedelmente il testo di Shakespeare arricchendolo
di inserti e suggestioni
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tratti dalla riscrittura di Carmelo Bene.
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Riccardo vive tra la corte e il suo camerino. Tra complotti e menzogne, mette
in scena il
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suo teatro politico.
Lady Anna vive chiusa tra le mura del castello, trascorrendo la maggior parte del tempo
nella propria camera da letto. Consapevole del destino cui andrà incontro, cerca di
conoscere i segreti del suo consorte – e così scopre il teatro. Inizialmente pensa di usare
trucchi e stratagemmi per salvare se stessa, ma di fronte alla crudeltà di Riccardo, che non
esita a condannare a morte i giovanissimi eredi al trono pur di diventare Re, rompe gli
indugi e si impossessa delle armi della finzione e della menzogna. Ucciderà Buckingham,
prenderà il posto del sicario Tyrrel e racconterà a Riccardo di omicidi mai avvenuti. Lo
terrà buono spacciandosi per la regina Elisabetta e promettendone la figlia in sposa.
Usando i suoi stessi copioni, avvelenerà la spada con cui Riccardo si ferirà condannandosi
a morte. Una morte che Lady Anna si godrà spacciandosi per lo spettro delle vittime e
tormentando Riccardo fino allo stremo.
Riccardo morirà solo, abbandonato da tutti.
NOTE DI REGIA
RICCARDO
Riccardo è ossessionato dal potere. Si chiude nel suo camerino provando la parte che di
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volta in volta dovrà sostenere. Improvvisa e legge l’Amleto di Shakespeare. Seguendo le
suggestioni di Carmelo Bene, questo Riccardo non perde occasione per truccarsi, per
diventare quanto più possibile il personaggio che gli altri dicono che sia.
LADY ANNA
Il testo shakespeariano non fornisce indicazioni sulla morte di Lady Anna, che viene
semplicemente fatta sparire – a differenza di altri personaggi, le cui uccisioni sono
descritte con dovizia di particolari. Di conseguenza, ci si può chiedere: e se Anna non fosse
morta e lo abbia fatto credere? Anna abbandonerà il suo ruolo per salvare i bambini. Ma si
tratta di una scelta estrema. Per come si accanirà su Riccardo, creando i presupposti per la
sua caduta, avvelenandolo e, spacciandosi per lo spettro delle vittime, tormentandolo fino
alla fine, Anna dimostrerà che l’aver abbandonato il suo ruolo di donna di rango per
vestire i panni di uomo di potere, la spingerà verso la stessa – se non amplificata – crudeltà
di Riccardo.
IL CAMERINO E LO SPECCHIO
Il camerino di Riccardo ha uno specchio che non c’è non solo per esigenze sceniche di
visibilità. È lo specchio del teatro, che esiste solo per chi ci si specchia: rimanda l’immagine
che si vuole vedere. Anna, quando entra nel camerino di Riccardo, accende la luce
attraversando lo specchio con un braccio per cercare l’interruttore. Ma alla fine della scena
seconda del primo atto, quando dovrà struccarsi, vedrà la sua immagine in quello
specchio inesistente. Il rapporto con gli specchi è indicativo del rapporto che i personaggi
hanno con se stessi e con gli altri.
Il camerino, per parte sua, è platealmente finto. I cassetti sono finti. È artificio. Veri sono i
trucchi, i testi teatrali e le lampadine che compongono la cornice – che si fulmineranno in
scena e che Riccardo sostituirà di volta in volta con lampadine di forme e potenze diverse
dalle altre. A sottolineare una volta di più come la sua deformità sia voluta perché facente
parte del personaggio, che non può esistere senza che splenda il sole (voltaico) di York che
ne proietta l’immagine.
IL TRONO
Il trono di Riccardo III è di dimensioni sproporzionate. È troppo grande e ingombrante. È
anche inclinato su un lato. Deforme pure esso, come il potere che rappresenta, è difficile
riuscire a starci seduti. Riccardo è continuamente intralciato da quell’oggetto che gli
impedisce una postura regale: impossibile assumere una postura importante, impossibile
restare aristocraticamente seduti perché continuamente si scivola di lato. Il contorno dello
schienale è fatto di lampadine di varie dimensioni e misure, esattamente come la cornice
dello specchio del camerino. Braccioli e gambe dispongono di cinghie di cuoio che
Riccardo stesso lega attorno a sé per mantenersi stabile al potere.
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di Carlo Goldoni
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Raffaele Musella
5 dicembre 2013
IL BUGIARDO
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regia: Carlo Roncaglia
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!Lelio, figlio di Pantalone, torna a Venezia da Napoli, città in cui è cresciuto seguendo
l’impulso a vivere una continua avventura, affidandosi
al suo estro di bugiardo
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impenitente. Capita subito nel pieno di una serenata che Florindo,
amante timido, rivolge
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segretamente a Rosaura, mentre insieme alla "18'9:';":"<()&"=)1>#*"2">$?$@@@2:';":"<()&"=)1>#*"2">!
sorella Beatrice sta sul terrazzino di casa.
Senza indugio Lelio, assistito dal servo Arlecchino, si fa avanti, attirando l’attenzione delle
figlie del Dottore e attribuendosi il merito dell’omaggio canoro. Da questo momento in poi
inizia un rutilante gioco di “spiritose invenzioni”, come il fantasioso protagonista definisce
le sue menzogne: s’inventa un’identità ammantata di ricchezze e nobiltà, si dichiara un
cavaliere napoletano invaghito di Rosaura, si finge un amico di se stesso con il padre, si
vanta di aver goduto i favori delle sorelle con il severo Ottavio, amante di Beatrice. Anche
quando à smentito dai fatti, non si perde d’animo e cambia con sollecitudine identità e
storia, riuscendo comunque convincente. Quando le esagerazioni raggiungono un livello
insopportabile d’immoralità, è scacciato dal padre e da tutti gli altri, mentre sul filo della
convezione teatrale si ricompongono le coppie di innamorati.
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NOTE DI REGIA
Il bugiardo è certamente una commedia, piena di gag e di trovate comiche. Gli equivoci
però non sono voluti da un Fato capriccioso e beffardo; sono il risultato di una patologia
tutta umana. Lelio, con le sue spiritose invenzioni, innesca un meccanismo perverso e
inesorabile che lo porterà alla rovina, all’allontanamento dalla società in cui tenta –
disperatamente – di inserirsi. Lelio è uno sbruffone e un bugiardo ma è sostanzialmente
un disadattato, vittima di una società profondamente malata, sclerotizzata. Un essere
umano dimenticato da tutti addirittura dal padre, assente fin dalla sua giovinezza.
Stritolato dalle convenzioni, Lelio, tenta di liberarsene con ogni mezzo. Ma è tutto inutile.
Lelio è vittima del mondo.
Ruota intorno a questa figura tragicomica una galleria di personaggi inconsapevolmente
crudeli, avidi, sospettosi, creduloni. Il malessere e la paura serpeggia tra le battute
frizzanti. In un continuo e inesorabile scambio di ruoli, cinque attori danno vita ai 14
personaggi della commedia goldoniana. Questa costante trasformazione imprime alla
pièce un nuovo ritmo che pur mantenendo ben leggibile la trama, amplifica il senso stesso
del testo in un gioco di specchi in cui la finzione teatrale moltiplica le caratteristiche del
protagonista. Le vere protagoniste sono però, alla fine, le convenzioni, le ipocrisie e le
“maschere” di una società che ancora oggi non lascia via di scampo. L'allestimento intende
creare uno spettacolo profondamente popolare – nel senso più nobile del termine. Le
musiche si ispirano al repertorio dell’epoca di Goldoni e sono arrangiate per piccola banda
da camera con sconfinamenti nel jazz, nel pop, nel rap... la contaminazione è qui una scelta
ben precisa che si inserisce alla perfezione nella moderna lettura del testo. I musicisti
interagiscono sulla scena accanto agli attori, diventando essi stessi personaggi della
commedia.
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20 dicembre 2013
AMLETO
da W.Shakespeare
TEATRO DEL CARRETTO
adattamento e regia: MARIA GRAZIA CIPRIANI
scene e costumi: GRAZIANO GREGORI
suono: HUBERT WESTKEMPER
Finalista al Premio UBU 2010 come “spettacolo dell’anno”
“Maria Grazia Cipriani ha riscritto l’Amleto per il
Teatro Del Carretto leggendolo come un diario del
protagonista rivissuto con passione e fantasia
davanti alla scacchiera della vicenda. “( La
repubblica)
“Lo Shakespeare in pillole creato dal Carretto è
una favola grottesca, un sogno pazzo che si
ricompone come un mosaico perfetto. E’ un
Amleto che pensa se stesso, che ripercorre
ossessivo le sue vicende, le cuce insieme con
pensieri
ed
emozioni,
in
una
trama
inevitabilmente tragica. Intorno a lui, i fantasmi
che evoca: la madre Gertrude dipinta da regina
bianca tratta da un film di Tim Burton, frivola e
quasi oscena con la gonna rivoltata in su,
purpurea come un sesso aperto, a lasciare in vista
le calze a metà coscia. Canta e sgambetta, ubriaca
di vita mentre si lascia andare all’orgia-bolgia di
re moltiplicati. E c’è Ofelia la casta, fanciullina
travolta dalle passioni schizzate di Amleto (la
interpreta, alternandosi al ruolo di Gertrude, una
versatile e bravissima Elsa Bossi). Figurina esile, catturata al laccio e spogliata della vita
prima di assaggiare l’amore. Polonio, impacciato e pieno di tic, frettoloso servo senza
midollo. Rosencranz e Guildenstern, ennesime pedine del re usurpatore che vanno
incontro al destino saltellando come Pinco e Panco. I guitti che teatreggiano riflettendo
play e tragedia in un rispecchiamento infinito, la danza macabra dei personaggi come un
fumetto disneyano...
Nella mente di Amleto. La regia di Maria Grazia Cipriani miscela sapiente l’ironia al
cartoon, la tragedia allo sberleffo. Sposta e scompone ma si puntella all’idea
drammaturgica del suo Amleto-fulcro, mentre Graziano Gregori, le apparecchia l’efficace
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scenografia e i costumi. Il Carretto ci offre così un altro frutto glorioso. Non ha bisogno di
effetti speciali o costose apparecchiature per avvicinarsi all’immaginario fantastico di
teatrali Avatar o nuove Alici: gli basta restare fedele alla sua artigianalità, fatta di materiali
poveri e usi ingegnosi. Esplorando fisicità originali che ridanno alla parola la giusta
tensione, le brillanti intuizioni che fanno di questo Amleto un geniale “resumé” dello
Shakespeare già andato in scena. E’ questo l’aspetto più interessante della carriera del
Carretto – apparentato per un verso a quelle compagnie che hanno fatto la storia recente
del nostro teatro (come i Marcido o la Valdoca) e capaci di essersi date uno stile personale
– ma al tempo stesso, così sensitivo da mutare impercettibilmente.
Scegliere, per dire, un raffinato creatore di suoni come Hubert Westkemper per arricchire i
loro paesaggi scenici. Saper diventare più cinematografici di un film, continuando a essere
teatro puro. Ecco come si passa dall’artigianalità all’arte.” (L’Unità)
“La creazione di Maria Grazia Cipriani racconta Shakespeare per lampi narrativi, tra
schiocchi di lame e luci ghiacciate. Lo scenografo Graziano Gregori monta un ring dalle
pareti rosso sangue, gommoso e perforabile. All’interno di questo recinto, Amleto va
incontro al proprio destino di vendicatore- vittima come se giocasse una partita a scacchi
contro se stesso e contro coloro-tutti- che infettano di vizio o di servilismo la corte di
Danimarca. Tutto ciò che accade in scena, sembra perciò frutto dell’immaginazione di
Amleto e si colloca in una dimensione immateriale dove ogni cosa, pur rivelandosi
possibile, è finta come nel gioco, come nel teatro. Non a caso i personaggi di contorno sono
bianchi o seminudi. Non a caso la trepida infelicissima Ofelia muore non per annegamento
ma colpita da una cascata di fiori. E non a caso, quando qualcuno ha la peggio, è il
pupazzetto sulla scacchiera che perde la testa (…)Lo spettacolo ha in sé un’originalità
interpretativa che non va contro Shakespeare. Anzi lo illumina di nuova luce. E si avvale
di collaboratori di primordine” (La stampa)
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TRIBOLETTO
azione teatrale in un atto
testi da Victor Hugo, Francesco Maria Piave, Lorenzo Da Ponte
musiche di Verdi, Mozart, Delibes
Orchestra Sinfonica del Lario
direttore Pierangelo Gelmini
evento straordinario per le celebrazioni verdiane 2013
Venezia, 1851, Gran Teatro La Fenice. Sta per andare in scena un evento teatrale del tutto
particolare e inatteso, uno spettacolo prima dello spettacolo: un'audizione che assume le
sembianze di un processo.
L'ambiente è molto agitato a causa della nuova opera del Maestro Verdi, che propone un
soggetto assai scabroso, Triboletto, tratto da "Le Roi s'amuse" di Victor Hugo, già
censurato vent'anni prima dalle autorità francesi e subito ritirato dalle scene parigine dopo
uno scandalo e una sentenza del Tribunale di Parigi. Ora Verdi vuole scrivere un'opera
proprio sul buffone Triboulet, le sue deformità, la sua audacia nell'ergersi a giudice delle
perversioni del re di Francia. Verdi ha già fatto approntare un libretto, ha selezionato i
cantanti e sta scrivendo le musiche. L'intera città è in allarme e si temono disordini, la
sovrintendenza del Teatro temporeggia, l'orchestra e le maestranze sono riunite in
assemblea permanente, i cantanti minacciano le dimissioni, il pubblico è in fermento e le
autorità di polizia sono pronte a intervenire.
Viene finalmente convocato il Soggetto: il signor Triboulet. Alla presenza della giuria del
Teatro egli racconta la verità sulla sua storia.
E le musiche? Ci sono quelle già scritte da Verdi per la nuova opera e poi quelle di Delibes
per la Comédie Française; ma ci sono anche gli straordinari parallelismi teatrali e musicali
con il Don Giovanni di Mozart, un vero modello per Verdi, che sembra sovrapporsi e
specchiarsi nel nuovo soggetto: le due figure del libertino-seduttore, i due buffoni complici
e vittime, il gioco del travestimento, l'universalità femminile, le feste in scena, la sfida
all'autorità costituita, la vendetta
8
7 febbraio 2014
TARTUFI
tratto da “Le Tartuffe ou l’imposteur” di Moliere
regia Davide Marranchelli
con Marco Continanza, Ivana Franceschini, Davide
Marranchelli, Arianna Pollini
Tartufo è un impostore che
facendosi portavoce di alti valori
cerca di raggiungere esclusivamente
dei vantaggi personali. Raggira un
ricco capo di famiglia dell’antica
aristocrazia francese e lo trascina
insieme ai suoi nella rovina
finanziaria. Se non fosse per
l’intervento del Re, l’epilogo
sarebbe tragico. Il personaggio
“Tartufo” si presta ad una
contemporaneizzazione grazie al
contenuto molto attuale dell’opera.
Mumble Teatro coglie questo
aspetto e cerca di sottolinearlo in
chiave comica nella messa in scena
Turtufo è un’idea che si manifesta in
diverse forme e in ogni ambito
possibile. Per questo Mumbe Teatro
si diverte a duplicarlo anche
scenicamente in chiave spesso ironica e a volte addirittura comica. La messa in scena
brillante, ricca di colpi di scena e picccole trovare, rende lo spettacolo fruibile anche da un
pubblico di ragazzi.
NOTE DI REGIA
Tartufi, e non Tartufo, prima di tutto.
Il protagonista della storia, l’impostore, è uno e molti: con sé porta un’immancabile borsa a
tracolla, la valigia dell’attore, con tutto il suo campionario di facce, una per ogni occasione,
da sfoggiare e da cambiare quando più ce n’è bisogno.
Intorno a lui ruotano, o sarebbe meglio dire annaspano, gli altri personaggi, così
tristemente e indissolubilmente legati al loro carattere, al ruolo che Moliere ha disegnato
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per ognuno di loro. Fanno quasi pena, i componenti della famiglia di Orgone, così costretti
nel loro ordine morale: ognuno di loro vorrebbe, ma non può, essere Tartufo.
Forse però, un po’ Tartufi già lo sono inconsapevolmente anche loro; anch’essi vivono o
vivacchiano a scrocco nella ricca e signorile casa, piccoli topi da dispensa, bramosi di
ottenere quello che vogliono. Tutti i componenti della commedia in fondo non vedono
altro che loro stessi, persino i due innamorati sembrano così soli, immersi come sono nel
loro egoismo.
Ed ecco che allora Tartufo, l’ultimo arrivato, con la sua spavalda e sprezzante ingordigia,
quella cattiveria calcolata quasi archetipica del “cattivo”, inizia a starci simpatico. Il
padrone di casa, sua figlia, la casa stessa, tutto è “Tartufato”, il cattivo ha fatto saltare il
banco, è riuscito ad avere tutto per sé, prima degli altri, e va combattuto.
In questa visione della commedia quindi, i personaggi non sono più tali, ciascuno ha la sua
maschera di moralità, dietro la quale nasconde una smania di conquista. Maschere
grottesche, vestite con materiale riciclato, tremendamente buffe e scomode, nel loro
somigliare alle bassezze più nascoste di noi spettatori.
Il lieto fine di Moliere, con la cacciata del nostro Tartufo rosso fuoco, assume così nella
vicenda il significato di un triste commiato: addio ad una sincera e onesta ammissione di
egoismo, cattiveria, cupidigia, addio all’accettazione dei nostri sentimenti più profondi.
Addio ad una consapevolezza, che in tempi come questi, potrebbe risultare anche l’unica
qualità ancora rimastaci.
Davide Marranchelli
COSTO BIGLIETTO PER STUDENTE: 10 euro.
E’ possibile organizzare altri spettacoli su richiesta
Per informazioni e chiarimenti contattare:
ARIANNA CONTE
E-Mail: [email protected]
Mobile: +39 3922035272
Teatro san Teodoro
Via corbetta 7,22063 Cantù ( Co)
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