1 La valutazione multidimensionale geriatrica come strumento guida nella rete integrata dei servizi di assistenza continuativa per l’anziano fragile. Luigi Ferrucci1, Stefania Bandinelli1, Alberto Baroni1, Antonio Bavazzano2, Enrico Benvenuti1, Roberto Bernabei3, Antonio Cherubini4, Giulio Corgatelli5, Giovanni Frisoni6, Angelo Di Iorio1, Fulvio Lauretani7, Niccolò Marchionni7, Gianfranco Salvioli8, Marco Trabucchi9. Laboratorio di Epidemiologia Clinica, Dipartimento di Geriatria INRCA – Firenze Unità Operativa di Geriatria – ASL Prato 3. Università Cattolica del Sacro Cuore – Roma 4. Istituto di Gerontologia e Geriatria, Università degli Studi di Perugia 5. Società Italiana di Medicina Generale 6. Centro S. Giovanni di Dio Fatebenefratelli - Brescia 7. Istituto di Gerontologia e Geriatria, Università degli Studi di Firenze 8. Istituto di Gerontologia e Geriatria, Università degli Studi di Modena 9. Dipartimento di Neuroscienze, Università Tor Vergata - Roma 1. 2. Riassunto In assenza di regole e procedure standardizzate la rete dei servizi per gli anziani si è evoluta in questi ultimi anni in maniera spontanea e talvolta disordinata sotto la pressione dei cambiamenti demografici. Si avverte l’esigenza di linee guida che forniscano indicazioni almeno di indirizzo per la messa a punto di piani terapeutici e per il monitoraggio delle transizioni tra i nodi della rete. Il progetto descritto propone una metodologia per la stesura di tali linee guida, utilizzando come criterio di riferimento la “fragilità”. Summary In spite of the lack of standard rules and procedures the network of services for the elderly has grown in last few years under the pressure of the demographic trends. However, many professionals who work with the elderly are asking for guidelines that may be helpful both for developing care plans tailored to the needs of specific older patients and for monitoring their transitions between services and institutions. This paper describes a methodology for designing a working draft of such guidelines, using as the reference criteria the concept of frailty. 2 Introduzione Il piano Sanitario Nazionale 1998-2000 indica tra le priorità per il cambiamento, una profonda revisione organizzativa dei servizi sanitari e sociali in modo da realizzare un’effettiva integrazione a tre livelli: istituzionale, gestionale e professionale.1 Uno dei campi dove è maggiormente sentita la necessità di tale integrazione è quello riguardante l’assistenza continuativa all’anziano “fragile” caratterizzato da una condizione patologica che si sfuma con le modificazioni fisiologiche caratteristiche dell’invecchiamento, ed è resa più complessa dalla coesistenza di problematiche sociali e psico-comportamentali. E’ esperienza comune che la cura efficace di questi soggetti richiede particolari attenzioni e risorse rispetto all’utente medio del Sistema Sanitario Nazionale (SSN). Non esiste tuttavia chiarezza su quali criteri debbano essere utilizzati per lo screening di questa condizione e su quali interventi devono essere messi in opera una volta che i soggetti target siano stati identificati. In assenza di regole, le strutture sanitarie, i Comuni e le Regioni hanno risposto a questa problematica con soluzioni differenti sia dal punto di vista della filosofia di riferimento che sul piano strettamente tecnico degli strumenti e delle procedure, più come risposta alle istanze contingenti che come tentativo di pianificare il futuro dell’assistenza agli anziani. Ne sono nate sperimentazioni così difformi e fondate sullo spontaneismo che non è possibile confrontarne l’efficacia. Da ciò scaturisce la necessità di stabilire in maniera razionale e generalizzabile i principi a cui ci si deve riferire per l’implementazione dei nuovi servizi per gli anziani in un sistema sanitario in profonda e rapida trasformazione. Il Progetto Finalizzato “La valutazione multidimensionale geriatrica come strumento guida nella rete integrata dei servizi di assistenza continuativa per l’anziano fragile” parte proprio da questa considerazione e pertanto ha come obiettivo finale la messa a punto di un set di regole, strumenti e procedure per la valutazione dell’anziano fragile nella rete dei servizi. Le indicazioni contenute in queste “linee guida” non dovranno tuttavia essere interpretate come vincoli o ostacoli, ma come tentativo di omogeneizzare i comportamenti o almeno di renderli confrontabili. Solo così sarà possibile capitalizzare sull’esperienza di funzionamento giornaliero e operare dinamicamente i necessari correttivi verso una sempre maggiore efficacia ed efficienza. Le difficoltà di definizione della ‘fragilità’ sono state discusse in un articolo precedente su questo stesso giornale. In una ottica di ricerca sanitaria è utile tuttavia sottolineare che la necessità di avere a disposizione una definizione sintetica della fragilità è divenuta pressante soprattutto per scopi gestionali e che questa istanza non è stata adeguatamente supportata dalla ricerca scientifica che per sua natura è portata al dettaglio ed alla precisione formale. Nella gestione, al contrario, semplicità ed operatività devono essere i criteri di riferimento. In questa luce assume particolare importanza lo scopo specifico che si vuole perseguire. Ad esempio, lo screening della fragilità in un soggetto anziano ammesso in un ospedale per acuti è importante perché è ben noto che questi 3 soggetti vanno incontro durante l’ospedalizzazione stessa ad una serie di complicanze stereotipe, indotte dalla modificazione acuta dell’ambiente e dei ritmi di vita, in maniera almeno parzialmente indipendente dalle cause del ricovero.2,3 E’ stato inoltre dimostrato che l’attivazione di un sistema di sorveglianza e la messa in opera di semplici procedure è in grado di ridurre sostanzialmente il rischio di eventi clinici avversi come ad esempio lo stato confusionale.4 Analogamente, nella valutazione di un soggetto per cui si prende in esame l’ammissione ad una struttura di lungodegenza dovremmo considerare il rischio indotto da questa decisione in termini di accelerazione del decadimento funzionale 5 e confrontarlo con il rapporto rischio-beneficio di altre possibili opzioni, anche nel senso della specifica struttura che risulta più adatta per quello specifico caso. Infine, nella valutazione clinica di un soggetto anziano che si reca dal proprio medico è possibile ipotizzare la rilevazione sistematica di una serie di indicatori semplici che permettano di monitorizzare nel tempo lo stato globale di “vitalità” e di identificare in una fase precoce i soggetti a rischio elevato di disabilità. In nessuno di questi esempi, la valutazione della fragilità ha un carattere certificativo ma ha piuttosto un significato di prevenzione e promozione della qualità della vita. E’ questo l’aspetto sostanziale in cui forse l’implementazione del Progetto Obiettivo Salute Anziano (POSA) ha fallito, nonostante le molte istanze positive contenute nel documento propositivo diffuso a suo tempo dal Ministero della Sanità che invitava tra l’altro ad uniformare le direttive regionali in modo da arrivare ad adottare gradualmente un unico strumento di VMD a livello nazionale. In realtà, da ricerche compiute dal Progetto Finalizzato Invecchiamento nell’ambito del Sottoprogetto 5 “Invecchiamento della popolazione qualità della vita e autosufficienza”, è risultata una disomogeneità interpretativa e applicativa delle direttive del POSA. Sono state infatti osservate marcate differenze non solo da regione a regione, ma anche tra diverse Aziende Sanitarie di una stessa regione nella composizione della UVG, nei ruoli attribuiti alle professioni sanitarie coinvolte e nell’utilizzo di strumenti di VMD.6 Le stesse ricerche hanno anche messo in evidenza che non tutti gli strumenti utilizzati di VMD erano stati precedentemente validati.7 Conseguenza diretta di questi problemi è che non sono a tutt’oggi disponibili dati attendibili sul livello qualitativo dell’assistenza al paziente geriatrico nel nostro Paese e sugli eventuali vantaggi che potevano essere derivati dall’avvio del POSA. Le ragioni alla base della disomogeneità rilevata sono diverse ma interconnesse. Alle carenze culturali, si associano le difficoltà di coordinamento tra le diverse figure professionali – i medici di medicina generale, i geriatri, gli infermieri professionali, gli assistenti sociali, i terapisti della riabilitazione – che dovrebbero far parte della UVG. Discutendo il problema della definizione di fragilità in un ambito scientifico di ricerca avevamo sottolineato l’importanza di arrivare ad una definizione unica, standard, basata su dati oggettivi se pur in qualche modo graduabile in termini di gravità. Chiarire il fenotipo “fragilità” in termini assoluti, sulla base di un algoritmo standard è infatti l’unico modo per ricercare in studi clinici ed 4 epidemiologici i fattori che condizionano la sua insorgenza ed evoluzione nel corso dell’invecchiamento. Alcuni ricercatori stanno lavorando attivamente in questa direzione. Utilizzando dati del WHAS e del Cardiovascular Health Study (CHS), Fried e collaboratori hanno proposto una definizione di lavoro del fenotipo “fragilita’” basata sulla presenza di almeno 3 dei seguenti cinque criteri: 1. Ridotta forza muscolare; 2. Ridotta velocità di cammino su un percorso di 4 metri a passo usuale; 3. Attività fisica giornaliera usuale modesta; 4. Perdita di peso di almeno 5 Kg nell’ultimo anno in assenza di diete; 5. Sensazione di grave astenia per almeno la metà delle ore del giorno.8 I soggetti considerati come “fragili” avevano una rapidità del declino funzionale nel tempo, una mortalità, ed una condizione omeostatica (rilevata mediante indicatori biologici oggettivi come la VES, l’Albumina, o la Sideremia) significativamente diversa dai controlli. In accordo con quanto detto precedentemente, questa definizione è particolarmente adeguata a scopo di ricerca. Le informazioni su cui si fonda sono presenti in un elevato numero di studi epidemiologici longitudinali sugli anziani per cui la validità predittiva della definizione può essere verificata in molte popolazioni. Tuttavia passando da una visuale scientifica e di ricerca ad una operativo-gestionale, appare chiaro che le caratteristiche riportate per circoscrivere la ‘fragilità’ nel CHS non sono più adeguate. Appare al contrario più utile una definizione di tipo generale che nel concreto assume di volta in volta una forma diversa a seconda del setting e del tipo di obiettivo che si propone e dei vincoli a cui deve rispondere. Tra i vincoli il più rilevante e’ senza dubbio quello economico. La recente legge di Riordino del Sistema Sanitario Nazionale ed il nuovo Piano Sanitario per gli anni 19982000 affermano la necessita’ di una programmazione che tenga conto da un lato della finitezza delle risorse e dall’altro dalla necessità di ottimizzare le risorse disponibili avendo sempre come riferimento nelle scelte operative il rapporto costo-beneficio. Questo riferimento diviene ancora piu’ critico nella programmazione dei servizi per gli anziani. E’ stato recentemente dimostrato che agli ultrasettantacinquenni, pur rappresentando solo il 6.5% dell’intera popolazione, consumano il 28% della spesa sanitaria.9 Si è pure osservato – anche con studi prodotti da ricercatori italiani – che una effettiva integrazione socio-sanitaria, resa possibile dall’utilizzo di équipe interdisciplinari (Unità Valutativa Geriatrica o UVG) e di strumenti di valutazione multidimensionale geriatrica (VMD), permette significativi vantaggi in termini di qualità di vita e, contemporaneamente, un abbattimento dei costi per una riduzione dell’ospedalizzazione impropria degli ultrasettantacinquenni.10 Infine, e’ ormai chiaro che i veri consumatori di risorse non sono gli anziani in generale, ma piuttosto gli anziani fragili e/o disabili.11 Questi dati suggeriscono che l’età di per se non dovrebbe essere utilizzata come criterio per l’attivazione di risorse “speciali” perché per un elevato numero di anziani il normale funzionamento della rete è sufficiente a coprire le necessità fondamentali o, come li definisce la legge TER, i “livelli essenziali di assistenza”(Decreto 5 legislativo sulla riorganizzazione del SSN, 19 Giugno 1999). Distribuite a pioggia su tutti gli anziani, tali risorse addizionali verrebbero infatti così diluite da essere insufficienti proprio nei casi che richiedono un intervento più mirato, prolungato ed intenso. Al contrario, l’assegnazione di risorse ad un gruppo di anziani target, definiti in base alla presenza di una fragilità, persegue il principio di fornire una risposta quanto più possibile adeguata al bisogno individuale. E’ in questi termini che l’operazionalizzazione del concetto di fragilità quando abbia come obiettivo l’apertura di piani terapeutici speciali dovrebbe rendere espliciti i rischi a cui tenta di contrapporsi e gli obiettivi che si propone di perseguire. In questa accezione il soggetto fragile potrebbe essere definito come quel soggetto per cui, dato l’elevato rischio di outcome avversi, è necessario rendere disponibili risorse addizionali che tendano a controbilanciare questa tendenza. E’ utile sottolineare inoltre che in questo modo si passa dal concetto di una fragilità a quello delle molte fragilità che possono avere natura diversa (esempio instabilità della salute, disagio sociale, condizioni economiche critiche, tossicodipendenza, alcolismo etc.) ma che comunque necessitano di identificazione e di interventi “speciali”. La fragilità essendo un fenomeno dinamico (rischio), non si identifica né con il bisogno né con la disabilità che sono per loro natura condizioni statiche. Tuttavia bisogno, disabilità e fragilità possono coesistere ed anzi ciò avviene abbastanza frequentemente. Anche in questo caso la presenza di fragilità condiziona l’evoluzione futura. Ad esempio, è stato dimostrato che in soggetti disabili, a parità di livello di disabilità, la velocità del deterioramento funzionale e la mortalità dipendono da vari fattori tra cui il livello sierico di albumina,12 lo stato di nutrizione,13 il supporto sociale e la presenza di depressione.14,15 Ancora, la presenza di fattori di rischio di malattie specifiche rappresenta una certa fragilità, l’unica forse che si è preso seriamente in considerazione fino ad oggi nell’agire medico con lo strumento della prevenzione primaria. Tuttavia il rischio di disabilità che scaturisce dall’interazione tra invecchiamento e malattie, ed ancor più il rischio di progressione rapida della disabilità in soggetti non disabili sono esempi di target di prevenzione che fino ad oggi sono stati presi in considerazione in maniera molto limitata. Alla luce delle proiezioni demografiche e dei trend di morbilità stimati per il futuro, ciò non è più possibile. E’ necessario al contrario affiancare all’approccio assistenziale all’anziano un’istanza continua di prevenzione che realizzi quella compressione della disabilità ipotizzata nella letteratura, e che è l’unica possibilità per impedire la crescita esponenziale dei costi sanitari e sociali. Lo screening della fragilità Riassumendo, l’implementazione dello screening della fragilità età-associata con procedure e strumenti confrontabili nelle varie realtà regionali ha lo scopo di attivare nella rete dei servizi una sorveglianza attiva e piani terapeutici speciali con valenza preventiva nei confronti della disabilità e 6 promozione della qualità della vita nell’anziano. In considerazione della polifattorialità della fragilità, o meglio delle fragilità età-associate, tale screening deve necessariamente fondarsi sulla valutazione multidimensionale. Applegate definisce la valutazione multidimensionale come il processo di raccolta ed analisi dei dati appartenenti a domini multipli che permettono una diagnosi complessiva di tutti i problemi di un anziano che richiedono un trattamento o una gestione.16 L’efficacia della valutazione multidimensionale nella valutazione e nella cura del paziente anziano in confronto all’approccio medico tradizionale e’ stata più volte dimostrata in letteratura in diversi setting. Sin dall’articolo di Rubenstein apparso su New England Journal of Medicine nel 1984, che è considerato una pietra miliare in questo ambito di ricerca, si affermava con decisione che la VMD è efficace, anche come rapporto costo-beneficio, quando applicata ad una particolare popolazione target.17 Il termine di fragilità non era ancora entrato in uso in quegli anni, almeno con il significato che gli viene attribuito oggi. Tuttavia le caratteristiche della popolazione target descritta in quell’articolo si avvicinano alla nostra definizione filosofica di fragilità. Negli anni successivi molti altri autori hanno affrontato questo problema anche se con modalità dissimili ottenendo in generale, anche se non sempre, risultati positivi. Rispetto all’articolo di Rubenstein gli studi successivi (condotti anche da Rubenstein stesso) hanno migliorato il disegno del modello sperimentale, raffinato gli strumenti di valutazione, chiarito almeno in parte gli interventi che erano messi in opera sulla base della valutazione.18 L’elemento rimasto in ombra è tuttavia proprio la popolazione target spesso più frutto di una identificazione intuitiva che di una definizione formale. Ciò è forse alla base della difficoltà di ricostruire una medicina basata sull’evidenza per l’uso appropriato della valutazione multidimensionale applicata di volta in volta a soggetti con caratteristiche diverse. Definire in maniera concreta la popolazione target è infatti il requisito preliminare a qualsiasi dimostrazione di evidenza di efficacia. In un tentativo di esprimere in maniera sintetica i nodi della rete in cui è necessario implementare uno screening della fragilità, dovremo fare riferimento ad almeno 5 setting: 1) Il domicilio e la medicina di base; 2) L’assistenza domiciliare integrata; 3) L’ospedale per acuti (ospedale tecnologico); 4) I luoghi dove si attua la degenza nel periodo post-acuto; 5) Le strutture di lungodegenza per gli anziani. E’ bene subito chiarire che in questa ipotesi di lavoro, almeno per ciò che riguarda la Geriatria, la Unità di Valutazione Geriatrica (UVG), la Riabilitazione e la Prevenzione non dovrebbero essere considerati nodi della rete ma piuttosto istanze e meccanismi regolatori presenti in tutti i nodi essenziali. Per chiarire questo concetto è utile la schematizzazione di figura 1. Nel sistema di rete attualmente funzionante un soggetto può passare da uno dei 5 possibili nodi a ciascuno degli altri, nonostante sia evidente che dei venti percorsi risultanti solo alcuni seguano una logica di efficienza. Ciò avviene perché non esiste una struttura centrale che regola i flussi nella rete avendo presenti tutte le alternative e avendo come obiettivo la salute e la 7 qualità della vita dell’utente anziano. Nei casi più fortunati, a questa struttura centrale ideale si sostituisce il gestore di uno dei nodi che interagisce con la struttura di destinazione. Nella maggior parte dei casi tuttavia vige il principio della dismissione rapida, affidando alla famiglia o all’anziano stesso il difficile compito di decidere la prosecuzione del percorso assistenziale. E’ evidente che in questa condizione la continuità della cura nella rete dei servizi non è possibile. Non esiste infatti né un meccanismo di monitoraggio dei flussi stessi, né un soggetto unico che avendo acquisito tutte le informazioni sia in grado valutare il percorso ed il piano terapeutico migliore. E’ verosimile che lo spontaneismo dei flussi risponda in maniera adeguata alla costruzione di un piano terapeutico in soggetti che sviluppano una specifica malattia e che altrimenti sono sani come ad esempio soggetti giovani-adulti o negli anziani affetti da una unica condizione patologica reversibile. Infatti, la prassi comune ha automatizzato alcuni passaggi che si concludono nella maggior parte dei casi con il ritorno a domicilio dell’utente. In questo caso, l’attivazione di una struttura centrale di monitoraggio del paziente nella rete è inutile, costosa, e verosimilmente rende solo più complesso il funzionamento generale. Al contrario, la costruzione del piano terapeutico in un soggetto anziano fragile è critica nel senso che scelte diverse possono comportare rischi e/o benefici alquanto differenti in termini di qualità della vita. Inoltre, come avevamo accennato precedentemente, l’identificazione di un anziano fragile comporta quasi costantemente un passaggio di informazioni utili per la messa in opera di attività speciali che non rientrano nelle attività terapeutiche usuali. Un esempio di questo concetto è il ricovero di un soggetto anziano fragile in un ospedale per acuti, con la necessità di attivare quei sistemi di sorveglianza che prevengono la disidratazione, la denutrizione, la sindrome da immobilizzazione, gli episodi confusionali e successiva degenza in una struttura sub-acuta prima del ritorno a domicilio (percorso 2-6-1). Un altro esempio è l’ammissione di un paziente con demenza in una struttura di lungodegenza che non è in grado di gestire in maniera adeguata questo tipo di patologia. Affinché ciò possa avvenire sono necessarie tre condizioni: 1) che la decisione per la transizione da un nodo all’altro sia preceduta da una valutazione in cui si raccolgono in maniera standardizzata, seppure in maniera sintetica, tutti gli elementi utili a fare la scelta più corretta; 2) che gli elementi decisionali e gli obiettivi che si perseguono nel passaggio ad una diversa struttura siano resi espliciti e trasmessi al nodo di arrivo; 3) che esista un organismo centrale di riferimento esterno alla rete ma in rapporto costante con ciascun nodo di essa, che opera in stretta collaborazione con il medico di Medicina Generale ed è in grado di monitorizzare il piano terapeutico stabilito per ciascun specifico soggetto anziano “fragile”. Una ipotesi di funzionamento è che le valutazioni sintetiche condotte da ciascun nodo siano trasmesse alla struttura centrale di coordinazione che, sulla base di algoritmi standard esegue uno screening della fragilità ed in casi di screening positivo attiva da un lato una valutazione di secondo livello che viene attuata sulla base di 8 consulenze e dall’altro assegna il “caso” ad un gestore del caso che monitorizza le transizioni successive. E’ importante sottolineare che l’attivazione della valutazione di secondo livello e del gestore del caso deve essere limitata ai soggetti “fragili” e non deve rappresentare una modalità di funzionamento della rete usuale. E’ altresì importante che la valutazione di secondo livello sia affidata a soggetti che abbiamo una solida esperienza ed una estesa cultura nell’ambito della cura degli anziani. A nostro parere solo un Geriatra che abbia acquisito nel suo bagaglio culturale informazioni sulla gestione sanitaria dei servizi è in grado di svolgere questo ruolo. Punti critici in questo modello sono la soglia a cui tale attivazione deve avvenire e l’arbitrio decisionale e la forza di contrattazione a disposizione del gestore del caso. In sintesi, si potrebbe ipotizzare una rete che funziona in maniera automatica e spontanea e che attiva procedure speciali nel caso di anziani fragili. I nodi e gli elementi decisionali che regolano il percorso terapeutico In una ipotesi come quella delineata nei paragrafi precedenti si possono ipotizzare 20 possibili transizioni tra i nodi della rete. Ciascuna di queste transizioni è caratterizzata da un nodo di partenza ed un nodo di arrivo. La valutazione eseguita dal nodo di partenza è rilevante per stabilire l’adeguatezza della transizione, mentre quella eseguita dal nodo di arrivo serve a raccogliere gli elementi per la stesura del piano terapeutico. Schematicamente, ciascun nodo gestisce quindi quattro tipologie di valutazione “in partenza” e quattro tipologie di valutazione “in arrivo”. Questa doppia valutazione dovrebbe anche permettere la verifica della attuazione e del risultato del piano terapeutico proposto. Per ciascuna di queste valutazioni sarà necessario identificare: 1. Chi esegue la valutazione e chi partecipa alla sua interpretazione, inclusi l’attivazione delle consulenze (ed in particolare di quella specifica geriatrica) e l’eventuale coinvolgimento della UVG. 2. Quali strumenti vengono utilizzati per la valutazione 3. Sulla base di quali elementi stabilire l’outcome della valutazione Il progetto finalizzato che è l’oggetto di questa relazione si propone di identificare ciascuno di questi elementi sulla base della letteratura vigente e della esperienza degli operatori che partecipano a questa iniziativa. Nonostante la apparente difficoltà nel delineare questi elementi per 40 situazioni diverse, ci pare questo l’unico modo per avvicinarci ad un approccio ecologico che, almeno in una prima istanza, affronti una per una le difficoltà decisionali che gli operatori della rete incontrano di giorno in giorno. Solo successivamente si potrà stabilire se è possibile una maggiore generalizzazione e semplificazione. E’ interessante notare che uno dei vantaggi di questo approccio è l’avere stabilito regole decisionali nelle singole transizioni rendendo possibile la creazione di un sistema di macro-monitoraggio che permetta di identificare i fattori principali che regolano i flussi 9 nella rete, identificare i punti critici e evidenziare percorsi apparentemente irrazionali da sottoporre ad ulteriore studio. Una analisi a parte merita l’UVG che viene vista come centro di coordinazione e di monitoraggio. Per perseguire questi scopi, l’UVG dovrebbe essere costituita da una componente stabile in cui un ruolo fondamentale è giocato dalle componenti informatiche che raccolgono le informazioni e le rendono disponibili on-line in forma elaborata e da figure che rappresentano le varie professionalità operanti nella rete ed in particolare quella geriatrica. Questo core stabile gestionale dovrebbe lavorare in stretta collaborazione con i “gestori del caso” coinvolgendo di volta in volta le consulenze necessarie e i dirigenti dei nodi. I medici di famiglia dovrebbero a tutti gli effetti essere considerati componenti della UVG nel momento in cui si attiva un percorso terapeutico e gestionale di un loro assistito, partecipando attivamente al monitoraggio ed alle decisioni gestionali. Si avverte tuttavia come necessità la separazione tra la figura del Medico di Base e quella del “Case Manager” soprattutto perché al “Case Manager” è richiesta una visione generale dello stato di funzionamento delle rete. Le procedure che abbiamo sinteticamente delineato devono naturalmente essere redatte in una forma estesa, conosciute ed accettate dai vari operatori e, in ultima analisi, sottoposte a sperimentazione. La redazione delle regole in linee guida è certamente la prima fase per passare dalla teoria alla operatività. Nella sezione seguente cercheremo di delineare una metodologia che possa condurre alla stesura di queste linee guida ed ad una verifica della validità apparente, come proposta di lavoro futuro del nostro gruppo di studio. I luoghi della valutazione e della cura Come avevamo già accennato, preliminare a qualsiasi ipotesi di linea guida è chiarire i luoghi e le persone che devono utilizzarle e quali obiettivi ci si propone. Una identificazione dettagliata e puntuale dei luoghi della valutazione o, in altre parole, dei nodi critici della rete non è negli obiettivi di questo scritto. Infatti, la fantasia dei programmatori ha fatto scaturire una tale variabilità di denominazioni per le varie tipologie di servizio che sarebbe necessario un glossario. Tuttavia, è facile riconoscere come sotto le denominazioni diverse si trovino servizi tra di loro simili per funzionamento e tipologia dei soggetti ammessi. Le tipologie generali sono riassunte in Figura 1. Prima di passare alla identificazione delle procedure di valutazione vere e proprie, sarà necessario delimitare per ciascuna di queste categorie le strutture che vi rientrano, gli operatori che hanno funzioni decisionali, gli scopi della valutazione. Per brevità, riportiamo solo un esempio per il primo nodo, quello della Medicina Generale e del Territorio. Una descrizione degli altri nodi sarà inclusa nel primo Report intermedio di questo studio. 10 Esempio di un nodo: Il territorio e la medicina generale. Questo nodo che costituisce anche l’accesso unico alla rete è da un lato il più semplice perché vi agisce un unico operatore il Medico di Medicina Generale, dall’altro il più complesso perché questo operatore svolge una serie di attività multiple che vanno dalla prevenzione al monitoraggio dei percorsi del paziente nella rete. Limitando la descrizione delle funzioni ad un ambito geriatrico, idealmente il Medico di Medicina Generale dovrebbe avere a sua disposizione strumenti che gli permettano di: a) Monitorizzare il livello fisico funzionale e cognitivo dei soggetti anziani residenti a domicilio con cui, per una qualsiasi ragione, venga a contatto. Questa valutazione avrebbe lo scopo di definire se il soggetto ha deficit iniziali che possono non essere evidenti ad un approccio clinico non strutturato e di monitorizzare questi parametri nel tempo. Lo scopo finale è identificare il momento in cui avviene una accelerazione del decadimento funzionale tipico dell’invecchiamento in modo da innescare una valutazione di secondo livello tesa a stabilire le origini del fenomeno, stimarne il livello di reversibilità ed eventualmente pianificare una approccio terapeutico. Questo livello è quindi sostanzialmente di prevenzione. Considerando che la fragilità è essenzialmente un fenomeno dinamico, lo screening dei deficit funzionali iniziali dovrebbe servire anche ad aumentare il livello di allerta e di sorveglianza del medico stesso, che in casi selezionati può attivare un monitoraggio attivo ad intervalli regolari, eventualmente attivando l’assistente sociale e/o domiciliare. Un problema è che le strutture in grado di condurre una valutazione di secondo livello sulle cause della fragilità iniziale sono scarse e solitamente orientate a singole malattie come ad esempio le osteoartrosi o le malattie neurologiche. Anche le strutture geriatriche che elettivamente dovrebbero svolgere questo ruolo di valutazione sono solitamente centri custodiali o di gestione della cronicità e anche quando affrontano un problema emergente si limitano spesso alla risoluzione di quest’ultimo scorporandolo dalla problematica più generale delle fragilità età-correlata. La possibilità di un monitoraggio del declino fisico funzionale che si accompagna all’invecchiamento è infine complicata dalla assenza di dati normativi a cui fare riferimento. In questo senso sarebbe utile mettere a punto tavole percentili dei parametri più importanti (velocità del cammino, forza muscolare etc.) tratti da campioni rappresentativi di anziani sani in un ampio range di età. b) Valutare nei soggetti che hanno bisogno di un ricovero diagnostico, terapeutico o per riabilitazione il rischio di eventi avversi tipici della fragilità (iatrogenesi, rischio di confusione mentale, sindrome da immobilizzazione etc.) (percorso 2). Questa valutazione è utile da un lato per allertare la struttura a cui il paziente viene inviato, dall’altro a stabilire la opportunità del ricovero in termini di costo-beneficio. Per chiarire meglio quanto sopra esposto sarà utile fare riferimento ad una situazione tipo. Immaginiamo una donna di 80 anni, affetta da multipatologia, che si muove con difficoltà e uso di un bastone ma è autosufficiente nelle attività di base della vita quotidiana. 11 Continente, cognitivamente adeguata, vive con una sorella di 70 anni in buona salute in una casa al secondo piano con ascensore. Sviluppa un episodio di broncopolmonite e viene proposto il ricovero ospedaliero da un medico consultato dalla famiglia. In ospedale riceve le cure adeguate al problema broncopolmonare e rimane allettata per circa 15 giorni, cateterizzata. Alla dimissione è costretta al letto, disabile per tutte le ADL, incontinente doppia. Il ritorno a casa scatena una crisi di ansia nella sorella che non sa come fronteggiare la situazione assistenziale. Diventa necessario attivare l’assistenza domiciliare che tuttavia può risolvere solo i problemi di competenza medica ed infermieristica ma non è in grado di fare alcuna riabilitazione. In pratica, l’ospedalizzazione ha risolto il problema acuto broncopolmonare ma ha indotto una serie di problemi sul livello di autosufficienza che influiscono negativamente sulla qualità della vita sia della paziente che della rete sociale che lo circonda, ingenerando un incremento significativo dell’uso di risorse assistenziali. Almeno in parte il risultato negativo di questo iter terapeutico è imputabile ad un deficit nella comunicazione delle informazione e di collaborazione tra gli operatori coinvolti. Questa stessa situazione avrebbe potuto essere affrontata in maniera più efficace e, probabilmente con un outcome migliore sia per la paziente che per la spesa sanitaria. Il primo punto critico è che il medico nell’effettuare il ricovero non ha comunicato alla struttura ricevente le informazioni sulla condizione di fragilità e suscettibilità agli eventi clinici avversi che era già presente prima del manifestarsi dell’episodio acuto. L’ospedale ha affrontato il problema della broncopolmonite in questa paziente con lo stesso approccio che avrebbe seguito in un soggetto di 30 anni, senza tenere conto delle conseguenze sostanzialmente diverse che un allettamento prolungato può generare il un soggetto anziano. La dimissione non è stata concordata nè con la famiglia nè con il Medico curante e la scheda di dimissione conteneva scarse informazioni, limitate all’evento acuto specifico (rx, esami etc,). Non veniva assolutamente evidenziato il declino funzionale avvenuto nel corso del ricovero che, al contrario, rappresenta il motivo cruciale di preoccupazione per la gestione futura sia da parte dei familiari che del medico di famiglia. Se la dimissione fosse stata gestita diversamente la rete assistenziale avrebbe potuto essere attivata quando ancora la paziente era in ospedale e essere pronta al momento ritorno a casa. In questo caso anche la condizione psicologica della sorella sarebbe stata diversa. In sintesi, non si è fatta alcuna opera di prevenzione della disabilità e le conseguenze sono gravi ed eclatanti sia in termini economici che in termini umani. Non solo, in assenza di una raccolta sistematica di informazioni e di un monitoraggio costante, l’ospedale rimarrà convinto di avere risolto il problema che gli è stato posto e non farà niente per cambiare il suo comportamento. Ciò avviene anche perché l’outcome raggiunto in termini di miglioramento globale della salute non condiziona minimamente i sistemi di finanziamento. E’ evidente che gli strumenti necessari per effettuare l’opera di prevenzione, orientarne il funzionamento e controllarne l’efficacia sono complementari a quelli utilizzati nella funzione “a” ma sostanzialmente differenti; 12 c) Effettuare un monitoraggio del paziente nella rete dei servizi in collaborazione con il manager del caso. La figura del manager del caso è estremamente critica in questa funzione perché deve mediare tra la realtà dei bisogni del paziente e della sua famiglia con le disponibilità in quel momento dei vari nodi della rete, tenendo in considerazione le risorse disponibili ed i vincoli di bilancio. In questo caso la funzione del medico di famiglia è quella di consulente di parte della famiglia a diretta difesa delle esigenze del paziente. Per svolgere questa funzione il medico deve avere a disposizione strumenti di valutazione standard che sono simili a quelli descritti precedentemente. Il manager del caso che ha di fronte a sé la situazione della rete in termini di recettività dei nodi ed eventuale sbilanciamento tra gli stessi, opera valutando l’adeguatezza delle scelte assistenziali proposte e suggerendo alternative quando tali proposte, pur adeguate, non possono essere soddisfatte appieno per mancanza di recettività. In questo senso il gestore del caso deve avere oltre ad una formazione sanitaria anche competenze di carattere gestionale amministrativo e capacità relazionali. Data la prevista riorganizzazione del sistema sanitario in Distretti, il luogo naturale di azione del manager del caso è proprio il Distretto sotto la guida del Direttore di cui costituisce una diretta emanazione. Fra i compiti del manager del caso vi è senza dubbio la contrattazione con le strutture nodali della rete ed una sorta di sorveglianza continuativa della qualità dell’operato delle stesse. Questa funzione di monitoraggio può essere svolta attraverso la consultazione delle informazioni già raccolte dalle strutture al momento della ammissione e dimissione del paziente. Inoltre, affinché questo operato non sia solo virtuale deve essere definito un numero massimo di soggetti fragili in sorveglianza attiva nello stesso momento e deve essere conferita al manager del caso una certa discrezionalità nell’uso delle risorse facendo sempre riferimento al responsabile del Dipartimento che rimane il responsabile unico del budget. In caso di necessità, il manager del caso ha facoltà di avvalersi di consulenti tecnici tra cui, nello specifico del paziente anziano fragile, assume particolare rilevanza il geriatra. d) Stabilire una strategia di gestione del paziente dimesso dalla struttura ospedaliera, attivando le necessarie consulenze accreditate nell’ambito dell’UVG ed in particolare quella geriatrica, stabilendo così un sistema di sorveglianza attiva. E’ essenziale a questo scopo che il documento di dimissione contenga le informazioni necessarie alla gestione, non solo cliniche ma anche socioassistenziali. Come socio-assistenziali si intendono le notizie circa il livello di aiuto nello svolgimento delle attività della vita quotidiana formali o informali necessarie a promuovere i massimi livelli di autosufficienza possibili, evitare il decadimento funzionale e della salute, le ricadute e le riospedalizzazioni. Anche relativamente alle condizioni cliniche dovrebbe essere sempre specificato il livello di stabilità raggiunto nella cura della patologia al momento della dimissione in modo da orientare il medico di famiglia sulla necessità di un monitoraggio frequente. 13 Per alcune patologie, come ad esempio il diabete o lo scompenso cardiaco congestizio, la sorveglianza potrebbe essere svolta direttamente dall’ospedale mediante sue specifiche propaggini sul territorio purché in stretta collaborazione con il medico di famiglia. L’efficacia di questo approccio è stata dimostrata in studi controllati pubblicati recentemente il letteratura. Il coinvolgimento del manager del caso dovrebbe avvenire al momento della dimissione, limitatamente ai soggetti fragili, con il compito di cercare soluzioni adeguate ai problemi del paziente all'interno della rete. e) Di fronte ad una richiesta di ammissione in struttura di lungodegenza valutare l’opportunità di questa scelta in confronto ad altre opzioni disponibili. E’ evidente che la decisione di ricoverare il paziente in RSA richiede una valutazione approfondita da parte di un team che deve necessariamente coinvolgere l’UVG, il manager del caso ed il medico di medicina generale. Tale valutazione richiede processi decisionali che in qualche misura sono standard ma che devono prendere in considerazione elementi multidimensionali complessi di cui solo il medico di famiglia è a conoscenza che non si possono ridurre ad una mera certificazione di non autosufficienza. In questo senso è necessario che il medico di medicina generale diventi uno degli attori di questa decisione con possibilità di partecipare attivamente alle decisioni finali. L’attuale situazione in cui viene data importanza al fine del giudizio per il ricovero in RSA alla certificazione dello specialista ospedaliero più che ad una relazione sui motivi che hanno indotto la proposta redatta dal medico di famiglia è, alla luce di quanto fino ad ora discusso, inaccettabile. Ciò non significa che il medico di famiglia non possa essere coadiuvato dal geriatra nella stesura della relazione. Il geriatra infatti possiede nella sua cultura gli elementi tecnologici della valutazione. Tuttavia, le istanze sociali che hanno in questo caso un valore preponderante sono conosciute in maniera approfondita solo da chi ha seguito e conosce il paziente da molto tempo. Ciascuna di queste valutazioni e successive scelte dovrebbe, almeno in parte, essere orientata dalla raccolta di dati strutturati da trasmettersi alla struttura centrale di monitoraggio. E’ evidente che in ciascun caso la condizione di fragilità che si ricerca è diversa. Nel primo caso un test di performance degli arti inferiori ed un breve test cognitivo potrebbero essere sufficienti, nell’ultimo la valutazione è soprattutto sul livello di disabilità, necessità di assistenza infermieristica continua e disponibilità di una rete assistenziale informale. Chiarire gli strumenti utili alla valutazione in ciascuno di questi scenari è l’obiettivo primario di questo studio e dovrà essere basato sull’esame della letteratura e sulla esperienza dei soggetti aderenti al gruppo di lavoro. Appare chiaro tuttavia che l’attuale Medico di Medicina Generale non ha ricevuto nel corso della sua formazione gli elementi che gli permettano di svolgere questo ruolo in maniera efficace. Il problema della 14 formazione è quindi centrale e preliminare a qualsiasi tentativo di implementazione di procedure che regolino il funzionamento della rete dei servizi per gli anziani. In questa formazione un ruolo preminente dovrebbe avere l’interazione con il geriatra e in generale con le problematiche dell’invecchiamento, anche a livello epidemiologico e di programmazione sanitaria. La valutazione di qualità delle linee guida Una volta caratterizzato seppure in via ipotetica il funzionamento di ciascun nodo della rete, questa documentazione dovrà essere sintetizzata in un ipotesi di linee guida per la gestione del paziente anziano fragile nella rete dei servizi. La validità di questo documento sarà preliminarmente verificata in termini di “face validity” inviando il documento ad una serie di esperti e chiedendo loro di fornire la loro opinione sulla correttezza dell’approccio utilizzato ed eventualmente proporre aggiunte, tagli o modifiche. Dopo questa fase verrà messo a punto un strumento finale da sottoporre alla valutazione di un elevato numero di operatori mediante un questionario dedicato. A questo scopo, per ciascuno degli elementi proposti per la valutazione nei vari setting (chi esegue la valutazione e chi partecipa alla sua interpretazione, inclusi l’attivazione delle consulenze, quali strumenti vengono utilizzati per la valutazione, sulla base di quali elementi stabilire l’outcome della valutazione) si chiederà di valutare l’adeguatezza di questa scelta, la fattibilità di questo approccio, l’importanza di questo elemento in una scala tra 1 e 5. Si prevede di inviare il questionario ad almeno 1000 operatori di diverse professionalità. L’analisi del questionario consisterà da una lato nella identificazione delle aree più critiche in cui i giudizi sono discrepanti e dall’altro da una valutazione delle differenti opinioni degli osservatori in rapporto alla loro ruolo professionale ed alla loro esperienza di lavoro. Questi elementi saranno utilizzati per giungere ad una versione finale delle linee guida, da utilizzare successivamente in uno studio pilota che valuti l’applicabilità pratica delle istanze contenute. Infine, il Gruppo di Lavoro esaminerà le opportunità e le sedi dove svolgere la sperimentazione applicativa della linea guida e stenderà un protocollo di sperimentazione, da presentarsi eventualmente in una fase successiva come nuovo progetto di Ricerca Sanitaria al Ministero della Sanità. Questo protocollo conterrà specifiche indicazioni sulla metodologia che si intende utilizzare per verificare la effettiva aderenza alle indicazioni fornite nelle linee guida. Conclusioni Il progetto descritto in questa relazione è iniziato da pochi mesi. Nel corso della stesura teorica del progetto, l’obiettivo che ci eravamo proposti appariva di semplice e rapida realizzazione. Come ci si poteva aspettare, già nei primi mesi di lavoro ci siamo resi conto come circoscrivere una letteratura complessa come quella sull’anziano fragile in una serie di regole di comportamento gestionale e 15 clinico sia una operazione complessa e irta di ostacoli. Tuttavia, la necessità di mettere nero su bianco alcune idee che sono scaturite nella discussione del team di ricerca ci ha fornito gli spunti necessari a progredire. La stesura di linee guida per lo screening della fragilità nel soggetto anziano è resa urgente anche dalla recente pubblicazione della legge Bindi di Riordino del SSN. La definizione nosologica di malattia è la pietra miliare su cui si è fondata fino ad oggi la architettura del SSN, la scelta della sua organizzazione strutturale, l’articolazione tra i livelli di assistenza, l’eleggibilità a certi servizi e prestazioni. Questa concetto è rimarcato, se pure indirettamente, nella riforma secondo cui “Il Servizio Sanitario Nazionale assicura i livelli essenziali ed uniformi di assistenza definiti dal Piano Sanitario Nazionale . . .”. Centrale alla nostra discussione è la parte successiva della legge in cui di precisa che “sono escluse . . . le prestazioni sanitarie che: a) non rispondono a necessità assistenziali tutelate dal SSN; b) non soddisfano il principio dell’efficacia e della appropriatezza, ovvero la cui efficacia non è dimostrabile in base alle evidenze scientifiche disponibili o sono utilizzate per soggetti le cui condizioni cliniche non corrispondono alle indicazioni raccomandate”. Molte indicazioni della letteratura suggeriscono che nella cura degli anziani è vincente un approccio globale multidimensionale. Tuttavia l’evidenza formale di questo principio è ancora limitata, soprattutto se si utilizzano in maniera ristretta i criteri della Medicina Basata sull’Evidenza. Sta di fatto che l’evidenza che il soggetto fragile richiede un trattamento diverso e più oneroso ma che questo tipo di trattamento è “cost-effective” è ancora incerta. Sulla base di queste argomentazioni, l’approccio multidimensionale geriatrico al paziente anziano rientra tra “i livelli essenziali di assistenza”? Infine è importante sottolineare che la disponibilità di linee guida pur accurate e di buona qualità non è verosimilmente molto utile se parallelamente non si migliora la formazione degli operatori che devono utilizzarle. In alcuni casi si tratta di figure professionali che già operano da tempo nel sistema sanitario e che necessitano di una formazione per acquisire le conoscenze e le metodologie necessarie a fronteggiare le nuove esigenze che l’invecchiamento della popolazione presenta. In altri casi si tratta di figure professionali nuove, almeno per quanto riguarda il SSN Italiano, per le quali è necessario creare ex novo un percorso di formazione e di verifica. 16 Figura 1. Schema dei nodi della rete e delle possibili transizioni tra i nodi. Medicina Generale Territoriale 1 2 Degenza Sub-acuta Ospedale per Acuti 6 7 5 RSA UVG 10 9 4 8 3 ADI 17 Bibliografia 1) MINISTERO DELLA SANITÀ: Piano Sanitario Nazionale 1998-2000. Roma 1998. 2) INOUYE S.K., SCHLESINGER M.J., LYDON T.J.: Delirium: a symptom of how hospital care is failing older persons and a window to improve quality of hospital care. Am J Med, 106, 565, 1999. 3) BERLOWITZ D.R., BRAND H.K., PERKINS C.: Geriatric syndromes as outcomes measures of hospital care: can administrative data be used? J Am Geriatr Soc, 47, 692, 1999. 4) INOUYE S.K., BOGARDUS S.T., CARPENTIER P.A., LEO-SUMMERS L., ACAMPORA D., HOLFORD T.R., COONEY L.M.JR.: A multicomponent intervention to prevent delirium in hospitalized older patients. N Engl J Med, 340, 669, 1999. 5) KAVANAGH S., KNAPP M.: The impact on general practitioners of the changing balance of care for elderly people living in institutions. BMJ, 317, 322, 1998. 6) ABATE G.: Assistenza Domiciliare Integrata (ADI). Indagine conoscitiva sulla situazione nazionale. C.N.R., Roma 1995. 7) ANTONELLI INCALZI R., GEMMA A., CAPPARELLA O., BERNABEI R., SANGUINETTI C., CARBONIN P.U.: Continuous geriatric care in orthopedic wards: a valuable alternative to orthogeriatric units. Aging Clin Exp Res, 5, 207, 1993. 8) FRIED L.P.: Conference on the physiologic basis of frailty. Aging, 4, 251, 1992. 9) MEERDING W.J., POLDER J., BONNEUX L., KOOPMANSCHAP M., VAN DER MAAS P.: Health-care costs of ageing. Lancet, 351, 140, 1998. 10) BERNABEI R., LANDI F., GAMBASSI G., SGADARI A., ZUCCALÀ G., MOR V., RUBENSTEIN L.Z., CARBONIN P.: Randomised trial of impact of model of integrated care and case management for older people living in the community. BMJ, 316, 1348, 1999. 11) FERRUCCI L., GURALNIK J.M., PAHOR M., CORTI M.C., HAVLIK R.J.: Hospital diagnosis, medical charges, and nursing home admissions in the year when older persons become severely disabled. JAMA, 277, 728, 1997. 12) CORTI M.C., GURALNIK J.M., SALIVE M.E., SORKIN J.D.: Serum albumin level and physical disability as predictors of mortality in older persons. JAMA, 272, 1036, 1994. 13) FRISONI G.B., FRANZONI S., ROZZINI R., FERRUCCI L., BOFFELLI S., TRABUCCHI M.: Food intake and mortality in the frail elderly. J Gerontol Med Sci 50, M203, 1995. 14) BERKMAN L.F., BERKMAN C.S., KASL S., FREEMAN D.H.J., LEO L., OSTFELD A.M., CORNONI-HUNTLEY J., BRODY J.A.: Depressive symptoms in relation to physical health and functioning in the elderly. Am J Epidemiol, 124, 372, 1986. 18 15) BERKMAN L.F.: The assessment of social networks and social support in the elderly. J Am Geriatr Soc, 31, 743, 1983. 16) APPLEGATE W.B., BLASS J.P., WILLIAMS T.F.: Instruments for the functional assessment of older patients. N Engl J Med, 322, 1207, 1990. 17) RUBENSTEIN L.Z., JOSEPHSON K.R., WIELAND G.D., ENGLISH P.A., SAYRE J.A., KANE R.L.: Effectiveness of a geriatric evaluation unit: a randomized clinical trial. N Engl J Med, 311, 1664, 1984. 18) STUCK A.E., SIU A.L., WIELAND G.D., ADAMS J., RUBENSTEIN L.Z.: Comprehensive geriatric assessment: a meta-analysis of controlled trials. Lancet, 342, 1032, 1993.