La responsabilità dei soggetti “estranei”

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La responsabilità dei soggetti “estranei” alla struttura sociale con
particolare riguardo alle figure del commercialista, dei revisori, dei
sindaci e dei consiglieri non esecutivi.
a) Premessa.
E’ pregiudiziale al tema la definizione di ‘soggetti estranei alla struttura
sociale’, perplessità che può sorgere riscontrando nel novero tipiche
espressioni dell’organizzazione societaria, come gli amministratori non
esecutivi, i sindaci, ecc.
Ritengo, quindi, che l’estraneità debba essere parametrata sulla funzione
tipicamente gestoria, che è il cuore propulsivo dell’azione dell’organismo e
che, modella una prospettiva di riflessione più ampia e, forse, più interessante.
b) La posizione di garanzia in capo ai soggetti del reato di
bancarotta. Linee generali.
I reati previsti dal codice civile e dalla legge fallimentare sono nella
massima parte a “soggettività propria” (fanno eccezione, per il novero delle
fattispecie societarie, l’art. 2623, 2636, 2637 cod. civ. e, per la legge
fallimentare, l’art. 232 e 236 l. fall.), condotte che sono disegnate dal
legislatore penale non per “chiunque”, bensì per quanti possiedono una certa
qualifica pre-determinata (amministratore, direttore generale, sindaco,
liquidatore, dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili,
responsabile della revisione, socio conferente; imprenditore, institore,
curatore, coadiutore, ecc.) per la quale il codice civile o la legge fallimentare
dispiegano specifica disciplina. Pertanto, la carenza della specifica qualifica
dettata dalla fattispecie di bancarotta impedisce il sorgere della penale
responsabilità, salvo che per altro eventuale titolo, ovvero, salvo che per la
fattispecie concorsuale dell’art. 110 c.p., ovvero per il caso del cd. “soggetto
di fatto”. La configurazione della responsabilità di questi soggetti ‘propri’ per ciò che concerne l’organismo societario - è racchiusa nelle norme del
codice civile (o disposizioni sulla disciplina concorsuale) a cui,
implicitamente, la legge fallimentare rinvia nell’evocare le qualifiche
societarie di ciascuno di costoro, per gli altri (es. curatore, commissario,
liquidatore, ecc.) dalla legge fallimentare o da statuti ed asse comparabili: le
mansioni, la tutela connessa al ruolo di questi esponenti societari e la
correlativa responsabilità verso i creditori sono pur essi capitoli della
normativa civilistica e fallimentare.
Si è soliti affermare che l’obbligo gravante su costoro deriva dalla
‘posizione di garanzia’ che essi assumono nell’accettare la carica societaria o
di impresa. Affermazione che sottende la loro penale responsabilità per ogni
illecito - per quanto qui interessa - a sfondo volontario, in caso di mancata
adozione dei provvedimenti impeditivi dell’evento dannoso, ai sensi dell’art.
40, 2º comma, c.p., con immediato richiamo all’art. 40 cpv. c.p., norma che
funge da nesso di causalità giuridica tra la condotta omissiva e l’evento.
1
Nei reati fallimentari la “posizione di garanzia” si pone a tutela degli
interessi creditorî 1.
Se più sono i titolari della posizione di garanzia ciascuno è, per intero,
destinatario dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, con la conseguenza
che, se è possibile che determinati interventi siano eseguiti anche da uno solo
dei garanti, la verificazione dell’evento pregiudizievole grava su tutti gli altri
2
.
Non sfugge che l’applicazione del principio di cui all’art. 40 cpv. c.p. é
delicata e complessa: essa si svolge su un piano del tutto ipotetico
(“controfattuale”) e fondato su parametri probabilistici (il giudice é tenuto ad
accertare che, se l’azione doverosa omessa fosse stata realizzata, si sarebbe
impedita la verificazione dell’evento di reato, quando il nesso tra omissione ed
evento non sia interrotto da cause estrinseche del tutto anomale ed eccezionali
che si collochino al di fuori della normale, ragionevole prevedibilità).
La premessa - l“obbligo giuridico” - é rappresentata da norma espressa,
ovvero consuetudinaria relativa alla disciplina dell’attività sindacale, ma la
giurisprudenza 3 vi annovera anche le disposizioni convenzionali vigenti, o da
regolamenti interni all’organismo, dalle disposizioni impartite da organi di
vigilanza come CONSOB o BANCA d’Italia, ecc.
La norma dettata dall’art. 40 cpv. cod. pen. è disposizione preposta a regolare
il nesso di causalità tra azione/omissione ed evento: la regola generale che
postula la rappresentazione e volizione dell’evento non subisce deroga, in
assenza di espressa indicazione normativa. Ma la lettura giudiziale ammette la
ricorrenza del fatto di rilevanza penale anche quando la conoscenza
dell’evento non sia piena, ma presupposta o richiamata da inequivoci segnali
(il cui significato è affidato alla professionalità del soggetto) 4.
Diverso è il caso di delega di funzioni, nell’esercizio di un’attività di
impresa: essa - se validamente (anche nella forma 5) rilasciata a soggetto
dotato di competenza, a persona tecnicamente capace dotata delle necessarie
cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento 6 - esonera il
1
In dottrina, L. BAIMA BOLLONE, La delega di funzioni e il problema dei soggetti responsabili nel
diritto penale dell’impresa, Reati societari a cura di A. ROSSI, Utet, 2005, pag.103 e ss.; CADOPPI, Il
reato omissivo proprio, Padova, 1988, 773; A. ROSSI, La responsabilità penale dei componenti degli
organi di amministrazione e di controllo, in I reati societari, cit., pag. 66 e ss., soprattutto 71/72;
PEDRAZZI SGUBBI, Commentario, cit., 265, ecc.
2
Giurisprudenza costante, da ultimo Cass., Sez. IV, 28.4.2005, Poli, Rv. 232416).
3 Cfr. ad es. Cass., Sez. 6, 21 maggio 1998, in Cass. pen., 2000, 40 : (C.p. art. 40). “In tema di reati
omissivi il fondamento della responsabilità è correlato all’esistenza di \un dovere giuridico di attivarsi
per impedire che l’evento temuto si verifichi. Il titolare di quest’obbligo versa in posizione di garanzia,
le cui componenti essenziali costitutive sono: da un lato, una fonte normativa di diritto privato o
pubblico, anche non scritta, o una situazione di fatto per precedente condotta illegittima, che costituisca
il dovere di intervento; dall’altro lato, la esistenza di un potere (giuridico, ma anche di fatto) attraverso
il corretto uso del quale il soggetto garante sia in grado, attivandosi, di impedire l’evento.”
4
Per es. è ragionevole ritenere che il sindaco apprezzi l’illogicità dell’iscrizione della voce “cassa” in
negativo, e tanto deve sollecitare il dissenso del Collegio sindacale, nell’esame della bozza di bilancio
5
si ritiene inidoneo il conferimento in forma orale, Cass. pen., sez. III, 19 gennaio 2011, rv. 249536.
6
Cass. pen., sez. IV, 8 maggio 2007, Checconi e, più precisamente, “per attribuirsi rilevanza penale
all’istituto della delega di funzioni, è necessaria la compresenza di precisi requisiti: a) la delega deve
essere puntuale ed espressa, con esclusione in capo al delegante di poteri residuali di tipo discrezionale;
b) il delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per lo svolgimento del
compito affidatogli; c) il trasferimento delle funzioni delegate deve essere giustificato in base alle
dimensioni dell’impresa o quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa; d) la delega deve
riguardare non solo le funzioni ma anche i correlativi poteri decisionali e di spesa; e) l’esistenza della
delega deve essere giudizialmente provata in modo certo (fattispecie nella quale la corte ha considerato
inefficace l’atto di delega conferito ad un proprio dipendente dall’imputato, titolare di un impianto di
2
titolare dalle responsabilità penali connesse alla correlata posizione di
garanzia. Si è, peraltro, affermato che la delega è istituto che può valere solo
all’interno dell’impresa (per es. in materia di sicurezza dei lavoratori e degli
ambienti di lavoro dell’azienda), non certamente in relazione a fatti esterni,
perché il datore di lavoro non può trasferire ad altri (il delegato) la
responsabilità che egli ha nei confronti di terzi diversi dai propri dipendenti,
diversamente si consentirebbe di sottrarsi per via negoziale agli obblighi di
garanzia nascenti dall’art. 40 c.p., intaccando in tal modo il principio di
inderogabilità del precetto penale 7.
Per quanto attiene alla delega in seno al Consiglio di amministrazione v. infra.
La riflessione sulla posizione di garanzia merita un qualche maggiore
scandaglio.
La garanzia, infatti, non discende meccanicamente dalla carica assunta dal
soggetto, bensì dal tessuto delle norme che la regolano.
Essa configura – nel contesto della distribuzione dei compiti in seno
all’impresa – una relazione peculiare con la funzione di questi soggetti. In
altre parole, si risolve in uno specifico affidamento degli interessi sottesi alla
gestione dell’organismo societario. Cioè in una già tipicizzata tutela del
relativo bene giuridico di ciascun soggetto coinvolto dalla gestione
dell’impresa 8. Al contempo, non vi è dubbio che questa tipicizzazione
presiede, anche alla protezione della buona fede dei terzi (soprattutto nel
contesto della insolvenza) nel solco del principio della “effettività” 9.
La riforma in materia di Consiglio di amministrazione, organo
collegiale ha, per un verso, nettamente distinto e maggiormente tipicizzato le
funzioni di amministratore delegato dal ruolo di chi è privo di delega, e,
d’altro canto, ha alleggerito la responsabilità di questi ultimi.
Se da un lato l’art. 2392 cod. civ. non contempla più l’obbligo di vigilare sul
generale andamento della gestione, d’altra parte insiste – quale canone
informatore sull’organizzazione interna al consiglio di amministrazione – sul
principio dell’”agire in modo informato” (art. 2381 u.c. cod. civ.), con il
corollario per cui gli amministratori non operativi hanno il dovere (essi “sono
tenuti ad agire in modo informato”) di richiedere le informazioni relative alla
gestione societaria (essendo onere del presidente del consiglio di
amministrazione di provvedere affinché dette informazioni vengano fornite a
tutti i consiglieri, art. 2381 co. 1 cod. civ.), norma che riduce sensibilmente la
responsabilità degli amministratori deleganti 10.
produzione di rifiuti speciali non pericolosi, in quanto mancante dei predetti requisiti)” Cass., sez. III, 7
novembre 2007, Girolimetto, Rv. 238980. Ed, ancora, “In tema di bancarotta fraudolenta documentale
l'imprenditore e - nel caso di bancarotta cosiddetta impropria - gli amministratori, i direttori generali, i
sindaci e i liquidatori, non vanno esenti da responsabilità per il fatto che la contabilità sia stata affidata
ad un soggetto fornito di specifiche cognizioni tecniche (commercialista), dovendosi logicamente
presumere che la contabilità stessa sia stata redatta secondo le indicazioni date dai predetti soggetti,
che restano, perciò, sempre responsabili della tenuta di una regolare e veritiera contabilità”, Cass. Sez.
V, 15 dicembre 1993, Decenvirale, Rv. 197268.
7
cfr. Cass. pen., sez. IV, 27 settembre 2010, n. 34774
8
Cfr. L. BAIMA BOLLONE, La delega di funzioni, cit. 103 e ss.; CADOPPI, Il reato omissivo proprio,
Padova, 1988, 773)
9
Cfr. Per es. Cass., Sez. V, 4 giugno 1998, Platania, CED Cass. 211447, in Cass. pen., 2001, 1622
10
Osservazione che vale anche per il diritto penale, considerando che la delega – in quanto prevista dal
legislatore – consente di trasferire la posizione di garanzia al soggetto delegato. Ove, invece, detto
trasferimento non sia legittimo (nei casi di indelegabilità delle funzioni) l’originaria posizione di tutela
non viene meno rispetto a quella rivestita dal delegato. Cfr. al riguardo, in linea generale, GRASSO.
3
In questo senso, il delegato viene a rispondere quale soggetto diretto
destinatario della norma incriminatrice penale. Mentre, la prova della
responsabilità per omissione colpevole del consigliere non operativo modulata sullo schema dell’art. 40 cpv. c.p. - non potrà che riscontrare una
previa sufficiente notizia dell’evento che l’amministratore ha obbligo giuridico
di evitare, notizia che - secondo la fisiologia - discende dai canali informativi
tipicizzati, essendo chiaro – tuttavia – che, a mente dell’art. 2392 co 2 cod.
civ., permane la responsabilità del consigliere delegante che abbia aliunde
appreso di fatti pregiudizievoli verso cui non ha esplicato adeguata azione
volta ad impedirne l’avveramento o abbia formalizzato il proprio dissenso ex
art. 2392 co. 3 cod. civ.
Accertamento - si ribadisce - che deve esser svolto nei rigorosi termini di una
rappresentazione compatibile con l’elemento volontario della fattispecie a cui
è connessa l’omissione, non potendo il giudizio scivolare su profili di mera
negligenza o imperizia che sono tipici della colpa 11, così – tra l’altro –
frustrando la funzione dell’istituto della delega gestoria espressamente voluto
dal legislatore della riforma 12.
Da quanto sopra detto va esclusa ogni profilo di responsabilità oggettiva o da
appartenenza all’organo. 13
Pertanto - seguendo la lettura della SC. - ai fini dell’adozione di una
misura cautelare personale nei confronti del sindaco di una società per il reato
di bancarotta fraudolenta, la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non
può essere desunta solo dalla sua posizione di garanzia e dal mancato esercizio
dei relativi doveri di controllo, ma postula l’esistenza di elementi, dotati del
necessario spessore indiziario, sintomatici della partecipazione, in qualsiasi
modo, all’attività del soggetto, ‘proprio’, ovvero dell’effettiva incidenza
causale dell’omesso esercizio dei doveri di controllo rispetto alla commissione
del reato da parte dell’amministratore 14. Non solo: la pluralità di organi e la
pluralità i soggetti all’interno di un medesimo ente (consiglio di
amministrazione, collegio sindacale, organi introdotti dalla riforma societaria)
o al succedersi delle nomine nel tempo, obbliga il giudice ad un accertamento
rigoroso delle responsabilità pertinenti all’azione di ciascun soggetto. In tal
senso, la verifica giudiziale deve superare ogni presunzione formalistica: è di
grande rilievo al riguardo la decisione per cui, in tema di bancarotta
fraudolenta patrimoniale, è illegittima l’affermazione della responsabilità
dell’amministratore fondata esclusivamente sul mancato rinvenimento all’atto della redazione dell’inventario da parte del curatore - di dati beni di cui
Organizzazione aziendale e responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento, Archivio pen.,
1982, 752.
11
Cfr. al proposito Cass., Sez. V, 4 maggio 2007, PM in proc. Amato ed altri, Rv 237251. Pertanto, per
ciò che riguarda i sindaci l’informazione è garantita (in via meramente astratta) dall’art. 2405, che
obbliga i sindaci ad assistere alle adunanze del Consiglio di amministrazione, alle assemblee ed alle
riunioni del comitato esecutivo, con sanzione di decadenza più ampia che in passato, nel caso di assenza
ingiustificata; alle assemblee degli obbligazionisti (art. 2415 uc.). L’inottemperanza é prodromica alla
possibile ignoranza del fatto ma essa pone il sindaco nell’area della responsabilità. Circostanza che in sé
non é ancora sufficiente a radicare la prova nei suoi confronti, salvo che non sia dimostrato che egli
conoscesse l’oggetto della delibera e la sua illiceità (sì da dar vita ad un’actio libera in causa).
12
Cfr. anche le osservazioni, in linea generale, di BAIMA BOLLONE, La delega, cit., pag. 125.
13
Si ricorda, al contempo, che le ipotesi di bancarotta impropria semplice (sia per quanto attiene alla
violazione ai doveri di corretta tenuta della contabilità societaria o all’aggravamento del dissesto per
l’inosservanza di obblighi imposti dalla legge) sono qualificate, secondo costante giurisprudenza da
responsabilità anche colposa.
14
Cass. pen., sez. V, 5 febbraio 2010, n. 15360, Tacconi, Rv. 246956.
4
la società abbia avuto il possesso in epoca anteriore e prossima al fallimento,
qualora sia subentrato un nuovo amministratore con estromissione del
precedente dalla gestione dell’impresa, considerato che, in tal caso, la
responsabilità dell’amministratore cessato può essere affermata solo a
condizione che risulti dimostrata la collocazione cronologica degli atti di
distrazione nel corso della sua gestione o l’esistenza di un accordo con
l’amministratore subentrato per il compimento di tali atti 15.
La giurisprudenza, al proposito, ha affermato l’irrilevanza
dell’ignoranza della legge regolatrice delle mansioni, opposta da taluno dei
soggetti societari, trattandosi di attività in uno specifico settore rispetto alla
quale ha il soggetto ha il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa
esistente 16.
La posizione di garanzia, per condurre all’affermazione di penale
responsabilità postula – alla luce dell’art. 40 cpv. c.p. - due condizioni: che il
soggetto sia informato del rischio (eppertanto, a maggiore ragione, del fatto
che lo scatena) e che egli sia dotato di strumenti capaci di impedire l’evento
pregiudizievole. In particolare, con riguardo a questo secondo profilo, occorre
che il giudice, che afferma la responsabilità dell’imputato, dia contezza della
ricorrenza di queste condizioni. Infatti, la causalità omissiva ha natura
normativa e non naturalistica e non potrebbe qualificarsi come ‘posizione di
garanzia’ quella che annovera soltanto un obbligo di vigilanza, senza che il
dovere sia accompagnato da effettivi poteri impeditivi, tali da consentire al
soggetto di evitare il verificarsi dell'evento.
Si tratta di un profilo di esigibilità della condotta essenziale per consentire
l’imputazione di responsabilità penale 17.
Questi poteri impeditivi non sono indicati dal precetto legislativo, che si
limita a tratteggiare la trama del nesso causale nei casi di omissione colpevole.
Essi possono anche essere di portata indiretta ed anche di mera natura
sollecitatoria 18. Il loro accertamento si modula sulle situazioni concrete in cui
si svolge la condotta censurata. Ma, poiché, dunque, la norma non restringe in
alcun modo la categoria degli atti che abbiano la possibilità di influenzare il
corso degli eventi, la loro valutazione è rimessa al giudice, che deve rinvenire
la relativa esistenza nella dotazione disponibile al soggetto attivo. Tuttavia, in
via astratta e generale, risulta evidente che la scelta non può ricadere su
comportamenti in sé antigiuridici e deve restringersi ad un comportamento
alternativo lecito 19.
Ovviamente, l’area interessata è quella più prossima all’attività
professionalmente esercitata da costui, ma nulla vieta di ipotizzare rimedi
diversi contrassegnati da efficacia impeditiva (per esempio, una adeguata
informazione resa ai terzi in via preventiva), non necessariamente la denuncia
penale, per esempio, nella società per azioni risulta adeguata la denuncia ex
art. 2409 cod. civ.
15
Cass. pen., sez. V, 7 giugno 2006, Vianello, in Riv. trim. dir. pen. economia, 2007, 1002.
Cass., sez. V, 26 febbraio 2008, Ciccone, Rv. 240440; Cass., Sez. III, 16 gennaio 1996, Lombardi, in
Cass. pen., 1997, 1724; Cass. Sez. III, 15 aprile 2004, Ferri, Rv. 229228, ecc.
17
cfr. per es. Cass. Sez. 5, 18 febbraio 2010, Cassa di Risparmio di Rieti, Rv. 247316.
18
cfr. Cass., Sez. 4, 11 marzo 2010, PG. in proc. Catalano, Rv. 247015, in motivazione.
19
cfr. Cass., Sez. 4, 11 marzo 2010, cit.
16
5
Connotato ricorrente, in questo scrutinio, è quello che postula - nei casi
di reati contrassegnati da volontarietà - il dolo eventuale, cioè una
rappresentazione del fatto pregiudizievole per l’organismo, acquisita la quale
il soggetto – così consapevole del rischio dell’accadimento – perseveri nella
sua omissione.
Ma si ritiene sufficiente, ai fini della prova della
consapevolezza, la dimostrazione non già una effettiva percezione dell’evento
pregiudizievole, bensì soltanto di ‘segnali di allarme’, evocativi, secondo
ragionevolezza, dell’evento danno. Segnali, ovviamente, ‘perspicui’ che
possano allertare il soggetto (che di regola, è professionalmente qualificato).
Dunque, non già la perfetta rappresentazione del fatto, incerto e futuro, ma
presagio (acquisito per tramiti non tipicizzati dal legislatore, cfr. art. 2392 co.
3, norma non modificata dalla riforma), di un concreto e ragionevolmente
(secondo la dotazione di professionalità pretesa - come si è detto - dal nostro
sistema) rapportabile, all’incombenza dell’evento dannoso. Davanti ad essi la
posizione di garanzia del soggetto deve imporre un’attivazione volta ad
impedire il fatto presagito.
In questo passaggio è agevole rinvenire una forte prossimità allo scrutinio
proprio del fatto colposo: al riguardo è indispensabile la ricerca dell’effettiva
volontarietà (nei termini accennati) e non limitarsi a censurare la violazione ai
doveri di attenzione.
Percezione che determina il dovere impeditivo. 20, secondo l’indirizzo
affermatosi nella lettura del diritto penale societario e fallimentare 21.
c) Le funzioni esercitate ‘di fatto’ e l’’amministratore indipendente’.
Il fondamento giuridico della ‘posizione di garanzia’ discende dalla
responsabilità verso i creditori per le obbligazioni di impresa, e - per la
bancarotta societaria - nel sistema dettato dagli art. 2392 cod. civ. e ss.
tenendo presente che l’evento giuridico, perseguito dalla legge fallimentare, è
l’indebita (o ingiustificabile) riduzione del patrimonio della società.
Ma occorre individuare il soggetto a cui riferire la menzionata
posizione al di là del mero nomen juris, è ormai consolidato orientamento
20
Non deve sottacersi che esiste una posizione della giurisprudenza, meno sensibile alla definizione
volontaria. La quale si accontenta di dar soltanto conto del dovere connesso alla funzione rivestita. Per
es. quella che ha affermato come ‘la responsabilità dell'amministratore unico della società in ordine al
reato di bancarotta fraudolenta documentale effettivamente commesso da altri, non può essere fondata
sull'inosservanza dei doveri di vigilanza impostigli dalla posizione di garanzia rivestita ai sensi dell'art.
2392 cod. civ., quando la stessa non sia preordinata a rendere possibile la commissione di reati, detta
inosservanza può rilevare infatti esclusivamente quando si tratti di reati punibili a titolo di colpa’ Cass.
Sez. V, 26 ottobre 2006, Zeni, Riv. 236042
21
In altri termini si pretende la doverosa dimostrazione della rappresentazione dell’evento
pregiudizievole, desunta non soltanto dalla diretta conoscenza del fatto futuro o, comunque, incerto, ma
anche dalla segnalazione che possa derivare dalla presenza di E così, a far data da Cass., sez. V, 4
maggio 2007, PM. c/Amato, Rv. 237251, con nota di M. MARCHIORI, Dovere di controllo, obblighi di
informazione conseguenze per gli amministratori non delegati: quale nesso?, in Impresa, 2007, 1661;
nonché di BRICCHETTI, Un obbligo di garanzia "leggero" che pone numerosi interrogativi, in Guida
dir., 2007, fasc. 35, 71, SACCHI, Amministratori deleganti e dovere di agire in modo informato, in Giur.
Comm., 2008, 369; PULITANO’, Amministratori non operativi ed omesso impedimento di delitti
commessi da altri amministratori, in Le Società, 2008, 902, ecc.) A detto arresto è seguito cfr. Cass.,
Sez. V, 5 novembre 2008, Ferlatti, Riv. 241852, con nota di CERQUA, La posizione di garanzia degli
amministratori: brevi riflessioni, in Le società, 2009, 1305; Cass., 10 febbraio 2009, Cacioppo, riv.
243023 con nota di MERENDA, Sulla responsabilità penale dell'amministratore senza delega. Alcune
considerazioni dopo la riforma del diritto societario, in Cass. Pen., 2011, 1181.
6
giurisprudenziale (cd. “funzionalistico”), formatosi soprattutto in tema di reati
fallimentari (anche se più recente della linea interpretativa dianzi tratteggiata e
non indifferente alla novità dettata dall’art. 2639 cod. civ.) l’individuare il
diretto destinatario delle fattispecie penali in colui il quale — all’interno di
una società — svolga in concreto le funzioni di amministrazione, direzione e
controllo, pur in mancanza di una formale qualifica, che sia valida ed efficace
in base alle norme civilistiche.
Il paradigma da cui trarre il giudizio di equiparazione tra soggetto “di
fatto” e soggetto testualmente individuato dalla norma penale è, quindi,
l’attività da questi effettivamente svolta. Soltanto se questa condotta possa
rapportarsi agli indici propri della gestione, della vigilanza, della direzione,
della liquidazione, ecc. potrà concludersi per la possibilità dell’equiparazione:
tanto soddisfa le esigenze di tutela degli interessi connessi alla devianza nella
gestione di impresa e, quindi, la corrispondente lesione dell’interesse
penalmente tutelato 22.
Seguendo una consolidata giurisprudenza 23, il soggetto che assume, in
base alla disciplina dettata dall'art. 2639 cod. civ., la qualifica di
amministratore "di fatto" di una società è da ritenere gravato dell'intera gamma
dei doveri cui è soggetto l'amministratore "di diritto", per cui, ove concorrano
le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, è penalmente responsabile
per tutti i comportamenti a quest'ultimo addebitabili, anche nel caso di
colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione
della regola dettata dall'art. 40, comma secondo, cod. pen.
Essenziale è la verifica dell’esercizio di poteri in via di continuità
(dunque un arco apprezzabile temprale di esercizio del potere/funzione, con
modalità non sporadica o occasionale) e significatività (apporto di rilievo,
rispetto alla funzione gestoria, con esclusione di contributi marginali e del
tutto fungibili). In mancanza dei requisiti di continuità e significatività, è
sempre possibile (ricorrendo gli altri presupposti propri del concorso di
persone nel reato) ravvisare la condotta rilevante ex art. 110 c.p.
Nella fattispecie dell’art. 2639 cod. civ., i soggetti sono chiamati a rispondere
non già quali “extranei”, bensì quali destinatari diretti del precetto penale 24 .
Ciascuno di essi viene a parificarsi a quanti siano formalmente investiti delle
qualifiche ed assume - per volere dell’espressa estensione normativa - in via
22
Cfr. DI AMATO, Diritto penale dell’impresa, Giuffré, 2003, 86 e ss. Cass., Sez. V, 13.4.2006, Binda,
Rv. 254428.
23
cfr. da ultimo Sez. 5, 20 maggio 2011, Assello, Rv. 250844; Sez. 5, 2 marzo 2011, Guadagnoli,
24
Tra gli altri, in dottrina, VENEZIANI, art. 2639 cod. civ., in I reati societari, a cura di
LANZI/CADOPPI, Cedam, 2007, 298 e ss.
24
Espressamente in giurisprudenza: ’Il soggetto che assume, in base alla disciplina dettata dall'art. 2639
cod. civ., la qualifica di amministratore "di fatto" di una società è da ritenere gravato dell'intera gamma
dei doveri cui è soggetto l'amministratore "di diritto", per cui, ove concorrano le altre condizioni di
ordine oggettivo e soggettivo, è penalmente responsabile per tutti i comportamenti a quest'ultimo
addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in
applicazione della regola dettata dall'art. 40, comma secondo, cod. pen. (Fattispecie in tema di
bancarotta fraudolenta per distrazione)’, Cass., Sez. V, 2 marzo 2011, Guadagnoli, Rv. 250094. In
dottrina sull’argomento, VENEZIANI, art. 2639, cit., 192.
7
generale le correlative responsabilità. L’esercizio dei poteri tipici non
sottende l’espressione di tutti i poteri, ma anche soltanto di alcuno di essi. 25
Difficile è la valutazione dei membri del Consiglio di amministrazione
non esecutivi (e sfornito di deleghe) ovvero degli amministratori
‘indipendenti’.
Premesso che il nuovo sistema societario ha mantenuto aree di
gestione e di attribuzione che, per la loro rilevanza, non possono formare
oggetto di delega e che, conseguentemente, restano nel perimetro della
funzione propria di tutti i consiglieri, tra esse (art. 2381 co. 4) è annoverata
l’informazione di bilancio e l’emissione di prestiti obbligazionari di cui
all’art. 2420 ter cod. civ., è oggi configurato il diritto del singolo
amministratore di richiedere informazioni, potere che – all’evidenza – sottende
il dovere di sorveglianza sull’operato degli altri amministratori sul generale
andamento della società (con espresso richiamo (art. 2381 co. 3) ai piani
industriali e finanziari della stessa. Tanto concreta l’obbligo di vigilanza
(supposto dall’agire informati), da modularsi con la diligenza richiesta dalla
natura dell’incarico (art. 2392 co. 1), e non – quindi – secondo il consueto
criterio dell’’uomo medio’, secondo i referenti di questa responsabilità
contrattuale (verso la società).
Non si riscontra, al proposito, differenza tra amministratore con delega ed
amministratore privo di delega. 26
L’’amministratore indipendente’, imposto nel cd. modello monistico,
dall’art. 2409 septesdecies (ma già presente in una diffusa prassi societaria che
contemplava apposite clausole statutarie al riguardo), è amministratore privo
di funzioni esecutive e proiettato ad una autonomia di giudizio (requisito che
consente nel sistema anglosassone di privarsi dell’organo di sorveglianza), ma
qualificato da specifici requisiti di eleggibilità contrassegnati da terzietà
rispetto agli amministratori ordinari. Sicché per costui è accentuata (nei voti
del legislatore) la funzione di controllo sull’amministrazione.
Questi è un soggetto pur sempre collocato dall’ordinamento nella posizione di
garanzia, a protezione di interessi diffusi propri di categorie (azionisti,
creditori, dipendenti, ecc.) che non dispongono di adeguate capacità cognitive
della realtà societaria. Soggetto la cui funzione, regolata dalla disciplina del
codice civile, conosce espressi poteri e correlativi doveri (anzi, per quelli
indipendenti, marcati obblighi di vigilanza).
26
La giurisprudenza (Cass. civ., sez. I, 11 novembre 2010, n. 22911, in Società, 2011, 377, con nota di
FERRARI) ha affermato che ‘L’art. 2392, 2º comma, c.c. testo previgente pone a carico degli
amministratori privi di delega il dovere di vigilare sul generale andamento della società, che permane
anche nel caso di attribuzione di funzioni al comitato esecutivo o a singoli amministratori delegati, salva
la prova che i rimanenti consiglieri, pur essendosi diligentemente attivati, non abbiano potuto in
concreto esercitare la predetta vigilanza per il comportamento ostativo degli altri componenti del
consiglio (nella specie, si è ritenuto che l’esercizio senza autorizzazione dell’attività assicurativa nel
ramo «auto rischi diversi» fosse idoneo a palesare una così macroscopica esorbitanza dell’attività
sociale dall’ambito consentito, che non avrebbe potuto sfuggire alla vigilanza diligente degli
amministratori privi di delega).
8
Paradigma obbligatorio che si rifrange sulla fattispecie regolante il nesso di
causalità per fatto omissivo, prevista dall’art. 40 co. 2 cod. pen.
Per le società quotate in Borsa la figura dell’amministratore
indipendente era già stata evocata, ancor prima della riforma societaria, dal cd.
‘Codice di Autodisciplina’ introdotto nel corso del 1999 e rivisto nel 2002,
testo finalizzato a garantire la correttezza della conduzione amministrativa per
gli organismi preposti alla emissione di prodotti di investimento diffuso.
Caratteristiche ulteriormente sottolineate dalla legge sul risparmio e
dall’introduzione nel TUF degli art. 147 ter, 147 quater per le società quotate.
Pertanto, se può convenirsi che l’autonomia ed indipendenza assegnata
a questo organo attenga precipuamente al requisito di eleggibilità, non può
assolutamente ritenersi che la riforma societaria abbia alleggerito la relativa
responsabilità.
Le preoccupazioni del legislatore della riforma (cfr. la Relazione governativa
alla legge di riforma) si appuntano sulla possibile estensione dell’addebito a
questi amministratori chiamati a rispondere (ma in via civilistica, a seguito di
azioni di responsabilità) a casi di oggettiva ignoranza e carenza di adeguati
strumenti capaci di evitare il paventato danno per la società. In questo senso
può affermarsi che la riforma della disciplina della società, portata dal d. leg.
6/2003, ha indubbiamente alleggerito gli oneri e le responsabilità degli
amministratori privi di deleghe.
Più delicato è il discorso relativo al soggetto che agisca palesandosi
come dotato della qualifica societaria ‘propria’ pur essendone sprovvisto (o
per invalidità della nomina o per vera e propria usurpazione). Tema che
diviene vieppiù incerto nel contesto della condotta omissiva.
Innanzitutto, quando il soggetto “di diritto” sia rimasto colpevolmente inerte
pur consapevole dell’evento pregiudizievole per la società, il cui avveramento
dipende dalla condotta del soggetto di fatto”. 27
La fattispecie di riferimento per l’affermazione della penale responsabilità è
sempre quella dell’art. 40 cpv. c.p. 28
Ipotesi che frequentemente è ravvisata nel caso dell’amministratore formale,
interposto fittizio (o “testa di legno” o “prestanome”) del gestore occulto e
reale interessato alla conduzione amministrativa. 29 Se, da un lato, necessita
sempre la dimostrazione dell’apporto causale dato dall’extraneus al fatto
27
Situazione che è ipotizzabile anche nel caso di impresa formalmente individuale, quando il “soggetto
di fatto” ricopra altresì il ruolo di socio di fatto” (Cass., Sez. V, 19 febbraio 2003, Leoni, Rv. 224842). E
Cass., Sez. V, 28 marzo 2003, Negro, in Cass. pen., 2004, 455, ha precisato (motivazione) “la condanna
di un soggetto quale concorrente esterno in un reato di bancarotta impropria ex artt. 223 comma 2 n. 2 l.
fall., anziché quale amministratore di fatto, qualora rimanga ferma l’azione di partecipazione ascritta,
non comporta immutazione dell’addebito: invero non si tratta di due diverse ipotesi criminose, ma di
distinte modalità di partecipazione criminosa”.
28
Su di essa, A. ROSSI, La responsabilità penale dei componenti degli organi di amministrazione e di
controllo, in I reati societari, cit., pag. 66 e ss., soprattutto 71/72, con particolare riguardo ai poteri
impeditivi dell’evento, alla luce della riforma societaria.
29
Ampia è la casistica esaminata dalla SC. in questo ambito: v. Cass., Sez. 3, Cass., 6 aprile 2006,
Furini, Rv. 234474; Cass. Sez. V, 13 febbraio 2006, Caimmi ed altri, Rv. 234232; Cass., Sez. V, 26
gennaio 2006, Filippi ed altro, Rv. 233637; sez. V, 4.6.2004, Squillante, Riv. pen., 2004, 799; Cass., sez.
V, 27.4.2000, Ragogna, Rv.. 216117; Cass., sez. V, 6 maggio 1999, Grossi, Rv.. 213647; Cass., sez. V,
5.2.1998, Riccieri, Cass. pen., 1998, 3415; Cass., sez. V, 24 giugno 1999, Murra, Rv.., 214301; Cass.,
sez. V, 25 marzo 1997, Baldi, Rv.. 207895, Sez. V, 27 maggio 1996, Perelli, Cass. pen., 1997, p. 2232;
Cass., sez. V, 7.7.1992, Boccalini, Cass. pen., 1993, 674, ecc.;
9
proprio dell’amministratore legale 30, per converso, l’inerzia colpevole
dell’amministratore di diritto espone questi alle conseguenze penali derivate
dalla condotta fraudolenta del dominus: la condotta omissiva diviene così
tramite indispensabile, casualmente efficiente rispetto all’evento.
Né – per un riguardo meramente oggettivo – la presenza di un soggetto che
svolga le funzioni di fatto può ritenersi così assorbente verso il soggetto di
diritto da escludere una sua partecipazione penalmente rilevante 31, salvo –
ovviamente – ipotesi di costrizione psichica penalmente rilevanti e
giustificabili per l’autore materiale della condotta in termini di stato di
necessità o ex art. 46 c.p.. Infatti, la disposizione dell’art. 40 cpv. c.p. (così
come la fattispecie del “nuovo” art. 2639 cod. civ.) non elimina la
responsabilità dell’intraneus, che mantiene la posizione di garanzia a tutela
degli interessi connessi alla società. 32
E per vicinanza di argomento, può esser utile rammentare che, dopo la
riforma societaria, la presenza di una delibera assembleare di autorizzazione
all’amministratore (o agli amministratori) non esclude l’autonoma
responsabilità dell’amministratore per un eventuale illecito conseguente
all’azione, alla luce dell’art. 2634 co. 1 n. 5 cod. civ. che espressamente
precisa che in tal caso resta ”ferma in ogni caso la responsabilità di questi
(amministratore) per gli atti compiuti”, avuto riguardo alla esclusività
dell’azione gestoria in capo agli amministratori 33.
30
Cfr. Cass. Sez. V, 17 gennaio 1996, Giumento, Cass. pen., 1997, pag. 548 e ss.
Diversamente ha opinato la meditata analisi svolta da Cass., Sez. V, 17 gennaio 1996, Giumento, cit.
che afferma tra l’altro (parte motiva): “… la qualifica di amministratore formale non comporta un
automatico giudizio di colpevolezza per fatti di bancarotta fraudolenta perché, diversamente, la
punizione in base a fatti specifici, sarebbe in contrasto manifesto con il princıpio della responsabilità
personale di cui all’art. 27 Cost. La colpevolezza del legale rappresentante della società deve essere
esclusa, infatti, quando la concreta gestione da parte dell’amministratore di fatto — quale dominus
della società, imprenditore occulto o procuratore ad negotia — sia così complessiva e sostitutiva da
ridurre l’amministrazione legale ad un mero atto formale, nominale. In queste ipotesi, plasticamente
riconducibili alle in equivoche categorie del “ prestanome ’’, dell’amministratore apparente e dell’“
uomo di paglia ”, si staglia, da una parte, l’innocenza del legale rappresentante, al quale non è
attribuibile alcuna attività specifica, e, dall’altra parte, la colpevolezza dell’amministratore di fatto,
unico gestore e unico autore dei fatti di bancarotta. La posizione del primo ha una peculiarità che non è
apprezzabile sotto il profilo sostanziale, essendo indiscutibile che la responsabilità penale va sempre
commisurata, per civiltà giuridica e per esigenze costituzionali, al fatto proprio e non al mero dato
formale della qualifica. E` una posizione peculiare, invece, processualmente, in quanto compromessa,
pur se in modo relativo, sotto il profilo probatorio. A fronte di una investitura formale, alla quale sono
ricollegabili giuridicamente, anche se astrattamente, oneri, obblighi ed attività di gestione, grava sul
soggetto l’onere della prova contraria. L’onere, cioè di allegare o almeno di addurre, sotto il profilo
oggettivo, di non aver gestito la società, di La colpevolezza del legale rappresentante della società deve
essere esclusa, infatti, quando la concreta gestione da parte dell’amministratore di fatto — quale
dominus della società, imprenditore occulto o procuratore ad negotia — sia così complessiva e
sostitutiva da ridurre l’amministrazione legale ad un mero atto formale, nominale. In queste ipotesi …
non è attribuibile alcuna attività specifica, e, dall’altra parte, la colpevolezza dell’amministratore di
fatto, unico gestore e unico autore dei fatti di bancarotta”. Argomentazione che, tuttavia, trascura
profili di dolo eventuale (l’eventuale consapevolezza del soggetto di diritto diviene tramite casualmente
efficiente rispetto all’evento illecito commesso dall’extraneus).
32
Allo stesso modo è orientamento largamente prevalente nel diritto societario che l’amministratore il
quale abbia meramente dissentito dall’operato di altro amministratore (di fatto o di diritto), senza
formalizzare il dissenso con apposita annotazione sul libro delle adunanze e delle deliberazioni del
consiglio di amministrazione, non è esonerato dalla responsabilità discendente dall’operato di questi. E
neanche l’assenza (ingiustificata) alla riunione del consiglio di amministrazione giova ad esimerlo dalla
corresponsabilità del fatto illecito. Cfr. tra gli altri, ALLEGRI, Contributo allo studio della
responsabilità civile degli amministratori, Milano, 1979, 211. Chiaramente, in sede penale queste
conclusioni devono essere rilette alla luce della prova della necessaria conoscenza dell’altrui operato.
33
Poiché, come si esprime RORDORF, La funzione amministrativa, in Codice commentato delle società,
cit., pag,389/390, “è proprio il baricentro della disciplina ad essersi spostato, inclinando ora verso una
31
10
La giurisprudenza, a proposito del corredo soggettivo necessario per
addebitare al soggetto “di diritto” la responsabilità dell’evento pregiudizievole
materialmente realizzato dal soggetto “di fatto”, mostra – nel corso degli anni
– sempre maggiore severità, consapevole che si tratta di un tema “da accertare
senza ‘scorciatoie’ probatorie, quasi fosse in re ipsa una volta appurata
l’esistenza della qualifica formale” 34.
In passato la prevalente opinione pose a fondamento del giudizio di penale
colpevolezza del soggetto “di diritto” la condizione di una intesa originaria tra
i due soggetti, nel senso che quest’ultimo avesse previamente acconsentito
(esplicitamente o nei fatti) all’ingerenza o dominazione gestoria altrui, senza
pretendere l’attribuzione formale della condotta all’amministratore di fatto.
Da tanto era desunto un consenso permanente – attesa l’inerzia del soggetto
“proprio” – alla altrui gestione illecita e, conseguentemente, l’applicazione
dell’art. 40 cpv. cod. pen., raccordato alla generale previsione dell’art. 2392
co. 2 cod. civ. che imponeva un dovere di generale vigilanza 35. Pertanto “la
sola consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi
tipici del reato, ovvero l'accettazione del rischio che questi si verifichino, sono
sufficienti per l'affermazione di responsabilità” 36.
concezione meno dominicale e più imprenditoriale del fenomeno societario, in cui il ruolo di capo
dell’impresa è ricoperto senza incertezze dall’amministratore”.
34
Così P. VENEZIANI, art. 2639 cod. civ., in I reati societari, a cura di LANZI/CADOPPI, Cedam,
2007, 307, Autore che ricorda Cass., Sez. V, 26 novembre 1999, Dragomir, Rv. 215199, in Cass. pen.,
2000, 2134, che ha affermato: ”mentre, dal punto di vista oggettivo, non è dubbio che l’amministratore
di diritto risponde unitamente all’amministratore di fatto per non avere impedito l’evento che aveva
l’obbligo giuridico di impedire, dal punto di vista soggettivo, si richiede la generica consapevolezza, da
parte del primo, che l’amministratore effettivo, distrae, occulta, dissimula, distrugge o dissipa i beni
sociali ovvero espone o riconosce passività inesistenti, senza che sia necessario che tale consapevolezza
investa i singoli episodi nei quali l’azione dell’amministratore di fatto si è estrinsecata. Tuttavia, tale
consapevolezza non può essere semplicemente desunta dal fatto che il soggetto abbia acconsentito a
ricoprire formalmente la carica di amministratore”. Nello stesso senso Cass. Sez. V, 1 luglio 2002,
Arienti ed altro, Rv. 222389; Sez. V, 5 febbraio 1998, Riccieri, Cass. pen., 1998, p. 3415, n. 1848 e,
sostanzialmente, Cass., Sez. V, 23 giugno 1999, Murra, Cass. pen., 2000, p. 1784, n. 1038.
35
Così espressamente Cass. Sez. V, 27 maggio 1996, Perelli, cit.; il ruolo della norma è così indicato da
App. Milano, 10 giugno 1996, Bagnasco (in Riv. trim. dir. pen. economia, 1998, 571, con nota di
PROVERBIO), “l’art. 2392, 2º comma, cod. civ. riflette un obbligo di portata generalissima, attinente
sia agli atti pregiudizievoli conosciuti, che devono essere impediti o dei quali devono essere neutralizzati
gli effetti, sia agli atti dei quali l’amministratore può venire a conoscenza vigilando sul generale
andamento della gestione societaria e, quindi, adempimento ai doveri primari di diligenza ed a quelli
strumentali di informazione”; il dovere di vigilanza discendente da art. 2392 cod. civ. è richiamato anche
da Cass. Sez. V, 20 ottobre 1994, De Foscatiis, in Cass. pen., 1006, 1975, che, sul punto, afferma la
responsabilità «ai sensi dell’art. 40 cpv. c.p., l’amministratore di una società che, violando l’obbligo di
vigilare e quello di attivarsi per impedire atti pregiudizievoli per i soci, i creditori ed i terzi, obbligo di
ordine generale desumibile dall’art. 2392 c.c., abbia consentito che altri commettessero fatti di
bancarotta.” Cfr. anche Sez. V, 7 luglio 1992, Boccolini, in Le società, 1993, 1, p. 61, con nota di V.
CANTELE, e in Cass. pen., 1993, p. 674, che giustamente evidenzia il pericolo di sottovalutare il grado
di rappresentazione dell’evento del soggetto tenuto al dovere di impedire l’illecito; Sez. V, 26 giugno
1990, Bordoni, cit.;, Sez. V, 21 novembre 1989, Piras, Cass. pen., 1991, p. 2046.
36
In questo senso, tra le molte, Cass., Sez. V, 27 aprile 2000, Ragogna, Rv.. 216117, per cui
“l'amministratore della società ancorché sia un mero prestanome di altri soggetti che hanno agito come
amministratori di fatto risponde dei reati contestati quanto meno a titolo di omissione poiche´ la
semplice accettazione della carica attribuisce dei doveri di vigilanza e di controllo la cui violazione
comporta responsabilita` . La sola consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli
eventi tipici del reato, ovvero l’accettazione del rischio che questi si verifichino, sono infatti sufficienti
per l’affermazione di responsabilita`”; analogamente, più recentemente, Cass., Sez. 5, 12 dicembre
2005, Procacci ed altro, Rv. 233758; ed in precedenza, Sez. V, 23 giugno 1999, Murra, Cass. pen., ,
2000, p. 1784, n. 1038; Sez. V, 5 febbraio 1998, Riccieri, in Cass. pen., 1998, p. 3415, n. 1848; Sez. V,
27 maggio 1996, Perelli, Cass. pen., 1997, p. 2232, n. 1300; Cass. Sez. V, 5.2.1998, Riccieri, it.; Cass.
Sez. V, Baldi, cit.; . Sez. V, 20 ottobre 1994, De Focatiis, in Cass. pen., 1996, p. 1976, con nota di R.
11
Dunque, anche la consapevolezza di una probabile programmazione criminosa
(in ragione della “semplice accettazione della carica attribuisce dei doveri di
vigilanza e di controllo la cui violazione comporta responsabilità” 37, attesa
anche l’anomalia di una scissione tra la realtà gestoria e la sua apparenza) è
sufficiente argomento di condanna, senza pretendere in capo
all’amministratore di diritto la prova di una puntuale rappresentazione del
singolo episodio illecito perpetrato dal dominus. 38
Con maggiore rigore, più recentemente, la giurisprudenza di legittimità
– pur negando di acquisire riscontro ad una consapevolezza che investa i
singoli episodi nei quali l’azione illecita del soggetto di fatto si è estrinsecata –
non ha ritenuto probatoriamente corretto desumere dall’accettazione del
soggetto di diritto di ricoprire la formale carica societaria. 39
Invero si è affermato (in tema di bancarotta fraudolenta documentale) che :”la
responsabilità dell'amministratore, che risulti essere stato soltanto un
prestanome, nasce dalla violazione dei doveri di vigilanza e di controllo
che derivano dalla accettazione della carica, cui però va aggiunta la
dimostrazione non solo astratta e presunta ma effettiva e concreta della
consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione
del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di
procurare un ingiusto profitto a taluno”.40
Sempre la Cassazione ha inteso differenziare le posizioni del soggetto
di fatto da quello di diritto per cui “in tema di bancarotta fraudolenta, mentre
con riguardo a quella documentale per sottrazione delle scritture contabili,
ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente
NARDONE, In tema di dolo nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale commesso
dall’amministratore di diritto in concorso con l’amministratore di fatto, ecc.
37
Cass., Sez. V, Ragogna, cit.
38
Così, anche recentemente e successivamente alla riforma societaria che non ha più riproposto, in seno
all’art. 2392 il generale dovere di vigilanza, Cass., Sez. 5, 12 dicembre 2005, Procacci ed altro, cit., che
accenna alla prova di una generica consapevolezza che l'amministratore effettivo distragga, occulti,
dissimuli, distrugga o dissipi beni sociali, esponga o riconosca passività inesistenti. Cass., Sez. 3, 6.
aprile 2006, Furini, Rv.. 234474 (in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed
assistenziali), per cui “L'amministratore di una società risponde del reato omissivo contestatogli quale
diretto destinatario degli obblighi di legge, anche se questi sia mero prestanome di altri soggetti che
abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce
allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale o a
titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi
tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si
verifichino”. Per la giurisprudenza di merito cfr. recentemente Trib. Roma, 1.6.2007, Guida dir., 2007,
n. 32 p. 86. Per una critica attenta (inserita in più ampia riflessione sul concorso nel reato per fatto
omissivo) a questo indirizzo, MILITELLO, La colpevolezza nell’omissione: il dolo e la colpa del fatto
omissivo, in Cass. pen., 1998, 982.
39
nello stesso senso Cass. Sez. V, 8 marzo 2007, Gitta, in Guida dir., 2007, n. 19, pag. 100/101 che
testualmente afferma: “.. dal punto di vista soggettivo si richiede la prova della generica
consapevolezza, da parte del primo, che l’amministratore effettivo distrae, occulta dissimula, distrugge
o dissipa i beni sociali ovvero espone o riconosce passività inesistenti, senza che sia necessario che tale
consapevolezza investa i singoli episodi nei quali l’azione dell’amministratore di fato si è estrinsecata.
Tuttavia tale consapevolezza non può essere semplicemente desunta dal fatto che il soggetto abbia
acconsentito a ricoprire formalmente la carica di amministratore”; analogamente Cass. Sez. V, 26
gennaio 2006, Filippi ed altro, Rv.. 233637.
40
Cass., Sez. V, 17 novembre 2005, Liberati, Rv. 232816. In tema di violazioni tributarie è degna di nota
Cass., sez. III, 9 aprile 1997, Ciciani, Rv. 208804, che afferma “è sufficiente che il «garante» abbia
conoscenza dei presupposti fattuali del dovere di attivarsi per impedire l’evento e si astenga, con
coscienza e volontà, dall’attivarsi, con ciò volendo o prevedendo l’evento (nei delitti dolosi) o
provocandolo per negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme (nei delitti colposi e nelle
contravvenzioni in genere)”.
12
dell'amministrazione dell'impresa fallita (cosiddetta "testa di legno"), atteso il
diretto e personale obbligo dell'amministratore di diritto di tenere e
conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo
all'ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti
dell'amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio
secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella
disponibilità dell'imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza
di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la
presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole
accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente
implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall'amministratore di
fatto” 41.
Nel medesimo indirizzo è la giurisprudenza più recente per la quale “la
fraudolenza, intesa come connotato interno alla distrazione nel delitto di
bancarotta fraudolenta, implica, dal punto di vista soggettivo, che la condotta
di colui che pone in essere o concorre nell'attività distrattiva sia assistita
dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale
siano idonee a cagionare un danno ai creditori”: pertanto la Corte ha ritenuto
illegittima la decisione con cui il giudice di merito aveva affermato la
responsabilità di meri consiglieri di amministrazione - uno dei quali rimasto in
carica meno di tre mesi - espressamente definiti "prestanome" 42, per fatti
distrattivi addebitati senza verificare che fossero effettivamente e
materialmente a loro riferibili e da loro conosciuti).
d) Direttori generali. 43
La responsabilità di questo soggetto, posto in ufficio direttivo come
attestato, tra l’altro, dalle sanzioni interdittive previste dagli art. 32 bis e 35 bis
c.p. in un rapporto così stretto che la giurisprudenza ha ritenuto non
modificare l’imputazione l’addebito a taluno di aver ricoperto la carica
direttiva e la condanna per essere stato amministratore di fatto.
Il direttore generale viene descritto come colui che - previsto dallo statuto
societario, ovvero nominato dall’assemblea 44 - è stabilmente inserito
nell’organizzazione imprenditoriale per integrare l’attività degli
amministratori, a cui è subordinato, mediante l’esercizio di attività di alta
gestione 45, ma la sua figura non è definita normativamente, tanto che da taluni
si è osservato che il direttore generale è sostanzialmente rinvenibile nella
prassi in seno alla figura che di fatto esercita queste funzioni direttive, così
labilmente definite 46. Cosicché si è ritenuto dover restringere l’area di
41
Cass. Sez. V, 4 giugno 2004, Squillante, Riv. pen., 2004, 799.
Cass. Sez. V, 13 febbraio 2006, Caimmi ed altri, Rv. 234232.
43
In dottrina SANTORIELLO, I reati, cit., 155, il quale modella i contorni di questo soggetto su quella
degli amministratori (sull’argomento, cfr. anche CONTI, I soggetti, in Trattato di diritto penale
dell’impresa a cura di DI AMATO, 198; QUATRARO/PICONE, La responsabilità di amministratori,
sindaci, direttori generali e liquidatori delle società, Giuffré, 1998, 932. In giurisprudenza cfr. Cass.,
sez. V, 25 novembre 1998, Pagani, Ced Cass., 212351, cfr. anche Trib. Civ. Milano, 31.1.2002, Soc.
Delme c. Fausti, Giur. comm., 2004, II, 101, con nota di DE NICOLA..
44
Condizioni, per il vero, disattese dalla pratica che conosce la presenza del direttore generale privo di
nomina ovvero sconosciuto allo statuto.
45
ABBADESSA, Trattato delle società a cura di COLOMBO/PORTALE, 1991, pag. 462.
46
PEDRAZZI, Gestione di impresa e responsabilità penali, in Riv. Soc., 1962, 267; non molto difforme
LA MONICA, Manuale di diritto penale commerciale, Milano, 1993, 93; GIULIANI BALLESTRINO,
La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Milano, 1991, 248; SANTORIELLO, I reati, cit., 157.
42
13
tipicizzazione alla sola persona espressamente delegata dall’assemblea o da
disposizione statutaria: la tesi è respinta da numerosa schiera di autori 47.
Al di là del problema definitorio la Cassazione ha affermato “Il
direttore generale di una società per azioni è soggetto alla stessa disciplina
prevista per la responsabilità degli amministratori qualora la sua nomina sia
stata prevista nell’atto costitutivo oppure sia stata deliberata dall’assemblea,
entrando in questi casi la sua figura, in posizione apicale, a far parte della
struttura tipica della società” 48. Tuttavia, la labilità della definizione
normativa del suo ruolo, impedisce di estendere analogicamente ad altri
soggetti la disciplina a questi propria, se non nell’alveo dell’art. 2639 cod. civ.
Se, in passato, è stata discussa la subordinazione del direttore generale
rispetto all’amministratore e la relativa dipendenza (attesa la prassi di
concedere ampia autonomia ai direttori, si era ipotizzata una situazione
rapportabile al mandato 49, oggi sia il testo dell’art. 2396 cod. civ., che allude
esplicitamente al rapporto di lavoro con la società, sia l’art. 2380 bis cod. civ.,
che affida esclusivamente agli amministratori la gestione della società,
impediscono di configurare un rapporto diverso da quello di subordinazione,
elemento decisivo per distinguere la funzione da quella amministrativa, anche
se l’attenzione giudiziale è più sfumata verso questo soggetto che opera in enti
di estese dimensioni ovvero di intensa articolazione organizzativa, per i quali
la giurisprudenza penalistica è ancora assai scarsa.
La figura potenzialmente rilevante, perché ricadente in responsabilità
per frequenti violazioni penali societarie (art. 2621/2622) e fallimentari (223,
224 l. fall.) e, in concreto, con ricorrenza nient’affatto improbabile nel caso
che un direttore settoriale debordi dai limiti dell’incarico e svolga funzioni più
elevate ovvero quelle proprie di altri direttori i settore, venendo a qualificare la
sua azione come “generale” (A. ROSSI, I criteri, cit., 95/96), chiaro essendo –
tuttavia – che il limite formale all’applicazione estensiva di cui all’art. 2639
cod. civ. deve privilegiare il dato identificativo del rapporto di subordinazione
(in qualsiasi forma esso possa modellarsi), caratteristica peculiare ed
ineliminabile nella figura tratteggiata dall’art. 2396 cod. civ. (rimasto
sostanzialmente invariato a seguito della riforma societaria).
Un profilo applicativo (soprattutto nel delicato accertamento del
soggetto di fatto), riscontrato soprattutto nei gruppi societari con estensione
ultra-nazionale, è quello di far coincidere questa funzione in quella sottesa ai
diversi termini utilizzati dalla terminologia gius-laburista sassone. 50
e) I sindaci
47
NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., 47; ANTOLISEI, Manuale, cit.,131; CONTI,
Diritto penale, cit., 83.
48
Cass. civ., sez. I, 5 dicembre 2008, n. 28819
49
cfr. MONTALENTI, La traslazione dei poteri di gestione nei gruppi di società: i management
contracs, in Contratto e impresa, 1987, 455
50
al riguardo cfr. MONTALENTI, Management, cit., pag. 7,13 e ss; sulla estensione ex art. 2639 a
soggetti interni alla società ma diversamente qualificati rispetto alla normativa, PALIERO, Nasce il
sistema, cit., 40; A. CARMONA, Premesse a un corso di diritto penale dell’economia, Padova, 2002,
230 e ss.; MACCARI, Commento all’art. 2639, in F- GIUNTA (a cura di) I nuovi illeciti penali, cit.
Torino, 2002, 217 e ss.
14
Sicuramente avvinti a posizione di garanzia, in ragione della funzione
di vigilanza, sono i sindaci, quali “soggetti propri”, responsabili per esplicite
previsioni incriminatici ad essi riferite, in forza dell’espressa responsabilità
loro ascritta dall’art. 2407 cod. civ. 51
Si tratta di una “posizione di garanzia”, nel senso che garantisce ai terzi la
regolarità di gestione e la salvaguardia delle aspettative loro riferibili. Tanto
delimita in negativo l’ambito della sua responsabilità: così il sindaco (salvo il
caso di concorso di persona) non é responsabile di alcuni atti illeciti,
espressamente riferiti all’amministratore (es. art. 2625, 2626, 2627, 2628,
2629, 2629 bis, 2632, cod. civ.), o al liquidatore (es. art. 2633, 2634 cod. civ.),
o al revisore (es. art. 2624 cod. civ.) 52
Per questo ruolo istituzionale al sindaco è applicabile l’art. 40 comma
2 c.p. , disposizione assai prossima alla esplicita previsione dell’art. 2407
comma 2 cod. civ. che sancisce la responsabilità solidale con gli
amministratori per i fatti e le omissioni di questi, quando il danno non si
sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità agli obblighi della loro
carica. Ma anche per altro profilo la normativa civilistica diverge da quella
penale: la responsabilità del Sindaco, secondo la disciplina dell’art. 2403 cod.
civ. è dominata dal verificarsi di un danno. Per il versante penale detto
requisito è assente, dipendendo da ciascuna fattispecie incriminatrice.
Per altro verso la fattispecie penale, nella sua genericità é più estesa, potendo
addebitare al Sindaco anche il fatto illecito di persona diversa
dall’amministratore, nel caso di sua inerzia colpevole, rapportata ai suoi doveri
di vigilanza. 53
51
La legge fallimentare ascrive al sindaco
- le ipotesi di bancarotta impropria e, segnatamente, quella cd. “societaria” (art. 223 o. 2 n. 1 l.
fall., quando i fatti descritti dagli artt. 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633, 2634 del
codice civile, hanno cagionato o concorso a cagionare il dissesto;
- le ipotesi di bancarotta semplice dettate dall’art. 224 l. fall. La bancarotta semplice consente
l’attribuzione di responsabilità anche per colpa (secondo la costantissima interpretazione della
Cassazione in ordine alla previsione di cui all’art. 217 co. 2, richamato dall’art. 224 co. 1 l. fall.)
52 La questione della responsabilità dei sindaci per mancata vigilanza su scelte di “merito” gestorie non
sembra proponibile negli stessi termini compatibili con la pre-vigente normativa. Il richiamo al controllo
sulle scelte gestorie – più che sul dato formale – lascia varchi di corresponsabilità anche in questo
ambito, chiaro essendo che esulno dal compito sindacale valutazioni di opportunità, di stretta
competenza discrezionale dell’amministratore o del direttore Generale. La responsabilità va sicuramente
affermata per ciò che trae al contenuto valutativo di alcuno poste di bilancio, quali l’effettiva esigibilità
dei crediti, l’attestazione del netto patrimoniale delle partecipate non quotare (e la loro valenza espressa
in bilancio), ecc. Ed anche qui l’accertamento della responsabilità viene a coincidere con il grado di
effettiva conoscenza di profili connessi a dette voci e di completezza dell’informazione interna alla
società.
53
La riforma societaria ha dato vita ad altri organi che si affiancano, quanto al controllo, all’azione di
vigilanza svolta dal Collegio Sindacale, che è previsto per le soc. per azioni che adottino il sistema
tradizionale, quali:
- il Comitato di controllo, all’interno del Cons. Amm.ne, nel sistema monastico (art. 2409
sexdecies e ss.)
- il Consiglio di Sorveglianza con compiti di controllo di legalità e di corretta amministrazione,
non contabile (art. 2409 octies e ss.).
La penale responsabilità dei membri di questi nuovi organi si modella sul paradigma dell’art. 2639 e,
soprattutto, della generale disposizione “di chiusura” dell’art. 223 sepeties, che regola l’estensione delle
qualifiche soggettive, sì che per i reati previsti dal titolo XI del Cod. civile, si stabilisce equiparazione
del soggetto che sia tenuto a svolgere la stessa funzione descritta dal legislatore, anche se diversamente
qualificata. Va pur detto che le funzioni oggi delineate dalla riforma - al di là della terminologia - sono
fortemente cambiate rispetto alle tradizionali (per es. può ritenersi “sindacale” il ruolo del Consiglio di
15
Occorre precisare che il sindaco (salvo il caso di concorso di persona o
l’ipotesi, piuttosto astratta, di’sindaco di fatto’) non è, di per sé, responsabile
degli atti illeciti espressamente riferiti all’amministratore (es. art. 2625, 2626,
2627, 2628, 2629, 2629 bis, 2632, cod. civ.), o al liquidatore (es. art. 2633,
2634 cod. civ.), o al revisore (es. art. 2624 cod. civ.), non disponendo di alcun
effettivo potere di influenza sull’organo gestorio. Invero, il sindaco non può
imporre all’amministratore la corretta condotta di rispetto degli obblighi a
costui pertinenti, ma deve limitarsi al controllo, al fine di verificare la
conformità alle disposizioni di legge ed alle norme statutarie: la legge assegna
al Sindaco gli strumenti per impedire il protrarsi della violazione o
dell’inadempienza o, eccezionalmente, la funzione sostitutiva: la
responsabilità penale si valuta (come dirò oltre) sull’efficace utilizzo di queste
leve 54.
Parificato al sindaco é il supplente, il quale – tuttavia – può assumere
diretta responsabilità (salvo il caso di concertazione criminosa) soltanto al
momento dell’assunzione della funzione sostitutiva del titolare e previa attenta
verifica della sua dotazione cognitiva sul fatto illecito. 55
Il legislatore, ha reso più libero il criterio normativo della
responsabilità (parificandolo a quello previsto per gli amministratori, cfr. art.
2392), sganciandolo dal rigido e fisso criterio della “diligenza del mandatario”
(art. 2407 comma 1 abrogato), prevedendo ora (art. 2407 comma 1) “la
professionalità e la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico” 56.
In sostanza un rinvio non già all’art. 1176 comma 1, bensì all’art. 1176 comma
2 cod. civ. 57
Quando si consideri, ancora, che almeno un membro (effettivo e supplente)
del Collegio Sindacale deve essere scelto tra gli iscritti al registro dei revisori
e che gli altri devono esser scelti tra gli albi professionali o tra docenti
universitari di materia giuridiche o economiche (art. 2397 comma 2), che per il
Consiglio di Sorveglianza sono contemplate analoghe prescrizioni (art. 2409
duodecies) e che per i revisori é prevista la scelta tra gli iscritti nell’apposito
registro del Ministero della Giustizia (art. 2409 bis comma 1), si apprezza il
quadro di elevato grado di professionalità preteso. 58
Sorveglianza che “approva” il bilancio, compito che spetta nel sistema vigente ed in quello tradizionale
all’assemblea ?).
54 Ne consegue che non è configurabile il concorso nel reato di bancarotta a carico del sindaco per
omessa vigilanza sull'effettivo adempimento degli obblighi fiscali e previdenziali tempestivamente
segnalati all'organo amministrativo della società (cfr. Cass. Sez. 5, 12 novembre 2001 Vaccaro, Rv.
221014).
55 cfr. Cass. Sez. 5, 27 aprile 2005, Barrasso ed altro, Rv. 232795.
56 A proposito degli amministratori, che sono vincolati da uno stesso criterio di imputazione, la
Relazione spiega: “Nell'adempimento dei doveri imposti dalla legge o dallo statuto gli amministratori
devono usare la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico: il che non significa che gli amministratori
debbano necessariamente essere periti in contabilità, in materia finanziaria, e in ogni settore della
gestione e dell'amministrazione dell'impresa sociale, ma significa che le loro scelte devono essere
informate e meditate, basate sulle rispettive conoscenze e frutto di un rischio calcolato, e non di
irresponsabile o negligente improvvisazione.
57 che così dispone: “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività
professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.
58 Chiaramente la resposabilità resta “di mezzi” e non di “risultato”, vagliandosi per essa il grado e la
modalità del dispiegamento della vigilanza, non già il mero risultato anti-doveroso accaduto.
16
Ma l’osservazione, se rapportata all’ambito penale ed ai referenti
dell’art. 43 cod. pen., non modifica il criteri della imputazione dell’illecito
volontariamente commesso, mentre può rilevare, quanto al “deficit” di
competenza in una possibile imputazione colposa di imperizia o di
negligenza, per es. – secondo la più consolidata lettura della SC. – nella
bancarotta semplice (impropria) documentale. 59
Importante è l’arresto per cui ‘ai fini dell'adozione di una misura cautelare
personale nei confronti del sindaco di una società per il reato di bancarotta
fraudolenta, la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere
desunta solo dalla sua posizione di garanzia e dal mancato esercizio dei
relativi doveri di controllo, ma postula l'esistenza di elementi, dotati del
necessario spessore indiziario, sintomatici della partecipazione, in qualsiasi
modo, del sindaco stesso all'attività dell'amministratore ovvero dell'effettiva
incidenza causale dell'omesso esercizio dei doveri di controllo rispetto alla
commissione del reato da parte dell'amministratore’ 60, vale a dire che esiste
una sfera di netta autonomia tra la funzione gestoria e quella di vigilanza e che
si impone, conseguentemente, per addebitare al sindaco fatti illeciti connessi
all’esercizio della gestione, una sicura traccia indiziaria.
Ovviamente, si tratta pur sempre di una responsabilità assistita da
momenti di partecipazione soggettiva e volitiva, ivi escluso ogni profilo di
responsabilità oggettiva o, da appartenenza all’organo.
Se è vero che l’attività sindacale è collegiale e che tutte le decisioni
sono prese, a maggioranza, dal Collegio, la responsabilità penale é
individuale e non discende dalla partecipazione al Collegio, sicché la
responsabilità di un membro dello stesso non influisce sulla posizione degli
altri (salvo, per quanto si dirà subito appresso, per il nesso di causalità
omissivo di cui all’art. 40 comma 2 cod. pen.).
Per ogni posizione individuale la responsabilità penale deve corredarsi di
prova di consapevolezza e volontà.
Se tanto deriva dai principi generali
sanciti dall’art. 27 comma 1 Cost., si riscontra, nella materia in esame almeno per quanto attiene alla potestà ispettiva - dall’art. 2403 bis comma 1
cod. civ., che assegna detti poteri ai membri del Collegio “anche
individualmente”.
Dal che si desume le legittimazione al potere di iniziativa individuale nella
raccolta di dati e di informazioni ed anche nell’espletamento dei controlli.
Non è prevista particolare responsabilità penale per il Presidente del
Collegio, salvo che questi è, più degli altri membri, destinatario di
informazioni di rilievo (es. art. 2385 cod. civ., rinuncia di ufficio da parte
dell’amministratore; art. 2392 cod. civ. dissenso dell’amministratore nelle
delibere consiliari) ed incaricato di trasmissione di atti sindacali alle autorità di
controllo.
Può parlarsi di responsabilità penale del Sindaco dal momento della
accettazione della carica (atto che non richiede formalità): essa – secondo la
59 La variazione riformatrice impone, dunque, una riflessione sulla ingiustificabilità delle condotte
colpose derivate dall’assunzione di carica di persona professionalmente inadatta al compito sindacale, il
tutto nell’ottica di una valutazione che ha anche un necessario legame alla concreta complessità,
variabile dalla tipologia, dall’articolazione, e dall’oggetto statutario, della società oggetto di vigilanza.
60
Cass. Sez. V, 5 febbraio 2010, Tacconi, riv. 246956.
17
Dottrina 61 - è condizione di efficacia a cui è sottoposta la delibera di nomina
e, dunque, perfeziona il rapporto interorganico con la società. In caso di
rinunzia o decadenza, la carica è assunta dal supplente nel meccanismo
descritto dall’art. 2401 cod. civ.
Ma la cessazione dalla carica per scadenza del termine si ha, effettivamente
(anche con riguardo alla responsabilità) dal momento in cui il collegio con i
nuovi membri è stato costituito (art. 2400 comma 1 cod. civ.): esiste, quindi,
un regime di prorogatio analogo a quello dettato dall’art. 2385 comma 2 cod.
civ. 62
Se é agevole la prospettazione della responsabilità penale per i fatti
direttamente rapportabili alla conoscenza e volontà positiva del Sindaco,
salva la precisazione che – nella condotta concorsuale – la rappresentazione
deve coprire anche l’altrui operato con la consapevolezza che la propria azione
ivi si inserisce per la commissione del reato, più complesso – nell’applicazione
pratica – é la più frequente ipotesi di responsabilità per omissione.
Infatti, l’onere incombente sul Sindaco é quello della vigilanza o del controllo
nell’interesse dei soggetti i cui interessi, a diverso titolo, sono coinvolti nella
gestione societaria 63.
L’”obbligo giuridico” che contrassegna la posizione di garanzia
sindacale si modula sul contenuto del controllo assegnato ai Sindaci: esso è
descritto nell’art. 2403 cod. civ. (e ricalca l’art. 149 del D. Lgs. TUIF) ed è
amplissimo: la menzione del rispetto della legge proietta la vigilanza oltre lo
specifico settore di attività (per es. l’adempimento dei doveri fiscali e
previdenziali o latamente amministrativi, come in tema di licenza); il richiamo
al rispetto dello statuto impone un confronto tra l’attività di gestione e
l’oggetto sociale, alla salvaguardia del patrimonio (soprattutto nelle operazioni
straordinarie, con riflessi sul capitale), ecc.
In questo senso é jus receptum che il sindaco, anche individualmente
nell'esercizio dei suoi poteri di controllo e di vigilanza, ha il dovere di
segnalare (nelle più opportune modalità) tutte le volte in cui gli amministratori
della società (facendo od omettendo) violino la legge generale ed in
particolare la legge penale. Ne consegue che nel caso in cui un sindaco abbia
conoscenza di attività distrattive poste in essere da amministratori, egli ha il
dovere di impedirne la realizzazione (con gli strumenti a sua disposizione) e,
in mancanza, deve essere ritenuto responsabile a titolo di concorso del delitto
di bancarotta fraudolenta per distrazione eventualmente commesso 64.
61 SERAO, Il collegio sindacale dopo la riforma Draghi, Milano, 1999, pag. 34.
62
E’ di cospicuo rilievo il tema delle dimissioni, atto che certamente attesta un volontario distacco dal
pregresso collegamento con gli organi societari, ma che, in sé, non è sufficiente ad elidere la pena
corresponsabilità del soggetto che pose in atto l’avvìo del procedimento causale sfociato nell’evento
illecito. Infatti le dimissioni se attestano l’abdicazione ad ogni possibilità dio ulteriormente interloquire
con la vicenda societaria (circostanza rilevante per marcare la dissociazione) tuttavia impediscono di
sfruttare nel proseguo le possibilità di impedire l’evento pregiudizievole. Come tali esse si sottraggono
al dovere dettato dall’art. 40 co. 2 cod. pen.
63 La violazione degli obblighi di carattere amministrativo, quali quelli del dovere di convocare
l’assemblea (art.2367, 2386, 2406, 2446 cod. civ.; 151 TUIF) non ha rilievo penale, bensì meramente
amministrativo ex art. 2631 cod. civ. che ha abrogato la responsabilità a suo tempo disposta, con
sanzione detentiva, dall’art. 2362 cod. civ.). Alla stessa stregua ognio omissione di intervento attivo per
altre incombenze del sindaco (es. 2385 comma 3; 2386, 2485, ecc.), secondo la lettera del “nuovo”art.
2630 cod. civ.
64 Cass., Sez. 3, 17.1.1966, Meoni, Rv.. 100586.
18
Dunque, le potenzialità di responsabilità si estendono e si modulano nei
confronti delle condotte di terzi verso cui i sindaci hanno dovere di controllo e
vigilanza.
a) La capacità cognitiva del Sindaco:
Il sistema ha dotato l’organo di vigilanza di adeguati strumenti informativi: la
violazione dell’art. 2405, che obbliga i sindaci ad assistere alle adunanze del
Consiglio di amministrazione, alle assemblee ed alle riunioni del comitato
esecutivo 65, con sanzione di decadenza più ampia che in passato, nel caso di
assenza ingiustificata 66; alle assemblee degli obbligazionisti (art. 2415 uc.),
inottemperanza che é prodromica alla possibile ignoranza del fatto e che pone
il sindaco nell’area della responsabilità, non é ancora sufficiente a radicare la
prova nei suoi confronti salvo che non sia dimostrato che egli conoscesse
l’oggetto della delibera e la sua illiceità. 67
Contemporaneamente, adempiono a questa funzione la comunicazione al
collegio sindacale del parere dissenziente dell’amministratore che lo fa
rilevare nel verbale delle riunioni del consiglio (art. 2392 comma 3), ovvero,
dell’atto di citazione dell’azione sociale di responsabilità esercitata dai soci
(art. 2393 bis, comma 2), o ancora (con obbligo di indagine e di relazione
all’assemblea) la funzione di destinatario di denunzie dei soci, a mente
dell’art. 2408 cod. civ. 68 (funzione estesa al consiglio di sorveglianza, cfr. art.
2409 quatordecies/2408 ed al comitato di controllo, cfr. art. 2409 octiesdecies
comma 6/2408).
Parimenti resta inalterato, rispetto alla normativa
tradizionale, il dovere dell’amministratore di dare notizia (anche) al collegio
Sindacale di ogni interesse personale (o per conto di terzi) che possa
inquinare una determinata operazione (art. 2391 comma 1), ma si é
grandemente affievolita la relazione informativa con l’organo amministrativo,
non essendo più stato previsto il dovere di tempestiva e periodica
informazione (con periodicità almeno trimestrale) sull’attività svolta e sulle
operazioni di maggior rilievo, come prescritto dall’art. 150 D. L.vo 58/98.
E’ espressamente previsto (come già disposto dall’attuale art. 2403 bis, con
riferimento, ma specifiche operazioni attinenti ai controlli sulla regolare tenuta
della contabilità e delle registrazioni e del bilancio, e, per le soc. quotate,
dall’art. 151 comma 3, D. L.vo 58/98, ma con riguardo al mero controllo
relativo all’adeguatezza ed affidabilità del sistema amministrativo e contabile)
l’ausilio di “auditors” (legati da vincolo di rapporto subordinato o di
prestazione professionale, connotati dai medesimi requisiti di indipendenza,
atteso il rinvio all’art. 2399), destinati ad incarichi piuttosto ampi: “specifiche
operazioni di ispezioni e di controllo” (art, 2403 bis, comma 4). 69
65 Mentre l’attuale art. 2405 dà facoltà di assistenza ai sindaci alle riunioni del comitato esecutivo, il
nuovo testo dell’art. 2405 prevede anche per questo incombente un obbligo.
66 Infatti, l’attuale art. 2405 stabiliva la decadenza soltanto per l’assenza ingiustificata all’assemblea –
nel corso di un medesimo esercizio - a due adunanze del consiglio di amministrazione, il nuovo testo vi
aggiunge anche l’assenza dalla riunione del comitato esecutivo, espressamente annotando un regime di
automaticità nella decadenza.
67
In tal senso l’assenza precostituita per non poter essere coinvolto nella responsabilità
dell’amministratore può lasciare varchi di dubbio sulle effettiva capacità scriminante, una volta che si
ritenga preordinata la manovra volta a sguarnire il presidio di vigilanza l’organo gestorio.
68 la denuncia del socio obbliga il sindaco a convocare l’assemblea a cui presentare relazione; vi è un
espresso obbligo di indagine quando vi sia maggioranza qualificata di soci denunciati (20% del capitale;
per le quotate, del 50%).
69 In particolare, al riguardo, è espressamente previsto (come già disposto dall’attuale art. 2403 bis, con
riferimento, ma specifiche operazioni attinenti ai controlli sulla regolare tenuta della contabilità e delle
registrazioni e del bilancio, e, per le soc. quotate, dall’art. 151 comma 3, D. L.vo 58/98, ma con riguardo
19
E’ importante segnalare che il Collegio Sindacale, per le società quotate, é
destinatario di una relazione a commento del bilancio semestrale
sull’”andamento della gestione” (redatto secondo i criteri di CONSOB) (art.
2428 comma 2 n. 6).
Prettamente finalizzata all’informazione é il sistema delle norme che
prevedono lo scambio di notizie rilevanti “per l’espletamento dei relativo
compiti” con i soggetti incaricati del controllo contabile (art. 2409 septies),
norma estesa anche al consiglio di sorveglianza (2409 quatordecies/2409
septies) 70.
Ed anche se viene previsto che la capacità cognitiva non trova ostacolo
di fronte a notizie segrete o riservate, é evidente che - in sede penale - la
consapevolezza dell’atto in capo al membro del Collegio sindacale deve esser
puntualmente dimostrata. 71
Ma vi sono, al contempo, delle situazioni che agevolano l’accusa: raramente i
sindaci sono del tutto “terzi” rispetto all’amministratore (di maggioranza) 72.
Sovente essi sono espressione dello studio commercialistico di fiducia: in capo
a questo professionista é illogico predicare la ignoranza, quando egli agisce secondo l’”id quod prelumque accidit” - con capacità professionale (tanto da
essere stato scelto e compensato), nell’interesse del cliente e, soprattutto,
senza il velame di reticenze o segreti.
L’accertamento penalistico diverge da presunzioni normative. In tal
senso non hanno valore, in linea astratta, le esenzioni di responsabilità
conseguenti alle annotazioni in seno alla relazione sottoposta all’assemblea
che delibera sulla riduzione del capitale per perdite oltre il terzo (art. 2482 bis
comma 2), ovvero il dissenso espressamente annotato sul libro delle adunanze,
ecc. potendosi dar prova liberatoria anche nel caso di manata annotazione.
Tuttavia, é evidente che la dissentine opinion assume un peso che, nel
processo penale, non può essere pretermessa a favore di chi l’ha manifestata.
Per converso, la norma per cui la responsabilità non é esclusa
dall’approvazione del bilancio (art. all’art. 2434 e 2476 uc., risulta
disposizione penalmente indifferente in sé, se non interviene la priva di una
consapevole istigazione alla condotta illecita verso il sindaco o, comunque, la
sua consapevolezza del mendacio.
b) I poteri impeditivi:
secondo requisito – alla luce della responsabilità omissiva di cui all’art. 40
comma 2 c.p. - é la titolarità al potere impeditivi: cioé, la disponibilità di
al mero controllo relativo all’adeguatezza ed affidabilità del sistema amministrativo e contabile) l’ausilio
di “auditors” (legati da vincolo di rapporto subordinato o di prestazione professionale, connotati dai
medesimi requisiti di indipendenza, atteso il rinvio all’art. 2399), destinati ad incarichi piuttosto ampi:
“specifiche operazioni di ispezioni e di controllo” (art. 2403 bis, comma 4).
70 Sottolinea la Relazione: “ Tra il soggetto incaricato del controllo contabile e il collegio sindacale è
prevista una tempestiva circolazione delle informazioni (art. 2409 septies), che si estende anche agli
organi che amministrano la società (art. 2381, quinto comma, richiamato anche nei sistemi dualistico e
monistico)”.
71 l’art. 2403 bis comma 4) consente agli amministratori di rifiutare il ragguaglio soltanto con riguardo
agli “auditors” e non ai sindaci.
72 Tanto è stato esplicitato dalla disciplina delle soc. quotate ove, art. 148 TUIF., sono previsti sindaci
espressione della minoranza
20
strumenti atti ad impedire che l’evento criminoso sia portato ad avverarsi o
persegua le sue finalità illecite.
Quanto ai mezzi per ovviare ad eventuali atti anti-doverosi (possibilità
reattiva), ricordo:
- l’istituto della denuncia al tribunale, descritta dall’art. 2409 cod. civ. la
quale – fra le altre modifiche rispetto all’abrogata norma - viene estesa anche a
fatti dannosi verso società partecipate o collegate (facoltà propria sia del
Collegio Sindacale sia del Consiglio di Sorveglianza, cfr. art. 2409 terdecies
lett. e);
- la possibilità di impugnazione delle delibere a mente del nuovo art. 2377
cod. civ. con le modalità dell’art. 2378 cod. civ. 73 ovvero con la denuncia di
nullità dell’art. 2379 cod. civ. 74
- la possibilità di impugnare le delibere del Cons. di amministrazione,
inquinate da conflittualità foriera di danno (art. 2391 comma 3)
- la possibilità del Collegio Sindacale di segnalare anomalìe in seno alla
relazione che accompagna il bilancio a mente dell’art. 2429 e che – ove
riferito al compito di vigilare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo e
contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento – acquista un
notevole peso in materia di comunicazione sociale e di responsabilità
amministrativa dell’ente; e la analoga possibilità (slegata dalla cadenza del
bilancio, ma ancorata alla periodicità almeno annuale) del Consiglio di
sorveglianza, su fatti censurabili rilevati (art. 2409 terdecies lett. f);
- il dovere di convocare l’assemblea (previo avviso al Presidente del
Consiglio di amm.ne) qualora siano stati ravvisati fatti censurabili di rilevante
gravità e vi sia urgenza di provvedere (art. 2406 comma 2, punto innovativo
rispetto alla vecchia disposizione), anche se é scomparso il generale potere di
convocare l’assemblea, il consiglio di amministrazione, il comitato esecutivo,
di cui all’art. 151, comma 2 D. L.vo 58/98.
Infine, la concorrente responsabilità di terzi, non esclude quella del
sindaco ove siano riscontrati i tratti della sua colpevole condotta. Se é vero che
é stata modificata la funzione di controllo contabile 75 e che il compito che é
stato più sovente attribuito ad un revisore o ad una società di revisione (artt.
2403 e 2409 bis primo e secondo comma), tanto non sottrae al sindaco il
compito di necessario svolgimento dei suoi doveri, onde evitare la
responsabilità penalistica che gli é propria. 76
E’ degna di menzione - a proposito di una concorrente (o escludente)
responsabilità - la nuova categoria introdotta dalla riforma di cui alla legge
73 che prevede (comma 4), nella causa di merito, l’audizione obbligatoria dei sindaci da parte del
giudice ed, art. 24, delle disposizioni di procedura, la comunicazione ai sindaci della sospensione della
delibera.
74 Si tratta di un potere e di un dovere: l’obbligo discende dalla necessità di impedire un eventuale
evento illecito, ma la scelta dell’impugnazione è certamente discrezionale, anche nell’ottica del
costo/beneficio, con valutazione per il bene giuridicamente protetto e l’interesse dell’organismo
societario.
75 V. più esattamente gli artt. 2403, secondo comma, e 2409 bis, terzo comma nonché art. 2325 bis: che
precisa “ai fini dell'applicazione del presente Capo, sono società che fanno ricorso al mercato del
capitale di rischio le società emittenti di azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico
in misura rilevante”.
76 Al Sindaco è mantenuta una ingerenza nel controllo contabile per accertare i fatti di gestione, per
verificare l’adeguatezza del sistema organizzativo nel settore, per valutare l’attendibilità del bilancio in
ordine a cui deve redigere la reazione ex art. 2429 cod. civ.
21
262/05, ma sconosciuta alla legge fallimentare 77, dei “dirigenti preposti
alla redazione dei documenti contabili societari”.
Novero che é previsto in via diffusa e che, al di sotto della responsabilità
penale, ritrova nella novella una considerazione assai articolata ed importante.
La relativa disciplina relativa é trattata
a) dall’art. 154 bis per quanto trae alle soc. quotate e, per quel che attiene alle
responsabilità, si richiama quanti già in precedenza osservato, aggiungendo
- che ad essi deve essere fornito supporto di potere e di informazione adeguato
(art. 154 bis comma 4)
- che essi (come il direttore generale) ha l’obbligo di espressa attestazione di
veridicità su tutti i documenti contabili societari, cfr. art. 154 bis comma 2)
e,per quanto trae al bilancio, essi sono tenuti ad una apposita relazione da
allegarsi al bilancio o al bilancio consolidato , il cui modello sarà indicato da
CONSOB, di corrispondenza con le scritture contabili.
- che essi sono tenuti ad una responsabilità analoga a quella degli
amministratori
(oltre a quanto discendente dal rapporto di impiego, art. 154 bis comma 6).
b) (art. 15) dagli artt. 2434 cod. civ., relativamente all’ininfluenza
dell’approvazione del bilancio da parte dell’assemblea in merito
all’esperimento di azione di responsabilità; dall’art. 2635 (infedeltà a seguito
di dazione promessa o utilità), dall’art. 2638 (Ostacolo all’esercizio delle
funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza); art. 2621/2622 cod. civ. (con
modifica introdotta nuovo testo di legge);
c) nel contesto del diritto penale, dagli artt. 32 bis cod. pen. (interdizione
temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese,
conseguenti a condanne per violazioni dei doveri o per abuso dei poteri
connessi all’ufficio esercitato); 35 bis cod. pen. (sospensione dagli uffici
direttivi delle persone giuridiche e delle imprese); 622 comma 2 cod. pen.
(aggravante per gli esponenti societari nella rivelazione di segreto
professionale relativo all’impresa a cui sono preposti).
E’ evidente l’interposizione, tra sindaco ed amministratore, di un
soggetto che assuma primarie responsabilità (soprattutto in relazione ai fatti
contabili), con alleggerimento della posizione del sindaco 78, ma – nei termini
sopra espressi – sicuramente non dotato, in via astratta, di capacità
scriminante verso l’organo primario.
La dottrina ha sottolineato che la norma penale tutela interessi difformi
da quelli protetti dalla normativa civilistica (il caso è evidente nelle ipotesi di
reati plurioffensivi), donde la conseguenza che per l’accertamento della
77
Donde - salvo il caso di concorso di persone nel reato - l’assenza di relativa responsabilità penale a
titolo di bancarotta, dovendosi diversamente operare mediante interpretazione analogica in malam
partem.
78 Difficile è stabilire se questo soggetto rivesta caratteristica di organo “apicale” o meno, ai sensi del
D. Lgs. 231/01. Secondo opinione autorevole occorre vedere in concreto i poteri che lo statuto
riconoscerà a tali soggetti. Se l’atto costitutivo riconoscerà potere di rappresentanza o meno, di diretta
gestione, quali siano le sue facoltà in materia di bilancio. Se gli sia affidata soltanto una competenza di
alta specializzazione tecnica e no n discrezionale, ecc.
22
responsabilità dell’amministratore si richiede un’indagine dispiegata in
concreto, anche in ragione delle dimensioni strutturali dell’apparato societario
(e di eventuali distinzioni di competenze a livello di struttura), profilo che
giustifica, per un verso, la necessità della delega e, d’altro canto, delinea
l’effetto esimente dell’incarico 79.
E, per quanto direttamente rileva sulla bancarotta documentale
fraudolenta, non deve trascurarsi il ben diverso indirizzo, assai rigido, per
quanto attiene alla competenza documentativa e contabile, secondo cui la
responsabilità permane comunque in capo all’amministratore, perché su di lui
grava, a norma degli artt. 2214 e 2241 cod. civ., detto dovere, sicché ad esso si
accompagna anche l’onere di un’oculata scelta del professionista incaricato ed
alla connessa eventuale culpa in eligendo, ed anche quello di controllarne
l’operato (responsabilità che, giusta la posizione di garanzia, rileva anche nel
contesto di fattispecie a sfondo volontario) 80.
f) Il revisore contabile
La posizione del revisore è, innanzitutto, circoscritta dagli obblighi
contrattuali discendenti dalla convenzione con la società.
I revisori sono notoriamente (cfr. art. 2409 bis) preposti al controllo
contabile sulle società (purché non adottino il sistema monistico o dualistico),
con una funzione ormai autonoma, anche concettualmente, rispetto a quella
sindacale 81.
Il contenuto del controllo dispiegato dai revisori (o, in loro mancanza dal
collegio sindacale) è previsto dall’art. 2409 ter: verifica, almeno trimestrale
della contabilità e della rilevazione nelle scritture dei fatti di gestione; verifica
della corrispondenza delle scritture con i dati di bilancio (d’esercizio e
consolidato). A quest’ultimo compito si riferisce la norma penale, poiché il
controllo si condensa in un documento scritto depositato presso la sede della
società (art. 2429).
La responsabilità civile (e salva quella penale) è regolata dall’art. 2409 sexies
e parificata a quella dei sindaci: responsabilità contrattuale verso la società ed
extra-contrattuale verso i soci e verso i terzi.
Di rilievo è segnalare che la recente riforma, portata dall’art. 27, commi 1, 2 e
4, d.lgs. n. 39 del 2010 (entrata in vigore in data 7 aprile 2010) 82, ha
79
cfr. SANTORIELLO, I reati, cit., 161
Cass. pen., sez. V, 10 luglio 2007, Centola, Rv, rv. 237105, Cass., Sez. V, 27 gennaio 2005, De
Franceschi, Rv 231707; Cass., Sez. V, 1 ottobre 1998, Mollo, Rv.. 212147, ecc. .
81
Invero, al revisore sono assegnati anche compiti del tutto estranei a quelli tradizionalmente propri del
sindaco, per tacere dell’onere di stima nella determinazione del valore delle azioni del socio recedente
(art. 2437 ter, comma 2), nella determinazione del prezzo di emissione, in mancanza di diritto di opzione
per società quotate (art. 2441, comma 4), essendo il revisore destinatario di relazione di amministratori
nel caso di aumento di capitale con esclusione/limitazione di diritto di opzione (art. 2441 comma 6),
assume diretto rilievo l’attività di comunicazione sociale nella formazione del patrimonio separato (2447
ter) e, soprattutto, nella relazione sul rendiconto finale della gestione del patrimonio separato (art. 2447
novies), ecc.
82
La nuova disciplina, dettata dall’art. 27, ora (comma 3) presenta il reato quale ipotesi aggravata del
paradigma precettivo comune a tutte le società oggetto di revisione, in ragione della specifica tipologia
della società oggetto di revisione, qui identificata come «ente di interesse pubblico» (riproponendo la
medesima previsione sanzionatoria dell’abrogato art. 174-bis).
80
23
riformulato l’art. 174-bis, commi 1 e 2, T.U.F., con abrogazione sia dell’art.
2624 cod. civ. (Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di
revisione) sia dell’art. 174 bis TUF (Falsità nelle relazioni o nelle
comunicazioni delle società di revisione di società con azioni quotate o da
queste controllate o che emettono strumenti finanziari diffusi tra il pubblico),
ha escluso la responsabilità ‘amministrativa’ ex art. 25-ter d.lgs. n. 231 del
2001 83.
Come i sindaci, anche i revisori sono soggetti “propri” e tenuti quindi
agli obblighi discendenti dalla peculiare “posizione di garanzia”. Il che
significa che, nel contesto del mandato loro conferito dal legislatore, hanno un
generale obbligo di impedire l’evento dannoso. Ma la loror responsabilità per
l’eventuale falsità documentale è immediata: ad essi è fatto obbligo di
verificare, “nel corso dell’esercizio”, con periodicità almeno trimestrale, la
corretta rilevazione nelle scritture contabili dei fatti di gestione (art. 2409 ter,
primo comma, lett. a), sicché la loro azione viene a precedere
sistematicamente quella degli amministratori (come già disposto dagli artt. 155
del D. L.vo 58/98), con anticipazione del loro intervento rispetto all’originaria
disciplina (che accennava ad una ‘certificazione’ ex post dei bilanci): l’omessa
rettifica, pertanto, diviene una condotta inserita nella serie causale che
conduce all’evento illecito (il falso annidatosi in una posta contabile, si riflette
sull’intera comunicazione sociale e la mancata emenda di detta posta inquina
Tutto ciò a prescindere dal
la complessiva informazione societaria). 84
mendacio nella relazione di revisione, che tende a coprire quella appostazione.
La disciplina penalistica sembra consentire l’estensione anche alla
revisione volontaria e non meramente obbligatoria. 85
Come per le false comunicazioni sociali, questa figura si biparte in
reato di pericolo (protesa al danno) tratteggiata come contravvenzione (comma
1) ed ipotesi delittuosa ove il danno si verifichi (comma 2). 86 Il parametro per
la valutazione del mendacio è lo stesso degli art. 2621/2622, anche se il
compito del revisore è concettualmente difforme da quello del redattore di
bilancio.
I soggetti sono, oggi, coloro che hanno effettuato il controllo contabile
e, dunque, con rinvio all’accertamento in concreto dell’individuazione di
costoro, senza riferimento alle deleghe interne. Diversamente dall’art. 175 D.
L.vo 58/98 che limitava la responsabilità agli “amministratori ed i soci
responsabili della revisione” (ma potrebbero verificarsi anche casi di revisione
83
Così ha affermato Cass. Sez. Un., 23.6.2011, Deloitte, Rv. 250347.
Si osservi, ancora, che la funzione del revisore è oggi contrassegnata dalla continuità dell’ attività che
precede la redazione del bilancio, in guisa da accompagnarne la formazione prima della sua
pubblicazione.
85
Il D. L.vo 58/98 per le società quotate aveva espressamente risolto la controversia che in passato aveva
diviso la dottrina, stabilendo che le norme dovessero riferirsi soltanto alle ipotesi di revisione
obbligatoria o ai casi in cui la legge la disponesse quale condizione per l’esercizio di determinate attività
per l’ottenimento i benefici o agevolazioni. Ma questa normativa è espressamente limitata alle società
quotate (cfr. art. 179 comma 3), sicché oggi non esiste alcuna ragione per circoscrivere il terreno
applicativo della norma, con esclusione delle revisioni facoltative.
86
L’ampliamento cospicuo della funzione di revisione, disposto dalla riforma societaria, può lasciar
credere ad una forte applicazione della norma penale. In realtà la funzione di controllo “in itinere” della
contabilità sociale, sposta l’interesse penale alla formazione del bilancio e lascia intravedere piuttosto
una più estesa possibilità di violazione concorsuale con il soggetto “proprio” degli artt. 2621/2622.
84
24
parziale o settoriale di relazioni o di comunicazioni sociali: soltanto in questo
ristretto ambito può ravvisarsi la responsabilità penale del revisore). 87
La norma protegge gli interessi patrimoniali dei destinatari della
comunicazione sociale, che tramite il mendacio, potrebbero essere lesi (ed è
l’ipotesi delittuosa) ovvero messi a repentaglio la loro integrità (ed è il caso
della contravvenzione)
In tema di concorso del revisore nel reato proprio dell’imprenditore, il
giudice deve dare riscontro alla volontarietà della propria condotta di apporto
a quella dell’intraneus, a cui è contestato l’asservimento della funzione
certificativa alle istanze illecite dei preposti al gruppo oggetto di revisione.
In tal senso l’autonoma opera di compiacente verifica dei dati contabili svolta
dal revisore, istigato al mendacio, non esclude in alcun modo la penale
responsabilità del preposto alla società oggetto della revisione, interessato ad
un esito indi infedele revisione. La concorrente negligenza ed imperizia delle
società di revisione non esclude in alcun modo la rappresentazione
ingannevole loro fornita dal l’imprenditore.
g) I liquidatori.
Soggetti previsti per l’epilogo dell’attività societaria 88, hanno poteri
del tutto analoghi a quelli degli amministratori, ovviamente finalizzati più
direttamente alla salvaguardia dell’interesse dei creditori ed all’equa
ripartizione dell’asse attivo. 89
Sono posti in una posizione di garanzia, analoga a quella degli
amministratori, dunque, soggetti al dovere di intensa reazione da parte loro
(comprensivo della predisposizione di idonea organizzazione) per impedire
l’illecito pregiudizievole per soci, creditori e terzi.
Essi (come gli amministratori) sono penalmente responsabili delle
condotte di tutti coloro che abbiano agito - in via di diritto o di fatto - per
conto di un ente successivamente fallito in tutti i casi nei quali, pur essendone
inconsapevole, non abbiano fatto tutto quanto in loro possibilità per attuare
una efficace vigilanza ed un rigoroso controllo, ovvero non abbiano imposto
un'organizzazione idonea non soltanto al raggiungimento degli scopi sociali,
87
Occorre rammentare che, nonostante qualche indicazione normativa, i revisori sono organi esterni alla
società ed ad essa legati da rapporto contrattuale e non organico. Sono previste situazioni di
incompatibilità e decadenza (art. 2409 quinquies) le quali, nei casi di società di revisione, debbono
verificarsi per ogni socio o dipendente (operativo) della stessa. La formula legislativa, per quanto
attiene alla revisione prevista per il D. L.vo 58/98 (per le società quotate) non comporta alcuna modifica
rispetto al passato, dal momento che ogni relazione del revisore deve esser sottoscritta dal responsabile
della revisione, il quale deve essere socio o amministratore della società (art. 156 uc.)
88
Costoro sono ben distinti dalla figura prevista per il concordato preventivo, nominato ai sensi dell’art.
182 l. fall., che non è soggetto attivo dei reati di bancarotta, in quanto non può essere ricompreso nella
categoria dei liquidatori di società. Cfr. Cass. pen., sez. un., 30 settembre 2010, Corsini, in Foro it.,
2011, II, 149.
Sui liquidatori cfr. recentemente Cass. Sez. V, 14.6.2011, Scuoppo, Rv. 250389.
89
su questi soggetti cfr. in dottrina NAPOLEONI, I reati societari, I. Giuffré, 1991, 593; DI GIOVINE,
L’estensione delle qualifiche soggettive, in I nuovi reati societari, diritto e processo, a cura di
GIARDA/SEMINARA, Utet, 2002, 48; MUCCIARELLI, La tutela penale del capitale sociale, Il nuovo
diritto penale delle società, a cura di ALESSANDRI, 338; ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale
dell’economia, Giuffré, 2006, 249, DAMINI, Art. 2633, in I nuovi reati societari, a cura di
LANZI/CADOPPI, Utet, 2002, 122, ecc.
25
ma anche ad impedire che vengano posti in essere atti pregiudizievoli nei
confronti dei soci, dei creditori e dei terzi . 90
Nel caso in cui è formalmente omessa la procedura di liquidazione emerge
evidente la responsabilità di chi, in via di fatto, agisce nella sistemazione dei
rapporti pendenti e nella operazione di liquidazione. 91
h) L’Institore
Tra i possibili collaboratori dell’imprenditore la legge prende in
considerazione soltanto l’institore (art. 2203 cod. civ. 92), soggetto che
appartiene all’area della bancarotta impropria, poiché l’oggetto materiale del
reato non è riferibile al patrimonio personale del fallito (non assumendo alcun
rilievo la manomissione dei propri beni personali o di quelli di società di cui
egli è formale amministratore).
Per costui è predisposta specifica fattispecie di rilevanza penale, l’art.
227, che lo rende direttamente ed autonomamente responsabile (anche senza
l’apporto dell’imprenditore, ovvia permanendo la responsabilità a titolo di
concorso se agisca di intesa con il proponente) degli illeciti descritti dagli art.
216 e 217 (ed anche della violazioni di cui agli art. 218 e 220 93).
La fonte dei suoi poteri è la procura institoria (che non richiede
l’adozione di forme solenni, né la sussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato tra l’institore e l’imprenditore 94). Se la procura non sia iscritta nel
registro delle imprese, si applica l’art. 2206 co. 2 cod. civ., senza che la
circostanza possa attestare l’inesistenza del rapporto institorio 95.
L’accertamento della effettiva qualità soggettiva discende dai poteri in
concreto assegnatigli, al di là dell’indicazione nominalistica nell’atto di
preposizione 96. Cosicché non potrà imputarsi per esempio la violazione agli
obblighi contabili, ove essi non siano dedotti nell’atto di preposizione 97.
Occorre rammentare che “la nomina di un institore non esclude la
responsabilità del titolare dell’impresa per gli atti dallo stesso compiuti,
evincendosi dal sistema, ed in particolare dall’art. 2208 cod. civ., che
l’imprenditore risponde in via presuntiva di tutti gli atti compiuti in suo nome
nella sede dell’impresa stessa, per essere a lui riferibili, secondo i principi
fondamentali dell’apparenza giuridica e dell’affidamento, le attività svolte da
coloro i quali, a qualsiasi titolo, agiscano nella suddetta sede quali suoi
90
così Cass., Sez. V, 8 novembre 2007, Pirro, in Cass. Pen., 2009, 3984; meno rigorosa è, invece, Cass.
Sez. V, 12. dicembre 2005 Procacci, Rv. 233758 relativa alla posizione di amministratore secondo cui dal punto di vista soggettivo - è suscettibile di censura penale soltanto se sia raggiunta la prova che il
liquidatore abbia la generica consapevolezza che l’amministratore effettivo distraeva, occultava,
dissimulava, distruggeva o dissipava i beni sociali, esponeva o riconosceva passività inesistenti.
91
SANTORIELLO, I reati, cit., 158.
92
In merito cfr. BELVISO, L’institore, Napoli, 1966; CASANOVA, Lineamenti della figura giuridica
dell’institore, Studi in onore di Carnelutti, Padova, 1950, III, 409)
93
CONTI, Diritto penale, cit., 56; PEDRAZZI, I reati, Art. 227, cit. pag. 351; SANTORIELLO, I reati,
cit., 52.
94
Cass., sez. lav., 27 febbraio 2003, n. 3022.
95
Cass., Sez. V, 15 giugno 1967, Falasco, Rv. 105470.
96
CASANOVA, Lineamenti, cit., 409; PEDRAZZI, I reati, cit., 351.
97
ANTOLISEI, Manuale, cit., ed. 2001, pag. 146.
26
incaricati o che, ragionevolmente, possano essere considerati tali” 98. Pertanto,
l’imprenditore mantiene posizione di garanzia verso i creditori ed i terzi
(argomenta anche da art. 2205 cod. civ. che dispone di una responsabilità
comune a imprenditore ed institore), anche per gli atti compiuti dall’institore,
nei confronti della cui attività egli deve esercitare costante controllo 99 e la cui
responsabilità può essere affermata in concorso con l’imprenditore (Cfr. Cass.,
Sez. V, 21 giugno1971, Gombi, rv. 119087) 100.
L’institore è responsabile del reato di bancarotta impropria perché è
depositario di poteri di rappresentanza (art. 2204), operando quale preposto
(sia della sede principale sia di una sede secondaria sia di un ramo particolare
di essa), pur non essendone il titolare: la sua fisionomia è del tutto prossima a
quella del gestore di fatto 101, la presenza di una procura institoria sancisce la
differenza tra i due soggetti.
Secondo il giudice di legittimità “l’art. 227 l. fall., nel prevedere i reati
fallimentari dell’institore, non fa distinzione alcuna fra institore preposto
all’esercizio di tutta l’impresa commerciale, di cui al 1º comma dell’art. 2203
cod. civ. ed institore la cui preposizione sia limitata all’esercizio di una sede
secondaria o di un ramo particolare dell’impresa, di cui al 2º comma del
medesimo articolo: anche questa più circoscritta preposizione institoria può
quindi, per il principio che ove la legge non distingue non può distinguere
l’interprete, dar luogo a responsabilità ai sensi dell’art. 227 l. fall.” 102
Condizione essenziale per l’affermazione della responsabilità penale
dell’institore è la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore (o della
società) proponente.
La sua funzione è del tutto analoga a quella dell’amministratore, tanto
che non sussiste violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa
e sentenza di condanna, allorché l’imputato sia tratto a giudizio per reati
fallimentari come gestore di fatto di una società cooperativa e sia invece
ritenuto colpevole nella qualità di institore 103.
La sua responsabilità prescinde dall’estensione dell’incarico: la
giurisprudenza ha affermato che “l’art. 227 l. fall., nel prevedere i reati
fallimentari dell’institore, non fa distinzione alcuna fra institore preposto
all’esercizio di tutta l’impresa commerciale, di cui al 1º comma dell’art. 2203
c.c. ed institore la cui preposizione sia limitata all’esercizio di una sede
secondaria o di un ramo particolare dell’impresa, di cui al 2º comma del
medesimo articolo: anche questa più circoscritta preposizione institoria può,
quindi, per il principio che ove la legge non distingue non può distinguere
l’interprete, dar luogo a responsabilità ai sensi dell’art. 227 l. fall.” 104
98
Cass., sez. trib., 15 marzo 2006, n. 5671.
PEDRAZZI, I reati, cit., art. 227, 346, cit.
100
Cfr. Cass., Sez. V, 21 giugno1971, Gombi, CED Cass. 119087.
101
cfr. Cass., sez. V, 24 giugno 1992, Santelli, in Riv. pen. economia, 1993, 349, che ha ritenuto: “Non
sussiste violazione dell’art. 477 c.p.p. del 1930 allorché l’imputato sia tratto a giudizio per reati
fallimentari come gestore di fatto di una società cooperativa e sia invece ritenuto colpevole nella qualità
di institore”.
102
Cass., sez. V, 24 giugno 1992, Santelli, in Riv. pen. economia, 1993, 349
103
Cass., Sez. V, 24 giugno 1992, Santelli, cit., 349.
104
Cass. Sez. V, 24 giugno 1992, Santelli, cit. 349
99
27
Autorevole dottrina afferma che l’accertamento della qualifica soggettiva
dell’institore è esclusivo onere del giudice penale, esulando dal contenuto
della sentenza dichiarative del fallimento dell’imprenditore. 105
Per l’institore l’art. 227 l. fall. formula un rinvio assai più contenuto alle
altre fattispecie fallimentari, limitandolo ai soli art. 216, 127, 218, 220 e non a
quelle modellate su fattispecie di reati societari, per i quali la figura in
discorso non è espressamente richiamata.
I commessi (art. 2210 cod. civ.), pur collaborando alla gestione, non
assumono le responsabilità dell’institore, attesi i più limitati poteri di
rappresentanza. Essi, possono - al più - concorrere nelle condotte illecite
dell’imprenditore ovvero assumere (previa compiuta verifica) i tratti
dell’amministratore di fatto e rispondere ai sensi dell’art. 2639 cod. civ.
i) Il soggetto terzo.
Non vi è dubbio, sia in dottrina sia in giurisprudenza, che anche per i
reati fallimentari è ravvisabile la fattispecie concorsuale di cui all’art. 110 (o
117 106) cod. pen., sicché chiunque, ancorché sprovvisto della qualifica
‘propria’, è soggetto passibile della responsabilità del reato fallimentare,
purché ricorra non soltanto la prova di un apporto causale (anche soltanto per
la fase preparatoria dell’illecito 107 rispetto all’evento illecito, ma anche la
dimostrazione della necessaria rappresentazione cognitiva dei profili tipici
della condotta vietata 108.
Non incide sulla penale responsabilità, quindi, nel delitto di bancarotta
fraudolenta, la qualifica soggettiva di colui che abbia materialmente
partecipato alla distrazione dei beni cooperando con l’imprenditore o altro
soggetto qualificato nella realizzazione delle condotte tipiche della
fattispecie. 109
105
PEDRAZZI, I reati, cit., 162.
Per il profili di applicazione dell’art. 117 c.p., nel caso di mutamento del titolo di reato a causa delle
qualità personali dell’autore, purché vi sia consapevolezza della qualifica “propria” del soggetto con cui
concorre; diversamente si applica la disciplina dell’art. 117 cod. pen. ANTOLISEI, Manuale, cit.., 170;
v. GRASSO, Art. 117, in Commentario sistematico del codice penale, a cura di ROMANO/GRASSO,
Giuffré, 1996, p. 225; in giurisprudenza cfr. Cass. Sez. V, 21 gennaio 1998, Cusani, in Guida al dir.,
1998, 85..
107
Cass., Sez. V, 26 giugno 1980, Marzano, Rv.. 146248
108
Per es. Cass., Sez. V, 9. dicembre 1991, Rampino ed altri, Rv.. 188871; Cass. Sez. V, 12 maggio
1999, Manca, Rv 213651 (in tema di reati societari); e per il comparto penal/fallimentare per es. Cass.,
Sez. V. 19 marzo 1999, PM/Bortoletti, Rv.. 213811; Cass. Sez. V, 22/ aprile 2004, Bertuccio, Rv..
228905, che richiede (in tema di distrazione patrimoniale fraudolenta), per affermare la penale
responsabilità del terzo, la prova del dolo “desumibile dalla conoscenza, da parte dell'agente, dello
stato di decozione della società”. Analogamente Cass. , Sez. 5, 27ottobre 2006, Tisi, Rv.. 235766 che
afferma (motivazione): “… per la corretta valutazione della posizione dell’extraneus, il giudice deve
giovarsi di una rigorosa dimostrazione del sufficiente contenuto rappresentativo dell’elemento
psicologico, focalizzato sul concreto rischio di insolvenza, anche se non qualificato da una specifica
volontà di cagionare danno ai creditori dell’imprenditore”.
109
Dottrina e giurisprudenza assolutamente costanti, cfr. tra i molti LO CASCIO, Il Fallimento e le altre
procedura concorsuali, Ipsoa, 2007, 1289; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Leggi
complementari, Giuffré, 1998, 168 E SS.; BRICCHETTI-TARGETTI, Bancarotta e reati societari,
Giuffré, 2003, 10 e ss., ecc. Cass. Sez. V, 26.6.1990, Bordoni, Cass. pen., 1991, 828; Cass. Sez. 5, 1
dicembre 1970, Berti, Rv.. 116001;153256; Cass., Sez. V, 15 febbraio 1981, Osella, in Riv. pen., 1983,
119; Cass., Sez. V, 27 febbraio 1992, Capriolo, Mass. In Cass..pen., 1992, Rv.. 189959; Cass. Sez. V, 9
marzo 2003, Martino, Rv.. 231699, ecc.
106
28
Tanto che si è affermato esser inutile indagare se questo concorso
dovesse configurarsi come dell’”estraneo” ovvero dell’”intraneus” 110,
conclusione che - nella sua generalità - non può essere accettata: la differenza
tra le due posizioni è di pratico rilievo quando non risulti punibile il
concorrente soggetto “proprio” ed il soggetto estraneo sia privo dei requisiti
qualifica che autorizzino a costui l’addebito della fattispecie “propria” e,
quindi, egli risulti immune dalla responsabilità descritta dalla stessa. 111
E’ evidente che l’apprezzamento del fatto soggettivo, in chiave di dolo
eventuale, può lasciare forti ambiti di soggettività valutativa e che risulta
arduo fornire parametri e regole astratte per definire la responsabilità, senza
che il giudizio si àncori a paradigmi propri della colpa in contesti a sfondo
esclusivamente volontario.
Fuori dall’ipotesi di una assoluta passività del soggetto di diritto ed una volta
esclusa l’univocità indiziante dell’accordo che consente all’amministratore di
diritto di associarsi ad un altro operatore più o meno occulto – l’applicazione
dell’art. 40 co. 2 c.p. richiede una qualche cautela.
Invero, come si è accennato, è necessaria la prova della rappresentazione
dell’evento illecito per cui è doveroso l’impedimento. Prova che può essere
“ridotta” anche alla dimostrazione della percezione di meri “segnali di
allarme”, purché per essi si dia verifica 112 di seria congruenza se non di
univocità attestativi di un illecito in atto o quantomeno in fase progettuale.
Si richiamano al riguardo le osservazioni dianzi svolte.
Ma mette conto soffermarsi sulla responsabilità - a titolo di bancarotta
- di chi, agisce al di fuori di una relazione qualificata con la struttura
societaria.
110
Cass. Sez. V, 28 giugno 1993, Trovero, cit. VENEZIANI, art. 2639, cit., p. 309 ritiene praticamente
inutile l’apporto innovativo dell’art. 2639, ricadendo la maggior parte dei casi in una fattispecie
concorsuale regolata ai sensi dell’art. 110 c.p. Non può sottacersi nel presente contesto Cass. Sez. V, 4
ottobre 2006, Massimiliano, Rv.. 235023 secondo cui “nei confronti dell'estraneo, ovvero di soggetto
non qualificato alla gestione dell'impresa, è impossibile avvalersi di presunzione connessa agli obblighi
imposti all'amministratore dalla legge civile, e quindi ritenere risolutiva per la prova di responsabilità
per bancarotta, la sua mancata giustificazione del destino dei beni e dei valori non rinvenuti all'atto del
fallimento, e circa la tenuta o la sorte dei libri sociali”. Opinione che forse trascura la prensione
punitiva della fattispecie dettata dall’art. 232 co. 2 l. fall., addebitando all’estraneo che pregiudichi gli
interessi patrimoniali dei creditori la “minore” responsabilità propria della ricettazione fallimentare.
Ovvero che, per converso, può rendersi discutibile quando l’azione illecita sia rapportabile all’omissione
del soggetto di diritto, obbligato ad impedire il danno alla massa creditori perpetrato mediante l’azione
dell’estraneo e tenuto, anche in questo caso alla peculiare valutazione della mancata giustificazione del
disavanzo ingiustificato. Sull’applicazione anche all’amministratore di fatto del meccanismo probatorio
vigente nel caso di mancata giustificazione delle destinazione dei beni non reperiti nell’asse fallimentare
Cass., sez. V, 4 giugno 2004, Squillante, in Riv. pen., 2004, 799; Cass. Sez. V, 4 giugno 2004, Galasso,
Rv.. 228713.
111
Al riguardo dei rapporti tra amministratore di fatto ed extraneus la SC. ha affermato “Non integra la
violazione del principio di correlazione tra reato contestato e reato ritenuto in sentenza, previsto
dall'art. 521 cod. proc. pen., la decisione con la quale sia condannato un soggetto quale concorrente
esterno in un reato di bancarotta fraudolenta, anziché quale amministratore di fatto, qualora rimanga
immutata l'azione distrattiva ascritta, atteso che il soggetto che non risulti essere amministratore di fatto
può certamente aver concorso come "extraneus" nel delitto di bancarotta’ (giurisprudenza ormai
consolidata, ex multis Cass. pen., sez. I, 25 novembre 2009, Ascanio, Rv. 245957).
112
Ben diverso sarebbe l’argomento ove il mutamento della tipologia di merce assumesse rilevanza
integrando una variazione dell’oggetto sociale o esprimesse i tipici sintomi di una preordinazione dolosa
del fallimento, con acquisto di merce di disparata natura ed interesse commerciale per la società (essendo
l’acquisto finalizzato esclusivamente all’incetta della stessa a credito per una rapida esitazione
fraudolenta). Cfr. al riguardo. Cass. Sez. V, 23 febbraio 1995, Barducco ed altri, Rv.. 201057.
29
Si pensi a chi agisce in forza di incarico ricevuto dal’amministratore, come il
professionista interpellato per singoli incombenti. 113
Per questi l’ambito di responsabilità discende dal negozio che gli assegna
l’incombente, sicché egli non risponde per fatti ad esso esterni, ascrivibili a chi
direttamente commette l’illecito.
Ma esistono situazioni peculiari in cui interagiscono obblighi generali
che incidono sul metro di giudizio da assumere: per esempio, per ciò che
riguarda la posizione del legale del fallito, si osserva che egli non può esser
ritenuto responsabile per non aver dissuaso il cliente dal commettere condotte
illecite, non disponendo di posizione di garanzia.
Né egli è imputabile di essersi limitato, di fronte alla istanza del cliente, ad
esporre - in via astratta - i tratti della illiceità della condotta 114.
Diversamente deve concludersi, se egli assista il cliente nella esplicazione di
atti strumento della illecita condotta (es. negozi simulati) 115, ovvero, prima
della commissione dell’illecito, esponga consigli per sottrarre il cliente
all’accertamento del disegno criminoso.
Nel caso in cui al professionista commercialista o legale a cui sia stata
consegnato il compendio documentale da parte del soggetto e che sia estraneo
ad ogni concerto al riguardo, di cui in seguito viene dichiarato il fallimento,
non risponde di bancarotta documentale per sottrazione se egli omette - al
curatore che gliene domanda conto - di dichiarare la disponibilità del corredo,
in primo luogo, perché egli non è il soggetto del reato di bancarotta 116 ed,
inoltre, perché assume un dovere di segretezza nei confronti del suo cliente.
All’opposto è a dirsi se la condotta segua ad una preordinata intesa fraudolenta
con il cliente. 117
La giurisprudenza annovera decisioni coinvolgenti i destinatari di
erogazioni liberali (che, per loro natura si profilano come oggettivamente
appartenenti all’area della dissipazione), postulando - al fine di sancire la
relativa responsabilità - la consapevolezza del concreto rischio di insolvenza
in cui versa l’impresa o l’esponente della società erogatrice. 118
Milano, 23 gennaio 2012
Gian Giacomo Sandrelli
113
Il concorso del professionista nel reato fallimentare commesso dall’imprenditore dichiarato fallito è
affermato da giurisprudenza consolidata: Cass., Sez. 5, 11 marzo 1988, Pennati, in Riv. pen., 1989, 316;
Cass., Sez. V, 19 aprile 1988, in Giust. Pen., 1989, II, 397; Cass. Sez. V, 22 ottobre 1986, Sonson, in
Cass. Pen., 1988, 927 ; Cass. Sez. V, 25 maggio 1987, Bevilacqua, in Cass. Pen., 1988, 1539, ecc.
114
cfr. Cass., Sez. V, 17 ottobre 1958, Ferro, in Giust. Pen., 1959, II, 191.
115
cfr. Cass., Sez. V, 3 dicembre 1998, Minieri, in Fisco, 1999, 1537
116
Infatti, l’art. 88 co. 3 della legge fall. non prevede quale destinatario dell’interpello del curatore altri
che non sia il fallito o gli amministratori di società fallita.
117
Delicata è la configurazione del concorrente ‘terzo’ nel caso di preordinazione dolosa,
dovendosi necessariamente richiedere la consapevolezza della volontà protesa al fallimento
nell’azione che impoverisce l’asse concorsuale, per le operazioni dolose è postulata la
contezza dell’antidoverosità dell’operazione in riferimento all’interesse della società.
118
V. per es. Cass. Sez. 5, 22 aprile 2004, Bertuccio, Rv. 228905
che ha ravvisato il
concorso dell’extraneus nel fatto di avere ricevuto somme di denaro (a titolo di regalia)
dall’imprenditore di poi fallito. E’ stata richiamata la natura generica del dolo mentre altra
decisione (Cass., Sez. 5, Tisi, Riv. 250586) richiede la rappresentazione dello stato di
difficoltà dell’impresa, il cui impoverimento è idoneo a cagionare il dissesto.
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