La responsabilità dei soggetti “estranei” alla struttura sociale con particolare riguardo alle figure del commercialista, dei revisori, dei sindaci e dei consiglieri non esecutivi. a) Premessa. E’ pregiudiziale al tema la definizione di ‘soggetti estranei alla struttura sociale’, perplessità che può sorgere riscontrando nel novero tipiche espressioni dell’organizzazione societaria, come gli amministratori non esecutivi, i sindaci, ecc. Ritengo, quindi, che l’estraneità debba essere parametrata sulla funzione tipicamente gestoria, che è il cuore propulsivo dell’azione dell’organismo e che, modella una prospettiva di riflessione più ampia e, forse, più interessante. b) La posizione di garanzia in capo ai soggetti del reato di bancarotta. Linee generali. I reati previsti dal codice civile e dalla legge fallimentare sono nella massima parte a “soggettività propria” (fanno eccezione, per il novero delle fattispecie societarie, l’art. 2623, 2636, 2637 cod. civ. e, per la legge fallimentare, l’art. 232 e 236 l. fall.), condotte che sono disegnate dal legislatore penale non per “chiunque”, bensì per quanti possiedono una certa qualifica pre-determinata (amministratore, direttore generale, sindaco, liquidatore, dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, responsabile della revisione, socio conferente; imprenditore, institore, curatore, coadiutore, ecc.) per la quale il codice civile o la legge fallimentare dispiegano specifica disciplina. Pertanto, la carenza della specifica qualifica dettata dalla fattispecie di bancarotta impedisce il sorgere della penale responsabilità, salvo che per altro eventuale titolo, ovvero, salvo che per la fattispecie concorsuale dell’art. 110 c.p., ovvero per il caso del cd. “soggetto di fatto”. La configurazione della responsabilità di questi soggetti ‘propri’ per ciò che concerne l’organismo societario - è racchiusa nelle norme del codice civile (o disposizioni sulla disciplina concorsuale) a cui, implicitamente, la legge fallimentare rinvia nell’evocare le qualifiche societarie di ciascuno di costoro, per gli altri (es. curatore, commissario, liquidatore, ecc.) dalla legge fallimentare o da statuti ed asse comparabili: le mansioni, la tutela connessa al ruolo di questi esponenti societari e la correlativa responsabilità verso i creditori sono pur essi capitoli della normativa civilistica e fallimentare. Si è soliti affermare che l’obbligo gravante su costoro deriva dalla ‘posizione di garanzia’ che essi assumono nell’accettare la carica societaria o di impresa. Affermazione che sottende la loro penale responsabilità per ogni illecito - per quanto qui interessa - a sfondo volontario, in caso di mancata adozione dei provvedimenti impeditivi dell’evento dannoso, ai sensi dell’art. 40, 2º comma, c.p., con immediato richiamo all’art. 40 cpv. c.p., norma che funge da nesso di causalità giuridica tra la condotta omissiva e l’evento. 1 Nei reati fallimentari la “posizione di garanzia” si pone a tutela degli interessi creditorî 1. Se più sono i titolari della posizione di garanzia ciascuno è, per intero, destinatario dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, con la conseguenza che, se è possibile che determinati interventi siano eseguiti anche da uno solo dei garanti, la verificazione dell’evento pregiudizievole grava su tutti gli altri 2 . Non sfugge che l’applicazione del principio di cui all’art. 40 cpv. c.p. é delicata e complessa: essa si svolge su un piano del tutto ipotetico (“controfattuale”) e fondato su parametri probabilistici (il giudice é tenuto ad accertare che, se l’azione doverosa omessa fosse stata realizzata, si sarebbe impedita la verificazione dell’evento di reato, quando il nesso tra omissione ed evento non sia interrotto da cause estrinseche del tutto anomale ed eccezionali che si collochino al di fuori della normale, ragionevole prevedibilità). La premessa - l“obbligo giuridico” - é rappresentata da norma espressa, ovvero consuetudinaria relativa alla disciplina dell’attività sindacale, ma la giurisprudenza 3 vi annovera anche le disposizioni convenzionali vigenti, o da regolamenti interni all’organismo, dalle disposizioni impartite da organi di vigilanza come CONSOB o BANCA d’Italia, ecc. La norma dettata dall’art. 40 cpv. cod. pen. è disposizione preposta a regolare il nesso di causalità tra azione/omissione ed evento: la regola generale che postula la rappresentazione e volizione dell’evento non subisce deroga, in assenza di espressa indicazione normativa. Ma la lettura giudiziale ammette la ricorrenza del fatto di rilevanza penale anche quando la conoscenza dell’evento non sia piena, ma presupposta o richiamata da inequivoci segnali (il cui significato è affidato alla professionalità del soggetto) 4. Diverso è il caso di delega di funzioni, nell’esercizio di un’attività di impresa: essa - se validamente (anche nella forma 5) rilasciata a soggetto dotato di competenza, a persona tecnicamente capace dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento 6 - esonera il 1 In dottrina, L. BAIMA BOLLONE, La delega di funzioni e il problema dei soggetti responsabili nel diritto penale dell’impresa, Reati societari a cura di A. ROSSI, Utet, 2005, pag.103 e ss.; CADOPPI, Il reato omissivo proprio, Padova, 1988, 773; A. ROSSI, La responsabilità penale dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo, in I reati societari, cit., pag. 66 e ss., soprattutto 71/72; PEDRAZZI SGUBBI, Commentario, cit., 265, ecc. 2 Giurisprudenza costante, da ultimo Cass., Sez. IV, 28.4.2005, Poli, Rv. 232416). 3 Cfr. ad es. Cass., Sez. 6, 21 maggio 1998, in Cass. pen., 2000, 40 : (C.p. art. 40). “In tema di reati omissivi il fondamento della responsabilità è correlato all’esistenza di \un dovere giuridico di attivarsi per impedire che l’evento temuto si verifichi. Il titolare di quest’obbligo versa in posizione di garanzia, le cui componenti essenziali costitutive sono: da un lato, una fonte normativa di diritto privato o pubblico, anche non scritta, o una situazione di fatto per precedente condotta illegittima, che costituisca il dovere di intervento; dall’altro lato, la esistenza di un potere (giuridico, ma anche di fatto) attraverso il corretto uso del quale il soggetto garante sia in grado, attivandosi, di impedire l’evento.” 4 Per es. è ragionevole ritenere che il sindaco apprezzi l’illogicità dell’iscrizione della voce “cassa” in negativo, e tanto deve sollecitare il dissenso del Collegio sindacale, nell’esame della bozza di bilancio 5 si ritiene inidoneo il conferimento in forma orale, Cass. pen., sez. III, 19 gennaio 2011, rv. 249536. 6 Cass. pen., sez. IV, 8 maggio 2007, Checconi e, più precisamente, “per attribuirsi rilevanza penale all’istituto della delega di funzioni, è necessaria la compresenza di precisi requisiti: a) la delega deve essere puntuale ed espressa, con esclusione in capo al delegante di poteri residuali di tipo discrezionale; b) il delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per lo svolgimento del compito affidatogli; c) il trasferimento delle funzioni delegate deve essere giustificato in base alle dimensioni dell’impresa o quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa; d) la delega deve riguardare non solo le funzioni ma anche i correlativi poteri decisionali e di spesa; e) l’esistenza della delega deve essere giudizialmente provata in modo certo (fattispecie nella quale la corte ha considerato inefficace l’atto di delega conferito ad un proprio dipendente dall’imputato, titolare di un impianto di 2 titolare dalle responsabilità penali connesse alla correlata posizione di garanzia. Si è, peraltro, affermato che la delega è istituto che può valere solo all’interno dell’impresa (per es. in materia di sicurezza dei lavoratori e degli ambienti di lavoro dell’azienda), non certamente in relazione a fatti esterni, perché il datore di lavoro non può trasferire ad altri (il delegato) la responsabilità che egli ha nei confronti di terzi diversi dai propri dipendenti, diversamente si consentirebbe di sottrarsi per via negoziale agli obblighi di garanzia nascenti dall’art. 40 c.p., intaccando in tal modo il principio di inderogabilità del precetto penale 7. Per quanto attiene alla delega in seno al Consiglio di amministrazione v. infra. La riflessione sulla posizione di garanzia merita un qualche maggiore scandaglio. La garanzia, infatti, non discende meccanicamente dalla carica assunta dal soggetto, bensì dal tessuto delle norme che la regolano. Essa configura – nel contesto della distribuzione dei compiti in seno all’impresa – una relazione peculiare con la funzione di questi soggetti. In altre parole, si risolve in uno specifico affidamento degli interessi sottesi alla gestione dell’organismo societario. Cioè in una già tipicizzata tutela del relativo bene giuridico di ciascun soggetto coinvolto dalla gestione dell’impresa 8. Al contempo, non vi è dubbio che questa tipicizzazione presiede, anche alla protezione della buona fede dei terzi (soprattutto nel contesto della insolvenza) nel solco del principio della “effettività” 9. La riforma in materia di Consiglio di amministrazione, organo collegiale ha, per un verso, nettamente distinto e maggiormente tipicizzato le funzioni di amministratore delegato dal ruolo di chi è privo di delega, e, d’altro canto, ha alleggerito la responsabilità di questi ultimi. Se da un lato l’art. 2392 cod. civ. non contempla più l’obbligo di vigilare sul generale andamento della gestione, d’altra parte insiste – quale canone informatore sull’organizzazione interna al consiglio di amministrazione – sul principio dell’”agire in modo informato” (art. 2381 u.c. cod. civ.), con il corollario per cui gli amministratori non operativi hanno il dovere (essi “sono tenuti ad agire in modo informato”) di richiedere le informazioni relative alla gestione societaria (essendo onere del presidente del consiglio di amministrazione di provvedere affinché dette informazioni vengano fornite a tutti i consiglieri, art. 2381 co. 1 cod. civ.), norma che riduce sensibilmente la responsabilità degli amministratori deleganti 10. produzione di rifiuti speciali non pericolosi, in quanto mancante dei predetti requisiti)” Cass., sez. III, 7 novembre 2007, Girolimetto, Rv. 238980. Ed, ancora, “In tema di bancarotta fraudolenta documentale l'imprenditore e - nel caso di bancarotta cosiddetta impropria - gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, non vanno esenti da responsabilità per il fatto che la contabilità sia stata affidata ad un soggetto fornito di specifiche cognizioni tecniche (commercialista), dovendosi logicamente presumere che la contabilità stessa sia stata redatta secondo le indicazioni date dai predetti soggetti, che restano, perciò, sempre responsabili della tenuta di una regolare e veritiera contabilità”, Cass. Sez. V, 15 dicembre 1993, Decenvirale, Rv. 197268. 7 cfr. Cass. pen., sez. IV, 27 settembre 2010, n. 34774 8 Cfr. L. BAIMA BOLLONE, La delega di funzioni, cit. 103 e ss.; CADOPPI, Il reato omissivo proprio, Padova, 1988, 773) 9 Cfr. Per es. Cass., Sez. V, 4 giugno 1998, Platania, CED Cass. 211447, in Cass. pen., 2001, 1622 10 Osservazione che vale anche per il diritto penale, considerando che la delega – in quanto prevista dal legislatore – consente di trasferire la posizione di garanzia al soggetto delegato. Ove, invece, detto trasferimento non sia legittimo (nei casi di indelegabilità delle funzioni) l’originaria posizione di tutela non viene meno rispetto a quella rivestita dal delegato. Cfr. al riguardo, in linea generale, GRASSO. 3 In questo senso, il delegato viene a rispondere quale soggetto diretto destinatario della norma incriminatrice penale. Mentre, la prova della responsabilità per omissione colpevole del consigliere non operativo modulata sullo schema dell’art. 40 cpv. c.p. - non potrà che riscontrare una previa sufficiente notizia dell’evento che l’amministratore ha obbligo giuridico di evitare, notizia che - secondo la fisiologia - discende dai canali informativi tipicizzati, essendo chiaro – tuttavia – che, a mente dell’art. 2392 co 2 cod. civ., permane la responsabilità del consigliere delegante che abbia aliunde appreso di fatti pregiudizievoli verso cui non ha esplicato adeguata azione volta ad impedirne l’avveramento o abbia formalizzato il proprio dissenso ex art. 2392 co. 3 cod. civ. Accertamento - si ribadisce - che deve esser svolto nei rigorosi termini di una rappresentazione compatibile con l’elemento volontario della fattispecie a cui è connessa l’omissione, non potendo il giudizio scivolare su profili di mera negligenza o imperizia che sono tipici della colpa 11, così – tra l’altro – frustrando la funzione dell’istituto della delega gestoria espressamente voluto dal legislatore della riforma 12. Da quanto sopra detto va esclusa ogni profilo di responsabilità oggettiva o da appartenenza all’organo. 13 Pertanto - seguendo la lettura della SC. - ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale nei confronti del sindaco di una società per il reato di bancarotta fraudolenta, la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere desunta solo dalla sua posizione di garanzia e dal mancato esercizio dei relativi doveri di controllo, ma postula l’esistenza di elementi, dotati del necessario spessore indiziario, sintomatici della partecipazione, in qualsiasi modo, all’attività del soggetto, ‘proprio’, ovvero dell’effettiva incidenza causale dell’omesso esercizio dei doveri di controllo rispetto alla commissione del reato da parte dell’amministratore 14. Non solo: la pluralità di organi e la pluralità i soggetti all’interno di un medesimo ente (consiglio di amministrazione, collegio sindacale, organi introdotti dalla riforma societaria) o al succedersi delle nomine nel tempo, obbliga il giudice ad un accertamento rigoroso delle responsabilità pertinenti all’azione di ciascun soggetto. In tal senso, la verifica giudiziale deve superare ogni presunzione formalistica: è di grande rilievo al riguardo la decisione per cui, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, è illegittima l’affermazione della responsabilità dell’amministratore fondata esclusivamente sul mancato rinvenimento all’atto della redazione dell’inventario da parte del curatore - di dati beni di cui Organizzazione aziendale e responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento, Archivio pen., 1982, 752. 11 Cfr. al proposito Cass., Sez. V, 4 maggio 2007, PM in proc. Amato ed altri, Rv 237251. Pertanto, per ciò che riguarda i sindaci l’informazione è garantita (in via meramente astratta) dall’art. 2405, che obbliga i sindaci ad assistere alle adunanze del Consiglio di amministrazione, alle assemblee ed alle riunioni del comitato esecutivo, con sanzione di decadenza più ampia che in passato, nel caso di assenza ingiustificata; alle assemblee degli obbligazionisti (art. 2415 uc.). L’inottemperanza é prodromica alla possibile ignoranza del fatto ma essa pone il sindaco nell’area della responsabilità. Circostanza che in sé non é ancora sufficiente a radicare la prova nei suoi confronti, salvo che non sia dimostrato che egli conoscesse l’oggetto della delibera e la sua illiceità (sì da dar vita ad un’actio libera in causa). 12 Cfr. anche le osservazioni, in linea generale, di BAIMA BOLLONE, La delega, cit., pag. 125. 13 Si ricorda, al contempo, che le ipotesi di bancarotta impropria semplice (sia per quanto attiene alla violazione ai doveri di corretta tenuta della contabilità societaria o all’aggravamento del dissesto per l’inosservanza di obblighi imposti dalla legge) sono qualificate, secondo costante giurisprudenza da responsabilità anche colposa. 14 Cass. pen., sez. V, 5 febbraio 2010, n. 15360, Tacconi, Rv. 246956. 4 la società abbia avuto il possesso in epoca anteriore e prossima al fallimento, qualora sia subentrato un nuovo amministratore con estromissione del precedente dalla gestione dell’impresa, considerato che, in tal caso, la responsabilità dell’amministratore cessato può essere affermata solo a condizione che risulti dimostrata la collocazione cronologica degli atti di distrazione nel corso della sua gestione o l’esistenza di un accordo con l’amministratore subentrato per il compimento di tali atti 15. La giurisprudenza, al proposito, ha affermato l’irrilevanza dell’ignoranza della legge regolatrice delle mansioni, opposta da taluno dei soggetti societari, trattandosi di attività in uno specifico settore rispetto alla quale ha il soggetto ha il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente 16. La posizione di garanzia, per condurre all’affermazione di penale responsabilità postula – alla luce dell’art. 40 cpv. c.p. - due condizioni: che il soggetto sia informato del rischio (eppertanto, a maggiore ragione, del fatto che lo scatena) e che egli sia dotato di strumenti capaci di impedire l’evento pregiudizievole. In particolare, con riguardo a questo secondo profilo, occorre che il giudice, che afferma la responsabilità dell’imputato, dia contezza della ricorrenza di queste condizioni. Infatti, la causalità omissiva ha natura normativa e non naturalistica e non potrebbe qualificarsi come ‘posizione di garanzia’ quella che annovera soltanto un obbligo di vigilanza, senza che il dovere sia accompagnato da effettivi poteri impeditivi, tali da consentire al soggetto di evitare il verificarsi dell'evento. Si tratta di un profilo di esigibilità della condotta essenziale per consentire l’imputazione di responsabilità penale 17. Questi poteri impeditivi non sono indicati dal precetto legislativo, che si limita a tratteggiare la trama del nesso causale nei casi di omissione colpevole. Essi possono anche essere di portata indiretta ed anche di mera natura sollecitatoria 18. Il loro accertamento si modula sulle situazioni concrete in cui si svolge la condotta censurata. Ma, poiché, dunque, la norma non restringe in alcun modo la categoria degli atti che abbiano la possibilità di influenzare il corso degli eventi, la loro valutazione è rimessa al giudice, che deve rinvenire la relativa esistenza nella dotazione disponibile al soggetto attivo. Tuttavia, in via astratta e generale, risulta evidente che la scelta non può ricadere su comportamenti in sé antigiuridici e deve restringersi ad un comportamento alternativo lecito 19. Ovviamente, l’area interessata è quella più prossima all’attività professionalmente esercitata da costui, ma nulla vieta di ipotizzare rimedi diversi contrassegnati da efficacia impeditiva (per esempio, una adeguata informazione resa ai terzi in via preventiva), non necessariamente la denuncia penale, per esempio, nella società per azioni risulta adeguata la denuncia ex art. 2409 cod. civ. 15 Cass. pen., sez. V, 7 giugno 2006, Vianello, in Riv. trim. dir. pen. economia, 2007, 1002. Cass., sez. V, 26 febbraio 2008, Ciccone, Rv. 240440; Cass., Sez. III, 16 gennaio 1996, Lombardi, in Cass. pen., 1997, 1724; Cass. Sez. III, 15 aprile 2004, Ferri, Rv. 229228, ecc. 17 cfr. per es. Cass. Sez. 5, 18 febbraio 2010, Cassa di Risparmio di Rieti, Rv. 247316. 18 cfr. Cass., Sez. 4, 11 marzo 2010, PG. in proc. Catalano, Rv. 247015, in motivazione. 19 cfr. Cass., Sez. 4, 11 marzo 2010, cit. 16 5 Connotato ricorrente, in questo scrutinio, è quello che postula - nei casi di reati contrassegnati da volontarietà - il dolo eventuale, cioè una rappresentazione del fatto pregiudizievole per l’organismo, acquisita la quale il soggetto – così consapevole del rischio dell’accadimento – perseveri nella sua omissione. Ma si ritiene sufficiente, ai fini della prova della consapevolezza, la dimostrazione non già una effettiva percezione dell’evento pregiudizievole, bensì soltanto di ‘segnali di allarme’, evocativi, secondo ragionevolezza, dell’evento danno. Segnali, ovviamente, ‘perspicui’ che possano allertare il soggetto (che di regola, è professionalmente qualificato). Dunque, non già la perfetta rappresentazione del fatto, incerto e futuro, ma presagio (acquisito per tramiti non tipicizzati dal legislatore, cfr. art. 2392 co. 3, norma non modificata dalla riforma), di un concreto e ragionevolmente (secondo la dotazione di professionalità pretesa - come si è detto - dal nostro sistema) rapportabile, all’incombenza dell’evento dannoso. Davanti ad essi la posizione di garanzia del soggetto deve imporre un’attivazione volta ad impedire il fatto presagito. In questo passaggio è agevole rinvenire una forte prossimità allo scrutinio proprio del fatto colposo: al riguardo è indispensabile la ricerca dell’effettiva volontarietà (nei termini accennati) e non limitarsi a censurare la violazione ai doveri di attenzione. Percezione che determina il dovere impeditivo. 20, secondo l’indirizzo affermatosi nella lettura del diritto penale societario e fallimentare 21. c) Le funzioni esercitate ‘di fatto’ e l’’amministratore indipendente’. Il fondamento giuridico della ‘posizione di garanzia’ discende dalla responsabilità verso i creditori per le obbligazioni di impresa, e - per la bancarotta societaria - nel sistema dettato dagli art. 2392 cod. civ. e ss. tenendo presente che l’evento giuridico, perseguito dalla legge fallimentare, è l’indebita (o ingiustificabile) riduzione del patrimonio della società. Ma occorre individuare il soggetto a cui riferire la menzionata posizione al di là del mero nomen juris, è ormai consolidato orientamento 20 Non deve sottacersi che esiste una posizione della giurisprudenza, meno sensibile alla definizione volontaria. La quale si accontenta di dar soltanto conto del dovere connesso alla funzione rivestita. Per es. quella che ha affermato come ‘la responsabilità dell'amministratore unico della società in ordine al reato di bancarotta fraudolenta documentale effettivamente commesso da altri, non può essere fondata sull'inosservanza dei doveri di vigilanza impostigli dalla posizione di garanzia rivestita ai sensi dell'art. 2392 cod. civ., quando la stessa non sia preordinata a rendere possibile la commissione di reati, detta inosservanza può rilevare infatti esclusivamente quando si tratti di reati punibili a titolo di colpa’ Cass. Sez. V, 26 ottobre 2006, Zeni, Riv. 236042 21 In altri termini si pretende la doverosa dimostrazione della rappresentazione dell’evento pregiudizievole, desunta non soltanto dalla diretta conoscenza del fatto futuro o, comunque, incerto, ma anche dalla segnalazione che possa derivare dalla presenza di E così, a far data da Cass., sez. V, 4 maggio 2007, PM. c/Amato, Rv. 237251, con nota di M. MARCHIORI, Dovere di controllo, obblighi di informazione conseguenze per gli amministratori non delegati: quale nesso?, in Impresa, 2007, 1661; nonché di BRICCHETTI, Un obbligo di garanzia "leggero" che pone numerosi interrogativi, in Guida dir., 2007, fasc. 35, 71, SACCHI, Amministratori deleganti e dovere di agire in modo informato, in Giur. Comm., 2008, 369; PULITANO’, Amministratori non operativi ed omesso impedimento di delitti commessi da altri amministratori, in Le Società, 2008, 902, ecc.) A detto arresto è seguito cfr. Cass., Sez. V, 5 novembre 2008, Ferlatti, Riv. 241852, con nota di CERQUA, La posizione di garanzia degli amministratori: brevi riflessioni, in Le società, 2009, 1305; Cass., 10 febbraio 2009, Cacioppo, riv. 243023 con nota di MERENDA, Sulla responsabilità penale dell'amministratore senza delega. Alcune considerazioni dopo la riforma del diritto societario, in Cass. Pen., 2011, 1181. 6 giurisprudenziale (cd. “funzionalistico”), formatosi soprattutto in tema di reati fallimentari (anche se più recente della linea interpretativa dianzi tratteggiata e non indifferente alla novità dettata dall’art. 2639 cod. civ.) l’individuare il diretto destinatario delle fattispecie penali in colui il quale — all’interno di una società — svolga in concreto le funzioni di amministrazione, direzione e controllo, pur in mancanza di una formale qualifica, che sia valida ed efficace in base alle norme civilistiche. Il paradigma da cui trarre il giudizio di equiparazione tra soggetto “di fatto” e soggetto testualmente individuato dalla norma penale è, quindi, l’attività da questi effettivamente svolta. Soltanto se questa condotta possa rapportarsi agli indici propri della gestione, della vigilanza, della direzione, della liquidazione, ecc. potrà concludersi per la possibilità dell’equiparazione: tanto soddisfa le esigenze di tutela degli interessi connessi alla devianza nella gestione di impresa e, quindi, la corrispondente lesione dell’interesse penalmente tutelato 22. Seguendo una consolidata giurisprudenza 23, il soggetto che assume, in base alla disciplina dettata dall'art. 2639 cod. civ., la qualifica di amministratore "di fatto" di una società è da ritenere gravato dell'intera gamma dei doveri cui è soggetto l'amministratore "di diritto", per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, è penalmente responsabile per tutti i comportamenti a quest'ultimo addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall'art. 40, comma secondo, cod. pen. Essenziale è la verifica dell’esercizio di poteri in via di continuità (dunque un arco apprezzabile temprale di esercizio del potere/funzione, con modalità non sporadica o occasionale) e significatività (apporto di rilievo, rispetto alla funzione gestoria, con esclusione di contributi marginali e del tutto fungibili). In mancanza dei requisiti di continuità e significatività, è sempre possibile (ricorrendo gli altri presupposti propri del concorso di persone nel reato) ravvisare la condotta rilevante ex art. 110 c.p. Nella fattispecie dell’art. 2639 cod. civ., i soggetti sono chiamati a rispondere non già quali “extranei”, bensì quali destinatari diretti del precetto penale 24 . Ciascuno di essi viene a parificarsi a quanti siano formalmente investiti delle qualifiche ed assume - per volere dell’espressa estensione normativa - in via 22 Cfr. DI AMATO, Diritto penale dell’impresa, Giuffré, 2003, 86 e ss. Cass., Sez. V, 13.4.2006, Binda, Rv. 254428. 23 cfr. da ultimo Sez. 5, 20 maggio 2011, Assello, Rv. 250844; Sez. 5, 2 marzo 2011, Guadagnoli, 24 Tra gli altri, in dottrina, VENEZIANI, art. 2639 cod. civ., in I reati societari, a cura di LANZI/CADOPPI, Cedam, 2007, 298 e ss. 24 Espressamente in giurisprudenza: ’Il soggetto che assume, in base alla disciplina dettata dall'art. 2639 cod. civ., la qualifica di amministratore "di fatto" di una società è da ritenere gravato dell'intera gamma dei doveri cui è soggetto l'amministratore "di diritto", per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, è penalmente responsabile per tutti i comportamenti a quest'ultimo addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall'art. 40, comma secondo, cod. pen. (Fattispecie in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione)’, Cass., Sez. V, 2 marzo 2011, Guadagnoli, Rv. 250094. In dottrina sull’argomento, VENEZIANI, art. 2639, cit., 192. 7 generale le correlative responsabilità. L’esercizio dei poteri tipici non sottende l’espressione di tutti i poteri, ma anche soltanto di alcuno di essi. 25 Difficile è la valutazione dei membri del Consiglio di amministrazione non esecutivi (e sfornito di deleghe) ovvero degli amministratori ‘indipendenti’. Premesso che il nuovo sistema societario ha mantenuto aree di gestione e di attribuzione che, per la loro rilevanza, non possono formare oggetto di delega e che, conseguentemente, restano nel perimetro della funzione propria di tutti i consiglieri, tra esse (art. 2381 co. 4) è annoverata l’informazione di bilancio e l’emissione di prestiti obbligazionari di cui all’art. 2420 ter cod. civ., è oggi configurato il diritto del singolo amministratore di richiedere informazioni, potere che – all’evidenza – sottende il dovere di sorveglianza sull’operato degli altri amministratori sul generale andamento della società (con espresso richiamo (art. 2381 co. 3) ai piani industriali e finanziari della stessa. Tanto concreta l’obbligo di vigilanza (supposto dall’agire informati), da modularsi con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico (art. 2392 co. 1), e non – quindi – secondo il consueto criterio dell’’uomo medio’, secondo i referenti di questa responsabilità contrattuale (verso la società). Non si riscontra, al proposito, differenza tra amministratore con delega ed amministratore privo di delega. 26 L’’amministratore indipendente’, imposto nel cd. modello monistico, dall’art. 2409 septesdecies (ma già presente in una diffusa prassi societaria che contemplava apposite clausole statutarie al riguardo), è amministratore privo di funzioni esecutive e proiettato ad una autonomia di giudizio (requisito che consente nel sistema anglosassone di privarsi dell’organo di sorveglianza), ma qualificato da specifici requisiti di eleggibilità contrassegnati da terzietà rispetto agli amministratori ordinari. Sicché per costui è accentuata (nei voti del legislatore) la funzione di controllo sull’amministrazione. Questi è un soggetto pur sempre collocato dall’ordinamento nella posizione di garanzia, a protezione di interessi diffusi propri di categorie (azionisti, creditori, dipendenti, ecc.) che non dispongono di adeguate capacità cognitive della realtà societaria. Soggetto la cui funzione, regolata dalla disciplina del codice civile, conosce espressi poteri e correlativi doveri (anzi, per quelli indipendenti, marcati obblighi di vigilanza). 26 La giurisprudenza (Cass. civ., sez. I, 11 novembre 2010, n. 22911, in Società, 2011, 377, con nota di FERRARI) ha affermato che ‘L’art. 2392, 2º comma, c.c. testo previgente pone a carico degli amministratori privi di delega il dovere di vigilare sul generale andamento della società, che permane anche nel caso di attribuzione di funzioni al comitato esecutivo o a singoli amministratori delegati, salva la prova che i rimanenti consiglieri, pur essendosi diligentemente attivati, non abbiano potuto in concreto esercitare la predetta vigilanza per il comportamento ostativo degli altri componenti del consiglio (nella specie, si è ritenuto che l’esercizio senza autorizzazione dell’attività assicurativa nel ramo «auto rischi diversi» fosse idoneo a palesare una così macroscopica esorbitanza dell’attività sociale dall’ambito consentito, che non avrebbe potuto sfuggire alla vigilanza diligente degli amministratori privi di delega). 8 Paradigma obbligatorio che si rifrange sulla fattispecie regolante il nesso di causalità per fatto omissivo, prevista dall’art. 40 co. 2 cod. pen. Per le società quotate in Borsa la figura dell’amministratore indipendente era già stata evocata, ancor prima della riforma societaria, dal cd. ‘Codice di Autodisciplina’ introdotto nel corso del 1999 e rivisto nel 2002, testo finalizzato a garantire la correttezza della conduzione amministrativa per gli organismi preposti alla emissione di prodotti di investimento diffuso. Caratteristiche ulteriormente sottolineate dalla legge sul risparmio e dall’introduzione nel TUF degli art. 147 ter, 147 quater per le società quotate. Pertanto, se può convenirsi che l’autonomia ed indipendenza assegnata a questo organo attenga precipuamente al requisito di eleggibilità, non può assolutamente ritenersi che la riforma societaria abbia alleggerito la relativa responsabilità. Le preoccupazioni del legislatore della riforma (cfr. la Relazione governativa alla legge di riforma) si appuntano sulla possibile estensione dell’addebito a questi amministratori chiamati a rispondere (ma in via civilistica, a seguito di azioni di responsabilità) a casi di oggettiva ignoranza e carenza di adeguati strumenti capaci di evitare il paventato danno per la società. In questo senso può affermarsi che la riforma della disciplina della società, portata dal d. leg. 6/2003, ha indubbiamente alleggerito gli oneri e le responsabilità degli amministratori privi di deleghe. Più delicato è il discorso relativo al soggetto che agisca palesandosi come dotato della qualifica societaria ‘propria’ pur essendone sprovvisto (o per invalidità della nomina o per vera e propria usurpazione). Tema che diviene vieppiù incerto nel contesto della condotta omissiva. Innanzitutto, quando il soggetto “di diritto” sia rimasto colpevolmente inerte pur consapevole dell’evento pregiudizievole per la società, il cui avveramento dipende dalla condotta del soggetto di fatto”. 27 La fattispecie di riferimento per l’affermazione della penale responsabilità è sempre quella dell’art. 40 cpv. c.p. 28 Ipotesi che frequentemente è ravvisata nel caso dell’amministratore formale, interposto fittizio (o “testa di legno” o “prestanome”) del gestore occulto e reale interessato alla conduzione amministrativa. 29 Se, da un lato, necessita sempre la dimostrazione dell’apporto causale dato dall’extraneus al fatto 27 Situazione che è ipotizzabile anche nel caso di impresa formalmente individuale, quando il “soggetto di fatto” ricopra altresì il ruolo di socio di fatto” (Cass., Sez. V, 19 febbraio 2003, Leoni, Rv. 224842). E Cass., Sez. V, 28 marzo 2003, Negro, in Cass. pen., 2004, 455, ha precisato (motivazione) “la condanna di un soggetto quale concorrente esterno in un reato di bancarotta impropria ex artt. 223 comma 2 n. 2 l. fall., anziché quale amministratore di fatto, qualora rimanga ferma l’azione di partecipazione ascritta, non comporta immutazione dell’addebito: invero non si tratta di due diverse ipotesi criminose, ma di distinte modalità di partecipazione criminosa”. 28 Su di essa, A. ROSSI, La responsabilità penale dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo, in I reati societari, cit., pag. 66 e ss., soprattutto 71/72, con particolare riguardo ai poteri impeditivi dell’evento, alla luce della riforma societaria. 29 Ampia è la casistica esaminata dalla SC. in questo ambito: v. Cass., Sez. 3, Cass., 6 aprile 2006, Furini, Rv. 234474; Cass. Sez. V, 13 febbraio 2006, Caimmi ed altri, Rv. 234232; Cass., Sez. V, 26 gennaio 2006, Filippi ed altro, Rv. 233637; sez. V, 4.6.2004, Squillante, Riv. pen., 2004, 799; Cass., sez. V, 27.4.2000, Ragogna, Rv.. 216117; Cass., sez. V, 6 maggio 1999, Grossi, Rv.. 213647; Cass., sez. V, 5.2.1998, Riccieri, Cass. pen., 1998, 3415; Cass., sez. V, 24 giugno 1999, Murra, Rv.., 214301; Cass., sez. V, 25 marzo 1997, Baldi, Rv.. 207895, Sez. V, 27 maggio 1996, Perelli, Cass. pen., 1997, p. 2232; Cass., sez. V, 7.7.1992, Boccalini, Cass. pen., 1993, 674, ecc.; 9 proprio dell’amministratore legale 30, per converso, l’inerzia colpevole dell’amministratore di diritto espone questi alle conseguenze penali derivate dalla condotta fraudolenta del dominus: la condotta omissiva diviene così tramite indispensabile, casualmente efficiente rispetto all’evento. Né – per un riguardo meramente oggettivo – la presenza di un soggetto che svolga le funzioni di fatto può ritenersi così assorbente verso il soggetto di diritto da escludere una sua partecipazione penalmente rilevante 31, salvo – ovviamente – ipotesi di costrizione psichica penalmente rilevanti e giustificabili per l’autore materiale della condotta in termini di stato di necessità o ex art. 46 c.p.. Infatti, la disposizione dell’art. 40 cpv. c.p. (così come la fattispecie del “nuovo” art. 2639 cod. civ.) non elimina la responsabilità dell’intraneus, che mantiene la posizione di garanzia a tutela degli interessi connessi alla società. 32 E per vicinanza di argomento, può esser utile rammentare che, dopo la riforma societaria, la presenza di una delibera assembleare di autorizzazione all’amministratore (o agli amministratori) non esclude l’autonoma responsabilità dell’amministratore per un eventuale illecito conseguente all’azione, alla luce dell’art. 2634 co. 1 n. 5 cod. civ. che espressamente precisa che in tal caso resta ”ferma in ogni caso la responsabilità di questi (amministratore) per gli atti compiuti”, avuto riguardo alla esclusività dell’azione gestoria in capo agli amministratori 33. 30 Cfr. Cass. Sez. V, 17 gennaio 1996, Giumento, Cass. pen., 1997, pag. 548 e ss. Diversamente ha opinato la meditata analisi svolta da Cass., Sez. V, 17 gennaio 1996, Giumento, cit. che afferma tra l’altro (parte motiva): “… la qualifica di amministratore formale non comporta un automatico giudizio di colpevolezza per fatti di bancarotta fraudolenta perché, diversamente, la punizione in base a fatti specifici, sarebbe in contrasto manifesto con il princıpio della responsabilità personale di cui all’art. 27 Cost. La colpevolezza del legale rappresentante della società deve essere esclusa, infatti, quando la concreta gestione da parte dell’amministratore di fatto — quale dominus della società, imprenditore occulto o procuratore ad negotia — sia così complessiva e sostitutiva da ridurre l’amministrazione legale ad un mero atto formale, nominale. In queste ipotesi, plasticamente riconducibili alle in equivoche categorie del “ prestanome ’’, dell’amministratore apparente e dell’“ uomo di paglia ”, si staglia, da una parte, l’innocenza del legale rappresentante, al quale non è attribuibile alcuna attività specifica, e, dall’altra parte, la colpevolezza dell’amministratore di fatto, unico gestore e unico autore dei fatti di bancarotta. La posizione del primo ha una peculiarità che non è apprezzabile sotto il profilo sostanziale, essendo indiscutibile che la responsabilità penale va sempre commisurata, per civiltà giuridica e per esigenze costituzionali, al fatto proprio e non al mero dato formale della qualifica. E` una posizione peculiare, invece, processualmente, in quanto compromessa, pur se in modo relativo, sotto il profilo probatorio. A fronte di una investitura formale, alla quale sono ricollegabili giuridicamente, anche se astrattamente, oneri, obblighi ed attività di gestione, grava sul soggetto l’onere della prova contraria. L’onere, cioè di allegare o almeno di addurre, sotto il profilo oggettivo, di non aver gestito la società, di La colpevolezza del legale rappresentante della società deve essere esclusa, infatti, quando la concreta gestione da parte dell’amministratore di fatto — quale dominus della società, imprenditore occulto o procuratore ad negotia — sia così complessiva e sostitutiva da ridurre l’amministrazione legale ad un mero atto formale, nominale. In queste ipotesi … non è attribuibile alcuna attività specifica, e, dall’altra parte, la colpevolezza dell’amministratore di fatto, unico gestore e unico autore dei fatti di bancarotta”. Argomentazione che, tuttavia, trascura profili di dolo eventuale (l’eventuale consapevolezza del soggetto di diritto diviene tramite casualmente efficiente rispetto all’evento illecito commesso dall’extraneus). 32 Allo stesso modo è orientamento largamente prevalente nel diritto societario che l’amministratore il quale abbia meramente dissentito dall’operato di altro amministratore (di fatto o di diritto), senza formalizzare il dissenso con apposita annotazione sul libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione, non è esonerato dalla responsabilità discendente dall’operato di questi. E neanche l’assenza (ingiustificata) alla riunione del consiglio di amministrazione giova ad esimerlo dalla corresponsabilità del fatto illecito. Cfr. tra gli altri, ALLEGRI, Contributo allo studio della responsabilità civile degli amministratori, Milano, 1979, 211. Chiaramente, in sede penale queste conclusioni devono essere rilette alla luce della prova della necessaria conoscenza dell’altrui operato. 33 Poiché, come si esprime RORDORF, La funzione amministrativa, in Codice commentato delle società, cit., pag,389/390, “è proprio il baricentro della disciplina ad essersi spostato, inclinando ora verso una 31 10 La giurisprudenza, a proposito del corredo soggettivo necessario per addebitare al soggetto “di diritto” la responsabilità dell’evento pregiudizievole materialmente realizzato dal soggetto “di fatto”, mostra – nel corso degli anni – sempre maggiore severità, consapevole che si tratta di un tema “da accertare senza ‘scorciatoie’ probatorie, quasi fosse in re ipsa una volta appurata l’esistenza della qualifica formale” 34. In passato la prevalente opinione pose a fondamento del giudizio di penale colpevolezza del soggetto “di diritto” la condizione di una intesa originaria tra i due soggetti, nel senso che quest’ultimo avesse previamente acconsentito (esplicitamente o nei fatti) all’ingerenza o dominazione gestoria altrui, senza pretendere l’attribuzione formale della condotta all’amministratore di fatto. Da tanto era desunto un consenso permanente – attesa l’inerzia del soggetto “proprio” – alla altrui gestione illecita e, conseguentemente, l’applicazione dell’art. 40 cpv. cod. pen., raccordato alla generale previsione dell’art. 2392 co. 2 cod. civ. che imponeva un dovere di generale vigilanza 35. Pertanto “la sola consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, ovvero l'accettazione del rischio che questi si verifichino, sono sufficienti per l'affermazione di responsabilità” 36. concezione meno dominicale e più imprenditoriale del fenomeno societario, in cui il ruolo di capo dell’impresa è ricoperto senza incertezze dall’amministratore”. 34 Così P. VENEZIANI, art. 2639 cod. civ., in I reati societari, a cura di LANZI/CADOPPI, Cedam, 2007, 307, Autore che ricorda Cass., Sez. V, 26 novembre 1999, Dragomir, Rv. 215199, in Cass. pen., 2000, 2134, che ha affermato: ”mentre, dal punto di vista oggettivo, non è dubbio che l’amministratore di diritto risponde unitamente all’amministratore di fatto per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire, dal punto di vista soggettivo, si richiede la generica consapevolezza, da parte del primo, che l’amministratore effettivo, distrae, occulta, dissimula, distrugge o dissipa i beni sociali ovvero espone o riconosce passività inesistenti, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi nei quali l’azione dell’amministratore di fatto si è estrinsecata. Tuttavia, tale consapevolezza non può essere semplicemente desunta dal fatto che il soggetto abbia acconsentito a ricoprire formalmente la carica di amministratore”. Nello stesso senso Cass. Sez. V, 1 luglio 2002, Arienti ed altro, Rv. 222389; Sez. V, 5 febbraio 1998, Riccieri, Cass. pen., 1998, p. 3415, n. 1848 e, sostanzialmente, Cass., Sez. V, 23 giugno 1999, Murra, Cass. pen., 2000, p. 1784, n. 1038. 35 Così espressamente Cass. Sez. V, 27 maggio 1996, Perelli, cit.; il ruolo della norma è così indicato da App. Milano, 10 giugno 1996, Bagnasco (in Riv. trim. dir. pen. economia, 1998, 571, con nota di PROVERBIO), “l’art. 2392, 2º comma, cod. civ. riflette un obbligo di portata generalissima, attinente sia agli atti pregiudizievoli conosciuti, che devono essere impediti o dei quali devono essere neutralizzati gli effetti, sia agli atti dei quali l’amministratore può venire a conoscenza vigilando sul generale andamento della gestione societaria e, quindi, adempimento ai doveri primari di diligenza ed a quelli strumentali di informazione”; il dovere di vigilanza discendente da art. 2392 cod. civ. è richiamato anche da Cass. Sez. V, 20 ottobre 1994, De Foscatiis, in Cass. pen., 1006, 1975, che, sul punto, afferma la responsabilità «ai sensi dell’art. 40 cpv. c.p., l’amministratore di una società che, violando l’obbligo di vigilare e quello di attivarsi per impedire atti pregiudizievoli per i soci, i creditori ed i terzi, obbligo di ordine generale desumibile dall’art. 2392 c.c., abbia consentito che altri commettessero fatti di bancarotta.” Cfr. anche Sez. V, 7 luglio 1992, Boccolini, in Le società, 1993, 1, p. 61, con nota di V. CANTELE, e in Cass. pen., 1993, p. 674, che giustamente evidenzia il pericolo di sottovalutare il grado di rappresentazione dell’evento del soggetto tenuto al dovere di impedire l’illecito; Sez. V, 26 giugno 1990, Bordoni, cit.;, Sez. V, 21 novembre 1989, Piras, Cass. pen., 1991, p. 2046. 36 In questo senso, tra le molte, Cass., Sez. V, 27 aprile 2000, Ragogna, Rv.. 216117, per cui “l'amministratore della società ancorché sia un mero prestanome di altri soggetti che hanno agito come amministratori di fatto risponde dei reati contestati quanto meno a titolo di omissione poiche´ la semplice accettazione della carica attribuisce dei doveri di vigilanza e di controllo la cui violazione comporta responsabilita` . La sola consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, ovvero l’accettazione del rischio che questi si verifichino, sono infatti sufficienti per l’affermazione di responsabilita`”; analogamente, più recentemente, Cass., Sez. 5, 12 dicembre 2005, Procacci ed altro, Rv. 233758; ed in precedenza, Sez. V, 23 giugno 1999, Murra, Cass. pen., , 2000, p. 1784, n. 1038; Sez. V, 5 febbraio 1998, Riccieri, in Cass. pen., 1998, p. 3415, n. 1848; Sez. V, 27 maggio 1996, Perelli, Cass. pen., 1997, p. 2232, n. 1300; Cass. Sez. V, 5.2.1998, Riccieri, it.; Cass. Sez. V, Baldi, cit.; . Sez. V, 20 ottobre 1994, De Focatiis, in Cass. pen., 1996, p. 1976, con nota di R. 11 Dunque, anche la consapevolezza di una probabile programmazione criminosa (in ragione della “semplice accettazione della carica attribuisce dei doveri di vigilanza e di controllo la cui violazione comporta responsabilità” 37, attesa anche l’anomalia di una scissione tra la realtà gestoria e la sua apparenza) è sufficiente argomento di condanna, senza pretendere in capo all’amministratore di diritto la prova di una puntuale rappresentazione del singolo episodio illecito perpetrato dal dominus. 38 Con maggiore rigore, più recentemente, la giurisprudenza di legittimità – pur negando di acquisire riscontro ad una consapevolezza che investa i singoli episodi nei quali l’azione illecita del soggetto di fatto si è estrinsecata – non ha ritenuto probatoriamente corretto desumere dall’accettazione del soggetto di diritto di ricoprire la formale carica societaria. 39 Invero si è affermato (in tema di bancarotta fraudolenta documentale) che :”la responsabilità dell'amministratore, che risulti essere stato soltanto un prestanome, nasce dalla violazione dei doveri di vigilanza e di controllo che derivano dalla accettazione della carica, cui però va aggiunta la dimostrazione non solo astratta e presunta ma effettiva e concreta della consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di procurare un ingiusto profitto a taluno”.40 Sempre la Cassazione ha inteso differenziare le posizioni del soggetto di fatto da quello di diritto per cui “in tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente NARDONE, In tema di dolo nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale commesso dall’amministratore di diritto in concorso con l’amministratore di fatto, ecc. 37 Cass., Sez. V, Ragogna, cit. 38 Così, anche recentemente e successivamente alla riforma societaria che non ha più riproposto, in seno all’art. 2392 il generale dovere di vigilanza, Cass., Sez. 5, 12 dicembre 2005, Procacci ed altro, cit., che accenna alla prova di una generica consapevolezza che l'amministratore effettivo distragga, occulti, dissimuli, distrugga o dissipi beni sociali, esponga o riconosca passività inesistenti. Cass., Sez. 3, 6. aprile 2006, Furini, Rv.. 234474 (in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali), per cui “L'amministratore di una società risponde del reato omissivo contestatogli quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche se questi sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino”. Per la giurisprudenza di merito cfr. recentemente Trib. Roma, 1.6.2007, Guida dir., 2007, n. 32 p. 86. Per una critica attenta (inserita in più ampia riflessione sul concorso nel reato per fatto omissivo) a questo indirizzo, MILITELLO, La colpevolezza nell’omissione: il dolo e la colpa del fatto omissivo, in Cass. pen., 1998, 982. 39 nello stesso senso Cass. Sez. V, 8 marzo 2007, Gitta, in Guida dir., 2007, n. 19, pag. 100/101 che testualmente afferma: “.. dal punto di vista soggettivo si richiede la prova della generica consapevolezza, da parte del primo, che l’amministratore effettivo distrae, occulta dissimula, distrugge o dissipa i beni sociali ovvero espone o riconosce passività inesistenti, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi nei quali l’azione dell’amministratore di fato si è estrinsecata. Tuttavia tale consapevolezza non può essere semplicemente desunta dal fatto che il soggetto abbia acconsentito a ricoprire formalmente la carica di amministratore”; analogamente Cass. Sez. V, 26 gennaio 2006, Filippi ed altro, Rv.. 233637. 40 Cass., Sez. V, 17 novembre 2005, Liberati, Rv. 232816. In tema di violazioni tributarie è degna di nota Cass., sez. III, 9 aprile 1997, Ciciani, Rv. 208804, che afferma “è sufficiente che il «garante» abbia conoscenza dei presupposti fattuali del dovere di attivarsi per impedire l’evento e si astenga, con coscienza e volontà, dall’attivarsi, con ciò volendo o prevedendo l’evento (nei delitti dolosi) o provocandolo per negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme (nei delitti colposi e nelle contravvenzioni in genere)”. 12 dell'amministrazione dell'impresa fallita (cosiddetta "testa di legno"), atteso il diretto e personale obbligo dell'amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all'ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell'amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell'imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall'amministratore di fatto” 41. Nel medesimo indirizzo è la giurisprudenza più recente per la quale “la fraudolenza, intesa come connotato interno alla distrazione nel delitto di bancarotta fraudolenta, implica, dal punto di vista soggettivo, che la condotta di colui che pone in essere o concorre nell'attività distrattiva sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori”: pertanto la Corte ha ritenuto illegittima la decisione con cui il giudice di merito aveva affermato la responsabilità di meri consiglieri di amministrazione - uno dei quali rimasto in carica meno di tre mesi - espressamente definiti "prestanome" 42, per fatti distrattivi addebitati senza verificare che fossero effettivamente e materialmente a loro riferibili e da loro conosciuti). d) Direttori generali. 43 La responsabilità di questo soggetto, posto in ufficio direttivo come attestato, tra l’altro, dalle sanzioni interdittive previste dagli art. 32 bis e 35 bis c.p. in un rapporto così stretto che la giurisprudenza ha ritenuto non modificare l’imputazione l’addebito a taluno di aver ricoperto la carica direttiva e la condanna per essere stato amministratore di fatto. Il direttore generale viene descritto come colui che - previsto dallo statuto societario, ovvero nominato dall’assemblea 44 - è stabilmente inserito nell’organizzazione imprenditoriale per integrare l’attività degli amministratori, a cui è subordinato, mediante l’esercizio di attività di alta gestione 45, ma la sua figura non è definita normativamente, tanto che da taluni si è osservato che il direttore generale è sostanzialmente rinvenibile nella prassi in seno alla figura che di fatto esercita queste funzioni direttive, così labilmente definite 46. Cosicché si è ritenuto dover restringere l’area di 41 Cass. Sez. V, 4 giugno 2004, Squillante, Riv. pen., 2004, 799. Cass. Sez. V, 13 febbraio 2006, Caimmi ed altri, Rv. 234232. 43 In dottrina SANTORIELLO, I reati, cit., 155, il quale modella i contorni di questo soggetto su quella degli amministratori (sull’argomento, cfr. anche CONTI, I soggetti, in Trattato di diritto penale dell’impresa a cura di DI AMATO, 198; QUATRARO/PICONE, La responsabilità di amministratori, sindaci, direttori generali e liquidatori delle società, Giuffré, 1998, 932. In giurisprudenza cfr. Cass., sez. V, 25 novembre 1998, Pagani, Ced Cass., 212351, cfr. anche Trib. Civ. Milano, 31.1.2002, Soc. Delme c. Fausti, Giur. comm., 2004, II, 101, con nota di DE NICOLA.. 44 Condizioni, per il vero, disattese dalla pratica che conosce la presenza del direttore generale privo di nomina ovvero sconosciuto allo statuto. 45 ABBADESSA, Trattato delle società a cura di COLOMBO/PORTALE, 1991, pag. 462. 46 PEDRAZZI, Gestione di impresa e responsabilità penali, in Riv. Soc., 1962, 267; non molto difforme LA MONICA, Manuale di diritto penale commerciale, Milano, 1993, 93; GIULIANI BALLESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Milano, 1991, 248; SANTORIELLO, I reati, cit., 157. 42 13 tipicizzazione alla sola persona espressamente delegata dall’assemblea o da disposizione statutaria: la tesi è respinta da numerosa schiera di autori 47. Al di là del problema definitorio la Cassazione ha affermato “Il direttore generale di una società per azioni è soggetto alla stessa disciplina prevista per la responsabilità degli amministratori qualora la sua nomina sia stata prevista nell’atto costitutivo oppure sia stata deliberata dall’assemblea, entrando in questi casi la sua figura, in posizione apicale, a far parte della struttura tipica della società” 48. Tuttavia, la labilità della definizione normativa del suo ruolo, impedisce di estendere analogicamente ad altri soggetti la disciplina a questi propria, se non nell’alveo dell’art. 2639 cod. civ. Se, in passato, è stata discussa la subordinazione del direttore generale rispetto all’amministratore e la relativa dipendenza (attesa la prassi di concedere ampia autonomia ai direttori, si era ipotizzata una situazione rapportabile al mandato 49, oggi sia il testo dell’art. 2396 cod. civ., che allude esplicitamente al rapporto di lavoro con la società, sia l’art. 2380 bis cod. civ., che affida esclusivamente agli amministratori la gestione della società, impediscono di configurare un rapporto diverso da quello di subordinazione, elemento decisivo per distinguere la funzione da quella amministrativa, anche se l’attenzione giudiziale è più sfumata verso questo soggetto che opera in enti di estese dimensioni ovvero di intensa articolazione organizzativa, per i quali la giurisprudenza penalistica è ancora assai scarsa. La figura potenzialmente rilevante, perché ricadente in responsabilità per frequenti violazioni penali societarie (art. 2621/2622) e fallimentari (223, 224 l. fall.) e, in concreto, con ricorrenza nient’affatto improbabile nel caso che un direttore settoriale debordi dai limiti dell’incarico e svolga funzioni più elevate ovvero quelle proprie di altri direttori i settore, venendo a qualificare la sua azione come “generale” (A. ROSSI, I criteri, cit., 95/96), chiaro essendo – tuttavia – che il limite formale all’applicazione estensiva di cui all’art. 2639 cod. civ. deve privilegiare il dato identificativo del rapporto di subordinazione (in qualsiasi forma esso possa modellarsi), caratteristica peculiare ed ineliminabile nella figura tratteggiata dall’art. 2396 cod. civ. (rimasto sostanzialmente invariato a seguito della riforma societaria). Un profilo applicativo (soprattutto nel delicato accertamento del soggetto di fatto), riscontrato soprattutto nei gruppi societari con estensione ultra-nazionale, è quello di far coincidere questa funzione in quella sottesa ai diversi termini utilizzati dalla terminologia gius-laburista sassone. 50 e) I sindaci 47 NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., 47; ANTOLISEI, Manuale, cit.,131; CONTI, Diritto penale, cit., 83. 48 Cass. civ., sez. I, 5 dicembre 2008, n. 28819 49 cfr. MONTALENTI, La traslazione dei poteri di gestione nei gruppi di società: i management contracs, in Contratto e impresa, 1987, 455 50 al riguardo cfr. MONTALENTI, Management, cit., pag. 7,13 e ss; sulla estensione ex art. 2639 a soggetti interni alla società ma diversamente qualificati rispetto alla normativa, PALIERO, Nasce il sistema, cit., 40; A. CARMONA, Premesse a un corso di diritto penale dell’economia, Padova, 2002, 230 e ss.; MACCARI, Commento all’art. 2639, in F- GIUNTA (a cura di) I nuovi illeciti penali, cit. Torino, 2002, 217 e ss. 14 Sicuramente avvinti a posizione di garanzia, in ragione della funzione di vigilanza, sono i sindaci, quali “soggetti propri”, responsabili per esplicite previsioni incriminatici ad essi riferite, in forza dell’espressa responsabilità loro ascritta dall’art. 2407 cod. civ. 51 Si tratta di una “posizione di garanzia”, nel senso che garantisce ai terzi la regolarità di gestione e la salvaguardia delle aspettative loro riferibili. Tanto delimita in negativo l’ambito della sua responsabilità: così il sindaco (salvo il caso di concorso di persona) non é responsabile di alcuni atti illeciti, espressamente riferiti all’amministratore (es. art. 2625, 2626, 2627, 2628, 2629, 2629 bis, 2632, cod. civ.), o al liquidatore (es. art. 2633, 2634 cod. civ.), o al revisore (es. art. 2624 cod. civ.) 52 Per questo ruolo istituzionale al sindaco è applicabile l’art. 40 comma 2 c.p. , disposizione assai prossima alla esplicita previsione dell’art. 2407 comma 2 cod. civ. che sancisce la responsabilità solidale con gli amministratori per i fatti e le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità agli obblighi della loro carica. Ma anche per altro profilo la normativa civilistica diverge da quella penale: la responsabilità del Sindaco, secondo la disciplina dell’art. 2403 cod. civ. è dominata dal verificarsi di un danno. Per il versante penale detto requisito è assente, dipendendo da ciascuna fattispecie incriminatrice. Per altro verso la fattispecie penale, nella sua genericità é più estesa, potendo addebitare al Sindaco anche il fatto illecito di persona diversa dall’amministratore, nel caso di sua inerzia colpevole, rapportata ai suoi doveri di vigilanza. 53 51 La legge fallimentare ascrive al sindaco - le ipotesi di bancarotta impropria e, segnatamente, quella cd. “societaria” (art. 223 o. 2 n. 1 l. fall., quando i fatti descritti dagli artt. 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633, 2634 del codice civile, hanno cagionato o concorso a cagionare il dissesto; - le ipotesi di bancarotta semplice dettate dall’art. 224 l. fall. La bancarotta semplice consente l’attribuzione di responsabilità anche per colpa (secondo la costantissima interpretazione della Cassazione in ordine alla previsione di cui all’art. 217 co. 2, richamato dall’art. 224 co. 1 l. fall.) 52 La questione della responsabilità dei sindaci per mancata vigilanza su scelte di “merito” gestorie non sembra proponibile negli stessi termini compatibili con la pre-vigente normativa. Il richiamo al controllo sulle scelte gestorie – più che sul dato formale – lascia varchi di corresponsabilità anche in questo ambito, chiaro essendo che esulno dal compito sindacale valutazioni di opportunità, di stretta competenza discrezionale dell’amministratore o del direttore Generale. La responsabilità va sicuramente affermata per ciò che trae al contenuto valutativo di alcuno poste di bilancio, quali l’effettiva esigibilità dei crediti, l’attestazione del netto patrimoniale delle partecipate non quotare (e la loro valenza espressa in bilancio), ecc. Ed anche qui l’accertamento della responsabilità viene a coincidere con il grado di effettiva conoscenza di profili connessi a dette voci e di completezza dell’informazione interna alla società. 53 La riforma societaria ha dato vita ad altri organi che si affiancano, quanto al controllo, all’azione di vigilanza svolta dal Collegio Sindacale, che è previsto per le soc. per azioni che adottino il sistema tradizionale, quali: - il Comitato di controllo, all’interno del Cons. Amm.ne, nel sistema monastico (art. 2409 sexdecies e ss.) - il Consiglio di Sorveglianza con compiti di controllo di legalità e di corretta amministrazione, non contabile (art. 2409 octies e ss.). La penale responsabilità dei membri di questi nuovi organi si modella sul paradigma dell’art. 2639 e, soprattutto, della generale disposizione “di chiusura” dell’art. 223 sepeties, che regola l’estensione delle qualifiche soggettive, sì che per i reati previsti dal titolo XI del Cod. civile, si stabilisce equiparazione del soggetto che sia tenuto a svolgere la stessa funzione descritta dal legislatore, anche se diversamente qualificata. Va pur detto che le funzioni oggi delineate dalla riforma - al di là della terminologia - sono fortemente cambiate rispetto alle tradizionali (per es. può ritenersi “sindacale” il ruolo del Consiglio di 15 Occorre precisare che il sindaco (salvo il caso di concorso di persona o l’ipotesi, piuttosto astratta, di’sindaco di fatto’) non è, di per sé, responsabile degli atti illeciti espressamente riferiti all’amministratore (es. art. 2625, 2626, 2627, 2628, 2629, 2629 bis, 2632, cod. civ.), o al liquidatore (es. art. 2633, 2634 cod. civ.), o al revisore (es. art. 2624 cod. civ.), non disponendo di alcun effettivo potere di influenza sull’organo gestorio. Invero, il sindaco non può imporre all’amministratore la corretta condotta di rispetto degli obblighi a costui pertinenti, ma deve limitarsi al controllo, al fine di verificare la conformità alle disposizioni di legge ed alle norme statutarie: la legge assegna al Sindaco gli strumenti per impedire il protrarsi della violazione o dell’inadempienza o, eccezionalmente, la funzione sostitutiva: la responsabilità penale si valuta (come dirò oltre) sull’efficace utilizzo di queste leve 54. Parificato al sindaco é il supplente, il quale – tuttavia – può assumere diretta responsabilità (salvo il caso di concertazione criminosa) soltanto al momento dell’assunzione della funzione sostitutiva del titolare e previa attenta verifica della sua dotazione cognitiva sul fatto illecito. 55 Il legislatore, ha reso più libero il criterio normativo della responsabilità (parificandolo a quello previsto per gli amministratori, cfr. art. 2392), sganciandolo dal rigido e fisso criterio della “diligenza del mandatario” (art. 2407 comma 1 abrogato), prevedendo ora (art. 2407 comma 1) “la professionalità e la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico” 56. In sostanza un rinvio non già all’art. 1176 comma 1, bensì all’art. 1176 comma 2 cod. civ. 57 Quando si consideri, ancora, che almeno un membro (effettivo e supplente) del Collegio Sindacale deve essere scelto tra gli iscritti al registro dei revisori e che gli altri devono esser scelti tra gli albi professionali o tra docenti universitari di materia giuridiche o economiche (art. 2397 comma 2), che per il Consiglio di Sorveglianza sono contemplate analoghe prescrizioni (art. 2409 duodecies) e che per i revisori é prevista la scelta tra gli iscritti nell’apposito registro del Ministero della Giustizia (art. 2409 bis comma 1), si apprezza il quadro di elevato grado di professionalità preteso. 58 Sorveglianza che “approva” il bilancio, compito che spetta nel sistema vigente ed in quello tradizionale all’assemblea ?). 54 Ne consegue che non è configurabile il concorso nel reato di bancarotta a carico del sindaco per omessa vigilanza sull'effettivo adempimento degli obblighi fiscali e previdenziali tempestivamente segnalati all'organo amministrativo della società (cfr. Cass. Sez. 5, 12 novembre 2001 Vaccaro, Rv. 221014). 55 cfr. Cass. Sez. 5, 27 aprile 2005, Barrasso ed altro, Rv. 232795. 56 A proposito degli amministratori, che sono vincolati da uno stesso criterio di imputazione, la Relazione spiega: “Nell'adempimento dei doveri imposti dalla legge o dallo statuto gli amministratori devono usare la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico: il che non significa che gli amministratori debbano necessariamente essere periti in contabilità, in materia finanziaria, e in ogni settore della gestione e dell'amministrazione dell'impresa sociale, ma significa che le loro scelte devono essere informate e meditate, basate sulle rispettive conoscenze e frutto di un rischio calcolato, e non di irresponsabile o negligente improvvisazione. 57 che così dispone: “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”. 58 Chiaramente la resposabilità resta “di mezzi” e non di “risultato”, vagliandosi per essa il grado e la modalità del dispiegamento della vigilanza, non già il mero risultato anti-doveroso accaduto. 16 Ma l’osservazione, se rapportata all’ambito penale ed ai referenti dell’art. 43 cod. pen., non modifica il criteri della imputazione dell’illecito volontariamente commesso, mentre può rilevare, quanto al “deficit” di competenza in una possibile imputazione colposa di imperizia o di negligenza, per es. – secondo la più consolidata lettura della SC. – nella bancarotta semplice (impropria) documentale. 59 Importante è l’arresto per cui ‘ai fini dell'adozione di una misura cautelare personale nei confronti del sindaco di una società per il reato di bancarotta fraudolenta, la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere desunta solo dalla sua posizione di garanzia e dal mancato esercizio dei relativi doveri di controllo, ma postula l'esistenza di elementi, dotati del necessario spessore indiziario, sintomatici della partecipazione, in qualsiasi modo, del sindaco stesso all'attività dell'amministratore ovvero dell'effettiva incidenza causale dell'omesso esercizio dei doveri di controllo rispetto alla commissione del reato da parte dell'amministratore’ 60, vale a dire che esiste una sfera di netta autonomia tra la funzione gestoria e quella di vigilanza e che si impone, conseguentemente, per addebitare al sindaco fatti illeciti connessi all’esercizio della gestione, una sicura traccia indiziaria. Ovviamente, si tratta pur sempre di una responsabilità assistita da momenti di partecipazione soggettiva e volitiva, ivi escluso ogni profilo di responsabilità oggettiva o, da appartenenza all’organo. Se è vero che l’attività sindacale è collegiale e che tutte le decisioni sono prese, a maggioranza, dal Collegio, la responsabilità penale é individuale e non discende dalla partecipazione al Collegio, sicché la responsabilità di un membro dello stesso non influisce sulla posizione degli altri (salvo, per quanto si dirà subito appresso, per il nesso di causalità omissivo di cui all’art. 40 comma 2 cod. pen.). Per ogni posizione individuale la responsabilità penale deve corredarsi di prova di consapevolezza e volontà. Se tanto deriva dai principi generali sanciti dall’art. 27 comma 1 Cost., si riscontra, nella materia in esame almeno per quanto attiene alla potestà ispettiva - dall’art. 2403 bis comma 1 cod. civ., che assegna detti poteri ai membri del Collegio “anche individualmente”. Dal che si desume le legittimazione al potere di iniziativa individuale nella raccolta di dati e di informazioni ed anche nell’espletamento dei controlli. Non è prevista particolare responsabilità penale per il Presidente del Collegio, salvo che questi è, più degli altri membri, destinatario di informazioni di rilievo (es. art. 2385 cod. civ., rinuncia di ufficio da parte dell’amministratore; art. 2392 cod. civ. dissenso dell’amministratore nelle delibere consiliari) ed incaricato di trasmissione di atti sindacali alle autorità di controllo. Può parlarsi di responsabilità penale del Sindaco dal momento della accettazione della carica (atto che non richiede formalità): essa – secondo la 59 La variazione riformatrice impone, dunque, una riflessione sulla ingiustificabilità delle condotte colpose derivate dall’assunzione di carica di persona professionalmente inadatta al compito sindacale, il tutto nell’ottica di una valutazione che ha anche un necessario legame alla concreta complessità, variabile dalla tipologia, dall’articolazione, e dall’oggetto statutario, della società oggetto di vigilanza. 60 Cass. Sez. V, 5 febbraio 2010, Tacconi, riv. 246956. 17 Dottrina 61 - è condizione di efficacia a cui è sottoposta la delibera di nomina e, dunque, perfeziona il rapporto interorganico con la società. In caso di rinunzia o decadenza, la carica è assunta dal supplente nel meccanismo descritto dall’art. 2401 cod. civ. Ma la cessazione dalla carica per scadenza del termine si ha, effettivamente (anche con riguardo alla responsabilità) dal momento in cui il collegio con i nuovi membri è stato costituito (art. 2400 comma 1 cod. civ.): esiste, quindi, un regime di prorogatio analogo a quello dettato dall’art. 2385 comma 2 cod. civ. 62 Se é agevole la prospettazione della responsabilità penale per i fatti direttamente rapportabili alla conoscenza e volontà positiva del Sindaco, salva la precisazione che – nella condotta concorsuale – la rappresentazione deve coprire anche l’altrui operato con la consapevolezza che la propria azione ivi si inserisce per la commissione del reato, più complesso – nell’applicazione pratica – é la più frequente ipotesi di responsabilità per omissione. Infatti, l’onere incombente sul Sindaco é quello della vigilanza o del controllo nell’interesse dei soggetti i cui interessi, a diverso titolo, sono coinvolti nella gestione societaria 63. L’”obbligo giuridico” che contrassegna la posizione di garanzia sindacale si modula sul contenuto del controllo assegnato ai Sindaci: esso è descritto nell’art. 2403 cod. civ. (e ricalca l’art. 149 del D. Lgs. TUIF) ed è amplissimo: la menzione del rispetto della legge proietta la vigilanza oltre lo specifico settore di attività (per es. l’adempimento dei doveri fiscali e previdenziali o latamente amministrativi, come in tema di licenza); il richiamo al rispetto dello statuto impone un confronto tra l’attività di gestione e l’oggetto sociale, alla salvaguardia del patrimonio (soprattutto nelle operazioni straordinarie, con riflessi sul capitale), ecc. In questo senso é jus receptum che il sindaco, anche individualmente nell'esercizio dei suoi poteri di controllo e di vigilanza, ha il dovere di segnalare (nelle più opportune modalità) tutte le volte in cui gli amministratori della società (facendo od omettendo) violino la legge generale ed in particolare la legge penale. Ne consegue che nel caso in cui un sindaco abbia conoscenza di attività distrattive poste in essere da amministratori, egli ha il dovere di impedirne la realizzazione (con gli strumenti a sua disposizione) e, in mancanza, deve essere ritenuto responsabile a titolo di concorso del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione eventualmente commesso 64. 61 SERAO, Il collegio sindacale dopo la riforma Draghi, Milano, 1999, pag. 34. 62 E’ di cospicuo rilievo il tema delle dimissioni, atto che certamente attesta un volontario distacco dal pregresso collegamento con gli organi societari, ma che, in sé, non è sufficiente ad elidere la pena corresponsabilità del soggetto che pose in atto l’avvìo del procedimento causale sfociato nell’evento illecito. Infatti le dimissioni se attestano l’abdicazione ad ogni possibilità dio ulteriormente interloquire con la vicenda societaria (circostanza rilevante per marcare la dissociazione) tuttavia impediscono di sfruttare nel proseguo le possibilità di impedire l’evento pregiudizievole. Come tali esse si sottraggono al dovere dettato dall’art. 40 co. 2 cod. pen. 63 La violazione degli obblighi di carattere amministrativo, quali quelli del dovere di convocare l’assemblea (art.2367, 2386, 2406, 2446 cod. civ.; 151 TUIF) non ha rilievo penale, bensì meramente amministrativo ex art. 2631 cod. civ. che ha abrogato la responsabilità a suo tempo disposta, con sanzione detentiva, dall’art. 2362 cod. civ.). Alla stessa stregua ognio omissione di intervento attivo per altre incombenze del sindaco (es. 2385 comma 3; 2386, 2485, ecc.), secondo la lettera del “nuovo”art. 2630 cod. civ. 64 Cass., Sez. 3, 17.1.1966, Meoni, Rv.. 100586. 18 Dunque, le potenzialità di responsabilità si estendono e si modulano nei confronti delle condotte di terzi verso cui i sindaci hanno dovere di controllo e vigilanza. a) La capacità cognitiva del Sindaco: Il sistema ha dotato l’organo di vigilanza di adeguati strumenti informativi: la violazione dell’art. 2405, che obbliga i sindaci ad assistere alle adunanze del Consiglio di amministrazione, alle assemblee ed alle riunioni del comitato esecutivo 65, con sanzione di decadenza più ampia che in passato, nel caso di assenza ingiustificata 66; alle assemblee degli obbligazionisti (art. 2415 uc.), inottemperanza che é prodromica alla possibile ignoranza del fatto e che pone il sindaco nell’area della responsabilità, non é ancora sufficiente a radicare la prova nei suoi confronti salvo che non sia dimostrato che egli conoscesse l’oggetto della delibera e la sua illiceità. 67 Contemporaneamente, adempiono a questa funzione la comunicazione al collegio sindacale del parere dissenziente dell’amministratore che lo fa rilevare nel verbale delle riunioni del consiglio (art. 2392 comma 3), ovvero, dell’atto di citazione dell’azione sociale di responsabilità esercitata dai soci (art. 2393 bis, comma 2), o ancora (con obbligo di indagine e di relazione all’assemblea) la funzione di destinatario di denunzie dei soci, a mente dell’art. 2408 cod. civ. 68 (funzione estesa al consiglio di sorveglianza, cfr. art. 2409 quatordecies/2408 ed al comitato di controllo, cfr. art. 2409 octiesdecies comma 6/2408). Parimenti resta inalterato, rispetto alla normativa tradizionale, il dovere dell’amministratore di dare notizia (anche) al collegio Sindacale di ogni interesse personale (o per conto di terzi) che possa inquinare una determinata operazione (art. 2391 comma 1), ma si é grandemente affievolita la relazione informativa con l’organo amministrativo, non essendo più stato previsto il dovere di tempestiva e periodica informazione (con periodicità almeno trimestrale) sull’attività svolta e sulle operazioni di maggior rilievo, come prescritto dall’art. 150 D. L.vo 58/98. E’ espressamente previsto (come già disposto dall’attuale art. 2403 bis, con riferimento, ma specifiche operazioni attinenti ai controlli sulla regolare tenuta della contabilità e delle registrazioni e del bilancio, e, per le soc. quotate, dall’art. 151 comma 3, D. L.vo 58/98, ma con riguardo al mero controllo relativo all’adeguatezza ed affidabilità del sistema amministrativo e contabile) l’ausilio di “auditors” (legati da vincolo di rapporto subordinato o di prestazione professionale, connotati dai medesimi requisiti di indipendenza, atteso il rinvio all’art. 2399), destinati ad incarichi piuttosto ampi: “specifiche operazioni di ispezioni e di controllo” (art, 2403 bis, comma 4). 69 65 Mentre l’attuale art. 2405 dà facoltà di assistenza ai sindaci alle riunioni del comitato esecutivo, il nuovo testo dell’art. 2405 prevede anche per questo incombente un obbligo. 66 Infatti, l’attuale art. 2405 stabiliva la decadenza soltanto per l’assenza ingiustificata all’assemblea – nel corso di un medesimo esercizio - a due adunanze del consiglio di amministrazione, il nuovo testo vi aggiunge anche l’assenza dalla riunione del comitato esecutivo, espressamente annotando un regime di automaticità nella decadenza. 67 In tal senso l’assenza precostituita per non poter essere coinvolto nella responsabilità dell’amministratore può lasciare varchi di dubbio sulle effettiva capacità scriminante, una volta che si ritenga preordinata la manovra volta a sguarnire il presidio di vigilanza l’organo gestorio. 68 la denuncia del socio obbliga il sindaco a convocare l’assemblea a cui presentare relazione; vi è un espresso obbligo di indagine quando vi sia maggioranza qualificata di soci denunciati (20% del capitale; per le quotate, del 50%). 69 In particolare, al riguardo, è espressamente previsto (come già disposto dall’attuale art. 2403 bis, con riferimento, ma specifiche operazioni attinenti ai controlli sulla regolare tenuta della contabilità e delle registrazioni e del bilancio, e, per le soc. quotate, dall’art. 151 comma 3, D. L.vo 58/98, ma con riguardo 19 E’ importante segnalare che il Collegio Sindacale, per le società quotate, é destinatario di una relazione a commento del bilancio semestrale sull’”andamento della gestione” (redatto secondo i criteri di CONSOB) (art. 2428 comma 2 n. 6). Prettamente finalizzata all’informazione é il sistema delle norme che prevedono lo scambio di notizie rilevanti “per l’espletamento dei relativo compiti” con i soggetti incaricati del controllo contabile (art. 2409 septies), norma estesa anche al consiglio di sorveglianza (2409 quatordecies/2409 septies) 70. Ed anche se viene previsto che la capacità cognitiva non trova ostacolo di fronte a notizie segrete o riservate, é evidente che - in sede penale - la consapevolezza dell’atto in capo al membro del Collegio sindacale deve esser puntualmente dimostrata. 71 Ma vi sono, al contempo, delle situazioni che agevolano l’accusa: raramente i sindaci sono del tutto “terzi” rispetto all’amministratore (di maggioranza) 72. Sovente essi sono espressione dello studio commercialistico di fiducia: in capo a questo professionista é illogico predicare la ignoranza, quando egli agisce secondo l’”id quod prelumque accidit” - con capacità professionale (tanto da essere stato scelto e compensato), nell’interesse del cliente e, soprattutto, senza il velame di reticenze o segreti. L’accertamento penalistico diverge da presunzioni normative. In tal senso non hanno valore, in linea astratta, le esenzioni di responsabilità conseguenti alle annotazioni in seno alla relazione sottoposta all’assemblea che delibera sulla riduzione del capitale per perdite oltre il terzo (art. 2482 bis comma 2), ovvero il dissenso espressamente annotato sul libro delle adunanze, ecc. potendosi dar prova liberatoria anche nel caso di manata annotazione. Tuttavia, é evidente che la dissentine opinion assume un peso che, nel processo penale, non può essere pretermessa a favore di chi l’ha manifestata. Per converso, la norma per cui la responsabilità non é esclusa dall’approvazione del bilancio (art. all’art. 2434 e 2476 uc., risulta disposizione penalmente indifferente in sé, se non interviene la priva di una consapevole istigazione alla condotta illecita verso il sindaco o, comunque, la sua consapevolezza del mendacio. b) I poteri impeditivi: secondo requisito – alla luce della responsabilità omissiva di cui all’art. 40 comma 2 c.p. - é la titolarità al potere impeditivi: cioé, la disponibilità di al mero controllo relativo all’adeguatezza ed affidabilità del sistema amministrativo e contabile) l’ausilio di “auditors” (legati da vincolo di rapporto subordinato o di prestazione professionale, connotati dai medesimi requisiti di indipendenza, atteso il rinvio all’art. 2399), destinati ad incarichi piuttosto ampi: “specifiche operazioni di ispezioni e di controllo” (art. 2403 bis, comma 4). 70 Sottolinea la Relazione: “ Tra il soggetto incaricato del controllo contabile e il collegio sindacale è prevista una tempestiva circolazione delle informazioni (art. 2409 septies), che si estende anche agli organi che amministrano la società (art. 2381, quinto comma, richiamato anche nei sistemi dualistico e monistico)”. 71 l’art. 2403 bis comma 4) consente agli amministratori di rifiutare il ragguaglio soltanto con riguardo agli “auditors” e non ai sindaci. 72 Tanto è stato esplicitato dalla disciplina delle soc. quotate ove, art. 148 TUIF., sono previsti sindaci espressione della minoranza 20 strumenti atti ad impedire che l’evento criminoso sia portato ad avverarsi o persegua le sue finalità illecite. Quanto ai mezzi per ovviare ad eventuali atti anti-doverosi (possibilità reattiva), ricordo: - l’istituto della denuncia al tribunale, descritta dall’art. 2409 cod. civ. la quale – fra le altre modifiche rispetto all’abrogata norma - viene estesa anche a fatti dannosi verso società partecipate o collegate (facoltà propria sia del Collegio Sindacale sia del Consiglio di Sorveglianza, cfr. art. 2409 terdecies lett. e); - la possibilità di impugnazione delle delibere a mente del nuovo art. 2377 cod. civ. con le modalità dell’art. 2378 cod. civ. 73 ovvero con la denuncia di nullità dell’art. 2379 cod. civ. 74 - la possibilità di impugnare le delibere del Cons. di amministrazione, inquinate da conflittualità foriera di danno (art. 2391 comma 3) - la possibilità del Collegio Sindacale di segnalare anomalìe in seno alla relazione che accompagna il bilancio a mente dell’art. 2429 e che – ove riferito al compito di vigilare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento – acquista un notevole peso in materia di comunicazione sociale e di responsabilità amministrativa dell’ente; e la analoga possibilità (slegata dalla cadenza del bilancio, ma ancorata alla periodicità almeno annuale) del Consiglio di sorveglianza, su fatti censurabili rilevati (art. 2409 terdecies lett. f); - il dovere di convocare l’assemblea (previo avviso al Presidente del Consiglio di amm.ne) qualora siano stati ravvisati fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgenza di provvedere (art. 2406 comma 2, punto innovativo rispetto alla vecchia disposizione), anche se é scomparso il generale potere di convocare l’assemblea, il consiglio di amministrazione, il comitato esecutivo, di cui all’art. 151, comma 2 D. L.vo 58/98. Infine, la concorrente responsabilità di terzi, non esclude quella del sindaco ove siano riscontrati i tratti della sua colpevole condotta. Se é vero che é stata modificata la funzione di controllo contabile 75 e che il compito che é stato più sovente attribuito ad un revisore o ad una società di revisione (artt. 2403 e 2409 bis primo e secondo comma), tanto non sottrae al sindaco il compito di necessario svolgimento dei suoi doveri, onde evitare la responsabilità penalistica che gli é propria. 76 E’ degna di menzione - a proposito di una concorrente (o escludente) responsabilità - la nuova categoria introdotta dalla riforma di cui alla legge 73 che prevede (comma 4), nella causa di merito, l’audizione obbligatoria dei sindaci da parte del giudice ed, art. 24, delle disposizioni di procedura, la comunicazione ai sindaci della sospensione della delibera. 74 Si tratta di un potere e di un dovere: l’obbligo discende dalla necessità di impedire un eventuale evento illecito, ma la scelta dell’impugnazione è certamente discrezionale, anche nell’ottica del costo/beneficio, con valutazione per il bene giuridicamente protetto e l’interesse dell’organismo societario. 75 V. più esattamente gli artt. 2403, secondo comma, e 2409 bis, terzo comma nonché art. 2325 bis: che precisa “ai fini dell'applicazione del presente Capo, sono società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio le società emittenti di azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in misura rilevante”. 76 Al Sindaco è mantenuta una ingerenza nel controllo contabile per accertare i fatti di gestione, per verificare l’adeguatezza del sistema organizzativo nel settore, per valutare l’attendibilità del bilancio in ordine a cui deve redigere la reazione ex art. 2429 cod. civ. 21 262/05, ma sconosciuta alla legge fallimentare 77, dei “dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari”. Novero che é previsto in via diffusa e che, al di sotto della responsabilità penale, ritrova nella novella una considerazione assai articolata ed importante. La relativa disciplina relativa é trattata a) dall’art. 154 bis per quanto trae alle soc. quotate e, per quel che attiene alle responsabilità, si richiama quanti già in precedenza osservato, aggiungendo - che ad essi deve essere fornito supporto di potere e di informazione adeguato (art. 154 bis comma 4) - che essi (come il direttore generale) ha l’obbligo di espressa attestazione di veridicità su tutti i documenti contabili societari, cfr. art. 154 bis comma 2) e,per quanto trae al bilancio, essi sono tenuti ad una apposita relazione da allegarsi al bilancio o al bilancio consolidato , il cui modello sarà indicato da CONSOB, di corrispondenza con le scritture contabili. - che essi sono tenuti ad una responsabilità analoga a quella degli amministratori (oltre a quanto discendente dal rapporto di impiego, art. 154 bis comma 6). b) (art. 15) dagli artt. 2434 cod. civ., relativamente all’ininfluenza dell’approvazione del bilancio da parte dell’assemblea in merito all’esperimento di azione di responsabilità; dall’art. 2635 (infedeltà a seguito di dazione promessa o utilità), dall’art. 2638 (Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza); art. 2621/2622 cod. civ. (con modifica introdotta nuovo testo di legge); c) nel contesto del diritto penale, dagli artt. 32 bis cod. pen. (interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, conseguenti a condanne per violazioni dei doveri o per abuso dei poteri connessi all’ufficio esercitato); 35 bis cod. pen. (sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese); 622 comma 2 cod. pen. (aggravante per gli esponenti societari nella rivelazione di segreto professionale relativo all’impresa a cui sono preposti). E’ evidente l’interposizione, tra sindaco ed amministratore, di un soggetto che assuma primarie responsabilità (soprattutto in relazione ai fatti contabili), con alleggerimento della posizione del sindaco 78, ma – nei termini sopra espressi – sicuramente non dotato, in via astratta, di capacità scriminante verso l’organo primario. La dottrina ha sottolineato che la norma penale tutela interessi difformi da quelli protetti dalla normativa civilistica (il caso è evidente nelle ipotesi di reati plurioffensivi), donde la conseguenza che per l’accertamento della 77 Donde - salvo il caso di concorso di persone nel reato - l’assenza di relativa responsabilità penale a titolo di bancarotta, dovendosi diversamente operare mediante interpretazione analogica in malam partem. 78 Difficile è stabilire se questo soggetto rivesta caratteristica di organo “apicale” o meno, ai sensi del D. Lgs. 231/01. Secondo opinione autorevole occorre vedere in concreto i poteri che lo statuto riconoscerà a tali soggetti. Se l’atto costitutivo riconoscerà potere di rappresentanza o meno, di diretta gestione, quali siano le sue facoltà in materia di bilancio. Se gli sia affidata soltanto una competenza di alta specializzazione tecnica e no n discrezionale, ecc. 22 responsabilità dell’amministratore si richiede un’indagine dispiegata in concreto, anche in ragione delle dimensioni strutturali dell’apparato societario (e di eventuali distinzioni di competenze a livello di struttura), profilo che giustifica, per un verso, la necessità della delega e, d’altro canto, delinea l’effetto esimente dell’incarico 79. E, per quanto direttamente rileva sulla bancarotta documentale fraudolenta, non deve trascurarsi il ben diverso indirizzo, assai rigido, per quanto attiene alla competenza documentativa e contabile, secondo cui la responsabilità permane comunque in capo all’amministratore, perché su di lui grava, a norma degli artt. 2214 e 2241 cod. civ., detto dovere, sicché ad esso si accompagna anche l’onere di un’oculata scelta del professionista incaricato ed alla connessa eventuale culpa in eligendo, ed anche quello di controllarne l’operato (responsabilità che, giusta la posizione di garanzia, rileva anche nel contesto di fattispecie a sfondo volontario) 80. f) Il revisore contabile La posizione del revisore è, innanzitutto, circoscritta dagli obblighi contrattuali discendenti dalla convenzione con la società. I revisori sono notoriamente (cfr. art. 2409 bis) preposti al controllo contabile sulle società (purché non adottino il sistema monistico o dualistico), con una funzione ormai autonoma, anche concettualmente, rispetto a quella sindacale 81. Il contenuto del controllo dispiegato dai revisori (o, in loro mancanza dal collegio sindacale) è previsto dall’art. 2409 ter: verifica, almeno trimestrale della contabilità e della rilevazione nelle scritture dei fatti di gestione; verifica della corrispondenza delle scritture con i dati di bilancio (d’esercizio e consolidato). A quest’ultimo compito si riferisce la norma penale, poiché il controllo si condensa in un documento scritto depositato presso la sede della società (art. 2429). La responsabilità civile (e salva quella penale) è regolata dall’art. 2409 sexies e parificata a quella dei sindaci: responsabilità contrattuale verso la società ed extra-contrattuale verso i soci e verso i terzi. Di rilievo è segnalare che la recente riforma, portata dall’art. 27, commi 1, 2 e 4, d.lgs. n. 39 del 2010 (entrata in vigore in data 7 aprile 2010) 82, ha 79 cfr. SANTORIELLO, I reati, cit., 161 Cass. pen., sez. V, 10 luglio 2007, Centola, Rv, rv. 237105, Cass., Sez. V, 27 gennaio 2005, De Franceschi, Rv 231707; Cass., Sez. V, 1 ottobre 1998, Mollo, Rv.. 212147, ecc. . 81 Invero, al revisore sono assegnati anche compiti del tutto estranei a quelli tradizionalmente propri del sindaco, per tacere dell’onere di stima nella determinazione del valore delle azioni del socio recedente (art. 2437 ter, comma 2), nella determinazione del prezzo di emissione, in mancanza di diritto di opzione per società quotate (art. 2441, comma 4), essendo il revisore destinatario di relazione di amministratori nel caso di aumento di capitale con esclusione/limitazione di diritto di opzione (art. 2441 comma 6), assume diretto rilievo l’attività di comunicazione sociale nella formazione del patrimonio separato (2447 ter) e, soprattutto, nella relazione sul rendiconto finale della gestione del patrimonio separato (art. 2447 novies), ecc. 82 La nuova disciplina, dettata dall’art. 27, ora (comma 3) presenta il reato quale ipotesi aggravata del paradigma precettivo comune a tutte le società oggetto di revisione, in ragione della specifica tipologia della società oggetto di revisione, qui identificata come «ente di interesse pubblico» (riproponendo la medesima previsione sanzionatoria dell’abrogato art. 174-bis). 80 23 riformulato l’art. 174-bis, commi 1 e 2, T.U.F., con abrogazione sia dell’art. 2624 cod. civ. (Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione) sia dell’art. 174 bis TUF (Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione di società con azioni quotate o da queste controllate o che emettono strumenti finanziari diffusi tra il pubblico), ha escluso la responsabilità ‘amministrativa’ ex art. 25-ter d.lgs. n. 231 del 2001 83. Come i sindaci, anche i revisori sono soggetti “propri” e tenuti quindi agli obblighi discendenti dalla peculiare “posizione di garanzia”. Il che significa che, nel contesto del mandato loro conferito dal legislatore, hanno un generale obbligo di impedire l’evento dannoso. Ma la loror responsabilità per l’eventuale falsità documentale è immediata: ad essi è fatto obbligo di verificare, “nel corso dell’esercizio”, con periodicità almeno trimestrale, la corretta rilevazione nelle scritture contabili dei fatti di gestione (art. 2409 ter, primo comma, lett. a), sicché la loro azione viene a precedere sistematicamente quella degli amministratori (come già disposto dagli artt. 155 del D. L.vo 58/98), con anticipazione del loro intervento rispetto all’originaria disciplina (che accennava ad una ‘certificazione’ ex post dei bilanci): l’omessa rettifica, pertanto, diviene una condotta inserita nella serie causale che conduce all’evento illecito (il falso annidatosi in una posta contabile, si riflette sull’intera comunicazione sociale e la mancata emenda di detta posta inquina Tutto ciò a prescindere dal la complessiva informazione societaria). 84 mendacio nella relazione di revisione, che tende a coprire quella appostazione. La disciplina penalistica sembra consentire l’estensione anche alla revisione volontaria e non meramente obbligatoria. 85 Come per le false comunicazioni sociali, questa figura si biparte in reato di pericolo (protesa al danno) tratteggiata come contravvenzione (comma 1) ed ipotesi delittuosa ove il danno si verifichi (comma 2). 86 Il parametro per la valutazione del mendacio è lo stesso degli art. 2621/2622, anche se il compito del revisore è concettualmente difforme da quello del redattore di bilancio. I soggetti sono, oggi, coloro che hanno effettuato il controllo contabile e, dunque, con rinvio all’accertamento in concreto dell’individuazione di costoro, senza riferimento alle deleghe interne. Diversamente dall’art. 175 D. L.vo 58/98 che limitava la responsabilità agli “amministratori ed i soci responsabili della revisione” (ma potrebbero verificarsi anche casi di revisione 83 Così ha affermato Cass. Sez. Un., 23.6.2011, Deloitte, Rv. 250347. Si osservi, ancora, che la funzione del revisore è oggi contrassegnata dalla continuità dell’ attività che precede la redazione del bilancio, in guisa da accompagnarne la formazione prima della sua pubblicazione. 85 Il D. L.vo 58/98 per le società quotate aveva espressamente risolto la controversia che in passato aveva diviso la dottrina, stabilendo che le norme dovessero riferirsi soltanto alle ipotesi di revisione obbligatoria o ai casi in cui la legge la disponesse quale condizione per l’esercizio di determinate attività per l’ottenimento i benefici o agevolazioni. Ma questa normativa è espressamente limitata alle società quotate (cfr. art. 179 comma 3), sicché oggi non esiste alcuna ragione per circoscrivere il terreno applicativo della norma, con esclusione delle revisioni facoltative. 86 L’ampliamento cospicuo della funzione di revisione, disposto dalla riforma societaria, può lasciar credere ad una forte applicazione della norma penale. In realtà la funzione di controllo “in itinere” della contabilità sociale, sposta l’interesse penale alla formazione del bilancio e lascia intravedere piuttosto una più estesa possibilità di violazione concorsuale con il soggetto “proprio” degli artt. 2621/2622. 84 24 parziale o settoriale di relazioni o di comunicazioni sociali: soltanto in questo ristretto ambito può ravvisarsi la responsabilità penale del revisore). 87 La norma protegge gli interessi patrimoniali dei destinatari della comunicazione sociale, che tramite il mendacio, potrebbero essere lesi (ed è l’ipotesi delittuosa) ovvero messi a repentaglio la loro integrità (ed è il caso della contravvenzione) In tema di concorso del revisore nel reato proprio dell’imprenditore, il giudice deve dare riscontro alla volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, a cui è contestato l’asservimento della funzione certificativa alle istanze illecite dei preposti al gruppo oggetto di revisione. In tal senso l’autonoma opera di compiacente verifica dei dati contabili svolta dal revisore, istigato al mendacio, non esclude in alcun modo la penale responsabilità del preposto alla società oggetto della revisione, interessato ad un esito indi infedele revisione. La concorrente negligenza ed imperizia delle società di revisione non esclude in alcun modo la rappresentazione ingannevole loro fornita dal l’imprenditore. g) I liquidatori. Soggetti previsti per l’epilogo dell’attività societaria 88, hanno poteri del tutto analoghi a quelli degli amministratori, ovviamente finalizzati più direttamente alla salvaguardia dell’interesse dei creditori ed all’equa ripartizione dell’asse attivo. 89 Sono posti in una posizione di garanzia, analoga a quella degli amministratori, dunque, soggetti al dovere di intensa reazione da parte loro (comprensivo della predisposizione di idonea organizzazione) per impedire l’illecito pregiudizievole per soci, creditori e terzi. Essi (come gli amministratori) sono penalmente responsabili delle condotte di tutti coloro che abbiano agito - in via di diritto o di fatto - per conto di un ente successivamente fallito in tutti i casi nei quali, pur essendone inconsapevole, non abbiano fatto tutto quanto in loro possibilità per attuare una efficace vigilanza ed un rigoroso controllo, ovvero non abbiano imposto un'organizzazione idonea non soltanto al raggiungimento degli scopi sociali, 87 Occorre rammentare che, nonostante qualche indicazione normativa, i revisori sono organi esterni alla società ed ad essa legati da rapporto contrattuale e non organico. Sono previste situazioni di incompatibilità e decadenza (art. 2409 quinquies) le quali, nei casi di società di revisione, debbono verificarsi per ogni socio o dipendente (operativo) della stessa. La formula legislativa, per quanto attiene alla revisione prevista per il D. L.vo 58/98 (per le società quotate) non comporta alcuna modifica rispetto al passato, dal momento che ogni relazione del revisore deve esser sottoscritta dal responsabile della revisione, il quale deve essere socio o amministratore della società (art. 156 uc.) 88 Costoro sono ben distinti dalla figura prevista per il concordato preventivo, nominato ai sensi dell’art. 182 l. fall., che non è soggetto attivo dei reati di bancarotta, in quanto non può essere ricompreso nella categoria dei liquidatori di società. Cfr. Cass. pen., sez. un., 30 settembre 2010, Corsini, in Foro it., 2011, II, 149. Sui liquidatori cfr. recentemente Cass. Sez. V, 14.6.2011, Scuoppo, Rv. 250389. 89 su questi soggetti cfr. in dottrina NAPOLEONI, I reati societari, I. Giuffré, 1991, 593; DI GIOVINE, L’estensione delle qualifiche soggettive, in I nuovi reati societari, diritto e processo, a cura di GIARDA/SEMINARA, Utet, 2002, 48; MUCCIARELLI, La tutela penale del capitale sociale, Il nuovo diritto penale delle società, a cura di ALESSANDRI, 338; ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell’economia, Giuffré, 2006, 249, DAMINI, Art. 2633, in I nuovi reati societari, a cura di LANZI/CADOPPI, Utet, 2002, 122, ecc. 25 ma anche ad impedire che vengano posti in essere atti pregiudizievoli nei confronti dei soci, dei creditori e dei terzi . 90 Nel caso in cui è formalmente omessa la procedura di liquidazione emerge evidente la responsabilità di chi, in via di fatto, agisce nella sistemazione dei rapporti pendenti e nella operazione di liquidazione. 91 h) L’Institore Tra i possibili collaboratori dell’imprenditore la legge prende in considerazione soltanto l’institore (art. 2203 cod. civ. 92), soggetto che appartiene all’area della bancarotta impropria, poiché l’oggetto materiale del reato non è riferibile al patrimonio personale del fallito (non assumendo alcun rilievo la manomissione dei propri beni personali o di quelli di società di cui egli è formale amministratore). Per costui è predisposta specifica fattispecie di rilevanza penale, l’art. 227, che lo rende direttamente ed autonomamente responsabile (anche senza l’apporto dell’imprenditore, ovvia permanendo la responsabilità a titolo di concorso se agisca di intesa con il proponente) degli illeciti descritti dagli art. 216 e 217 (ed anche della violazioni di cui agli art. 218 e 220 93). La fonte dei suoi poteri è la procura institoria (che non richiede l’adozione di forme solenni, né la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra l’institore e l’imprenditore 94). Se la procura non sia iscritta nel registro delle imprese, si applica l’art. 2206 co. 2 cod. civ., senza che la circostanza possa attestare l’inesistenza del rapporto institorio 95. L’accertamento della effettiva qualità soggettiva discende dai poteri in concreto assegnatigli, al di là dell’indicazione nominalistica nell’atto di preposizione 96. Cosicché non potrà imputarsi per esempio la violazione agli obblighi contabili, ove essi non siano dedotti nell’atto di preposizione 97. Occorre rammentare che “la nomina di un institore non esclude la responsabilità del titolare dell’impresa per gli atti dallo stesso compiuti, evincendosi dal sistema, ed in particolare dall’art. 2208 cod. civ., che l’imprenditore risponde in via presuntiva di tutti gli atti compiuti in suo nome nella sede dell’impresa stessa, per essere a lui riferibili, secondo i principi fondamentali dell’apparenza giuridica e dell’affidamento, le attività svolte da coloro i quali, a qualsiasi titolo, agiscano nella suddetta sede quali suoi 90 così Cass., Sez. V, 8 novembre 2007, Pirro, in Cass. Pen., 2009, 3984; meno rigorosa è, invece, Cass. Sez. V, 12. dicembre 2005 Procacci, Rv. 233758 relativa alla posizione di amministratore secondo cui dal punto di vista soggettivo - è suscettibile di censura penale soltanto se sia raggiunta la prova che il liquidatore abbia la generica consapevolezza che l’amministratore effettivo distraeva, occultava, dissimulava, distruggeva o dissipava i beni sociali, esponeva o riconosceva passività inesistenti. 91 SANTORIELLO, I reati, cit., 158. 92 In merito cfr. BELVISO, L’institore, Napoli, 1966; CASANOVA, Lineamenti della figura giuridica dell’institore, Studi in onore di Carnelutti, Padova, 1950, III, 409) 93 CONTI, Diritto penale, cit., 56; PEDRAZZI, I reati, Art. 227, cit. pag. 351; SANTORIELLO, I reati, cit., 52. 94 Cass., sez. lav., 27 febbraio 2003, n. 3022. 95 Cass., Sez. V, 15 giugno 1967, Falasco, Rv. 105470. 96 CASANOVA, Lineamenti, cit., 409; PEDRAZZI, I reati, cit., 351. 97 ANTOLISEI, Manuale, cit., ed. 2001, pag. 146. 26 incaricati o che, ragionevolmente, possano essere considerati tali” 98. Pertanto, l’imprenditore mantiene posizione di garanzia verso i creditori ed i terzi (argomenta anche da art. 2205 cod. civ. che dispone di una responsabilità comune a imprenditore ed institore), anche per gli atti compiuti dall’institore, nei confronti della cui attività egli deve esercitare costante controllo 99 e la cui responsabilità può essere affermata in concorso con l’imprenditore (Cfr. Cass., Sez. V, 21 giugno1971, Gombi, rv. 119087) 100. L’institore è responsabile del reato di bancarotta impropria perché è depositario di poteri di rappresentanza (art. 2204), operando quale preposto (sia della sede principale sia di una sede secondaria sia di un ramo particolare di essa), pur non essendone il titolare: la sua fisionomia è del tutto prossima a quella del gestore di fatto 101, la presenza di una procura institoria sancisce la differenza tra i due soggetti. Secondo il giudice di legittimità “l’art. 227 l. fall., nel prevedere i reati fallimentari dell’institore, non fa distinzione alcuna fra institore preposto all’esercizio di tutta l’impresa commerciale, di cui al 1º comma dell’art. 2203 cod. civ. ed institore la cui preposizione sia limitata all’esercizio di una sede secondaria o di un ramo particolare dell’impresa, di cui al 2º comma del medesimo articolo: anche questa più circoscritta preposizione institoria può quindi, per il principio che ove la legge non distingue non può distinguere l’interprete, dar luogo a responsabilità ai sensi dell’art. 227 l. fall.” 102 Condizione essenziale per l’affermazione della responsabilità penale dell’institore è la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore (o della società) proponente. La sua funzione è del tutto analoga a quella dell’amministratore, tanto che non sussiste violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza di condanna, allorché l’imputato sia tratto a giudizio per reati fallimentari come gestore di fatto di una società cooperativa e sia invece ritenuto colpevole nella qualità di institore 103. La sua responsabilità prescinde dall’estensione dell’incarico: la giurisprudenza ha affermato che “l’art. 227 l. fall., nel prevedere i reati fallimentari dell’institore, non fa distinzione alcuna fra institore preposto all’esercizio di tutta l’impresa commerciale, di cui al 1º comma dell’art. 2203 c.c. ed institore la cui preposizione sia limitata all’esercizio di una sede secondaria o di un ramo particolare dell’impresa, di cui al 2º comma del medesimo articolo: anche questa più circoscritta preposizione institoria può, quindi, per il principio che ove la legge non distingue non può distinguere l’interprete, dar luogo a responsabilità ai sensi dell’art. 227 l. fall.” 104 98 Cass., sez. trib., 15 marzo 2006, n. 5671. PEDRAZZI, I reati, cit., art. 227, 346, cit. 100 Cfr. Cass., Sez. V, 21 giugno1971, Gombi, CED Cass. 119087. 101 cfr. Cass., sez. V, 24 giugno 1992, Santelli, in Riv. pen. economia, 1993, 349, che ha ritenuto: “Non sussiste violazione dell’art. 477 c.p.p. del 1930 allorché l’imputato sia tratto a giudizio per reati fallimentari come gestore di fatto di una società cooperativa e sia invece ritenuto colpevole nella qualità di institore”. 102 Cass., sez. V, 24 giugno 1992, Santelli, in Riv. pen. economia, 1993, 349 103 Cass., Sez. V, 24 giugno 1992, Santelli, cit., 349. 104 Cass. Sez. V, 24 giugno 1992, Santelli, cit. 349 99 27 Autorevole dottrina afferma che l’accertamento della qualifica soggettiva dell’institore è esclusivo onere del giudice penale, esulando dal contenuto della sentenza dichiarative del fallimento dell’imprenditore. 105 Per l’institore l’art. 227 l. fall. formula un rinvio assai più contenuto alle altre fattispecie fallimentari, limitandolo ai soli art. 216, 127, 218, 220 e non a quelle modellate su fattispecie di reati societari, per i quali la figura in discorso non è espressamente richiamata. I commessi (art. 2210 cod. civ.), pur collaborando alla gestione, non assumono le responsabilità dell’institore, attesi i più limitati poteri di rappresentanza. Essi, possono - al più - concorrere nelle condotte illecite dell’imprenditore ovvero assumere (previa compiuta verifica) i tratti dell’amministratore di fatto e rispondere ai sensi dell’art. 2639 cod. civ. i) Il soggetto terzo. Non vi è dubbio, sia in dottrina sia in giurisprudenza, che anche per i reati fallimentari è ravvisabile la fattispecie concorsuale di cui all’art. 110 (o 117 106) cod. pen., sicché chiunque, ancorché sprovvisto della qualifica ‘propria’, è soggetto passibile della responsabilità del reato fallimentare, purché ricorra non soltanto la prova di un apporto causale (anche soltanto per la fase preparatoria dell’illecito 107 rispetto all’evento illecito, ma anche la dimostrazione della necessaria rappresentazione cognitiva dei profili tipici della condotta vietata 108. Non incide sulla penale responsabilità, quindi, nel delitto di bancarotta fraudolenta, la qualifica soggettiva di colui che abbia materialmente partecipato alla distrazione dei beni cooperando con l’imprenditore o altro soggetto qualificato nella realizzazione delle condotte tipiche della fattispecie. 109 105 PEDRAZZI, I reati, cit., 162. Per il profili di applicazione dell’art. 117 c.p., nel caso di mutamento del titolo di reato a causa delle qualità personali dell’autore, purché vi sia consapevolezza della qualifica “propria” del soggetto con cui concorre; diversamente si applica la disciplina dell’art. 117 cod. pen. ANTOLISEI, Manuale, cit.., 170; v. GRASSO, Art. 117, in Commentario sistematico del codice penale, a cura di ROMANO/GRASSO, Giuffré, 1996, p. 225; in giurisprudenza cfr. Cass. Sez. V, 21 gennaio 1998, Cusani, in Guida al dir., 1998, 85.. 107 Cass., Sez. V, 26 giugno 1980, Marzano, Rv.. 146248 108 Per es. Cass., Sez. V, 9. dicembre 1991, Rampino ed altri, Rv.. 188871; Cass. Sez. V, 12 maggio 1999, Manca, Rv 213651 (in tema di reati societari); e per il comparto penal/fallimentare per es. Cass., Sez. V. 19 marzo 1999, PM/Bortoletti, Rv.. 213811; Cass. Sez. V, 22/ aprile 2004, Bertuccio, Rv.. 228905, che richiede (in tema di distrazione patrimoniale fraudolenta), per affermare la penale responsabilità del terzo, la prova del dolo “desumibile dalla conoscenza, da parte dell'agente, dello stato di decozione della società”. Analogamente Cass. , Sez. 5, 27ottobre 2006, Tisi, Rv.. 235766 che afferma (motivazione): “… per la corretta valutazione della posizione dell’extraneus, il giudice deve giovarsi di una rigorosa dimostrazione del sufficiente contenuto rappresentativo dell’elemento psicologico, focalizzato sul concreto rischio di insolvenza, anche se non qualificato da una specifica volontà di cagionare danno ai creditori dell’imprenditore”. 109 Dottrina e giurisprudenza assolutamente costanti, cfr. tra i molti LO CASCIO, Il Fallimento e le altre procedura concorsuali, Ipsoa, 2007, 1289; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Leggi complementari, Giuffré, 1998, 168 E SS.; BRICCHETTI-TARGETTI, Bancarotta e reati societari, Giuffré, 2003, 10 e ss., ecc. Cass. Sez. V, 26.6.1990, Bordoni, Cass. pen., 1991, 828; Cass. Sez. 5, 1 dicembre 1970, Berti, Rv.. 116001;153256; Cass., Sez. V, 15 febbraio 1981, Osella, in Riv. pen., 1983, 119; Cass., Sez. V, 27 febbraio 1992, Capriolo, Mass. In Cass..pen., 1992, Rv.. 189959; Cass. Sez. V, 9 marzo 2003, Martino, Rv.. 231699, ecc. 106 28 Tanto che si è affermato esser inutile indagare se questo concorso dovesse configurarsi come dell’”estraneo” ovvero dell’”intraneus” 110, conclusione che - nella sua generalità - non può essere accettata: la differenza tra le due posizioni è di pratico rilievo quando non risulti punibile il concorrente soggetto “proprio” ed il soggetto estraneo sia privo dei requisiti qualifica che autorizzino a costui l’addebito della fattispecie “propria” e, quindi, egli risulti immune dalla responsabilità descritta dalla stessa. 111 E’ evidente che l’apprezzamento del fatto soggettivo, in chiave di dolo eventuale, può lasciare forti ambiti di soggettività valutativa e che risulta arduo fornire parametri e regole astratte per definire la responsabilità, senza che il giudizio si àncori a paradigmi propri della colpa in contesti a sfondo esclusivamente volontario. Fuori dall’ipotesi di una assoluta passività del soggetto di diritto ed una volta esclusa l’univocità indiziante dell’accordo che consente all’amministratore di diritto di associarsi ad un altro operatore più o meno occulto – l’applicazione dell’art. 40 co. 2 c.p. richiede una qualche cautela. Invero, come si è accennato, è necessaria la prova della rappresentazione dell’evento illecito per cui è doveroso l’impedimento. Prova che può essere “ridotta” anche alla dimostrazione della percezione di meri “segnali di allarme”, purché per essi si dia verifica 112 di seria congruenza se non di univocità attestativi di un illecito in atto o quantomeno in fase progettuale. Si richiamano al riguardo le osservazioni dianzi svolte. Ma mette conto soffermarsi sulla responsabilità - a titolo di bancarotta - di chi, agisce al di fuori di una relazione qualificata con la struttura societaria. 110 Cass. Sez. V, 28 giugno 1993, Trovero, cit. VENEZIANI, art. 2639, cit., p. 309 ritiene praticamente inutile l’apporto innovativo dell’art. 2639, ricadendo la maggior parte dei casi in una fattispecie concorsuale regolata ai sensi dell’art. 110 c.p. Non può sottacersi nel presente contesto Cass. Sez. V, 4 ottobre 2006, Massimiliano, Rv.. 235023 secondo cui “nei confronti dell'estraneo, ovvero di soggetto non qualificato alla gestione dell'impresa, è impossibile avvalersi di presunzione connessa agli obblighi imposti all'amministratore dalla legge civile, e quindi ritenere risolutiva per la prova di responsabilità per bancarotta, la sua mancata giustificazione del destino dei beni e dei valori non rinvenuti all'atto del fallimento, e circa la tenuta o la sorte dei libri sociali”. Opinione che forse trascura la prensione punitiva della fattispecie dettata dall’art. 232 co. 2 l. fall., addebitando all’estraneo che pregiudichi gli interessi patrimoniali dei creditori la “minore” responsabilità propria della ricettazione fallimentare. Ovvero che, per converso, può rendersi discutibile quando l’azione illecita sia rapportabile all’omissione del soggetto di diritto, obbligato ad impedire il danno alla massa creditori perpetrato mediante l’azione dell’estraneo e tenuto, anche in questo caso alla peculiare valutazione della mancata giustificazione del disavanzo ingiustificato. Sull’applicazione anche all’amministratore di fatto del meccanismo probatorio vigente nel caso di mancata giustificazione delle destinazione dei beni non reperiti nell’asse fallimentare Cass., sez. V, 4 giugno 2004, Squillante, in Riv. pen., 2004, 799; Cass. Sez. V, 4 giugno 2004, Galasso, Rv.. 228713. 111 Al riguardo dei rapporti tra amministratore di fatto ed extraneus la SC. ha affermato “Non integra la violazione del principio di correlazione tra reato contestato e reato ritenuto in sentenza, previsto dall'art. 521 cod. proc. pen., la decisione con la quale sia condannato un soggetto quale concorrente esterno in un reato di bancarotta fraudolenta, anziché quale amministratore di fatto, qualora rimanga immutata l'azione distrattiva ascritta, atteso che il soggetto che non risulti essere amministratore di fatto può certamente aver concorso come "extraneus" nel delitto di bancarotta’ (giurisprudenza ormai consolidata, ex multis Cass. pen., sez. I, 25 novembre 2009, Ascanio, Rv. 245957). 112 Ben diverso sarebbe l’argomento ove il mutamento della tipologia di merce assumesse rilevanza integrando una variazione dell’oggetto sociale o esprimesse i tipici sintomi di una preordinazione dolosa del fallimento, con acquisto di merce di disparata natura ed interesse commerciale per la società (essendo l’acquisto finalizzato esclusivamente all’incetta della stessa a credito per una rapida esitazione fraudolenta). Cfr. al riguardo. Cass. Sez. V, 23 febbraio 1995, Barducco ed altri, Rv.. 201057. 29 Si pensi a chi agisce in forza di incarico ricevuto dal’amministratore, come il professionista interpellato per singoli incombenti. 113 Per questi l’ambito di responsabilità discende dal negozio che gli assegna l’incombente, sicché egli non risponde per fatti ad esso esterni, ascrivibili a chi direttamente commette l’illecito. Ma esistono situazioni peculiari in cui interagiscono obblighi generali che incidono sul metro di giudizio da assumere: per esempio, per ciò che riguarda la posizione del legale del fallito, si osserva che egli non può esser ritenuto responsabile per non aver dissuaso il cliente dal commettere condotte illecite, non disponendo di posizione di garanzia. Né egli è imputabile di essersi limitato, di fronte alla istanza del cliente, ad esporre - in via astratta - i tratti della illiceità della condotta 114. Diversamente deve concludersi, se egli assista il cliente nella esplicazione di atti strumento della illecita condotta (es. negozi simulati) 115, ovvero, prima della commissione dell’illecito, esponga consigli per sottrarre il cliente all’accertamento del disegno criminoso. Nel caso in cui al professionista commercialista o legale a cui sia stata consegnato il compendio documentale da parte del soggetto e che sia estraneo ad ogni concerto al riguardo, di cui in seguito viene dichiarato il fallimento, non risponde di bancarotta documentale per sottrazione se egli omette - al curatore che gliene domanda conto - di dichiarare la disponibilità del corredo, in primo luogo, perché egli non è il soggetto del reato di bancarotta 116 ed, inoltre, perché assume un dovere di segretezza nei confronti del suo cliente. All’opposto è a dirsi se la condotta segua ad una preordinata intesa fraudolenta con il cliente. 117 La giurisprudenza annovera decisioni coinvolgenti i destinatari di erogazioni liberali (che, per loro natura si profilano come oggettivamente appartenenti all’area della dissipazione), postulando - al fine di sancire la relativa responsabilità - la consapevolezza del concreto rischio di insolvenza in cui versa l’impresa o l’esponente della società erogatrice. 118 Milano, 23 gennaio 2012 Gian Giacomo Sandrelli 113 Il concorso del professionista nel reato fallimentare commesso dall’imprenditore dichiarato fallito è affermato da giurisprudenza consolidata: Cass., Sez. 5, 11 marzo 1988, Pennati, in Riv. pen., 1989, 316; Cass., Sez. V, 19 aprile 1988, in Giust. Pen., 1989, II, 397; Cass. Sez. V, 22 ottobre 1986, Sonson, in Cass. Pen., 1988, 927 ; Cass. Sez. V, 25 maggio 1987, Bevilacqua, in Cass. Pen., 1988, 1539, ecc. 114 cfr. Cass., Sez. V, 17 ottobre 1958, Ferro, in Giust. Pen., 1959, II, 191. 115 cfr. Cass., Sez. V, 3 dicembre 1998, Minieri, in Fisco, 1999, 1537 116 Infatti, l’art. 88 co. 3 della legge fall. non prevede quale destinatario dell’interpello del curatore altri che non sia il fallito o gli amministratori di società fallita. 117 Delicata è la configurazione del concorrente ‘terzo’ nel caso di preordinazione dolosa, dovendosi necessariamente richiedere la consapevolezza della volontà protesa al fallimento nell’azione che impoverisce l’asse concorsuale, per le operazioni dolose è postulata la contezza dell’antidoverosità dell’operazione in riferimento all’interesse della società. 118 V. per es. Cass. Sez. 5, 22 aprile 2004, Bertuccio, Rv. 228905 che ha ravvisato il concorso dell’extraneus nel fatto di avere ricevuto somme di denaro (a titolo di regalia) dall’imprenditore di poi fallito. E’ stata richiamata la natura generica del dolo mentre altra decisione (Cass., Sez. 5, Tisi, Riv. 250586) richiede la rappresentazione dello stato di difficoltà dell’impresa, il cui impoverimento è idoneo a cagionare il dissesto. 30