Itinerari sociali 3 Collana diretta da Giuseppe Acocella A11 86 La collana “Itinerari sociali” è istituita dal corso di laurea in Scienze del servizio sociale dell’Università degli Studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa”, sede di Salerno. Responsabile redazionale Fabio Marino Giuseppe Acocella / Filomena Ferrara Angela Maria Graziano / Angela Iacovino Etica professionale e deontologia sociale Il “lavoro sociale” fra identità e futuro della professione ARACNE Copyright © MMV ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] 00173 Roma via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 88–548–0102–X I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: giugno 2005 Indice Introduzione di Giuseppe Acocella 7 1. Sull’etica professionale dell’assistente sociale di Giuseppe Acocella 9 2. L’etica applicata al servizio sociale di Filomena Ferrara 25 3. Deontologia, giustizia e dialogo interculturale nella crisi della modernità di Angela Maria Graziano 41 4. Le donne e l’etica della cura: Susan Moller Okin e Martha Nussbaum di Angela Maria Graziano 57 5. Valutare per governare la rete dei servizi sociali: quale metodologia? di Angela Iacovino 97 ALLEGATI Dichiarazione sui principi etici del servizio sociale della Federazione internazionale Assistenti Sociali (di F.I.A.S./I.F.S.W, 1990) 127 Codice deontologico dell’assistente sociale (Roma, 6 aprile 2002) 135 5 6 Indice Regolamento Approvato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine (Roma, 11 maggio 2002) 149 Profili autori 163 Introduzione di Giuseppe Acocella L’esigenza di qualificare sempre più la formazione degli assistenti sociali all’interno dei corsi di studio universitari, in seguito alla riforma degli ordinamenti didattici del 1999, che ha collocato le scienze del servizio sociale nel quadro delle lauree, impone di approntare strumenti di alto profilo culturale, specialmente per quelle discipline che non possono vantare una tradizione di ricerca scientifica nel loro passato. Peraltro l’inserimento dell’Etica e deontologia professionale, oltre che nella laurea di primo livello, anche nell’ordinamento della laurea specialistica, quale ambito finora marginalmente considerato, nella consolidata presenza delle materie professionali del servizio sociale, richiede che la formazione universitaria — tradizionalmente frutto dell’incontro tra ricerca scientifica e didattica — preveda anche per questo ambito disciplinare strumenti didattici qualificati. Nasce da queste considerazioni l’urgenza di fornire con questo volume un manuale adeguato a soddisfare l’esigenza di una preparazione che comprenda i fondamenti dell’etica professionale e della deontologia dell’assistente sociale come parte dell’etica sociale per un verso, e l’esame di alcuni profili particolarmente rivolti ai campi nuovi in cui si dovrà esercitare l’azione del servizio sociale e della sua progettazione e gestione per un altro. L’accresciuta possibilità di comparazione anche con i percorsi formativi di altri paesi europei dove il Social Work gode di una pari collocazione universitaria (in specie Germania, Spagna, Francia), come il processo di uniformità legislativa indotto dalle istituzioni europee, esige peraltro che l’insegnamento della disciplina non resti confinato nell’ottica nazionale fin qui sperimentata, ma acceda anche ad una dimen7 8 Introduzione sione culturale più ampia dell’esperienza “etica” delle professioni del servizio sociale. Il volume — misurato e modellato sulle necessità specifiche richieste da un corso semestrale, corrispondente ad un modulo di insegnamento — introduce il lettore e lo studente ai problemi teorico–pratici dell’etica nel servizio sociale, giovandosi anche di una appendice sul codice deontologico italiano e della dichiarazione sui principi etici del servizio sociale della Federazione internazionale degli assistenti sociali, ma sceglie di allargare la prospettiva collegando i temi dell’etica professionale al più ampio dibattito etico–sociale sulle problematiche di intervento sociale conseguenti la purificazione delle diverse culture e sul problema dell’etica della cura. Non si scambi l’attenzione rivolta al “versante femminile” del dibattito internazionale come una conferma del carattere prevalente finora assunto delle attività del servizio sociale, ma come una oggettiva condizione che al discorso sull’etica della cura e all’indagine sulla famiglia è rivestita dal contributo di due significative studiose di etica sociale quali la Okin e la Nussbaum. Le giovani ricercatrici Filomena Ferrara, Angela Maria Graziano e Angela Iacovino rappresentano la prima avanguardia formatasi in ambito universitario intorno a questi studi, finora, come si diceva, marginali tanto nel quadro della riflessione etico–sociale quanto nella specifica esperienza didattica delle materie professionali del servizio sociale. Il volume, nato per gli studenti universitari, può dunque aspirare a presentarsi anche presso la comunità scientifica come un saggio delle future possibilità che la ricerca e la didattica sperimentano in questa nuova disciplina. Il primo passo è compiuto. 1. Sull’etica professionale dell’assistente sociale. Premessa alle scienze del servizio sociale1 di Giuseppe Acocella 1.1 Il Servizio sociale e profili etico–sociali Il servizio sociale — oltre che con le scienze sociali — “si deve misurare” con i fondamenti etico–sociali dell’ordinamento giuridico, dal momento che esso costituisce un ambito fortemente caratterizzante lo Stato contemporaneo, poiché fondato sui principi etici e sui valori di eguaglianza e di giustizia sociale i quali nel diritto e nei diritti trovano esplicazione. Pertanto l’azione espletata dall’assistente sociale è ispirata precipuamente dal principio che prevede per lo Stato di diritto il fondamentale obbligo costituzionale di restituire i diritti riconosciuti dall’ordinamento al cittadino che ne fosse, per qualsiasi ragione, ingiustamente privato. La professione è dunque rivolta all’accertamento della situazione (e dunque all’acquisizione delle competenze a ciò necessarie), per poter adeguatamente procedere all’intervento di ripristino del pieno diritto secondo quanto previsto dall’ordinamento. La Legge 328 del 2000, che finalmente disciplina il sistema integrato dei servizi sociali, fornendo un quadro normativo generale, conferma proprio questo indirizzo culturale, tanto più significativo all’interno del quadro generato dalla crisi del Welfare State che investe tutti i paesi industrializzati. Dunque, mentre lo Stato e la società si sono sviluppati attraverso l’affermazione dei “diritti e dei principi sociali” affermati negli ordinamenti contemporanei, sul versante di questo secolo 1 Rielaborazione del contributo pubblicato in “Qualità Sociale”, n. 21/2003. 9 10 Giuseppe Acocella che chiude il millennio che ha visto il passaggio dei paesi occidentali alla modernità si consolidano orientamenti che celebrano la fine del “criterio sociale” quale comune indicatore per valutare — semmai con conclusioni e convenienze opposte, ma basate su eguali considerazioni — misure e assetti da assumere nella vita delle nazioni. Le differenze sociali divengono mere constatazioni sociologiche e occasioni di misure particolari, non più fini generali capaci di richiamare giustizia sociale o suscitare orientamenti ideologici in competizione tra di loro per costruire i1 destino degli Stati e delle politiche pubbliche. In questo quadro di democrazia, che é andata crescendo nella seconda metà del Novecento, ora — di pari passo con la crisi del Welfare valutato su esclusivi parametri di spesa — si assiste ad una marginalizzazione delle politiche pubbliche di servizio sociale, che avevano invece qualificato lo Stato democratico contemporaneo e gli equilibri costituzionali sviluppatisi dopo la seconda guerra mondiale. II rischio è che si crei una irrimediabile lacerazione tra la società degli inclusi (o di quanti si ritengono ad essa appartenenti anche per brevi periodi, o per una sola generazione) e la società degli esclusi. L’irresistibile affermazione del mercato globale, del resto, ha ridotto drasticamente non solo la funzione dei grandi obiettivi collettivi, tanto da proclamare la definitiva insufficienza delle ideologie, alle quali é andata sostituendosi l’unica grande ideologia delle posizioni naturalistiche. 1.2 L’etica delle professioni sociali nello Stato di diritto È evidente quanta rilevanza assuma il tema dell’etica razionale moderna che accompagna il dibattito intorno alla relazione scienza/società, a partire dalle riflessioni di Max Weber intorno alla Scienza come professione tenuta nel 1918 e pubblicata nel 1919, all’interno di un dibattito per il quale basterà fare i nomi di Durkheim, di Sombart, di Scheler. Qui interessa soprattutto la riflessione che Weber elabora sui funzionari pubblici in relazione ai compiti dello Stato di diritto, in specie nell’opera Wirtschaft und Gesel- 1. Sull’etica professionale dell’assistente sociale 11 lschaft, pubblicata postuma nel 19222, allorché scriveva che è necessario fondarsi sul presupposto che “ogni diritto sia nella sua essenza un cosmo di regole astratte .... che la giurisdizione costituisca l’applicazione di queste regole al caso particolare”, e che “soltanto colui che può dimostrare di aver acquisito una preparazione specializzata é qualificato a far parte dell’apparato amministrativo di un gruppo sociale, ed egli soltanto può essere impiegato come funzionario”. Con questo non si vuol dire che l’assistente sociale sia un funzionario dotato esclusivamente di potere legale, giacché ne scaturirebbe una collocazione mortificante per le qualità professionali e le competenze specifiche, nonché impropria nella qualificazione esclusivamente giuridico–amministrativo, ma si vuol dire che nella crisi dello Stato sociale le caratteristiche del mandato istituzionale forniscono la garanzia di efficacia allo stesso mandato professionale. Ernst Forsthoff, nel saggio del 1950 su Lo Stato moderno e la virtù, ha sottolineato che “ogni Stato — inteso nella sua reale esistenza e non solo come organismo ideale — si basa sulle qualità degli uomini che lo sorreggono e che esercitano le sue funzioni. Esso é impensabile senza una certa dose di virtù. Lo stesso vale per il diritto, inteso nel suo vero significato etico. L’emancipazione del positivismo giuridico dal diritto (inteso in questo senso) e l’emancipazione della dottrina dello Stato dalla virtù sono strettamente connesse fra loro”3, con ciò sottolineando la necessità del fondamento etico per le professioni “sociali”. L’assunto risulta meglio comprensibile alla luce delle riflessioni di Jurgen Habermas allorché, nel 1962, in Storia e critica dell’opinione pubblica, sostiene che “lo Stato di diritto, in quanto Stato borghese, consolida la sfera pubblica con funzioni politiche come organo dello Stato per assicurare istituzionalmente la connessione tra legge e opinione pubblica”, dal momento che in questo modello di Stato “l’opinione pubblica é contrapposta senz’altro all’arbitrio e sottoposta alle leg2 3 M. WEBER, Economia e società, tr. it. Comunità, Milano 1961. Z. E. FORSTHOFF, Rechtsstaat im wandel, Stuttgart, 1964, tr. it. Stato di diritto in trasformazione, Giuffré, Milano 1973, p. 13. Il testo originale del saggio Lo Stato moderno e la virtù fu pubblicato nel 1950 in Tymbos fur wlhelm Ahlmann, pp. 80 ss. 12 Giuseppe Acocella gi immanenti del pubblico dibattito dei privati”4. Se si guarda alla tradizione italiana, si osserverà che le garanzie per il privato anche nei confronti della Pubblica Amministrazione ed il dovere di applicare lealmente ed imparzialmente la legge corrispondono proprio alla specifica identità professionale dell’assistente sociale, posto che esso deve per l’appunto uniformarsi a principi, che è chiamato ad assicurare, come: 1. “l’osservanza assoluta della legge come tale”; 2. “tutta l’attività di una amministrazione pubblica deve avere per iscopo l’interesse generale”; 3. salvaguardia del diritto del privato in contesa con la P. A.; 4. l’imparzialità come “idea suprema di giustizia”5. 1.3 L’etica professionale dell’assistente sociale In realtà proprio la specificità del servizio sociale trasforma e sublima in un compatto e nuovo profilo formativo le componenti diverse che confluiscono nella figura dell’Assistente sociale, il quale non rappresenta una figura subalterna dotata di una preparazione che si limiti ad essere la somma di porzioni di formazione altrui (il giurista, il medico, il sociologo, lo psicologo), ma piuttosto delinea una figura alla pari con le altre. Questa caratterizzazione forte deve però fondarsi sulla piena consapevolezza culturale, da parte dell’Assistente sociale, della propria funzione, la cui specificità é fornita dal sociale, che non é funzione opzionale e aggiuntiva dello Stato contemporaneo, ma la qualità stessa con cui lo Stato, trovando un sofferto equilibrio tra spinte contrapposte, si é configurato nell’età contemporanea. Il Novecento col suo tragico fardello é stato lo scenario dello 4 J. HABERMAS, Strukturwandel der Oeffentlichkeit, Neuwied, 1962, tr. it., Storia e critica dell’opinione pubblica, Laterza, Bari 1984, p. 103. 5 I principi virgolettati sono già nel celebre discorso di Silvio Spaventa del 13 marzo 1889 (Discorso incompiuto per l’apertura della IV sezione del Consiglio di Stato). 1. Sull’etica professionale dell’assistente sociale 13 scontro tra opposte tendenze ed é stato il secolo che ha scoperto la centralità del problema sociale, e del quale si poté dire che “o sarà sociale o non sarà”. Discutere quindi oggi di Stato sociale non significa certo dibattere su attribuzioni più o meno significative dell’organizzazione pubblica della comunità, ma affrontare i nodi della convivenza sociale, ridefinire compiti e ruolo dello Stato. L’Assistente sociale — in ciascuna delle principali direzioni nelle quali ha sperimentato la sua funzione, sanitaria, penitenziaria, territoriale — é dunque la figura che rende attuabili i fini sociali dello Stato, centrali nella affermazione dei diritti fondamentali della persona che sono alla base degli Stati costituzionali, sottolineando pertanto il grande ruolo e l’insostituibile significato etico. La figura dell’assistente sociale non può dunque che fondarsi sulla professionalità dell’intervento e deve rivendicare la natura istituzionale della propria legittimazione. Ha opportunamente notato S. Banks: “II servizio sociale può essere considerato come una ‘professione dei servizi umani’, come la medicina o l’avvocatura. L’assistente sociale ha specifiche conoscenze e abilità e deve godere della fiducia dell’utente per agire nei suoi interessi. La relazione tra assistente sociale e utente è diseguale, per il fatto che il primo ha più potere. Il servizio sociale, tuttavia, come le professioni legali, la medicina, l’assistenza infermieristica, il counselling e altre ancora, ha un codice etico il quale ha lo scopo, fra l’altro di proteggere l’utente dallo sfruttamento o dalla cattiva condotta del professionista”. Ma la collocazione etica dell’esercizio professionale dell’assistente sociale va inquadrata soprattutto con riferimento alla funzione pubblica assolta dal servizio sociale, anche quando valorizzi l’apporto privato o del volontariato. Infatti “il servizio sociale fa parte di un sistema statale organizzato e dotato di risorse per distribuire beni e servizi al fine di affrontare certi tipi di bisogni di individui, famiglie, gruppi e comunità nonché di curare, contenere o controllare il comportamento di chi è considerato come socialmente problematico o deviante”6. 6 S. BANKS, Etica e valori nel servizio sociale, Erickson, Trento 1999 (ed. or. 14 Giuseppe Acocella È facile dunque comprendere come l’etica del servizio sociale e di chi ne esercita le funzioni debba fare prevalente riferimento all’etica pubblica, benché l’etica della efficienza economica possa apparire come il modello centrale al quale riferire l’intera questione dell’etica professionale, con non poche implicazioni (negative) per una professione di servizio sociale, in specie se essa — oltre che ad un modello di vita sociale fortemente condizionata da fini solidaristici — deve fare i conti con ritardi nella definizione dello statuto scientifico della cultura professionale (solido invece in altre professioni “sociali”, come quelle del medico o del giurista). La necessità di definire la professione di chi opera nel servizio sociale impone innanzitutto di non incorrere nel rischio che si verifica quando “l’identità dell’assistente sociale viene definita attraverso una somma di negazioni: ciò che non è, o ciò che non deve fare, oppure attraverso prescrizioni rigide e schematiche, regole generiche che in realtà non risolvono il come, non producono un’immagine esaustiva e reale”7. Occorre, in questo caso, ripartire dal significato che il concetto della professione assume nel campo delle professioni con uno specifico indirizzo “sociale”: “L’area semantica che scaturisce dal termine professione in senso stretto ruota invece sul seguente fondamentale elemento: il ricorso alla conoscenza per usi socialmente apprezzabili. Gli sforzi definitori dei più autorevoli studiosi in materia, infatti, concordano nel sostenere la centralità del dato conoscitivo, l’applicazione concreta del quale a questioni e problemi di rilevanza sociale fonderebbe la professione propriamente intesa”8, cosicché “si può parlare di vera e propria professione (....) 1995), pp. 22–23. 7 O. CELLENTANI – R. RAMOSCELLI, II pensare e l’agire nell’intervento di servizio sociale: il ruolo dell’affettività, in AA.VV., II servizio sociale tra identità e prassi quotidiana, a cura di O. Cellentani e P. Guidicini, Milano 1989, p. 148. 8 L. SCARAZZATI, Tirocinio, conoscenza e servizio sociale: i termini di una ambivalenza, in O. CELLENTANI – R. RAMOSCELLI, op. cit., p. 155. II cenno agli studiosi, contenuto nel testo, è in riferimento alle opere curate da G. PRANDSTRALLER, Sociologia delle professioni, Roma, 1980, e da W. TOUSIJN, Sociologia delle professioni, Bologna 1979. Cfr. anche G. PRANDSTRALLER, Arte come professione, Marsilio, Venezia 1. Sull’etica professionale dell’assistente sociale 15 là dove una certa conoscenza viene tradotta in operazioni pratiche, là dove una certa area del sapere viene applicata concretamente soddisfacendo in questo esigenze, bisogni, necessità del contesto societario”9. L’etica professionale dell’assistente sociale si muove quindi sulla base da un lato delle prescrizioni dei fini dell’ordinamento giuridico (ed in specie dei suoi fondamenti etici), nonché dall’altro delle competenze e conoscenze tecniche necessarie affinché siano adeguatamente conseguiti quei fini, in ragione della specifica “Beruf” (nel significato di professione e di vocazione allo stesso tempo) che connota il mandato dell’assistente sociale10. II “lavoro sociale” da un lato si indirizza dunque ai “fini pubblici”; non più di mera beneficenza, per assicurare la tutela dei diritti personali dell’assistito (mandato istituzionale) in ossequio al principio di eguaglianza, promovendo nell’utente la responsabilità personale e la piena autonomia; dall’altro, basandosi sulle motivazioni individuali rese efficaci dalla formazione, esalta il valore sociale della vocazione (mandato professionale). Le tre direzioni prevalenti in cui si esplica il mandato istituzionale/professionale dell’assistente sociale corrispondono peraltro ai tre ambiti nei quali si presenta l’ordinamento giuridico–sociale: * La salvaguardia del diritto della persona alla propria autonomia e a quello del proprio gruppo sociale (maternità, disagio personale o familiare, disabilità, minori, anziani, ecc.); * La garanzia della cittadinanza assicurata dalle funzioni pubbliche e dagli obblighi previsti dalla legge a carico della comunità nei confronti dell’avente diritto (servizio socio– sanitario, previdenza, misure di sostegno sociale, ecc.); * Il recupero individuale finalizzato alla sicurezza (servizio 1974. 9 L. SCARAZZATI, op. cit., p. 156. Sulle etiche del lavoro cfr. P. FERRARI DA PASSANO, Riflessioni di etica sociale. 10 Sulla metamorfosi del mercato del lavoro, in “Civiltà cattolica”, quaderno n. 3638, ora in “Psicologia e lavoro”, A. XXXII, n. 125, aprile–giugno 2002, pp. 36–42. 16 Giuseppe Acocella sociale penitenziario, pene alternative, ecc.) 1.4 Deontologia professionale e codice etico L’eminente funzione pubblica e sociale e la riconosciuta responsabilità nell’esercitarla — attribuite all’azione professionale dell’assistente sociale dalla Legge 23.03.1993, n. 84, e ribadite nell’art. 20, c. 2 del Regolamento sul riassetto degli Albi secondo i nuovi titoli universitari, emanato dal Consiglio dei ministri il 3 aprile 2001 — ne determinano anche i contenuti deontologici. Infatti il c. 1 dell’art. 1 chiarisce che “l’assistente sociale opera con autonomia tecnico–professionale e di giudizio in tutte le fasi dell’intervento per la prevenzione, il sostegno e il recupero di persone, famiglie, gruppi e comunità in situazioni di bisogno e di disagio”. La professione dell’assistente sociale dunque, inerisce un principio essenziale della società democratica fondata sull’eguaglianza: il ruolo professionale assolto riguarda lo sviluppo della persona nella comunità attraverso le formazioni sociali intermedie delle famiglie e dei gruppi. L’etica professionale dell’assistente sociale trova pertanto il suo fondamento nel valore della dignità della persona umana la cui tutela è resa concreta dal rispetto dei suoi diritti originari, riconosciuti dalla Costituzione italiana e dalle leggi, in coerenza con le motivazioni che orientano l’azione dello Stato democratico, i cui ideali si ispirano ad una concezione che riconosce il libero dispiegarsi della persona umana e dei suoi diritti all’interno delle comunità sociali, talché al rispetto delle esigenze della persona debbono ordinarsi società e Stato. La professione è dunque — come recita lo stesso Codice deontologico volontariamente accettato — “al servizio delle persone, delle famiglie, delle associazioni, delle comunità ed aggregazioni sociali, delle quali valorizza l’autonomia, la soggettività, la responsabilità”. Ne consegue che naturalmente nel rapporto professionale l’assistente sociale “non deve mai utilizzare la relazione con gli utenti per interessi o vantaggi personali”, e che egli “considera e accoglie ogni persona portatrice di una doman- 1. Sull’etica professionale dell’assistente sociale 17 da, di un bisogno, di un problema come unica e la colloca entro il suo contesto di vita, di relazione e di ambiente, svolgendo la sua azione professionale senza discriminazione di età, di sesso, di stato civile, di razza, di nazionalità, di religione, di condizione sociale, di ideologia politica, di minorazione mentale o fisica, secondo i principi etici e le normative contenuti nelle disposizioni vigenti”. Di particolare rilievo è la funzione che l’assistente sociale assolve nel rendere operativa la dimensione sociale ed equitativa dello Stato–comunità: egli deve impegnare la propria competenza professionale per promuovere adeguatamente la piena autodeterminazione degli utenti, ed ha il dovere di fornire, tenendo conto delle caratteristiche culturali e delle capacità di discernimento degli interessati, la più ampia informazione sui loro diritti, sui vantaggi, svantaggi, obblighi, su risorse, programmi e strumenti previsti dalle leggi e dalle pubbliche istituzioni. Peraltro, ancora più accentuatamente che per le altre professioni sociali, l’etica professionale dell’assistente sociale deve uniformarsi al dovere di imparzialità dell’intervento, che impone trasparenza e pubblicità degli atti, pur nel rispetto della dignità e della riservatezza da assicurare ai fruitori dell’intervento stesso. La riservatezza ed il segreto professionale costituiscono infatti diritto primario dell’utente e dovere inderogabile dell’assistente sociale nei limiti della normativa vigente. La natura fiduciaria della relazione con gli utenti obbliga l’assistente sociale a trattare con riservatezza in ogni atto professionale le informazioni ed i dati riguardanti gli stessi per il cui uso deve ricevere l’esplicito consenso degli interessati o dei loro legali rappresentanti, ad eccezione dei casi previsti dalla legge. Senza entrare nel merito dell’appartenenza della professione al novero delle professioni educativo–sociali — per quanto è necessario riconoscere questa particolare condizione, e la conseguente opportunità di inserire la formazione dell’assistente sociale nelle Facoltà umanistiche, in coerenza con il ripetuto accenno delle norme alle “attività didattico–formative” — si può apertamente sostenere che il “lavoro sociale” costituisca di per 18 Giuseppe Acocella sé una condizione lavorativa con forti connotazioni etiche11. La deontologia professionale dell’assistente sociale è dunque determinata dalla natura essenziale dei suoi stessi compiti, tanto che si afferma che l’assistente sociale “deve contribuire a promuovere una cultura della solidarietà e della sussidiarietà, contribuendo a sviluppare negli utenti e nei clienti la conoscenza e l’esercizio dei propri diritti e doveri nell’ambito della collettività, promuovere e sostenere processi di maturazione e responsabilizzazione sociale e civica”, cosicché la funzione pubblica e solidaristica costituisce un aspetto preminente dell’azione di servizio sociale generalmente inteso, giacché egli deve anche “contribuire alla promozione allo sviluppo e al sostegno di politiche sociali favorevoli alla emancipazione di comunità e gruppi marginali, e di programmi che comportino il miglioramento della loro qualità di vita”. La specificità della identità culturale e professionale dell’assistente sociale è inoltre sottolineata dalla prescrizione in virtù della quale egli ha il “dovere di porre all’attenzione delle istituzioni che ne hanno la responsabilità e della stessa opinione pubblica situazioni di deprivazione e gravi stati di disagio non sufficientemente tutelati. Pertanto l’assistente sociale deve conoscere i soggetti attivi del campo sociale sia privati che pubblici e ricercarne la collaborazione per azioni comuni tendenti a rispondere in maniera articolata e differenziata ai bisogni espressi, superando la logica della risposta assistenziale, e contribuendo ad una corretta e diffusa informazione sui servizi a favore dei cittadini per l’accesso e l’uso delle risorse e delle opportunità per tutti”. 11 Sul contributo della ricerca e delle scienze sociali allo sviluppo del Social Work e dell’autonomia disciplinare delle scienze del servizio sociale cfr. B. BORTOLI, Sociologia del servizio sociale agli albori della professione, in “Studi di sociologia”, A. XXIX, ottobre–dicembre 2001, pp. 447–461. Per meglio definire le specificità scientifico–disciplinari delle scienze del servizio sociale nei confronti della ricerca sociologica, sarebbe utile ed interessante ricordare le origini della sociografia, sviluppatasi inizialmente con caratteri autonomi (nella definizione dello studioso olandese Steinmetz), in parallelo con la statistica e la sociologia, e poi articolatasi in diverse direzioni fino ad essere assorbita in differenti tradizioni disciplinari (da un lato la sociologia, dall’altro la geografia sociale). 1. Sull’etica professionale dell’assistente sociale 19 Si può anzi dire che il servizio sociale costituisca l’aspetto della vita delle nazioni moderne e degli Stati democratici nel quale più impegnativamente viene risolta la dicotomia pubblico/privato, che costituisce elemento fondativo della modernità e del concetto di libertà che ad essa inerisce. L’etica professionale comporta insomma una definizione non equivoca dei fini comunitari e pubblici del servizio sociale — una volta che questo sia liberato dei caratteri assistenzialistici e volontaristici che ne hanno spesso compromesso la rilevanza e l’efficacia, precipitandolo nella sola dimensione privatistica — che ne accentua il ruolo di aspetto essenziale della società democratica (e dei suoi fini etico–politici) nel perseguire la libertà personale (sostanziale, non meramente formale) del cittadino, la cui libertà privata si realizza effettivamente nella dimensione pubblica. 1.5 Saggio di codice deontologico (sotto forma di decalogo) 1. La professione dell’assistente sociale si basa sui valori della dignità e del rispetto dei diritti originari della persona umana, riconosciuti dalla Costituzione italiana e dalle leggi. L’assistente sociale è dunque al servizio delle persone, delle quali valorizza l’autonomia, la soggettività, la responsabilità per la realizzazione del principio di eguaglianza che si consegue attraverso la concreta attuazione e competente tutela dei diritti sociali. 2. L’assistente sociale considera e accoglie ogni persona portatrice di una domanda o di un bisogno, collocandola entro il suo contesto di vita, di relazione e di ambiente, e svolgendo la sua azione professionale senza operare mai alcuna discriminazione di età, di sesso, di stato civile, di razza, di nazionalità, di religione, di condizione sociale, di ideologia politica, di minorazione mentale o fisica, secondo i principi etici e le normative contenuti nelle disposizioni vigenti. Nel rapporto professionale l’Assistente sociale non deve mai utilizzare la relazione con gli utenti per interessi o vantaggi personali. 20 Giuseppe Acocella 3. L’assistente sociale deve impegnare la sua competenza professionale per promuovere la piena autodeterminazione degli utenti, ed ha il dovere di fornire, tenendo conto delle caratteristiche culturali e delle capacità di discernimento degli interessati, la più ampia informazione sui loro diritti sui vantaggi, svantaggi, obblighi, nonché su tutte le risorse e gli strumenti pubblici che possano risultare utili alla loro tutela, per l’adozione dei quali deve ricevere esplicito mandato da parte dell’utente. 4. La riservatezza ed il segreto professionale costituiscono diritto primario dell’utente e dovere inderogabile dell’assistente sociale, nei limiti della normativa vigente. La natura fiduciaria della relazione con gli utenti obbliga l’assistente sociale a trattare con riservatezza in ogni atto professionale le informazioni ed i dati riguardanti gli stessi, per il cui uso o trasmissione, nel loro esclusivo interesse, deve ricevere l’esplicito consenso degli interessati, ad eccezione dei casi previsti dalla legge. L’assistente sociale deve curare la riservatezza della documentazione relativa agli utenti salvaguardandola da ogni indiscrezione, consentendo agli stessi utenti, o ai loro legali rappresentanti, l’accesso alla documentazione che li riguarda solo quando sia legittimo, avendo cura comunque di proteggere le informazioni relative a terzi contenute nella stessa. 5. Qualora la complessità di una situazione lo richieda, l’assistente sociale si consulta con altri professionisti competenti e, se lo ritiene opportuno, trasferisce il caso ad altro collega, fornendo ogni elemento utile. L’assistente sociale è tenuto in ogni caso ad esigere l’obbligo della riservatezza e del segreto professionale da parte di coloro con i quali collabora e che possono avere accesso alle informazioni riservate. La trasmissione ad altri enti o colleghi di documentazione relativa ad utenti comporta la trasmissione di ufficio del segreto professionale. La collaborazione dell’assistente sociale alla costituzione di banche dati deve garantire il diritto degli utenti alla riservatezza, nel rispetto delle leggi vigenti. L’assistente sociale che nell’esercizio della professione venga a conoscenza di fatti aventi natura di