VERSO QUALE ETICA PER LE PROFESSIONI? 15 marzo 2011 Quale significato assume oggi l’etica per i professionisti? “Sono forse io il custode di mio fratello?” “Che io lo ammetta o no, sono il custode di mio fratello perché il suo benessere dipende da ciò che faccio o che mi astengo dal fare. Sono un essere morale perché riconosco questa dipendenza e accetto la responsabilità che ne consegue” Levinas Nel momento in cui metto in discussione tale dipendenza domandando ragione – come fece Caino – del perché dovrei prendermi cura degli altri, in questo momento abdico alla mia responsabilità e non sono più un essere morale. La dipendenza del fratello è ciò che fa di me un essere morale. La dipendenza e la morale o si danno insieme o non si danno. “Il lavoro sociale è l’atto morale di farsi carico dell’inestirpabile responsabilità che abbiamo per la sorte e il benessere dell’Altro; e che quanto più l’altro è debole e incapace di far valere i propri diritti, tanto più grande è la nostra responsabilità” Nel lavoro sociale stiamo assistendo alla corsa “all’esecuzione procedurale delle regole”, con annesso il pericolo che i destinatari dell’assistenza si sono trasformati sempre più in una fattispecie di categorie giuridiche e il processo di spersonalizzazione endemico a ogni burocrazia si è messo in moto. Laddove l’”esecuzione procedurale” prevale sull’”assessment (valutazione) morale come guida della prestazione lavorativa, una delle conseguenze più cospicue e rilevanti è data dall’impulso a rendere le regole più precise e meno ambigue di quanto non siano, a delimitare l’ambito delle possibili interpretazioni, a rendere le decisioni – caso per caso -pienamente determinate e prevedibili “ai sensi di quanto stabilito dalle regole”. Ma il lavoro sociale vive nel mondo dell’incertezza. Siamo nella condizione di dover navigare a vista tra due estremi, in ciascuno dei quali è latente un pericolo. Per un verso, come ammonisce Logstrup (teologo) “la situazione può essere tale per cui io forse mi troverò ad oppormi a ciò che l’altro si aspetta e faccia per lui, perchè soltanto una scelta simile andrà a favore del suo migliore interesse. Per un altro verso, tuttavia, “se si trattasse solo di realizzare le aspettative dell’altro e soddisfare i suoi desideri, la nostra relazione non significherebbe null’altro – irresponsabilmente- rendersi strumento di un’altra persona”. “Tentare semplicemente di farsi i complimenti l’uno con l’altro, aggirando perennemente il vero problema in gioco” è un’accattivante e diffusa alterazione della relazione morale al processo d’aiuto; “avere opinioni ben precise su come vanno fatte le cose e su come gli altri le dovrebbero fare”, con il desiderio di “non curarsi eccessivamente di capire il sentimento di coloro che subiscono il cambiamento” ne è un’altra. Entrambe queste alterazioni sono deleterie e dovremmo fare tutto il possibile per evitarle. Rimane il fatto che la possibilità di scivolare nell’una o nell’altra trappola ci accompagnerà sempre: il rischio è costitutivo di ogni relazione morale – la nostra responsabilità si fissa al centro del quadro delimitato da queste due insidie. Se la domanda di care e di responsabilità potesse essere esplicitata nei minimi dettagli, come noi operatori tanto spesso sogniamo, allora “tale domanda diventerebbe una faccenda puramente esterna, senza alcuna responsabilità da parte nostra, senza alcun nostro investimento di umanità, immaginazione, insight.” “La certezza assoluta, conclude Logstrup, equivale all’assoluta irresponsabilità. “non esiste peggiore stupidità del ritenere che si possano predisporre e realizzare direttive valide una volta per sempre.” Bauman Nella storia del SS troviamo sempre una forte dimensione etica, sia nei principi ispiratori che nella sua pratica professionale. Il codice deontologico dell’A.s. è un codice etico, radicato nei valori storici del servizio sociale. Dalla fine del XIX secolo ai giorni nostri la professione si è misurata e si misura con i grandi temi etici. Questi ultimi permangono vitali ancora oggi e in sintesi riguardano: Valori centrati sulla persona, in quanto valore in sé Sulla dignità di essere unico, integro e irripetibile Sulla libertà Sull’uguaglianza nei diritti e nelle opportunità Sul diritto della persona al rispetto e al rispetto dei diritti universalmente riconosciuti Sulla fiducia nelle sue capacità e nelle sue potenzialità in tutte le età della vita Sul diritto della persona alla piena realizzazione in tutte le età e condizioni della vita sul diritto della persona alla piena realizzazione in tutte le età e condizioni della vita sul suo diritto alle relazioni affettive e sociali Sul riconoscimento della sua autonomia nelle scelte Sul suo diritto alla diversità, alla socialità, alla solidarietà Sul suo diritto/dovere di partecipare alle scelte della comunità prossima di vita e di orientare le scelte nella più vasta comunità umana Sul riconoscimento del suo diritto/dovere di assunzione di responsabilità. Questi valori sono ampiamente presenti nelle diverse carte dei diritti umani e nella nostra Costituzione italiana, ma non è irrilevante che il servizio sociale li abbia affermati e li affermi come peculiari alla sua sostanza etica. Il fatto che la comunità professionale abbia modificato nel giro di quattordici anni il proprio Codice deontologico è a dimostrazione dell’estrema attenzione che viene dedicata a questi aspetti. Il primo codice deontologico emanato per la prima volta nel giugno 1998 tenne in considerazione quanto già prodotto dalla comunità professionale nazionale (carta di Tramezzo, codice assnas) e a livello internazionale (codice internazionale di etica professionale degli AS dell’international Federation of social workers). La prima revisione del 2002 è avvenuta in un periodo in cui elementi importanti avevano toccato la professione, nel senso del suo potenziamento e sviluppo, in particolare con l’emanazione della l.328/00 e con la riforma universitaria che prospettavano una nuova stagione in termini di sistema di servizi e di modalità operative innovative e multidisciplinari per rispondere alla complessità dei bisogni. L’ultima revisione del 2009 è avvenuta in un periodo particolarmente pesante di problemi sociali, di crisi delle politiche sociali e delle dinamiche ad esse connesse. Il richiamo a problemi etici che lo stato attuale delle cose propone , è estremamente forte in alcuni casi. Nel clima di crisi globale stanno venendo alla ribalta questioni come l'impoverimento e le diseguaglianze crescenti e il risentimento come dice Marco Ravelli nel suo libro Poveri, noi sembra diventato costume nazionale, è un conflitto per molti versi nuovo, “orizzontale” dei poveri, ma sopratutto impoveriti contro altri poveri, “più poveri” alla ricerca di un qualche risarcimento facile che compensi l'ansia da declassamento. Le disuguaglianze sempre più marcate, la crisi economica e sociale, le conflittualità interne connesse all’accettazione o meno delle diversità, le paure dei cittadini che sentono incrinare le loro certezze e presunte sicurezze sono solo alcuni temi che ci accompagnano. Di pari passo con una evoluzione positiva del diritto, in cui sempre più persone ne prendono consapevolezza, il “cittadino del mondo”, all’inverso, se deprivato o non assimilato, ha molta più probabilità di non trovare la giusta considerazione i suoi problemi, sia di mera sussistenza che di rispetto della sua dignità e dei suoi diritti primari. Il principio di eguaglianza di tutti gli uomini, alla base della più evoluta civiltà del diritto, sembra non avere la stessa forza. Gli assistenti sociali portano il riflesso di questi problemi sia come singoli professionisti che come soggetti appartenenti ai servizi. Cresce l’incertezza di una funzione il cui dettato pubblico si fa sempre più confuso (v. norme nazionali e norme regionali sull’accesso ai servizi), mentre la promozione di azioni per lo sviluppo delle persone e per il superamento di stati di bisogno e di crisi dovrebbe vedere di necessità il mandato professionale chiaramente orientato al mandato di interesse pubblico. La rivisitazione del codice ha principalmente focalizzato l’attenzione alla responsabilità, non solo nei confronti delle persone, ma nella necessità di lettura dei problemi e nella loro definizione rispetto alla comunità e ai suoi sistemi, in un'azione globale, circolare e contemporanea e di dimensione politica e culturale. Il peso di questa responsabilità va condiviso sinergicamente da una parte con la comunità professionale e dall’altra con le istituzioni, le organizzazioni di lavoro, attraverso l’esercizio delle loro responsabilità, in un’ottica di integrazione professionale gestionale ed istituzionale. In questo senso voglio ricordare il lavoro compiuto dalla Fondazione Zancan in collaborazione con i vari ordini professionali, la Carta etica delle professioni che operano a servizio delle persone, in cui vengono dettagliate le responsabilità nei confronti della persona, della professione, delle altre figure professionali e nei confronti delle organizzazioni e delle istituzioni Che cosa implica assumere un comportamento deontologicamente corretto? Il Codice è, dunque, una dichiarazione pubblica della comunità professionale i cui comportamenti, singoli o plurali, rispondono alle persone e alla società. Il Codice si lega a tre funzioni dell'etica: indicare i valori e i comportamenti generali dare strumenti interpretativi e valutativi sulla realtà, sugli atti, sui fatti e sui comportamenti dare norme, regole per azioni personali e sociali buone e giuste Come dice Milena Diomede Canevini (già consigliera nazionale e prima presidente della commissione deontologica) questo codice intende rappresentare l'ethos della professione come ethos relazionale, dove responsabilità significa rispondere a qualcuno ma anche rispondere di qualcuno. Ciò significa accogliere, voler ascoltare, dare fiducia e fidarsi, curare e prendersi cura, rendere conto e rendersi conto di sé e delle proprie azioni in una dimensione che è sempre personale e sociale, professionale e civile. Responsabilità che genera responsabilità in chi aiuta, e genera e rigenera responsabilità in chi è aiutato. Responsabilità è una parola forte, anche dura, mai indifferente, capace di dare forma e pensiero all'agire, di trasformare sentimenti, di ispirare azioni. E' una parola generativa e nutritiva, non a caso Levinas l'ha definita “il nome severo dell'amore” La dimensione etica della professione sta a sottolineare: riconoscersi in un'identità forte della professione, in quanto caratterizzata da valori universalistici sottostanti, ci si riconosce membri di una comunità e ci si riconosce parte di un minimum comune Il riferimento normativo – valoriale è una forma di autocontrollo, autoregolamentazione della professione stessa. Specialmente nelle scelte difficili la competenza esclusiva della comunità è professionale sulle regole d'intervento e sui comportamenti dei professionisti è sovrana. Il dover essere non può che essere sancito dalla stessa comunità professionale , una volta che ha ottenutolo statuto di “professione” un sistema etico -professionale è espressioni quindi della propria legittimazione, di autorevolezza e di autonomia che garantiscono e tutelano determinate scelte la rilevanza di un sistema etico professionale è tanto maggiore per le professioni cosiddette di aiuto in quanto il loro intervento ha a che fare direttamente anche con le strutture valoriali delle persone, delle comunità e delle organizzazioni tener desta l'attenzione sulla portata etica delle azioni professionali mette a riparo da facili rischi sia di enfatizzazione della strumentazione tecnica (tecnicismo), sia di attribuire un valore assoluto, fine a se stesso, alla norma giuridica (legalismo) Il comportamento dell’assistente sociale ha una rilevante incisività nelle relazioni tra le persone e nei loro ambienti di vita; non può dunque avvenire in maniera casuale o basarsi su convinzioni personali che mancano di elementi fondanti sul piano scientifico (Riefolo in Malosco 113). Secondo Berlin un’accurata interpretazione del sistema dei valori si fa tanto più necessaria in quanto i valori sono molteplici e possono anche essere in conflitto tra di loro, pur non significando che alcuni di essi sono veri e altri falsi (libertà e uguaglianza, diritti e doveri…) Nel momento di tradurli in atto possono porre seri problemi di scelta fra varie possibilità: quanto di libertà e quanto di limitazione alla libertà in nome dei diritti altrui? Il problema della nostra vita è dunque che non possiamo fare a meno di stabilire delle priorità tra valori, priorità che sono sempre in qualche misura provvisorie, mai certe in assoluto: cambiano in relazione all’evolversi dei modi di vita delle persone e delle popolazioni, cambiano in relazione alle nuove acquisizioni scientifiche e delle conoscenze sull’uomo e sulla società. Il problema cruciale del discorso etico è la scelta, che presuppone a sua volta dei gradi di responsabilità La complessità dell’agire dell’ assistente sociale deve tener conto dei diversi valori a cui il professionista è chiamato a rispondere sotto il profilo del mandato professionale (primato della persona, aiuto rispettoso dei bisogni e dei diritti, aiuto responsabilizzante e di promozione della solidarietà), del mandato sociale (equità, appropriatezza, conciliazione tra diritti, doveri e responsabilità sociali) e quello istituzionale (regolazione dell’accesso, competenza per presa in carico, globalità delle risposte, integrazione). L’aspetto più difficile e che tuttavia quotidianamente si presente al professionista assistente sociale è riconoscere i bisogni e i diritti della persona e agire eticamente contrapponendosi e a risposte paternalistiche o di beneficenza, a discriminazioni o esclusioni, a interventi prestazionali, a ottiche manageriali che traducono la soggettività e la globalità in procedure, tali da garantire risparmio ed efficienza, in pratica professionale pressata da compiti gestionali, amministrativi, burocratici a scapito dell’efficacia per le persone. In breve sintesi si definiscono i contenuti presenti nel Codice deontologico dell’A.S.: TITOLO I – Definizione e potestà disciplinare - principi e regole che gli assistenti sociali devono osservare e far osservare - orientano scelte di comportamento - Vincolo all’esercizio della professione - Gli as sono tenuti alla conoscenza, comprensione e diffusione del codice TITOLO I – Definizione e potestà disciplinare - principi e regole che gli assistenti sociali devono osservare e far osservare - orientano scelte di comportamento - Vincolo all’esercizio della professione - Gli as sono tenuti alla conoscenza, comprensione e diffusione del codice TITOLO II – Principi - valore, unicità e dignità di tutte le persone (art. 5) - Al servizio di persone, famiglie, gruppi, comunità: valorizzazione autonomia, soggettività, assunzione di responsabilità (art. 6) - Centralità della persona in ogni intervento (art. 7) - Non discriminazione (art. 8) - Non esprime giudizi di valore (consapevolezza delle proprie convinzioni ed appartenenze) - Prof. fondata su base etica e scientifica, autonomia professionale, indipendenza di giudizio, scienza e coscienza; dovere di difendere la propria autonomia (art. 10) TITOLO III – Responsabilità dell’assistente sociale nei confronti della persona utente e cliente Capo I - diritti degli utenti - autodeterminazione, autonomia (soggetto attivo) - Intervento consensuale (salvo limitazioni) (art. 12) - Accesso alla documentazione (art. 13) - Salvaguardia degli interessi degli utenti (art. 14) - Ammissione degli errori (art. 15) - Consenso alla presenza di terzi (art. 16) TITOLO III – Responsabilità dell’assistente sociale nei confronti della persona utente e cliente Capo II - regole generali di comportamento - no abuso della propria posizione (art. 17) - Rapporto professionale non oltre il necessario (art. 18) - Trasferimento di casi (art. 19) - Informazione in contesti di tutela/controllo (art. 20) - Divieto di accettare oggetti di valore e di instaurare relazioni affettive (art. 22) TITOLO III – Responsabilità dell’assistente sociale nei confronti della persona utente e cliente Capo III - Riservatezza e segreto professionale - diritto dell’utente e dovere dell’as (art. 23) - Necessità del consenso - Riservatezza della documentazione (art. 25) - Astensione dal testimoniare (art. 27) - Obbligo del segreto professionale rivelabile (art. 28) per: - Obbligo di legge; - Rischio di danno allo stesso utente o terzi - Richiesta scritta e motivata dei rappr. il minore o incapace nell’interesse degli stessi; - Autorizzazione consapevole dell’interessato - Rischio grave per la propria incolumità TITOLO III – Responsabilità dell’assistente sociale nei confronti della persona utente e cliente Capo III - Riservatezza e segreto professionale - Relazioni con altri professionisti: fornire solo informazioni necessarie (art. 30) - Permanenza degli obblighi anche al cessare dell’esercizio della professione (art. 32) TITOLO IV – Responsabilità dell’assistente sociale nei confronti della società - promozione/sviluppo di comunità (art. 33) - Conoscenza della realtà socio-territoriale (art. 35) - Conoscenza/collaborazione dei soggetti attivi della comunità (art. 38) TITOLO V – Responsabilità dell’assistente sociale nei confronti di colleghi ed altri professionisti - correttezza, lealtà, collaborazione (art. 41) - Rispetto norme etico-deontologiche (art. 42) - Obbligo di segnalazione di comportamenti potenzialmente dannosi per utenti (art. 43) TITOLO VII – Responsabilità dell’assistente sociale nei confronti della professione - Obbligo di iscrizione all’albo (art. 52) - Obbligo formazione continua (art. 54) - Segnalazione esercizio abusivo (art.55) - Sanzioni e procedimenti disciplinari (artt. 60-63) - Collaborazione con il Consiglio regionale e nazionale (art. 64) Solo l’etica può essere garante dell’esistenza del welfare e dei servizi sociali. E solo attraverso il prendersi cura dell’altro accettandone la profonda indeterminatezza e l’impossibilità di prevedere gli esiti delle proprie scelte, che gli operatori sociali possono lavorare respingendo così il normale processo di burocratizzazione che ne emerge. Non ci sono dunque sconti per chi opera nelle professioni sociali (come noi): è con questo mondo che dobbiamo fare i conti. <<Essere responsabile dei propri fratelli rappresenta una sorta di condanna permanente a un lavoro faticoso e carico di ansia morale>> dice barman. Ne sappiamo qualcosa noi che lavoriamo in trincea con le fasce deboli, tossicodipendenti, gravità psichiche, disabili, anziani, bambini, famiglie, etc. Nessuna requie, nessuna consolazione, nessuna procedura o terapia miracolosa o migliore delle altre, <<dipende, invece dagli standard morali della società di cui siamo tutti abitanti>>, risponde Bauman.