Open Source, Free Software e Open Format nei processi di ricerca archeologica Atti del III Workshop (Padova, 8-9 maggio 2008) a cura di Luca Bezzi, Denis Francisci, Piergiovanna Grossi, Damiano Lotto Nota all’edizione. Il layout di impaginazione è opera dei curatori; è realizzato in linguaggio LaTeX e si basa sul modello degli Atti dei precedenti Workshop Open Source, Free Software e Open Format nei processi di ricerca archeologica tenutisi a Grosseto nel 2006 e a Genova nel 2007 (quest’ultimo ancora in corso di stampa). Tutti gli interventi orali ed i posters del workshop sono stati pubblicati, tranne quelli di M. Landa, M. Lorenzini e L. Sanna, F. Morando. Gli abstract in lingua inglese di E. Demetrescu, A. D’Ascoli e P. Forlin sono opera dei curatori. Vista la distanza di tempo tra il convegno e la pubblicazione degli Atti e nonostante il lavoro di aggiornamento effettuato, alcuni siti internet citati nei contributi potrebbero non risultare più attivi o aver modificato il proprio indirizzo. I lavori segnalati come in corso di stampa (cds) erano ancora tali alla data del 31 maggio 2012. Il logo in copertina è opera di Luca Bezzi. La pubblicazione degli Atti è stata finanziata col contributo del Dipartimento dei Beni Culturali: archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica dell’Università degli Studi di Padova. Roma 2012, Edizioni Quasar di Severino Tognon s.r.l. via Ajaccio 41-43, I-00198 Roma www.edizioniquasar.it - email: [email protected] ISBN: 978-88-7140-483-7 cb Il volume ed i singoli contributi degli Atti nella versione digitale sono distribuiti con licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Italia; ciò significa che il lettore è libero di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare ed eseguire quest’opera, di modificarla e di usarla per fini commerciali, a condizione che venga attribuita la paternità dell’opera ai curatori del volume e ai singoli autori dei contributi nei modi indicati dagli stessi o da chi ha dato l’opera in licenza. Indice Presentazione Jacopo Bonetto, Giovanni Leonardi Introduzione Luca Bezzi, Denis Francisci, Piergiovanna Grossi, Damiano Lotto V IX 1. RELAZIONI 1 L’analisi archeologica degli elevati attraverso l’uso del free e open-source software Giovanni Luca Pesce 3 Reconstructing the past. Il 3D modeling nella ricerca archeologica Filippo Stanco, Davide Tanasi, Santo Privitera 17 Elementi di metodologia per le applicazioni open source e free software nella restituzione archeologica territoriale ed urbana. Il caso della Marrana di San Giovanni a Roma Emanuel Demetrescu 33 Reinterpretazione delle mappe di Google: WebGIS dinamico elementare e formati aperti con ASP e XML Gianluca Cantoro 43 Network solutions for the management and dissemination of the archaeological data Julian Bogdani, Erika Vecchietti 55 Libera circolazione di dati archeologici: il caso dello scavo di S. Vigilio di Ossana (TN) Nicoletta Pisu, Giuseppe Naponiello 69 Open Archaeology: i Fasti e la pubblicazione online Helga Di Giuseppe, Elizabeth Fentress 85 IV INDICE Libertà di accesso, ricerca e riserva di pubblicazione nelle scoperte archeologiche Maddalena Mazzoleni, Zeno Baldo 95 Trasparenza, circolazione e diritto intellettuale per il dato archeologico: un possibile modello dalle licenze Open Source Augusto Palombini, Andrea Schiappelli 101 L’accessibilità all’Informazione Territoriale: i programmi regionali e le iniziative nazionali ed europee Maurizio De Gennaro, Luca Zennaro 107 2. POSTER 115 Mura Bastia. Anastilosi informatica della torre di Onigo (Pederobba, Treviso) Vladimiro Achilli, Alessandro Bezzi, Denis Bragagnolo, Massimo Fabris, Matteo Frassine 117 Journal of Intercultural and Interdisciplinary Archaeology. JIIA Eprints Repository: un’esperienza OAI-PMH per l’archeologia Antonella D’Ascoli 127 Montegrotto Terme. Spatial analysis dei reperti mobili applicata alle superfici d’uso della capanna pienomedievale (sec. XI-XII): metodologia e risultati Paolo Forlin 135 “Roma città aperta”. Virtual Rome e il paesaggio archeologico di Roma sul web Luigi Calori, Carlo Camporesi, Andrea Negri, Augusto Palombini, Sofia Pescarin 141 Sistema GIS e strumentazione tradizionale: una soluzione possibile Massimo Dadà, Giuseppe Naponiello 147 Arc-Team s.n.c. open research (sharing results) Alessandro Bezzi, Luca Bezzi, Rupert Gietl 159 Il WebGIS territoriale e di scavo di Montegrotto Terme (Padova) Piergiovanna Grossi, Francesco Pirotti 171 Flessibilità della scelta “Open Source” in archeologia: i casi di Villa di Villa (TV) e Fondo Paviani (VR) Damiano Lotto 183 Documentazione di scavo in open source: il caso di Montebelluna (TV) Denis Francisci 187 1 RELAZIONI Reconstructing the past. Il 3D modeling nella ricerca archeologica Filippo Stanco∗, Davide Tanasi‡, Santo Privitera§ Sommario. I recenti sviluppi nella tecnologia di visualizzazione computerizzata hanno fornito nuovi strumenti alla modellazione tridimensionale dei dati ottenuti dalla ricerca archeologica. Le tecniche di computergrafica possono essere utilizzate per ricostruire e visualizzare alcuni aspetti di un sito, altrimenti difficilmente apprezzabili, elaborando tutti i dati provenienti dallo scavo all’interno di un modello multidimensionale. Un processo, questo, che si rivela fondamentale per lo sviluppo di quella digital archaeology, finalizzata alla restituzione complessiva di un paesaggio antico. In quest’ottica, si pone il progetto Archeomatica, nato in seno all’Università di Catania, che si pone, tra gli altri obbiettivi, l’applicazione del 3D modeling alla ricerca archeologica pre e protostorica. Come esempio delle applicazioni vengono presentati due complessi architettonici domestici, la Casa delle Camere Decapitate di Haghia Triada (Creta) e la Casa del Temenos della Montagna di Polizzello (Mussomeli, Caltanissetta). Abstract. The recent developments in computer assisted visualization techniques brought new tools to the 3D modeling of the archaeological data. The computer graphics can be applied for the reconstruction and visualization of several features of an archaeological site with the creation of a multidimensional model including every features deriving from excavations. This process becomes fundamental for researches of the digital archaeology, which goal is complete reconstruction of an ancient landscape. The 3D modeling is one of the research topics of the Archeomatica project on digital archaeology of Catania University, focused on the prehistoric and protohistoric mediterranean cultures. As examples two models of domestic architecture are presented, the House of the Razed Rooms of Aghia Triada (Crete) and the House of the Temenos of Polizzello Mountain (Mussomeli, Caltanissetta). 1. La Digital Archaeology Per tutto il secolo scorso la ricerca informatica, nei suoi diversi momenti di sviluppo, ha offerto all’archeologia il suo contributo per la risoluzione di singoli problemi derivanti da quei temi che nell’evoluzione dell’archeologia assumevano una posizione centrale1. Solo nell’ultimo decennio, in seno alla moderna impostazione dell’archeologia post-processuale e cognitiva, si è sviluppato un nuovo ∗Università di Catania - Dipartimento di Matematica e Informatica. Center for Arts and Sciences, Siracusa. §SAIA - Scuola Archeologica Italiana di Atene. 1Zubrow 2006. ‡Mediterranean 18 RECONSTRUCTING THE PAST approccio alla ricerca dell’antico chiamato digital archaeology 2 che privilegia l’uso di applicativi informatici per potenziare le possibilità interpretative dell’archeologia e si prefissa di colmare il vuoto tra l’impiego degli elementi informatici di base e la ricerca informatica pura. Uno degli applicativi informatici più noti al servizio dei beni culturali è la modellazione tridimensionale, il cui utilizzo per i grandi monumenti dell’antichità classica ed orientale3 ha contribuito sensibilmente alla loro divulgazione presso il grande pubblico. Tuttavia, questo genere di ricostruzioni è, in molti casi, solo indicativo o artificioso ed assai raramente si avvicina con esattezza alla realtà archeologica. Ben altra cosa sono i modelli tridimensionali realizzati da équipe congiunte di informatici ed archeologi in seno ad alcuni progetti di ricerca, con lo scopo di fornire ricostruzioni esatte sulla base di tutte le classi di dati ricavabili da uno scavo archeologico4. Tra gli obiettivi dell’archaeological 3D modeling c’è quello di aumentare le possibilità interpretative dell’archeologo attraverso la realizzazione di paesaggi virtuali e quello di superare la documentazione archeologica tradizionale grafica e fotografica con l’archiviazione di modelli tridimensionali facilmente aggiornabili. Su questa linea si pone il progetto di digital archaeology chiamato Archeomatica 5, avviato nel 2007 dall’Image Processing Lab 6 dell’Università di Catania. Il progetto è coordinato da F. Stanco e D. Tanasi ed ha lo scopo di sviluppare nuovi applicativi informatici per l’archeologia. In particolare, il progetto si sviluppa attraverso diverse linee di ricerca quali l’archaeological 3D modeling 7, l’applicazione della computer vision e della pattern recognition allo studio della ceramica figurata8 ed il laser scanning di manufatti archeologici e storico-artistici come integrazione a modelli virtuali. Nell’applicazione dell’archeological 3D modeling è stato privilegiato come strumento di lavoro Blender9, un software open source per la modellazione, il rendering, l’animazione, la post-produzione, la creazione e la riproduzione di contenuto interattivo 3D, estremamente versatile e funzionale. [F.S.] 2. La Casa delle Camere Decapitate di Haghia Triada (Creta) Il primo campo di applicazione del 3D modeling è rappresentato da Haghia Triada10, uno dei siti principali della civiltà minoica, costante oggetto di studio da parte del Centro di Archeologia Cretese dell’Università di Catania, sotto l’egida della Scuola Archeologica Italiana di Atene. Un problema di particolare interesse era rappresentato ad Haghia Triada, dalla ricostruzione di un edificio databile intorno alla metà del XIV secolo a.C., denominato Casa delle Camere Decapitate, 2Evans, Daly 2006. et alii 2001; Gabellone 2006. 4Si vedano per esempio i risultati dei progetti dell’Università di Bristol a Malta (Chalmers, Debattista 2005) e dall’Università di Southampton in Sicilia (Sturt, Stoddart, Malone 2007). 5Progetto Archeomatica, www.archeomatica.unict.it. 6Image Processing Lab, www.dmi.unict.it/iplab. 7Gallo et alii 2008; Mercadante et alii 2009; Sangregorio, Stanco, Tanasi 2008. 8Farinella, Stanco, Tanasi 2009. 9Blender, www.blender.org. 10La Rosa 1997b, pp. 79-89. 3Forte LA CASA DELLE CAMERE DECAPITATE DI HAGHIA TRIADA (CRETA) 19 localizzato nella parte nord-est del villaggio, profondamente alterato da attività edilizie più tarde. L’insediamento di Haghia Triada, nella pianura della Messarà a Creta, si sviluppò senza soluzione di continuità nel corso di circa due millenni, tra l’Antica Età del Bronzo e l’inizio dell’Età del Ferro (AM I – TM IIIC). Il massimo sviluppo del sito corrisponde, in assonanza con il più ampio contesto cretese, al periodo neopalaziale (MM III – TM IB, ca. XVII – prima metà del XV sec. a.C.) e a quello palaziale finale (TM II – TM IIIB, ca. seconda metà del XV – XIII sec. a.C.)11, durante il quale un progressivo processo di monumentalizzazione finı̀ per far assumere ad Haghia Triada l’aspetto di una cittadella, opportunamente confrontata con quelle micenee della Grecia continentale. Tra il TM IIIA2 maturo e il TM IIIB, in particolare, il centro divenne la sede di un’autorità politica, sotto il cui controllo ricadde un ampio comprensorio della Creta centro-meridionale, la pianura della Messarà, verosimilmente organizzato secondo le forme tipiche della regalità micenea. La vocazione politica del sito si realizzò in modo graduale. Il TM II coincide con un importante evento di natura politica e culturale nella storia di Creta: il palazzo di Knossos, unico tra i grandi complessi cretesi a cortile centrale, fu rioccupato da un gruppo di origini continentali, che parlava e scriveva in greco e, come attestano le migliaia di tavolette in argilla contenenti testi di carattere amministrativo, controllava la parte centrale e quella occidentale dell’isola, costituendo uno stato unitario di tipo miceneo12. In un tale contesto, il sito di Haghia Triada, indicato con verosimiglianza nei testi micenei con il toponimo di pa-i-to (Phaistos) deve avere rappresentato un importante centro amministrativo, una sorta di capoluogo di distretto o second-order center, verosimilmente controllato da un gruppo in diretto contatto con i signori micenei di Knossos e deputato allo sfruttamento delle risorse del territorio circostante13. Pur avendo una superficie piuttosto limitata, esso non può essere considerato come un villaggio, perché le strutture che vi furono costruite tra l’inizio del TM IIIA e il TM IIIB non hanno carattere domestico, con poche e significative eccezioni. Infatti, a parte piccole costruzioni che ebbero breve vita, nel corso del TM IIIA1, e un monumentale edificio, costruito nel TM IIIA2 iniziale, che può essere identificato con la residenza dell’élite che deteneva il controllo del sito (Casa VAP), Haghia Triada si caratterizza come una singolare houseless town, al cui interno hanno la netta preponderanza, per quanto riguarda la superficie occupata e per l’imponenza dell’architettura, alcune strutture destinate ad attività di tipo amministrativo, religioso e, soprattutto, allo stoccaggio delle derrate. La Casa delle Camere Decapitate, costruita e distrutta nel TM IIIA2 iniziale (ca. prima metà del XIV sec. a.C.), appartiene alla fase iniziale dello sviluppo del centro nel periodo palaziale finale (TM IIIA1 – TM IIIA2 iniziale). Essa fu messa in luce da Federico Halbherr nel 1911, nel settore nord del sito, altrimenti noto come “Villaggio”. La caratteristica denominazione deriva dal fatto che l’edificio, costruito in pendio su due plateaux sovrapposti in senso Est-Ovest, fu raso al suolo limitatamente all’elevato nella terrazza superiore, mentre l’originario seminterrato, in origine in vista in corrispondenza della terrazza inferiore ovest, fu 11La Rosa 1997a, pp. 249-266; Rehak, Younger 2001. 1985; Driessen 2001. 13Bennet 1985; Privitera 2011. 12Bennet 20 RECONSTRUCTING THE PAST riempito con i materiali di risulta della demolizione e inglobato al di sotto del piano di calpestio di un grande spazio scoperto (cosiddetta Agorà). Questo è parte di un monumentale progetto urbanistico datato al TM IIIA2 maturo (ca. seconda metà del XIV sec. a.C.), verosimilmente posteriore alla caduta del palazzo di Knossos, che comportò la costruzione di altri edifici monumentali, destinati prevalentemente ad aree di stoccaggio e magazzini come la Stoà dell’Agora, Complesso Nord-Ovest/P, e l’Edificio Ovest (figg. 1, 2). Lo scavo del 1911, limitato al settore sud dell’edificio, aveva messo in luce una struttura a pianta rettangolare (ca. 12.5 x 7.70 m), orientata in senso Sud-Ovest/Nord-Est e internamente ripartita in quattro ambienti: ad Ovest tre vani quadrangolari (nn. 5-7), di dimensioni simili (3.5 x 3-3.1 m) e allineati in senso Nord-Sud; ad Est un lungo ambiente rettangolare (n. 2, ca. 11.7 x 1.5 m). Secondo Halbherr, sui pavimenti dei tre vani giaceva innanzitutto uno strato terroso, spesso 0.60 m, al quale si sovrapponeva una colmata di pietrame, spessa 0.70-0.75 m; l’accumulo terroso avrebbe indicato, secondo lo studioso, l’esistenza di un periodo di abbandono, precedente al riempimento vero e proprio, derivato verosimilmente dal livellamento dell’elevato dell’edificio. Grazie alla sintetica descrizione di Halbherr, siamo in grado di collocare i piani di calpestio interni (probabilmente identificabili con semplici battuti o, in alternativa, con livelli di calce mista a ciottoli) a -1.30/-1.35 m rispetto alla sommità conservata dei muri. Il vano 2, al contrario, è stato scavato soltanto nel 1983 da V. La Rosa. In occasione dei nuovi scavi, è stato possibile determinare l’effettiva pianta dell’ambiente, una sorta di corridoio a due bracci tra di loro ortogonali, e individuare il settore nord dell’edificio, che si articola in altri tre ambienti (1, 3 e 4), disposti in senso Est-Ovest14. Il corridoio 2 aveva sicuramente un piano di calpestio sopraelevato rispetto a quello degli altri sei ambienti della casa, dato che al di sotto di esso furono identificati alcuni tratti di muri di costruzioni precedenti. Sembra verosimile che il pavimento del vano, non conservato perché verosimilmente asportato in occasione della demolizione della casa, fosse collocato perlomeno a 1.50 m al di sopra degli altri vani. Di conseguenza, gli ambienti 1, 3 e 5-7, i cui muri non conservano traccia di aperture, dovevano essere accessibili mediante botole o porte poste a quota superiore a quella conservata. Nel complesso, le nuove indagini hanno permesso di individuare l’effettiva dimensione Nord/Est-Sud/Ovest dell’edificio, pari a circa 20.10 m; ad Ovest, inoltre, il settore messo in luce di recente risulta aggettare rispetto al settore sud di circa 3.50 m. La superficie totale è di circa 180 m2 ; i muri dell’edificio sono spessi 0.80-0.90 m, e sono fondati perlopiù sulla roccia o una ventina di centimetri al di sopra di essa. La planimetria, lo spessore delle murature e l’assenza di comunicazione tra il corridoio 2 e gli altri vani, e tra questi ultimi tra di loro, rendono inverosimile l’identificazione dell’edificio con una casa. Al contrario, la ripartizione degli spazi interni in unità modulari di dimensioni analoghe, “construits avec le souci manifeste de répartir également l’espace à l’intérieur du périmètre bâti ou d’une partie de ce dernier ”15, è una caratteristica che ricorre in un gruppo ristretto di contemporanei edifici della Grecia continentale (Glas, Micene), che è verosimile identificare con strutture destinate allo stoccaggio di massa delle derrate. In un tale contesto, è possibile identificare i due gruppi di vani 1, 3 e 4 e 5-7 della Casa 14La Rosa 1990, p. 414. 2006, p. 156. 15Darcque LA CASA DELLE CAMERE DECAPITATE DI HAGHIA TRIADA (CRETA) 21 Fig. 1. Haghia Triada, planimetria dell’area del Villaggio, con indicazione della Casa delle Camere Decapitate. Fig. 2. Casa delle Camere Decapitate, da Est. 22 RECONSTRUCTING THE PAST delle Camere Decapitate con altrettanti silos, destinati alla conservazione di lunga durata di aridi (cereali, legumi) in ambiente anaerobico ed ermetico, secondo una pratica antichissima, ampiamente attestata nel Mediterraneo16. La ricostruzione grafica tridimensionale dell’edificio si è rivelata utile per più di un motivo. Innanzitutto, è necessario ricordare che i resti del settore nord sono visibili in modo parziale, a causa della sovrapposizione di una struttura posteriore, il complesso Nord-Ovest/P. La ricostruzione delle strutture murarie esistenti, ottenuta sulla base della documentazione grafica e fotografica dello scavo, ha permesso cosı̀ di acquisire una visione dell’ingombro integrale dell’edificio, limitatamente all’elevato attuale. In secondo luogo, la proposta di ricostruzione del piano superiore presentata, una tra le due o tre alternative possibili, si propone di illustrare il possibile funzionamento dello spazio interno, illustrando l’accesso ai silos, mediante botole attraverso cui avveniva il caricamento dei prodotti agricoli. [S.P.] La fase iniziale dell’elaborazione del modello17 è stata l’importazione in Blender della versione vettorializzata della pianta della casa e l’attuazione delle integrazioni relative a quelle parti suggerite dai modelli iconografici. Il passo successivo ha previsto l’estrusione delle strutture murarie, riproponendo fedelmente la tessitura muraria dei filari disponibili ed integrando in modo verisimile quelli scomparsi (fig. 3). Dopo l’estrusione dell’oggetto bidimensionale si è proceduto all’applicazione di specifiche texture al modello, che sono state generate proceduralmente a partire da texture primitive combinate tra loro al fine di ottenere i diversi materiali come legno, pietra e terra battuta. Oltre ad indicare il colore delle superfici le texture hanno suggerito al renderer delle piccole variazioni sull’angolazione della superficie al fine di simulare la granularità specifica dei singoli materiali (normal mapping). Le dimensioni di ogni solido sono state generate all’interno dell’intervallo che è stato calcolato in base alla pianta di strato relativa al filare di fondazione. Per la generazione dei filari dell’elevato si è riproposto lo schema della fondazione con l’applicazione di un elemento di disturbo ricavato dalle funzioni di Perlin18. Inoltre alle pietre è stato aggiunto un effetto di suddivisione delle superfici per smussare gli spigoli vivi (fig. 4). Della Casa delle Camere Decapitate sono stati realizzati due diversi modelli, uno relativo allo stato attuale di conservazione delle strutture, in modo da proporre un replica digitale del modello da valorizzare e promuovere, ed un secondo che rappresenta in modo verisimile come l’edificio doveva presentarsi al momento del suo utilizzo. Nel secondo caso, le tessiture murarie degli elevati non conservati, ricalcano lo schema costruttivo osservabile nelle strutture superstiti; le texture del tavolato interno in legname ed il sistema di travatura ipotizzato sono state generate proceduralmente, per il tetto è stata invece impiegata una texture fotografica di un tetto di capanna in paglia, frasche ed argilla riprodotta da archeologi sperimentali; stessa tecnica è stata utilizzata per rendere i cumuli di grano. 16Sigaut 1988. modello della Casa delle Camere Decapitate è stato realizzato dal dott. G. Mercadante. 18Perlin 2002. 17Il LA CASA DELLE CAMERE DECAPITATE DI HAGHIA TRIADA (CRETA) 23 Fig. 3. Importazione della planimetria Fig. 4. Replica virtuale delle tessiture muin Blender e modellazione delle singole rarie originali. parti. Fig. 5. Modello della casa nell’attuale Fig. 6. Modello della casa con carico di stato di conservazione. cereali nei silos. Fig. 7. Ipotesi ricostruttiva del pavimento Fig. 8. Modello ricostruito con una e del sistema di travatura del soffitto. ipotetica copertura............. Entrambi i modelli 3D, sono stati poi inseriti in un paesaggio virtuale astratto in cui il modello è stato creato partendo da una griglia formata da vertici equidistanti a cui è stato applicato un displacement sub-poligonale, che ha utilizzato 24 RECONSTRUCTING THE PAST come input una texture generata tramite l’algoritmo di Musgrave19. Relativamente alle fonti di luce nella realizzazione di singoli quadri, per esigenze di calcolo, si è utilizzato il programma di raytracing YafRay20 che offre una qualità dell’immagine prossima al realismo (figg. 5-8). Sono stati inoltre generati dei brevi video che rappresentano tour virtuali della struttura ricostruita. Per ragioni di efficienza essi sono stati prodotti usando il renderer interno di Blender. [F.S.] 3. La Casa del Temenos della Montagna di Polizzello (Sicilia) Il secondo caso studio proposto, quello siciliano della Montagna di Polizzello21 (Mussomeli, Caltanissetta), affronta nuovamente l’applicazione del 3D modeling per lo studio delle problematiche relative all’architettura domestica dell’antichità. Il centro indigeno ellenizzato, arroccato su una montagna alta oltre 880 m rappresenta, uno dei siti chiave per la comprensione delle dinamiche socio-politiche delle comunità indigene della Sicilia centrale tra gli inizi della protostoria e l’ingresso nel mondo greco coloniale22. L’insediamento è articolato su diversi livelli, sfruttando una serie di ampie terrazze, che si aprono sulle pendici scoscese della montagna. La prima occupazione del sito risale all’età del Bronzo Antico (XXI-XVI secolo a.C.), cui si riferiscono alcune tombe castellucciane a grotticella artificiale ed una capanna circolare con ricche suppellettili, ubicate alle pendici occidentali della montagna. Dopo alcuni secoli di gap, la frequentazione riprende alla fine del X secolo a.C., per poi fiorire pienamente agli inizi dell’VIII con l’inizio dell’impianto del grande santuario indigeno di VII e VI a.C., vera climax del centro. Sul pianoro sommitale dell’acropoli (fig. 9), sorge un’area sacra delimitata da un monumentale temenos che segue il margine della terrazza, con una serie di edifici circolari, i cosiddetti sacelli, che rappresentano i luoghi di culto e i thesauroi. Gli edifici A, B ed E, tangenti fra loro ed allineati in senso Nord/Est-Sud/Ovest occupano la parte nord dell’acropoli, mentre quelli C e D sono posti sul lato sud-ovest nei pressi dell’accesso. Dal 2000 al 2006 l’area dei sacelli è stata oggetto di approfondite indagine archeologiche promosse dalla Soprintendenza BB.CC.AA. di Caltanissetta e dall’Università di Catania, sotto la direzione scientifica, rispettivamente, della dott.ssa Rosalba Panvini e del prof. Dario Palermo. Tra i sacelli dell’acropoli, di particolare rilievo si sono dimostrati i rinvenimenti effettuati all’interno dei sacelli A e B23. Il sacello A, sul lato settentrionale della collina, con un diametro di circa 8 metri, presentava una tecnica costruttiva con muro perimetrale a doppia cortina campita da emplecton ed ingresso verisimilmente sul lato sud. All’interno il piano pavimentale era costituito da un robusto selciato composto da ciottoli, pietrisco e terra compattati, su cui si impostava sul lato ovest, una banchina anulare. Al 19Ebert et alii 1998. Morley 2003. 21De Miro 1989, pp. 19-46. 22Per la presentazione preliminare delle nuove evidenze delle più recenti campagne di scavo cfr: Tanasi 2007, pp. 157-170; Palermo, Pappalardo, Tanasi 2009. 23Per la pubblicazione definitiva della campagna di scavo 2004 relativa ai sacelli A e B: cfr. Tanasi 2009. 20Shirley, LA CASA DEL TEMENOS DELLA MONTAGNA DI POLIZZELLO (SICILIA) 25 Fig. 9. Montagna di Polizzello, planimetria dell’acropoli (da Guzzone, Palermo, Panvini 2009). Fig. 10. Casa del Temenos, da Est. 26 RECONSTRUCTING THE PAST centro, sul pavimento, si trovavano un apprestamento di pietre appiattite, interpretabile come un’imposta e, poco distante, un grosso blocco parallelepipedo di pietra di 0.34 x 0.50 x 0.22 m, forse un’ara. Sul selciato sono state rinvenute numerose deposizioni votive, caratterizzate dalla costante presenza di resti di pasto, ceneri ed ossa animali ed inquadrabili nel corso del VII secolo a.C. Tra di esse si ricordano oinochoai di tipo indigeno a decorazione dipinta, falcetti in ferro e lame di daghe in ferro, numerosi elementi di ornamento in osso ed ambra, anelli bronzei e spilloni bronzei. L’approfondimento dello scavo ha portato all’individuazione di una struttura più antica sottostante al sacello, databile intorno alla metà del IX secolo a.C., che è stata denominata Edificio Nord. Uno degli edifici più importanti del santuario di VII-VI secolo a.C., è senza dubbio il cosiddetto sacello B, addossatosi al più antico sacello A. Si tratta di un grande recinto di circa 10 m di diametro, con accesso dal lato sud, cui si addossa ad Est un piccolo ambiente annesso semicircolare dotato di vestibolo. Costruito con pietrame a secco con tecnica a doppia cortina campita ad emplecton, presentava all’interno un solido piano pavimentale in pietrisco e terra battuta allettato su un vespaio di ciottoli; al centro si trovava un grande focolare, del diametro di circa 1 metro, composto da mattonelle fittili concotte. Sui tre quarti del perimetro interno correva una bassa banchina anulare, che sul lato nord si interrompeva in prossimità di un piccolo recesso, costituito da un sottile muro che si discostava dal muro perimetrale stesso. Sul lato nord-ovest si trovava poi una struttura quadrangolare, più antica rispetto all’impianto del sacello circolare, inglobata all’interno di esso per essere utilizzata come altare. All’interno del sacello B, sul pavimento, sono stati rivenuti in eccezionale stato di conservazione 225 oggetti, tra cui vasellame indigeno e greco, armamenti, come punte di lancia e pugnali in ferro e punte di frecce in bronzo, ornamenti esotici in ambra, avorio ed altri oggetti esotici ed insoliti per il mondo indigeno siciliano, suddivisi in 17 gruppi di deposizioni. Tra gli oggetti più significativi delle deposizioni, val bene ricordare un grande cratere a colonnette indigeno con fregio ad uccelli in posizione araldica, una coppia di statuine femminili in avorio di tipo subdedalico, composte da elementi in avorio raccordati da un’anima di ferro, un elmo bronzeo di tradizione cretese, una coppie di lamine bronzee configurate in forma di delfino, una statuetta fittile raffigurante un oplita itifallico, una colossale lancia in ferro, una tazza carenata con modellino di capanna circondato da altri modellini analoghi in scala minore, una seconda con all’interno una figurina fittile di una mucca che pasce un vitellino, una grande placca in ambra e avorio di gusto orientale, oltreché numerose decine di vasi indigeni e greci da mensa, verisimilmente impiegati per riti di libagione o di pasto, tra cui spiccano coppe ioniche, paterette ombelicate e kylikes corinzie con decorazione zoomorfa. All’esterno del sacello, sul lato sud, è stato messo in luce un ampio tratto di un piazzale acciottolato, dotato di tre banchine rialzate, rispettivamente ad Est ed Ovest dell’ingresso ed a poche decine di metri più a Sud dell’ingresso stesso, al di sopra delle quali sono state rinvenute alcune offerte votive di oggetti. Tra di esse si ricordano una statuina fittile di ariete ed una più piccola rappresentante un serpente, una testa di spillone in ambra con tre protomi antropomorfe a rilievo ed una fibula bronzea a navicella con vago d’ambra. LA CASA DEL TEMENOS DELLA MONTAGNA DI POLIZZELLO (SICILIA) 27 La necropoli della Montagna di Polizzello24, si articola in diversi gruppi lungo il costone orientale della montagna. La tipologia tombale più diffusa è la tomba a camera rettangolare, priva di dromos, con inumazioni plurime a carattere familiare. Sono attestati inoltre, enchytrismoi infantili e ossari ricavati nelle fenditure della roccia in seguito allo svuotamento dei sepolcri per il riuso. Di notevole interesse sono strutture cultuali, poste su piccole terrazze di fronte alle tombe, come recinti e altari litici accompagnati da deposizioni di straordinaria ricchezza, correlate al culto dei defunti. La parte meno conosciuta dell’insediamento indigeno è invece l’abitato vero e proprio, che doveva estendersi nell’ampia terrazza mediana meridionale, subito ai piedi dell’acropoli25. Qui alcune indagini preliminari hanno messo in luce una porzione dell’impianto che ha restituito almeno tre fasi costruttive, con edifici circolari e rettangolari che si articolano tra l’VIII ed il V secolo a.C. Un’appendice più occidentale degli edifici di residenza, potrebbe essere rappresentata da una grande struttura rettangolare a più vani, databile con diverse fasi tra il VII ed il V secolo a.C., che si trova su un piccolo pianoro ad Ovest dell’acropoli. In questo quadro, la recente scoperta di un nuovo edificio di residenza, in eccellente stato di conservazione, a ridosso del muro di temenos, che cinge il santuario, sul versante sud-orientale dell’acropoli ha fornito lo spunto per una più dettagliata analisi dell’architettura domestica e del modo di abitare della Sicilia indigena, meglio note sinora dai casi di Monte Maranfusa26 e Monte Raffe27. La Casa del Temenos (fig. 10), con una lunghezza complessiva di 14.50 m (Nord-Sud) ed una larghezza di circa 6 m (Est-Ovest), era addossata sul lato ovest, per più della metà del suo sviluppo, sul muro di temenos stesso, da cui prende il nome. La casa consta di 4 vani (α, β, γ, δ), con ingressi ad Est, e da un’area scoperta pavimentata a selciato antistante al vano δ, sul lato nord. La tecnica costruttiva presentava grossi blocchi parallelepipedi apprestati in due corsi ed una copertura a singolo spiovente con tegoloni a listello rilevato, che avevano sulla sommità, alle estremità nord e sud, una doppia coppia di palchi di corna di cervo. Il vano α di forma quadrangolare, di 2.5 (Nord-Sud) x 1.5 m, il più compromesso dal crollo dell’elevato presentava un sottile pavimento in pietrisco che integrava il piano roccioso tagliato e reso orizzontale; all’angolo si individuò una banchina in argilla compattata di 0.40 x 0.40 m, al di sopra della quale si rinvenne un tetradramma siracusano del 409-397 a.C. con al D/ una testa di Atena con elmo corinzio a calotta e al R/ un ippocampo28, che consentı̀ l’inquadramento cronologico dell’uso dell’edificio intorno alla fine del V secolo a.C. Il vano α non era organico alla pianta della casa. Era infatti composto da un muro ad L che si appoggiava esternamente ai muri meridionali dei vani β e γ, che originariamente dovevano costituire un unico spazio, pavimentato con un livello in pietrisco, poi suddiviso da un muro di tramezzo su cui si apriva una porta in posizione centrale. All’interno del vano β, cosı̀ come negli altri ambienti, furono rinvenuti in situ numerosi vasi29, tra cui 2 anfore da trasporto e diversi vasi da 24Fiorentini 1999, pp. 195-197. Miro 1999, pp. 188-191. 26Spatafora 1996, pp. 151-164. 27Lagona 1992, pp. 107–112; Congiu, Chillemi 2009. 28Sole 2000, p. 110 (IIII.38). 29Per un confronto tipologico dei materiali cfr. l’evidenza di Caracausi di Lentini: Grasso 1996, pp. 54 (120), 99 (352), 111 (500), 129 (584). 25De 28 RECONSTRUCTING THE PAST fuoco; mentre all’interno del vano γ si rinvennero alcuni pesi da telaio ed una moneta d’argento purtroppo illeggibile. L’esplorazione del vano δ di 4.60 (NordSud) x 2.20 m, rivelò chiare tracce di un incendio, che potrebbe aver determinato la distruzione e l’abbandono dell’edificio. All’interno del vano, all’angolo nordest si rinvennero 3 grandi anfore da trasporto con i relativi coperchi ed alcune pentole. In prossimità dello stipite settentrionale dell’apertura, sul lato est, si rinvennero gli elementi in ferro relativi all’incardinatura della porta. Estendendo lo scavo all’area antistante al vano δ, si mise in luce un solido selciato composto da pietrame minuto estremamente compattato e regolarizzato, sconquassato in alcuni punti da alcune pietre e tegole collassate dall’elevato, sul quale si rinvennero uno skyphos a vernice nera, un’olpe acroma, alcune ceramiche da fuoco e mortai. Lo straordinario stato di conservazione delle strutture e delle suppellettili, dovuto soprattutto all’abbandono definitivo dell’area dopo un incendio distruttivo che avrebbe posto fine alla vita della Casa del Temenos, ha fornito l’opportunità di realizzare un modello virtuale quanto più completo e particolareggiato possibile, che si ponesse come base di studio per l’interpretazione delle problematiche relative all’architettura domestica indigena. [D.T.] Anche per il modello tridimensionale della Casa del Temenos 30 (fig. 11) si è importata la planimetria della casa dopo averla vettorializzata. Di grande importanza sono stati i prospetti della cortina muraria esterna, nei punti meglio conservati, che sono serviti come riferimento per l’elaborazione dell’elevato. Ogni elemento costruttivo rappresentato da un poligono è stato revisionato ed estruso; alle pietre è stato aggiunto un effetto di suddivisione delle superfici per smussare gli spigoli vivi. Per le texture del piano di calpestio interno ed esterno, si è utilizzata una immagine fotografica raddrizzata ed opportunamente moltiplicata ed estesa che è stata sovrapposta come trama al di sopra di superfici piane a cui è stato applicato, per maggiore realismo, un elemento di disturbo. Al modello sono state applicate le texture generate proceduralmente a partire da primitive combinate tra loro al fine di ottenere i diversi materiali come terra e pietra. Il modello del banco roccioso sottostante è stato realizzato a parte ed intersecato con quello del piano pavimentale, in modo da rendere realisticamente la tecnica costruttiva e l’effettiva pendenza. Le straordinarie condizioni di ritrovamento della copertura collassata dell’edificio, composta da tegole raccordate a coppi, hanno consentito la ricostruzione progettuale e dimensionale di un tetto a singolo spiovente con un lieve aggetto di gronda frontale. L’ambiente α, probabilmente aggiunto alla pianta principale della casa in un momento successivo, presentava la stessa tipologia di tetto, ma più basso ed addossato a Nord ad una parete del vano β. All’interno della casa è stato riproposto, sulla base dei confronti, un sistema di travature lignee ed architravi volto al sostegno del tetto (figg. 14, 15, 16). Relativamente alla modellazione degli oggetti, partendo dal disegno si è effettuata un’estrusione del volume principale modellando separatamente le parti accessorie. Le texture sono state ricavate da fotografie stereoscopiche dei singoli oggetti riunificate in un unico schema che si è sovrapposto ad ogni reperto. Infine 30Il modello della Casa del Temenos è stato realizzato dal dott. M. Marino. LA CASA DEL TEMENOS DELLA MONTAGNA DI POLIZZELLO (SICILIA) 29 Fig. 11. Ricostruzione della parte in Fig. 12. Ricostruzione degli oggetti ritromuratura dell’edificio. vati nel corso dello scavo. Fig. 13. Riposizionamento degli oggetti Fig. 14. Ipotesi ricostruttiva del sistema ritrovati nel corso dello scavo. di travature del soffitto. Fig. 15. Ricostruzione 3D della casa del Fig. 16. Modello ricostruito con una Temenos. ipotetica copertura. al modello dei vasi è stata applicata una texture procedurale col compito di generare un normal mapping. I 12 oggetti ricostruiti, per lo più anfore da trasporto, sono stati ricollocati nel punto esatto in cui sono stati rinvenuti nel corso dello scavo archeologico, in modo da dare un’idea quanto più verisimile possibile delle funzioni dei singoli vani e delle diverse attività che vi si svolgevano (figg. 12, 13). 30 RECONSTRUCTING THE PAST Infine, al modello completo della Casa del Temenos, è stato applicato il programma di raytracing YafRay31 per migliorare la qualità dell’immagine ed ottenere una visione realistica dell’edificio esposta ad una luce diurna. [F.S.] Gli incoraggianti risultati dell’applicazione dell’archaeological 3D modeling ad alcune realtà archeologiche, fino ad ora poco considerate, in seno al progetto Archeomatica, segnano il raggiungimento di alcuni significativi traguardi parziali. Innanzitutto l’utilizzo di un potente strumento open source come Blender ha consentito di realizzare prodotti realistici veicolandone le potenzialità espressive verso determinate problematiche archeologiche. In secondo luogo, fatta salva l’importanza che le versioni digitali dei manufatti hanno nel processo cognitivo di interpretazione, l’uso della computergrafica tridimensionale nell’archeologia ha indubbiamente dimostrato come sia possibile utilizzare un ulteriore “senso” per decodificare le tracce del passato più remoto: “three-dimensional recreation of ancient life and visual images are an extremely means explaining the past because they allow us to experience it”32. 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