Introduzione - UMBERTO GARIBOLDI

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Storia della Pentria antica raccontata ai ragazzi
di Umberto Gariboldi
Introduzione
Ciao a tutti i lettori. Oggi incominciamo insieme una nuova lettura e, come già avrete
immaginato, una lettura un po’ particolare. Certo, non capita tutti i giorni di leggere un
libro sulla Pentria, e tanto meno sulla Pentria archeologica. E poi, perché proprio la
Pentria? E che cos’è la Pentria? Chi lo sa, alzi la mano.
Bravi. Vedo che quasi tutti avete alzato la mano. Ma, dite la verità, lo sapevate già
prima che vi comprassero il libro o ve lo siete fatto spiegare quando avete letto il titolo?
Comunque sia, è vero, la Pentria è la provincia di Isernia, che si trova nel Molise, una
meravigliosa regione dell’Italia centrale, e si chiama così perché qui avevano sede, in
tempi molto lontani, i terribili Sanniti Pentri.
Vi piacciono i Sanniti? Erano dei guerrieri valorosissimi e costruivano enormi muraglie
di difesa. Pensate che perfino il grande Alessandro il Molosso, re dell’Epiro e zio
nientepopodimeno che di Alessandro Magno, quando venne in Italia ad aiutare i
Tarantini e dopo aver vinto tante battaglie, si spaventò davanti alla potenza dei Sanniti e
rinunciò all’impresa.
Se vi piacciono le grandi avventure, in questo libro ne troverete tante, e soprattutto
avventure realmente accadute, dalle origini dell’uomo alle prime forme di civiltà, dalle
guerre sannitiche alla guerra sociale; visiteremo insieme il teatro di Pietrabbondante e la
città romana di Sepino; incontreremo il grande Annibale e il terribile Gellio Egnazio.
E tutto questo lo troveremo qui, nella Pentria antica, dove si sono incontrati grandi
uomini, dove sono stati costruiti grandi monumenti e dove hanno avuto luogo grandi
battaglie.
Eh, sì, cari ragazzi. La Pentria antica era ben diversa da quella che potete vedere oggi o
studiare sui libri di geografia. Oggi la Pentria è famosa soprattutto per il suo artigianato.
Se non li conoscete ancora, andate a vedere i merletti di Isernia o le zampogne di
Fontecostanza. E non dimenticatevi Agnone, dove vengono fabbricate le campane e
dove l’artigianato del rame ha raggiunto livelli incredibili. Se poi vi serve un bel
coltellino per le vostre vacanze, andate a trovare i coltellinai di Frosolone, che fanno dei
coltelli meravigliosi.
Ma nella Pentria antica questo artigianato non c’era. Eppure, anche nell’antichità la
Pentria era visitata dai più grandi uomini. La bellezza delle sue valli, la serena
tranquillità delle sue campagne avevano spinto i Benedettini, nel Medio Evo, a costruire
qui la famosa abbazia di San Vincenzo, che divenne tanto importante che perfino Carlo
Magno venne nella Pentria per visitarla.
Andando più indietro nel tempo, l’attrazione principale erano gli oliveti e le fonti di
acque della campagna di Venafro, che gli antichi Romani sapevano essere eccezionali
per la salute, tanto importanti che ne parlano ben tre grandi scrittori dell’antica Roma,
dai nomi risonanti come Cicerone, Orazio e Plinio.
E c’è stato pure un periodo in cui la Pentria era ancora più importante, tanto che il suo
capoluogo, Isernia, può in un certo senso definirsi come la prima capitale d’Italia. Vi
sembra strano? E la cosa è ancora più strana se pensiamo che a quel tempo l’Italia non
era certo una nazione, ma una terra divisa tra tanti popoli, molti dei quali sotto il
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dominio dei Romani. Ebbene, tra questi popoli c’era il gruppo degli Italici che,
nell’anno 91 avanti Cristo hanno deciso di fare la rivoluzione contro Roma, si sono
dichiarati Stato indipendente col nome di Italia, hanno fatto le loro monete e, per un
certo periodo, Isernia è stata la loro capitale.
Infine non dimentichiamo che ad Isernia è stato trovato il più antico villaggio
preistorico d’Europa.
Siete convinti adesso di quanto sia importante la storia della Pentria antica? Sembra
quasi che tanti uomini importanti e tante avventure entusiasmanti si siano dati
appuntamento nella Pentria per permettere a me di scrivere questo libro e a voi di
leggerlo.
Ma non correte. Li incontreremo insieme questi uomini e vivremo insieme queste
avventure, una dopo l’altra, nei capitoli che seguono, e ci divertiremo a costruire le
capanne insieme agli uomini dell’Età della Pietra e a combattere contro i Romani
insieme ai Sanniti, a fare il burro e il formaggio con i pastori appenninici dell’Età del
Bronzo e a mettere il naso nei templi e negli anfiteatri degli antichi Romani.
Prima però vi devo chiedere ancora un attimo di pazienza. Tutto ciò che impareremo in
questo libro è stato scoperto o con la lettura di libri antichi o con lo studio di quanto
trovato con gli scavi archeologici. Per i primi occorre conoscere la lingua e la scrittura
dei popoli antichi, che nel nostro caso sono soprattutto il latino, il greco, l’osco e
l’etrusco. Per i secondi occorre fare degli scavi, cioè dei “buchi” nella terra per vedere
che cosa c’è sotto, capirlo, sistemarlo e interpretarlo.
Ma perché bisogna scavare la terra? Che cosa si trova sotto terra e chi ve lo ha messo?
E’ quello che scopriremo insieme nel primo capitolo, un capitolo pieno di sorprese e
scoperte entusiasmanti, che ci farà tornare indietro nel tempo fino a scoprire le nostre
origini e a conoscere i nostri più antichi antenati. Non esitate, quindi, e partiamo
insieme nel nostro viaggio a ritroso nel tempo.
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di Umberto Gariboldi
Capitolo primo
L’ARCHEOLOGIA E LO SCAVO
C’era una volta … Come dite? Che così incominciano soltanto le fiabe? E’ vero. Eppure
anche il nostro racconto, che non è una fiaba, parla soltanto di persone che c’erano una
volta. E come facciamo noi a sapere che c’erano davvero? L’unico modo per scoprirlo è
quello di fare scavi archeologici e vedere sotto terra quello che è rimasto dei loro coltelli
di pietra e dei loro vasi di terracotta.
Ma perché proprio sotto terra? Qui sta il problema. Dovete sapere che, se voi
abbandonate qualsiasi cosa per terra, col passare degli anni, dei secoli, dei millenni,
questa sarà ricoperta da altra terra, finchè si troverà completamente sotterrata. Ciò
avviene perchè l'acqua che scende tutti i giorni dalle montagne verso valle trascina con
sè sassi e pezzettini di roccia. Tutte queste piccole pietre, trascinate dall'acqua, rotolano,
si scontrano tra di loro, fino a rompersi sempre più, diventando così sempre più piccole,
fino a ridursi a ghiaia e, alla fine, sabbia.
A valle l'acqua scorre più lentamente, non trovando più quella pendenza che la faceva
“correre” giù dalle montagne. Quindi anche la sua forza diminuisce ed è costretta ad
abbandonare sul terreno le pietre ormai ridotte a ghiaia e a sabbia.
La ghiaia e la sabbia ricoprono tutto, compreso quel coltellino di pietra che è stato
lasciato per terra dal ragazzo etrusco Nuzinai quasi tremila anni fa. Tutto, proprio tutto
finisce sotto terra, col passare del tempo: pietre, vasi, ossa, città.
Siete meravigliati? Eppure è proprio cosi. Anche le città, col passare del tempo,
scompaiono sotto terra ed e necessario fare buchi molto profondi, che chiamiamo scavi
archeologici, per ritrovarle. E spesso ne troviamo tante, una sopra l'altra, costruite in
epoche successive.
Cerchiamo di capire insieme come sono andate le cose. Immaginiamo un gruppo di
uomini neolitici, cioè, come vedremo meglio tra poco, dell'Età della Pietra Nuova, che,
circa ottomila anni fa, volesse costruire il suo villaggio. La prima cosa che gli uomini
dovevano fare era trovare un posto adatto, che desse loro la possibilità di coltivare i
campi e di allevare gli animali, possibilmente vicino ad un fiume, perchè l'acqua è
l'elemento più importante per la vita. Finalmente lo trovano. Costruiscono le loro case,
il tempio per i sacerdoti, le mura per difendersi dai predoni. Tutto procede bene e loro
vivono felici fin quando arriva un popolo più forte di loro che distrugge tutto. Molti
muoiono, altri scappano, mentre la loro cittadina rimane lì, abbandonata e
completamente distrutta.
Col passare del tempo la terra ricopre quello che è rimasto: i resti delle mura e delle
case, le ossa dei morti, gli attrezzi di pietra per lavorare i campi, i vasi di terracotta per
conservare i cereali.
Dopo molto tempo passa di lì un popolo dell'Età del Bronzo e scopre quel posto così
bello, vicino al fiume che fornisce in continuazione acqua per i campi e per gli animali.
Non sa che sotto terra ci sono i resti di chi aveva già scelto quel posto per vivere, e
decide anche lui di costruire lì una bella città. Tutto procede bene. Gli artigiani attizzano
i loro fuochi per fondere il rame e lo stagno e ottenere il bronzo o per cuocere i vasi di
terracotta, ormai raffinatissimi; i mercanti percorrono il fiume e il mare con le loro navi
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per commerciare i loro prodotti; i contadini lavorano con passione i loro campi; i
sacerdoti ringraziano gli dei nei loro templi. Ma un giorno, purtroppo, scoppia un
incendio. E’ una giornata di vento e il fuoco si propaga per tutta la città, distruggendola
completamente e lasciando molti morti. I superstiti scappano e la città rimane
abbandonata.
Col passare del tempo la terra ricopre i resti delle case, delle ceramiche, degli oggetti in
bronzo e i corpi degli abitanti che non hanno fatto in tempo a fuggire. E cosi via, una
città sopra l'altra, i resti di un'epoca sopra i resti dell'epoca precedente.
Ecco perchè, se andate a fare uno scavo in un luogo dove sono vissuti più popoli e sono
avvenuti fatti simili a quelli che abbiamo visto sopra, troverete prima i resti dei popoli
più recenti, poi, più in profondità, quelli dei popoli più antichi, fino a trovare quelli
antichissimi dell'Età della Pietra.
La terra è come un libro di storia scritto all'incontrario. Immaginatevi un libro di storia
che sia stato scritto utilizzando una pagina per ogni periodo della storia e a partire dal
fondo, in modo che sulla prima pagina ci sia la storia moderna e sull'ultima pagina ci
siano le origini dell'uomo.
Mettetelo sul tavolo e leggete la prima pagina. Che cosa troverete?. E’ facile, l'abbiamo
appena detto, troverete la storia moderna. Immaginate adesso di fare un buco nella
prima pagina, in modo da poter leggere un pezzetto della seconda. Che cosa leggerete?.
Se la seconda pagina è quella della storia del Medio Evo, leggerete un pezzetto di storia
del Medio Evo. Se poi fate un buco anche nella seconda pagina, leggerete un pezzetto
della terza, che potrebbe essere un pezzo di storia romana, e cosi via di seguito, fino a
quando avrete bucato anche la penultima pagina e potrete leggere un pezzetto
dell'ultima, sull'origine dell'uomo.
E’ chiaro?. Però non mettetelo in pratica. Vedo che c'è già qualcuno che si e alzato per
andare a cercare libri da ritagliare. No, non fatelo. Altrimenti la vostra mamma o il
vostro papà si arrabbia con voi e manda a me il conto di tutti i libri che avete rovinato.
Dovete solo immaginarvelo con la fantasia, e so che voi ne avete tanta.
Adesso immaginatevi che il libro sia la terra. Succede esattamente la stessa cosa. Se vi
guardate attorno vedete la prima pagina, cioè la storia moderna, le costruzioni in cui
vive l'uomo moderno, i treni e le automobili con cui si sposta, le industrie in cui lavora,
la natura che lo circonda.
Ma se fate un piccolo scavo troverete i resti della seconda pagina, quella del Medio Evo.
Troverete così le ossa dei so1dati ancora ricoperte dalle loro corazze, con a fianco le
loro enormi spade e gli scudi. Se poi proseguite nello scavo e andate più in profondità,
troverete i resti della terza pagina, che potrebbe essere quella di Roma imperiale, magari
di una antica colonia romana, nota finora solo per gli scritti degli scrittori latini.
Troverete così le anfore romane, rotte in cento pezzi, i resti di pavimenti fatti in
mosaico, i capitelli delle antiche colonne, qualche testa in pietra di Giove o di Minerva,
alcune lastre di marmo con incisioni scritte in latino. Adesso non venite a dirmi di
fermarmi qui perchè vi è già venuto il mal di schiena e che avete scavato troppo. Gli
scavi sono anche fatica, ma sono soprattutto gioia quando si scopre qualcosa di
interessante. E gli archeologi dedicano tutta la loro vita a scavare la terra, a estrarre i
resti delle antiche civiltà, a pulirli, a studiarli, a ricostruirli. Tutto questo enorme e
affascinante lavoro è fatto per uno scopo solo: la conoscenza del nostro passato, un
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passato le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Per chiarirci meglio le idee,
dividiamo la storia della terra in due grossi capitoli: storia della terra prima dell'uomo e
storia della terra dopo le origini dell'uomo.
Non pensate però che sia una divisione in parti uguali. Tutt'altro. Immaginate che la
storia della terra sia una grossa torta e che i vari capitoli siano le fette in cui dividete la
torta. Bene, se volete un consiglio, non scegliete il capitolo della vita dell'uomo, perchè
mangereste soltanto una briciola. Infatti la storia della terra è durata circa cinque
miliardi di anni, mentre l'origine dell'uomo risale a soli due o tre milioni di anni fa.
Certo che anche in soli tre milioni di anni si possono fare tante cose! E l'uomo ne ha
fatte moltissime. Provate a pensare quanti compiti di scuola riuscireste a fare e quante
lezioni riuscireste a imparare se voi poteste vivere tre milioni di anni.
E l'uomo ha fatto scoperte e invenzioni in tale quantità che siamo costretti a dividere la
briciola di torta dei tre milioni di anni in tante bricioline piccolissime, tante quante sono
state 1e novità che hanno cambiato la vita dell'uomo. Avremo così la briciolina di vita
dell'uomo in cui si cacciavano gli animali con pugnali di pietra, quella in cui si usavano
armi di ferro, quella in cui l'Italia era dominata dai Romani, quella in cui, sempre
pensando all'Italia, c'era il re, etc.
Cerchiamo adesso di fare un po' d'ordine con tutte queste bricioline. Mettiamo da una
parte quelle più antiche, e le chiamiamo Preistoria, e da un'altra parte quelle più recenti,
corrispondenti circa agli ultimi tremila anni, e le chiamiamo Storia.
Che differenza c'è tra la Storia e 1a Preistoria? E’ semplice. La Storia è un insieme di
fatti ben conosciuti perchè sono stati scritti da qualcuno che li ha visti personalmente o
che è comunque vissuto contemporaneamente a tali fatti. Ad esempio, un giornalista che
scrive oggi sul giornale descrive dei fatti certi e ben dettagliati, perchè li ha visti con i
suoi occhi. Allo stesso modo, se voi andate in gita scolastica a vedere una parata
militare e poi vi viene assegnato il compito di descrivere quello che avete visto
scriverete un pezzettino di Storia, perchè anche voi, magari senza saperlo, siete degli
scrittori storici e scrivete quello che è realmente accaduto e che avete visto.
Anche nei tempi passati c'erano gli scrittori storici, che scrivevano quello che vedevano
con i loro occhi, all’epoca di Garibaldi come a quella di Cristoforo Colombo, ai tempi di
Teodolinda come a quelli di Giulio Cesare. E’ per questo motivo che voi sapete tutto
sulla Storia, perchè avete studiato tutto quello che è stato scritto dall'invenzione della
scrittura fino ad oggi. Vi vedo poco convinti. Forse non avete ancora letto proprio tutto.
E’ così? Non preoccupatevi, avete ancora tanti anni da vivere e tanto tempo per leggere
e per studiare. Il problema è invece quello di capire come vivevano e che cosa facevano
gli uomini prima che fosse inventata la scrittura, in quel lunghissimo periodo in cui
nessuno poteva scrivere quello che vedeva e che quindi non possiamo conoscere
attraverso gli scritti degli .scrittori antichi.
Questo periodo, che va dalle origini dell'uomo fino all'invenzione della scrittura, è
quello che chiamiamo Preistoria e tutto quello che conosciamo sulla Preistoria
l'abbiamo dovuto scoprire con gli scavi archeologici. E’ quindi evidente che, mentre
sappiamo tutto sulla Storia, sappiamo un po' meno sulla Preistoria.
Eppure abbiamo scoperto moltissime cose, anche perchè la Preistoria e lunghissima e
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dura quasi tre milioni di anni.
La Preistoria si può dividere in cinque grossi periodi:
 Età della Pietra Antica, o Paleolitico.
 Età della Pietra di Mezzo, o Mesolitico.
 Età della Pietra nuova, o Neolitico.
 Età del Rame, o Eneolitico.
 Età del Bronzo, o Età del Bronzo, perchè non ha altri nomi.
Esiste poi anche l'Età del Ferro, in cui però generalmente è gia nota la scrittura, per cui
può essere considerata come il primo periodo della Storia.
Proviamo a vederli un po' più da vicino.
L'Età della Pietra Antica, o Paleolitico, è l'età dei cacciatori. L'uomo lavora la pietra,
costruendo grossi coltelli da caccia, con i quali insegue i branchi di animali o penetra
nelle grotte per sorprendere gli orsi in letargo. E’ veramente caccia grossa, perchè gli
uomini del Paleolitico non cacciano certo le lepri o i fagiani, ma le loro vittime sono gli
orsi delle caverne, le tigri con i denti a sciabola, le renne, i mammut, i rinoceronti
lanosi. tutti animali molto grossi e spesso di clima freddo. Pertanto, se avete intenzione,
con 1a fantasia, di andare a caccia con gli uomini del Paleolitico, dovete essere molto
coraggiosi, perchè non manca il rischio che siano gli orsi a mangiarsi gli uomini, e non
dovete aver paura del freddo, perchè è sempre intenso.
Infatti il Paleolitico è caratterizzato dall'avvicendarsi delle glaciazioni, cioè di periodi in
cui buona parte dell'Europa è completamente ricoperta di ghiaccio e, dove non arrivano
i ghiacci, faceva comunque molto freddo. Bravi, ho visto che siete andati a prendervi un
maglione pesante. Ma non preoccupatevi.
Alla fine del Paleolitico finiscono anche le glaciazioni e il clima ritorna normale, dando
così origine al periodo successivo, che chiamiamo Mesolitico.
L'Età della Pietra di mezzo, o Mesolitico, è l'età dell'incertezza. Certo, sono finite le
glaciazioni e si comincia a vivere bene. Ma con la fine delle glaciazioni sono scomparsi
anche gli animali che l'uomo era abituato a cacciare. Infatti i grossi orsi delle caverne, le
renne, i mammut, vivono soltanto in un clima freddo e, con la fine delle glaciazioni, o
sono morti perchè l'ambiente non è più adatto a loro, oppure sono scappati al nord, dove
trovano ancora quel freddo che a loro piace tanto.
Il povero uomo del Mesolitico non può più andare a caccia, e la caccia è l'unica cosa
che sa fare. Si deve accontentare di quello che trova: marmotte, topi, qualche pesce o
qualche mollusco, mentre la fame e l'insoddisfazione lo rendono sempre più triste.
Se volete fare un viaggio nel passato, vi sconsiglio il Mesolitico, perchè so che a voi
non piace mangiare i topi e perchè è proprio un brutto periodo. Ma alla fine l'uomo
scopre che si può vivere benissimo anche senza la caccia ed inizia quel periodo, molto
più bello, che chiamiamo Neolitico.
L'Età della Pietra Nuova, o Neolitico, è l'età dei contadini. L'uomo scopre che si
possono coltivare i campi e allevare gli animali, che diventano domestici, e che si può
mangiare sia la carne degli animali allevati che il grano coltivato nei campi, dopo averlo
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ridotto in farina e mescolato con l'acqua, fino a farne un pastone commestibile.
La pietra nuova si chiama così per la lavorazione diversa. Infatti l'uomo non costruisce
più soltanto coltelli in pietra, ma soprattutto strumenti da contadino. E’ evidente però
che, per lavorare i campi, l'uomo non deve più spostarsi tutti i giorni, come faceva
prima per inseguire gli animali, ma deve fermarsi e costruire le sue abitazioni dove sono
i suoi campi coltivati. Ecco quindi che l'uomo, durante il Neolitico, diventa sedentario e
costruisce i primi villaggi stabili, che diventano sempre più grandi, fino a raggiungere le
dimensioni di vere e proprie città. Non solo, ma gli uomini del Neolitico, come abbiamo
visto, producono cereali, cioè grano, orzo, etc. Per conservare i cereali anche durante
l'inverno costruiscono una gran quantità di vasi ai terracotta, sempre più belli e ben
rifiniti. E’ così che, abituati a cuocere i vasi sul fuoco, scoprono che anche certe pietre,
cotte net fuoco, liberano i metalli che contengono, consentendone l'utilizzo per costruire
gli strumenti di lavoro. Il primo metallo utilizzato è stato il rame.
L'Età del Rame, o Eneolitico, è la prima età dei metalli, quando contadini e guerrieri
incominciano a sostituire i loro attrezzi in pietra con attrezzi in rame. La scoperta è stata
probabilmente dovuta al caso. Una pietra contenente rame e caduta nel fuoco ha liberato
il metallo che, diventato liquido per il calore, ha incominciato a scorrere, come un
ruscelletto, fino ad allontanarsi dal fuoco e a raffreddarsi.
L'uomo scopre così che il rame, una volta fuso e raffreddato in una forma voluta, è
molto migliore della pietra. Immaginatevi di dover lavorare i campi con strumenti di
pietra. Quando incontrate un sasso più duro, il vostro strumento si spunta e non taglia
più. Che cosa fate, allora?. Non ditemi che incollate la punta con l'attaccatutto, perchè
non è sufficiente. E poi, gli uomini dell'Età del Rame non conoscevano l'attaccatutto.
Non c'e niente da fare. Bisogna buttare via lo strumento e costruirne uno nuovo.
Col rame te cose vanno diversamente. Infatti uno strumento di rame, anche se rotto o
schiacciato, può sempre essere rimesso nel fuoco e sistemato, fino a diventare come
nuovo. Se poi volete degli strumenti più resistenti di quelli in rame, passate a quelli in
bronzo, che sono ancora migliori.
L'Età del Bronzo è l'età dei commercianti. Infatti non esiste nessuna pietra che contenga
un metallo chiamato bronzo. Il bronzo non è un metallo, ma è una lega, cioè il risultato
che si ottiene mettendo nel fuoco contemporaneamente due metalli, che sono il rame e
lo stagno. Il rame e lo stagno, cuocendo insieme, diventano bronzo, che è molto più
resistente del rame solo o dello stagno solo.
Il rame si trova un po' ovunque, ma soprattutto nella zona orientate del Mare
Mediterraneo, mentre lo stagno si trova normalmente nella zona occidentale. E’ quindi
evidente che dei popoli di contadini, che non si muovono mai dal loro villaggio, o
conoscono il rame o conoscono lo stagno. Di grandissima importanza diventano così i
popoli di navigatori che, con le loro navi, comprano il rame da una parte e lo stagno
dall'altra, li fondono insieme e rivendono il bronzo. Mentre vendono il bronzo in tutti i
porti del Mediterraneo, ne approfittano per vendere anche i toro vasi di terracotta e per
comprare i prodotti che servono loro.
Il commercio è diffuso ovunque, nell'Età del Bronzo. Dove non arrivano te navi,
lunghissime carovane di mercanti portano ovunque i prodotti da vendere e quelli
acquistati. Purtroppo i toro pacifici commerci sono presto disturbati dall'arrivo dei
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popoli guerrieri dell'Età del Ferro, bramosi di guerre e di conquiste.
L'Età del Ferro è l'età delle guerre. Il ferro è molto più resistente del bronzo e i popoli
che hanno imparato a lavorarlo sono potentissimi e invadono i territori altrui
conquistandoli con la guerra. Da principio sono soltanto gli Ittiti che sanno lavorare il
ferro. Poi, caduto t'impero ittita, il loro segreto viene scoperto da tutti e il bronzo viene
sostituito con il ferro.
La lavorazione del ferro è motto complessa e richiede un lungo lavoro con il fuoco e
con l'acqua. E’ normale che, per i popoli del ferro, il fuoco sia di vitale importanza,
tanto da farne una vera e propria divinità. E’ per questo motivo che i popoli dell'Età del
ferro non seppelliscono i loro morti ma li bruciano nel fuoco, raccogliendo le ceneri in
grossi vasi, chiamati urne.
Anche in Italia abbiamo avuto tutti questi popoli, dall'Età delta Pietra Antica all'Età del
Ferro, con grandi avventure e grandi scoperte. E anche nella nostra bella Pentria.
Entriamo pertanto con entusiasmo nella Pentria preistorica.
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Capitolo secondo
LA PREISTORIA DELLA PENTRIA
La Pentria dimostra la sua importanza nell'evoluzione dell'uomo fin dalla prima
preistoria. Infatti proprio nella Pentria, ad Isernia, in località La Pineta, sono stati trovati
i resti del più antico villaggio umano d'Europa, che risale a circa un 730.000 anni fa.
Anche se non sono state trovate fino ad oggi ossa umane, la lavorazione della pietra e
delle ossa di animali ci ha fatto capire che si trattava di uomini dell'Età della Pietra
Antica e del tipo di antenato che chiamiamo Homo Erectus, che quì è stato chiamato
Homo Aeserniensis.
Troppo difficile? State brontolando perchè uso parole che non conoscete e mi state
dicendo che voi non avete studiato il latino?. Non preoccupatevi. Adesso vedremo di
capire insieme questi paroloni e altri ancora e vedrete che non sono poi così difficili
E poi, io vi conosco. Quando avete imparato che due più due è uguale a quattro eravate
convinti di conoscere tutta la matematica. Se adesso imparate qualche parola latina,
siete capaci di andare dal vostro papà o dalla vostra mamma e dire che sapete leggere e
parlare latino. Non e vero? Adesso che cosa è successo?. Vi siete offesi? No, scherzavo.
Comunque capire il significato di molte parole latine è facile per noi. perchè sono quasi
uguali alle corrispondenti parole della lingua italiana attuale. Quindi riprendiamo adagio
e vedrete che è facile.
Nell'Età della Pietra Antica, che abbiamo visto si può chiamare anche Paleolitico, sono
vissuti tre tipi diversi di uomini: l'Homo Habilis, l'Homo Erectus e l'Homo Sapiens.
Homo Habilis vuol dire semplicemente uomo abile, ed e stato chiamato così per
riconoscimento della sua abilità nella lavorazione della pietra. Resti di Homo Habilis
sono stati trovati numerosi, sopratutto in Africa.
Erano alti mediamente 120 centimetri e il loro cervello era grande più o meno come
quello di un gorilla attuale (circa 600 centimetri cubi), mentre quello dell'uomo
moderno è mediamente di 1400 centimetri cubi. Ma sapevano lavorare la pietra, quindi
erano sicuramente uomini, e non scimmie. Sono vissuti dalle origini dell'uomo fino a
circa un milione di anni fa.
Homo Erectus vuol dire..., bravi, ci siete già arrivati da soli. Avete ragione, Homo
Erectus vuol dire uomo eretto, cioè uomo che cammina stando in piedi su due zampe e
non su quattro come gli altri animali che hanno quattro arti, e li usano tutti e quattro per
camminare, per cui vengono chiamati quadrupedi.
Anche l’Homo Habilis, di cui abbiamo parlato più sopra, camminava su due zampe, ma,
quando abbiamo scoperto 1'Homo Erectus, non conoscevamo ancora il suo
predecessore, così il nome di eretto è stato dato soltanto al secondo arrivato.
Infatti l’Homo Erectus è giovanissimo, in quanto è vissuto nel periodo che va da un
milione di anni fa a circa 250.000 anni fa. Resti di Homo Erectus sono stati trovati in
Asia. in Africa e in Europa, dove l'Italia primeggia con i suoi ritrovamenti di Isernia.
Homo Sapiens significa, ormai siete diventati maestri, uomo sapiente. Ne esistono di
due tipi. Il primo è scomparso circa 40.000 anni fa, lasciando resti un po' ovunque.
Poichè i primi ritrovamenti sono avvenuti in Germania, nella valle di Neanderthal,
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questo tipo di Homo Sapiens è stato chiamato Homo Sapiens Neanderthalensis, o, più
semplicemente, uomo di Neanderthal.
Ma ci sono numerosi resti anche in Italia, tra i quali quelli importantissimi di San Felice
Circeo e di Saccopastore, entrambi nel Lazio.
Il secondo tipo di Homo Sapiens ha continuato ad evolversi fino ai nostri tempi e può
essere considerato il nostro antenato più diretto. Per distinguerlo dal primo tipo, viene
comunemente chiamato Homo sapiens sapiens. Anche voi siete suoi discendenti e
quindi, sia che siate studiosi sia che siate un po' lazzaroncelli, siete comunque uomini
sapienti per diritto di antenati. Numerosi resti di questo secondo tipo sono stati trovati
nelle grotte delle Alpi Liguri.
Sono riuscito a confondervi le idee? Siate sinceri, un pochino sì. Allora riassumiamo
tutto con uno specchietto riepilogativo, sperando che così le cose divengano più chiare.
HOMO HABILIS
HOMO ERECTUS
HOMO SAPIENS
NEANDERTHALENSIS
HOMO SAPIENS
SAPIENS
(siete voi)
Torniamo adesso ad Isernia e all'Homo Erectus. Ogni volta che si scoprono resti di vita
umana si dà un nome ai resti trovati, che normalmente è il nome della località del
ritrovamento, come abbiamo già visto essere stato, ad esempio, per l'uomo di
Neanderthal, cui è stato dato il nome della valle tedesca in cui i resti sono stati trovati
per la prima volta.
Il nome latino di Isernia è Aesernia, per cui l'uomo che abitava qui nell'Età della Pietra
Antica è stato chiamato uomo di Aesernia, o Homo Aeserniensis, o, in modo più
completo, Homo Erectus Aeserniensis.
Che cosa sappiamo dell'uomo di Isernia, visto che non abbiamo trovato ossa umane?
Sappiamo tante cose. Alcune sono esclusive dell'uomo di Isernia e si capiscono
studiando le pietre che lui ha scheggiato, le ossa degli animali che lui ha ucciso e l'uso
che ne ha fatto. Altre sono comuni a tutti gli uomini del tipo Homo Erectus, per cui
possiamo applicarle anche all'uomo di Isernia. Andiamo quindi insieme a visitare il
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villaggio dell'Homo Aeserniensis e cerchiamo insieme di capire chi era, come viveva e
come ha risolto i suoi problemi.
Il villaggio preistorico di Isernia si trova in una località chiamata La Pineta, vicino alla
contrada Santo Spirito. È un posto bellissimo, all'inizio del gruppo montuoso del
Matese, ricco di pini, nelle vicinanze del fiume Carpino, da cui si può vedere, nelle
giornate di bel tempo, tutta la pianura di Venafro e, attraverso le piane settentrionali
della Campania, il Mar Tirreno. Quando l'Homo Aeserniensis abitava in questa zona, il
paesaggio si presentava come una grande prateria, ricca di cespugli, ma assai scarsa di
alberi veri e propri. Numerosi erano gli acquitrini, i fiumi, i torrenti, i laghetti.
In un territorio così fatto, vivevano numerosissimi bisonti, elefanti, rinoceronti,
ippopotami e orsi. Mentre i bisonti sono animali abbastanza tranquilli e facili da
cacciare, i rinoceronti e gli ippopotami sono ben più pericolosi e la loro caccia era assai
più difficile e rischiosa. Probabilmente è per questo motivo che quasi la metà delle ossa
di animali cacciati dall’Homo Aeserniensis e ritrovate nel suo villaggio sono ossa di
bisonte.
Molto più rari, invece, dovevano essere i cervi, mentre si sono trovati numerosi
“pezzetti” di zanne di elefante, lunghi anche un metro e mezzo.
In un ambiente così ricco di animali giganteschi e spesso pericolosi, la vita del nostro
cacciatore preistorico non doveva essere eccessivamente tranquilla. Ciò nonostante
l'Homo Aeserniensis è riuscito a costruire le sue capanne e a lasciarci abbondanti resti
delle sue pietre scheggiate.
La capanna dell'Homo Aeserniensis era costruita con un pavimento fatto di ossa, con
pali fatti con zanne di elefante e con una copertura fatta di frasche.
Entriamo in una capanna e osserviamola con attenzione. Per prima cosa guardate il
pavimento. Vedete? Sono tutte ossa selezionate. Ci sono almeno dieci crani di bisonte e
altre ossa grandi di grossi mammiferi. Non ci sono invece ossa piccole, come vertebre e
costole, che evidentemente venivano buttate via.
La costruzione di un pavimento del genere costituiva un'opera eccezionale e serviva
senz'altro a riparare dall'umidità del terreno che, come abbiamo visto, era ricco di acque.
Vi vedo attratti da qualcosa di strano. Avete ragione. Quei blocchi squadrati non sono
ossa di animali. Quello è tufo, un materiale che si forma con pezzettini di roccia
vulcanica che vengono trascinati a valle. Questo materiale è stato squadrato nei blocchi
che vedete fino a trasformarlo in sedili rudimentali. L'Homo Aeserniensis si sedeva su
quei sedili per lavorare e scheggiare le sue pietre. Come vedete i blocchi sono tutti
allineati e formano un semicerchio. È evidente che lì c'era un piccolo laboratorio. Del
resto, se guardate sul pavimento, noterete che ci sono moltissime pietre scheggiate, che
sono sia utensili che resti di lavorazione.
E adesso che cosa avete visto, che vi vedo concentrati su un punto particolare? Quella è
argilla, ed è cosi arrossata perchè bruciata dal fuoco. È evidente che lì l'Homo
Aeserniensis aveva costruito un focolare, probabilmente per cuocere la carne degli
animali che aveva cacciato.
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Storia della Pentria antica raccontata ai ragazzi
di Umberto Gariboldi
L'Homo Aeserniensis, come abbiamo detto prima, faceva parte del tipo Homo Erectus, e
l'Homo Erectus è stato il primo, in base alle conoscenze attuali, ad utilizzare il fuoco e a
mangiare carne cotta. Ma come facciamo noi a saperlo? Questo è stato scoperto con
l'analisi dei coproliti.
Vi piace questa parola? No? E vi piacerà meno ancora quando vi avrò detto che cosa
sono i coproliti. I coproliti sono le feci fossilizzate, cioè i resti fossili degli avanzi del
cibo che il vostro corpo espelle normalmente. Anche i coproliti fanno parte degli oggetti
studiati per conoscere gli uomini preistorici, perchè ci aiutano a capire come essi si
nutrivano. In questo caso ci hanno confermato che l'Homo Erectus si nutriva anche con
carne cotta al fuoco. È evidente che si trattava di carne di animali cacciati, in quanto
l'Homo Erectus, e quindi anche l'Homo Aeserniensis, non aveva ancora scoperto
l'allevamento degli animali, ma era un grande cacciatore. E tutte quelle pietre lavorate
che vedete per terra sono le armi che usava per andare a caccia.
Cerchiamo di capire un po' meglio chi era l'Homo Aeserniensis e come passava la sua
giornata.
Già abbiamo visto che l'Homo Aeserniensis era un Homo Erectus, e come tale era un
cacciatore e cuoceva la carne degli animali cacciati. Era molto più intelligente dei suoi
predecessori. Infatti il suo cervello era molto più grande.
Quanto era grande il cervello dell'Homo Habilis, cioè del tipo di uomini che viveva
prima dell'Homo Erectus? Scommetto che ve lo siete già dimenticato. Non importa, ve
lo ricordo io. Era grande circa 600 centimetri cubi, contro i 1400 centimetri cubi medi
dell'uomo attuale. Bene, l'Homo Erectus, e quindi anche l'Homo Aeserniensis, aveva un
cervello grande mediamente 1000 centimetri cubi. È un bel miglioramento?
È quindi evidente che l'Homo Aeserniensis, con un cervello così grande, poteva fare
cose eccezionali, tra le quali le meravigliose capanne come quella che abbiamo appena
visitato.
Ma l'attività principale dell'Homo Erectus era la caccia e la preparazione delle armi da
caccia, fatte ovviamente in pietra.
Proviamo insieme a lavorare la pietra. Innanzitutto occorre un bel sasso, robusto ma
facile da scheggiare. Il tipo di pietra più usato dagli uomini primitivi era la selce, che è
un tipo di roccia a grana fine e ha la caratteristica, una volta scheggiata, di essere motto
tagliente.
L'avete trovata? Bene, adesso bisogna scheggiarla, cioè bisogna romperla in modo da
staccare alcune schegge. Ci sono tanti metodi per scheggiare la pietra. Il più semplice
consiste nel picchiarla con un sasso più duro finchè le schegge si sono staccate. State
però attenti a non schiacciarvi un dito, perchè il lavoro è tutt'altro che semplice.
Quando avrete staccato le schegge, noterete che il pezzo di selce che vi è rimasto in
mano avrà dei lati taglienti. Avrete così costruito un'arma da caccia molto grossolana,
che si chiama “chopper”. Chopper non è altro che una parola inglese, che vuol dire
semplicemente “ciottolo”, cioè sasso.
Nelle capanne dell'Homo Aeserniensis se ne trovano moltissimi. Guardate bene per
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terra; si riconoscono facilmente, perchè sono abbastanza grossi, tanto da stare a fatica
nella vostra mano, e hanno alcuni lati taglienti.
Una lavorazione più raffinata si può ottenere col metodo dell'incudine e del martello.
Cercate un grosso sasso, ben fisso nel terreno. Quando l'avrete trovato, non dovrete fare
altro che appoggiarvi sopra il pezzo di selce che volete lavorare, tenendolo ben stretto
con le dita della mano sinistra e martellare la selce con un terzo sasso, che avrete impu
gnato nella mano destra, come se fosse un martello.
Con questo sistema, quando sarete diventati esperti. riuscirete ad ottenere delle armi in
selce molto più sottili dei choppers e con tutti i lati taglienti. Se poi sarete bravi come
gli uomini primitivi, la selce prenderà la forma di una grossa mandorla. Poichè la
mandorla, in latino, si chiama amigdala, questi tipi di arma da caccia usati dagli uomini
preistorici sono stati chiamati appunto amigdale.
Dopo che avete costruito tanti choppers e tante amigdale, provate a guardare come
avete conciato il pavimento di casa vostra. Al di là del fatto che la mamma e il papà
stanno urtando perchè avete rovinato la moquette nuova o incrinato le piastrelle che
erano costate tanto, se osservate bene sono rimasti per terra tutti gli avanzi delle vostre
lavorazioni, cioè quelle schegge, grandi o piccole, che avete staccato dai sassi per
renderli appuntiti e taglienti.
Ma anche le schegge sono appuntite e taglienti e, se le ritoccate un pochino, possono
diventare armi da caccia o strumenti da taglio meravigliosi anche loro. E’ così che
l'uomo preistorico ha imparato ad utilizzare anche le schegge che in principio buttava
via.
Se osservate bene il pavimento delle capanne dell'Homo Aeserniensis ne trovate
moltissime. Cosa dite? Che sono molto, grosse? E’ vero, all'epoca dell'Homo Erectus
venivano utilizzate soltanto le più grandi, usate come grossi coltelli da caccia.
Sarà poi l'Uomo di Neanderthal ad utilizzare quelle meno grosse per raschiare le pelli
degli animali e vestirsi con le pelli e sarà l'Homo sapiens sapiens ad utilizzare le
schegge più piccole per fare coltellini e piccoli utensili domestici.
Sia l'Uomo di Neanderthal che l'Homo sapiens sapiens sono rimasti famosi per aver
introdotto scoperte e invenzioni sensazionali. Infatti il primo ha inventato il culto dei
morti e una forma primitiva di religione, mentre il secondo ha introdotto l'arte
figurativa, cioè il gusto di dipingere le grotte e di scolpire statuette. L'Uomo di
Neanderthal, o Homo sapiens neanderthalensis, è famoso soprattutto per il culto dei
morti. Infatti sono stati trovati numerosi crani di uomini di Neanclerthal, deposti al
riparo nelle grotte, circondati da una specie di anello fatto di sassi e cosparsi di terra
rossa
E’ evidente che la terra rossa sparsa sui crani dei morti era it simbolo del sangue, e
quindi della vita, e gli uomini di Neanderthal pensavano di aiutare così i loro morti
nella vita nell'a1dilà.
Il circolo fatto di sassi serviva senz'altro a proteggere i morti dagli spiriti del mate, che
avrebbero potuto infastidirli nella loro vita ultraterrena. Ma se questo serviva a
proteggere i morti dagli spiriti del male, chi proteggeva i vivi? E’ probabile che gli
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uomini di Neanderthal, poichè credevano nell'esistenza di spiriti del male, dovessero
anche credere nell'esistenza di analoghi spiriti del bene che li proteggessero da vivi.
Quindi l'Uomo di Neanderthal credeva nell'a1dità e credeva nell'esistenza di spiriti, cioè
di esseri superiori, sia del bene che del mate. Ma credere nell’aldilà e nell’esistenza di
esseri superiori vuol dire credere in una religione. L'Uomo di Neanderthal è il più
antico antenato dell’uomo attuale che ha lasciato tracce della sua religione.
L'Homo sapiens sapiens ci ha lasciato anche numerose tracce di arte figurativa. A volte
sono statuette dedicate ad una divinità femminile, che chiamiamo la “dea madre”
oppure la “Venere” preistorica; altre volte sono pitture o incisioni che rappresentano
animali. Vi si trovano tutti gli animali che venivano cacciati dall'Homo sapiens sapiens,
dai cervi ai bisonti, dai buoi ai cavalli. Risulta quindi evidente che anche l'Homo
sapiens sapiens del Paleolitico viveva essenzialmente di caccia.
Le cose andarono avanti così fino alla fine delle glaciazioni. Ve le siete già
dimenticate? Avete ragione. Abbiamo visto tante cose e conosciuto tanti personaggi e
tanti fatti nuovi che non potete ricordavi tutto. E tutte queste cose sono avvenute nel
Paleolitico, nel tempo delle glaciazioni, che sono quei periodi in cui quasi tutte le terre
della parte settentrionale del mondo si ricoprivano di ghiacci.
Durante le glaciazioni era facile trovare animali di clima freddo, come gli orsi e i
mammut. e la caccia degli uomini preistorici era abbondantissima. Alla fine delle
glaciazioni, circa dodicimila anni fa, gli animali di clima freddo morirono o scapparono
verso il nord, in cerca di nuove zone fredde.
L'uomo dovette allora cambiare il suo modo di vivere, poichè la caccia non era più
sufficiente a sfamare la sua famiglia. Dopo un periodo di disorientamento, che
chiamiamo Mesolitico, scoprì che la caccia non era l'unico modo possibile per
procurarsi da mangiare, ma che ci si poteva nutrire anche con la carne di animali
allevati e con i prodotti dell'agricoltura.
Fu così che l'uomo si trasformò da cacciatore a contadino, in quello splendido periodo
che chiamiamo Neolitico
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di Umberto Gariboldi
Capitolo terzo
LA PENTRIA NELL’ETA’ DEI METALLI
Eh, sì, cari ragazzi. La vita nel Neolitico era tutta un'altra cosa. Senz' altro meno
avventurosa di quella del Paleolitico, ma anche molto più tranquilla e sicura. Niente più
caccia ai grossi animali, ma allevamento di bestiame e coltivazione dei campi.
Gli animali allevati perdevano col tempo le loro caratteristiche originali di animali
selvatici e diventavano sempre più simili a quelli attuali. Particolarmente interessanti
erano le pecore che, ben nutrite e curate, diventavano sempre più ricche di pelo, fino ad
acquisire quella copertura di lana che voi conoscete così bene. È cosi che l'uomo del
Neolitico ha scoperto che i fiocchi di lana delle pecore potevano essere tagliati e
intrecciati tra di loro fino a costruire dei tessuti. Nacquero così i primi telai per la
tessitura della lana e l'uomo modificò il suo modo di vestire. Potete quindi ringraziare
gli uomini del Neolitico se oggi potete sfoggiare i vostri maglioncini tutti colorati e che
vi riparano così bene dal freddo.
Anche la coltivazione dei campi portò l'uomo del Neolitico a fare scoperte eccezionali.
Infatti il problema che si poneva era quello di conservare i chicchi di grano e degli altri
cereali che aveva coltivato, o la farina che aveva ottenuto schiacciando i chicchi con
grossi sassi rotondi. Fu così che l'uomo scoprì l'argilla che, impastata con acqua e fatta
cuocere, diventava dura e conservava la forma datale. Nacquero così i vasi di terracotta,
che diventarono sempre più belli e raffinati, per tutto il periodo del Neolitico, ma anche
nelle epoche successive.
Nell'Età del Bronzo i vasi di terracotta sono frequentissimi sulle imbarcazioni dei
mercanti e diventano oggetto di scambio sempre più frequente tra i vari popoli. I popoli
più ricchi diventano quelli che vivono vicino al mare o sulle isole e che possono
permettersi di navigare e portare i loro prodotti ai mercati che sorgono in tutti i porti del
Mediterraneo. E la Pentria? Già, non dobbiamo dimenticarci del1a Pentria, perchè è
proprio di lei che vogliamo parlare in questo libro.
La Pentria non si trova sul mare e i suoi popoli dell'Età del Bronzo non sono navigatori.
La cultura della Pentria nell'Età del Bronzo è molto diversa da quella dei popoli
marinari. È una cultura basata sulla pastorizia e viene comunemente chiamata “cultura
Appenninica”.
I popoli Appenninici, cui appartenevano anche gli Appenninici Pentri, vivevano,
ovviamente, sugli Appennini. Intorno a loro l'Italia era abitata da numerosissimi popoli,
molti dei quali arrivati da altre terre del Mediterraneo.
Nell'Italia settentrionale c'erano i Camuni, da cui ha preso il nome la Valcamonica, e il
popolo della Polada. Sulle coste del Mar Tirreno e del Mar Adriatico c'erano
rispettivamente i Tirreni e i Piceni. Sulle coste dell'Italia meridionale c'erano i Micenei,
che venivano dalla Grecia e avevano fondato moltissime colonie. In Sardegna, nella
tarda Età del Bronzo, si formarono i popoli dei Nuraghi.
Particolarmente interessanti per i rapporti con gli Appenninici Pentri sono stati i
Micenei. Infatti gli Appenninici, d'inverno, scendevano verso il mare e facevano scambi
commerciali con i Micenei, che importavano ed esportavano merci attraverso il porto di
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Taranto.
Ma chi erano questi Appenninici? E come si erano formati? I popoli Appenninici, e
quindi anche quelli della nostra Pentria, si erano formati tra il Neolitico e l'Età del
Bronzo, in quel breve periodo che chiamiamo Età del Rame, quando l'Italia fu invasa da
popoli guerrieri che conquistavano tutte te terre. Per questo motivo alcuni popoli si
rifugiarono sugli Appennini e divennero i popoli Appenninici.
Gli Appenninici erano pacifici. E come potevano vivere dei popoli pacifici per non
essere disturbati dagli altri popoli guerrieri?
Immaginatevi di essere dei contadini, che coltivano pacificamente i loro campi e
allevano i loro animali. Che cosa fate quando arrivano i conquistatori? Ecco, ho sentito
che qualcuno ha già detto: “Faccio la guerra”. No. Vi ho detto che siete un popolo
pacifico. E allora cosa fate? Non c'è niente da fare, dovete scappare e abbandonare i
vostri campi. Cosi tutto il lavoro che avete fatto per coltivarli è stato fatto per niente.
Gli Appenninici hanno scelto un'altra soluzione. Hanno smesso di lavorare i campi e si
sono dedicati atta pastorizia. Facendo i pastori sugli Appennini, era più facile per loro
spostarsi quando si avvicinava un pericolo, portando con sè le loro greggi.
È cosi che anche nell'Età del Bronzo, quando ormai i pericoli erano cessati, gli
Appenninici si erano abituati così bene a fare i pastori che continuarono a farlo. E lo
facevano anche molto bene, curando le loro pecore, le loro capre e i loro buoi, facendoli
pascolare sulle montagne durante l'estate e portandoli giù, verso il mare, durante
l'inverno, proprio come fanno ancora oggi i pastori d'Abruzzo. Ecco perchè, durante
l'inverno, avevano contatti con i Micenei e potevano commerciare con loro.
Ma, dite un po', che cosa fanno i pastori, oltre a far pascolare i loro animali? E non
venite a dirmi che mangiano e dormono, perchè questo lo fate anche voi, pur non
essendo pastori. No, i pastori fanno anche un'altra attività molto importante: lavorano il
latte delle loro pecore, delle loro capre e delle loro vacche e producono il burro e il
formaggio.
Avete mai provato a fare il burro o il formaggio? Il burro si ottiene agitando fortemente
e ripetutamente il latte, mentre il formaggio si ottiene facendo bollire il latte per molto
tempo.
Il burro e il formaggio che voi mangiate oggi proviene da industrie specializzate, ma i
pastori che vivono sulle montagne fanno ancora oggi burro e formaggio in modo
artigianale, e vi posso assicurare che sono molto buoni.
Ma torniamo ai pastori Appenninici Pentri. Abbiamo detto che, per fare il burro, occorre
agitare il latte in modo molto veloce. Gli Appenninici avevano inventato uno strumento
particolare, che si presenta come un piccolo bastone di legno, con diversi bastoncini
infilati di traverso nella parte inferiore. Questi strumenti vengono chiamati frullini.
Cosa facevano i nostri pastori preistorici con i frullini? E’ semplice. Infilavano la parte
inferiore, quella con i bastoncini laterali, nel vaso pieno di latte e stringevano la parte
superiore del frullino tra le mani. Poi incominciavano a sfregarsi le mani, facendo così
ruotare il frullino, avanti e indietro, ad altissima velocità. È evidente che anche i
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bastoncini immersi nel latte giravano di conseguenza velocissimi, agitando così tutto il
latte finchè si formava un burro grossolano.
Se volete provare, la cosa non è difficile. Vi consiglio però di farlo all'aperto, altrimenti
rischiate di far uscire il latte sul tavolo di cucina e sporcare tutto, col risultato di farvi
sgridare per niente. Se invece non volete provare, andate pure avanti col burro che vi
compra la mamma nel negozio, che è buonissimo e non crea complicazioni.
La produzione del formaggio è un po' più complessa. Abbiamo detto che, per fare il
formaggio, occorre far bollire il latte per molto tempo. So che ci avete provato tante
volte, ma il latte ha sempre cominciato a bollire e, quando non siete stati abbastanza
veloci a spegnere il gas, è uscito dal pentolino e ha sporcato la cucina a gas. E la
mamma vi ha sgridato anche questa volta. Ha ragione la mamma. Per fare il formaggio,
gli Appenninici preistorici non usavano certo il pentolino della vostra cucina, ma
usavano dei bollitoi costruiti apposta.
Il bollitoio appenninico è formato da una specie di coperchio, di terracotta, che veniva
posto sui vasi in cui veniva fatto bollire il latte. Ha una forma molto particolare. Volete
costruirne uno molto artigianale? Bene. Prendete quella tortiera che usa la vostra
mamma per fare le torte a forma di ciambella, le torte col buco in mezzo, tanto per
intenderci. Come è fatta questa tortiera? È una normale tortiera, ma ha in mezzo una
specie di torretta, il cui interno e completamente vuoto. Intorno alla torretta dovete fare
tanti forellini, tali per cui il latte possa passare a poco a poco. Poi fissate la tortiera in
modo ermetico sul pentolino in cui avete messo il latte.
Provate adesso ad accendere il fuoco. Che cosa succede? Il latte, sca1dandosi, va in
ebollizione. Bollendo aumenta di volume ed esce dal grosso foro che è all'interno della
torretta. Una volta uscito ricade nella tortiera e torna nel pentolino attraverso i forellini
che voi avete fatto intorno alla torretta. È evidente che in questo modo può continuare a
bollire per diverse ore, senza mai “scappare” dal bollitoio, finchè diventa solido e
cremoso, formando così un formaggio artigianale.
I bollitoi degli Appenninici erano fatti più o meno in questo modo, ma erano tutti di
terracotta. Chiaramente i bollitoi per fare il formaggio e i frullini per fare il burro non
sono gli unici oggetti dell'artigianato degli Appenninici Pentri. Infatti la lavorazione
della terracotta per fare vasi era molto diffusa. Sono stati trovati numerosissimi vasi e
altri attrezzi domestici costruiti dalle donne degli Appenninici, dalle forme più svariate:
piatti, bacini, brocche, tazze, capeduncole. Certo, dalle donne, perchè la lavorazione
della terracotta era fatta esclusivamente dalle “signore” appenniniche. Infatti questa
attività era considerata una attività domestica. Occorrerà molto tempo perchè sia
inventato il tornio e la lavorazione della ceramica diventi attività artigianale e
commerciale e quindi di competenza dell'uomo.
Ma vedo che non mi state seguendo. Vi siete fermati quando ho detto la parola
“capeduncole” state cercando di capire di cosa stessi parlando. È cosi? Non
preoccupatevi. La capeduncola non è altro che un vaso con una forma particolare. È una
ciotola, che può avere diverse misure, con un solo manico, e serve per bere. Come tutti i
vasi in terracotta degli Appenninici è di colore scuro, con una superficie lucida e
impermeabile. Di solito è decorata nella parte esterna con delle fasce scavate nella
terracotta, delimitate da due linee parallele. All'interno delle fasce si trova un disegno
fatto con puntini o trattini. I disegni sono riempiti con una sostanza bianca, che risalta
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rispetto al resto del vaso. Il manico ha un buco, che serve per poter appendere la
capenducola.
Molto in uso era anche la lavorazione dell'osso, con cui venivano costruite spille o aghi
per il cucito, e quella del legno e del cuoio.
Queste attività ci dimostrano che gli Appenninici Pentri erano un popolo pacifico.
Un'ulteriore dimostrazione è data dal fatto che non si sono trovate mura di difesa, e
molto scarsi sono i pugnati o le Dpnte di freccia ritrovati.
Ma la loro vita di pastori non doveva durare a lungo. Infatti, all'inizio dell'Età del Ferro,
avviene un fatto nuovo che cambia completamente il loro modo di vivere. Il fatto nuovo
è l' arrivo in Italia degli Indoeuropei, che portano le loro abitudini e le loro tradizioni.
Gli Indoeuropei erano essenzialmente contadini e, essendo un popolo dell'Età del
Ferro, non sotterravano i loro morti ma li bruciavano nel fuoco raccogliendo le ceneri
in grossi vasi, come abbiamo visto alla fine del primo capitolo.
L'incontro tra gli Indoeuropei e gli Appenninici fu molto pacifico, tanto che vissero
insieme sugli Appennini fino a diventare un popolo unico, che viene chiamato il
popolo degli Italici.
La storia degli Italici è fondamentale praticamente in tutto il primo millennio avanti
Cristo ed è strettamente legata alla storia degli Etruschi e alla storia di Roma, fino
all'inizio dell'impero romano.
Avete notato che sto parlando di Storia, e non più di Preistoria? È vero. Con l'Età del
Ferro siamo usciti completamente dalla Preistoria e, da adesso in poi, parleremo
sempre di Storia vera e propria.
Ma ritorniamo ai nostro Italici, che abbiamo abbandonato sugli Appennini. A
differenza degli Appenninici, che erano pastori, e degli Indoeuropei, che erano
contadini, gli Italici, nati dalla loro fusione, erano sia pastori che contadini, ma la loro
attività principale era legata alla coltivazione dei campi.
La coltivazione dei campi richiede molto spazio. Man mano che il popolo cresceva, di
generazione in generazione, lo spazio diventava sempre più insufficiente e non si
trovavano più campi da coltivare. Per Questo motivo diversi gruppi dovevano
spostarsi per cercare nuove terre.
La decisione presa fu che fossero i giovani a spostarsi, lasciando i vecchi terreni ai
loro genitori. Questo avveniva tutti gli anni, in primavera, in modo solenne, con quelle
manifestazioni che chiamiamo le “Primavere sacre”.
Le primavere sacre erano delle feste, che avvenivano appunto in primavera, durante le
quali i gruppi dei giovani lasciavano il terreno dei toro padri, ricevevano la
benedizione dei loro genitori, salutavano parenti e amici e partivano alla ricerca di
nuove terre da coltivare.
Fu così che gli Italici si sparpagliarono in molte regioni dell'Italia centro-meridionale,
fino a divenire tanti piccoli popoli autonomi, pur avendo origine comune.
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di Umberto Gariboldi
In senso un po' più ampio, vengono chiamate “Civiltà Italiche” tutte le civiltà fiorite in
Italia nell'Età del Ferro, parallelamente alle quattro grandi civiltà che dominavano
l'Italia in quel periodo, che erano la civiltà greca, quella fenicia, quella etrusca e quella
nuragica.
La civiltà greca non era più quella micenea. che abbiamo visto nell'Età del Bronzo e
che faceva scambi commerciali anche con gli Appenninici. Infatti la civiltà micenea è
durata in Italia dal 1400 al 1150 avanti Cristo. Attorno al 1150 i Tarantini hanno
ripreso il governo dei commerci del loro porto di Taranto, segnando la fine della
civiltà micenea.
La civiltà greca del1'Età del Ferro è invece quella della “Magna Grecia”. Le grandi
“città stato” della Grecia, non trovando più spazio in patria per coltivare e
commerciare, hanno fondato numerosissime colonie sulle coste dell'Italia meridionale
e l'insieme di queste colonie viene comunemente chiamato Magna Grecia, che vuol
dire “grande Grecia”.
La grande rivale della civiltà greca era la civiltà fenicia. Infatti i Fenici avevano
fondato una città, sulla costa mediterranea dell'Africa, che era diventata potentissima e
si chiamava Cartagine. La rivalità era tra le colonie greche dell'Italia meridionale e la
città fenicia di Cartagine. I Cartaginesi erano marinai validissimi e spesso si
scontravano con le colonie greche per il dominio sul Mare Mediterraneo. Di qui la
lotta passò alla terraferma, dove i Cartaginesi avevano conquistato la parte occidentale
della Sicilia. Nella lotta contro i Greci, i Cartaginesi si facevano anche aiutare da chi
aveva interesse, come loro, a sconfiggere i Greci. È il caso, ad esempio, degli Etruschi,
che, alleati con i Cartaginesi, hanno sconfitto i Greci nella battaglia navale presso
Alalia. attorno at 540 avanti Cristo.
Gli Etruschi dominavano gran parte dell'Italia settentrionale, dell'Italia centrale e si
erano spinti anche verso sud, fino alla Campania. La maggior parte dei ritrovamenti di
civiltà etrusca sono avvenuti nell'attuale Toscana, nel Lazio, nell'Umbria, ma anche
nell'Emilia Romagna e nella Lombardia meridionale. Le loro origini non sono ancora
chiaramente definite. È assai probabile che si tratti di una fusione tra genti locali e
frange dell'ondata indoeuropea, come già abbiamo visto essere accaduto per gli Italici.
La storia degli Etruschi è fondamentale nella lotta contro i Greci per il dominio del
Mar Tirreno e nella prima storia di Roma, dalla fondazione di questa nuova città
all'incorporazione delle terre etrusche nell'impero romano.
I Nuragici erano i popoli detta Sardegna, e si chiamano così perchè avevano costruito i
Nuraghi. Sapete che cosa sono i Nuraghi? Vi vedo un po' perplessi. Male. Vuol dire
che non conoscete bene la Sardegna; ed è un peccato, perchè ci sono cose molto
interessanti da vedere. I Nuraghi sono delle costruzioni da difesa, specie di castelli in
cui si rifugiavano i popoli delta Sardegna in tempo di guerra. E con chi erano in guerra
i Nuragici? Indovinate un po'. Con i soliti “rompiscatole” dei Cartaginesi, che avevano
capito l'importanza della posizione delle coste della Sardegna. Alla fine i Nuragici
dovettero abbandonare i loro castelli e rifugiarsi all'interno della loro isola, dove
poterono proseguire in una vita isolata, ma tranquilla, dedicata soprattutto alla
pastorizia.
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di Umberto Gariboldi
E gli Italici? Le civiltà italiche vivevano praticamente in tutte te regioni che ancora
non abbiamo considerato, a stretto contatto con gli Etruschi, con i Greci, con i
Cartaginesi e, più tardi, con Roma.
Erano civiltà diverse, cui sono stati dati nomi diversi. Prima di parlare in dettaglio di
loro, e soprattutto di quella civiltà italica che ci interessa principalmente in questo
libro, cioè quella dei Sanniti, facciamo un piccolo prospetto geografico delle civiltà
italiche.
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DELLE CIVILTA’ ITALICHE
Zona
Popoli
A nord del delta del Po
Veneti
Marche
Piceni
Umbria-Abruzzo-Molise
Umbri e Sabelli (o Sanniti)
Lazio meridionale
Latini
Campania
Ausoni, Osci e Volsci
Lucania (Basilicata)
Lucani
Calabria
Bruzi
Puglia
Dauni, Peucezi e Messapi
Sicilia
Siculi
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di Umberto Gariboldi
Capitolo quarto
I SANNITI E LE GUERRE SANNITICHE
L'antico Sannio occupava tutta la zona appenninica dell'attuale Umbria, degli Abruzzi e
del Molise. Verso sud era delimitato da quel gruppo montuoso che gli antichi romani
chiamavano Tifernus Mons e che voi conoscete così bene col nome di Massiccio del
Matese. Allo stesso modo, il vostro fiume Biferno si chiamava Tifernus Flumen.
Il Sannio era abitato da quei gruppi di Italici che sono chiamati popoli sabellici, tra cui i
più noti sono i Sabini e i Sanniti. E’ curioso come entrambi i nomi di questi popoli
significhino semplicemente “uomini del Sannio”,
Infatti il Sannio si chiamava Samnium in latino, mentre il suo nome in lingua osca, che
era la lingua dei popoli sabellici, era Safinim. E’ evidente che la parola Sanniti, o in
latino Samnites, deriva da Samnium, mentre la parola Sabini deriva da Safinim,
I Sanniti erano essenzialmente agricoltori, come del resto tutte te genti italiche che
provenivano dalle Primavere Sacre. Ma le terre da coltivare diventavano sempre più
scarse e molti Sanniti scendevano a valle a cercare lavoro. E lo trovavano facilmente
presso le colonie della Magna Grecia.
Provate ad immaginare che tipo di lavoro potevano trovare. Abbiamo visto nel capitolo
precedente che le colonie della Magna Grecia erano sempre in guerra con i Cartaginesi,
per cui avevano sempre più bisogno di soldati.
Era quindi facile per i Sanniti farsi arruolare come soldati mercenari. Così i Sanniti
impararono l'arte della guerra.
Presto però si accorsero che come mercenari portavano a casa molto meno di quanto
avrebbero potuto portare se avessero fatto la guerra in proprio. Iniziarono cosi un'azione
di espansione, conquistando con la forza nuove terre da coltivare.
Se avete occasione di visitare la città di Pietrabbondante e vi fate illustrare i
ritrovamenti archeologici, scoprirete che, fin dal periodo più antico, c'erano opere in
muratura per la difesa e molte statuine in bronzo raffigurano divinità come Ercole e
Marte (o meglio, in greco, Eracle e Ares), chiaramente copiate dall'arte greca, che non si
addicono certo ad un popolo pacifico.
Il quinto secolo avanti Cristo è stato per i Sanniti un periodo di grande espansione e di
grandi conquiste. Pensate che hanno conquistato perfino Cuma e Volturnum, che poi
venne chiamata Capua, e che si sono spinti fino a Ercolano e Pompei. La regione in cui
si trovano queste città porta ancora oggi il nome che le venne dato in seguito alle
conquiste dei Sanniti. Infatti i contadini Sanniti erano noti come gli “uomini dei campi”
e le terre da loro conquistate furono chiamate di conseguenza “Agro campano”, che poi
divenne più semplicemente “Campania”.
Le conquiste erano facili e le prede molto desiderate. Ben presto se ne accorsero anche
quei Sanniti che ancora erano rimasti sugli Appennini. Oltre tutto sulle montagne faceva
freddo e il cibo era scarso. Era quindi molto più comodo scendere a valle e conquistare
terreni fertili e terre soleggiate.
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Storia della Pentria antica raccontata ai ragazzi
di Umberto Gariboldi
Purtroppo però i Sanniti non erano gli unici conquistatori. Siamo ormai nel quarto
secolo avanti Cristo e un altro popolo ha iniziato una grandiosa azione di conquiste: il
popolo dei Romani.
Roma ha già vinto alcune battaglie con i popoli confinanti e stipulato con loro trattati di
alleanza. Di grande successo sono state le azioni verso il nord, dove Furio Camillo ha
conquistato la città di Veio, ponendo fine ad una guerra durata dieci anni. Ora però
bisognava cambiare direzione, perchè più a nord l’Italia era stata occupata dai Galli, che
erano ancora troppo pericolosi per Roma. Era già molto difficile difendersi dai Galli e
impedire che conquistassero tutta l'Italia. E c'è stato un momento in cui sembrava
davvero che i Galli conquistassero l'Italia quando, dopo aver sconfitto i Romani sul
fiume Allia nel 387 avanti Cristo, conquistarono e devastarono la stessa Roma.
Che paura in quei giorni. I Romani si erano rifugiati sul Campidoglio, mentre tutta
Roma era invasa dai Galli e il loro capo Brenno spadroneggiava ovunque. E quanto
hanno dovuto pagare per poter almeno sopravvivere! A salvarli sembra essere stato
ancora una volta Furio Camillo che, raccolti quanti più soldati fosse possibile, attaccò
apertamente i Galli e li mise in fuga.
Dopo queste esperienze è evidente che Roma decise di lasciare in pace i Galli per un po'
e di indirizzare i suoi interessi di conquista verso sud, verso la Campania, proprio dove i
Sanniti stavano occupando i territori più fertili.
Oltre tutto, le conquiste dei Sanniti non piacevano ai popoli conquistati. Che cosa fate
voi, quando qualcuno più grande e forte vuole portarvi via con la forza le vostre cose o
il posto che state occupando? Non avete che tre alternative: o scappate, o vi difendete, o
chiedere aiuto a qualcun altro. I popoli della Campania, e in particolare gli abitanti della
città di Capua, non volevano o non potevano fuggire ed erano troppo deboli per
difendersi da soli dai Sanniti. Allora hanno pensato bene di approfittare degli interessi
romani verso il sud e hanno chiesto a Roma di aiutarli a combattere contro i Sanniti per
rimandarli nella loro Pentria.
Sembra che i Romani aspettassero solo quel momento per mettersi in guerra contro i
Sanniti, iniziando cosi le Guerre Sannitiche, che durarono globalmente dal 343 al 290
avanti Cristo.
Il periodo delle Guerre Sannitiche è molto complesso e ricco di avvenimenti. E’ stato
uno dei momenti fondamentali netta storia d'Italia, perchè la vittoria finale dei Romani
era indispensabile per l'espansione del dominio di Roma su tutta la penisola. I Romani
hanno ricordato a lungo questo periodo, con vittorie e sconfitte, con momenti di
esaltazione e momenti di dolore e preoccupazione.
Se avete occasione di andare a Roma e di visitare i Musei Capitolini, andate a cercare
una pittura parietale molto bella, che illustra in varie scene le Guerre Sannitiche, con
episodi di battaglia e di tregua. Vi sono illustrati pure due grandi generati, il romano Q.
Fabio e il sannita M. Fannio. Le scene ai guerra vi daranno un'idea abbastanza chiara
della difficoltà e del pericolo che hanno corso entrambi i popoli.
Tra una guerra e l'altra vi furono anche delle tregue, che servirono ai Romani per azioni
di conquista o di difesa in altre direzioni e ai Sanniti per riorganizzarsi e concludere
nuove alleanze per le guerre successive.
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Storia della Pentria antica raccontata ai ragazzi
di Umberto Gariboldi
Prima di combattere con voi le tre Guerre Sannitiche, facciamo un rapido quadro
d'insieme per capire globalmente, anche se brevemente, le guerre che si sono intrecciate
in questo periodo così complesso.
Dal 343 al 341
1° Guerra Sannitica
E’ stata combattuta dai Romani contro i
Sanniti per definire il dominio della
Campania.
Dal 340 al 338
Guerra Latina
E’ stata combattuta dai Romani e dai
Sanniti, che questa volta si erano alleati,
contro i popoli dei Latini, dei Campani e
dei Sidicini.
Dal 326 al 304
2° Guerra Sannitica
E’ stata combattuta dai Romani contro i
Sanniti, che avevano accettato di
proteggere la città di Napoli contro Roma
Dal 311 al 308
Guerra Romana contro E’ stata combattuta dai Romani contro gli
la Lega Etrusca
Etruschi e contro i Galli Senoni e consentì
a Roma la conquista di buona parte
dell’Italia centro-settentrionale
Dal 298 al 290
3° Guerra Sannitica
E’ stata combattuta dai Romani contro una
coalizione di quattro popoli: Sanniti,
Etruschi, Galli e Umbri. Il 290 è l’inizio
del dominio di Roma sull’intera penisola
Dal 280 al 274
Guerra Tarantina
E’ stata combattuta dai Romani contro gli
abitanti della città di Taranto, che si erano
fatti aiutare dal re dell’Epiro, Pirro.
Nonostante i 30.000 fanti e i 20 elefanti di
Pirro, alla fine i Romani vinsero anche
questa guerra, conquistando l’Italia
meridionale
Erano davvero pericolosi, questi Romani! Siete convinti? E i poveri Sanniti, che
volevano solo conquistare un po' di terra per coltivare in pace i loro campi, si sono
trovati di fronte un nemico praticamente invincibile. Eppure i Sanniti hanno fatto le loro
guerre e hanno veramente dimostrato un grande coraggio e una grande audacia,
strappando a volte anche delle belle vittorie.
La prima Guerra Sannitica, quella del 343-341, non fa testo. E un po' come se voi foste
intenti a giocare tranquilli e arriva un ragazzo, grande e grosso, sorridente e con gli
occhi azzurri. Voi pensate di fare amicizia e quello, senza dire una parola, vi dà uno
spintone. I Sanniti erano lì, in Campania, che stavano consolidando le loro conquiste e
non pensavano certo che cosa stava per accadere loro. Certo sapevano che Capua aveva
chiesto aiuto ai Romani, sapevano che i Romani erano “ragazzi” piuttosto violenti,
sapevano anche, probabilmente, che Roma aveva già fatto alcune conquiste, ma non
avevano ancora capito quanto pericolosi fossero i Romani.
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E invece, eccoli lì, i Romani. Belli, ben armati, ben nutriti, organizzati e pronti a
combattere al comando del loro tribuno militare P. Decio Mure. I poveri Sanniti si sono
visti assalire, così all'improvviso; hanno cercato di resistere, combattendo con valore per
oltre due anni, ma alla fine hanno dovuto rinunciare all'impresa e abbandonare la
Campania per ritornare nella loro Pentria che, almeno per il momento, sembrava più
sicura.
Per Roma, questa vittoria è stata importante, perchè le ha permesso di allargare i confini
del suo dominio. Nel 340 avanti Cristo i confini del dominio romano erano i seguenti:
a nord-ovest
a nord-est
a sud-est
l’Etruria libera
gli Italici dell’Italia centrale (Sabini, Equi, Marsi, etc.)
la Lega Sannitica
Eh, sì, la Lega Sannitica. Nonostante la sconfitta della prima Guerra Sannitica, il blocco
sannitico era sempre molto potente nell'Italia centro-meridionale, tanto potente che i
Romani chiesero l'alleanza dei Sanniti per combattere la Guerra Latina, dal 340 al 338,
contro i Latini, i Campani e i Sidicini.
Perchè mi guardate cosi sbalorditi?. Ma come, dite voi, prima i Romani combattono
contro i Sanniti e poi chiedono il loro aiuto per combattere contro altri popoli! E i
Sanniti accettano di diventare alleati dei loro nemici?
Proprio così. Questa è politica, e in politica non si bada, o non si dovrebbe badare, alle
amicizie e agli odii, ma solo agli interessi. Mentre i Romani erano impegnati con la
prima Guerra Sannitica, i Latini combattevano con loro contro i Sanniti. Poichè i
Romani si sono “dimenticati” di compensare i Latini per l'aiuto avuto, i Latini si sono
“offesi” e hanno iniziato la rivolta contro Roma. E’ evidente che i Romani non potevano
più combattere da soli contro i Latini, perchè i Sanniti, vedendo i Romani impegnati in
una guerra difficile, avrebbero probabilmente approfittato dell'occasione per far guerra a
Roma anche loro e rifarsi della sconfitta avuta. Ecco perchè i Romani hanno dovuto
chiedere l'alleanza dei Sanniti per combattere meglio contro i Latini e per evitare una
rivolta dei Sanniti stessi.
E i Sanniti, perchè hanno accettato?. Beh, probabilmente non si sentivano ancora pronti
per una nuova guerra contro Roma e avevano bisogno di riorganizzare bene i loro
eserciti. L'occasione di una guerra in cui fossero alleati dei Romani significava per loro
la certezza di una vittoria, che avrebbe portato vantaggi materiali e avrebbe rinforzato e
reso più fiducioso l'esercito sannitico.
Ma nuovi fatti stavano per accadere e nuove guerre stavano per essere combattute.
A rompere la pace provvisoria tra Romani e Sanniti questa volta fu Alessandro il
Molosso, re dell'Epiro, che era diventato potente grazie all'aiuto di suo cognato Filippo
II di Macedonia, padre di Alessandro Magno. Come vedete, anche allora le case
regnanti erano spesso legate tra di loro da vincoli di parentela e i matrimoni erano fatti
esclusivamente per motivi di interesse. Alessandro il Molosso era anche un ingrato.
Prima si è fatto aiutare da Filippo II a diventare potente, poi ha accolto il suo figlio
Alessandro quando, ancor giovanissimo, era in lotta contro il padre, infine, quando
Alessandro ebbe conquistato mezzo mondo orientale, tanto da essere chiamato da tutti
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di Umberto Gariboldi
Alessandro Magno, Alessandro il Molosso è stato preso da gelosia nei confronti del
nipotino cosi bravo e ha deciso anche lui di fare grandi conquiste, per fare la gara e
vedere chi era il più forte.
E che cosa poteva conquistare, Alessandro il Molosso? Non certo l'oriente, che era già
stato conquistato dal nipotino. Rimaneva l'occidente, e quindi l'Italia. Appena vide che
la città di Taranto era in difficoltà nelle sue continue battaglie contro i popoli che la
circondavano, corse in Italia a difenderla Costrinse atta pace i Lucani e sconfisse i
Messapi e gli Iapigi, diventando così padrone di tutta la Puglia. Poi voleva indirizzarsi
più a nord, verso le terre occupate dai Sanniti. Quando però si rese conto che la Lega
Sannitica era ben più potente di lui, capì che da solo non avrebbe mai potuto
conquistare quelle terre.
Allora sapete che cosa ha fatto? Si è alleato con i Romani e li ha convinti a combattere
insieme a lui. I Romani, quando c'era da combattere e conquistare, erano sempre pronti.
Chiaramente accettarono l'offerta e si rimisero in guerra.
I cattivi però sono sempre puniti, e spesso anche i buoni. Qui è il caso di Alessandro il
Molosso, che non ha potuto coronare il suo desiderio di conquista. Infatti, nel 330 avanti
Cristo, in una battaglia contro Lucani e Bruzi, mori miseramente.
Ma i Romani ormai avevano affilato le loro armi e non potevano stare lì, a guardare per
aria. Ormai avevano deciso di combattere, e dovevano farlo.
Quando Roma entrava in guerra, tutti si preoccupavano. 1 Romani erano sì brava gente,
ma erano cosi violenti! Non si poteva lasciare un pezzetto di terra indifeso che subito
loro lo conquistavano.
Gli abitanti di Napoli avevano una gran paura, e chiesero aiuto ai Sanniti. I Romani si
offesero, scesero in armi e conquistarono Napoli. Inizia cosi, nel 326 avanti Cristo, la
seconda Guerra Sannitica.
I Romani erano molto veloci negli spostamenti. Volevano accerchiare il Sannio, in
modo da sconfiggere definitivamente i Sanniti. Corsero quindi in Puglia, dove trovarono
aiuto presso i Dauni e i Peucezi e di lì partirono di gran carriera, per conquistare la
Pentria dal sud.
Ma i Sanniti non si vedevano. Sapendo che i Romani volevano venire nelle loro terre a
“trovarli”, si stavano preparando a riceverli nel migliore dei modi. E quale è il modo
migliore per accogliere qualcuno che sta arrivando a casa vostra per ammazzarvi e
conquistare la vostra casa? Adesso non rispondetemi che chiamate la Polizia, perchè a
quei tempi non c'era ancora. E poi, ve li immaginate i Sanniti che chiamano la Polizia
per difendersi dai Romani?
No. I Sanniti conoscevano bene le loro terre e quindi potevano preparare una bella
imboscata. Il posto ideale erano le Gole di Caudio, vicino a Benevento, e i Romani ci
cascarono in pieno. I Sanniti li attaccarono e li sconfissero clamorosamente.
Bisognava punirli, questi Romani, perchè perdessero il vizio di giocare a fare la guerra,
soprattutto nella terra degli altri. Allora i Sanniti piantarono due aste per terra e gliene
legarono sopra una terza, in modo da costruire un passaggio da cui si potesse passare
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solo piegandosi, e costrinsero i Romani catturati a passare di lì, come se dovessero
chiedere scusa per tutto quello che avevano fatto.
Che offesa, per gli orgogliosi Romani! Ormai sembrava che non ci fosse più nulla da
fare. Capua e Nocera, in Campania, abbandonarono i Romani, mentre i Sanniti
conquistarono Lucera, in Puglia, e Fregellae, nel territorio dei Volsci.
Ma i Romani non si arresero. Recuperarono le forze e si riorganizzarono per la guerra.
Era una guerra pesante e difficile, probabilmente la più dura che i Romani avessero
combattuto fino a quel momento. Riuscirono ad avere ancora qualche vittoria e a
riconquistare le terre perse in Campania. Poi continuarono a combattere contro i Sanniti,
sia sul versante tirrenico che su quello adriatico. Le vittorie erano loro, ma quanto
costavano! Costavano ancora di più le sconfitte ai Sanniti, che ormai erano stanchi per
una guerra durata più di venti anni e avevano bisogno qualche anno di respiro. Nel 304 i
Sanniti chiesero a Roma di fare la pace e di diventare alleati.
Così anche il Sannio e la Daunia entrarono nel ricco gruppo degli alleati di Roma.
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Capitolo quinto
LA FINE DELLE GUERRE SANNITICHE
Quanto pensate che possa durare una pace tra Romani e Sanniti? Non molto, siete
convinti? Beh, questa è durata solo sei anni. Ma la nuova guerra doveva essere una cosa
seria. Tutti i popoli erano preoccupati per la potenza di Roma, che minacciava di
conquistare tutta l'Italia. Erano preoccupati gli Etruschi, che vedevano la toro potenza
vacillare; erano preoccupati gli Umbri, che avevano paura di essere presi di mira dai
Romani; erano preoccupati i Galli Senoni, al nord, che pensavano giustamente che
Roma, finite ormai le conquiste verso il sud, si sarebbe rivolta verso le loro terre; erano
preoccupati infine gli stessi Sanniti, che, visti i precedenti, non potevano certo pensare
che i Romani li avrebbero lasciati in pace.
Questi quattro popoli decisero quindi di fare una alleanza per combattere contro Roma.
Sarebbe stata una guerra definitiva. Se i quattro alleati avessero vinto, la potenza
romana sarebbe finita, forse per sempre; se invece avessero perso, nessuno avrebbe più
potuto fermare i Romani, che avrebbero avuto la possibilità di conquistare tutta l'Italia.
Anche se la maggior parte dei soldati erano Galli, l'iniziativa e l'organizzazione fu dei
Sanniti, che misero a capo delle truppe un grandissimo generale, di nome Gellio
Egnazio.
I Romani certo non stavano a guardare. Sapevano di essere sempre loro i più forti e
l'idea di poter pian piano conquistare tutta l'Italia era un pallino che nessuno avrebbe
tolto loro dalla testa. Erano pronti e organizzati per qualsiasi guerra e le loro truppe
erano esperte e agguerrite. O1tre tutto il loro generale P. Decio Mure aveva ormai anni
di esperienza e aveva già condotto i Romani alla vittoria nella prima Guerra Sannitica.
In breve tempo accerchiarono e invasero il Sannio. Le truppe alleate si stavano ancora
organizzando, quando si resero conto che dovevano a tutti i costi finire i preparativi e
affrontare i Romani nello scontro aperto. Siamo nel 295 avanti Cristo e il luogo dello
scontro è vicino alla città di Sentino, nelle Marche. Se avete occasione di andare nelle
Marche, i resti dell'antica Sentino esistono ancora, poco distanti dalla nuova città, che si
chiama Sassoferrato.
Eccoli lì, tutti i soldati, fieri e desiderosi di combattere. Da un lato le truppe alleate, e
Gellio Egnazio splendente nella sua tenuta da battaglia, dall'altra i Romani, reduci da un
numero incredibile di vittorie.
La battaglia di Sentino è stata lunga e sanguinosa, ma alla fine l'esperienza e 1a
preparazione dei Romani hanno avuto la meglio. Se vogliamo fare un resoconto di
questo anno 295, è stato negativo per i Romani, perchè il loro generale P. Decio Mure è
morto durante la battaglia di Sentino, ma è stato ancor più negativo per i Sanniti,
perchè, oltre ad aver perso la battaglia, hanno visto i Romani occupare la loro città di
Isernia.
Un anno come questo richiedeva riorganizzazione, sia per i Romani, che avevano perso
P. Decio Mure, che per gli alleati, che avevano perso la battaglia.
A Roma non mancavano certo i grandi generali, tanto che sarebbe stato possibile
coniare il motto: “Morto un generale se ne fa un altro”. E un altro grande generale era
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di Umberto Gariboldi
già pronto ad entrare nella mischia. Pensate chi era disponibile in quel momento!
Nientepopodimeno che il grande M. Curio Dentato. Curio Dentato è stato uno dei
grandi; pensate che ancora oggi, anche a Milano, che è ben lontana dai luoghi e dalla
storia che stiamo leggendo, esiste una via dedicata a Curio Dentato. A me è sempre
stato simpatico, fin da quando ero un ragazzo come voi, per quella curiosa vicinanza di
suoni tra “Curio Dentato” e “dente cariato”; ed è cosi che non mi sono mai dimenticato
il suo nome.
Anche i Sanniti non scherzavano. Il nuovo generale prescelto fu Gavio Ponzio, uomo
ricco di esperienze e di coraggio, desideroso di lottare fino all'ultimo per salvare il
salvabile.
Purtroppo per i Sanniti, i Romani avevano ragione: erano sempre loro i più forti. Infatti,
dopo alcune battaglie non decisive, nel 291 avanti Cristo Gavio Ponzio subì una
clamorosa sconfitta, dalla quale non si sarebbe più ripreso.
Ormai non c'era più niente da fare. Le truppe alleate erano decimate e ridotte
all'impossibilità di combattere più oltre. I Sanniti si guardarono in faccia e, sebbene a
malincuore, nel 290 avanti Cristo dovettero chiedere la pace e concludere così le Guerre
Sannitiche.
Nel terzo secolo avanti Cristo, quello che va dall'anno 299 all'anno 200, l'Italia è quasi
tutta dominata dai Romani. Anche la città di Isernia, nel 263 avanti Cristo, diventa
colonia romana, con il diritto di costruire le sue monete in bronzo, su cui era incisa la
scritta “aisirnino”.
Questa situazione è positiva per tutti. Da un lato Roma ha il dominio politico su quasi
tutta l'Italia, dall'altro gli Etruschi e gli Italici diffondono, tramite il dominio romano, la
loro cultura.
Eh, sì, ragazzi, perchè i Romani erano bravissimi nel fare le guerre, ma di cultura ne
avevano davvero pochina. Questo non significa che loro non apprezzassero la cultura,
ma semplicemente che non avevano ancora trovato il tempo di studiare, impegnati come
erano tra una guerra e l'altra. E adesso non venite a dirmi che volete andare in guerra
anche voi per non avere il tempo di studiare ed essere giustificati! No, voi il tempo
l'avete e avete ancora tante cose da imparare. In ogni caso i Romani, anche se non
avevano studiato, capivano perfettamente quanto era importante la cultura e, ogni volta
che conquistavano un popolo, cercavano di conservarne le tradizioni e di diffondere le
sue conoscenze.
I due popoli italiani di grande cultura erano, ai tempi di cui stiamo parlando, gli Etruschi
e gli Italici. Molti sono gli scritti lasciati da questi due popoli, incisi sulla pietra o sul
metallo. Se vi capita di vederne qualcuno in un museo o fotografato su qualche libro,
toglietevi il cappello, perchè vi trovate di fronte alle origini della cultura italiana.
Vi dico i nomi di alcuni degli scritti più importanti, affinchè li possiate riconoscere. Se
invece pensate che sto diventando noioso, beh, saltate questi nomi e andate avanti col
racconto. Non mi arrabbio.
Scritti di cultura etrusca:
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 Mummia di Zagabria
 Cippo di Perugina
 Tavole Iguvine
Scritti di cultura italica:
 Tavola di Agnone
 Cippo Abellano
 Tavola Bautina
Stavamo dicendo che la cultura etrusca e quella italica sono state diffuse grazie alla
politica di dominio di Roma e che Isernia è diventata colonia romana, E’ quindi
evidente che il dominio di Roma non era un dominio repressivo. Anzi lasciava massima
libertà a quei popoli che accettavano tranquillamente il suo dominio e che non
pensavano di rivoltarsi. Alcuni erano sotto il controllo diretto di Roma, o addirittura
potevano partecipare in qualche modo alla vita politica di Roma stessa, altri erano legati
a Roma con patti di aiuto reciproco. Tutti i popoli potevano essere alleati con Roma, ma
mai i popoli dovevano essere alleati tra di loro.
E’ rimasto famoso un detto latino che dice “divide et impera” che spiega molto bene
questo concetto. Vuol dire “dividi e comanda”. Roma divideva i popoli alleati, evitando
che si mettessero d'accordo e organizzassero ribellioni, mantenendo il comando e il
controllo con i patti di alleanza fatti da ciascun popolo solo con Roma. I popoli
conquistati erano suddivisi secondo tre tipologie: le annessioni, le colonizzazioni e le
alleanze.
Chi di voi volesse capire, anche se a grandi linee, che cosa significassero queste tre
categorie, può leggere lo specchietto che segue; chi invece ritenesse di saperne già
abbastanza o non fosse interessato, può tranquillamente evitare di leggere lo specchietto
e proseguire oltre.
ORGANIZZAZIONE DEI POPOLI LEGATI A ROMA
ANNESSlONl
Le annessioni sono vere e proprie aggregazioni al territorio di Roma. Il territorio di
Roma veniva chiamato “Ager Romanus”. Alcuni altri territori, come il Lazio e alcune
zone del territorio degli Etruschi, dei Sabini e della Campania, erano considerati come
una estensione dell’Ager Romanus. Questo voleva dire che i loro abitanti erano ritenuti
talmente amici dei Romani che veniva data loro la cittadinanza romana, con tutti i
diritti che questa comportava.
In alcuni casi i cittadini romani delle “Annessioni” avevano perfino il diritto di
partecipare, come votanti, alle e1ezioni politiche della repubblica romana.
COLONIZZAZIONI
Le colonizzazioni sono trasferimenti di militari e cittadini romani o latini. Le colonie
erano quindi quei territori i cui abitanti erano considerati sì amici di Roma, ma con un
pochino di diffidenza.
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Storia della Pentria antica raccontata ai ragazzi
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Per evitare spiacevoli imprevisti, Roma pretendeva allora che un certo numero di
cittadini e di militari andassero a vivere nelle colonie, al fine di mantenere il controllo
che non venissero covate rivolte contro il potere centrale.
I cittadini e i militari inviati nelle colonie potevano essere Romani oppure Latini, a
seconda dell'importanza della colonia e del rischio di rivolta.
Se venivano inviati cittadini e militari romani, la colonia si chiamava “colonia
romana”, altrimenti si chiamava “colonia latina”.
ALLEANZE
Le alleanze sono impostazioni di aiuti militari a quei popoli che non erano sotto il
dominio di Roma. Praticamente tutti i popoli d'Italia i cui territori non fossero
annessioni o colonie, erano obbligati ad essere alleati dei Romani.
Gli alleati, che venivano chiamati “socii”, avevano la piena libertà di decidere in
proprio come governarsi, sia politicamente che amministrativamente, di gestire la
giustizia secondo le loro proprie leggi e di mantenere e sviluppare la loro cultura,
nonchè di conservare la loro lingua.
Al contrario non potevano fare guerre, se non con l'aiuto dei Romani e dopo la loro
autorizzazione, così come dovevano aiutare i Romani nelle guerre che questi ultimi
volevano fare.
Il territorio di un popolo alleato veniva chiamato “foedus”, per cui le alleanze vengono
chiamate anche “federazioni”.
La Pentria faceva parte della federazione romano-italica, mentre la sola città di Isernia
era colonia romana. Non solo, ma ben presto i Romani riconobbero la posizione
strategica di Isernia e la elevarono al grado di “municipio”.
Il municipio era la città più importante di una colonia, perchè le veniva dato il potere
economico ed amministrativo sulle altre città, che venivano chiamate “vici”. Tra i vici
più importanti amministrati da Isernia ricordiamo la città di Alfedena.
La federazione era divisa in tante parti, ciascuna delle quali veniva chiamata “civitas”
dai Romani, o “touta” dai Sanniti. La Pentria era una touta.
E’ una parola difficile? No, non tanto. Se considerate difficile la parola touta, cosa ne
pensate del “meddix tuticus”? Eppure c'era anche lui, ed era molto importante. Il
mcddix tuticus era un personaggio simile a quello che i Romani chiamavano il
“pretore”. Ce n'era uno solo in tutta la Pentria e aveva il comando giuridico e militare su
tutti i Pentri. Era un personaggio potente e rispettato da tutti. C'era però il rischio che
diventasse troppo potente, e questo i Romani non potevano permetterglielo. Del resto
nessuno aveva interesse a rischiare che qualcuno potesse col tempo diventare un
dittatore. Per evitare questo rischio si decise che il meddix tuticus venisse cambiato tutti
gli anni e che il suo operato non fosse completamente autonomo, ma fosse controllato
da un senato.
Sono concetti di democrazia. Nessuno deve comandare su tutti gli altri ma è il popolo
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Storia della Pentria antica raccontata ai ragazzi
di Umberto Gariboldi
che elegge e rimuove i suoi rappresentanti. Roma ha gia sperimentato da tempo questa
forma di governo e la impone ai suoi sottoposti. La democrazia è cominciata in Roma
con la fine della monarchia, quando cioè i Romani hanno terminato quel lungo periodo
iniziale della loro vita che viene comunemente chiamato il periodo dei “sette re” di
Roma. Ai tempi che stiamo trattando la democrazia è al suo massimo fiorire, anche se
non mancano i malumori, le differenze tra i ricchi e i poveri, tra l'aristocrazia e la plebe.
Se questo avviene tra i cittadini romani, potete immaginare quali e quanti malumori vi
fossero tra gli alleati, che avevano pochi diritti e tanti doveri. Questo porterà, come
vedremo in seguito, a guerre tra federati e Romani e anche a lotte di Romani tra di loro,
per acquistare sempre maggiori diritti per i federati e maggior potere per alcuni Romani.
Ma la crescita del potere di singole persone significa la morte della democrazia, che si
trasformerà in dittatura, fino ad essere formatizzata in quella enorme dipendenza di
Roma da una sola persona e di molti stati da Roma che chiamiamo “Impero romano”.
Non precorriamo i tempi. Le Guerre Sannitiche sono terminate e il territorio ha
acquistato un nuovo assetto dipendente da Roma.
Moltissimi sono i resti archeologici di questo periodo, dai numerosi santuari sannitici ai
templi che ricordano molto da vicino il gusto e lo stile della Magna Grecia, dalle
fortezze di difesa alle armature da guerra. Forse meglio dei libri di storia lasciatici dagli
antichi scrittori, questi resti ci raccontano la potenza e la grandezza dei Sanniti e ci
fanno comprendere quanto le Guerre Sannitiche siano state dure, sia per i Sanniti che
per i Romani.
Non solo, ma ci aiutano anche a capire meglio e più da vicino chi erano realmente i
Sanniti e come vivevano, come praticavano il toro culto religioso e come combattevano
le loro guerre.
Non esitiamo quindi, e andiamo a trovare gli antichi Sanniti nelle loro città, visitiamo
insieme ciò che ci hanno lasciato, anche se distrutto dalle guerre e dal tempo. Non
riusciremo a vedere tutto? Non importa. Cammineremo finchè proprio sarete stanchi
morti, ma contenti di avere conosciuto cose nuove e di avere respirato un'aria diversa,
l'aria detta Storia vissuta dal vivo e sul posto.
E poi impareremo tante parole nuove che vi permetteranno di fare un figurone quando
avrete l'occasione di visitare luoghi antichi, con i vostri genitori e i vostri amici.
Immaginatevi di vedere un tempio antico e di poter dire alla vostra mamma o al vostro
papà: “Ecco, quello è un tempio prostilo, tetrastilo, con cella ampia e con ante”. Siete
convinti che i vostri genitori vi ascolteranno meravigliati?
Oppure, se vi capitasse di vedere un antico teatro, in compagnia del vostro amico o
arnica del cuore, poter affermare con sicurezza: “Vedi, là c'è la cavea, di qui c'è
l'orchestra e lì c'è il pulpitum”.
E’ troppo difficile? No, non è vero. Non esiste niente di difficile, a questo mondo. Ci
sembrano difficili tutte le cose che non conosciamo, ma se le affrontiamo per gradi e
con pazienza, tutte le cose diventano semplici.
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Storia della Pentria antica raccontata ai ragazzi
di Umberto Gariboldi
Provate a ricordare, quando andavate all'asilo, e vi sembrava una cosa difficilissima
poter imparare a leggere e scrivere. Adesso che avete imparato, vi siete resi conto che è
una cosa molto facile, sapete con sicurezza dove mettere le “acca” e dove ci vogliono
gli accenti, sapete distinguere senza esitazione i plurali in “cie” da quelli in “ce” e
sapete coniugare senza dubbi tutti i verbi della lingua italiana.
Cosa dite? Qualche dubbio vi è rimasto ancora? Non preoccupatevi. Nessuno nasce
professore. Con la pazienza e con lo studio vedrete che tutti i dubbi saranno presto
risolti.
Per quanto riguarda i dubbi sull'archeologia sannitica e su quella romana, li risolveremo
sul posto, dal vivo. Mettetevi quindi delle scarpe comode e iniziamo insieme, nel
prossimo capitolo, una passeggiata archeologica tra vecchi “sassi” e resti immortali. E
non dimenticatevi la merenda, perchè sarà una passeggiata lunga, che ci farà spostare su
tutta la Pentria.
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Storia della Pentria antica raccontata ai ragazzi
di Umberto Gariboldi
Capitolo sesto
L'EREDITA' DEI SANNITI
Le costruzioni più importanti dei popoli antichi sono di tre tipi:
 Necropoli
 Opere di difesa, come fortezze e mura
 Luoghi di culto, come templi e santuari.
La necropoli è la “città dei morti”, quella che voi siete abituati a chiamare “cimitero”.
Non vi piacciono i cimiteri? Avete ragione. Non sono posti allegri. Ma le necropoli
antiche sono molto interessanti, perchè gli antichi avevano l'abitudine di mettere nelle
tombe molti oggetti che erano appartenuti al defunto prima che morisse.
Infatti la prima preoccupazione degli antichi era che il morto non dovesse “morire” di
fame o di noia. Per questo motivo troviamo spesso nelle tombe cibo, armi, oggetti vari,
che dovevano permettere al morto di avere ciò che gli serviva anche nell'aldilà. Per il
resto le tombe dei Sanniti non avevano niente di bello. Se pensate ad un cimitero
moderno, con le sue stradine, le sue tombe coperte da lastre di marmo o da monumenti,
con i fiori bene ordinati, beh, dimenticatevi tutto. Le tombe dei Sanniti erano
semplicemente dei buchi scavati nella terra. Se poi pensate che, col passare del tempo,
le necropoli si sono spesso ricoperte di erba, fate bene attenzione, quando camminate,
perchè potete correre il rischio di cadere in una tomba e trovarvi vicino alle ossa di un
antico Sannita, ancora coperto dalle sue armi.
E adesso cosa state facendo? Volete rinunciare alla passeggiata? No, non preoccupatevi,
basta stare un po' attenti. Coraggio, venite.
Tra le necropoli lasciate dai Sanniti nella Pentria, tre sono particolarmente significative;
una per la vastità, una per le ceramiche e l'ultima per le armi.
La necropoli di Alfedena è molto antica, contenendo tombe che risalgono al sesto secolo
avanti Cristo. Si tratta di un'enorme distesa e gli studiosi dicono che doveva contenere
più di 12.000 tombe. Pensate che la città di Isernia, oggi, ha circa 16.000 abitanti, e
immaginatevi cosa potesse essere la necropoli di Alfedena: una città dei morti grande
come l'attuale Isernia!
Se adesso ci spostiamo a Venafro e ci incamminiamo fino a Pozzilli, troviamo una
necropoli molto intima, senza ricchezze, senza ori, ma con molti ricordi di vita
domestica. I morti sono deposti con cura, sdraiati sulla schiena, col viso rivolto verso
l'alto e le braccia distese lungo i fianchi. Gli oggetti di accompagnamento sono quasi
tutti di argilla, vasi di varie forme e misure in ceramica nera che ci fanno tornare col
pensiero alla ceramica etrusca. Infatti i Sanniti hanno avuto molti contatti con gli
Etruschi e non ci deve meravigliare se troviamo oggetti simili, acquistati o copiati. Ma
qui, a Venafro, i vasi sono molto più modesti, più umili, più poveri.
Che cosa avete visto, che vi siete distratti? No, quella non è ceramica, quello è ferro.
Oltre ai vasi ci sono anche resti di armi, anche quelli molto semplici. Sono punte di
ferro che venivano fissate su lunghi bastoni per formare le aste da guerra dei Sanniti.
Anche la necropoli di Venafro è molto antica e risale al sesto secolo avanti Cristo. Un
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po' più recente è invece la necropoli di Pietrabbondante, che si trova in località
Troccola, a sud della vetta del Monte Saraceno. Bravi, vedo che il vostro sguardo si è
soffermato subito sui resti più interessanti; vuol dire che incominciate ad avere l'occhio
acuto dell'archeologo. Sì, quello che state vedendo è un guerriero sannita, completo di
armatura. A parte la punta di lancia, che si chiama “cuspide” e che conoscete già per
averne viste altre a Venafro, qui ci sono anche la corazza e il cinturone. Certo,
vedendole così mal ridotte dal tempo, quelle armature non fanno più molta paura. Ma
provate ad usare un po' di fantasia, e so che voi ne avete tanta, e immaginatevi che il
guerriero torni a vivere e si presenti con le armi ben lucidate, scintillanti sotto il sole, e
che vi punti addosso la sua asta, lanciando il suo urlo di guerra. Che ne dite, adesso?.
Siete un po' meno tranquilli? No, tranquillizzatevi, questo non può più accadere.
Accadeva invece spesso ai tempi delle guerre sannitiche, e i guerrieri che combattevano
e morivano in battaglia erano numerosissimi, così come numerosissime erano le
battaglie che i Sanniti dovevano sostenere.
Se guardate un po' più su, nella parte più alta del Monte Saraceno, ne avete una
testimonianza notevole. Sì, quelle che vedete sono fortificazioni e risalgono al periodo
che va dal quarto al terzo secolo avanti Cristo. Opere di difesa, come mura e fortezze, se
ne trovano diverse nella Pentria. Le mura di difesa più imponenti sono forse quelle di
Campochiaro, a sud del santuario sannitico, e arrivano fino alla località chiamata “Le
Tre Torrette”.
Vedete come sono spesse, quelle mura? E che ne dite delle torri? Quattro torri enormi,
di sei metri per sette ciascuna! Impossibile che delle mura così spesse, sostenute da torri
così grosse, possano crollare. Invece no, in guerra non c'è niente di impossibile. I resti
del passato sono quasi sempre distrutti, o dalle guerre o dagli eventi naturali. E l'antica
Pentria, di guerre ne ha viste davvero molte.
Anche gli eventi naturali hanno fatto la loro parte, naturalmente. Pensate che, nel 346
avanti Cristo, c'è stato un terremoto che ha devastato l'intera Pentria, distruggendo tutto,
e che le poche ricostruzioni sono state fatte solo dopo, grazie a Fabio Massimo, quando
quest'ultimo è diventato rettore della provincia pentra. Quello che non distrugge l'uomo
distrugge il tempo, e l'archeologo si deve accontentare dei resti per ricostruire un
passato glorioso e spesso violento.
La stessa sorte è capitata anche alla più grande fortezza della Pentria antica, quella di
Terravecchia. Oggi Sepino è una ridente borgata dell'alto Molise, all'estremità orientate
del Matese. In epoca sannitica esisteva solo la fortezza di Terravecchia, su un colle
compreso tra due torrenti, a quasi 1.000 metri di altezza. La fortezza era stata costruita
per la difesa contro i Romani, nel quarto secolo avanti Cristo, ed era costituita da grosse
mura con tre porte. Nonostante i danni subiti durante le Guerre Sannitiche, fu utilizzata
anche più tardi nella guerra contro Annibale, di cui parleremo nel prossimo capitolo.
Quello che non cambiava, nei periodi di guerra come in quelli di pace, era la religione. I
Sanniti erano politeisti, cioè adoravano tanti dei, come faceva la maggior parte dei
popoli di quei tempi. Essendo stati per lungo tempo a contatto con i popoli della Magna
Grecia, i Sanniti adoravano degli dei che, salvo alcune varianti locali, non differivano
molto dagli dei greci e romani.
Anche i templi sannitici erano di gusto greco e avevano la stessa struttura. Ci si pone
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adesso la domanda: che cosa è un tempio e come è fatto?
Finchè si tratta semplicemente di dire che cosa è un tempio, vedo che più o meno lo
sapete tutti: un tempio è una costruzione dedicata al culto delle divinità locali. Vi vedo
invece più in difficoltà per rispondere alla seconda domanda: come è fatto un tempio?
Avete ragione. Un tempio è una costruzione molto complessa e i gusti sono cambiati
molto, col passare del tempo. Il tempio greco ha tuttavia delle caratteristiche che si sono
conservate e sono servite da modello anche per i templi romani.
Proviamo ad affrontarle con calma, magari con l'uso di un foglio di carta e una matita.
Siete pronti? Che cosa è successo? Qualcuno non trova la matita? Siete i soliti
disordinati. Lo studio è una cosa seria e quello che serve per studiare deve sempre
essere tenuto in ordine. Bene, vedo che ci siete tutti. Bravi.
Incominciate col disegnare un bel rettangolo, abbastanza grande perchè dovrete poi
mettere tutti i particolari all'interno. Già da questo primo passo avrete capito che il
tempio greco aveva pianta rettangolare.
All'interno del primo rettangolo, disegnatene un altro, ovviamente più piccolo. Tutta
l'area compresa tra i due rettangoli, che forma un lungo corridoio, si chiama “stoa”, che
è una parola greca che significa “portico”. Quindi i templi greci, almeno quelli più
grandi e più importanti, erano circondati da un portico.
Adesso vi racconto una cosa curiosa, così che potete far riposare un momento la vostra
mano, dopo che avete disegnato tanto!
Oggi, nella lingua italiana, usiamo l'aggettivo “stoico” per indicare una persona che
sopporta il dolore senza lamentarsi o che affronta la morte senza dimostrare paura.
Bene, l'origine di questo aggettivo è proprio il portico, cioè la stoa. Infatti esistevano
una volta dei filosofi che predicavano la possibilità di diventare felici attraverso il
distacco dalle passioni, e quindi il disinteresse per i dolori e per la morte. Poichè questi
filosofi si radunavano a discutere e predicare sotto il portico, quindi sotto la stoa, furono
chiamati “stoici”, cioè “quelli della stoa”. Da allora chiamiamo stoico chi si comporta
come loro.
Adesso che vi siete riposati, potete andare avanti a disegnare. Dividete il rettangolo più
piccolo in tre parti, tracciando due righe verticali, in modo che la parte centrale sia un
po' più grande delle due parti laterali. La prima parte si chiama “pronao”, ed è l'ingresso
al tempio vero e proprio. Da un lato confina col tempio, cui si accede tramite una porta,
mentre sul lato opposto si trovano le colonne. Sui fianchi ci sono normalmente due
pareti, chiamate “ante”.
La seconda parte, quella centrale, è il tempio vero e proprio. E’ costituito da uno spazio,
chiamato “naos” o “cella”, in cui si può trovare la statua della divinità, oltre
naturalmente all'ara, cioè l'altare per i sacrifici. L'ultima parte contiene il vestibolo
posteriore.
Sono riuscito a confondervi le idee? Provate a riguardare il disegno che avete fatto. Se
avete seguito bene le mie parole, avrete fatto un disegno più o meno come questo:
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Stoa
Pronao
Naos o cella
Vestibolo
posteriore
La forma dei templi è sostanzialmente sempre la stessa. Al limite ci possono essere
templi piccoli, formati dalla sola cella, e templi grandi, che hanno anche il pronao e la
stoa. Quello che invece varia molto e ci permette di definire un tempio è la quantità e la
collocazione delle colonne. Divertiamoci adesso a mettere a posto le colonne. Le
colonne si possono mettere davanti al pronao, nel vestibolo posteriore e tutt'intorno,
nella stoa.
Mettendo insieme, come in un gioco di costruzioni, i nomi greci che indicano
“colonna” e “ala” e gli avverbi che identificano la quantità e la posizione, potremo
ricostruire tutte le parole che ci servono per definire un tempio.
Incominciamo con i due nomi. I greci chiamavano la colonne col nome “stylos” e l'ala,
o parte laterale del tempio, col nome “pteros”, Tutte le parole che vedremo adesso
saranno quindi dei composti di “stilo” e “ptero”.
Vediamo adesso gli avverbi. Sono tanti, ma non sono difficili. Proviamo a riassumerli
nel seguente dizionarietto.
Avverbi di origine greca
A
Pro
Anfipro
Peri
Di
Tetra
Esa
Octa
Significato in italiano
Senza
Davanti
Sia davanti che dietro
Attorno
Con due
Con quattro
Con sei
Con otto
Adesso possiamo divertirci a fare tutte le costruzioni che vogliamo. Prendiamo, ad
esempio,l'avverbio “tetra” e aggiungiamo il nome “stilo”. Otteniamo così la parola
“tetrastilo”, che vuol dire “con quattro colonne”. Se prendiamo l’avverbio “a” e
aggiungiamo il nome “ptero”, otteniamo la parola “aptero”, che vuol dire “senza ali, o
senza pareti laterali”. E così via, vi potete sbizzarrire come volete.
Provate a definire il tempio rappresentato nel seguente disegno:
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Incominciamo a ragionare. Non ha pareti laterali, ma semplicemente una cella, e le
uniche colonne che si vedono sono le quattro colonne davanti all'entrata. Quindi si può
definire con le seguenti tre caratteristiche:- Aptero, perchè non ha ali
- Prostilo, perchè ha le colonne sul davanti
- Tetrastilo, perchè le colonne sono quattro.
Come vedete, non è poi così difficile. I Sanniti ci hanno lasciato i resti di molti templi,
di tutte le dimensioni. Ricordiamo, ad esempio, il tempio maggiore di Schiavi, del terzo
secolo avanti Cristo. Si tratta di un tempio prostilo, tetrastilo, con due allineamenti di
colonne laterali e ante. Infatti i resti mostrano la presenza di quattro colonne anteriori
(prostilo tetrastilo), di due file di colonne laterali e di due ante a lato dell'ingresso
principale.
Un altro tempio bellissimo è quello di Campochiaro, in località Civitella. Era un tempio
dedicato ad Ercole, come è dimostrato anche dalla presenza di frammenti di statuette
dell'eroe.
Il complesso archeologico più vasto e più importante è comunque quello di
Pietrabbondante. Il complesso è costituito di:
 Tempio ionico, costruito dai Sanniti, anche se di gusto ionico, e quindi greco, nel
terzo secolo avanti Cristo
 Tempio A, del secon2o secolo avanti Cristo.
 Teatro e Tempio B, del primo secolo avanti Cristo.
Appartiene quindi all'epoca che stiamo trattando solo il tempio ionico. Delle altre
costruzioni parleremo nell'ottavo capitolo.
L'area sacra sannitica era di forma quadrata. Lungo il perimetro si vedono i blocchi di
fondazione che mostrano come originariamente ci fossero due file di colonne di legno.
Il tempio era costruito in pietra, con alcune tombe in tufo.
Proviamo ad entrare. Come vedete, all'interno si trova una gran quantità di armi, in
bronzo e in ferro. Si vedono delle lame, punte di lancia, cinturoni, elmi, resti di
corazze.
Non si tratta tuttavia di armi sannitiche, ma di armi appartenute ai Romani e ai loro
alleati. Sono quindi evidentemente prede di guerra e risalgono al periodo che va dal 326
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al 272 avanti Cristo, per cui sono il frutto delle battaglie vinte dai Sanniti durante la
seconda e la terza Guerra Sannitica e durante la Guerra Tarantina. Nel tempio si
trovano anche elmi celtici e campani. Ormai il tempio è completamente distrutto, in
parte a causa delle guerre e devastazioni subite e in parte per permettere la costruzione
di altre opere.
Sono evidenti i resti di una violenta devastazione avvenuta alla fine del terzo secolo
avanti Cristo. E’ molto probabile che ciò sia avvenuto durante la guerra annibalica, di
cui parleremo nel prossimo capitolo, durante la quale i Cartaginesi di Annibale
arrivarono a fare conquiste perfino nella Pentria. E non avevano tutti i torti perchè,
come vedremo meglio nel prossimo capitolo, tutti i Sanniti erano alleati dei
Cartaginesi contro Roma mentre i soli Sanniti Pentri erano dalla parte di Roma e
combattevano contro i Cartaginesi, vincendo anche alcune battaglie.
Oltre alle devastazioni, il tempio ionico fu definitivamente smantellato, nel primo
secolo avanti Cristo, per consentire la costruzione del Teatro e del tempio B.
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di Umberto Gariboldi
Capitolo settimo
LA PENTRIA DOPO LE GUERRE SANNITICHE
Dopo le Guerre Sannitiche, Roma proseguì le sue conquiste, indirizzandosi subito verso
Taranto e la Magna Grecia. Quando c'era la possibilità di “menare le mani”, i Romani
erano sempre pronti. Nel 270 avanti Cristo, sconfitti i Tarantini e conquistata la Magna
Grecia, praticamente tutta l'Italia centro-meridionale viveva sotto il governo, diretto o
indiretto, dei Romani.
Come si viveva sotto il dominio de Romani? Le opinioni erano divergenti, tanto che i
popoli soggetti a Roma si trovarono sempre più divisi in amici e nemici dei Romani. Gli
stessi Sanniti si trovarono presto divisi, in quanto i Sanniti Pentri avevano accettato di
buon grado l'alleanza romana, mentre gli altri Sanniti si conservavano ostili.
La cosa divenne evidentissima con le Guerre Puniche, in particolare con la seconda, in
cui i Sanniti Pentri combattevano assieme ai Romani contro Annibale, mentre
moltissimi altri popoli aiutavano Annibale contro i Romani. E dobbiamo dire che i
Sanniti Pentri combattevano anche molto bene, perchè una delle poche vittorie romane è
stata di esclusivo merito loro, che hanno provocato la prima sconfitta di Annibale nella
battaglia di Gerione, presso Larino nel Molise.
Poichè noi stiamo studiando la Storia dei Sanniti Pentri, è evidente che faremo il “tifo”
per Roma nella grande guerra contro Annibale. Quindi grideremo, per il momento,
“Viva i Romani e i Sanniti Pentri e abbasso Annibale e i suoi sostenitori!”.
Il protagonista romano della guerra contro Annibale era Quinto Fabio Massimo, uomo
di grandi capacità e grande intelligenza. Fabio Massimo aveva capito subito che
l'esercito cartaginese di Annibale era troppo potente per i Romani e che Annibale aveva
appoggi in Italia un po' ovunque. Per questi motivi non voleva fare una guerra aperta,
nella quale i Romani sarebbero senz'altro stati sconfitti, ma voleva stancare i Cartaginesi
con piccole battaglie, mantenendosi sempre in posizione di vantaggio e dominando
Annibale dall'alto delle montagne. Purtroppo il senato romano non aveva capito niente
e, come vedremo tra breve, procurerà a Fabio Massimo più guai di quanti gliene
avrebbe potuto procurare Annibale. Chi invece aveva capito tutto era proprio Annibale,
il quale cercava in tutti i modi di provocare Fabio Massimo in una guerra aperta, in
modo da poterlo sconfiggere con la forza del suo esercito.
Il posto ideale per la battaglia aperta avrebbe dovuto essere la campagna attorno a
Casinate e lì Annibale voleva andare a combattere. Sembra tuttavia che i Cartaginesi
non conoscessero bene le lingue italiche e sbagliarono a chiedere le indicazioni alle loro
guide. Il risultato fu che, invece di farsi portare a Casinate, si fecero guidare fino a
Casilino, che si trovava sul Volturno, in una zona chiusa tra le montagne e le paludi,
esattamente quello che Annibale voleva evitare.
Avete capito adesso come sia importante conoscere bene le lingue straniere? Povero
Annibale! Gli fosse capitato oggi, con i trasporti aerei, avrebbe rischiato di andare a
Bangkok invece che ad Ancona, e la meravigliarsi per lo strano colore olivastro degli
Italiani.
Immaginatevi adesso la situazione. Annibale praticamente chiuso tra montagne e paludi,
con un esercito che fa fatica a muoversi e circondato dai Romani e dai loro alleati, ben
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Storia della Pentria antica raccontata ai ragazzi
di Umberto Gariboldi
riparati sulle montagne e con una buona conoscenza dei posti. Cosa fareste voi al posto
di Annibale? Vi vedo pensierosi. Certo, è una situazione perlomeno imbarazzante. E’
impossibile scappare, perchè siete circondati dai Romani; è impossibile combattere,
perchè il vostro esercito non può muoversi bene in quei terreni. E allora, che fate?.
Volete sapere che cosa ha fatto quel furbone di Annibale?
Ve lo dico subito. Ha aspettato che venisse la notte. Durante la notte ha fatto prelevare
tutte le mucche che ha trovato, e in quelle zone ce n'erano parecchie» tanto che si dice
ne abbia trovate circa duemila. Radunate le mucche, ha fatto legare sulle loro corna
delle torce e le ha fatte accendere. Le mucche si sono spaventate, vedendo e sentendo il
fuoco sulle loro corna, e hanno incominciato a correre all'impazzata su per le montagne,
proprio dove si erano riparati i Romani. Col buio della notte, si vedevano soltanto le
torce accese. Sembrava un esercito smisurato che correva a velocità incredibile per le
montagne Per i Romani tutto questo aveva del miracoloso. Senz'altro tutti gli dei si
erano messi a combattere dalla parte di Annibale e non si può combattere contro gli dei.
Ne nacque quindi un fuggi fuggi generale nella notte e quando, il mattino seguente, si
resero conto che Annibale li aveva presi in giro, ormai era troppo tardi, perchè i
Cartaginesi si erano già allontanati da quel posto pericoloso ed erano tornati nell'aperta
campagna, dove il loro esercito avrebbe potuto nuovamente combattere con la certezza
della vittoria.
Questo scherzetto non piacque per niente al senato romano, che se la prese col povero
Fabio Massimo e gli tolse la fiducia. Pensate che cosa succederebbe se noi ci
comportassimo cosi al giorno d' oggi, e togliessimo la fiducia al nostro governo ogni
volta che in Italia succede qualcosa che non ci piace! Inutile, erano decisamente altri
tempi, e Fabio Massimo ne pagò le spese. L'esercito romano fu diviso in due e a Fabio
Massimo restò la guida solo di mezzo esercito. L'altra meta fu affidata ad un generale
bravo e coraggioso, ma molto imprudente, Minucio, che decise subito di farsi onore e
sfidò Annibale in battaglia aperta.
Annibale naturalmente non aspettava altro e in breve tempo provocò molte perdite
all'esercito di Minucio ed era nelle condizioni di distruggerlo completamente. Per
fortuna per noi, Fabio Massimo non aveva rancori e, come seppe che Annibale stava
distruggendo l'esercito di Minucio, intervenne prontamente con il suo esercito e riuscì
con la sua capacità a salvare il collega e a far ritirare Annibale.
Minucio non era cattivo; era solo stato presuntuoso e imprudente e aveva sottovalutato
Annibale. Dopo quel che gli era capitato, capì di aver sbagliato tutto e di essersi salvato
solo per l'altruismo e la bravura di Fabio Massimo.
Raramente nella Storia qualcuno ammette di avere sbagliato, e forse non soltanto nella
Storia, ma anche nella vita di tutti i giorni. Pensate soltanto quanto vi costa riconoscere
che voi avete sbagliato e chiedere scusa a qualcuno! Bene, Minucio lo fece, ed è per
questo che a me è molto simpatico.
Ha riconosciuto i suoi errori, ha radunato gli eserciti davanti a Fabio Massimo e, ad alta
voce, in modo che tutti potessero sentire, gli ha detto: “Oggi tu hai conquistato due
vittorie: una, mediante il valore, su Annibale; l'altra, mediante l'avvedutezza e la
generosità, sul collega. Con la prima ci hai salvati, con la seconda istruiti. Noi
soccombemmo ad Annibale in una indecorosa sconfitta e a te con dignitosa salvezza. A
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Storia della Pentria antica raccontata ai ragazzi
di Umberto Gariboldi
te mi rivolgo col nome prezioso di padre, perchè non ne conosco altro più onorifico;
eppure la generosità di un padre è inferiore a quella che tu hai usato verso di me;: mio
padre mi ha semplicemente messo al mondo, tu hai salvato me ed i miei uomini”. E
tutto finì con un abbraccio fraterno.
Questi bellissimi fatti e queste sentite parole, che ci sono stati riportati dallo scrittore
Plutarco, non convinsero molto il senato romano, che voleva solo la guerra e la vittoria
contro Annibale. Fabio Massimo, visto che comunque il senato non gli restituiva la
fiducia, si dimise nel 216 avanti Cristo, e l'esercito fu affidato ai consoli Terenzio
Varrone e Paolo Emilio.
Si trattava di un esercito enorme, il maggiore che Roma avesse mai prodotto fino a quel
momento e senz'altro molto più grande di quello di Annibale. Sicuro della vittoria,
Varrone affrontò apertamente Annibale presso Canne, sull'Ofanto. Povero Varrone!
Ancora non aveva capito che Annibale era più bravo dei Romani nelle battaglie aperte.
Non basta avere un esercito potente, bisogna anche saperlo guidare. L'arte della guerra è
un'arte difficile; occorrono capacità ed esperienza, e Annibale ne aveva tanta.
Cosa ha fatto, questa volta, quel furbacchione di Annibale? Per prima cosa ha messo il
suo esercito in modo da avere il vento alle spalle. E’ evidente che i Romani, per
affrontare l'esercito di Annibale, dovevano mettersi dall'altra parte, così che il vento
soffiava in faccia ai soldati romani e la polvere sollevata dalla battaglia veniva spinta
dal vento proprio negli occhi dei Romani. Avete mai provato a combattere con la
polvere negli occhi? E’ meglio che non lo proviate, perchè deve essere una cosa
terribile.
Oltre a questo, Annibale ha schierato il suo esercito, mettendo al centro i soldati più
deboli e ai lati quelli più forti. Immaginatevi l'esercito di Annibale come se fosse un
lunghissimo elastico, tenuto sollevato da terra, a mezzo metro di altezza, per mezzo di
due grossi pali fissati alle sue estremità. Che cosa succede se voi volete spingere in là
tutto l'elastico? Chiaramente non riuscirete a muoverlo ai lati, perchè ci sono i grossi
pali, ma riuscirete a spingere facilmente la parte di mezzo, fintanto che vi troverete con
elastico sia davanti a voi che sui fianchi. Immaginatevi adesso di trovarvi in questa
situazione e di vedere che i due grossi pali si avvicinano tra di loro, in modo che vi
trovate chiusi in un cerchio, senza alcuna possibilità di uscirne.
E’ quello che è capitato ai poveri Romani. I due grossi pali altro non erano che i più
forti tra i soldati di Annibale, mentre l'elastico era l'esercito di Annibale, che
indietreggiava leggermente al centro. Quando i Romani ebbero sfondato il centro quel
tanto che bastava per essere circondati, Annibale dette l'ordine ai soldati più forti di
avvicinarsi tra di loro, in modo da chiudere l'esercito romano in un cerchio fatale.
Poveri Romani! Non capivano più nemmeno da quale lato dovevano difendersi, con
colpi di spada che arrivavano sulle loro teste da tutte le parti. In breve tempo tutto
l'esercito fu distrutto e lo stesso Paolo Emilio morì durante la battaglia. Si salvò soltanto
Varrone, che riuscì a scappare con pochi superstiti.
Dopo la battaglia di Canne, tutta l'Italia era ormai nelle mani di Annibale. La stessa
Capua, capito ormai che Annibale era il nuovo padrone dell'Italia, rinnovò la sua
alleanza con i Cartaginesi e volle averli tutti ospiti nella sua città, sperando così di poter
diventare lei, e non Roma, la capitale d'Italia, fedele al governo cartaginese.
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Storia della Pentria antica raccontata ai ragazzi
di Umberto Gariboldi
Quindi le due grandi città dell'Italia meridionale, Isernia e Capua, si trovavano opposte
l'una all'altra: Isernia fedele a Roma e Capua fedele ad Annibale.
Intanto il senato romano aveva capito, anche se un po' tardi, tutti i suoi errori, e aveva
richiamato Fabio Massimo, che riprese la guida dell'esercito romano. Annibale non capì
subito il pericolo. Pensava che i Romani non sarebbero più entrati in guerra e se ne
stette tranquillo a Capua. Oltre tutto gli abitanti di Capua, che volevano portare la loro
città a capitale d'Italia, trattavano i Cartaginesi come dei principi: li ospitarono in case
comode, con grandi pranzi, vino, bagni e donne per tutto l'esercito cartaginese.
Quando Annibale si rese conto che i Romani, guidati da Fabio Massimo, avevano
ripreso le armi, ormai era troppo tardi, perchè l'esercito cartaginese non era più abituato
ai sacrifici della guerra. Questo segnò la fine dei Cartaginesi. L’esercito romano
riconquistò Capua, Siracusa e Taranto, fino ad arrivare con un esercito, guidato da
Scipione, nelle vicinanze delta stessa Cartagine. Annibale fu richiamato per difendere la
sua città, ma fu definitivamente sconfitto nella battaglia di Zama, nel 202 avanti Cristo.
Dopo la seconda Guerra Punica e per tutto il secondo secolo avanti Cristo, la Pentria
vive finalmente un periodo di pace. La campagna di Venafro viene coltivata
intensivamente ad olivi e la produzione dell'olio diventa famosa ovunque. Parimente
importante diventa, sempre a Venafro, la produzione della terracotta, per costruire
tegole e vasi. I vasi più famosi di questo periodo sono i cosiddetti vasi caleni, e non
ditemi che lo sapevate già, altrimenti vi viene il naso lungo come quello di Pinocchio. I
vasi caleni sono delle coppe basse, verniciate di nero lucido con decorazioni in rilievo, e
si chiamano caleni perchè sono stati inventati in una città della Campania chiamata
appunto Cales.
In questo secolo di pace, i Sanniti Pentri costruiscono molte delle opere più belle e
grandiose della loro Storia, come il maestoso complesso di templi e il teatro di
Pietrabbondante, il complesso di Venafro e il tempio di Vastogirardi, di cui parleremo
nel prossimo capitolo. Chiaramente però la pace non può durare a lungo e gli uomini
hanno sempre dimostrato una fantasia enorme nel trovare motivi per farsi la guerra l'un
l'altro.
Provate a fare un esercizio: scrivete su un quaderno la parola “pace” ogni volta che c'è
stata una guerra net mondo. Bene, sono convinto che, se contate tutte le guerre che sono
state fatte o che si stanno facendo, dovreste riempire con la parola “pace” una quantità
enorme di quaderni e forse non vivreste a sufficienza per completare il vostro esercizio.
E’ così che anche questa volta, dopo un secolo di pace per i Sanniti Pentri, vediamo di
nuovo luccicare le armi in una nuova guerra: la Guerra Sociale.
La Guerra Sociale si chiama così perchè è stata combattuta dai Socii, cioè dagli alleati
di Roma, contro Roma stessa. E’ stata quindi una guerra tra Italici e Romani.
Di motivi ce n'erano, e parecchi. Incominciamo dall'inizio dei malumori. Scipione
l'Africano, quello che ha sconfitto i Cartaginesi nella battaglia di Zama, aveva due
nipotini, che si chiamavano Tiberio e Gaio Gracco. Erano tanto carini e bravi che la loro
mamma, Cornelia, li chiamava “i miei gioielli”. Quando i “gioielli” diventarono uomini,
pensarono che non era giusto che l'Italia fosse divisa in ricchi e poveri e che era giunto
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di Umberto Gariboldi
il momento di fare un po' di giustizia.
Proposero quindi di dare la cittadinanza romana, con tutti i suoi vantaggi, anche agli
Italici e di portare via ai ricchi un po' delle loro terre da distribuire ai poveri.
Chiaramente i ricchi non furono contenti di questa decisione e, poichè il senato romano
era composto di ricchi, i due nipotini ebbero una vita difficile, finchè furono entrambi
assassinati.
Qualcosa comunque avevano ottenuto. La riforma agraria limitò a circa 125 ettari il
terreno massimo che un cittadino romano poteva possedere. Niente da fare, invece, per
quanto riguardava la proposta di estendere la cittadinanza romana agli Italici. Non solo,
ma ben presto il limite dei 125 ettari venne applicato anche ai terreni degli Italici e le
parti che avanzavano venivano distribuite ai poveri romani.
E’ evidente che gli Italici si arrabbiarono. Non avevano la cittadinanza romana, e quindi
non avevano alcun diritto di prendere parte alle decisioni politiche, economiche e
militari dei Romani e vedevano che queste decisioni venivano prese a loro danno. E
perchè, poi? Gli Italici avevano aiutato Roma nelle sue guerre contro Annibale e
l'esercito romano era formato soprattutto di soldati italici. Eppure i soldati romani erano
pagati meglio di quelli italici e i comandanti degli eserciti erano sempre e solo dei
generali romani.
Finite le guerre, è finalmente arrivato il momento di godere un po' di pace e coltivare la
terra, ma i Romani confiscano i terreni degli Italici. Oltre tutto, durante le guerre i
soldati venivano pagati, anche se malamente. La pace ha portato alla disoccupazione dei
militari che non sanno cosa fare per guadagnare qualche soldo.
A Roma, morti Tiberio e Gaio, il loro posto viene preso da Livio Druso che, capita la
situazione, prosegue nella proposta di dare agli Italici la cittadinanza romana. Provate ad
immaginare come è andata a finire! Troppo facile! Anche Druso viene assassinato per le
sue idee a favore degli Italici.
A questo punto gli Italici non resistono più. Hanno anche loro degli ottimi generali e
degli ottimi eserciti. E’ venuto il momento di fare la guerra contro Roma e di
combattere finchè non avranno ottenuto la cittadinanza. Siamo nel 91 avanti Cristo. Gli
Italici sono tanti e, questa volta, tutti uniti. Solo Isernia e Nola sono rimaste sotto l'egida
romana, ma presto verranno aggregate anche loro alla Lega Italica.
Ecco quindi la guerra. Da un lato i Romani e pochi Latini, che avevano già diritti di
cittadinanza; dall'altro gli Italici, e precisamente: i Piceni, i Marsi i Peligni, i Ventini, i
Marrucini, i Frentani, i Sanniti, i Campani, i Lucani e gli Apuli. Sono troppi? Non
riuscite ad imparare a memoria tutti questi nomi? Non importa, chiamateli pure Italici.
La loro capitale e Corfinio, che loro chiamano col nome di Italia. E’ quindi una guerra
dell'Italia contro Roma.
Chiaramente occorrono un nuovo governo, diverso da quello romano, e monete italiche.
Viene quindi nominato un senato italico, formato da 500 membri, e vengono eletti due
comandanti supremi: Poppedio Silone, per il gruppo centro-italico, e Papio Mutilo. per
il gruppo sannitico. Se il simbolo di Roma è la “lupa”, gli Italici scelgono il “toro” e le
loro monete portano l'immagine del toro italico che schiaccia la lupa romana.
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La guerra dura circa tre anni. Gli Italici vincono diverse battaglie sia sull'Adriatico che
suI Tirreno. Dopo la grande vittoria di Carsoli, in cui muore il console romano Rutilio
Lupo, gli Italici conquistano Isernia e Nola. Ancora una vittoria degli Italici nella zona
del Fucino, in cui muore il console romano Porcio Catone.
I Romani erano stati presi alla sprovvista. Non pensavano che gli Italici fossero così
forti e così decisi a combattere e vincere. Quando l’esercito romano si riprende, con
qualche vittoria di Pompeo Strabone e di Cornelio Silla, gli Italici spostano la capitale a
Boviano e poi definitivamente a Isernia. Qui vengono concentrate tutte le loro forze e i
Romani capiscono presto che Isernia, la nuova capitale d'Italia, è diventata
imprendibile. La guerra tuttavia è diventata troppo pesante, sia per i Romani che per gli
Italici. Così decidono di trattare la pace e gli Italici ottengono finalmente quello che
volevano e per cui avevano combattuto: la cittadinanza romana.
Tutto considerato, è stata una guerra inutile, per i Romani, che avrebbero potuto evitare
tanti morti e tanti costi se avessero concesso subito agli Italici la cittadinanza romana.
Ma, provate a riflettere: esistono guerre che non siano inutili?
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Capitolo ottavo
I RESTI ROMANO-SANNITICI NELLA PENTRIA
Finita la Guerra Sociale, tutti i popoli italici godono di cittadinanza romana e l'Italia
peninsulare si può considerare praticamente un'unica nazione. Non con questo che siano
finite le guerre sul suolo italiano, tutt'altro. Si tratta tuttavia di guerre diverse dalle
precedenti. Le nuove guerre sono lotte terribili per il potere, cittadini romani che
combattono l'uno contro l'altro per poter diventare padroni unici dei domini di Roma.
Prima troviamo la lotta tra Mario e Silla, poi quella tra Pompeo e Cesare, poi ancora
quella tra Antonio e Ottaviano, finchè Ottaviano vince in modo così definitivo da non
avere più rivali e rimanere solo a governare tutto il dominio romano, col nome di
Augusto. Ma quando comanda una sola persona non si può più parlare di Repubblica.
La Repubblica di Roma è terminata ed è iniziato l'Impero Romano.
Per quanto riguarda la Pentria, essa viene incorporata da Augusto nella 1V Regione,
denominata “Sabini et Samnium”. La Pentria è quindi diventata definitivamente una
regione romana, sotto l'impero di Augusto. Ma la cultura pentra aveva già da tempo
subito tutti gli influssi della cultura romana, soprattutto per quanto riguarda
l'architettura.
Nel periodo tra le Guerre Sannitiche e i primi secoli dopo Cristo, la struttura delle città
pentre e i monumenti tipici di tali città sono di stile romano, anche se, per quanto
riguarda i templi, si riconosce sempre un'origine greca, che si trova del resto nella stessa
Roma.
Che cosa vuol dire “struttura della città”? Struttura della città vuol dire organizzazione
delle strade e dei monumenti. Se voi guardate una città dall' alto, riuscirete a vedere la
disposizione di tutte le sue strade.
La città romana si riconosce facilmente, perchè ha le strade perpendicolari tra di loro,
come se fosse una scacchiera. Tra queste strade, due sono facilmente riconoscibili,
perchè sono le più importanti. Una va da nord a sud, e si chiama “cardo”, l'altra,
perpendicolare al cardo, si chiama “decumano”. Lungo il cardo e il decumano si trovano
di solito i monumenti più importanti. All'incrocio del cardo col decumano si forma
normalmente una piazza, chiamata “Foro”, dove aveva luogo il mercato del bestiame e
che costituiva il centro della vita sociale della città.
Alle estremità del cardo e del decumano si trovavano solitamente le porte per entrare o
uscire dalla città, che era sempre circondata da mura.
I monumenti più importanti erano i templi, di cui sapete già tutto, eventuali teatri e
anfiteatri, di cui parleremo in questo capitolo, e, da non dimenticare, il “Macellum”,
cioè il mercato coperto di generi alimentari, soprattutto carni.
L'esempio più evidente di città romana nella Pentria è la città di Venafro. Provate a
guardare Venafro dall'alto. Vedrete un rettangolo pressocchè perfetto, formato da nove
strade parallele che si incrociano ad angolo retto con sette strade, anch'esse parallele tra
di loro. Nel secondo secolo avanti Cristo, la città romana di Venafro era motto
importante. I suoi abitanti non erano soltanto i Sanniti originari, ma vivevano a Venafro
anche numerosi immigrati Latini.
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Tutto attorno alla città c'erano, naturalmente, le mura. Le porte erano tre: una verso
Roma, una verso Teano e una verso Isernia. Trattandosi di una città importante, aveva
un teatro e anche un anfiteatro. Che differenza c'è tra un anfiteatro e un teatro? Lo
sapete o ve lo devo dire io? Comunque sia, ve lo dico lo stesso.
Entrambi sono costruzioni aperte, ove si davano spettacoli.
L'anfiteatro ha la forma di un'ellisse. Sono anfiteatri, ad esempio, il Colosseo di Roma,
l',Arena di Verona e, perchè no?, lo stadio di San Siro a Milano. Gli spettatori si
sedevano sulle gradinate mentre lo spettacolo aveva luogo in mezzo all'anfiteatro.
Il teatro, invece, non è altro che mezzo anfiteatro. Ci soffermeremo più
approfonditamente sul teatro tra breve, quando parleremo del complesso di
Pietrabbondante.
Tornando a Venafro, il teatro si trova lungo la “Via delle Mura Ciclopiche”, mentre
l'anfiteatro è dalla parte opposta, quella della città bassa. Poco fuori da Venafro, nella
zona dove oggi vedete la chiesetta della Madonna della Libera, si vedono ancora i resti
di quattro enormi terrazze. Anche queste risalgono al secondo secolo avanti Cristo e
sono probabilmente i resti di una grossa “fattoria” in cui veniva prodotto il famoso olio
di Venafro.
Completamente diversa è invece la città di Isernia. Isernia si trova, come abbiamo già
detto, su un promontorio lungo e stretto, tra le valli del Carpino e del Sordo. Con uno
spazio così limitato non era assolutamente possibile costruire la tipica città romana a
scacchiera. La soluzione adottata fu quella di costruire una lunga strada centrale, dove
attualmente si trova Corso Marcelli, e tante piccole strade che si staccano ad angolo
retto, tutte dallo stesso lato. Se voi guardate Isernia dall'alto, avrete l'impressione di
vedere un enorme pettine, dove le vie laterali sono i denti. Naturalmente anche Isernia,
con la sua struttura a pettine, era circondata da mura ed aveva il suo bravo Foro e il suo
bravo Macellum.
Se ora prendete la strada che porta da Isernia a Benevento, incontrerete due
importantissime città del periodo romano, che oggi sono fuori dalla provincia di Isernia,
ma che, ai tempi di cui stiamo parlando, facevano parte delta sfera culturale sanniticoromana. Sto parlando di Boiano (la antica Boviano, o Bovianum, che significa “città dei
buoi”) e di Sepino. Boiano è una classica città romana, con struttura pressocchè identica
a quella che abbiamo appena visto a Venafro. Anche qui nove strade parallele
incrociano sette strade perpendicolari. Anche qui troviamo tre porte: una diretta verso
Isernia, una verso Sepino e una verso l' Adriatico.
Ben più complessa è invece la città di Sepino, dell'epoca di Augusto, e ricca di
monumenti molto interessanti. Se non avete ancora messo via le scarpe da passeggio
che avete usato nel sesto capitolo, entriamo nella città romana di Sepino e passeggiamo
lungo il cardo e il decumano, per scoprire i monumenti più belli. Come vedete subito, le
mura di Scpino sono veramente notevoli e rafforzate da grosse torri, a circa 30 metri una
dall'altra. Cosa dite? Che sono tutte bucate? No, quei buchi che vedete sono stati fatti
apposta. Sono le feritoie, e servivano per poter lanciare frecce con gli archi, mantenendo
gli arcieri al riparo. E questo non soltanto durante le guerre, ma anche per difesa contro i
briganti, che erano numerosi anche all'epoca di cui stiamo parlando.
Avete visto che porte imponenti? Le porte esterne si chiudevano con saracinesche» che i
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Romani chiamavano “cataractae” e all'interno si trovavano delle controporte, per
maggiore sicurezza. Entriamo da Porta Boiano.
Quella strada lunga che parte diritta da Porta Boiano e, dopo aver attraversato tutta la
città romana, arriva fino a Porta Benevento è il decumano. Non si può sbagliare, ci sono
tutti i monumenti più importanti. Avete visto il Macellum? Ve lo ricordate? Il Macellum
era il mercato coperto delle carni. Lì dietro c'è anche una basilica dell'epoca di Augusto
e restaurata quattro secoli dopo.
Che cosa avete visto?. Avete ragione, quella è una fontana. Ce ne sono diverse, a
Sepino, sia lungo il cardo che lungo il decumano, e venivano utilizzate per dar da bere
ai cavalli. Un'altra molto bella è sul decumano, verso Porta Benevento, e si chiama
“Fontana del Grifo”.
Vedete quella fila di costruzioni modeste, lungo il decumano?. Quelli sono i resti delle
botteghe. Dietro ad ogni bottega c'era la casa del negoziante, mentre dal decumano
entravano i clienti. C'è anche un mulino ad acqua, sempre dell'epoca di Augusto, e un
frantoio.
Se poi risalite lungo il cardo fino a raggiungere le mura e le costeggiate nella direzione
di Porta Boiano, troverete anche i resti di un teatro molto curioso. La forma è normale, a
semicerchio, ma la parte di fronte al palcoscenico e appoggiata alle mura, con una porta
che, attraverso le stesse mura, dà verso l'esterno della città. Non è una cosa curiosa?
Eppure aveva la sua logica. Il teatro di Sepino è molto grande, con circa tremila posti.
Vi affluivano sia gli abitanti di Sepino che quelli delle campagne circostanti. Allora, per
evitare di fare entrare in città tutti i campagnoli, era stata costruita una porta apposta per
loro, in modo che potessero entrare nel teatro direttamente dall' esterno.
Parliamo un po' più in dettaglio del teatro. Che cosa è un teatro romano? E come è
fatto?
L'origine del teatro romano si ritrova nell'antica Grecia, quando gli attori recitavano su
un palco di legno costruito al momento oppure su un carro che spostavano da un posto
all'altro. Per consentire a tutti gli spettatori di vedere gli attori, il palco o il carro
venivano posti ai piedi di una collinetta, sul cui declivio si metteva il pubblico.
Col passare del tempo i teatri divennero fissi. Il palco fu costruito in muratura e, al
posto della collinetta, fu costruita una gradinata, a forma di semicerchio, chiamata
“cavea”. Nel teatro romano la cavea era divisa in diversi “ordini”, separati tra di loro da
parapetti. Provate a disegnarli, così ci capiremo subito. Vi servono un foglio di carta,
una matita, un righello e cinque bicchieri di misura diversa.
Che cosa e successo?. La mamma non vuole che usiate i bicchieri di famiglia? Beh, se
sapete usare il compasso, il risultato sarà Io stesso. Nel peggiore dei casi potrete provare
a mano libera; non sarà perfetto, ma vi aiuterà a capire allo stesso modo.
Per prima cosa, con l'aiuto del righello, tracciate una riga diritta, che rappresenterà il
bordo del palcoscenico. Disegnate adesso, utilizzando i bicchieri, oppure il compasso,
oppure a mano libera, cinque semicerchi concentrici che si appoggino alla riga da voi
disegnata. Avrete così ottenuto la suddivisione della parte riservata al pubblico, che
corrisponde anche alla suddivisione sociale della popolazione.
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Infatti le suddivisioni che avete disegnato costituivano i limiti degli spazi in cui avevano
diritto ad accedere le varie fasce di popolazione, in modo che i posti più belli, cioè
quelli più vicini al palcoscenico, fossero riservati ai senatori e ai magistrati, quelli
intermedi ai cittadini normali e quelli più lontani alla plebe, cioè atta parte più povera
della popolazione.
Il primo semicerchio invece, quello che appoggia al palcoscenico, si chiama
“orchestra”, ed è lo spazio in cui si metteva il “coro”, gruppo ai persone che
accompagnavano lo spettacolo con cantilene e danze. La parte riservata agli attori non
era molto diversa da quella dei teatri attuali. Anche allora era composta di un
palcoscenico, chiamato “pulpitum”, sul quale gli attori recitavano, di una scena, che
faceva da sfondo al palcoscenico, e di varie porte per le entrate e le uscite degli attori.
Vi ho raccontato queste cose per consentirvi di concludere il viaggio nella Pentria
archeologica col ritorno a Pietrabbondante.
Vi ricordate, vero, Pietrabbondante? Ci siamo già passati, nel sesto capitolo, ed
avevamo visitato il Tempio Ionico, costruito dai Sanniti nel terzo secolo avanti Cristo.
Ma già in quel capitolo vi avevo promesso che saremmo tornati a Pietrabbondante per
completare la visita di questo complesso, che è il più vasto e interessante della Pentria.
Le costruzioni antiche, templi e teatro, erano talmente ricche ed hanno lasciato tali resti
di pietre lavorate che, nel Medio Evo, la cittadina è stata chiamata “Petra Habundante”,
da cui l'attuale nome di Pietrabbondante, che ci dice chiaramente quanto abbondanti
siano i resti di costruzioni in pietra.
Successivamente al Tempio Ionico che abbiamo visitato nel sesto capitolo, è stato
costruito un nuovo tempio, nel secondo secolo avanti Cristo, denominato Tempio A.
Infine, nel primo secolo avanti Cristo, è stato costruito il complesso costituito dal Teatro
e dal Tempio B. La costruzione del .Teatro ha reso necessaria la distruzione del vecchio
Tempio Ionico, sui cui resti il Teatro è stato costruito.
Il Tempio A è un tempio prostilo, tetrastilo, con due allineamenti di colonne ai lati. Lo
sapevo, vi siete già dimenticati che cosa vogliono dire queste parole. In effetti, sono un
po' difficili. Prostilo vuol dire che ha delle colonne sul davanti, mentre tetrastilo vuol
dire che le colonne sul davanti sono quattro. In più, sui lati, il Tempio A aveva altre due
file di colonne. Sul davanti c'era anche un portico.
A monte del tempio c'era un muraglione, che è stato rimosso quando sono stati costruiti
il Tempio B e il Teatro, per permettere la costruzione delle botteghe. Tutta la zona
davanti al Tempio A è stata trasformata, con la costruzione, nel primo secolo avanti
Cristo, del Tempio B e del Teatro, e perfino il vecchio Tempio Ionico è stato distrutto.
Certo il nuovo complesso era tutto un'altra cosa! Guardatelo nel suo insieme, osservate
quelle pietre lavorate dalla mano dell'uomo, ammirate l'ampiezza del Teatro e vi
renderete subito conto di quanto sia stato indovinato il nome di Pietrabbondante.
Passeggiamo tra i resti del Teatro. E’ tanto bello e ben conservato che non ci si può
stancare. La platea si presenta come un grande campo verde a forma di semicerchio,
intorno al quale si vedono ben distinti gli ordini dei posti a sedere dell'ima cavea. Vi
ricordate, vero, che la cavea è la parte in rilievo, solitamente appoggiata ad una
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collinetta, comprendente i vari ordini di posti per gli spettatori? Bene, l'ima cavea non è
altro che la parte più bassa, comprendente i posti per i cittadini più importanti. Ed è
esattamente quella che state vedendo, composta da tre ordini di sedili di pietra con
spalliera continua. Più in alto c'era invece la summa cavea, cioè gli ordini di sedili
destinati ai cittadini meno importanti, ed era fatta di gradinate provvisorie in legno.
Dietro al palcoscenico si vedono i resti di una parete in muratura con tre porte, oltre le
quali c'erano gli ambienti per gli attori e le attrezzature del teatro. C'erano anche delle
lunghe travi di legno fissate al suolo, su cui venivano fissate di volta in volta le scene
dipinte che servivano per la recita, proprio come nei teatrini con le marionette che a voi
piacciono tanto.
Poco sopra il Teatro vedete i resti del grandioso Tempio B. E’ indubbiamente il tempio
più grande dell'antico Sannio. Voglio che lo definiate da soli, perchè ormai siete
diventati dei maestri. Dunque, guardatelo bene. Innanzitutto le colonne. Ci sono colonne
nella parte anteriore? Certo che ci sono. Saranno solo resti, saranno incomplete, ma ci
sono, e ben evidenti.
E adesso cosa fate? Vedo che qualcuno si è seduto sui resti delle colonne. Siete stanchi?
Resistete ancora un minuto, il tempo di finire la visita, dopo di che potremo riposare e
andremo insieme a mangiare la famosa polenta con fagioli, che è una specialità locale.
Dunque, stavamo dicendo che le colonne sul davanti ci sono, quindi è un tempio
prostilo. Quante sono queste colonne? Bravi, vedo che sapete contare. E’ vero, sono
quattro, quindi è un tempio tetrastilo. In più, come avrete senz'altro osservato, ci sono
due allineamenti di colonne laterali. Anche la cella. cioè la parte interna del tempio, è
molto grande, e divisa in tre parti, mentre si estende nella parte anteriore fino a formare
due ante.
Vi vedo alquanto perplessi. Che cosa avete visto di nuovo? Che cosa sono quei blocchi
davanti all'ingresso del tempio? Quelli sono i resti di due dei tre altari originari. Perchè
proprio tre? E’ evidente che questo tempio non era dedicato ad un solo dio, ma ad una
triade di dei, cioè a tre dei contemporaneamente.
Il Tempio B è stato costruito tra il 95 e il 91 avanti Cristo, per ordine del senato
sannitico.
Voi dite: “Ma come si fa a sapere tutte queste cose?” Queste cose sono rimaste scritte
nelle varie lamine e iscrizioni che normalmente si trovano nelle costruzioni antiche. Per
nostra fortuna era abitudine di chi costruiva un palazzo o un tempio far scrivere da
qualche parte il suo nome e l'anno in cui aveva avuto luogo la costruzione, in modo che
tutti lo potessero conoscere. Così è successo per le tombe degli antichi Egizi, così è
successo per i palazzi degli antichi Assiri e così è avvenuto anche qui, a
Pietrabbondante.
Ecco quindi che troviamo, incisa a sbalzo su una lamina di bronzo lunga alcuni metri e
ben in grande, con lettere dorate alte cinque centimetri, in modo che tutti possano
vedere, la dicitura che ci precisa che il tempio è stato costruito per ordine del senato
sannitico, mentre un'altra iscrizione del nobile Stazio il Sannita ci dice che il tempio è
stato costruito tra gli anni 95 e 91 avanti Cristo.
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Che bella vista di quassù! Il Teatro, i templi, le gradinate, le colonne. Tutto ci parla di
un tempo lontano, che può rivivere solo attraverso i suoi resti, gli scritti degli antichi e
la nostra fantasia. Oggi tutto è pace e silenzio. Provate ad immaginare questa vasta area
nei suoi tempi d'oro, quando i templi funzionavano ancora e il teatro dava spettacoli
regolari.
I sacerdoti con le loro lunghe tuniche, i so1dati col loro gonnellino che oggi ci fa tanto
ridere, le matrone con ampi vestiti lunghi fino ai piedi, i popolani coperti malamente da
pochi stracci. Tutto, tutto è stato cancellato dal tempo, tranne questi resti, questi sassi su
cui tutti si sedevano, come fate voi adesso, perchè siete stanchi di camminare.
Non voglio stancarvi oltre. Riposatevi pure. Pietrabbondante rimane lì, immobile con i
suoi resti imponenti, come volesse dire ai viandanti: “Ricordatevi che un tempo ero
grande”.
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Conclusione
Eh, sì, ricordatevi che un tempo ero grande. Questo è il messaggio che ci lasciano i resti
delle città antiche, con i loro monumenti e con le testimonianze della vita di un tempo.
Oggi noi siamo abituati a vivere nel presente, a considerare solo i fatti che ci circondano
al momento. Al massimo pensiamo al futuro immediato, al compito in classe di domani,
all'interrogazione di giovedì prossimo, alte prossime vacanze.
Ma tutte queste cose sono soltanto degli “attimi” nella vita dell'umanità, che è fatta
dall'insieme di tutti questi attimi, strettamente legati tra di loro. Ogni cosa che noi
facciamo, che lo vogliamo o no, condiziona, anche se in minima parte, il mondo che ci
circonda e quello futuro, così come la nostra vita è condizionata dal presente e dal
passato.
Gli uomini sono come tanti birilli che camminano in discesa. Provate ad immaginarvela,
questa lunghissima discesa, piena di birilli. I birilli più indietro, e quindi più in alto,
sono gli uomini più antichi; a meta strada ci siamo noi; più avanti, e quindi più in basso,
ci sono gli uomini del futuro.
Che cosa succede se cade un birillo che sta a meta strada? E’ semplice. Fa cadere i
birilli vicini a lui e, a cascata, tutti quelli davanti. Così ogni nostra azione si ripercuote
sui nostri vicini e sul mondo futuro. Allo stesso modo, la caduta di uno dei birilli più
indietro fa cadere tutti quelli davanti a lui, inclusi quelli a meta strada, dove siamo
anche noi. Quindi anche la nostra vita dipende enormemente dalla vita dei nostri
antenati.
Non mi credete? Proviamo allora ad immaginare la Storia in un modo diverso da come è
andata realmente, ma comunque possibile.
I Romani vengono sconfitti dai Sanniti. Roma scompare e non si forma l'Impero
Romano. Ovviamente scompare anche la cultura greca, che non può più essere difesa e
portata per il mondo dai Romani. L'invasione dei barbari, non trovando la nostra
cultura, ci impone la sua e il nascente Cristiancsimo viene soffocato dal culto nordico di
0dino. Al posto della lotta tra imperatori e papato, nel tardo Medioevo, troveremo forse
dei re-sacerdoti con potere assoluto sulle varie tribù che popolerebbero l'Italia. Nel
frattempo i popoli orientali crescono a dismisura, portando i loro eserciti ovunque e
conquistano tutta l'Europa, magari sotto la guida di Gengis Khan.
Tutto si può immaginare, con un po' di fantasia, ma tutto è possibile, a questo mondo.
Una guerra conclusa in modo diverso può portare a variare tutto il futuro di un popolo,
quando non del mondo intero. Provate soltanto ad immaginare come sarebbe diversa la
vostra vita se non ci fosse stato il Risorgimento e Garibaldi non avesse contribuito a
liberare l'Italia dai popoli stranieri.
Invece no. La Storia è andata in tutt'altro modo, e noi viviamo le conseguenze di come è
andata la Storia, belle o brutte che siano.
Roma ha spinto il suo dominio in quell'enorme estensione che chiamiamo Impero
Romano. I barbari si sono spesso inchinati di fronte alla nostra cultura ed hanno
contribuito a mantenerla. L'Italia si è così sempre più arricchita di basiliche, mausolei,
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palazzi di ogni genere, con stupende opere di pittura e scultura, tanto da attirare ancora
oggi milioni di turisti.
E noi, eredi di tanta cultura, viviamo arricchiti delle scoperte e del pensiero dei nostri
antenati. Abituati agli agi della civiltà moderna, pensiamo alla vita di Robinson Crosoe
solo come ad un'avventura, che non saremmo più in grado di vivere. Immaginate di
vivere senza la televisione, senza i mezzi di trasporto, senza le pentole per cucinare,
senza la luce elettrica. Come si ridurrebbe la vostra vita?
Invece i nostri antenati ci hanno costruito questo mondo, ciascuno in base alle sue
capacità e alla parte che ha recitato: i soldati, combattendo per le nostre terre e
costruendoci un ambiente sicuro; gli scienziati, studiando tecnologie sempre più
avanzate di utilizzo degli elementi della natura; i filosofi, studiando le ragioni della
nostra vita e fornendoci la cultura per viverla al meglio; gli artisti, trasmettendoci i loro
sentimenti più intimi nelle forme di arte più svariate. Tutti i nostri antenati hanno
contribuito a farci vivere come stiamo vivendo. Anche l'Homo Aeserniensis lo ha fatto,
ai primordi della nostra Preistoria, come lo hanno fatto gli Appenninici Pentri, i Sanniti,
i Romani. E questa meravigliosa Pentria che oggi vive del loro ricordo, nella pace delle
sue campagne e nella soddisfazione del suo artigianato, non potrà mai dimenticare quei
tempi eroici, quelle battaglie e quelle conquiste di cui i suoi monti echeggiano ancora.
So che siete stanchi. Abbiamo camminato tanto, nello spazio e nel tempo. Ora andate a
riposare. Quando vi sarete riposati non dimenticate di tornare in questa Pentria e di
ammirarla, in ricordo della sua grandezza e della sua Storia. Soffermatevi a rimirare i
resti degli antichi templi e dei teatri, delle necropoli e delle fortezze. Camminate con
circospezione, con riguardo. Sotto i vostri piedi sono sepolti i resti degli uomini che
hanno costruito 1'ambiente in cui vivete e le condizioni per la vostra vita. Sì, sotto i
vostri piedi, nascosti dalla terra e dal tempo, nascosti agli sguardi indiscreti di chi non
vuole guardare al passato. Ma non per voi.
Voi sapete chi erano e che cosa hanno fatto e li ammirate per questo. Il tempo può
cancellare solo i loro resti mortali. Non cancellerà le tracce del loro passaggio e gli
insegnamenti che ci hanno lasciati.
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