A cura del Dipartimento di Evangelizzazione Ucebi - sezione musica Su questo numero: Non ci sono più le campane di una volta Testimonianza in Musica L'intercultura dal punto di vista pastorale e musicale Lo shofar, uno strumento per migliorarsi Segui il tempo, batti il ritmo L'animazione musicale nella liturgia L'innario arcobaleno Filippo Paradiso, poeta pugliese Gennaio 2007 Non ci sono più le campane di una volta! rmai è una dato di fatto: il computer, l’alta tecnologia, sono entrati prepotentemente nella nostra vita, nelle nostre case e… anche in chiesa? Certo. La tecnologia ha iniziato a entrare nelle chiese, probabilmente, da quando le campane (e relativo campanaro) sono state sostituite da un impianto di riproduzione sonoro, potente, programmabile, sempre efficiente. Certo, la nostalgia per quel suono rimane; come la nostalgia per il suono degli organi a canne che, unici strumenti ammessi in luogo di culto, accompagnavano gli inni storici anche delle nostre chiese. Se ci fermassimo qui saremmo travolti da un moto di nostalgia immobilizzante; niente di più sbagliato: il campanaro è giusto che si riposi, mentre il nostro caro organista, oggi, può sfoggiare le meraviglie della tecnologia e usarle al meglio nel servizio alla chiesa. Certo che se non abbiamo l’organista è sicuramente un peccato, ma… pazienza! Potremo continuare a cantare inni vecchi e nuovi con l’ausilio di tecnologia ormai alla portata di tutti.. Penso che la rivoluzione più importante dell’era digitale che stiamo vivendo sia proprio questa: la condivisone delle idee in tempi brevissimi e con mezzi accessibili. E non è cosa da poco. Oggi possiamo scambiarci in tempo reale inni, composti o trascritti, in formati a tutti fruibili, come l’MP3 o, meglio, il formato MIDI (che ormai anche i telefonini posso suonare!). Possiamo scaricare, in questo formato, l’intero Innario Cristiano, o ricevere per e-mail l’ultima proposta del nostro gruppo di Musica nella Liturgia, suonarlo in chiesa la domenica stessa per impararlo e rispondere riguardo le nostre impressioni. Naturalmente la rivoluzione tecnologica non riguarda solo il lato musicale dell’animazione. Oggi, con un computer portatile e un videoproiettore da 400 euro (ricordate quanto costavano i proiettori a pellicola una volta? Inaccessibili ai più!) possiamo proiettare presentazioni video/musicali che ognuno, con la sua fantasia e sensibilità, può creare e condividere a migliaia di chilometri di distanza. Tuttavia bisogna fare attenzione: la condivisione delle idee e delle informazioni è portata, ormai, così all’estremo, che diventa importante formarsi, imparare, per riuscire a capire e per discernere nel mare magnum dell’informazione e dell’informatica scremando tutto ciò che non ci fa crescere da ciò che può giocare un ruolo decisivo per il nostro lavoro. Capire l’importanza di questa rivoluzione è la sfida che ci viene posta oggi dalle nuove generazioni, ormai abituate a canali di informazione completamente diversi e dalle tecnologie che, se da un lato rischiano di ingabbiarci nella rincorsa all’ultimo prodotto, dall’altro possono essere la risorsa più importate per un risveglio dell’animazione liturgica. Sono opportunità importanti i cui sviluppi possiamo solo intravvedere, ma con i quali dobbiamo fare i conti per non trovarci a “Mettere le toppe nuove sui vestiti vecchi” (Marco 2, 19-22), rischiando di strappare toppe e vestiti. Pietro Romeo Musica nella Liturgia è una pubblicazione in aggiunta al Seminatore. Numero 5 - gennaio 2007 (Direttrice responsabile Marta D’Auria - Autorizzazione Tribunale di Roma n. 5894 del 23/7/1957) a cura del Dipartimento di Evangelizzazione dell’Ucebi, fotocopiato in proprio e non in vendita. Si regge soprattutto sulle offerte (inviare a: Segreteria Amministrativa Ucebi, Rosetta Uccello ([email protected]) – P. zza S. Lorenzo in Lucina, 35; 00186 Roma, specificando la voce: offerta per Musica nella LiturgiaDipartimento di Evangelizzazione). Ogni autrice o autore di articoli ed inni è direttamente responsabile di ciò che pubblica e delle informazioni che divulga. Lo stesso vale per i materiali coperti da copyright per cui è a responsabilità delle autrici o autori che pubblicano inni o articoli coperti da copyright ottenerne l’autorizzazione d’uso. Musica nella Liturgia si propone come obiettivo quello di divulgare notizie, informazioni, storie, studi, inni, in riferimento a contenuti e spazi di fede nel Dio creatore del cielo e della terra. IL DVD: anche per questo numero è stato elaborato un DVD con immagini, interviste, musiche ed inni per le nostre chiese, tutto in forma simpaticamente amatoriale e senza nessuna pretesa di competere con le riprese professionali! Oggi il mondo delle immagini è diventato così sofisticato e coinvolgente che non oseremmo mai paraganarci agli addetti ai lavori. Anche qui, proposte, suggerimenti, critiche per I prossimi dvd saranno sempre ben accolti. Testimonianza in musica: Non foglie, no A cura di Daniela Mastantuoni Ci sono inni che ti accompagnano per tutta la vita, questo è uno di essi, credo di averlo sempre ascoltato, fin da bambina, lo cantava mia nonna, in casa come in chiesa, insieme alla comunità in cui sono nata e in cui sono cresciuta. Forse nessun inno come questo mi dà la sensazione del tempo che scorre, un tempo che ci fa crescere, ci invecchia, ci cambia, e che pure non porta con sé l’angoscia del deterioramento, del lento consumarsi del nostro essere, della nostra esistenza. In questo canto il tempo non ha un potere devastante, è piuttosto un luogo dove si incontra Dio, e dove si sperimenta la vita. Dio è nella forza piena e gioiosa della gioventù, quando siamo pieni di entusiasmo e forse non ancora appesantiti dalle delusioni inevitabili che ciascuno di noi vive, Dio è nel tempo della maturità quando forse hai strumenti per capire di più e servire meglio, Dio è nella tenerezza infinita che ti accoglie quando ti guardi indietro e vedi la tua vita e sei tentato di credere che il tuo tempo migliore sia passato. Le parole di questo canto mi dicono che non c’è un tempo migliore, c’è solo il tempo che Dio ci offre giorno dopo giorno e che prende per sé ogni cosa della nostra vita. Il tempo che Dio ci offre è nella possibilità di vivere ogni cosa alla sua presenza, di mettere davanti a Lui tutto ciò che amiamo, i nostri beni, i nostri affetti nella certezza che tutto ciò che gli affidiamo e doniamo viene custodito nel tempo, perché sì, siamo tanto simili alle foglie portate via dal vento e anche i nostri desideri, le cose che siamo riusciti a realizzare lo sono, ma davanti a Dio vorremmo essere meno “leggeri”, vorremmo avere la consistenza di un frutto ed essere belli come i fiori. Uno di questi fiori, il più bello è quello che possiamo offrire a Dio con la nostra mente, con i nostri pensieri, con la nostra meditazione. Ognuno di noi può lodare, cantare e pensare a Dio. Pensare a lui e su di lui è il primo modo che abbiamo per esistere e per resistere al tempo, perché “chi medita giorno e notte sulla legge del Signore diventa come un albero piantato vicino a ruscelli, il quale dà il suo frutto nella sua stagione e il cui fogliame non appassisce”. Questo inno più di tutti mi ricorda la promessa di questo salmo. L’intercultura dal punto di vista pastorale e musicale: la musica tra la realtà delle chiese italiane e quelle dei migranti a cura di Carlo Lella anche dalla antica mancanza di fondi per cui non abbiamo potuto incentivare scuole di musica accanto a quelle teologiche, non abbiamo potuto formare musicisti professionisti di chiesa, i nostri e le nostre musiciste oggi professionisti si sono formati per altre vie e sicuramente non lavorano per le chiese, se non volontariamente ed episodicamente. Dunque non abbiamo avuto la possibilità di creare dei quadri (parola che oggi non si usa più...) che a loro volta facilitassero la conoscenza di nuove forme musicali, nuove letterature. L’innologia delle chiese battiste Incomincio dandovi una non buona notizia. Non sarò breve perché il tema è complesso e occorre aprire linee di dibattiti in vista dei nuovi progetti che sono stati avviati. Chiedo dunque scusa alle lettrici ed ai lettori, ma è l'articolo di orientamento del primo numero 2007, e come tale la responsabilità è grande! Introduzione Dunque cominciamo dicendo che l’innologia delle chiese battiste appare da subito un campo molto vasto nel quale complessa è la ricerca dei suoi elementi caratteristici. Non sfugge infatti il valore di questa tradizione innologica soprattutto oggi con tutta la produzione della musica gospel, ma anche di inni tradizionali secondo il modello del corale della Riforma e con l’aggiunta di timbri musicali tipici dei compositori e compositrici battiste, fino ad arrivare a tutta l’innologia battista moderna sia anglosassone sia nordamericana sia sudamericana sia africana, le cui radici partono dall’Inghilterra del XVII secolo e dalle colonie americane fondate dai coloni inglesi. Tengo a precisare che di questo patrimonio noi battisti italiani ne sappiamo ben poco. Non voglio iniziare la mia relazione con una nota polemica, ma è un dato di fatto. Questa mancanza di conoscenza tuttavia non risiede in una volontà di non voler sapere, ma è stata dettata Tornando alle nostre radici, alla luce del ruolo centrale che il canto svolge nella vita delle chiese battiste, sorprenderà sapere che il canto comunitario in molte delle chiese battiste del XVII secolo non era visto come una buona pratica. A quel tempo infatti alcune chiese, sia in Inghilterra che in America, si opponevano vigorosamente al “cantare promiscuo” cioè al cantare insieme a coloro che non erano né battezzati né tanto meno membri di chiesa. E questa opposizione riguardava anche alcune versioni dei salmi cantati che venivano strutturati secondo il modello del canto strofico e metrico in quanto essi, secondo alcune espressioni del tempo, erano “man made” cioè “manipolati da mano umana”. Tuttavia non tutte le comunità battiste aderirono a que- sto tipo di atteggiamento verso il canto, sviluppando al contrario un’innologia che man mano accompagnò tutti i momenti di culto e di comunione cristiana. E, comunque, anche in questo caso ci sono comunità battiste che usano solo il Baptist Hymnal ed altre che stampano un proprio innario che parte dal Baptist Hymnal e al quale vengono aggiunti i canti e gl’inni che più si adattano alla comunità locale. Questa caratteristica peculiare, cioè di essere in un certo senso liberi nelle compilazioni e nelle scelte, influenza anche le melodie e il carattere generale della musica innologica battista. Se noi in Italia quando cantiamo un inno lo vogliamo cantare allo stesso modo senza variazione alcuna, spesso fuori dell’Italia un inno può essere cambiato e trasformato a secondo delle esigenze dei tempi storici e delle comunità nelle sue variegate componenti. In America, ma anche in Inghilterra, come anche in altre comunità sudamericane, caraibiche ecc.. un inno tradizionale non lo si abbandona, ma lo si propone anche secondo gli stili dei linguaggi moderni. E, soprattutto, si evita di toglierlo dagli innari. È chiaro che questo non accade sempre, e realtà battiste estere che propongono un modello simile al nostro ci sono. Possiamo dire che una delle caratteristiche che hanno accompagnato e accompagnano tutt’oggi l’inno battista è che ogni comunità sviluppa e segue una propria idea di canto, così come nella scelta degli innari, per cui divieti o scelte imposte in genere non vengono accettati. Ciò accade per il principio congregazionalista delle chiese battiste per il quale è fatta salva l’autonomia di ogni chiesa locale. In altre parole, e ci riferiamo in particolare all’Inghilterra e all’America, ogni comunità è libera di cantare qualsiasi canto o di scegliere qualsiasi innario che si ritenga conforme e condiviso dalla comunità locale. Il concetto che vi sia un unico innario per tutte le comunità è stato storicamente mal sopportato e spesso non adottato, anche in Italia dove ci sono chiese che ancora cantano inni dell’Innario del 1922 o che hanno compilato delle proprie raccolte e non hanno mai cantato da un innario “ufficiale”. Ogni comunità è libera di cantare canti o di scegliere innari che si ritengano conformi e condivisi dalla comunità locale. L’innologia delle chiese battiste in Italia Il risultato di questa scelta, mi riferisco soprattutto all’estero, è stata un’enorme produzione di innari e di inni (si calcola che ad oggi siano stati prodotti più di 200 innari, ognuno con non meno di 700/800 inni). Tuttavia ad un certo momento si decise di creare un punto di riferimento che fu, ed è ancora oggi, il Baptist Hymnal, l’innario battista ristampato e rinnovato in genere ogni due o tre anni. In Italia oggi si può ormai dire che l’innario che sia stato davvero un punto di riferimento delle chiese battiste insieme alle altre chiese evengeliche è stato quello del 1922, ristampato poi nelle edizioni successive nelle quali in genere veniva presentata un'appendice con canti nuovi, fino all’edizione nuova del 1969 e l’ultima del 2000. Ma attenzione che anche per questo innario, quello del ‘22, non mancarono le polemiche perché nel compilare questa raccolta furono tralasciati molti altri canti caratteristici di alcune chiese battiste e non solo. L’Innario "Alleluia" pubblicato dall’Amei con il lavoro del pastore Enrico Paschetto era appunto sorto anche come proposta aggiuntiva alle scelte effettuate dalla commissione dell’innario del 1922. Se fossimo stati in America la raccolta “Alleluia” dell’Amei sarebbe diventata un innario con riedizioni fino ai nostri giorni, dato il valore di questa pubblicazione non solo dal punto di vista della scelta degl’inni, ma anche perché aveva anticipato i tempi aprendo il campo all’innologia dell’ecumene internazionale, così, come io ho definito un’area innologica moderna. Ma poiché siamo in Italia... Tutto il resto della storia a noi è ormai ben nota, ma va conclusa dicendo che con l’innario cristiano del 2000, togliendo tutte le problematiche che non ha risolto, a torto o a ragione a noi non interessa il giudizio, tuttavia esso ha aperto la strada ad un’idea che era sorta già tempo prima con il fratello Ezio Ponzo della commissione Grume (Gruppo musica evangelica) della Fcei. Qual è questa idea? ma c’è chi nonostante tutto si è opposto dicendo che va bene che è stato tolto il fallo, ma quel fallo non era un fallo qualunque, bensì di Teodoro Pietrocola Rossetti, rivoluzionario mazziniano e abile evangelista. Forse, per favorire la mediazione con i più ancorati alla tradizione basterebbe proporre le due versioni nello stesso innario, sia quella originale che quella rivisitata. Direte: e quanto diventerebbe grande il nostro innario? Risposta: innanzitutto non tutti gl’inni classici necessitano di una revisione e poi che cosa sono i nostri innari rispetto a quelli citati prima con almeno 800 inni? L’opposizione a questa tecnica, quella della revisione, nasce però anche da un’idea culturale che ci accompagna. E apriamo qui un altro punto di discussione. L’inno: opera d’arte o canto di testimonianza? La revisione dei testi degl’inni tradizionali nell’incontro interculturale. L’idea della revisione dei testi è sicuramente una tappa fondamentale per favorire l’intercultura. Idea contestatissima fino ad oggi, ed io stesso non saprei dirvi se ne sarei totalmente a favore, sicuramente non avrei le competenze per agire in tal senso. Ma dal punto di vista dell’interculturalità, se vogliamo entrare in questo specifico, le opposizioni alla revisione dei testi “arcaici” rimangono infruttuose e la proposta di lasciare tutto così come è non aiuta la riflessione sull’incontro interculturale che è oggi una realtà delle nostre chiese. Ma perché questa contrarietà? Secondo me perché è un campo letterario molto complesso e difficile, dove solo validi esperti potrebbero offrirci versioni autorevoli. Inoltre c’è la questione del rispetto dell’originalità. Tuttavia, se andiamo a vedere alcune revisioni dall’innario 2000, non ci può sfuggire il famoso inno Così qual sono, n. 184. Ricorderete che, nella vecchia versione, sia dell’innario del 1922 che del 1969 (rispettivamente al numero 102 e 167) la parola “fallo” ripetuta più volte ed in più posizioni creava non pochi imbarazzi. La versione che ci è stata data è una buona versione, Facciamo un esempio a noi molto vicino: la Bibbia. Oggi noi non leggiamo più l’antica versione della Diodati se non nel nostro studio, per le nostre ricerche, per un gusto letterario; utilizzeremo semmai la versione riveduta della Diodati o la riveduta di Luzzi o ancora la Nuova Riveduta. Osserviamo le differenze su un testo: La Diodati originaria. Luca 10: 1 ORA, dopo queste cose, il Signore ne ordinò ancora altri settanta, e li mandò a due a due dinanzi a sè, in ogni città, e luogo, ove egli avea da venire. 2 Diceva loro adunque: Bene è la ricolta grande, ma gli operai son pochi; pregate adunque il Signor della ricolta che spinga degli operai nella sua ricolta. Versione Nuova Riveduta:1 Dopo queste cose, il Signore ne designò altri settanta e li mandò a due a due davanti a sé, in ogni città e luogo dove egli stava per recarsi. 2 E diceva loro: «La mèsse è grande, ma gli operai sono pochi; pregate dunque il Signore della mèsse che spinga degli operai nella sua mèsse. lingue. E ho fatto la scoperta dell’acqua calda: i ragazzi e le ragazze del gruppo musicale conoscevano molti di questi inni tradizionali. E li hanno riconosciuti perché leggendo le parole nella loro lingua e ripetendo un po’ il motivo hanno detto: ah! ma sì, questo lo conosciamo! Quindi una volta ripassati al momento del culto proprio quei canti sono stati cantati nelle diverse lingue che appartenevano ai vari gruppi linguistici presenti nella comunità. E la comunità così composita ha partecipato al canto perché ci si riconosceva insieme, pur se nelle differenze linguistiche e con inni diversi rispetto a quelli usuali, ma che ricordavano le chiese di origine dalle quali erano andati via. In quell’occasione molti mi dissero: “questo inno lo cantavo nella mia chiesa, eravamo più di cinquecento!”. Inoltre, in questa ricerca, ho notato che i canti più “riformati”, se vogliamo usare questo termine, erano i meno tradotti, nel senso che li trovavo in inglese, in tedesco chiaramente, ma non sempre in altre lingue, a differenza invece dei canti di origine metodista, conosciutissimi, o del movimento del pietismo dal 1700 in poi, ecc... Questo chiaramente ci porta ad una considerazione che ci deve aiutare nella nostra crescita interculturale: è falso che i nostri fratelli e sorelle migranti non abbiano un repertorio di inni tradizionali ed è falso che non li cantino mai. È vero però che risulta difficile imparare termini italiani arcaici così come li troviamo nei nostri inni, e non solo per loro; sfido chiunque tra voi a tradurmi subito frasi del tipo: Fra i nembi e le procelle, di quest’umana vita, ne porge solo aìta la croce di Gesù... sicuramente dovremo tradurre prima “procelle”, poi “aita” mentre per i “nembi” vorremmo sperare che ancora si sappia che si parla di nuvole e di nuvole cariche di pioggia. Allora o li proponiamo nelle rispettive lingue di appartenenza (inglese, spagnolo...) o li adattiamo ad un linguaggio corrente o li spieghiamo ogni volta; oppure noi ce li cantiamo e noi ce li suoniamo fino a quando, noi, viviamo. Sta di fatto che in quel culto, ritornando all’esperienza, si cantarono inni di diverse tradizioni e molti dei fratelli e sorelle africani, sudamericani, portoghesi, vennero da me e mi dissero: “ah! finalmente un culto con la batteria al posto suo, senza far troppo chiasso e gli Si potrebbe obiettare che la musica, la poesia, sono un’altra cosa. L’inno è... ma si potrebbe anche rispondere con le parole di Martin Lutero il quale ai suoi musicisti e ai suoi cori lanciò un messaggio ben chiaro: le vostre opere musicali e la vostra bravura canora li presenterete sui palcoscenici dei teatri, al vostro pubblico. Invece, in chiesa, si canta e si suona per lodare il Signore e tutta la comunità deve esserne partecipe. Dunque, secondo un principio protestante l’inno è prima di tutto atto di testimonianza e come tale deve essere canto vivente cioè attuale. E nulla toglie che potrà essere anche “opera d’arte”, ma al primo posto è La Parola cioè il linguaggio. Dati di esperienza interculturale nel linguaggio Quest’ultima affermazione, forse teologicamente azzardata nel coniugare Parola-linguaggio, non è tuttavia un’affermazione teorica ma si basa su varie esperienze. Ve ne riporto qualcuna che ci potrà aiutare nella delineazione di alcune linee guida per favorire lo scambio “interculturale”. Mi è capitato di proporre dei canti tradizionali a dei gruppi musicali dai quali non avevo mai sentito cantare neppure un inno tradizionale. In genere erano gruppi formati da giovani. Se voi sentite dire che una comunità non canta inni tradizionali, e parlo ora nello specifico di una comunità di migranti, immediatamente pensate che non li conoscano. Quale è stata la mia metodologia per favorire lo scambio interculturale tra una innologia diciamo “nostra” (pur se il maggior numero di inni che le comunità italiane cantano, e parlo dei nostri inni tradizionali, sono inni importati dall’estero) ed una innologia diversa dalla nostra? Innanzitutto sono andato a scegliere inni che avevano il corrispondente testo in inglese, in spagnolo, in portoghese, in francese. Ad esempio l’inno A Dio sia la gloria con il testo originario To God be the glory che troviamo nell’innario cristiano al n. 50. Li ho trascritti ponendo nella linea melodica le quattro strumenti rispettosi delle nostre voci”. La stessa esperienza è stata riproposta l’anno scorso, parlo del 2006, per il Festival Gospel a Rovigo con identico risultato. Anche in questo caso c’era un gruppo di giovani che ha guidato l’assemblea con le stesse modalità. Certo, per fare questo occorre un lavoro specialistico alle spalle. Molti di voi vivranno la frustazione di non veder realizzata una situazione simile nel proprio contesto. E la sensazione è che o ci si adegua o non c’è niente da fare. e nelle melodie che sono stati cambiati mentre il fratello africano o la sorella sudamericana i suoi inni ce l’ha, spesso li conosce a memoria e se li porta dal suo paese. E quando arriva in Italia li vorrebbe cantare in un modo più partecipato, ma soprattutto, vorrebbe cantare. Questo disagio nelle nostre comunità si esprime anche in altri modi: non poche volte mi è capito di sentire dai pulpiti affermazioni, davanti alla comunità che si prepara al canto, del tipo “scusate ma purtroppo oggi manca il musicista e dobbiamo cantare senza la musica: ma il canto che cos’è se non “musica” per eccellenza. La comunità che canta è la musica. E questo è oltretutto un principio protestante. Del resto lo sappiamo tutti che la voce è il più antico strumento del mondo. Per un fratello o sorella africani, che ci sia il musicista o no, non è un problema; il canto sgorgherà sempre dalla sua gola perché la musica la ricerca dentro di sè sapendo che, solo dentro di sè, troverà la musica. Imparare ad ascoltare: nuova prospettiva dell’intercultura Il disagio nel cantare A questo punto mi potreste chiedere: ma è solo un problema di linguaggio arcaico? È sicuro che basti tradurre inni antichi per favorire uno scambio interculturale? Allora vi rispondo che o inno antico o inno moderno il problema è sempre quello del linguaggio. Linguaggio sia della parola che della musica. Linguaggio che determina anche atteggiamenti, modi di essere nella comunità. Linguaggio che determina la comprensione della realtà quotidiana. Ecco perché il binomio teologico prima enunciato: Parola-linguaggio. Inoltre, i fratelli e sorelle migranti che arrivano nelle nostre chiese trovano spesso una situazione complicata o meglio di disagio, per cui o ci sono chiese che cantano quasi esclusivamente i canti tradizionali dell’innario, spesso con andamento molto lento, spesso facendosi coinvolgere dall’organista quando c’è, per cui è la comunità che accompagna l’organista che fa tutto e canta tutto; o ci sono chiese che non riescono quasi più a cantare perché non si riconoscono più ad esempio nei testi Penso che l’incontro sul piano dell’interculturalità si fondi anche “sulle competenze”, per cui non basta la buona passione. Ma non basta neanche la tecnica perché occorre una attitudine particolarissima: quella di essere osservatore e osservatrice senza giudizi e pregiudizi. E questa “tecnica” è un insegnamento che ho ricevuto dal mio amico Antonio Celano, operatore musicale socio-culturale, che i lettori e le lettrici di M e L ben conoscono per i suoi precedenti articoli. E attenzione, questa particolare predisposizione, che nel processo della conoscenza è il dato fondante, non deve appartenere però solo alle comunità italiane. Spesso il giudizio ed il pregiudizio è reciproco per cui da un lato se non si cantano “gli inni veri” facciamo solo canzoncine da intrattenimento, dall’altro se non danziamo o non cantiamo con ritmi da batteria siamo solo vecchi in estinzione. Il primo dato da superare è questo giudicarsi reciproco che non fa bene a nessuno perché appunto ci incatena. La musica in questo può dare un grande aiuto, sia per le esperienze che vi ho raccontato sia perché è nel carattere della melodia quello di riuscire a far dire e immaginare cose che le parole non possono tradurre. seria attività di formazione. A questo riguardo vorrei porre la vostra attenzione sul fatto che questa idea dell’osservare senza giudizi e pregiudizi è anche la competenza più alta per un animatore ed una animatrice, parlo del ministero che io svolgo. Infatti, sarà un principio metodologico che verrà introdotto, spiegato ed analizzato nella scuola di formazione per animatori ed animatrici musicali che avremo in Febbraio ad Ecumene. Quindi, per concludere, credo che sia finito o dobbiamo far finire, per il nostro cammino nell’intercultura, il tempo della “buona volontà”, del “vogliamoci comunque bene” cioè di un buonismo che alimenta solo insoddisfazioni e conflitti. E spero che finisca anche l’idea di relegare alle nuove generazioni la possibilità di sdrammatizzare i conflitti di oggi. Io credo che, invece, sia la generazione di oggi che deve avviare il tempo di uno studio ed approfondimento con progetti concreti. Questo, affinché le generazioni del domani possano rafforzare la testimonianza evangelica in un reciproco riconoscimento dei doni di ciascuno e di ciascuna di noi, dirigendosi subito verso altre terre promesse che il Signore, così come ha fatto con Abramo, con Mosè, indicherà ad ogni nuova generazione. Certo, spesso ciò in cui la musica riesce non così vale per i musicisti. Ecco perché dobbiamo avviarci alla formazione dei nostri animatori e animatrici, dei “nostri quadri”, alla loro valorizzazione per un cammino interculturale basato non sull’improvvisazione, ma su una 10 Lo shofar: un suono per migliorarsi, per tornare a Dio e a se stessi a cura di Deborah D’Auria “E nel settimo mese, nel primo del mese, sarà per voi adunanza sacra non farete alcun lavoro servile, giorno del suono tremolante sarà per voi” (Numeri 29,1) Questa forma è comune nella maggior parte degli strumenti a fiato, e quindi come tale, per noi, è priva di interesse, ma è singolare come la riflessione dei maestri ebrei sia maturata anche intorno a questo elemento di per sé marginale, traendone un ulteriore insegnamento. La radice della parola shofar significa “migliorarsi” e dunque il suono che si produce da esso deve rispettare delle tonalità, nonché delle pause che rispecchiano gli stati d’animo di colui che si appresta a compiere uno sforzo per migliorare se stesso, quasi a indicare che se chiediamo, come dice il salmista, in condizione “di angustia e di ristrettezza”, tanto più ampia sarà la risposta che ci verrà data. Il corno è curvo, proprio perché anche lo stato Il primo giorno del mese indicato dal verso, è il primo di Tishrì, giorno in cui comincia la festa di Rosh Hashanah, comunemente nota come il Capodanno ebraico. Questa festa celebra la nascita del primo uomo e comincia con la preghiera che apre i dieci giorni di penitenza e si conclude con Yom Kippur, il giorno dell’espiazione e della riconciliazione. Durante la festa di Rosh Ha-shanah, la liturgia ebraica prevede che si suoni più volte lo shofar, uno strumento ottenuto dal corno di ariete la cui imboccatura (dalla quale si soffia) è molto stretta, mentre la parte terminale da cui fuoriesce il suono è molto larga. 11 d’animo dev’essere tale. Lo stato d’animo di colui che si avvia verso un cammino di teshuvà. Letteralmente questa parola significa “ritorno” e sta a indicare un ritorno a Dio, alla Torah, a se stessi e alla propria autenticità. Comunemente il termine viene anche tradotto con risposta o pentimento, perché indica un’azione di ritorno sui propri passi, di riparazione delle lacerazioni provocate; una forma di risposta che l’uomo deve dare a Dio, agli altri e a se stesso, ed è per tale motivo che durante la liturgia, lo shofar deve emettere anche tre tipi di suoni diversi. comune ha tenuto stretta e in vita la catena delle toledot (generazioni), uomini e donne che da fede a fede hanno raccontato “del patto ch’Egli firmò con loro…”(Ezech.16,60). Lo shofar col suo suono evoca un episodio biblico, che consente di ritornare alle proprie radici, ai padri, al montone sacrificato al posto di Isacco, infatti secondo i maestri del Talmud, la mitzwah dello shofar è collegata al ricordo della “akedat Yitzchak”, il mancato sacrificio di Isacco. Del resto ciò lo si evince già dalla provenienza del corno, che, come già affermato, è di ariete e non di bovino, questo perché, altrimenti, sarebbe associato al “peccato” del vitello d’oro. Dunque il suono dello shofar, ci dice che è giunto il momento di ricordare e di farsi ricordare da Dio, ma ancor di più, è giunto il momento di legarsi ad un buon ricordo, quello dei Padri ai quali fu fatta una promessa che si perpetua di generazione in generazione. Ma il ricordo non guarda solo al passato, infatti esso dev’essere proiettato verso il futuro, al quale ci si arriva vivendo pienamente il tempo presente nell’ascolto di quella voce che ci chiama e dice “Io sarò con te…” Il primo suono si chiama teruà, si tratta di un suono ondulato che deve esprimere un sentimento di tremore; ad esso succede lo shevarim un suono spezzato paragonabile ad un singhiozzo, infine si udrà un suono di tekià, cioè un suono liscio e prolungato. Attraverso questi tipi di suoni, si potrà in qualche modo tradurre simbolicamente e in termini sonori ciò che avviene quando si fa penitenza. Quindi il suono dello shofar è espressione della teshuvà che allo stesso tempo fa nascere una duplice sensazione: quella della colpa che ci fa tremare e singhiozzare e quella di una raggiunta serenità, perché confessata la colpa, riconosciutala, essa non deve schiacciarci. L’ascolto del suono dello shofar, inoltre rientra tra i precetti positivi, così come ricorda il primo verso del capitolo 29 del libro dei Numeri. Uno degli elementi fondamentali del precetto dello shofar è il ricordo; la Torah si riferisce ad esso non solo come Yom Teruà, per l’appunto giorno del suono tremolante della Teruà, ma anche come Zichron Teruà, ossia ricordo della Teruà. Quello di ricordare è un imperativo ricorrente in tutta la tradizione ebraica biblica e postbiblica, il ricordo Per sorridere: Due amici, a causa di un litigio, non si sono più frequentati per anni ma un bel giorno, all’uscita del Kippur, decidono di riconciliarsi. Si stringono le mani e uno dice all’altro: “È tradizione farsi gli auguri all’uscita di kippur…” “Bene allora! Ti auguro esattamente tutto quello che tu auguri a me…”. “Accidenti a te! Ecco che ricominci!”. Tratto da M. A. Ouakin-D. Rotnemer Così giovane e già ebreo Piemme 2000 12 Segui il Tempo, batti il Ritmo Primi rudimenti d’approccio allo studio della Batteria e delle Percussioni a cura di Ennio Romolo Epifania altro per mezzo di semplici frasi ritmiche strutturate in codici di comunicazione istintivi. Notizie di vario genere sulla vita quotidiana, gli annunci dei festeggiamenti, ricorrenze, matrimoni, nascite piuttosto che decessi e richieste di aiuto, quindi dichiarazioni di guerra o la fine delle ostilità, se non il semplice scorrere dei giorni, nelle varie fasi dell’alternarsi delle stagioni, correvano sul filo delle emozioni e della sensibilità del battitore/suonatore e la grande espressività del più primitivo degli strumenti il tamburo rituale iniziando così a comunicare ballando e cantando. 1) La Percussione e primi codici di comunicazione: Facciamo prima di tutto, due chiacchiere sull’origine del ritmo…Vi và? Tutto ha avuto inizio in Africa con l’origine dell’umanità..… già! Proprio con la nascita dell’uomo e la necessità dei primi codici di comunicazione e trasmissione delle informazioni a distanza, dato che il gesto più semplice oltre che più istintivo ed efficace per produrre un suono era la percussione di un oggetto contro l’altro, gli uomini e le donne primitivi trasmettevano, da un villaggio ad un Su di un semplice membranofono pelle tesa sul bordo di un tronco cavo, nell’accezione volgare il cosi detto classico “tam-tam”, scorreva la vita quotidiana nell’antichità fino ad assurgere al ruolo di cantastorie/medium della socialità tutta e nella sua interezza, onnipresente 13 ed evocato nelle cerimonie di ogni genere oltre che nei metodi terapeutici e curativi di patologie anche gravi come la schizofrenia e/o l’attenuazione del dolore nei pazienti oncologici, cosi come reso noto dai più recenti studi effettuati con i rilevamenti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità ma già presente in letteratura con numerosi trattati medico-scentifici sul tema opera di diversi grandi studiosi come Gilbert Rouget ed il suo “Musica e tance” su tutti. La musica è un ponte Per arrivare al cielo. (Alì Farka Touré da ”Solo Nero” di V.Franchini) • Il Ritmo, parametro fondamentale del linguaggio musicale nel cui ambito possono essere fatti rientrare tutti gli aspetti inerenti la durata dei suoni. Nella musica d’arte occidentale schematicamente si può riassumere in due distinte concezioni fondamentali : I) Metrica quantitativa, forma espressiva alla base della poesia classica e cioè l’organizzazione delle unità di durata indivisibili (tempi primi) e loro multipli, oltre il regolare ricorrere degli accenti privilegiati (es. canto gregoriano, liturgico siriano e russo ortodosso, rinascimentale ecc.). II) Organizzazione di unità di durata (multipli e sottomultipli) in schemi regolari dette misure con accenti forti e deboli in sedi fisse. Ad oggi il ritmo varia a seconda dell’interpretazione che l’esecutore vuole dare della partitura del semplice brano e/o testo musicale. Il Rullante, la Cadenza: 2) Il Tempo, il Ritmo: Ora facciamo un salto… e poi un altro … di molti secoli, oplà ed il tamburo viene adottato e non per un caso travolto e stravolto dalla “cultura occidentale” per essere utilizzato a fini militari modificato nella struttura logica e tecnologica e quindi nel suo utilizzo, in “attrezzo leggero e portabile, utile all’uso del segnare e/o scandire il tempo di marcia alle truppe”: • il Tempo, valore assoluto di durata che nel corso di un’esecuzione musicale si dà alle varie unità di valore, cioè, in altri termini, la velocità con cui una certa composizione viene eseguita. Sino alla prima metà del sec. XVII veniva riconosciuto alle singole di nota (breve, semibreve ecc.) un valore assoluto di durata dal tactus (unità di misura del tempo in epoca rinascimentale relativa alla figura di nota corrispondente al battito medio del polso umano). Successivamente si rese necessaria l’apposizione, all’inizio di ciascun brano musicale, di indicazioni di tempo o andamenti (allegro, andante, adagio ecc.). Solo nel 1816 arriva l’invenzione del metronomo di Malzel. 14 nasce il Rullante moderno tamburo a doppia membrana con cordiera suonato per mezzo di bacchette di legno. La Batteria: Malgrado il suo utilizzo a fini non proprio ludici e benefici per cui era nato, il rullante grazie alla sua struttura serve a sviluppare nuove tecniche su strutture poliritmiche e quindi ad aprire nuovi orizzonti all’uso della percussione nella musica moderna. Dapprima il tempo di marcia appunto; strutture di ritmo semplice divise in quarti con una cadenza ed un uso specifico, poi mano a mano che l’uso dello strumento torna ad essere meno vincolante e vincolato si inizia ad arricchire, grazie anche all’utilizzo delle bacchette e dal rimbalzo delle stesse sulla pelle tesa al livello superiore, sempre più di ritmi composti e complessi detti rulli (da cui il nome) sostenuto anche dall’effetto provocato dalla cordiera posta a contatto della seconda pelle tesa al livello inferiore dello strumento. “Il popolo africano è stato disperso nel mondo, sia volontariamente sia con la forza. Esiste un legame spirituale e culturale che trascende il tempo e lo spazio, in cui si capisce che l’Africa è la nostra terra, la nostra Madrepatria e che questo punto di riferimento si mantiene ovunque sia la parte del mondo in cui abitiamo. La Diaspora non è solo il non/luogo dove abitano gli africani, è molto di più: è una coscienza, è un ambiente spirituale che ci sostiene, che coinvolge, che fomenta creatività, che ci ispira e ci insegna, che promuove la nostra liberazione come popolo, che ci abbraccia e ci ama.” Nasce quindi la Batteria, inserita a pieno titolo in una grande rivoluzione culturale ed espressiva e denominata Jazz, una serie di tamburi direttamente derivati dal doumdoumba, insieme di tamburi di antica tradizione africana ed utilizzata come parte integrante dell’organico di orchestre di musica leggera e popolare. La batteria si presenta così da subito con una sua grande dignità, da poco più che un metronomo ad uso degli altri strumenti dell’organico nell’utilizzo classico, le percussioni assurgono al ruolo di strumento solista particolarmente adatto ai virtuosismi di grandi interpreti che ne hanno determinato l’affermazione totale e definitiva, grazie alla preponderanza della cultura africana e dei suoi esponenti che ne hanno approfondito lo studio ad uso di tutti. La Musica fa parte di quel sistema di principi che è capace di dare forza e potere all’atmosfera. Suddividendo la triplice radice della M U S I C A si ottengono Melodia, Armonia, e Ritmo. Attraverso lo studio della Batteria l’obiettivo deve essere di permettere un avvicinamento scientifico al dinamico campo del Ritmo e di ricercare sempre differenti (Don Moye. The Art ensamble of Chicago) 15 mezzi per sviluppare le grandi possibilità delle percussioni, piuttosto che inutili quanto sbrigativi “ nuovi metodi rapidi”. Non si deve suonare la batteria se non si prova piacere a farlo. Troppi batteristi manifestano uno sforzo invece di un godimento e la ragione di ciò e da ricercarsi sempre in una imperfetta padronanza delle possibilità dello strumento. Un modo artistico di suonare la batteria lo si può raggiungere solo e soltanto tanto dopo anni di svariate esperienze musicali ed emotive, il raggiungimento di tale obiettivo dipende dallo sviluppo graduale di una individuale personalità musicale. (Gene Krupa) Ultimo ma non ultimo consiglio che mi sento di dare è: “divorate” ogni genere di musica leggendo, guardando ma soprattutto ascoltando di tutto e di più senza limiti di nessun genere, solo così si può allargare la propria coscienza e conoscenza ed approfondirla veramente. “Per l’estrazione delle cose segrete del cuore non esiste altra via che l’acciarino dell’ascolto” (Al Ghazali, “Libro sui suoni dell’ascolto e della trance” XII sec.d.c.) Ennio Romolo Epifania, nato a Bari, il 6 agosto 1958, all’età di 17 anni debutta alla batteria con “Susie Q” band rock- blues. In seguito partecipa al progetto artistico”Funkfulla”, fusione di melodie mediterranee e ritmi funky-disco, che sfocia nella realizzazione di un Centro di Attività Musicale polivalente, del quale si occuperà come direttore artistico (1990-’95). La sua personale ricerca artistico-musicale lo porterà verso le culture “Altre” del Sud del Mondo. Produce alcuni importanti esempi di opere musicali di recupero delle tradizioni popolari, delle culture di trasmissione orale e poetiche non scritte, una su tutte la collaborazione con Enzo Delre, raro esempio ancora superstite di cantastorie (1995). Cura in qualità di direttore artistico l’edizione di “MaranjaPoint” live in Bologna (1998). Suona e produce “Flash” con “Les Avares e G.Cellamare” (2000). Ad oggi è impegnato in un laboratorio di studio e ricerca sul tema della “La Trance indotta dal Tamburo” - viaggio alla ricerca delle radici culturali di antica tradizione Africana “Le Docteur Djambe”, a cui è associato il progetto artistico “Musiche Sconfinanti” - percorsi di liberazione della musica, attraverso la contaminazione di generi, culture e linguaggi diversi per mezzo della improvvisazione pura. 16 L’Animazione musicale nella liturgia A cura di Luca Baratto e Carlo Lella da Internet molti di questi suoni simulati. Vi indichiamo per esempio un sito dove potete scaricare suoni: http://www.tuttogratis.it/musica_gratis/effetti_sonori_e_rumori_gratis.html Tali suoni qui li indicheremo con: suoni SFX. Culto mattutino della XIV Assemblea Fcei 3 Novembre 2006, Roma Tema del culto: cose vecchie e cose nuove Sezione A • Insegnamento canti del culto - Terra e cielo cantano insieme - Per la tua grazia - Lode a te, mio Signor - Il messaggio che oggi annunciamo (vedi nelle pagine seguenti in Musica e Musiche) • Apertura: canto di lode (la comunità si alza in piedi) Terra e cielo cantano insieme (3 strofe) Per la realizzazione dell’animazione in questo culto occorrono un tavolo di grandezza media coperto con un drappo colorato o con una tovaglia sempre dai colori tenui. Tavolo da porre in una posizione visibili a tutti e a tutte. Gli oggetti in aggiunta da porre sulla tavola possono essere ad esempio la Bibbia aperta ed una luce su un angolo del tavolo (candela ecc…). Saranno coinvolti oltre che il pastore o la pastora chiaramente, il liturgista, che indicheremo con la lettera P, un lettore, indicato con L, un o una musicista, con la M, e una sorella o un fratello, con C che dovrà simulare i gesti preposti. Alla persona che verrà coinvolta si chiederà di premunirsi di un orologio, un paio di lenti, una penna e un mazzo di chiavi, e chiaramente le scarpe che si presume avrà già con sé. Per quanto riguarda gli effetti sonori (opzionali) da riprodurre nella sezione A, che accompagneranno i gesti, sono realizzati con dei suoni che la tastiera riproduce tramite un Canvas, cioè un simulatore di suoni che viene applicato su un mixer dove si collega sia il Canvas che la tastiera. Tali suoni possono essere comunque riprodotti anche in altri modi, ad esempio registrandoli su cd e riproducendoli appunto con un lettore oppure sul vostro computer. È facile scaricare (la comunità è invitata a sedersi) • Confessione di peccato: Inizia: 1. M: Suono SFX: il camminare Mentre il suono SFX continua, C si avvicina al tavolo, si toglie le scarpe e le pone sul pavimento in una zona centrale vicino al tavolo. Il M termina Suono SFX: il camminare 17 - breve pausa di silenzio L: Signore, mi tolgo le mie scarpe – che hanno la forma del mio piede e delle mie comodità Inno: Per la tua grazia (1ª e 4ª strofe) 2. M: Suono SFX: l’orologio • Introduzione: Mentre il suono SFX continua, C si slaccia l’orologio dal polso e lo pone sul tavolo. Il M termina Il Suono SFX: l’orologio P: Se Dio fa ogni cosa nuova, che cosa facciamo delle cose che già abbiamo e che usiamo tutti i giorni della nostra vita? Far nuove tutte le cose, significa anche rinnovare ciò che abbiamo, per far diventare nuovo ciò che è apparentemente tutti i giorni uguale. Cose vecchie e cose nuove. Sezione B - breve pausa di silenzio L: Signore, mi slaccio l’orologio, il modo in cui organizzo il mio tempo 3. M: inno Per la tua Grazia (solo strumentale) Per questo, ogni scriba che diventa un discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa il quale tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie, (Matteo 13.52) - Frase responsoriale cantata dalla comunità: Lode a te, mio Signor, lode a te, mio solo redentor! Mentre M suona l’inno in sottofondo, C si toglie lentamente gli occhiali e li pone sul tavolo. Il M termina di suonare l’inno in sottofondo. - breve pausa di silenzio L: Signore, mi tolgo i miei occhiali, depongo la mia visuale sul mondo Nel nome di Dio, vi porto il lieto annuncio, l’annuncio che solo può trasformare la vostra vita… Il Dio di bontà vi ha conosciuti prima che voi lo conosceste, vi ha accolti, prima che voi lo chiedeste, vi dona la redenzione che cercate. - Lode a te… 4. M: Suono SFX: warm pad o tappeto di archi Mentre il suono SFX continua, C mette su un tavolo una penna e le chiavi di casa Il M termina di suonare Suono SFX: warm pad - breve pausa di silenzio Andate e gettate il seme che avete ricevuto. Solo ciò che saprete donare porterà frutto, solo ciò che offrirete anche ad altri sarà la vostra ricchezza, solo l’amore che avete ricevuto e condiviso trasformerà il mondo. - Lode a te… L: Signore, metto sul tavolo la mia penna, che rappresenta il mio lavoro e le chiavi di casa, la mia sicurezza. (da: Roots Worship) • Annuncio della grazia: (la comunità è invitata ad alzarsi in piedi) (da “E tutto il popolo dica: Amen” Commissione BMV per il culto e la liturgia. Testo liturgico: Caterina Duprè; musica e testo originale del responsorio cantato: anonimo - kenya; testo italiano del responsorio cantato: Gianna Sciclone) • Predicazione - Silenzio di riflessione dopo la predicazione Sezione C P: Signore, Riprendo le mie scarpe per camminare nelle tue vie (subito dopo la lettura) M: Suono SFX: il cammino 18 P: mi rimetto l’orologio per vivere secondo i tuoi tempi (subito dopo la lettura) M: Suono SFX: l’orologio • Canto di chiusura e Benedizione: (la comunità è invitata ad alzarsi in piedi) P: mi infilo di nuovo gli occhiali per guardare al tuo mondo (subito dopo la lettura e solo strumentale) M: inno Per la tua Grazia Inno: il messaggio che oggi annunciamo (1a str.) P: apro la mia penna per scrivere le tue parole riprendo le mie chiavi per aprire le mie porte. (subito dopo la lettura il M incomincia a suonare l’inno: Il messaggio che oggi annunciamo) P: Che il Signore, che fa ogni cosa nuova, ci benedica e ci guardi, faccia risplendere il suo volto sopra di noi e ci sia propizio, volga verso di noi il suo sguardo e ci dia la pace. Amen. (- il M continua a suonare in sottofondo l’inno : Il messaggio) Inno: il messaggio che oggi annunciamo (2a str.) (testo tratto da: Partners in Learning) 19 Musica & Musiche L’Innario arcobaleno Sarebbe bello che le comunità cantassero uno stesso canto in piu lingue, quando a cantare ci sono fratelli e sorelle provenienti da paesi dove si parla una lingua diversa. E’ come dire: voglio cantare insieme a te, così come tu canti insieme a me. Cantare a colori è il modo nuovo di essere chiesa. Molti dei nostri canti sono stati tradotti da un’altra lingua, sono stati pensati e scritti in una lingua diversa dall’italiano. Ed è in quella lingua che possono dare il meglio di sé. Riuscire a cantare un canto nella lingua in cui è stato scritto ci porta a gustare qualcosa di unico, perché ogni lingua ha la sua particolarità e spesso noi non siamo in grado di tradurre esattamente, cioè usando le stesse parole, da una lingua ad un’altra. Non solo perché, come si dice: “Il traduttore è traditore, dato che è costretto ad usare parole differenti, con significati a volte diversi, perché non sempre in una lingua ci sono termini perfettamente equivalenti; ma il traduttore di canti spesso è costretto “a tradire” la lingua d’origine di un canto per questioni di metrica. Un canto nella lingua in cui è stato scritto ci trasmette la vita della comunità che lo ha scritto e cantato per primo, quindi un innario multilingue è anche incontro con l’ecumene cristiana, in tutta la sua ricchezza e diversità. Dunque sono lieto che la redazione di Musica nella liturgia abbia accolto la domanda che ho prima posto: da dove cominciare? In questo numero il percorso che ci viene proposto in Musica & Musiche comincia con un inno classico “da non dimenticare”, un inno classico “da imparare”, avvicinandoci man mano ad una porta “ideale” che apro con gioia e che ci introduce nelle stanze preparateci da Musica nella liturgia dove alcuni inni sono stati riportati in più lingue, lì dove sono state trovate le diverse traduzioni, facendo sì che pian piano questa armonia di linguaggi diversi si potrà consolidare assumendo il carattere di una innologia che non vuole proporre una babele linguistica per confondere le menti, ma che ci aiuterà a riscoprire l’armonia della diversità che è tipica della chiesa di Gesù Cristo. Il modo nuovo di essere chiesa di Carmine Bianchi Da alcuni anni oramai, le nostre chiese, si sono colorate della presenza di fratelli e sorelle provenienti da altri paesi. Portano le loro storie, i loro cibi, i loro abiti, e le loro lingue. In Italia devono imparare a mangiare altri cibi, a indossare altri abiti e a parlare un’altra lingua. Molti di loro però nelle nostre chiese cercano di condividere il loro modo di essere…per cui spesso arrivano in chiesa con i loro abiti tradizionali, alle agapi portano i loro cibi e inizia così la condivisione. Una chiesa che accoglie sa accettare la diversità, apprezzarla e integrarla. La lingua però è un problema che rimane. Spesso i nostri fratelli e le nostre sorelle immigrate al momento delle preghiere libere prendono il coraggio a quattro mani e pregano nelle loro lingue native, e sono contenti, quando gli altri membri di chiesa, anche se non sono stati in grado di comprendere la loro preghiera, alla fine, in coro dicono AMEN: così sia, fratello, sorella, così sia perché ho fiducia che la tua preghiera è anche la mia preghiera, perché tu sei uno con me nel Signore, nel suo corpo, di cui noi siamo membra diverse. E’ essenziale pregare nella propria lingua, questo ci fa sentire a casa. Il canto è preghiera…è importante cantare nella propria lingua per sentirsi a casa, accolti nella chiesa del Signore. Ecco perché il Dipartimento di Evangelizzazione sogna insieme ai battisti italiani un canto a colori, un innario arcobaleno. La proposta che vi facciamo è un innario multilingue. Da dove cominciare? 20 Melodie di inni classici: da non dimenticare 21 Melodie di inni classici: ancora da imparare 22 Animazione musicale per la liturgia Inni del culto del terzo giorno. XIV Assemblea Fcei 23 24 25 Lode a Te 26 27 Nuovi Inni: Domenico D’Elia 28 29 30 La redazione si presenta Carlo Lella, Chiesa battista di Napoli, via Foria, operatore diaconale dell’UCEBI (Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia). Responsabile della sezione musica del Dipartimento di Evangelizzazione. Coordinatore di “Musica nella Liturgia” [email protected] Deborah D’Auria, Chiesa battista di Napoli, via Foria, assistente universitaria per la cattedra di Storia delle religioni del mediterraneo, animatrice di arte figurative nelle scuole domenicali, curatrice della rubrica Toledot per l’ebraismo inserita nella pubblicazione “Oltre” di informazione cristiana globale. È referente di “Musica nella Liturgia” per la sezione musica ed ebraismo. [email protected] Elisa Baglieri, Chiesa ecumenica di Albano, lavora presso la Federazione delle Chiese Evangeliche, nell’ambito della redazione di Protestantantesimo con mansioni di segretaria di redazione e produzione, e all’occorenza anche di consulente musicale. Collabora con “Musica nella Liturgia” nella ricerca di materiali audio-visivi e per la rubrica di informazioni via [email protected] Francesco Romeo, Chiesa Battista di Milano, via Pinamonte, canto artistico, voce di baritono. Fa p a r t e d e l C o m p l e s s o Internazionale Cameristico di Milano dove, insieme ad altri professionisti di diverse nazionalità, esegue concerti di musica sacra e classica, con finalità di beneficenza. Referente di “Musica nella Liturgia” per la parte -recupero e traduzioni di inni classici – soprattutto della tradizione anglo-sassone. [email protected] Pietro Romeo, Chiesa battista di Rivoli, animatore musicale, grafico impaginatore per il Settimanale Riforma, giornale delle chiese battiste valdesie metodiste italiane. Impaginatore e grafico della pubblicazione “Il Seminatore” e di “Musica nella Liturgia” del Dipartimento di Evangelizzazione. [email protected] Virginia Mariani, insegnante di lettere, animatrice musicale, è particolarmente impegnata nelle attività della FDEI (Federazione Donne Evangeliche in Italia), dove opera sia come segretaria nazionale che come animatrice musicale. Collabora con Musica nella Liturgia. Domenico D’Elia, di professione medico chirurgo, è animatore musicale e svolge da oltre 25 anni il proprio ministero presso la Chiesa Battista di Mottola e presso le Chiese dell’ACEB/PL (Associazione delle Chiese Battiste di Puglia e Basilicata). È specializzato nel settore della musica cristiana contemporanea (Contemporary Christian Music) che suscita sempre più interesse nelle comunità evangeliche. Nello specifico si occupa del vasto e multiforme segmento dedicato alla Lode e Adorazione (Praise and Worship) e nell’ambito degli inni dell’Ecumene internazionale. E in questa direzione sono le traduzioni e gli adattamenti in italiano di decine di canti offerti a Musica nella Liturgia. [email protected] [email protected] Giovanni Annunziata, il tipografo. Vive ad Arzano, un comune dell’area napoletana. Giovanni è il figlio di una “colonna” della comunità battista di Arzano, Anna Zecchetella Annunziata. Un ringraziamento al lavoro di Giovanni che fa con tanta dedizione e passione insieme a Luisa Capuozzo. 31 Quando incontriamo l’oscurità Quando incontriamo l’oscurità improvvisa, un nuovo sapere si confronta col dolore, quando dure malattie ci colpiscono, la rabbia canta a squarciagola, “Dio, buon Dio, noi ti chiediamo perché” e piangiamo tutto il perduto. Toppa dopo toppa la trapunta è fatta, Filo dopo fili, i colori composti, tenuti dalle lacrime, in ricchi ricami, gli amori han toccato e conosciuto la nostra vita, famiglie di indicibile dolore tenuti insieme, ancora sole. Amico, curando l’afflitto, risvegliaci al mondo condiviso, brilla attraverso noi, divina compassione spera tra i nostri cuori disperati, costruendo con le pietre scartate nuove comunità d’amore. Solo Tu, santo Amore, ci sostieni con forza incrollabile, dal nostro nascere al nostro morire, dona uno scopo al nostro esistere accoglici, anche se affranti aspettaci, e chiama il nostro nome. Filippo Paradiso Gioia del Colle, 2006 Adattamento della poesia di Shirley Murray: When our lives know sudden shadow 32