Università degli Studi di Palermo Dipertimento di Filosofia, Storia e Critica dei Saperi Dottorato di Ricerca in Estetica e Teoria delle Arti - XX Ciclo Coordinatore: Prof. Luigi Russo SSD: M-Fil/04 L'ESTETICA DI JEAN PAUL RICHTER di Erasmo Silvio Storace Tutor: Prof. Salvatore Tedesco Co-tutor: Prof.ssa Silvia Vizzardelli 1 INDICE I NTRODUZIONE – N ICHILISM O P ARTE P RIMA – C LA SS IFICAZIONE C APITOLO P RIMO – E IRONIA IN J EA N P AU L ................5 DE I VA RI TIPI DI POES IA NEL LA V ORSCH ULE DE R Ä STHE TI K L A “ POES IA ANTICA ” E LA DI J E AN P AU L ........29 “ POE S IA M ODERNA ” .30 1.1. La “poesia antica” ...............................................................33 1.2. La “poesia moderna” tra materialismo, nichilismo e romanticismo .............................................................................40 C APITOLO S E CONDO – L A “ POES IA MA TE RIAL IS TICA ” E LA NICHIL IS TICA ” “ POE S IA ............................................45 2.1. La “poesia materialistica” ...................................................45 2.2. La “poesia nichilistica” .......................................................51 2 2.3. Altre forme di nichilismo nei romanzi di Jean Paul ...........53 2.3.1. Il Discorso del Cristo morto .......................................56 - Contenuto del “Discorso” .................................................59 - Senso del “Discorso” ........................................................65 2.3.2. La Clavis fichtiana ....................................................70 - La disputa su Spinoza e sull'ateismo .................................70 - La Clavis .........................................................................76 - Jean Paul vs. Fichte ..........................................................87 P ARTE S E CONDA C APITOLO T E RZO – – L A “ POE S IA ROM ANTICA ” IN E L ' A RGU ZIA ..............................................97 L A “ POES IA ROM ANTICA ” IN J E AN P AU L : IL GENIO J E AN P A UL ........98 - Genio e ironia nella poesia romantica ...............................110 C APITOLO Q UA RTO – IL GENIO .................................................119 4.1. Arte e bellezza nell’estetica romantica e postromantica ...119 4.2. Il genio come facoltà dell’intelletto ..................................122 4.3. Il genio moderno: espressione dell’irrazionale o del sovrarazionale ..........................................................................123 4.4. Il genio romantico .............................................................124 4.5. La facoltà del genio nella Vorschule der Ästhetik ...............125 3 C APITOLO Q UINTO – L' IRONIA .................................................131 5.1. La nozione di ironia nella Vorschule der Ästhetik ...............131 - Il ridicolo e il sublime .....................................................134 5.1.1. Il comico ................................................................138 - Il comico e la satira .........................................................144 5.1.2. L'umorismo ............................................................146 - Umorismo e ironia ...........................................................156 - Umorismo epico, drammatico e lirico ................................159 - Il comico lirico o il capriccio e il burlesco .........................161 5.1.3. L'arguzia ................................................................162 C ONCL US IONI R IFE RIM ENTI – BIBL IOGRA FICI LA POE S IA ROMA NTICA ...............................176 ...................................................................183 4 Introduzione NICHILISMO E IRONIA IN JEAN PAUL La Vorschule der Ästhetik 1 (Propedeutica all'estetica) di Jean Paul (Johannes Paul Friedrich Richter, Wunsiedel, 21 marzo 1763 – Bayreuth, 14 novembre 1825) incarna essenzialmente una teorizzazione estetologica delle forme artistiche concernenti l’ambito poetico- letterario, dalla poesia al dramma al romanzo 2 ; si può infatti affermare 1 Vorschule der Ästhetik: nebst einigen Vorlesungen in Leipzig Uber die Parteien der Zeit / Jean Paul; herausgegeben von Joseph Muller; mit einer "Einfuhrung in Jean Pauls Gedankenwelt" von Johannes Volkelt. - Leipzig: Meiner, 1925; Vorschule der Ästhetik / Jean Paul; Nach der Ausgabe von Norbert Miller; herausgegeben, textkritisch durchgesehen und eingeleitet von Wolfhart Henckmann. – Hamburg: Meiner, 1990 (d’ora in poi sarà citata quest’ultima versione). 2 Per la letteratura critica sulla Vorschule der Ästhetik, cfr. ad es.: A. M. Bachmann, Das Umschaffen der Wirklichkeit durch den ‘poetischen Geist’. Aspekte der Phantasie und des Phantasierens in Jean Pauls Poesie und Poetik, Frankfurt 1986; E. Berend, Jean Pauls Ästhetik, Berlin 1909 (rist. 1978); G. Carchia, Jean Paul e la teoria dell’umorismo, in “Rivista di estetica”, 1989; E. Endres, Jean Paul. Die Struktur seiner Einbildungskraft,Zuerich 1961; G. Müller, Jean Pauls Ästhetik und Naturphilosophie , 5 che “l’opera maggiore di Jean Paul è una complessa enciclopedia dell’estetica romantica, intesa come propedeutica alla conoscenza del mondo che illustra l’origine della poesia, della natura del genio, del valore del bello. Sono queste forme dell’arte che costituiscono il fondamento della verità” 3 . Questo scritto, pubblicato da Jean Paul nel 1804, ossia in una fase matura della sua carriera di scrittore (inaugurata all’inizio degli anni ’80 del Settecento e conclusasi nel 1825, anno della sua morte), è, insieme al trattato Levana, a carattere pedagogico, l’elemento filosoficamente più rilevante della sua opera, il cui quantitativo maggiore consta perlopiù di romanzi, alcuni dei quali contengono comunque digressioni, intermezzi o appendici concernenti tematiche di filosofia 4 . Tübingen 1983; G. Müller, Jean Pauls im Kontext, Wuerzburg 1996; W. Rasch, Die Poetik Jean Pauls, Göttingen 1967; H. M. Speier, Die Ästhetik Jean Pauls; W. Wiethölter, Witzige Illumination,Tuebingen 1979; G. Wilkending, Jean Paul Sprachauffassung in ihrem Verhaeltnis zu seiner Ästhetik, Marburg 1968. 3 4 E. Franzini, S. Zecchi, Storia dell’estetica, il Mulino, Bologna 1995, pag. 408. Si pensi qui in particolare al “Discorso che Cristo morto tenne dall’alto dell’universo sulla non esistenza di Dio”, contenuto nel romanzo Siebenkäs (Siebenkas / Jean Paul; herausgegeben von Carl Pietzcker. - Stuttgart: Reclam, 1983, tr. it. Setteformaggi (Siebenkäs), Milano 1998), e la “Clavis fichteana”, in appendice al romanzo Titan (Titan; Komischer Anhang zum Titan; Clavis Fichtiana seu Leibgeberiana / Jean Paul; hrsg. von Norbert Miller; Nachwort von Walter Hollerer. - Munchen: Hanser, 1961, tr. it. dell’appendice: Jean Paul, Clavis Fichteana seu leibgeberiana, a cura di Eleonora de Conciliis e Hartmut Retzlaff, Cronopio, Napoli 2003). 6 L’opera, suddivisa in tre parti, è una teoria delle forme di produzione letteraria volta a determinare la poetica romantica in generale e, più in particolare, a ravvisare nel concetto di “ironia” la cifra del genere letterario “moderno” in contrapposizione a quello “classico” 5 . Per tali ragioni, i concetti classici dell’estetica (come 5 Questa concezione, ampiamente diffusa all’interno del dibattito estetologico e filosofico del protoromanticismo, è ravvisabile anche in diversi altri luoghi, di cui ci limitiamo a ricordare quelli più noti: - F. Schiller, Lettere sull’educazione estetica dell’uomo, Roma 1991; F. Schiller, Saggi estetici, Torino 1959; F. Schiller, Sulla poesia ingenua e sentimentale, Milano 1993; A. W. Schlegel, Corso di letteratura drammatica, Genova 1977; F. Schlegel, Dialogo sulla poesia, Torino 1991; F. Schlegel, Frammenti critici e scritti di estetica, Firenze 1967; F. Schlegel, Sullo studio della poesia greca, Napoli 1988; F. Schlegel, Simbolicità dell’arte, Firenze 1988; F. Schlegel, Frammenti di estetica, Palermo 1989; K. W. F. Solger, Erwin, Berlin 1907. Il Romanticismo è stato talora interpretato come un tentativo di risposta alla Querelle des anciens et des modernes (nata nel 1688 con Perrault e ancora centrale non solo negli autori del Settecento, come Du Bos, ma anche tra i Romantici), al centro della quale si poneva l’antitesi tra antichità e modernità, tra autorità e ragione, tra pregiudizio e progresso: se i sostenitori degli antichi affermavano l’impossibilità, in arte, di superare o uguagliare la grandezza dei modelli antichi, i sostenitori dei moderni, senza negare la validità dei grandi artisti del passato, attribuivano all’epoca moderna una visione più vera della realtà delle cose. In questo contesto si inseriscono i Romantici: Friedrich Schlegel, anzitutto, distingue tra opere antiche, che offrono appagamento, armonia e perfezione, e che hanno come principio la bellezza, e opere moderne, dominate dal caos, dal disordine, dall’eccesso, volte a rappresentare non solo il bello, ma anche il brutto, e caratterizzate da una tensione verso l’indeterminato e l’infinito. Analogamente, Schiller distingue una poesia ingenua da una poesia sentimentale, mentre Schelling parlava dell’arte greca, simbolica, in quanto contrapposta all’arte cristiana, in cui prevale l’allegoria e in cui si gioca la cifra del romanticismo. Il termine “romantico” viene dunque impiegato per distinguere le opere dei moderni. È 7 l’immaginazione, il genio, ecc.) vengono da Jean Paul accostati a nozioni quali quelle di “ironia”, “ridicolo”, “comico”, “umorismo”, “arguzia” (o “motto di spirito”), ecc 6 . La prima parte prende le mosse da una categorizzazione delle diverse figure di poesia (nichilistica o materialistica, greco-antica o romantico-moderna, ecc.), al fine di far emergere quelle categorie estetiche che agiscono nell’atto della produzione o della fruizione di un testo poetico: dal genio al ridicolo all’umoristico, ecc. Essa si articola in otto capitoli (o “programmi”, come scrive Jean Paul): “Sulla poesia in generale”, “Scala delle forze poetiche”, “Sul genio”, “Sulla poesia greca o plastica”, “Sulla poesia romantica”, “Sul ridicolo”, “Sulla poesia umoristica”, “Sull’umorismo epico, drammatico e lirico”. in questo panorama che si innestano le riflessioni di Jean Paul. Nella Vorschule egli ironizza intorno alla suddivisione classico/romantico, la riformula e la esemplifica. “Classico” sta ad indicare la poesia plastica, oggettiva, ideale, quieta e serena dei Greci, mentre “romantico” si riferisce alla poesia cristiana, in cui viene espresso il bello senza limitazione, il “bello infinito”. Jean Paul, come diversi altri autori a lui contemporanei, dedica molte pagine al tema dell’ironia e alle sue possibili variazioni: il comico, l’umorismo e l’arguzia (o motto di spirito). L’ironia, come vedremo nel corso di questo lavoro, è per Jean Paul da una parte ciò che può opporsi alla visione nichilistica del mondo, inverandola, e dall’altra ciò che identifica il genere letterario moderno, romantico, contrapposto a quello classico. 6 Cfr. ad es., Il comico, l’umorismo e l’arguzia, Padova 1994, e in particolare l’introduzione del curatore, o anche G. Carchia, Jean Paul e la teoria dell’umorismo , in “Rivista di estetica”, 1989. 8 La seconda parte prosegue questo tipo di indagine, partendo dallo studio dell’arguzia, per poi prendere in esame i caratteri, il dramma greco, il romanzo, la poesia lirica, per finire con alcune considerazioni conclusive rivolte allo stile, alla raffigurazione e alla lingua tedesca. Essa si compone di sette capitoli: “Sull’arguzia”, “Sui caratteri”, “La trama storica del dramma e dell’epos”, “Sul romanzo”, “Sulla lirica”, “Sullo stile o sulla raffigurazione”, “Frammento sulla lingua tedesca”. Una terza e ultima parte riporta tre lezioni tenute a Lipsia, rispettivamente dedicate agli stilisti, ai poeti e alla poesia poetica. La Vorschule riassume all’interno del proprio intreccio tematico una significativa serie di questioni legate agli ambiti della poetica e dell’estetica che presuppongono tuttavia, nel loro stesso svolgersi, un riferimento costante all’uomo ed al suo mondo. La natura dello sguardo verso la dimensione umana dell’esistenza non si riduce d’altro canto ad una semplice ripetizione meccanica del dato naturale, così come non prevede in alcun modo l’abbandono alle distorsioni legate ai romantici e ai nostalgici dell’illuminismo. La risposta di Jean Paul si muove innanzitutto dalla necessità di riconoscere una unità all’interno del campo dell’arte; dal momento che, senza l’ammissione di un principio certo, non si potrà mai proporre una alternativa realmente percorribile nei confronti del disordine provocato dalla 9 ricerca di posizioni estreme e alla moda. Di conseguenza, come è possibile ravvisare nella terza parte della Vorschule, intitolata Drei Vorlesungen in Leipzig, Jean Paul si muove consapevolmente in un quadro di assoluta solitudine, dove viene a trovarsi del tutto abbandonato dal pubblico, fatta eccezione del solo Albano, il personaggio principale del romanzo Der Titan. Il principio dell’unità dell’arte si lega inoltre ad un altro aspetto del tutto fondamentale agli occhi di Jean Paul – l’autonomia dell’arte stessa e della sua caratteristica forma di rappresentazione del mondo attraverso il linguaggio estetico. Una completa e reale forma di autonomia del linguaggio dell’arte, nei confronti di termini e concetti filosofici, è tuttavia di ben difficile applicazione. Infatti, parte della stessa Vorschule, in particolar modo la terza, si svolge attraverso un dialogo che prende decisamente le mosse dall’esempio lasciatoci dai più celebri dialoghi platonici. Quanto appena affermato non deve comunque far sviare l’interpretazione del pensiero di Jean Paul dallo “spirito cristiano” che rappresenta il vero orizzonte di senso determinante la sua stessa visione del mondo, legandosi alla nostalgia per le tradizioni, le feste e lo spirito burlesco del medioevo cristiano, periodo ancora capace, a differenza del moralismo settecentesco, di 10 intendere la profonda serietà del riso al di là della sua apparenza frivola e superficiale 7 . Il rapporto tra il riso e la serietà, nello spirito cristiano, riesce dunque a rimaner vivo attraverso il senso dell’infinito che, toccando le corde dell’indeterminato, il non finito appunto, è in grado di andar 7 Il riso e l'ironia in genere sarà uno dei temi ricorrenti del romanticismo, inaugurato ad esempio dagli studi di Friedrich Schlegel (1772-1829), uno dei più importanti esponenti del romanticismo tedesco. La propria posizione di teorico romantico va oltre il kantismo di Schiller, ispirato ancora all’idea di un possibile equilibrio tra antico e moderno, tra classico e romantico. Schlegel è vicino infatti alla nuova filosofia di Fichte e si ispira, nel campo della poesia, alle figure di Geothe e Tieck. D’altra parte, Friedrich è fratello del letterato August Wihelm (1767-1845), il fondatore con lo stesso Friedrich, nel 1789, della rivista Athenaeum; inoltre, egli partecipa attivamente ai circoli di Jena e Berlino, occupandosi di storia, di letteratura e di critica d’arte, ma trovando nella filosofia il proprio reale centro d’interesse, tanto da essere il primo autore ad esplicitare una vera e propria teoria del movimento romantico, attraverso i suoi interventi nelle riviste Lyzeum der Schönen Künste ed appunto nella già ricordata Athenaeum. Il romanticismo, con Friedrich Schegel, acquista un significato ulteriore rispetto all’originario riferimento al genere letterario del romanzo ambientato in una età medievale da sogno, venendo così ad identificarsi con un nuovo modo di guardare alla poesia, dove l’arte stessa si prefigge lo scopo d’essere arte totale, come mostra il romanzo di Geothe, Wilhelm Meister, classico esempio di romanzo di formazione. Nell’arte totale l’artista si sforza di raggiungere quella suprema libertà che è possibile cogliere esclusivamente attraverso uno sguardo capace di riflettere la realtà a partire dalla più piena comprensione della società e del tempo storico vissuto. La poesia romantica, intesa come quel luogo dove possono fondersi gli stili poetici più diversi, diventa così espressione, anche se in forma ancora aconcettuale, dell’assoluto e dell’infinito, studiato dalla stessa filosofia fichtiana. La poesia, quindi, non fa altro, secondo Schlegel, che ripetere, seppur in modo diverso, il lavoro della filosofia; lo specchiarsi della poesia nella filosofia di 11 oltre sia allo sterile opporsi di concetti contrari che ad ogni facile soluzione compiuta sulle ali della dialettica spinte da un eccesso di spirito di ragione. Gli aspetti caratteristici della Vorschule appena enunciati, attraverso il susseguirsi di un rapido sguardo panoramico sul suo stesso valore critico-conoscitivo, non sono stati in alcun modo intuiti da autori tedeschi del periodo come Geothe, Hegel e Schlegel, secondo i quali Jean Paul poteva essere, nel migliore dei casi, un originale quanto sterile esercizio della fantasia oppure, da un punto di vista più realistico, solo un buon esempio di indisciplina filosofica, dove la fatica del concetto veniva risparmiata alla luce di fatui colpi ad effetto di nessuna sostanza. Friedrich Ast è stato il primo a scorgere una sorta di unità, anche se non di tipo banale o immediato, all’interno Fichte, porta lo stesso Schlegel a coniare, sull’esempio della fichtiana filosofia trascendentale, detta anche filosofia della filosofia, la formula di poesia trascendentale o poesia della poesia. Gli aspetti che la poesia di Schlegel ha in comune con la filosofia fichtiana sono poi molteplici, innanzitutto, la fede nella libertà e nella creatività dell’immaginazione del genio, a loro volte unite ad una visione della filosofia e della poesia in chiave religiosa, quasi come se fossero le portatrici di una missione decisiva per tutta l’umanità. D’altra parte, il tema centrale della poesia romantica e della filosofia idealistica, che riveste di nuova originalità l’arte e la sua verità, è senz’altro quello dell’ironia – l’ironia dei dialoghi di platonici, rispecchiata dalla figura di Socrate – che si estende ora, nell’arte romantica, attraverso le opere di Forster, Lessing, Hemsterhuis e Hülsen, diventando la cifra stessa dell’arte ed espressione di un nuovo e più profondo modo di leggere il mondo. L’ironia, in quest'ottica, è una “buffoneria trascendentale”, che tende ad approssimarsi verso l’infinito; ma su questo torneremo nel capitolo dedicato al concetto di ironia. 12 dell’opera di Jean Paul, in cui, al di là dell’apparente succedersi multiforme di aspetti della vita totalmente distanti tra loro, è presente una sorta di sintesi capace di portare i volti contrastanti dell’esistenza ad un livello superiore. Il limite principale dell’originale interpretazione di Ast si staglia tuttavia sul modo del concepire la sintesi operata da Jean Paul, interpretando così lo sciogliersi dei contrasti della vita come parte di un reale movimento dialettico. In questo modo il principale merito di Jean Paul rimane, agli occhi di Ast, quello di aver anticipato, anche se non del tutto consapevolmente, il movimento stesso della dialettica, intesa come cifra del dispiegarsi stesso, attraverso il ritmo triadico, della vita nel tempo. Il rinvenimento di un luogo preciso e determinato dove cogliere la sintesi di questa dialettica rimane però del tutto imprecisato come conseguenza del fatto che la lettura di Ast, portata alle sue estreme conseguenze, non fa altro che sovrapporsi alle pagine di Jean Paul, ritrovando una regolarità della sintesi tra gli opposti che in realtà è assente nelle intenzioni dell’autore. Del resto è del tutto innegabile che la Vorschule si presenti, al proprio interno, come attraversata da una serie di rapporti triadici del tutto evidenti e riconoscibili, anche se incapaci di insistere su un unico centro di forza unitario capace di garantirne tout court una effettiva sintesi. 13 D’altro canto le triadi afferrate dal pensiero di Jean Paul 8 , anche se incapaci di realizzare una sintesi di tipo definitivo, possono trovare del resto un punto di analisi privilegiato attraverso il riferimento alle figure caratterizzanti il moto del riso – il comico, l’umorismo e il Witz. Si presenta ora, in modo del tutto esplicito, il problema del come intendere la particolare relazione che occorre tra i tre lati, appena esposti, del riso; infatti, la negazione di una dialettica di tipo hegeliano in Jean Paul, anche se in forma larvata, come ha mostrato la critica alla lettura di Ast, non deve tuttavia giustificare la posizione contraria, rappresentata per esempio da Carchia 9 , dove viene tolto valore e senso ad ogni lettura intesa a poggiarsi sul concetto di mediazione degli opposti. Sempre secondo Carchia la volontà di riscontrare in Jean Paul un superamento, per mezzo della mediazione appunto, della travagliata lotta tra gli opposti è figlia esclusivamente di una impropria proiezione di senso effettuata attraverso categorie attinte dalla modernità, senza l’uso di alcuna cautela storico-filosofica. L’osservazione presentata da Carchia può esser messa in discussione soltanto portando il gioco direttamente a livello delle radici e delle 8 Le diverse forme di triade dialettica, a cui si è appena fatto riferimento, possono essere raggruppate nelle seguenti serie ternarie: materialismo poetico-nichilismo poetico-poesia poetica, immaginazione-fantasia-genio, ridicolo-sublime-umorismo, ironia-Laune-umorismo, arguzia-acume-profondità di pensiero epos-dramma-lirica. 9 Cfr. G. C A R C H I A , Jean Paul e la teorica dell’umorismo , “Rivista di estetica”, 31, 1989, pp. 23-31. 14 fonti più immediate dell’opera di Jean Paul. Il terreno in cui si radica la Vorschule è rappresentato, secondo quanto affermato attraverso gli studi di Proß 1 0 , dal riferimento ad Hamann, ad Herder, a Jacobi e a Pope, senza scordare però il peso determinante della filosofia Leibniz, rimando costante del periodo giovanile di Jean Paul, soprattutto nelle satire e negli scritti di carattere filosofico. La relazione tra Jean Paul e Leibniz non deve tuttavia essere relegata ad un specifico periodo della vita dell’autore, quasi come se si trattasse di un semplice momento del passato ormai sepolto dal trascorrere impietoso del tempo; infatti, il profondo vincolo nei riguardi di Leibniz rimarrà pressoché costante nella vita di Jean Paul, finendo col fondersi con l’anima stessa del pensiero espresso attraverso le pagine della Vorschule. Detto altrimenti, Leibniz è stato sempre così vicino a Jean Paul da non poter mai esser riconosciuto del tutto attraverso la sua reale presenza nei pensieri dell’autore – è sempre difficile infatti cogliere ciò che è vicino, troppo vicino, all’occhio scrutatore del nostro intelletto e della nostra ragione. Del resto, come potrebbe affermare lo stesso Jean Paul, è sempre necessaria una distanza, una differenza, nei riguardi di ciò che si intende spiegare e comprendere, tanto più se la cosa in questione è il mondo, inteso come quel concetto limite, quella cifra impossibile, tra reale e possibile o forse al di là del concetto stesso di realtà e di possibilità. 10 Cfr. W. P R O S S , Jean Paul geschichtliche Stellung, Tübingen, Niemeyer 1975. 15 Per il resto un altro aspetto che rende ardua e difficile l’identificazione di un chiaro paradigma leibniziano nella Vorschule consiste nella effettiva e reale contaminazione di questo particolare modello filosofico con altri non del tutto affini; d’altra parte, però, il valore della teodicea in chiave estetologico è un tema caratteristico che richiama esplicitamente, come afferma Casini 1 1 , la cultura europea del Settecento nelle figure di Herder, di Pope, di Rousseau, di Shaftesbury oltre che dello stesso Leibniz. La sintesi a cui aspira, anche se in modo sottile, la Vorschule, non è quindi quella di un meccanismo dialettico non ancora posseduto con aperta evidenza, ma, al contrario, si identifica con quell’unità capace di riflette, al di là delle dissonanze del reale, una armonia ideale attraverso la forma dell’arte, la quale non può in alcun modo trovare nella realtà e nella natura il proprio modello, in quanto essa stessa, rovesciando il gioco artistico in serietà, giunge a offrire i modelli ideali, sotto forma di idee platoniche, per la stessa vita umana. A questo livello del discorso è possibile introdurre in modo ancora più chiaro ed aperto quelli che, già in precedenza, sono stati indicati come i poli costitutivi della triade dialettica principale della Vorschule – il comico, l’umorismo e l’arguzia. Questi tre momenti non devono essere visti infatti come lati predeterminati dal pensiero al fine di una mediazione statica e dialettica; ma ciò non può comportare certo un 11 Cfr. P.C A S I N I , Introduzione all’illuminismo, Laterza, Roma-Bari 1973. 16 rifiuto ad ogni sorta di mediazione all’interno del loro reciproco relazionarsi ed auto-rimandarsi; dal momento che il rifiuto della mediazione comporterebbe la rinuncia ad ogni comprensione effettiva del loro valore e della loro stessa natura. Il comico, l’umorismo e l’arguzia rappresentano di conseguenza proprio quella particolare cifra della possibilità, da parte dell’uomo, di dare un senso alla natura e alla propria vita naturale attraverso il gioco del tutto serio dell’arte, che, intervenendo sull’assurdo, riesce a capovolgerne la disarmonia nel suo stesso contrario – l’armonia. Lo spostamento dalla disarmonia prestabilita del mondo della natura all’equilibrio armonico è possibile soltanto, come afferma esplicitamente Blumenberg 1 2 , a partire da una secolarizzazione del teologico in direzione del suo valore esclusivamente estetologico. Nel comico, in particolare, abitato dalla immediatezza della simpatia guidata dall’intelletto, è possibile, attraverso un inganno prodotto dell’intelletto stesso, portare l’assurdo ad una sorta di equilibrio di senso, per mezzo dell’esercizio del ridicolo, inteso come luogo ideale per l’espressione di un riso segnato dalla cifra del tutto kantiana del disinteresse. L’assurdo viene così reso accettabile attraverso il comico, il quale prepara poi il terreno per l’umorismo, che si differenzia dal primo in quanto, uscendo dall’immediatezza della simpatia, riesce a guadagnare 12 un punto di vista più consapevole nei confronti Cfr. H. B L U M E N B E R G , Die Legitimität der Neuzeit, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1966. 17 dell’assurdità che attraversa la physis, sdoppiandosi così in due figure opposte, da una parte la natura assurda e caotica e dall’altra un’ideale di libertà, capace di assolvere la natura nel momento stesso della propria distruzione. L’ultimo elemento della triade, il Witz, si articola, in un certo senso, attraverso un grado di complessità superiore rispetto l’umorismo; infatti, con il Witz, si supera la semplice opposizione bipolare natura versus idea, costitutiva dell’umorismo, in direzione, invece, di un continuo rimando alla dimensione giocosa del linguaggio, attraverso il quale il pensiero riesce a ripetere su di sé l’esperienza di una densa trama rimandi tra spirito e materia, al pari del profondo legame che unisce nascostamente gli aspetti più disparati della realtà e della vita. L’esempio portato attraverso l’analisi del comico, dell’umorismo e del Witz ha mostrato come il riso possa tradurre positivamente, nei suoi stessi effetti concreti, quello che la tradizione ha invece inteso come il fallimento della teodicea mossa e giocata all’interno di un orizzonte essenzialmente teologico. Il passaggio, quindi, dal piano teologico a quello estetologico permette all’uomo di muoversi nel mondo libero, cercano costantemente di opporsi al vincolo nichilista, attraverso il principio regolatore di una armonia che deve di continuo esser cercata ed imposta al caos della natura. L’uomo risulta così stretto tra due opposti modelli 18 in conflitto, l’essere naturale dell’animale e l’essere sovrannaturale di Dio; d’altra parte tali figure archetipe sono da intendere, secondo Jean Paul, come figure derivate da una teologia ormai rovesciata, attraverso un chiaro processo di secolarizzazione, in una dimensione estetologica, in cui la stessa teoria estetica prende le mosse dalle cadenze prima applicate ad un ambito umano del tutto differente. Da questo punto di vista risulta chiaro che il passaggio estetologica dal non teologico comporta alla in dimensione alcun modo più un propriamente rovesciarsi del domandare teologico nel campo dell’estetica; ma, al contrario, è l’estetica stessa che ripete la forma ed i ritmi delle questioni teologiche. Il discorso, secondo Jean Paul, si gioca quindi nel campo dell’arte, l’armonia a giustificazione cui del l’artista mondo deve stesso, tendere il presuppone quale, tuttavia, infatti può la esser realmente giustificato solo attraverso una sua riconduzione all’unità; il mondo disperso e frammentato della physis deve di conseguenza esser ricomposto, segnando in questo modo lo scopo reale della Vorschule. In questo modo la sintesi realizzata da Jean Paul si può muovere riferendosi, piuttosto che a un indeterminato senso dialettico prehegeliano, ad una armonia attraversata da un telos unificante in grado di coordinare i diversi enti in direzione del modello-uno. Le diverse monadi possono così essere ordinate secondo un ordine razionale, che 19 esclude il prevalere della contingenza nei confronti della regola dettata dall’idea. L’ordine che si viene a organizzare, non è però una realtà uniforme ed indistinta; infatti, lo stesso movimento verso l’unità presuppone una scala di ordini differenziati per gradi dal più basso al più alto. All’apice di questa scala dell’essere delle monadi estetiche si trova l’attività dell’arte umana autentica, ossia la poetische Poesie, la poesia tesa tra le figure del comico, dell’umorismo e del Witz. La Vorschule declina pertanto il proprio compito di ricerca dell’armonia a partire da due lati opposti tra loro, che devono esser entrambi giustificati - il lato del soggetto, o meglio del mondo interiore del poeta, e quello dell’arte e del riso riferito all’ambito estetico. In questa teodicea estetologica la tensione verso l’armonia si gioca tra il particolare e l’universale, in quanto il particolare stesso deve essere trasfigurato e giustificato in direzione della forma ideale, attraverso un processo che si declina per gradi di perfezione sempre maggiore. Il riferimento all’universale era un aspetto comune sia all’arte greca, l’arte del senso della vita e dell’oggettività dell’epos, che a quella romantica, l’arte del senso della morte e della tensione verso il sogno, il sublime e l’infinito. L’estetica di conseguenza dovrà muoversi tra questi due momenti, rappresentati rispettivamente dal classicismo e dal romanticismo, cercando di coglierne la profonda armonia. D’altra 20 parte i modelli opposti devono necessariamente trovarsi in una dimensione armonica, in quanto l’isolarsi degli estremi, privati di ogni tensione vero l’equilibrio, produce le due forme di poesia che Jean Paul intende superare - la poesia materialista e la poesia nichilista. La distinzione dei generi di poesia appena presentata riprende, proseguendola in modo autonomo, la querelle tra classicismo e romanticismo 1 3 . Il poeta materialista cerca di ripetere la realtà, nella 13 A tal proposito va ricordata la nota distinzione tra poesia ingenua e poesia sentimentale elaborata da Schiller. Nella lettura compiuta da Friedich Schiller, attraverso la scrittura delle lettere Sulla educazione estetica dell’uomo (1793-1795), i vari e frequenti dualismi della filosofia kantiana sono interpretati come la cifra di una nascosta unità armonica della natura che la cultura umana ha il compito di sviluppare e di portare a compimento, senza fissarsi per questo nel momento della separazione degli opposti separati dalla contraddizione. Schiller intende poi divulgare la filosofia kantiana ad un ampio pubblico, radicandola in un ambito allargato anche alla dimensione politica e pedagogica. Le difficoltà a livello politico sono poi amplificate dall’insorgere della rivoluzione in Francia e, proprio per questa ragione, Schiller intende trovare una soluzione che tocchi la radice stessa dei problemi in questione, intervenendo sulla stessa educazione estetica dell’uomo, in quanto, secondo la sua opinione, solo attraverso la bellezza è possibile condurre l’uomo alla libertà. I problemi dell’uomo moderno, attraversato da fratture difficilmente sanabili, erano sconosciute agli uomini antichi, dove l’unità e l’armonia tra la vita e le sue forme non era mai messa in discussione. L’uomo moderno vive una radicale frattura tra intelletto intuitivo e intelletto speculativo, tale scissione è prodotta dall’evolvere stesso della società, per mezzo della divisione del lavoro, della specializzazione scientifica e della separazione tra le classi sociali. I benefici di questa nuova condizione dell’umanità si riflettono esclusivamente nel campo dell’utile sociale, ma si devono pagare con un prezzo salatissimo, ossia con l’incrinarsi dell’equilibrio all’interno dell’individuo - il progresso della specie umana compiuto nella modernità 21 forma della realtà bella ed esemplare, quasi come se si trattasse di imitare un meccanismo del tutto privo, a differenza della vera natura, di una qualsiasi forma di organicità e di possibilità di cambiamento. L’occhio del materialista porta uno sguardo di Medusa cristallizzato e fermo di fronte alla multiforme Proteo della natura; mentre il si paga paradossalmente con un ridimensionamento del valore del singolo uomo. La situazione difficile in cui si trova l’uomo moderno non è tuttavia il segno di un irrefrenabile declino, ma, al contrario, rappresenta la premessa per la costruzione di una nuova forma di umanità, dove l’arte, l’educazione e la bellezza devono esser intesi come i nuovi mezzi col quale può essere possibile ricomporre l’unità spezzata degli opposti - libertà dell’individuo e stato, mondo naturale e mondo morale, sensibilità ed intelletto. L’arte si prefigura come un esercizio necessario per lo sviluppo dell’armonia all’interno dell’umanità in quanto, attraverso il proprio istinto del gioco [Spieltrieb], rende possibile la giusta mediazione tra l’istinto materiale [Stofftrieb], che conduce l’uomo fuori da se stesso verso il divenire della realtà materiale e accidentale, e l’istinto formale [Formtrieb], che riporta l’uomo in sé per mezzo del riferimento alla necessità della legge. Il gioco dell’arte conduce quindi l’uomo ad un equilibrio tra vita e forma - la bellezza dell’idea non viene quindi infranta dal suo molteplice manifestarsi nella realtà. Nel gioco l’uomo riesce poi a realizzare un atteggiamento disinteressato verso le cose, divenendo così effettivamente libero, attraverso il più completo realizzarsi della propria natura. Nello stadio estetico, in particolare, l’uomo gioca con la bellezza, armonizzando così le proprie facoltà attraverso un loro reciproco contenersi e limitarsi, soprattutto in quelli che possono essere gli eccessi negativi di un uso unilaterale della ragione e del sentimento. Per quanto riguarda i contributi diretti di Schiller al romanticismo è possibile fare riferimento a due opere in particolare - Sulla grazia e la dignità (1793) e Sulla poesia ingenua e sentimentale (1795-1796). All’interno del primo scritto è definita la celebre figura dell’anima bella, dove il dovere è compiuto con naturale spontaneità, sulla spinta della bellezza morale della stessa azione, superando così, attraverso la grazia, le opposizioni presupposte al dovere per il dovere kantiano. Analogamente, 22 nichilista, ripetendo la solida fiducia dell’io fichtiano, cerca l’universale dimenticando la sfera di senso dell’accidente, l’universale si riduce così nell’io stesso senza alcuna mediazione compiuta attraverso la dimensione transeunte della vita. Dal punto di vista di Jean Paul, invece, la spinta verso l’universale può esser compiuta solo smarrendosi prima nel concreto e nell’unilaterale della natura; infatti, è solo perdendosi che l’uomo può poi ritrovarsi ancora. nel campo dell’arte, la libertà e la bellezza s’incontrano nella più felice armonia di opposti, in quanto la stessa libertà viene resa sensibile nonostante la tecnica che è necessario esercitare per realizzare, nella natura, l’opera d’arte in quanto tale. Schiller riprende invece, nell’opera Sulla poesia ingenua e sentimentale , la discussione intorno alla differenza tra l’uomo moderno e l’uomo antico dal punto di vista della poesia. D’altra parte, secondo la chiave di lettura offerta da Schiller, la poesia degli antichi è definita ingenua, in quanto l’artista si identifica immediatamente con la natura; mentre quella dei moderni viene detta poesia sentimentale, poiché il poeta, proprio poiché non è più uno con la natura, cerca la natura, riflettendo sul proprio stesso sentimento. L’ingenuità degli antichi non viene pertanto a ricoprire un difetto o un aspetto negativo della poesia, dal momento che, al contrario, indica la spontanea identificazione dell’artista con la natura da parte del genio. Un esempio di poesia ingenua, per Schiller, è senz’altro Omero, il cui corrispettivo, in ambito sentimentale, è rappresentato dalla figura di Shakespeare. Nelle intenzioni di Schiller, tale distinzione tra poesia ingenua e sentimentale, è utile, tra l’altro, al fine di distinguere la propria produzione poetica, ritenuta sentimentale, da quella di Geothe, considerato appunto espressione di una genialità dal carattere ingenuo. L’esito reale del contrasto si è rivelato tuttavia di segno del tutto contrario rispetto quanto previsto da Schiller; infatti la poesia di Geothe verrà ritenuta ingenua nel senso più profondamente classico del termine e, di conseguenza, proprio in quanto autore classico, lo stesso Geothe raggiungerà il ruolo di autore modello della poesia sentimentale e romantica. 23 La visione che lo stesso Jean Paul ha dell’uomo, in quanto soggetto, presuppone un rimando imprescindibile all’unità, distinguendosi così sia dal dualismo cartesiano che da Fichte, il quale, portando alle estreme conseguenze la stessa posizione cartesiana, giunge ad un concetto di io, che, proprio in quanto affetto da un radicale gigantismo, viene attraversato da una profonda serie di irrimediabili aporie. La centralità dell’uomo e del suo io è quindi ciò che offre alla poesia lo strumento del suo stesso operare; tuttavia l’importanza dell’io, dal punto di vista della teoria estetica di Jean Paul, non incarna un vuoto centro di potere, ma, al contrario, presuppone l’attenzione per tutti quei particolari che lo rendono un ricco ed inesausto vortice di senso estetologico, ben al di là dell’astratta megalomania fichtiana e nichilista. La figura complessa di questo io, in particolare, rimanda alle stesso orizzonte letterario della produzione di Jean Paul attraverso i temi celebri delle del sogno, della follia e della frantumazione dell’io, segnando così in modo esplicito la sua vicinanza alla cultura romantica intesa come espressione letteraria dello stesso Cristianesimo. D’altra parte la vicinanza alla visione del mondo del romanticismo, espressa nel programma sulla poesia romantica della stessa Vorschule, non ha reso lo sguardo di Jean Paul cieco di fronte alle deriva verso cui questo fenomeno culturale si stava dirigendo attraverso una 24 evidente degenerazione in chiave irrazionalistica. Il lato nascosto del romanticismo si dispiega nei mondi incantati dell’evasione e del delirio onirico, rievocando i miti della tradizione passata oppure della fantasia legata ad orienti magici 1 4 . In questo quadro generale, dove la realtà trova la propria totale distorsione, la dimensione del riso veniva del tutto abbandonata, legandosi così ai sentimenti della indifferenza o dell’incomprensione. Il declino del romanticismo comporta la messa in crisi di quella stessa visione del mondo che nel momento del suo 14 Su questo tema cfr. ad es. quanto scrive E. Endres in Jean Paul. Die Struktur seiner Einbildungskraft: “Wenn Jean Paul in seiner <<Vorschule der Ästhetik>> auf die Phantasie zu sprechen kommt, verweist er auf seinen Aufsatz <<Über die natürliche Magie der Phantasie>>, der bereits als Anhang zum <<Quintus Fixlein>> erscheinen ist. Mit Recht erwähnt er hier noch einmal eine der wichtigsten Schriften, die es uns ermöglicht, seine Werke und seine Anschauungen so zu beurteilen, wie es der Intention und der inneren Art des Dichters entspricht. Schon der Titel deutet an, daß es sich hier um eine Magie, also um irgendeine Verzauberung und Veränderung, handelt, die freilich auf natürliche. Weise stattfinden wird. Was versteht nun Jean Paul Phantasie? Die ersten Abschnitte zeigen, dass er darunter die Kraft des Menschen versteht, innere Bilder zu entwerfen, also sich etwas vorzustellen. Er stellt die Phantasie den Sinnen gegenüber, besonders dem Gesichtsinn. Sie stellt dem Dichter <<innerhalb>> meines Kopfes einen Blumengarten vor die Seele>> (V, S. 185 Z. 10 f.), ohne dabei wie die Sinne eines unmittelbaren äußeren Eindrucks zu bedürfen. Sie kann den Inneren des Menschen das zeigen und in ihn das aufstellen, was im Augenblick nicht von den Sinnen registriert wird. So erinnert man sich etwa eines Tages an die Kindheit durch ihre Kraft. So sehnt man sich nach etwas, man hofft auf etwas; die Phantasie stellt dann das Künftige, das die Sinne noch nicht erfassen, wie das Vergangene nicht mehr, vor die Seele„ (E. E N D R E S , Jean Paul. Die Struktur seiner Einbildungskraft, Atlantis Verlag AG Zürich Buchdruckerei Fritz Frei Horgen, 1961, p. 19-20). 25 sorgere ha condotto l’umanità verso una più profonda conoscenza dell’uomo, del suo mondo e del reale. Il pericolo di questa deformazione è, secondo Jean Paul, resa ancora più perniciosa dal profondo legame che l’autore stesso intravede tra la poesia e la realtà, le quali non rappresentano altro che i due poli opposti di quella che è già stata introdotta come teodicea estetica. L’armonia a cui la poesia deve tendere si gioca sul rimandarsi continuo, sotto la direzione del genio, di una doppia melodia tra estetica ed arte. Il genio rappresenta la figura in grado di compiere, attraverso l’esercizio delle proprie facoltà, quell’armonia che, nella realtà, si deve determinare a partire dal confronto con l’apparente caos della natura. L’attività del genio si declina attraverso l’applicarsi di una serie di particolari facoltà - l’immaginazione [Einbildungskraft], la fantasia [Bildungskraft, Phantasie] e la lucidità [Besonnenheit]. L’immaginazione implica essenzialmente il possesso di una memoria particolarmente sviluppata, impulsiva sensibile e potente. La fantasia, invece, rappresenta una facoltà in grado di leggere il libro della natura attraverso l’esercizio di un particolare spirito di finezza che porta ad afferrare il generale senza però lo studio analitico e scientifico di ogni sua parte. La fantasia si declina poi per gradi maggiori o minori di attività e ricettività. Il genio, al pari della monade leibniziana, si mostra come specchio incontrastato del mondo, dove gli opposti si 26 declinano in un rapporto governato dall’armonia e dall’equilibrio; di conseguenza la visione del genio si identifica con uno sguardo del tutto privo di contrasti e di fratture, come se rispecchiasse appunto una realtà ideale più alta, in quanto pacificata con se stessa e con il mondo. La figura del genio specchio del mondo si sposa con la lucidità, intesa appunto in quanto facoltà poetica legata all’equilibrio. La lucidità si identifica poi, al suo livello più basso, col buon senso, mentre a quello più alto provoca la scissione del mondo interiore del genio in un io riflettente ed in un mondo di riflessi proteiformi e variabili. L’equilibrio del genio è tuttavia un qualcosa di molto fragile e sottile, è sufficiente infatti un leggero stimolo del mondo esterno per spezzare l’incanto e rompere quella che Geothe chiamerebbe Gelassenheit - la quiete del pensiero stesso del genio. In questa quiete il genio si avvicina alla forma del puro pensiero, in quanto pensiero del movimento stesso del pensare. La schiusura di questa nuova dimensione estetologica, aperta dall’analisi della figura del genio, conduce, ancora una volta, al tema della teodicea dell’arte, intesa quale luogo del superamento di ogni lettura in chiave meccanica della natura umana, dove il poeta, al pari del filosofo, si mostra in quanto occhio del mondo, superando ogni imitazione ed ogni idolatria della quotidianità. La poesia si realizza quindi come liberazione dell’uomo, superamento del senso comune, e 27 trasformazione dell’uomo stesso, a partire dalla propria “morte”, in una sorta di divinità, specchio appunto di uno sguardo ideale sul mondo. In questo orizzonte di senso ogni errore, ogni dolore ed ogni travaglio deve essere elaborato, attraverso l’armonia, al fine di sviluppare una reale resistenza dell’uomo nei confronti degli urti e degli insulti imprevedibile che il mondo violenza. Jean gli impone Paul per raffigura mezzo questa della sua concezione particolare dell’arte con una immagine tratta dal mondo naturale; infatti, così come l’uomo si serve della poesia per superare il dolore, piegandolo all’armonia, l’ostrica produce in sé la perla, attraverso un lento concentrarsi delle sue energie, per resistere al mare. La ricerca dell’equilibrio, attraverso il ritmo armonico della teodicea, è possibile, secondo Jean Paul, prendendo la giusta distanza dal mondo; infatti, il poeta non può affatto identificarsi in modo immediato con la realtà che intende armonizzare con la sua arte. Pertanto, è necessario un passo all’indietro che permetta la giusta presa di distanze da parte del genio. 28 P ARTE P RIMA C LASSIFICAZIONE NELLA V ORSCHULE DEI VARI TIPI DI POESIA DER Ä STHETIK 29 DI J EAN P AUL C A PITOL O P RIM O L A “ POES IA ANTICA ” E LA “ POE S IA M ODERNA ” La Vorschule der Ästhetik si apre con un capitolo intitolato “Della poesia in generale”, in cui ha luogo una prima classificazione delle forme poetiche basata sul concetto di imitazione della natura. Il fine di Jean Paul si espliciterà nel complesso della Prima parte, inaugurata da questo primo capitolo, e risulterà essere quello di mostrare come la poesia antica o plastica, incarnata dal mondo greco, abbia come principio guida un carattere mimetico rivolto alla bellezza delle forme riscontrabile nella natura, che la poesia romantica abbandonerà in favore di facoltà estetiche nuove, dall’immaginazione alla fantasia al genio: tratti caratteristici della poesia moderna saranno il ridicolo, l’umorismo e soprattutto l’arguzia, su cui torneremo. La classificazione delle forme poetiche proposta da Jean Paul consiste anzitutto nel prendere in esame i diversi tipi di poesia “in generale” (die Poesie überhaupt), dando luogo ad una prima tassonomia fondata sulla nozione di immaginazione della natura. A questo punto si renderà necessario prendere in esame anche alcuni concetti 30 irrinunciabili dalla tradizione estetologica sette- e ottocentesca, dall’immaginazione alla fantasia, dal talento al genio. Seguirà poi la classificazione della poesia sulla base delle sue concrete formazioni storiche 1 5 , distinguendo dunque la poesia greca, definita plastica o oggettiva, in quanto connessa con gli ideali di bellezza, serenità e 15 Diversi sono stati i tentativi, sia nel protoromanticismo che nel romanticismo vero e proprio, di classificare le varie forme poetiche sulla base della distinzione tra poesia antica e poesia moderna: si pensie a Schlegel, ma soprattutto a Schiller, la cui filosofia incarna il momento esemplare dove il passato ed il presente si incontrano per mezzo dell’opposizione tra la poesia ingenua – la poesia degli antichi, dove il poeta si identifica in modo immediato con la natura – e la poesia sentimentale – la poesia dei moderni, in cui il poeta, a partire dalla propria cultura nata, in buona sostanza, attraverso l’esercizio della riflessione, cerca proprio quella natura che ha, con ogni sforzo, abbandonato. La distinzione appena presentata doveva segnare, nelle intenzioni di Schiller, la differenza tra la propria poesia sentimentale e quella di Geothe, ritenuta invece espressione ingenua, in quanto frutto appunto di un genio di natura classica. Il risultato mostrato poi dallo svolgersi della storia è stato invece del tutto opposto – Geothe, infatti, proprio in quanto ritenuto come autore ingenuo, fu considerato dagli stessi autori romantici come classico e quindi come il vero modello della poesia romantica-sentimentale. L’opposizione antichi-monderni è uno dei temi ricorrenti anche all'interno del pensiero poetante di Christian Friedrich Hölderlin (1770-1843), dove la contraddizione si muove, ancora una volta, a partire dalle opposte polarità espresse dalle sfere della natura e della cultura. Nel romanzo epistolare Iperione, o l’eremita in Grecia (1797-1799), Hölderlin sviluppa un vero e proprio romanzo di formazione, dove, partendo dall’unità armonica tra uomo e natura, si passa poi allo stadio della cultura, letta appunto come dimensione di una nuova ed ulteriore complessità, in cui i bisogni dell’uomo, moltiplicati dall’uso della ragione, possono trovare il loro soddisfacimento solo attraverso uno strenuo esercizio delle nostre forze vitali e 31 grazia, dalla poesia romantica, propria dell’età cristiana, che tende ad esprime il bello senza limitazione alcuna, e i cui tratti distintivi possono essere ravvisati nelle categorie del ridicolo, dell’umoristico e dell’arguto. Il ridicolo concerne l’infinitamente piccolo ed è definibile come l’infinita insensatezza intuita in modo sensibile; esso è dunque l’opposto del sublime, connesso invece con l’infinitamente grande. L’umorismo rimanda invece ad una sfera più ampia e si differenzia a seconda del suo relazionarsi con l’ambito della poesia epica, drammatica oppure lirica. Il vero tratto distintivo della poetica romantica viene però individuato nel concetto di Witz (arguzia o motto spirituali. Lungo lo scorrere di questa tensione, l’armonia naturale del tempo passato viene, da una parte, idealizzata attraverso il riferimento alla Grecia di Omero, mentre dall’altra è ricondotta al fallimento espresso della Grecia moderna, durante la guerra del 1770 tra Russia e Turchia, descritta amaramente da Iperione al proprio amico Bellarmin. L’ideale non può quindi vivere su questa terra, essendo condannato ad un destino di morte e distruzione, come accade a Diotima, la donna amata da Iperione, che incarna il dissolversi, in questo mondo, dello stesso ideale della bellezza. Iperione finirà poi propri giorni come eremita, cercando la pace attraverso il ritorno armonico alla dimensione della natura, intesa come luogo dove gli opposti possono finalmente conciliarsi. L’armonia offerta dalla poesia non è però una pace vuota di significato e di contenuto, ma presuppone, al contrario, l’inscriversi di un nuovo equilibrio tra elementi prima letti, attraverso gli occhi della cultura, come un qualcosa di reciprocamente separato e contrastante. Inoltre, nelle pagine della sua stessa tragedia incompiuta – Empedocle – Hölderlin rappresenta questo filosofo, Empedocle appunto, che ormai sicuro del proprio essere divino si getta nel cuore stesso dell’Etna, ritornando così tra le braccia della natura, per mezzo di un gesto, allo stesso tempo, tragico ed epico. 32 di spirito), di cui Jean Paul costruisce una dettagliata descrizione e classificazione. Partendo dallo studio della poesia nichilistica, cercheremo in questa sede di mostrare come tutte queste modalità dell’ironia, riconducibili alla poetica romantica quale suo tratto distintivo, possano porsi in relazione con quel fenomeno detto “nichilismo”, cui Jean Paul fa cenno nelle primissime Vorschule der pagine Ästhetik, della sua dissertazione riservandosi però di di estetica, trattarne la più approfonditamente in altre sedi, ossia mettendolo in scena nei suoi romanzi. 1.1. La “poesia antica” Nel mondo antico, o meglio, secondo ciò a cui espressamente si riferisce Jean Paul, nel mondo greco, la poesia non è un elemento prettamente estetico, ma piuttosto una sorta di atmosfera di cui risulta intessuta l'intiera società 1 6 ; scrive Jean Paul: ”L'arte della poesia non 16 Scrive Walther Harich: “In den folgenden Teilen [ossia nel Quarto e nel Quinto Programma] werden die 'griechische oder plastische Dichtkunst' und die 'romantische Dichtkunst' einander entgegengestellt. Auch hier wieder wird das Griechentum Herders gegen das Griechentum des Goethe- und Schillerschen Kreises abgegrenzt. Nicht alseine überzeitliche Norm wird bei Jean Paul das Griechentum begriffen, sondern aus seinen besonderen Bedingungen heraus verstanden. Was hier, mit den Augen Herders gesehen, über Griechentum gesagt wird, reicht viel tiefer hinaus als alles, was seit Lessing die idealistisch klassische Epoche hervorbrachte. Jean Paul und 33 era imprigionata, seppellita dentro i muri di una capitale; essa planava, al contrario, e fluttuava sulla Grecia intiera, parlava tutti i dialetti greci e collegava così tutte le orecchie ad un unico cuore” 1 7 . Il perno di tutto il mondo greco, e in particolare delle sue manifestazioni artistiche (che non vanno intese come altro da esso) consiste, secondo Jean Paul, nel concetto di “bello”, che va dalla bellezza del corpo umano a quella di un esercito schierato, sino alla bellezza di un'opera seiner Zeit fehlten freilich noch die historischen Grundbegriffe. Er konnte noch nicht erkennen, daß das Zivilisationsmomenten GriechentumGoethes überwuchert war, im wie Grunde ja bereit von Lessings spätrömischen Laokoon das griechische Bildungsideal aus einer späträömischen Skulptur abgeleitet hatte. Der große Abschnitt der Vorchule 'Über die griechische oder plastische Dichtkunst' ist die letzte Abhndlung der Zeit, die das historische Griechentum an ihren Wurzeln faßt. Unmittelbar nach ihr verliegte der Herdersche Geist in Deutschland. Was durch diesen großen Welthistoriker und Jean Paul erarbeitet war, ging unter in der 'grichenzenden' Nachahmung einer unwirklichen und konstruirten 'Antike' und muste in der zweiten Hälfte des Jahrhunderts durch Nietzsche erst wieder erobert werden. Aber unsere Schulen und Bildungsanstalten sind noch heute von diesem “griechenzenden' Ideal der Antike besessen, das zu leerem und formalem Kunstenthusiasmus hinführt statt zu lebendiger Erneuerung aus Griechischem Geiste. Dem Freiheitsgefühl des griechischen Menschen werden die abgestorbenen instinkte der spätrömischen Kaiserzeit untergelegt, als hätte nie ein Herder die lebendigen Quellen des Griechentums erschloffen und in die deutsche Seele hineingeleitet ” (Walther Harich, Jean Paul, cit., pagg. 620-621). 17 “Die Dichtkunst war nicht gefesselt in den Mauern einern Hauptstadt eingesargt, sondern schwebte fliegend über ganz Griechenland und verband durch das Sprechen aller griechischen Mundarten alle Ohren zu einem Herzen”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 69. 34 d'arte o alla bellezza spirituale propria di un'anima. “Popolo ebbro di bellezza” 1 8 : così viene definito da Jean Paul il popolo greco. In un mondo già di per sé traboccante di bellezza, il ruolo della poesia non può che consistere nel riproporre il bello che pervade la natura 1 9 . O meglio, possiamo dire che la natura consta di diversi gradi 18 “Nun dieses schönheittrunkne Volk noch mit einer heitern Religion n Aug' und Herz, welche Götter nicht durch Buß-, sondern durch Freudentage versöhnte und, als wäre der Tempel schon der Olymp, nur Tänze und Spiele und die Künste der Schönheit verordnete und mit ihren Festen wie mit Weinreben drei Viertel des Jahrs berauschen umschlang – Und dieses Volk, mit seinen Göttern schöner und näher befreundet als irgendeines, von seiner heroischen Vorzeit an, wo sich, wie auf einem hohen Vorgebirge stehend, seine Helden-Ahnen riesenhaft unter die Götter verloren, bis zu Gegenwart, worin auf der von lauter Gottheiten bewohnten oder verdoppelten Natur in jedem Haine ein Gott oder sein Tempel war, und wo für alle menschliche Fragen und Wünsche, wie für jede Blume, irgendein Gott ein Mensch wurde, und wo das Irdische überall das Überirdische, aber sanft wie einen bauen Himmel über und um sich hatte.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 70. 19 A tal proposito Jean Paul scrive: “ Ist nun einmal ein Volk schon so im Leben verherrlicht und schon im Mittagschein von eine Zauberrauche umflossen, den andere Völker erst in ihrem Gedicht auftreiben: wie werden erst, müssen wir alle sagen, um solche Jünglinge, die unter Rosen und unter der Aurora wachen, die Morgenträume der Dichtkunst spielen, wenn sie darunter schlummern – wie werden die NachtBlumen sich in die Tag-Blumen mischen – wie werden sie das Frülingsleben der Erde auf Dichter-Sternen wiederholen – wie werden sie sogar die Schmerzen an Freuden schlingen mit Venus-Gürteln! – Auch die Heftigkeit, womit wir Nordleute ein solches Gemälde entwefen und beschauen, verrät das Erstaunen der Armut. Nicht, wie die Bewohner der warmen schönen Länder, an die ewige Gleiche der Nacht und des Tages gewöhnt, d. h. des Lebens und der Poesie, ergreift uns sehr natürlich nach der längsten Nacht ein längster Tag desto stärker, und es wird uns schwer, uns für die Dürre des Lebens nicht durch die Üppigkeit des Traums zu entschädigen -sogar in 35 di bellezza, e che pertanto il compito del poeta consiste nel riprodurre e nel riproporre ciò che contiene un maggior grado di bellezza: perciò il poeta canterà ad esempio gli strumenti dell'aratore e non quelli del panettiere, perché i primi sono più nobili dei secondi, oppure gli aspetti eterni della natura a discapito dei suoi momenti contingenti, oppure esalterà ad esempio le macchie che decorano il manto di una tigre ma non le macchie di grasso, ecc 2 0 . Si nota quindi che la facoltà mimetico-imitativa 2 1 , in gioco nell'arte greca, non consiste nella vuota Paragraphen.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 70-71. 20 Portiamo ad esempio le parole stesse di Jean Paul: ”Doch gibt es noch eine reine frische Nebenquelle des griechischen Ideals. – Alles sogenannte Edle, der höhere Stil begreift stets das Allgemeine, das Rein-Menschliche und schließt die Zufälligkeiten der Individualität aus, sogar die schönen. Daher die Griechen (nach Winkelmann) ihren weiblichen Kunstgebilden das reizende Grübchen nicht kiehn, als eine zu individuelle Bestimmung. Die poesie fodert überall (ausgenommen die komische, aus künftigen Gründen) das Allgemeinste der Manschheit; das Ackergeräte z. B. ist edel, aber nicht das Backgeräte; – die ewigen Teile der Natur sind edler als die des Zufalls und des bürgerlichen Verhältnisses; z. B. Tigerflecke sind edel, Fettflecke nicht; – der Teil, wieder in Unterteile zerlegt, ist weniger edel, z. B. Kniescheibe statt Knie; – so sind die ausländischen Wörter, als mehr eingeschränkt, nicht so edel als das inländische Wort, das für uns als solches alle fremde der Menschheit umschließt und darbietet; z. B. das Epos kann sagen die Befehle des Gewissens, aber nicht die Dekrete, Ukasen etc. desselben; – so reicht und herrscht diese Allgemeinheit auch durch die Charaktere, welche sich erheben, indem sie sich entkleiden, wie Verklärte, des individuellen Ansatzes.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 75-76. 21 Scrive Paolo D'Angelo: “La tesi che le arti in genere siano riconducibili a una riproduzione della realtà, a una imitazione della natura, a una mimesi di oggetti o azioni, appartiene infatti al novero delle convinzioni più stabili e diffuse dell'intera estetica occidentale fino a tutto il Settecento, ed è anzi la pietra angolare sulla quale 36 ed inconsapevole riproduzione meccanica di ogni singolo aspetto della natura – come accade nella poesia materialistica –, bensì coincide con una riproduzione mirata di alcuni aspetti che sono stati precedentemente selezionati dallo sguardo critico dell'artista, che li giudica come degni di essere riprodotti. L'artista greco, a detta di Jean Paul, non può esimersi dall'avere a che fare con un modello natura: per questi motivi egli definisce l'arte antica oggettiva o plastica, in quanto non può prescindere dal mondo naturale. In questo processo, però, l'artista deve saper cogliere le varie gradazioni del bello e saperle riprodurre adeguatamente. Ora, in cosa consiste la bellezza per l'uomo greco? Secondo Jean Paul, essa si cela nella “quiete” e nella “gioia serena” – o, secondo le note parole di Winckelmann, che Jean Paul cita espressamente in queste pagine (cfr. ad es. § 19, p. 77), in “una nobile semplicità e una quieta grandezza”. Ci che merita di essere riprodotto dal poeta è ciò che ha in sé il bello, ovvero ciò in cui si possono ravvisare “equilibrio, serenità, bellezza e quiete”. Scrive Jean Paul: “La poesia, imitando l'ostrica perlifera, deve rivestire di sostanza perlacea ogni granello di sabbia grezzo o aguzzo gettato nella vita” 2 2 . E l'artista greco esprime la gioia nella sua arte si edificano la maggior parte delle teorie estetiche che si sono succedute in questo lunghissimo lasso di tempo” ( Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo, Il Mulino, Bologna 1977, pag. 93.). 22 Leggiamo ancora dalla Vorschule: ”Poesie soll, wie sie auch in Spanien sonst hieß, die förhliche Wissenschaft sein und ein Tod zu Göttern und Seligen machen. Aus 37 della poesia attraverso la quiete 2 3 ; al contrario,'inquietudine viene relegati ai generi artistici inferiori, quali ad esempio i drammi satirici o i ritratti 2 4 . In ultima analisi, ciò che per Jean Paul caratterizza l'arte greca è sempre la sua imprescindibile valenza etica, tanto che egli arriva ad affermare che, per i Greci, ogni azione morale è immediatamente poetischen Wunden soll nur Ichor fließen, und wie die Perlenmuschel muß sie jedes ins Leben geworfene scharfe oder rohe Sandkorn mit Perlenmaterie überziehen. Ihre Welt muß eben die beste sein, worin jeder Schmerz sich in eine größere Freude auflöset und wo wir Menschen auf Bergen gleichen, um welche das, was unten im wirklichen. ”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 77. 23 ”Wie drückt nun der Grieche die Freude in seiner Dichtkunst aus? – Wie an seinen Götter-Bildern: durch Ruhe. Wie diese hohen Gestalten vor der Welt ruhen und schauen: so muß der Dichter und sein Zuhörer vor ihr stehen, selig-unverändert von der Veränderlichkeit.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 77. 24 ”In Satyrs und in Porträts legten die Alten ie Unruhe, d. h. die Qual des Sterbens. Es gibt keine trübe Ruhe, keine stille Woche des Leidens, sondern nur die des Frauens, weil auch der kleinste Schmerz regsam und kriegerisch bleibt. Eben die glücklichen Indier setzen das höchste Glück in Ruhen, eben die feurigen Italiener reden von dolce far niente. Pascal hält den Menschen-Trieb nach Ruhe für eine Reliquie des verlorenen göttlichen Ebenbildes. Mit Wiegenliedern der Seele nun zieht uns der Grieche singend auf sein großes glänzendes Meer, aber es ist ein stilles. ”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 78-79. 38 poetica 2 5 e, al contrario, ciò che non è etico non può mai essere poetico 2 6 . 25 ”Die vierte Hauptfarbe ihrer ewigen Bildergalerie ist sittliche Grazie. Poesie löset an sich schon den rohen Krieg der Leidenschaften in ein freies Nachspielen derselben auf, so wie die olympischen Spiele die ernsten Kriege der Griechen unterbrachen und aussetzten und die Feinde durch ein sanfteres Nachspielender Kämpfe vereinigten. Da jede moralische Handlung als solche und als eine Bürgerin im Reiche der Vernunft frei, absolut und unabhängig ist, so ist jede wahre Sittlihkeit unmittelbar poetisch, und die Poesie wird wiederum jene mittelbar. Ein Heiliger ist dem Geiste eine poetische Gestalt, so wie das Erhabne in der Körperwelt. Freiliche spricht die Poesie sich nicht sittlich aus durch das Auswerfen klingender Sentenzen (so wenig als die Gothaner unter Ernst I. sich sehr durch die Dreier werden gebessert haben, auf welche er Bibel-Sprüche prägen lassen), sondern durch lebendige Darstellung, in welcher der sittliche Sinn – so wie der Weltgeist und die Freiheit sich hinter das mechanische Räderwerk der Weltmaschine verbergen – als unsichtbarer Gott mitten über eine sündige freie Welt regieren muß, die er erschafft. ”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 79. 26 ”Das Unsittliche ist nie als solches poetisch, sondern wird es nur durch irgendeine Zumischung; z. B. durch Kraft, durch Verstand; daher ist, wie ich später zeigen werde, nur ein rein-unsittlicher Charachter, nämlich grausame und feige Ehrlosigkeit, unpoetisch, nicht aber ihr Gegensatz, der rein-sittliche Charakter höchster Liebe, Ehre und Kraft. Je größer das Dichtgenie, desto höhere Engelbilder kann dasselbe aus seinem Himmel auf unsere Erde herunterlassen; da es sie aber, so wenig als eine neue Anschauung, willkürlich zusammenbauen oder erfinden, sondern nur in sich finden kann: so besiegelt dies wieder den Bund zwischen Sittlichkeit und Poesie. Man wende nicht ein: je größer ein Milton, desto größer sein Teufel. Denn zur Schilderung der Teufelsuperlativen als umgekehrten Götter 39 ist nicht eine bejahende innere 1.2. La “poesia moderna” tra materialismo, nichilismo e romanticismo Una volta delineati i tratti salienti della poesia antica, si tratta per Jean Paul di tentare una descrizione della poesia moderna che, a suo dire, si articola in tre differenti possibilità, ognuna delle quali si caratterizza in base alla propria relazione con la poesia antica e con il suo modo di rapportarsi alla natura. Abbiamo visto che per gli antichi la poesia svolge il ruolo di imitazione (mimesis) del bello secondo un principio selettivo; la poesia dei moderni, dal canto suo, può essere classificata secondo tre tipologie, a seconda di quanto questo parametro dell'imitazione venga utilizzato dal poeta. I poeti della modernità si caratterizzano in genere o per un uso eccessivo della facoltà imitativa o per un suo rifiuto completo; solo in rari casi il poeta sa mantenere un giusto equilibrio tra l'approccio mimetico degli antichi e quello più fantasioso dei moderni. Secondo la tassonomia proposta da Jean Paul, la poesia moderna è poesia materialistica, laddove la mimesis diviene l'unico parametro attraverso cui relazionarsi alla realtà, la quale viene riprodotta in ogni suo dettaglio sino all'eccesso della minuzia e del particolare, dimenticando che la poesia antica imita non ogni aspetto della natura, bensì il bello di cui la natura, per l'uomo antico, è ebbra. Questo Anschauung, sondern nur eine Verneigung alles Guten vonnöten; wer also am reichsten zu bejahen weiß, vermag am reichsten zu verneinen.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 79-80. 40 spirito materialistico-imitativo, che propone un ritorno all'antico senza avvedersi del travisamento operato sull'atteggiamento degli antichi, non incarna però il vero cuore dell'età moderna che, a detta di Jean Paul, preferisce prendere le distanze dall'antichità, proponendo una forma nuova di poesia, che nelle pagine della Vorschule viene detta poesia nichilistica. I poeti nichilisti sono infatti coloro i quali pretendono di poter fare completamente a meno della facoltà mimetica e, per contro, si affidano intieramente a ciò che caratterizza l'età moderna: la fantasia 2 7 . Secondo Jean Paul la fantasia è una forma 27 Sul tema della fantasia si è espresso ad esempio R.R. Wuthenow: “Alles kann einer werden durch – Phantasie, alles Böse, alles Gute. Sie vermag sogar Autonomie zu verheißen, und sei es auch nur in der bescheidensten Form der Selbstbehauptung – durch Anpassung, Sie ist Weltaneignung, wiewohl auf trügerische Weise. So entfaltet Wutz die Strategien seiner Überlebens-Kunst und macht sich sogar noch zum Autoren der Bücher, die er nicht erwerben kann. So ist Schmelzles Furchtsamkeit nur die Phantasie eines Tapferen. So wird auch Fibel zum Autor, der immerhin die Grundlage aller möglichen Autorschaft (nach-)liefert. Nikolaus Marggraf schließlich hegt die Träume eines ehrgeizigen Bürgers, der er auch als Fürst noch bleibt. Er träumt sich in die Rolle eines setimentalen Prinzen, dem es nicht und politische Aktionen, um Macht und Repräsentation zu tun ist, sondern um Großherzigkeit, Sanftmut, Leutseligkeit. Wer Jean Paul kennt, wird wissen, wovon im Zusammenhang mit Phantasie bei ihm die Rede ist, wie sehr dieses Phänomen von den Anfängen bis zum fragmentarischen Spätwerk beschäftigt hat. Es handelt sich jedoch keineswegs um ein nur Jean Paul betreffendes Problem, aber er vor allem hat es beinahe in seinem ganzen Werk stets neu behandelt, in immer neuen Varianten erfaßt und durchgespielt, in der harmlosen, heiteren, liebenswürdigen wie in der folgenschweren, abgründigen Form die tragische Konsequenzen nicht ausschließt. Hiervon zeugt insbesondere die Gestalt des Roquairol im <<Titan>>, den der Erzähler gewiß nicht ohne weitere Absicht als Kind und Opfer seiner Epoche bezeichnet„ (R A L P H -R A I N E R W U T H E N O W , “Verfürung durch Phantasie”, Jean-Paul-Gesellschaft Bayreuth. Nachdruck, auch auszugsweise, 41 distorta di immaginazione che porta a generare un mondo altro del tutto privo di relazione con la natura, dando in questo modo vita a eccessi di scarso pregio e valore: questo l'atteggiamento tipico del nichilista che, sul piano estetico, produce un'opera completamente distaccata dal mondo; sul piano metafisico, al pari di Fichte, dà vita a un sistema idealistico basato sulla folle pretesa dell'io di essere il fondamento del mondo; e sul piano morale, invece, genere una perdita complessiva di valori da cui la degenerazione dell'epoca moderna. Tra queste due estremità pochi tra i moderni hanno saputo trovare un sensato equilibrio che sappia conciliare, accogliendola ma anche superandola dialetticamente, la lezione degli antichi con la nuova potenza immaginativa dei moderni: stemperando la fantasia nell'immaginazione, ossia lasciando che in essa agisca anche la mimesis in quanto selettiva imitazione del bello nella natura, il poeta moderno autentico, ossia il poeta romantico, si mostra come colui che, per mezzo della facoltà del genio, sa calibrare correttamente la propria facoltà immaginativa, accostando ad essa l'altro elemento fondamentale che distingue l'età moderna da quella antica: l'ironia. Nell'attenta analisi che Jean Paul compie sulla modernità l'ironia, che verrà classificata secondo i suoi momenti essenziali del comico, dell'umorismo e dell'arguzia, troverà proprio in quest'ultima la sua essenza più propria. In quest'ottica, anche Paolo D'Angelo fa notare che il romanticismo è caratterizzato da un vero e proprio superamento del principio di nur mit Genhmigung der Jean-Paul-Gesellschaft. Druck: Buch- und Offsetdruckerei Emil Mühl Bayreuth GmbH – 1993, p. 92). 42 imitazione; egli scrive: “Se si ricorda che per il romanticismo l'arte è produzione di verità, che per i romantici noi ci apriamo la via alla conoscenza del mondo innanzitutto attraverso l'attività artistica, si comprende subito agevolmente il percorso che condusse l'estetica romantica a uno dei suoi risultati di più ampia portata, a una trasformazione che segna un netto discrimine rispetto alle teorie precedenti: l'abbandono definitivo del principio di imitazione. Se l'arte è creatrice e instauratrice di verità, se è l'arte a dare l'accesso alla realtà, è evidente che non è più in alcun modo possibile pensare l'arte come legata a un mondo o una verità preesistenti da un vincolo di fedeltà, di imitazione” 2 8 . Notiamo che Jean Paul è stato di ciò un interprete molto acuto, ravvisando tra i suoi contemporanei sia la tendenza ad abbandonare, o in parte (poesia romantica) o del tutto (poesia nichilistica) il principio imitativo, sia la tendenza, carsica e meno frequente, a rifiutare la modernità stessa operando un ritorno eccessivo ed esasperato al mondo dell'antichità (poesia materialistica), che in genere viene criticato dai romantici, come sottolinea anche D'Angelo: “Il concetto di imitazione è ancora centrale tanto per il classicismo francese, contro il quale quasi tutti i romantici polemizzano esplicitamente, quanto per i teorici tedeschi della generazione precedente a quella romantica, per esempio Lessing e Winckelmann, dei quali invece almeno i componenti del gruppo di Jena si sentono piuttosto eredi e continuatori. Attraverso la critica al principio di imitazione, dunque, i romantici definiscono nel modo più netto la distanza che li separa dai loro predecessori, e operano nel 28 Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo, Il Mulino, Bologna 1977, pag. 93. 43 paraigma della teoria dell'arte una rottura destinata a non ricomporsi” 2 9 . In questo senso D'Angelo può affermare che l'estetica romantica, a differenza di quella precedente, non è un'estetica della ricezione o fruizione dell'opera, bensì un'estetica della produzione, della creazione artistica: di qui le riflessioni di Jean Paul e dei suoi contemporanei su concetti quali quello di immaginazione, fantasia, genio, arguzia, ecc. “Il romantico, insomma”, prosegue D'Angelo, “avversa la teoria tradizionale dell'imitazione perché essa presuppone un'attitudine meramente ricettiva e passiva, in luogo di quella autonoma e creativa che egli richiede all'artista [...]. La poesia e l'arte non sono registrazioni di impressioni, ma produzioni attive, il cui movimento va dall'interno verso l'esterno e non viceversa: poetare è generare” 3 0 . 29 Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo, cit., pagg. 94-95. 30 Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo, cit., pag. 96. 44 C A PITOL O S ECONDO L A “ POES IA MA TE RIAL IS TICA ” E LA “ POE S IA NICHIL IS TICA ” IN J EA N P AU L 2.1. La “poesia materialistica” Nelle prime righe del primo capitolo della Vorschule Jean Paul, citando Aristotele, esordisce ponendo la questione se l’essenza della poesia possa essere ricondotta alla bella imitazione della natura, e nota che questa è, seppur negativamente, la miglior definizione possibile, dal momento che esclude due estremi: il nichilismo poetico e il materialismo poetico 3 1 . L’epoca contemporanea, scrive Jean Paul, risulta caratterizzata da tre elementi: anzitutto un culto sfrenato dell’io, seguito da una perdita dei valori tradizionali (dalla religione alla patria, ecc.), e accompagnato infine da una visione del mondo volta ad escludere che la natura possa essere considerata frutto della creazione di un creatore 3 2 ; questi 31 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 30. 32 Ivi, pag. 31, dove si legge: “Es folgt aus gesetzlosen Willkür des jetzigen Zeitgeistes – der lieber ichsüchtig die Welt una das All vernichtet, um sich nur freien Spiel-Raum im Nichts auszuleeren, und welcher den Verband seiner Wunden als eine Fessel abreißet –, daß er von der Nachahmung und dem Studium der Natur verächtlich 45 risultano essere, in ultima analisi, i tratti fondamentali di quel fenomeno che verrà specificandosi come “nichilismo” 3 3 . Se i poeti antichi fondano il loro atto creativo sull’imitazione della natura, i poeti romantici moderni utilizzano piuttosto la facoltà del genio, che ha la caratteristica di creare una nuova natura 3 4 . Ci sprechen muß. Denn wenn allmählich die Zeitgeschichte einem Geschichtschreiber gleich wird und ohne Religion und Vaterland ist: so muß die Willkür der Ichsucht sich zuletzt auch an die harten, scharfen Gebote der Wirklichkeit stoßen und daher lieber in die Öde der Phantasterei verfliegen, wo sie keine Gesetze zu befolgen findet als eigne, engere, kleinere, die des Reim- und Assonanzen- Baues. Wo einer Zeit Gott, wie die Sonne, untergehet; da tritt bald darauf auch die Welt in das Dunkel; der Verächter des All achtet nichts weiter als sich und fürchtet sich in der Nacht vor nichts weiter als vor seinen Geschöpfen. Spricht man denn nicht jetzo von der Natur, als wäre diese Schöpfung eines Schöpfers – worin ihr Maler selber nur ein Farbenkorn ist – kaum zum Bildnagel, zum Rahmen der schmalen gemalten eines Geschöpfes tauglich; als wäre nicht das Größte gerade wirklich, das Unendliche? Ist nicht die Geschichte das höchste Trauer- und Lustspiel?”. 33 Cfr. ad es. Jean Paul, Scritti sul nichilismo, Morcelliana, Brescia 1997; F. Masini, Alchimia degli estremi. Studi su Jean Paul e Nietzsche, Parma 1967; Id., Nichilismo e religione in Jean Paul, Bari 1974; W. Rehm, Jean Paul - Dostoevskij. Eine Studie zur dichterischen Gestaltung des Unglaubens, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1962. 34 Ivi, pagg. 32-33, dove si legge: “Wie die bildende und zeichnende Kunst ewig in der Schule der Natur arbeitet: so waren die reichsten Dichter von jeher die anhänglichsten, fleißigsten Kinder, um das Bildnis der Mutter Natur andern Kindern mit neuen Ähnlichkeiten zu übergeben [...]. Bei gleichen Anlagen wird sogar der unterwürfige Nachschreiber der Natur uns mehr geben (und wären es Gemälde in Anfangbuchstaben) als der regellose Maler, der den Äther in den Äther mit Äther malt. Das Genie uterscheidet sich eben dadurch daß es die Natur reicher und vollständiger sieht, so wie der Mench vom halbblinden und halbtauben Tiere; mit jedem Genie wird uns eine neue Natur erschaffen, indem es die alte weiter enthüllet. 46 troviamo dunque dinanzi a due polarità opposte: la mera imitazione della natura, da una parte, e pretesa del genio, dall’altra, di creare qualcosa di inedito. Jean Paul vuole mostrare come l’elemento più proficuo consista in una compenetrazione di questi due aspetti e non nell’esaltazione esasperata di uno di essi, dalla quale avrebbero appunto luogo due forme estreme di poesia: quella nichilistica e quella materialistica appunto. La poesia nichilistica 3 5 è per Jean Paul una delle prime modalità della poesia moderna: possono essere definiti poeti nichilisti coloro i quali presuppongono una visione del mondo dominato dal caso, in cui tutti i valori tradizionali vengono rinnegati in favore del culto dell’Io. I poeti nichilisti, a differenza dei poeti antichi, non si limitano ad una semplice riproduzione della natura, che sarà sempre insufficiente in quanto non potrà mai esaurire il proprio modello; essi pretendono piuttosto di creare la loro opera indipendentemente da qualsiasi regola 3 6 . Alle dichterische Darstellungen, welche eine Zeit nach der andern bewundert, zeichnen sich durch neue sinnliche Individualität und Auffassung aus”. 35 A tal proposito si veda, oltre al volume di Eduard Berend, Jean Pauls Ästhetik, cit., anche il testo di Waltraud Wiethölter, Witzige Illumination. Studien zur Ästhetok Jean Pauls, cit., in particolare da pag. 68 a pag. 82. 36 Scrive: Walther Harich: “In dem ersten ‘Programm’, wie Jean Paul die einzelnen Abteilungen der Vorschule bezeichnet, stellt er die ‘poetischen Nihilisten’ und die ‘poetischen Materialisten’ einander entgegen. Schon diese Definitionen zeigen die Frontstellung an. Unter Nihilisten versteht 47 er jene Kunstrichtung, deren D’altro canto, la poesia materialistica, modellata sulla lezione degli antichi senza però coglierla nel suo significato ultimo, risulta essere il contraltare della poesia nichilistica, dal momento che consiste soltanto in una piatta imitazione della natura, priva di utilità, come scrive lo stesso Jean Paul. Partendo dall’analisi di queste due forme di poesia, Jean Paul ci conduce nel cuore di una tematica squisitamente estetologica, ossia il tema della imitazione della natura (Nachahmung der Natur), rigettata dai nichilisti poetici ed esasperata dai materialisti poetici. Jean Paul prende le distanze da entrambe queste due possibili impostazioni, che Formensprache des Untergrundes der Wirklichkeit entbehrt. Es ist der gleiche Vorwurf, den er von jeher der Weimarischen Schule machte und den er jetzt, entsprechend den ‘Titan’ (‘Liane’), auch auf die Romantiker von der Reiheit und Durchsichtigkeit eines Novalis ausdehnt. Unter den Materialisten fertigt er die platten rationalistischen Nachahmer der Natur, wie Hermes, Brockes oder Gellert, ab. Auch gegen Kants Ästethik wendet er sich. Kant suchte, wie das rein sittlich Gute, so auch das ästhetisch Vollendete durch Isolierung des Begriffs. Jean Paul hingegen hat als obersten Leitpunkt ständig das Leben selbst im Auge. ‘Dem Nihilisten mangelst der Stoff und daher wieder die Form, kurz, beide durchschneiden sich in Unpoesie’ Der rechte Dichter ‘wird begrenzte Natur mit der Unendlichkeit der Idee umgeben, und jene wie auf einer Himmelsfahrt in diese verschwinden lassen’. Damit war kurz umrissen, was Jean Paul unter Dichtung oder Kunst überhaupt versteht. Schon hier wird die Methode des Buches klar: er leitet nicht Begriffe aus Begriffen ab, sondern sucht durch Bilder und Metaphern sein Ideal der Kunst erlebbar zu machen. Er baut nicht ein lückenloses System der ästhetischen Werte auf, sondern er fügt Stein auf Stein sein Kunsterlebnis in das Leben ein, wie es von jedem klar gefühlt und erlebt wird.” (Walther Harich, Jean Paul, H. Haessel Verlag, Leipzig 1925, pagg. 616-617). 48 non sono altro che forme di non-poesia (Unpoesie), mostrando che la creazione artistica non può prescindere del tutto dall’imitazione, ma che tale imitazione non deve però ridursi ad un mero tentativo di riproduzione del reale, bensì deve darsi in quanto opera del genio, che per definizione deve già sempre produrre una nuova natura. Il quarto paragrafo del primo capitolo si intitola infatti “Precisazione sulla bella imitazione della natura”, e arriva appunto a stabilire che la poesia non deve limitarsi a copiare dei modelli né pretendere di poter creare una natura ex novo e svincolata da ogni modello, ma deve perseguire la bella imitazione, ossia l’equilibrio tra questi due estremi, che deve sì avere come fine l’elaborazione di una copia, la quale deve però poter risultare più ricca del modello 3 7 . E questo qualcosa in più altro non è 37 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 43, dove si legge: “Wir kommen zum Grundsatze der poetischen Nachahmung zurück. Wenn in dieser Abbild mehr als das Urbid enthält, ja sogar das Widerspiel gewährt – z. B. ein gedichtetes Leiden Lust –: so entsteht dies, weil eine doppelte Natur zugleich nachgeahmt wird, die äußere und die innere, beide ihre Wechselspiegel. Man kann dieses mit einem scharfsinnigen Kunstrichter sehr gut ‘Darstellung der Ideen durch Naturnachahmung’ nennen. Das Bestimmtere gehört in den Artikel vom Genie. Die äußere Natur wird in jeder innern eine andere, und diese Brotverwandlung ins Göttliche ist der geistige poetische Stoff, welcher, wenn er echt poetisch ist, wie eine anima Stahlii seinen Körper (die Form) selber bauet, und ihn nicht erst angemessen und zugeschnitten bekommt. Dem Nihilisten mangelt der Stoff und daher die belebte Form; kurz, beide durchschneiden sich in Unpoesie. Der Materialist hat die Erdscholle, kann ihr aber keine lebendige Seele einblasen, weil sie nur Scholle, nicht Körper ist; der Nihilist will beseelend blasen, hat aber nicht einmal Scholle. Der rechte Dichter wird in seiner Vermählung der Kunst und Natur sogar dem Parkgärtner, welcher seinem Kunstgarten die 49 che il prodotto del genio, che deve creare una nuova natura, senza avere però la presunzione di poter agire senza alcun sostrato di partenza da imitare per poter originare la propria opera. Il genio, da una parte, e l’ironia, dall’altra, si mostreranno come i due tratti distintivi caratterizzanti la poesia moderna – ma su questi aspetti torneremo nelle prossime pagine. Vediamo dunque che in queste prime pagine della Vorschule Jean Paul ha già delineato i tratti essenziali di quel fenomeno, detto nichilismo, che vedremo poi approfondito i due luoghi molto significativi della sua produzione letteraria: il “Discorso che Cristo morto tenne dall’alto dell’universo sulla non esistenza di Dio”, contenuto nel romanzo Siebenkäs, e la “Clavis fichteana”, in appendice al romanzo Titan. Nella Vorschule der Ästhetik viene abbozzata una nozione di nichilismo connessa, in sede estetica, con una rinuncia totale al principio di imitazione ad opera di un genio che pretende presuntuosamente di poter fare a meno di ogni modello, e, in sede etica, con una perdita di valori, religiosi e socio-culturali, strettamente correlata con un culto sfrenato dell’io, la cui genesi viene da Jean Paul ravvisata nella filosofia di Fichte quale reazione esasperata e Naturumgebungen gleichsam als schrankenlose Fortsetzungen desselben anzuweben weiß, nachahmen, aber mit einem höhern Widerspiele, und er wird begrenzte Natur mit der Unendlichkeit der Idee umgeben und jene wie auf einer Himmelfahrt in diese verschwinden lassen”. 50 nichilistica della filosofia trascendentale di Kant – come vedremo nei prossimi paragrafi. 2.2. La “poesia nichilistica” In conclusione, le tre forme artistiche che, a detta di Jean Paul, caratterizzano l'età moderna, sono dunque il Romanticismo, il Materialismo e il Nichilismo, laddove queste ultime due non sono altro che variazioni esasperate della prima. Ricapitolando, potremmo dire che il Materialismo è il tentativo di negare lo spirito romantico, attraverso una inattuale ripresa delle metodologie estetologiche antiche, fraintendendole e banalizzandole. Il materialista poetico rifiuta infatti di avvalersi della facoltà del genio e pretende di utilizzare soltanto la facoltà dell'imitazione, attraverso cui riprodurre inutili copie della natura, senza avvedersi del fatto che la mimesis, per l'artista greco, era qualcosa di altro: una imitazione della natura, sì, ma che ne prediligeva e isolava gli aspetti più belli (ossia dotati di ordine, armonia e serenità), al fine sensibilizzare ed educare lo spettatore. Il poeta romantico è invece colui il quale coglie in modo positivo la lezione degli antichi, senza fossilizzarsi su di essa: egli sviluppa il concetto di mimesis attraverso gradi diversi, attraverso le facoltà della 51 fantasia (o immaginazione) e del genio, che le racchiude tutte. La fantasia è anzitutto fantasia ricettiva, ossia immaginazione riproduttiva, e di poco si discosta dalla mimesis degli antichi. Essa può però svilupparsi sempre più, sin quasi a perdere il controllo di se stessa. Il poeta nichilista è dunque colui che fa un uso illecito e sfrenato degli strumenti utilizzati dal poeta romantico: egli sa portare le facoltà della fantasia e del genio ai loro estremi, laddove la fantasia diviene “la grande immaginazione creatrice di finzioni” e il genio una sorta di “arbitrio ribelle ad ogni legge, [che] sacrifica il mondo e il tutto al culto sfrenato dell'Io, per liberarsi nel nulla in un libero spazio di gioco [...]. Quando la storia di un'epoca si mette ad assomigliare ad uno storico, e non ha più né religione né patria, il furore dell'Io, nel suo arbitrio, viene fatalmente contro le regole dure e taglienti della realtà; essa ama di più volare nel deserto delle chimere, dove essa si trova ad osservare solo le piccole regole particolari e ristrette della combinazione delle rime e delle assonanze. Là dove Dio, un tempo, come il sole, scompariva all'orizzonte, il mondo non tarda ad entrare nelle tenebre; lo spregiatore del tutto non tiene conto che di se stesso e non teme, in questa notte, che le sue stesse creature” 3 8 . Non è difficile notare che il tratto più caratteristico, interessante ed anche innovativo del pensiero di Jean Paul consiste non tanto nella teorizzazione della 38 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 31. 52 poesia romantica, già tentata svariate volte in quegli anni, ma proprio nella determinazione di quelle forme che da essa hanno origine ma che possono prendere una via del tutto autonoma. Questo è senza dubbio il caso del Nichilismo, che non a caso, negli anni successivi, diverrà il fenomeno cultura più ampiamente diffuso e forse anche maggiormente stimolante. Ciò che in questa sede vogliamo mostrare (senza pretese di originalità, dato che è già stato tentato in molti altri luoghi, ma semplicemente ripetendo quanto è già stato detto attraverso le parole di un autore cui la storia del pensiero non ha forse ancora dato il giusto peso) è proprio la genesi romantica di quel fenomeno che è il Nichilismo, che non viene per l'appunto inventato ex nihilo, ma che affonda le proprie radici in quell'humus fertile e variegato che è la cultura Protoromantica e Romantica, sviluppatasi a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, cui Jean Paul Richter ha a suo modo contribuito. 2.3. Altre forme di nichilismo nei romanzi di Jean Paul Il Nichilismo è dunque la vera cifra dell'età moderna, ossia l'ultimo sviluppo del Romanticismo, che ne accentua ed al tempo stesso ne esaspera tratti essenziali. 53 La nozione di “nichilismo”, che si mostrerà particolarmente utile all'interno della nostra trattazione in quanto risulterà strettamente con un'altra nozione, quella di “ironia” (che verrà in seguito presa in esame, quale altro elemento fondamentale della poesia romantica, o meglio, dell'epoca contemporanea tout court, tanto nel suo aspetto romantico quanto in quello nichilistico), non soltanto – come abbiamo già visto – viene affrontata ed esposta da Jean Paul tra le prime pagine del suo capolavoro filosofico ed estetologico, la Vorschule der Ästhetik, ma viene inoltre tratteggiata, attraverso un approccio di diverso genere, in alcuni dei suoi romanzi, e in particolare nel “Discorso che Cristo morto tenne dall’alto dell’universo sulla non esistenza di Dio”, contenuto nel romanzo Siebenkäs, e nella “Clavis fichteana”, in appendice al romanzo Titan. Scrive a tal proposito Paolo D'Angelo: “Nel romanticismo, e anche nel primo romanticismo, non ci sono soltanto toni squillanti, attese piene di fede, impeti rivoluzionari, non si guarda alla storia esclusivamente come alla garanzia di una palingenesi. Non meno caratteristici sono atteggiamenti del tutto diversi, anzi antitetici, nei quali l'oscurità e la notte prendono il posto della luce, la disperazione quello della speranza, l'incredulità quello della fede, e invece di annunciare la pienezza di senso della storia si dà espressione alla pura insensatezza del mondo” 3 9 : questo è il fenomeno che chiamiamo 39 Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo, cit., pagg. 83-84. 54 nichilismo 4 0 . “È stato in particolare il filosofo F.H. Jacobi (1743-1819) ad utilizzare il termine nella sua polemica con le dottrine di Fichte. In alcune lettere dirette a quest'ultimo, fatte circolare nella primavera del 1799 e stampate nell'autunno dello stesso anno, Jacobi interpretava il soggettivismo fichtiano e la sua costruzione che fa scaturire tutto dall'io come una negazione di ogni più seria realtà e di ogni fede. L'esaltazione della produttività del soggetto, risolvendo ogni ente nell'io, fa sì che ogni cosa diventi nulla al di fuori della mia immaginazione. L'idealismo è un nichilismo e conduce all'ateismo” 4 1 . In questo panorama si inseriscono le posizioni di Brentano, Von Kleist, Tieck, Wackenroder e soprattutto Jean Paul, che affronta il tema del nichilismo in quanto perdita di valori e in quanto culto sfrenato dell'io rispettivamente nel Discorso del Cristo morto e nella Clavis fichteana che ora andremo ad analizzare. 40 Ovviamente il termine non va confuso con quello tanto usato da Nietzsche in poi: “Se per indicare questi aspetti si fa ricorso alla parola 'nichilismo', il lettore non pensi ad un anacronismo in cui si incorra per sfruttare il potere suggestivo di un termine che, da Nietzsche in poi, non ha cessato di dominare il dibattito filosofico. Per quanto, infatti, l'impiego della dizione 'nichilismo' venga comunemente fatto risalire appunto a Nietzsche per quel che riguarda le sue valenze filosofiche, e al romanziere russo Turgenev (in particolare al suo romanzo Padri e figli, del 1862) per le sue valenze letterarie e socio-politiche, pure è certo invece che le prime occorrenze rilevanti del nome e della cosa risalgono proprio all'epoca romantica” (Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo, cit., pag. 84). 41 Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo, cit., pag. 84. 55 2.3.1. Il Discorso del Cristo morto Parlando di “morte di Dio”, ovvero dell'arcinota sentenza che risuona quale emblema del nichilismo novecentesco, non si può ovviamente non pensare a Nietzsche, che ha elaborato e sviluppato questo concetto che ha avuto così tanta fortuna sino ai nostri giorni. Eppure, non tutti sanno che questa idea della “morte di Dio” era già stata sviluppata, seppur in modi e con parole diverse, da Jean Paul all'interno del “Discorso che Cristo morto tenne dall’alto dell’universo sulla non esistenza di Dio”, contenuto, come “Primo pezzo fiorito”, nel romanzo Siebenkäs, il cui titolo completo suona come: Blumen-, Fruchtund Dornenstücke, oder Ehestand, Tod und Hochzeit des Armenadvokaten F. St. Siebenkäs (Fiori, frutti e spine, ossia vita coniugale, morte e nozze dell'avvocato dei poveri F. St. Setteformaggi). Tale romanzo è comparso anzitutto in una prima edizione, datata 1796, e poi in una edizione definitiva, fortemente rielaborata, nel 1818. Anzitutto, come fa notare Adriano Fabris nella sua “Prefazione” a Jean Paul, Scritti sul nichilismo 4 2 , in cui è riportata una versione italiana del celebre dialogo, questo Discorso va collocato all'interno del romanzo che lo contiene, nonché all'interno delle altre opere di Jean Paul, soprattutto dove contengono rimandi ad esso o dove, in qualche modo, lo anticipano, come ad esempio la “Lamentazione di 42 Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 7 e ss. 56 Schakespeare morto, fra ascoltatori morti nella chiesa, in cui si proclama che non vi è Dio alcuno”, nonché il “Secondo pezzo fiorito” del Siebenkäs, ossia “Il sogno nel sogno” 4 3 . Pur tenendo conto di tutti questi passi, chi scrive si limiterà però, in questa sede, ad estrapolare da tutti questi materiali, e il particolare dal “Discordo del Cristo morto”, ciò che potrà risultare utile ai fini della presente trattazione. 43 Scrive a questo proposito Adriano Fabris: “Isolare [...] questo brano dal contesto più ampio in cui si trova inserito comporta il rischio di avallare un'interpretazione parziale ed inadeguata di esso. In primo luogo, infatti, il Discorso del Cristo morto rappresenta il punto d'arrivo di una particolare ricerca espressiva condotta da Jean Paul:una ricerca che è scandita da alcuni momenti letterari altrettanto ricchi di invenzioni linguistiche, e tuttavia non così famosi come il Primo pezzo fiorito del Siebenkäs. Fra di essi spicca, accanto ad altri scritti, la Lamentazione di Schakespeare morto, fra ascoltatori morti nella chiesa, in cui si proclama che non vi è Dio alcuno : un breve testo contenuto a sua volta, come Primo intermezzo serio, all'interno della Baierische Kreuzerkomödie (la cui elaborazione risale alla seconda metà del 1789). In tale scritto è la figura di Schakespeare quella che di notte, da dietro l'altare di una chiesa abitata da spiriti inquieti, afferma che Dio non esiste. [...] In secondo luogo, poi,lo stesso Discorso del Cristo morto dev'essere considerato nel quadro complessivo di quel romanzo, Siebenkäs, all'interno del quale esso compare come Primo pezzo fiorito. Per un verso, infatti, può essere mostrato come alcuni dei motivi presenti nel Discorso ricorrano anche entro la struttura narrativa del Siebenkäs, e trovino in esso sviluppo in una chiave ironica. Per l'altro verso, soprattutto, bisogna tenere nel giusto conto il fatto che, in quest'opera, a seguire il Primo, compare un Secondo pezzo fiorito, Il sogno nel sogno. A ben vedere, infatti,in quest'ultimo scritto la prospettiva del Discorso del Cristo morto risulta per molti aspetti rovesciata: ad esso sembra quasi indicare, se letto in relazione con il brano che lo precede, una possibile via d'uscita, letterariamente elaborata, al prepotente incombere del nichilismoche quel testo illustrava.” (A. Fabris, “Prefazione”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., pp. 8 e 9). 57 Jean Paul distingue tra varie modalità di nichilismo, e quella che compare qui di seguito concerne quella “perdita di valori”, che abbiamo già trovato tra le prime righe della Vorschule der Ästhetik. Dio rappresenta infatti tutti i valori, e l'annuncio della sua morte o della sua non esistenza sta ad indicare quel complesso fenomeno, caratteristico dell'epoca contemporanea, secondo il quale i valori tradizionali si dissolverebbero in un mero e vuoto nulla. Il “Discorso che Cristo morto tenne dall’alto dell’universo sulla non esistenza di Dio” è un breve brano, di una decina di pagine, in cui viene narrato un sogno inquietante. In una delle precedenti versioni, o meglio, in uno degli abbozzi preparatori della “Lamentazione di Shakespeare morto”, riportato in una pagin del diario di Jean Paul (fasc. 13c) datata 3 agosto 1989 4 4 , il Nostro utilizza come titolo: “Rappresentazione dell'ateismo. Egli predica che non vi è Dio alcuno”. Il “Discorso del Cristo morto”, sin dai suoi primi abbozzi, vuole dunque essere una “rappresentazione dell'ateismo” – o, potremmo dire, del “nichilismo” torut court. Qui Jean Paul mette in scena un'angusta, tetra ed angosciosa (per usare le sue stesse parole) immagine onirica, che lascia inorriditi come facendo esperienza del “velenoso miasma” cui va incontro chi per la prima volta s'imbatte in quell'esperienza che è l'ateismo. 44 Cfr. Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 19. 58 Contenuto del “Discorso” Così esordisce Jean Paul, nelle due paginette che introducono il “Discorso”: “Lo scopo di quest'opera è la giustificazione della sua stessa audacia. Gli uomini negano l'esistenza di Dio con la stessa pochezza di sentimento che, ai più, consente di ammetterla. Persino nei nostri veraci sistemi raccogliamo, come avidi collezionisti di numismatica, unicamente parole, gettoni e medaglie; – e solo successivamente trasformiamo le parole in sentimenti e le monete in possessi. Si può credere per vent'anni all'immortalità dell'anima – – ma solo al ventunesimo, in un istante grandioso, ci si stupisce del ricco contenuto di questa fede, del calore che offre una tale sorgente di combustione” 4 5 . Già da queste prime battute si nota lo spirito audace e polemico attraverso cui Jean Paul vuole trattare il tema, allora tanto discusso, dell'ateismo, laddove questo va inteso come una delle manifestazioni possibili, e forse la più alta, di quel fenomeno che viene a delinearsi tra le pagine di Jean Paul assumendo il nome di “nichilismo”. Egli prosegue: “Allo stesso modo sono rimasto inorridito dal velenoso miasma che spira soffocante incontro al cuore di chi, per la prima volta, s'avventura nell'edificio dottrinario dell'ateismo. La negazione dell'immortalità mi fa meno male di quella della divinità: in quel caso, non perdo nient'altro che un mondo coperto da coltri nebbiose; in questo, vengo a perdere il mondo presente, il sole che lo 45 Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 23. 59 illumina; l'intero universo spirituale viene spaccato e frantumato in innumerevoli punti-io, come di mercurio, i quali brillano, stillano, errano, fuggono, incontrandosi e separandosi, senza unità né consistenza” 4 6 . Negare Dio significa non soltanto perdere la speranza di una vita ultraterrena, bensì tutto ciò che si possiede nella vita attuale, che improvvisamente di tramuta in un'orrida e cieca casualitò priva di consistenza e di valore. Infatti egli può proseguire dicendo: “Nessuno è così solo nel Tutto come colui che nega Dio – costui, avendo perduto il Padre più grande, si trova in lutto, con il cuore orfano, accanto allo smisurato cadavere della natura, il quale non è più animato e unito dallo spirito del mondo, e che s'accresce nella tomba; e il miscredente s'affligge così a lungo, fino a quando egli non si stacca, sfaldandosi, da quel cadavere. Davanti a lui sta immobile il mondo intero, come la grande Sfinge egizia di pietra semisdraiata nella sabbia; e il Tutto è la fredda maschera di ferro dell'informe eternità” 4 7 . Notiamo anzitutto che qui si parla di un vero e proprio “lutto” per aver “perduto il Padre più grande”, e in conseguenza di ciò il cuore dell'uomo è “orfano accanto allo smisurato cadavere della natura”: qui non si sta parlando semplicemente dell'ateismo inteso come “non esistenza di Dio”, bensì di quel concetto, sottilmente differente, che diverrà centrale nel pensiero di Nietzsche: la “morte di Dio”. Ovvero, 46 Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., pp. 23-24. 47 Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 24. 60 Dio è pensato non come qualcosa di inesistente, bensì come una sorta di nozione storica, che ha trovato senso in determinate epoche e che invece nell'epoca del nichilismo, ossia nelle estreme propaggini della cultura romantica propria dell'età moderna, risulta non più possibile, e dunque destinato a venir meno, a soccombere. Questo è il nichilismo: la vita nell'epoca della consapevolezza dell'impossibilità di Dio, ovvero di tutti i valori che, sul piano assiologico, possono dare una direzione alla vita dell'uomo: per questo gli individui sulla terra, orfani di Dio, sono come schegge impazzite o – per usare l'esempio di Jean Paul – gocce di mercurio che rotolano in ogni direzione, unendosi e dividendosi senza sosta e senza criterio. Il Dio che viene meno non è il “Padre buono” che dona l'immortalità, di cui si può ben fare a meno, bensì il “Padre più grande”, ossia il supremo garante dell'ordine e della regolarità della natura: se esso viene meno, ciò di cui ne va è questo ordine stesso, la cui perdita porta ad uno stato di confusione e di caos, ad una bruta ed informe casualità, ad un atomismo democriteo in cui ogni certezza viene meno. Di qui l'estrema solitudine di chi nega l'esistenza di Dio. Dopo questa breve introduzione, che svolge la funzione di cornice, ha inizio la narrazione vera e propria, ossia il racconto di questa tremenda visione onirica ambientata nella chiesa di un camposanto a mezzanotte, ossia “nell'ora in cui il nostro sonno sfiora l'anima sino a 61 toccarla, oscurando anche i sogni, [e] i morti si levano dal sepolcro e scimmiottano nelle chiese il servizio divino dei vivi” 4 8 . Il sogno si svolge dunque di notte, in un camposanto, ovvero in un tipico scenario romantico, dove, al chiaro di luna, i morti escono dalle loro tombe per recarsi nella chiesa attigua: “tutte le tombe erano scoperchiate, e le porte di ferro dell'ossario si aprivano e si chiudevano aperte da mani invisibili. Sui muri fluttuavano ombre che nessuno proiettava, e altre tombe vagavano ritte nell'aria” 4 9 . Vengono qui evocate immagini fortemente nichilistiche, dai sarcofagi vuoti alle mani invisibili, dalle ombre che nessuno proietta alla morte stessa: si tratta cioè di modi attraverso cui evocare quel nulla che verrà pienamente descritto laddove si proclamerà la non esistenza di Dio, ovvero la sua morte. Il racconto prosegue con la descrizione di altre immagini simili; dopodiché entra in scena “una figura alta e nobile, accompagnata da un dolore inestinguibile” 5 0 : Gesù Cristo. Vedendolo, “tutti i morti gridarono: 'Cristo! Non c'è Dio alcuno?'. Egli rispose: 'Non c'è'. L'ombra di ogni defunto tremò tutta intera, non solamente nel petto, e per questo tremito ciascuna fu disgiunta dall'altra. Cristo proseguì: 'Ho attraversato i mondi, sono salito fino ai soli e ho percorso a volo, lungo le vie lattee, i deserti del cielo; ma non c'è Dio 48 Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 25. 49 Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 25. 50 Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 26. 62 alcuno. Sono disceso fin dove l'essere proietta le sue ombre e ho scrutato nell'abisso gridando: 'Dove sei tu, Padre?'. Ma ho udito solamente l'eterna tempesta che nessuno governa, mentre il variopinto arcobaleno degli esseri, senza che vi fosse un sole a crearlo, s'inarcava e sgocciolava sopra l'abisso. E quando levai lo sguardo al mondo sconfinato, cerando l'occhio divino, esso mi fissò con una vuota orbita senza fondo; e l'eternità si stendeva sopra il caos e lo erodeva e ruminava se stessa. – Continuate a risuonare, o note dissonanti, stridete sino a dissolvere le ombre; poiché Egli non c'è'” 5 1 . In questo passo è racchiuso il cuore del “Discorso che Cristo morto tenne dall’alto dell’universo sulla non esistenza di Dio”, in cui emerge con forza ciò che Jean Paul intende con Nichilismo: un mondo privo di valori, su cui regna il caos, in cui il solo garante dell'ordine morale e fisico, Dio, è venuto meno. L'ateo non è colui il quale s'avvede della non esistenza di Dio, bensì colui che compie di sua mano il deicidio, come si vede bene da alcune parole dette da Cristo. Anzitutto egli dice che, “cercando l'occhio divino, esso [lo] fissò con una vuota orbita senza fondo”: al pari dei morti descritti poche righe più su, anche l'occhio di Dio risulta vuoto, ossia si è putrefatto a seguito della sua morte – nessuna orbita vi sarebbe, infatti, se egli non fosse mai stato, ossia, un'orbita vuota è appartiene propriamente ad un cadavere che si sta decomponendo (si notino qui queste lugubri immagini, che a detta di 51 Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., pp. 26-27. 63 Jean Paul sono tipiche della poetica romantica a differenza di quella antica). Inoltre, poche righe più sotto, egli dice che “siamo tutti orfani” (e si è orfani, è ovvio, di un padre che è venuto a mancare, ma che prima esisteva): “Le ombre sbiadite volarono via, e scomparvero come il bianco vapore del gelo si dissolve a un soffio caldo; e tutto si fece vuoto. Giunsero allora nel tempio, spettacolo orribile per il cuore, i bambini morti che si erano svegliati nel camposanto, e si gettarono davanti all'alta figura presso l'altare e dissero: 'Gesù! non abbiamo noi un padre?' – Ed egli rispose, piangendo: 'Siamo tutti orfani, io e voi, siamo tutti senza padre'” 5 2 . Al suonare di queste parole, il mondo intero inizia a sprofondare in un abisso senza fine e il gigantesco serpente dell'eternità inizia a stritolare tutto, e proprio nel momento in cui sta per suonare l'ultima ora del mondo, il terribile incubo finisce. Ecco le parole di Jean Paul a commento di tale sogno: “La mia anima pianse dalla gioia di poter adorare di nuovo Dio – e la gioia e il pianto e la fede in lui furono la mia preghiera. E quando mi alzai il sole riluceva ancora, al fondo, dietro le colme spighe purpuree, e gettava, in pace, il riflesso del suo tramonto sulla piccola luna, che, senza aurora, si levava da oriente; e fra cielo e terra distendeva le sue brevi ali un gioioso mondo transeunte, che viveva, come me, al 52 Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 27. 64 cospetto del Padre infinito; e da tutta la natura che mi circondava fluivano suoni di pace, come da campane remote nella sera” 5 3 . Senso del “Discorso” Ora che abbiamo presentato i contenuti del “Discorso che Cristo morto tenne dall’alto dell’universo sulla non esistenza di Dio” dobbiamo tentare di estrapolarne la valenza filosofica ed estetologica, riconducibile alle nostre indagini sin qui condotte. Iniziamo seguendo la chiave di lettura offerta da Adriano Fabris nel saggio “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean Paul”, riportato in appendice alla edizione italiana degli Scritti sul nichilismo di Jean Paul 5 4 . Come nota Fabris, in sede preliminare si deve sottolineare che l'importanza di questo testo consiste nel fatto che esso è uno di quei luoghi della storia del pensiero in cui emerge, in modo chiaro e distinto, o comunque in modo esplicito e consapevole, quel fenomeno che oggi riconosciamo nel concetto di nichilismo e che viene inaugurato e vede la luce proprio in queste pagine 5 5 . Significativo è anzitutto il fatto che venga qui preso in 53 54 Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 30. A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., pp. 39-84. 55 A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 42. Notiamo qui che, pur essendo possibile intendere il nichilismo come un fenomeno culturale in senso lato, ravvisandone la genesi magari nel mondo greco, qui si sta semplicemente dicendo che 65 considerazione, parlando della genesi del concetto di nichilismo, non un trattato di filosofia bensì un romanzo, ossia il pensiero non di un filosofo speculativo bensì di un romanziere reso noto – certo – anche per le sue speculazioni filosofiche, ascrivibili però precipuamente all'ambito estetico 5 6 : ciò sta a significare che il concetto di nichilismo ha avuto una genesi estetica. Uno dei luoghi in cui le tematiche del Discorso vengono preannunciate è una lettera del 15 novembre 1790, in cui egli scrive: “La sera più importante della mia vita:giacché provai il pensiero della morte; che non c'è assolutamente nessuna differenza se io muoio domani o fra trent'anni; che ogni progetto e tutte le cose si dileguano davanti a me, e che devo amare i poveri uomini, che così presto vanno a fondo con il loro brandello di vita; il pensiero [della morte] si trasformò in quello dell'inutilità di ogni faccenda. Mi spinsi davanti al mio futuro letto di morte, attraversando i trent'anni, mi vidi con la mano da defunto, abbandonata, con il viso da malato, disfatto, con gli occhi di marmo, udii il combattersi delle mie fantasie nell'ultima notte... Oh voi, miei fratelli, vi voglio amare di più, vi voglio dare più la genesi di tale termine e di tale concetto, il quale poi può ovviamente, in modo più o meno lecito o più o meno corretto, venire applicato anche ad altri periodi storici, va ravvisata proprio in questi anni a cavallo tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX secolo. 56 A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 43. 66 gioia. Come potrei tormentare il vostro paio di giorni decembrini di vita piena, le vostre immagini, colme di colori mondani, che sbiadiscono nel riflesso tremolante della vita? Non dimenticherò mai quel 15 di novembre”. Come si vede già in queste righe, quello di nichilismo non è un concetto filosofico che possa essere elaborato a tavolino, ma nasce da un'esperienza molto forte, di tipo estetico – potremmo dire –, ovvero un'esperienza vissuta 5 7 del corpo e dello spirito che precede ogni categorizzazione dell'intelletto ma che concerne una percezione diretta e immediata della morte, che coincide con la nullità e l'inutilità della vita stessa. La percezione e la paura (o angoscia) della morte, cui va di pari passo la sensazione che la vita sia vana, è un'esperienza estetica originaria e genuina e non un'inferenza logica operata dall'intelletto: quest'ultimo può sopravvenire in un secondo momento laddove l'angoscia, una volta messa da parte, può essere osservata e studiata al fine di interrogarsi circa la condotta pratica da intraprendere in una visione del mondo in cui la vita risulta vanificata dal suo epilogo. Il nichilismo nasce dunque come esperienza estetica della finitudine e vanità della vita, cui segue una sorta di nichilismo derivato, e comunque intellettualizzato, che tenta di oggettivare e spiegare tale concetto, per poi applicarlo alla vita pratica 57 A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 47, dove si legge: “Nel racconto di questa esperienza vissuta non c'è più spazio, a ben vedere, per l'esercizio di quel sovrano distacco dell'ironia”. 67 in modo da indicare una condotta possibile in un mondo reso vano dalla finitudine che esso cela in grembo e che può solo essere esperita direttamente, tramite l'esperienza dell'angoscia. Qualcosa di analogo accade nella già citata Lamentazione di Shakespeare morto: “In esso [...] è già menzionata la presenza, di notte, di uno spirito nella chiesa che predica la vanità di tutte le cose: una vanità che non apre, cristianamente, all'ambito in cui tutto, da ultimo, può risultare salvaguardato all'interno di una prospettiva escatologica; che evita, cioè, il rimando a una dimensione finale di salvezza, ma che piuttosto dà voce ad un senso di irredimibile, universale, reiterata dissoluzione” 5 8 . Nel testo che invece stiamo prendendo in esame, il “Discorso che Cristo morto tenne dall’alto dell’universo sulla non esistenza di Dio”, è Cristo stesso a fare da protagonista: non più lo stesso Jean Paul, come nella lettera del 15 novembre 1790, e non più un importante personaggio della storia della letteratura come Shakespeare, ma Cristo stesso esprime quell'esperienza della morte che ciascuno di noi ha vissuto in alcune situazioni limite della propria vita. Scrive Fabris: “Nella prospettiva nichilistica messa in scena da Jean Paul – una prospettiva implicita sui possibili esiti del cristianesimo –, sarebbe il Cristo stesso a risultare quasi un 'doppio' dell'uomo. Il Discorso del 58 A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 48. 68 Cristo morto, infatti, non solo lo raffigura nella sua incarnazione in sembianze umane, non solo, una volta proclamata la morte di Dio, lo vede assumere la dolorosa consapevolezza di essere uomo tra gli uomini, orfano tra gli orfani, ma soprattutto lo presenta come quell'alter ego, come quella figura accomunata alle creature da un medesimo destino, nella quale un uomo privilegiato – il narratore – proietta se stesso e ritrova la propria angoscia” 5 9 . In questo scritto, l'esperienza della morte (della propria e di quella di Dio), e l'angoscia che ne consegue, non viene esperita direttamente, bensì all'interno di un angoscioso sogno che raffigura scenari di morte; scrive ancora Fabris: “Il sogno, qui, ha la stessa funzione che tradizionalmente è propria della teoria: offre cioè la possibilità di rivolgere al mondo uno sguardo dall'alto, di porsi in una dimensione di lontananza rispetto ai coinvolgimenti e agli affanni della quotidianità. [...] Tuttavia, ad uno sguardo più attento, la capacità di raggiungere un effettivo distacco dal mondo seguendo la via del sogno risulta puramente illusoria. Giacché il sogno bensì trascende l'io, ma [...] all'io costitutivamente e in primo luogo rimanda. Il sogno, in altre parole, permette certamente di vedere meglio la realtà in cui l'uomo è coinvolto e sembra addirittura essere in grado di racchiuderla in sé, riproducendola e ricreandola con una lucidità non comune. E tuttavia, nel contempo, la 59 A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 56. 69 stessa visione onirica fa parte a sua volta di questa realtà, ne è in effetti contenuta” 6 0 . 2.3.2. La Clavis fichtiana Se sin qui abbiamo visto la “pars destruens” del Nichilismo, ossia la sua forza negatrice e distruttrice che pretende di sbarazzarsi di tutti i valori tradizionali, arrivando persino a proclamare la morte di Dio, a questo punto dobbiamo studiare questo fenomeno nella sua “pars construens”, ovvero mostrare che “nichilismo” non significa soltanto annichilamento e perdita di tutti i valori, bensì anche “autoesaltazione dell'Io”. Prima di prendere in esame il luogo dell'Opera di Jean Paul in cui avviene questo passaggio ci è però utile tratteggiare a brevi linee il panorama storico in cui ciò si colloca: la cosiddetta disputa su Spinoza e sull'ateismo, in cui si inscrivono sia le tematiche del Discorso del Cristo morto che abbiamo appena descritto, sia quelle che emergono nella Clavis fichtiana in cui Jean Paul polemizzerà contro il sistema di Fichte. La disputa su Spinoza e sull'ateismo La disputa su Spinoza si delinea in Germania tra il 1783 e il 1887, nutrendosi delle critiche che Schelling e Hegel muovono a Friedrich Heinrich Jacobi (1743-1819), per poi confluire nelle polemiche sul 60 A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., pp. 58-59. 70 kantismo e nella successiva “disputa sull’ateismo” compiuta a partire dalla discussione di tesi fichtiane. Il dibattito si apre in occasione della commemorazione di Lessing (1729-1781) voluta e realizzata da Mendelssohn (1729-1786), il quale si propone pubblicamente come centro di raccolta di materiale sul celebre filosofo tedesco. Tra i filosofi e uomini di cultura che accolgono la proposta di Mendelsshon, si trova Jacobi, il quale riporta su carta il contenuto di una discussione che egli stesso aveva avuto tempo addietro con Lessing, sostenendo che quest’ultimo gli avesse confidato che non è in alcun modo possibile una filosofia diversa da quella elaborata da Spinoza. L’affermazione di Jacobi crea scalpore, in quanto la filosofia di Spinoza era ritenuta all’epoca come una esplicita forma di ateismo o, per lo meno, veniva interpretata come una filosofia che rivelazione. negava in modo L’affermazione incontrovertibile compiuta da il Jacobi valore della provoca di conseguenza una forte reazione in tutti quei filosofi che intendono conciliare una visione religiosa della realtà con la filosofia razionalistica di Leibniz e di Wolff; tra l’altro, a peggiorare la situazione contribuisce il fatto che lo stesso Lessing era celebre agli occhi del grande pubblico per la propria avversione nei confronti della filosofia di Spinoza. 71 Nel successivo dibattito che segue a questo polemico inizio, Jacobi si schiera apertamente contro la filosofia di Spinoza, finendo col sostenere, nelle Lettere sulla filosofia di Spinoza (1785), che lo spinozismo è ateismo così come la scuola leibnizio-wolfiana è fatalista, essendo di fatto riducibile ai principi del pensiero dello stesso Spinoza. Il senso della polemica di Jacobi è pertanto chiaro, dal momento che, dal suo punto di vista, ogni sforzo del pensiero filosofico razionalista non può che condurre al determinismo, ossia alla negazione della libertà dell’uomo. La reazione alle tesi di Jacobi è molto dura, la sua condanna del razionalismo, implicato dal pensiero filosofico di Spinoza, suscita infatti una forte polemica in chiave opposta; dal momento che gli stessi esponenti dello Sturm und Drang, tra i quali figuravano Geothe e Herder, riprendono il concetto spinoziano di immanenza di tutte le cose in Dio, rovesciandolo però da un piano razionalistico- deterministico, per leggerlo poi nei termini di un illuminato flusso della vita. La verità, la vita interiore e la stessa esistenza, secondo Herder, possono essere pensate a partire dal loro manifestarsi attraverso le singole cose, in quanto modificazioni dell’esistenza suprema, intesa, a sua volta, come l’unica realtà effettivamente esistente, la quale non è tuttavia da leggere in termini esclusivamente razionali ed astratti, dal momento che indica invece l’infinita ed eterna 72 radice dell’albero stesso della vita. La riduzione dell’essere infinito della vita a cosa, attraverso un modo vuoto ed astratto di considerare il linguaggio, è quindi la ragione per cui Jacobi vede nel “Dio” di Spinoza solo un vuoto nome che nasconde dietro di sé il sordo rumore di un sistema meccanicistico-deterministico universale. La lettura in chiave deterministica di Spinoza è quindi conseguenza di un errore di prospettiva di chi interpreta la filosofia spinoziana a partire da un proprio personale ateismo, giustificato per mezzo di una nozione meccanica e deterministica dello stesso Dio. L’accusa di Jacobi a Spinoza di non aver rispettato i caratteri antropomorfici di Dio, oltre al fatto di averlo risolto nella serie meccanica delle operazioni da lui stesso generate, viene paradossalmente del tutto accolta dai romantici e dagli idealisti, ma non nella forma di un limite del pensiero spinoziano, bensì alla stregua di una sua caratteristica del tutto positiva. I romantici, tuttavia, si batteranno apertamente per una interpretazione della filosofia spinoziana scevra dalle influenze determinate dai vecchi paradigmi geometrizzanti della scuola cartesiana. I motivi del dissenso di Jacobi nei confronti di Spinoza si radicano in un profondo anti-intellettualismo filosofico, finendo così per difendere i diritti dell’esperienza interiore nei confronti dell’illuminismo senza per questo cedere, come già mostrato, alle posizioni estreme dello 73 Sturm und Drang. Jacobi vede tra l’altro l’insorgere di una nuova forma di spinozismo, dal carattere esplicitamente nichilistico, nella nuova filosofia idealistica, dove la libertà umana viene, in qualche modo misconosciuta, attraverso il sovrapporsi della ragione alla vita. Le ragioni che giustificano l’avvicinarsi al nichilismo di istanze idealistiche, sono, agli occhi di Jacobi, essenzialmente due, anche se entrambe legate indissolubilmente tra loro: da una parte, infatti, si realizza una ipertrofizzazione della coscienza, la quale, attraverso un vero e proprio processo di assolutizzazione, rende poi possibile, in un secondo momento, la negazione della realtà. Il concetto della negazione, in particolare, si declina verso la negazione della stessa esistenza della realtà, la quale trova il proprio fondamento nella separazione radicale che viene così a cadere tra la coscienza e la realtà del mondo e di Dio. In questo modo è possibile comprendere il motivo per cui le critiche aperte dall’anti-intellettualismo di Jacobi si leghino poi, ancora una volta, al tema dell’ateismo, come accade nel 1798, con la disputa sull’ateismo [Atheismusstreit]. All’origine di questa nuova disputa si trovano un articolo di Fichte e uno scritto del kantiano Forberg. Il saggio di Fichte, in particolare, dal titolo Sul fondamento della nostra fede in un governo divino del mondo [Über den Grund unseres Glaubens an eine göttlische Weltregierung] sostiene che Dio non è da intendere in 74 senso antropomorfico come se fosse una persona di natura trascendente, ma, al contrario, come ordine morale del mondo. La stesura dell’articolo costa a Fichte l’accusa di ateismo, il quale, invece, di sedare la polemica, arriva a minacciare il governo stesso di lasciare l’università di Jena, credendosi affiancato dai propri colleghi e da buona parte degli studenti dell’università. La rigidità di Fichte gli aliena l’appoggio di Geothe e di Schiller, cosa che lo porterà presto al più totale isolamento e ad accettare le proprie dimissioni. Lasciata Jena, Fichte si dirige a Berlino, dove rimane fino al 1805, rielaborando intanto la propria Dottrina della scienza; d’altra parte la disputa sull’ateismo lascia il proprio segno, oltre che sulla vita accademica, sulla sua stessa filosofia; infatti, Fichte giunge a rivedere il concetto di Dio, il quale non era più soltanto ordine morale, ma ordinans, principio attivo, che arriva poi ad identificare in modo del tutto esplicito con la vita stessa. Durante il periodo berlinese Fichte vede aumentare ancora il proprio isolamento, così come accrescono costantemente anche gli attacchi diretti alla sua filosofia da parte sia di filosofi che di scrittori: Bardili, Hegel, Nicolai, Reinhold, Schelling e Jean Paul. Ad aggravare la situazione contribuisce ulteriormente il fatto che Fichte perde l’appoggio anche del circolo romantico di Berlino, dove viene ora apertamente attaccato da Schleiermacher. Il distacco da Schelling, come già ricordato, avviene in questo stesso 75 periodo, segnando così il definitivo tramonto della filosofia di Fichte, cominciato con una discussione che intendeva conciliare l’ordine divino e morale del mondo con la liberta espressa dalla stessa capacità umana di comprendere ed afferrare la vita. La Clavis Si è detto che il fenomeno del Nichilismo, così come emerge tra le pagine di Jean Paul e dei suoi contemporanei, può constare di una “pars destruens” di assoluta negazione e rifiuto dei valori tradizionali, e di una “pars construens”, che porta alla già citata “autoesaltazione dell'Io”. Ciò che dobbiamo notare, in via preliminare, è il fatto che questi due aspetti non possono essere pensati come isolati l'un l'altro, in quanto costituiscono un circolo,per così dire, laddove l'uno è fondamento per l'altro, e viceversa. L'autoesaltazione dell'Io risulta infatti essere la condizione a partire da cui i valori tradizionali possono essere transvalutati, depauperati della loro valenza originaria e dunque annichilati: è questo stesso Io che opera questa negazione – negazione che concerne tanto l'ambito morale quanto quello estetico. D'altro canto, però, la condizione che consente all'Io di autoesaltarsi ed ergersi a giudice supremo della natura, potendo negarla e ricrearla a proprio piacimento attraverso le facoltà della fantasia e del genio esasperate nel loro uso e nelle loro potenzialità, è proprio la perdita 76 dei valori: solo in un mondo in cui niente ha valore, ossia in cui i valori tradizionali hanno perduto la loro forza e capacità di imporsi come incontrovertibili, è possibile che l'Io esalti se stesso sino al punto di immaginarsi come creatore della natura. Risulta evidente che i riferimenti all'Io fichteano che in primo luogo pone se stesso e che, in secondo luogo, oppone a sé un non-Io, non sono certo casuali, e che pertanto il vero bersaglio polemico, sul piano filosofico, di Jean Paul inizia a prendere le sembianze di Fichte, che verrà direttamente attaccato in quel noto pamphlet detto Clavis fichtiana. 77 La Clavis fichtiana seu leibgeberiana 6 1 – come cita il titolo completo – pensata come “Prima appendice comica” al romanzo Titan, iniziato tra il 1798 e il 1800 ma pubblicato nel 1806, è stata progettata in due sole settimane, nel dicembre del 1799, quale risultato dell'intenso dialogo intrapreso in quegli anni con Jacobi e con Herder (nonché con lo stesso Fichte, incontrato nel 1798 – ma sul rapporto con Fichte si veda il paragrafo successivo), e pubblicata indipendentemente prima dell'uscita del romanzo, nel marzo del 1800. Questo scritto si inserisce nella ben nota “polemica sull'ateismo” che, a cavallo tra il 1798 e il 61 Scrive S. Hesse a proposito della Clavis: “In der Clavis Fichtiana seu Leibgeberiana unterzieht Jean Paul Fichtes Frühphilosophie einer facettenreichen Kritik. Seine Einwände, die sich insbesondere gegen den transzendentalphilosophischen Ansatz der Jenaer Wissenschaftslehre richten, beinhalten sowohl sprachkritische wie auch epistemologische und moralphilosophische Überlegungen. In der Absicht, nicht nur eine >>Widerlegung gegen Fichte<< abzufassen (SW III/3,263), sondern sich auch >>über die Dinge der Zeit ganz aus[zu]lassen<< (ebd., 291), verknüpft Jean Paul seine Fichte-Kritik zudem mit einer Kritik am Geist seiner Epoche, als dessen deutlichste Manifestation ihm neben der Wissenschaftslehre die zeitgenössische Literatur gilt. Mit den knappen poetologischen Anmerkungen, die er in seine im Mai 1800 erschienene Schrift einfließen lässt, antizipiert Jean Paul einen Teil jener Kritik, die er vier Jahre später unter deutlicher Bezugnahme auf die Frühromantik in seiner Vorschule der Ästhetik üben wird„ (S. H E S S E , “Mir (empirisch genommen) grauset vor mir (absolut genommen). Zur philosophischen Kritik und poetologischen Reflexion in Jean Pauls Clavis Fichtiana”, in Jahrbuch … der Jean-Paul-Gesellschaft, Weimar: Verlag Hermann Böhlaus Nachfolger Weimar Erscheint jährlich. – Früher im Verl. Mühl, Bayreuth. – 2005, p. 107). 78 1799, costringerà Fichte a lasciare la sua cattedra presso l'Università di Jena. Come è stato notato molto bene dai curatori dell'edizione italiana nell'“Avvertenza” 6 2 , ci troviamo qui di fronte ad un testo molto denso e complesso, data la sovrapposizione di diversi livelli, letterali e 62 Cfr. Eleonora de Conciliis e Hartmut Retzlaff, “Avvertenza per il lettore”, in Jean Paul, Clavis Fichteana seu leibgeberiana, cit., p. 7 e ss. Per inquadrare il panorama cui questo testo va riprodotto, riportiamo qui di seguito una parte di tale “Avvertenza”: “Il testo s'inserice a pieno titolo nella famosa polemica sull'ateismo, che negli anni 179-99 travolse Fichte obbligandolo a lasciare l'insegnamento universitario a Jena. Esso costituisce un bizzarro pendant della Lettera che Jacobi aveva inviato qualche mese prima al filosofo in segno di solidarietà, ma anche di dissenso; ne rappresenta un originalissimo 'doppio' narativo, in cui Jean Paul, se da un lato ricalca la posizione teoretica di Jacobi, dall'altro prova i fuochi d'artificio della propria fantasia creativa nell'aria rarefatta e seriosa della filosofia. In un'epoca di giganti come Goethe, Schiller e Herder, nella quale le dispute si animavano, spesso violentemente, attraverso la circolazione di epistole, recensioni e pamphlet, la Clavis si presenta come un complicato ibrido filoofico-letterario, traboccante di dopi sensi, di invettive e riferimenti alle vicende contemporanee, ma anche di un gusto tard-illumiistico per l'enciclopedismo, i virtuosismi filologici ed i rimandi alla cultura classica. Lo stesso titolo originario, Chiave per la visione del mondo di Fichte, cioè di Leibgeber , è modellato sulla Clavis ciceroniana di J. A. Ernestis (1739), che una volta viene anche menzionata nel testo. Per esso Jean Paul usa sempre l'articolo maschile (der Clavis), mentre la forma femminile compare soltanto di sfuggita in un passo del Titan. La struttura della Clavis e finanche il suo titolo presuppongono una continua sovrapposizione di realtà storica e finzione letteraria, frutto di un espediente narrativo tipicamente jeanpauliano: l'Autore finge che il testo sia stato scritto da Heinrich Leibgeber, un personaggio del suo precendente romanzo, il Siebenkäs (1797); si tratta di un alter ego, di un doppio claudicante, estroverso ed ironico del protagonita (l'avvocato dei poveri Firmian Siebenkäs, cioè Setteformaggi), che riapparirànel Titan – l'originalissimo 79 filosofici, e di diversi piani di lettura, nonché di sovrapposizioni tra la realtà storica e la finzione letteraria. Lo scopo è per l'appunto quello di tentare una critica all'impianto dell'Io trascendentale, così come è stato elaborato da Fichte nella Dottrina della scienza. romanzo cui Jean Paul lavora già nel 1799 – nelle vesti del satirico Schoppe. In tedesco, Leibgeber significa datore-di-corpo; nel Siebenkäs, egli 'dona' la propria identità al suo amico Setteformaggi, per aitarlo ad evadere da un matrimonio malriuscito e a farsi un'altra vita. Schoppe è il nuovo nome che il protagonista assume nel Titan, dove svolge un'importante funzione nella formazione del protagonista Albano, di cui è tutore. Nella versione definitiva, Schoppe impazzisce per aver letto la Dottrina della scienza di Fichte, e muore dopo aver reincontrato il suo vecchio amico Setteformaggi, protagonista del romanzo precedente. Dunque, quando a Jean Paul venne l'idea di uno scritto polemico contro Fichte – un personaggio reale – egli 'prese in prestito' la figura letteraria di Schoppe, che era in piena elaborazione psicologica nel Titan; lo scrittore era infatti solito creare una sorta di continuità narrativa tra i suoi romanzi, corredandoli di prefazioni e appendici in cui egli stesso poteva apparire in qualità di personaggio; talvolta questa tecnica veniva sapientemente associata a quella della cornice o dell'incastro, per ottenere un effetto di indistinzione tra piano letterario e piano storico reale. Anche nella Clavis, testo in cui torna all''acetificio satirico' della sua prima giovinezza, Jean Paul adotta la mise en abìme, portandola quasi all'esasperazione. L'identità Schoppe-Leibgeber viene piegata a favore del secondo: Jean Paul si finge curatore dello scritto composto dal misterioso ed errante personaggio; costui glielo avrebbe inviato già in preda alla follia, dopo aver studiato il pensiero di Fichte a Jena. Jean Paul lo fa precedere da un proprio, antifichtiano Prologo (sotto forma di lettera a Jacobi), e lo correda di un Protektorium – una sorta di salvacondotto da esibire ai suoi amici per evitare di passere per fichtiano –, nel quale inserisce, tra l'altro, una delirante lettera 'privata' dello stesso Leibgeber, indirizzata all'Autore assieme al testo della Clavis; essa rivela confusamente a Jean Paul, ce vi appare nelle vesti di amico e biografo di Leibgeber, 80 Scrive Eleonora De Conciliis nel saggio intitolato “Fichte e il suo doppio: Jean Paul critico del solipsismo”, posto in appendice all'edizione italiana della Clavis fichtiana seu leibgeberiana: “La Clavis racconta di un filosofico sogno di onnipotenza che pian piano diventa indistinguibile dalla realtà, ed infine incubo: ruotando intorno al paradosso per cui la libertà assoluta si crea una resistenza all'agire non nel pensiero, ma semplicemente nella lingua, essa apre con largo anticipo il problema dell'ambigua simbolicità del linguaggio trascendentale di Fichte. Non si può rimproverare a Jean Paul di aver capito male il senso della terminologia fichtiana, perché questa è usata da Fichte in modo da escludere ogni rapporto immediato tra significante e significato: la riflessione instaura delle tautologie prive di rinvio al reale, per poter fondare trascendentalmente la struttura del reale medesimo; ma così facendo, l'idealismo rompe con la prudenza kantiana ed inaugura un nuovo metodo – per metà narrativo e per metà filosofico – di impiegare il linguaggio. Secondo Jean Paul, l'ambiguità di questo metodo nasconde un circolo vizioso: nel concetto l'occasione e le circostanze del suo smarrimento filosofico, che culmina nella convinzione, da parte di Leibgeber, di essere egli stesso l'autore della Dottrina della scienza, e dunque un nuovo doppio, questa volta di Fichte. Ma, trattandosi pur sempre di un personaggio romanzesco dietro cui si cela l'identità di Jean Paul, Leibgeber rinvia continuamente al suo creatore, che si pone così come l'autentico doppio rovesciato del filosofo Di Rammenau” (Eleonora de Conciliis e Hartmut Retzlaff, “Avvertenza per il lettore”, pp. 12-14, in Jean Paul, Clavis Fichteana seu leibgeberiana, cit). 81 di produzione del mondo sensibile, che si verifica perché sia possibile l'agire, Fichte avrebbe già presupposto linguisticamente l'agire stesso. Ma la Dottrina della Scienza occulta questo circolo, quando fa un uso arbitrario – simbolico – dei vaghi significati risuonanti nelle parole 'produrre' e 'agire': essa, intendendo fondare teoreticamente il comportamento umano, ha scambiato la conoscenza (l'enunciazione linguistica) per l'azione” 6 3 . Dobbiamo anzitutto notare che questo testo, a carattere filosofico, non può essere inteso come un vero e proprio trattato di filosofia: Jean Paul riprende qui le terminologie e i modi di procedere tipici della filosofia al fine di confutarli attraverso il potente mezzo dell'ironia; il linguaggio filosofico viene qui deformato e ridicolizzato, ossia portato ai suoi eccessi al fine di mostrarne l'inconsistenza 6 4 . A tal proposito 63 Eleonora de Conciliis, “Fichte e il suo doppio: Jean Paul critico del solipsismo”, pp. 119-120, in Jean Paul, Clavis Fichteana seu leibgeberiana, cit. 64 Sulla struttra del testo vedasi ad es. quanto scrive Sandra Hesse: “Der Text der Clavis Fichtiana besteht aus drei Teilen. Der erste Teil ist mit Vorrede, der zweite mit Protektorum für den Herausgeber und der dritte mit Clavis betitelt. Verbunden sind diese Teile durch eine literarische Fiktion, die Jean Paul in der Vorrede und dem Protektorium entwirft. Dort wird gleichsam die Geschichte eines Romanautors erzählt, dem eine seiner Figuren unversehens al real gewordene Person gegenübertritt. Bei diesem Romanautor handelt es sich um >Jean Paul<, also nicht um den historischen, außerhalb seiner Werke existierenden Jean Paul, sondern um einen jener fiktionalen Stellvertreter, die das Werk realen Jean Paul bevölkern. Im Protektorium berichtet dieser >Jean Paul< nun, dass er, ohne selbst zur Feder gegriffen zu haben, von einer 82 scrive Eleonora De Conciliis: “Nella Clavis fichtiana seu leibgeberiana il lettore cercherà invano quella filosofia seria o accademica, che Jean Paul disprezzava cordialmente; egli voleva che il suo pamphlet confutasse l'idealismo ridicolizzandolo: nello scherzo doveva nascondersi la verità. Una verità che, a dispetto di quanti sono stati tentati di liquidare il testo come un cumulo di farneticazioni, indusse Fichte a prenderlo sul serio ed a confrontarsi con il suo autore” 6 5 . La filosofia accademica, rappresentata dall'idealismo fichtiano, non viene qui confutata con le medesime armi dell'argomentazione, bensì viene messa in ridicolo mostrando come un siffatto discorso, se portato alle sue estreme conseguenze, possa apparire in una veste ridicola che ne confuta i contenuti più di qualsiasi serrata critica costruita su coerenti dimostrazioni logico-razionali. La Clavis non è aus seinem Siebenkäs bakannten Gestalt, nämlich Leibgeber, einen Brief erhalten habe, in dem ihn dieser bitte, einen seinem Schreiben beiliegenden Text zur Philosophie Fichtes – die Clavis – herauszugeben. >Jean Paul< kommt dieser Bitte nach. Dabei setz er sich allerdings über eine implizite Aufforderung Leibgebers hinweg. Dessen Schreiben enthält nämlich eine weitere, wenngleich indirekte Bitte: die, dass >Jean Paul< lediglich als Herausgeber und nicht etwa – aus Furcht vor Angriffen auf seine Person, die er sich durch die Herausgeberscharf zuziehen könnte – auch als Lektor und Kommentator der Clavis fungieren möge„ (S. H E S S E , “Mir (empirisch genommen) grauset vor mir (absolut genommen). Zur philosophischen Kritik und poetologischen Reflexion in Jean Pauls Clavis Fichtiana”, Jahrbuch …der Jean-Paul-Gesellschaft.Weimar: Verlag Hermann Böhlas Nachfolger Weimar Erscheint jährlich.- Früher im Verl. Mühl, Bayreuth.- 2005, p. 114). 65 Eleonora de Conciliis, “Fichte e il suo doppio: Jean Paul critico del solipsismo”, p. 116, in Jean Paul, Clavis Fichteana seu leibgeberiana, cit. 83 dunque un trattato filosofico bensì un pamphlet satirico; scrive Eleonora De Conciliis: “In filosofia, esattamente come in politica, la satira si assume il compito di dissolvere le illusioni ideologiche; nella Clavis, lo strumento con il quale Jean Paul sceglie di far andare, secondo le sue stesse parole, in 'metastasi' il pensiero di Fichte, è il linguaggio: attraverso l'uso virtuosistico della metafora, dell'ipotassi, della digressione e della sospensione del discorso, la lingua tedesca gli permette di creare una sorta di rizomatico rispecchiamento formale dell'Io fichtiano, che ruota però attorno ad emozioni reali, a paradossi empirici pieni di contenuto concreto. Se la filosofia trascendentale fichtiana si autofonda nel puro pensiero e nella facoltà linguistica coagulata intorno al deittico 'io', Jean Paul mostra il rovescio di tale fondazione: davanti al lettore della Clavis si aprono le infinite possibilità deliranti del linguaggio che dice 'io' e gli s mostra, come in un caotico affresco, l'immagine capovolta dell'idealismo e delle sue aspirazioni sistematiche. Attraverso la proliferazione incontrollata della scrittura, Jean Paul persegue una sorta di scomposizione dell'autocoscienza fichtiana, creando una Dottrina della Scienza schizoide e in miniatura – una filosofia 'esplosa', nella quale l''Io' è allo stesso tempo assoluto, empirico, divisibile, megalomane e desiderante. Vi si illustrano tutte le conseguenze della pretesa fichtiana di fondare l'esistenza del mondo sull'Io, e di stabilire 84 contemporaneamente l'esistenza di una molteplicità di soggetti empirici. Per mostrare quanto questa pretesa sia assurda, Jean Paul non si limita a riprendere alcuni argomenti di Jacobi, ma si attiene al proprio metodo satirico: invece di costruire un sistema, egli semplicemente ne critica un altro, respingendo ciò che in esso non va. Jean Paul si sottrae così alla seduzione di plausibilità tipica del sistema filosofico, credendo che l'unica a poter pretendere di sedurre senza convincere non sia la filosofia, ma la letteratura: in quanto la finzione letteraria è anti-sistematica, egli la sceglie come alternativa alla filosofia; con essa, e non con la ragione, combatte l'ateismo e lo scetticismo. E negli stessi anni in cui il giovane Fichte si lasciava sedurre dal sistematico e razionale Kant, in Jean Paul nasceva una sorta di venerazione per l'ex stürmeriano Herder (del quale, peraltro, criticava lo spinozismo panteistico ed ogni tentativo di compartimentazione specialistica del sapere): da lui avrebbe mutuato lo spirito linguistico col quale confutare il Grundsatz della Dottrina della Scienza” 6 6 . Notiamo a margine che a queste considerazioni possono essere ricollegate alcune riflessioni di Hartmut Retzlaff che, in un commento al paragrafo centrale della Clavis, ossia il paragrafo 13, scrive: “Questo rito della rappresentazione del linguaggio è stato definito come la fine del pensiero classico. Fondamentalmente per il 'pensiero classico' era 66 Eleonora de Conciliis, “Fichte e il suo doppio: Jean Paul critico del solipsismo”, pp. 117-118, in Jean Paul, Clavis Fichteana seu leibgeberiana, cit. 85 l'ontologia nella quale il mondo è rappresentabile; tutta la discussione settecentesca a proposito dell'origine delle lingue non abbandona quest'assioma. Lo schema delle corrispondenze che regnava nel pensiero classico' trova il suo parallelo nelle concezioni economiche che consideravano il bisogno fisico e materiale, cioè il valore d'uso, il riferimento assoluto per i valori di scambio. Foucault colloca il passaggio dal valore d'uso al valore di scambio dal passaggio da Smith a Ricardo, oppure, più genericamente, nel passaggio dal Settecento all'Ottocento, quando le analogie 'classiche' vengono sostituite da concetti riflessivi. Da allora in poi il pensiero filosofico non è più congruente con il sapere pragmatico e con la sopravvivenza nel mondo reale. Qui troviamo la costellazione storica in cui collocare la tanto acida critica jeanpauliana al 'porre' della 'riflessione pura' di Fichte” 6 7 . Anche Adriano Fabris spende alcune parole circa la critica jeanpauliana dell'io fichtiano: “Se [...] l'io stesso, in quanto tale, risulta in sé scisso, allora sostenere, fichtianamente, che 'Io è uguale a Io' equivale ad affermare una stabilità che non può affatto essere mantenuta. Significa rischiare, in altre parole, di presentarsi tragicamente esposti [...] davanti all'irrompere, che non tarderà a verificarsi, del proprio 'doppio'. Un 'doppio' che [...] è indice del fatto che esso [...] non è in grado di dominare, non soltanto le sue creature, 67 Hartmut Retzlaff, “Il paragrafo 13, visto da vicino”, pp. 139-140, in Jean Paul, Clavis Fichteana seu leibgeberiana, cit. 86 ma neppure la sua propria identità. [...] L'io è, in se stesso, altro da sé, ma [...] questo altro, nel contempo, si configura come sosia, immagine dell'io: addirittura, a volte, come l'unica sua vera espressione. [...] Si tratta di un processo che non conduce affatto, in ultimo, a un sicuro possesso di sé, ad un'autoaffermazione dell'io, ma che nel sé, come in uno specchio, vede rifrangersi l'altro, in mille modi e secondo mille deformazioni. Gacché solo nell'altro risiede il fondamento autentico dell'io. E tuttavia, proprio nel momento in cui [...] ci si accorge che questa stessa alterità dell'io è insensata, e che tutto è vano, ecco che l'io stesso appare vuoto, inutile, come uno specchio che nulla riflette. Si compie così, in definitiva, una radicale correzione del fichtiano 'Primo principio assolutamente incondizionato' della Dottrina della scienza del 1794/95: quello per cui l'io 'si pone nel mezzo del suo mero essere ed è per mezzo del suo mero esser posto'. L'io, infatti, potrebbe porre arbitrariamente anche il proprio annullamento. Come vien detto nel Discorso del Cristo morto: 'Se ogni io è padre e creatore di se stesso, perché non può essere anche il proprio angelo sterminatore?'” 6 8 . Jean Paul vs. Fichte Come abbiamo visto, Fichte risulta essere il vero bersaglio polemico, a livello filosofico, del testo che abbiamo precedentemente preso in 68 A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., pp. 54, 55, 61. 87 esame: la Clavis fichtiana seu leibgeberiana 6 9 . Fichte rappresenta, per Jean Paul, uno dei principali emblemi di quel fenomeno, detto “nichilismo”, che porterebbe ad una distorsione degli elementi originari e genuini di quel movimento, caratteristico dell'età moderna, detto “romanticismo”. Entrambi sono frutti dell'epoca moderna, ed entrambi si avvalgono delle medesime facoltà estetico-conoscitive, e in particolare della fantasia (o immaginazione) e del genio. Il poeta nichilista, potremmo dire, è un poeta romantico che ha perduto il controllo di sé e delle proprie forze: dotato di una forza mostruosa, la Einbildungkraft, egli non sa però controllarla e, al pari del sonno della ragione, la veglia troppo prolungata della fantasia genera mostri. 69 Sandra Hesse mostra ad esempio la duplice lettura della Clavis attraverso cui Jean Paul viene elaborando le sue critiche all'idealismo fichteano: “Die zweifache Darstellung von Fichtes Philosophie als solipsistischer Theorie, die die Clavis bietet, wurde von der Forschung allein in ihrer Valenz als ontologischer Solipsismus wahrgenommen und dabei von den ältern Autoren häufig als Produkt eines Mißverständnisses gewertet: die Haltung, die Jean Paul Fichte unterstelle, sei von diesem keineswegs vertreten worden; als (ontologischer) Solipsismus stelle sich die Wissenschaftslehre Jean Paul bloß deshalb dar, er das absolute Ich mit dem empirischen Ich verwechsle und für ein ontologisches Prinzip halte, also die Rede vom >Setzen< als Existenzstiftung fehlinterpretiere. Was hier Jean Paul, dem realen Verfasser der Clavis, angelstet wird, ist jedoch zunächst einmal Leibgeber, dem fiktiven Verfasser, in Rechung zu stellen„ (S. H E S S E , “Mir (empirisch genommen) grauset vor mir (absolut genommen). Zur philosophischen Kritik und poetologischen Reflexion in Jean Pauls Clavis Fichtiana”, Jahrbuch …der Jean-Paul-Gesellschaft.Weimar: Verlag Hermann Böhlas Nachfolger Weimar Erscheint jährlich.- Früher im Verl. Mühl, Bayreuth.- 2005, p. 123). 88 Uno degli artefici di questo modo di pensare è, secondo Jean Paul, colui che potremmo definire il vero padre del Romanticismo, come esso viene oggi inteso, ossia Fichte. Egli rappresenta quel vaso di Pandora che non può essere richiuso e che erompe con forza nel mondo, riscrivendo in modo nuovo le categorie kantiane. Se è vero che tutta la cultura romantica nasce come tentativo di risposta a Fichte, di certo lo stesso Jean Paul non può essere escluso dal novero di quanti, in modo più o meno polemico, si siano accostati a quella novità assoluta costituita dalla Dottrina della scienza fichteana. Proprio leggendo e commentando questo testo viene usato, in senso proprio, il termine “nichilismo”, che Jean Paul è tra i primi ad utilizzare in modo ricorrente e sistematico. Questo termine diviene centrale nel dibattito filosofico con la polemica di Jacobi contro Fichte del 1798-99, ovvero contro la filosofia trascendentale, accusata di dissolvere il mondo in apparenza; in questa polemica intervennero anche Wackenroder, Clemens Brentano, Von Kleist, e appunto Jean Paul. Il Nostro, nello stesso anno in cui aveva pubblicato il romanzo Siebenkäs, contenente il “Discorso che Cristo morto tenne dall’alto dell’universo sulla non esistenza di Dio”, ossia nel 1796, aveva avuto modo di conoscere di persona Goethe, Schiller e soprattutto Herder, col quale stringerà una forte amicizia. In quel periodo, in cui inizia a 89 scrivere il Titan e la Clavis fichtiana, intraprende una serrata corrispondenza con Jacobi, di cui condivide la religiosità antiidealistica. Pochi mesi dopo, ma prima dello scoppio della “polemica sull'ateismo”, conosce Fichte a Jena e ha modo di discutere con lui circa i contenuti della Dottrina della scienza. A seguito di questo incontro, e stimolato dal dialogo con Jacobi e con Herder, scrive la Clavis fichteana seu leibgeberiana, che vedrà la luce nel 1800. Questo testo, come abbiamo cercato di illustrare, non intende rispondere all'idealismo fichtiano criticandolo sul piano teorico, come farà ad esempio Schelling, nel 1795, con la sua recensione negativa alla Dottrina della scienza fichtiana intitolata Sulla possibilità di una forma della filosofia in generale, né tanto meno elaborando un sistema filosofico alternativo – si prenda ancora come esempio Schelling e il suo Sistema dell'idealismo trascendentale. Jean Paul decide invece di mostrare l'assurdità, e anche i rischi, di un sistema come quello di Fichte cercando di portarlo alle sue estreme conseguenze, ossia esagerandone i tratti fondamentali attraverso la potente arma dell'ironia. Secondo Jean Paul, l'idealismo fichtiano è sinonimo di solipsismo, in quanto porta ad un distacco dalla realtà, e dunque, in ultima analisi, di nichilismo 7 0 . 70 “Die Epochen-Kritik, die Jean Paul auf diese Weise in seiner Clavis Fichtiana entfaltet, birgt nun insofern eine latente Selbstkritik, als der fiktionale >Jean Paul< auf den realen Jean Paul verweist. Die Kritik, die Jean Paul in der Vorschule an seiner eigen Dichtung übt, indem er ihr Affinität 90 zum poetischen Fichteanismus Il nichilismo è dunque quel fenomeno che si manifesta in varie forme: nella poesia, laddove il poeta pretenda di fare un uso sconsiderato della propria fantasia illudendosi di poter prescindere da ogni modello nel momento della creazione della propria opera; nell'esperienza della vita di tutti i giorni, in cui è possibile esperire in modo diretto la morte e, provando angoscia dinanzi ad essa, arrivare a concepire il mondo nella propria vacuità, inutilità e assenza totale di valori, a cominciare da Dio stesso che viene meno; nel solipsismo idealistico, infine, in cui l'io schizoide e scisso pretende di essere fondamento di se stesso e del mondo intiero, perdendo in tal modo ogni contatto col mondo reale. Leggiamo a questo proposito una bellissima pagina di Eleonora De Conciliis, che molto bene si ricollega alle riflessioni che abbiamo frühromantischer Prägung bescheinigt, präfiguriert er in der Clavis Fichtiana, indem er seinem fiktionalem Stellvertreter als poetischen Fichteaner agieren lässt. Während sein Alter ego mit der Kritik am potischen Fichteanismus eine Selbstkritik formuliert, ohne sich dessen bewusst zu sein, gestaltet Jean Paul seine Kritik an der Wissenschaftslehre und den Geist der Zeit in Form eines ausgeklügelten Textgefüges, das den Blick auf seinem Autor zurücklenkt. So birgt die Auseinandersetzung mit dem absoluten >>alles gebärende[n]<< Ich Fichtes eine Schöpfertum reflektiert – ganz so, als klage dieser gemeinsam mit seinem Leibgeber: >>Mir (empirisch genommen) grauset vor mir (absolut genommen)<<, vor dem in mir wohnenden grässlichen Demogorgon.<< (I/3, 1049)„ (S. H E S S E , “Mir (empirisch genommen) grauset vor mir (absolut genommen). Zur philosophischen Kritik und poetologischen Reflexion in Jean Pauls Clavis Fichtiana”, Jahrbuch …der Jean-Paul-Gesellschaft.- Weimar: Verlag Hermann Böhlas Nachfolger Weimar Erscheint jährlich.- Früher im Verl. Mühl, Bayreuth.- 2005, p. 149). 91 condotto sin qui: “Il filosofo idealista perde il senso della realtà e muore al mondo, poiché è isolato nella propria soggettività: egli è un suicida. La reazione a ciò è lo spostamento della filosofia verso l'estetica, dove il nesso centrale è quello fra soggetto e mondo: soltanto l'estetica pone in relazione i diversi 'mondi' individuali che popolano la realtà. La fantasia e la creazione artistica reggono in tal modo alla disgregazione del soggetto; giocando con la molteplicità dei linguaggi, esse rappresentano un mondo altro capace di arginare ironicamente la minaccia del disgregamento: assecondandola, la esorcizzano, mentre la pura ragione, chiusa nella fortezza dell'Io, rischia di sprofondare nella follia. Per guadagnare l'infinità dell'Io, Fichte finisce con perdere il mondo; ma perdendo l'oggetto, il soggetto perde anche se stesso. Secondo Jean Paul, non è l'Io infinito a porre il mondo, e neppure esso è costituito dalla morta materia: il mondo esplode piuttosto dal nulla, e con il linguaggio lo si percorre per divertimento, prima di ritornare al nulla; la ragione, inventando mondi, coniuga l'immaginazione produttiva (Einbildungskraft) alla facoltà dell'ingegno (Witz), che crea giocosamente l'oggetto letterario. L'estetica jeanpauliana, a differenza di quella protoromantica, è in questa prospettiva la vera madre dell'etica: soltanto l'arte è capace di evitare l'arroccamento solipsistico dell'Io in se stesso, e di fornire all'uomo quei mondi immaginari del desiderio, in cui vengono 92 incontrati gli altri esseri umani e rappresentate – senza negarle – le parti conflittuali del proprio io. La realtà, linguisticamente percepita, è il contro-veleno che ha da prendere il filosofo se vuole sfuggire al suicidio,se vuole ottenere una sintesi immaginativa fra esterno ed interno. Così Jean Paul riduce la differenza, pur sempre mantenuta da Kant, tra filosofia ed arte (una differenza che nascondeva in effetti un'alternativa, ed una coerente scelta kantiana a favore della filosofia); l'artista non inventa sistemi, ma epopee, romanzi, dunque inventa in senso artistico – crea nuove idee: l'arte non è una menzogna, ma uno sforzo morale, e dunque una forma diversa di filosofia” 7 1 . Questa parole confermano la tesi che abbiamo cercato di far emergere nelle nostre pagine, ossia che il concetto di nichilismo goda in ultima analisi di una genesi di tipo estetico. Questo concetto nasce infatti proprio con Jean Paul, o comunque attorno a lui, tra quei pensatori che in un modo o nell'altro hanno cercato di contrapporsi all'idealismo fichtiano. Oggi, quando si parla di nichilismo, si pensa subito ad una categoria ontologica, ad un concetto metafisico elaborato sul piano teorico. La genesi del concetto di nichilismo va invece ricondotta all'ambito estetico sia in senso storico che in senso ideale. Sul piano storico, è facile mostrare – ed è ciò che abbiamo fatto sin qui – che il termine “nichilismo”, e il dibattito intorno ad esso, 71 Eleonora de Conciliis, “Fichte e il suo doppio: Jean Paul critico del solipsismo”, pp. 134-135, in Jean Paul, Clavis Fichteana seu leibgeberiana, cit. 93 nascono proprio nel settore della critica letteraria, ossia della riflessione estetologica intorno allo statuto della poesia e delle altre forme artistico-letterarie, che si sviluppa tra la fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento, proprio tra le pagine jeanpauliane e tra quelle dei suoi contemporanei. Sul piano delle idee, invece, abbiamo cercato di mostrare che quello di nichilismo non è semplicemente un vuoto concetto filosofico che risulti da un'elaborazione teorica all'interno di un pensiero razionale e sistematico, bensì che esso si dà in prima istanza come esperienza diretta: esso si colloca cioè sul piano della sensibilità, e solo in un secondo momento può essere desunto dall'intelletto per esser trasformato in una categoria concettuale. Nichilismo è dunque, a detta di Jean Paul, anzitutto l'esperienza, sentita e vissuta, della vacuità della vita resa vana dalla morte che incombe ed angoscia: dalla morte propria, in quanto anticipata; dalla morte altrui, in quanto esperita nella vita di tutti i giorni; dalla morte di Dio, infine, che rappresenta, sul piano assiologico, la perdita di valori tipica dell'epoca del nichilismo che in quegli anni sta venendo alla luce. Nichilismo è, in secondo luogo, la conseguente assurda pretesa dell'io, resosi consapevole della vanitas mundi, di poter produrre da sé se stesso e il mondo. Nichilismo è, infine, in ambito artistico, quella forma di poesia che crede di poter rinunciare alla lezione degli antichi e all'approccio mimetico da loro elaborato, 94 avvalendosi della facoltà, tipicamente romantica, del genio, utilizzata però non in modo equilibrato, bensì portata ai suoi eccessi. Lo scopo di Jean Paul consiste dunque nel portare alla luce siffatte dinamiche, mostrando come il pensiero di Fichte sia una delle manifestazioni dell'approccio nichilistico dilagante, al fine di poter elaborare un approccio estetico al mondo di tipo nuovo, che tenga insieme l'insegnamento degli antichi e il progresso dei moderni, attraverso una categoria estetica innovativa e potente, che sappia contrapporsi al nichilismo e ai suoi esiti negativi: l'ironia. L'analisi che Jean Paul conduce nella Vorschuele der Ästhetik, che noi abbiamo seguito sino alla chiarificazione del concetto di poesia moderno-romantica nei suoi rapporti con la poesia antica, con la poesia materialistica e con la poesia nichilistica (su cui ci siamo soffermati maggiormente), proseguirà nel prossimo capitolo evidenziando ulteriori tratti caratteristici dell'arte romantica rispetto a quella antica, ravvisando nel concetto di “ironia” la cifra del genere letterario “moderno” in contrapposizione a quello “classico”. Di qui la necessità di studiare le nozioni di “ironia”, “ridicolo” o “comico”, 95 “umorismo” 7 2 , “arguzia” (o “motto di spirito”), ecc., laddove giocherà un ruolo di primo piano il concetto di Witz. 72 A tal proposito bisogna citare un curioso riferimento che Jean Paul fa all'interno della Propedeutica all'estetica, laddove parla del concetto di umorismo, che noi affronteremo nel capitolo successivo: “Nell'umorismo l'io gode di un risalto parodistico, e questa peculiarità spinse 25 anni or sono molti autori ad omettere l'io grammaticale per meglio evideziarlo mediante l'elllissi. Un autore migliore di loro lo sostituì, parodiando la parodia, con dei tratti in grassetto che sottolineavano la soppressione: parlo ancora del delizioso Musäus nei suoi Viaggi fisiognomici, questi veritieri e pittoreschi viaggi i piacere del comus e del lettore. Ben presto, gli io defunti risorsero in massa grazie all'aseità, all'egoità e al vocalismo egolatrico di Fichte” (Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 135, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 141). 96 P ARTE S ECONDA L A “ POESIA ROMANTICA ” IN J EAN P AUL : IL GENIO E L ' ARGUZIA 97 C A PITOL O T ERZO L A “ POES IA ROM ANTICA ” L'essenza dell'età moderna, ovvero il periodo in cui Jean Paul scrive, coincide, a suo dire, con il Romanticismo. Il punto consiste dunque nel trovarne i tratti caratteristici, al fine di giungere ad una soddisfacente definizione della poesia moderna, che altrimenti rischia di vacillare tra i due estremi che già abbiamo visto all'opera: il materialismo e il nichilismo. Uno degli errori dell'età moderna consiste, secondo Jean Paul, nell'esaltare oltremodo l'antichità a discapito della contemporaneità: “Nessuna epoca è soddisfatta della propria epoca; ovvero, i giovani idealizzano l'avvenire in rapporto al presente, ed i giovani attempati in rapporto al passato. Riguardo la letteratura, pensiamo allo stesso tempo come dei giovani e come degli anziani” 7 3 ; e ancora: “Abbiamo 73 ”Keine Zeit ist mit der Zeit Zufrieden; das heißet, die Jünglinge halten die künftige für idealer als die gegenwärtige, die Alten die vergangne. In Rücksicht der Literaur denken wir wie Jünglinge und Greise zugleich. Da der Mensch für seine Liebe dieselbe Einheit sucht, die er für seine Vernunft begehrt; so ist er so lange für oder wider Völker parteiisch, als er ihre Unterschiede nicht unter einer höhern Einheit auszugleichen weiß. – Daher mußte in England und noch mehr in Frankreich die 98 vantato la più alta potenza delle dottrine greche con soggetto dei ed eroi. Tuttavia, bisogna sempre guardarsi dal sistemare l'anima di un popolo in uno dei molteplici elementi che formano la sua vita, e di credere che i frutti, che le uova di cui si nutre siano una fioritura, una covata prossima a schiudersi” 7 4 . Non si tratta certo di disconoscere la lezione degli antichi, ma semplicemente di ridimensionarla, al fine di poter dare anche alla propria epoca il giusto peso. Scrive Jean Paul: “Con una maggiore coscienza, reclamiamo una migliore coscienza di noi stessi. – E infine (per nominare il cattivo genio dell'arte), la poesia era un tempo oggetto del popolo, come il popolo oggetto della poesia; al giorno d'oggi, si canta da una camera di studio ad un'altra, che interessa di più i loro due occupanti. Per divenire parziale, non c'è più nulla da aggiustare. Ma biogna che la Vergleichung der Alten und Neuern allzeit entweder im Wider oder im Für parteiisch werden. Der Deutsche, zumal im 19ten Jahrhundert, ist imstande, gegen alle Nationen – seine eigne verkannte ausgenommen – unparteiisch zu sein.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 82. 74 Scrive Jean Paul: ”Wir priesen oben die Kraft der griechischen Götter- und Heroen- Lehre. Nur aber manche man doch nie im vielgliederigen Leben eines Volks irgendein Glied zur Seele und nicht nährende Früchte und Eier sogleich zu aufgehenden und ausgebrüteten! Ging nicht der Zug der Götter-Schar aus Ägyptens traurigen Labyrinthen über Griechenlands helle Berge auf Roms sieben Hügel? Aber wo schlug sie ihren poetischen Himmel auf als nur auf dem Helikon, auf dem Parnaß und an den Quellen beider Berge? – Dasselbe gilt von der Heroen-Zeit, welche auch auf Ägypter, Peruaner und fast alle Völker herüberglänzte, ohne doch in irgendeinem so wie im griechischen einen poetischen Widerschein nachzulassen.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 84. 99 verità abbia colpito con tutta la sua franchezza! – A dire il vero, è perfettamente vano fissare tutti i popoli – e di più le loro epoche – e, per finire, i giochi di colore sempre mutevoli dei loro geni – cioè un grande corpo vivente, dalle membra multiple, sempre diverse in primavera, – ossia fissarli ad una coppia di larghe generalità (come la poesia plastica e romantica, o oggettiva e soggettiva) come se li si stesse inchiodando a due assi sulla croce; poiché, senza dubbio, questa divisione è vera, tanto vera quanto la divisione analoga della natura in linee diritte e linee curve (laddove quella curva, visto che è infinita, è la poesia romantica), da cui la divisione in quantità e qualità; e tanto giusta quanto la divisione che scinde tutta la musica tra quella in cui domina l'armonia e quella in cui domina la melodia o, più brevemente, in un regno della simultaneità e in uno della successione; è inoltre tanto giusta quanto le distinzioni polarizzanti e vuote degli esteti schellinghizzanti; ma la vita dinamica che ha da guadagnare da questa atomistica arida? Ad esempio, anche la divisione di Schiller tra poesia ingenua ('oggettiva' sarà più chiaro) e sentimentale (termine, questo, che non esprime che un aspetto della soggettività moderna) risulta altrettanto poco efficace nel designare e distinguere il diverso romanticismo di uno Shakespeare o di un Petrarca, di un Ariosto o di un Cervantes, ecc., e il termine 'ingenuo' risulta altrettanto inefficace nel designare e distinguere l'oggettività diversa di un Omero, di un 100 Sofocle, di un Job o di un Cesare. Ogni popolo particolare, ed insieme ad esso la sua epoca, si organizza in un clima di poesia, ed è molto difficile estrarre, in vista di un sistema, la ricchezza diffusa di questa organizzazione senza perciò dimenticare tante parti vitali rispetto a quante ne vengono trattenute. Ciononostante, non si tratterà di sopprimere la grande distinzione fra poesia greca e poesia romantica: la scala continua degli animali non sopprime infatti la classificazione per specie del loro regno” 7 5 . Da queste ultime parole notiamo un aspetto essenziale nel pensiero di Jean Paul, cui abbiamo già fatto cenno nel paragrafo precedente mostrando che imitazione e immaginazione non sono due facoltà eterogenee bensì due tonalità di una scala cromatica continua in cui i colori si trasfigurano l'uno nell'altro: allo stessomodo, poesia antica e poesia romantica non sono due compartimenti stagni, due settori autonomi, eterogenei e privi di relazione l'uno con l'altro. La poesia antica e quella moderna, in tutte le sue varianti, vanno pensate in continuità tra di loro, laddove la seconda rappresenta uno sviluppo della prima e non qualcosa di autonomo ed isolato: porre infatti delle vuote distinzioni significa depauperare la vita della propria dinamicità e continuità, della propria forza inarrestabile, pretendendo di scomporla in elementi fissi e statici, a mo' di atomi, che hanno senso 75 ”[Wir] dringen mit mehr Selbstbewußtsein jetzo auf mehr Selbstbewußtsein.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 85-86. 101 solo nelle scomposizioni e ricostruzioni degli scienziati ma che non hanno piglio alcuno all'interno della fatticità e della motilità della vita. Ossia, la poesia per Jean Paul rappresenta la più alta manifestazione dello spirito di un popolo (abbiamo poc'anzi letto che “ogni popolo particolare e la sua epoca si organizzano in un clima di poesia”), ma lo spirito dei popoli si sviluppa storicamente, attraverso gli influssi che un popolo recepisce da un altro e viceversa. La poesia romantica non sarebbe dunque pensabile senza quella antica: esse si trovano sì in continuità tra di loro, ma ciò non toglie che ciascuna possa conservare le proprie differenze specifiche Si tratta ora di giungere ad una determinazione dell'essenza della poesia romantica; leggiamo le parole di Jean Paul con cui si apre il § 23: “L'origine il carattere di tutta la poesia moderna si deduce così facilmente dal cristianesimo che potremmo anche chiamare la poesia romantica 'poesia cristiana'” 7 6 . Leggiamo, attraverso le parole stesse di Jean Paul, le motivazioni attraverso cui egli stesso giustifica questa sua affermazione, che in quegli anni generò alcune polemiche 7 7 : “Tale 76 ”Ursprung und Charakter der ganzen neuern Poesie lääßt sich so leicht aus dem Christentume ableiten, daß man die romantische ebensogut die christliche nennen könnte.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 93. 77 Si rende qui necessario un chiarimento: nella edizione precedente era il paragrafo precedente che si apriva con le parole poc'anzi citate (secondo cui “l 'origine il carattere di tutta la poesia moderna si deduce così facilmente dal cristianesimo che potremmo anche chiamare la poesia romantica 'poesia cristiana” ), mentre, nella versione definitiva, esso risulta preceduto da un paragrafo, il § 22, che si apre con le 102 ad un Supremo Giudizio, il Cristianesimo estirpa l'intiero mondo dei sensi con tutte le sue seduzioni, lo riduce fino a non essere che il debole rigonfiamento di una tomba, di un'orma di cielo, e mette al suo posto un nuovo mondo di spiriti. La demonologia diviene la mitologia propria del mondo dei corpi, e i diavoli tentatori andranno a medesime parole, poste tra virgolette, al fine di spiegare tale frase preliminare, in quanto era divenuta oggetto di critiche da parte di Boutewerk e soprattutto di Horn, in quale aveva fatto notare che il rigetto cristiano della sensualità non può costituire l'essenza della poesia romantica, in quanto quest'ultima, soprattutto in riferimento agli sviluppi della “poesia meridionale”, si caratterizza al contrario per una sensualità esacerbata (cfr. a tal proposito quanto scrive in nota il traduttore francese: “C'est-à-dire Bouterwek et surtout F. Horn qui, dans sa critique du Cours, avait fait observer que le rejet chrétien de la sensualité ne peut constituer l'essence de la poésie romantique, si celle-ci, en particulier à l'époque florissante de la litérature méridionale, se caractérise au contraire par une sensualité exacerbée” , Jean Paul, Cours preparatoire d'Esthetique, cit., p. 91). A fronte di queste critiche, Jean Paul introduce, nell'ultima edizione, un paragrafo (§ 22), che reca il titolo: “Essenza dell'arte poetica romantica, differenze fra quella del sud e quella del nord”; qui egli cerca appunto di dar ragione della propria affermazione, secondo cui la poesia romantica può essere detta poesia cristiana, anche alla luce della distinzione tra poetica romantica del sud (Italia e Spegna) e del nord. A tal proposito, basti notare che la soluzione proposta da Jean Paul ripete la sua concezione secondo cui tra imitazione e immaginazione, e tra poesia antica e poesia moderna, non vi sarebbe discontinuità bensì continuità: le poesie del sud presentano tratti più difficilmente riconducibili a quegli aspetti tipicamente cristiani che invece contraddistinguono la poesia romantica del nord, e ciò sta ad indicare, ancora una volta, che sarebbe ingenuo pretendere di parlare di un'unica specie di “poesia romantica”, laddove questa, soprattutto in determinate aree geografiche e in precisi momenti storici, si è sviluppata in modi diversi in quanto ha subito influssi di vario genere. Se la poesia del nord può dunque, a pieno titolo, venir chiamata “poesia cristiana”, le poesie del 103 sistemarsi negli uomini e nelle statue degli dei; ogni presenza sulla terra sarà svanita per un avvenire in cielo. Che cosa resta allora allo spirito poetico, prima che il mondo esteriore sia crollato? – Questo mondo interiore, nel quale l'altro crolla. Lo spirito discende in lui stesso, discende nella sua notte e vive di spiriti. Ma come la finitezza non concerne che i corpi, e come negli spiriti tutto è infinito o inaccessibile, il regno dell'infinito si mette a fiorire nella poesia, sotto le ceneri della finitezza. Angeli, diavoli, santi, fortunati, così come l'Essere infinito, non avevano nessuna carne divina, né forma corporale; così il mostruoso e l'incommensurabile aprivano i loro abissi; al posto della gioia serena dei Greci, ora un'infinita nostalgia, ora la beatitudine ineffabile, – la dannazione senza né fine né limiti – nord, d'altro canto, conservano caratteristiche proprie del Cristianesimo, che sono state però storicamente mediate e modificate per tramite di influssi orientali, ad esempio, o pagani. (Per tali ragioni, è possibile – a detta di Jean Paul – classificare anche la poesia orientale, e in particolare quella indiana, come poesia “romantica” perché, pur non avendo relazioni con la religione cristiana, presenta molti più aspetti in comune con la poesia romantica che non con quella antica). Scrive Jean Paul: “Va da sé che il Cristianesimo, benché padre comune dei bambini romantici, deve generare certi figli al sud, e certi altri al nord. Bisogna che in Italia, il cui clima la rende simile alla Grecia, il romanticismo del sud, ad esempio in un Ariosto, abbia un soffio più sereno, e s'involi e dilegui meno lontano dalla forma antica che ne fa, in uno Shakespeare, il romanticismo del nord, come di nuovo, quello del sud, nella scottante Spagna, prenda una figura differente e più arditamente orientale. La poesia e il romanticismo del nord sono un'arpa eolia che traspone la poesia e il romanticismo del nord, che risolve il clamore in accordo, ma una malinconia trema sulle sue corde, e talora anche un dolore straziante” (Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 92). 104 la paura degli spiriti, che trama davanti ad essa stessa, – l'amore esaltato e contemplativo – la rinuncia senza limiti, – la filosofia platonica e neoplatonica. Nella vasta notte dell'infinito, l'uomo provava più spesso la paura che la speranza. La paura è già più potente e ricca della speranza [...], poiché la paura, ben più della speranza, rende la fantasia feconda di immagini” 7 8 . Due sono i tratti precipui che distinguono la poesia romantica da quella antica: il genio, di cui già si è detto nel paragrafo precedente, e l'ironia, e in particolare il Witz, che saranno oggetto di studio della Seconda Parte del presente lavoro. La poesia romantica – possiamo azzardare – consiste nella perfetta sintesi tra la poesia nichilistica e quella materialistica. Entrambe queste forme, caratteristiche dell'epoca moderna, non risultano infatti per Jean Paul pienamente soddisfacenti per dare vita ad una forma artistica equilibrata, scevra di contraddizioni interne e soprattutto dotata di un nesso effettivo con la realtà, senza prevaricarla (come accade nel caso della poesia nichilistica) e senza limitarsi a riprodurla in una copia priva di utilità (come accade nel caso della poesia materialistica). In sintesi, l'epoca moderna risulta, a detta di Jean Paul, caratterizzata da tre forme di poesia: materialistica, nichilistica e 78 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 93-94. 105 romantica. La prima si limita ad emulare la metodologia estetologica della poesia antica, tra l'altro cogliendone ed esasperandone unicamente l'aspetto riproduttivo; la seconda pretende invece di saltare a piè pari la lezione degli antichi, avvalendosi unicamente della facoltà del genio, inteso però come facoltà di creare ex nihilo. L'equilibrio tra queste due forme artistiche è dato, secondo Jean Paul, dalla poesia romantica, che sa modulare in modo coerente e consapevole la facoltà del genio, che ha il compito di imitare sì la natura, bensì al fine di operare una riproduzione non banalmente fedele al modello ma più ricca di esso, dando cioè vita ad una natura di secondo livello, potremmo dire, ossia ad una sorta di natura ulteriore, o virtuale, che ha preso spunto dalla natura in sé ma che da essa si è discostata ed emancipata, seppur presupponendola. L'opera del genio non consiste dunque nella creatio ex nihilo, che non potrebbe che portare alla creazione di un mero nulla, ovvero a qualcosa di totalmente irreale e distaccato dall'esperienza: tale ipotesi risulta, nell'ottica di Jean Paul, del tutto insensata nonché autocontraddittoria, dal momento che ogni volta che il genio o la fantasia si mettono all'opera per creare qualcosa di nuovo, non possono mai prescindere da un qualche materiale empirico o da una qualche forma data di cui si è già fatta esperienza; ciò significa che, pur essendo possibile fantasticare su qualcosa di inesistente come un cavallo alato, sarà pur 106 sempre necessario, al fine di costruire questa immagine, partire dall'esperienza empirica di un cavallo e delle ali di un uccello per poter dar vita a questa immagine. Ogni creazione artistica non può dunque prescindere da un sostrato materiale (la natura), ma al tempo stesso non assolverebbe al proprio compito qualora si limitasse a riprodurre, con dovizia di particolari, il modello in questione: anche questa operazione sarebbe infatti altrettanto assurda, per il fatto che la copia di un modello è, nella sua essenza, già da sempre qualcosa di altro dal modello stesso, non solo perché realizzata su un supporto diverso (ad esempio sulla tela di un pittore o tra le pagine di un romanzo), ma anzitutto per il fatto che il principium individutionis li costringerà ad essere sempre altri l'uno rispetto all'altro, anche laddove potessero raggiungere una somiglianza pressoché assoluta (si pensi ad esempio ad un quadro che riproduce un altro quadro). Creatio ex nihilo e mera riproduzione del reale sono dunque non solo inutili e fini a se stesse, ma soprattutto impossibili, in quanto risultano in ultima analisi in sé autocontraddittorie. Secondo un'altra ottica, le quattro forme di poesia sin qui prese in esame (materialistica, nichilistica, antica e romantica) possono essere interpretate secondo una sorta di rapporto di proporzione del tipo: “la poesia materialistica sta a quella antica, come quella nichilistica sta a quella romantica”, laddove la poesia materialistica e quella nichilistica 107 sarebbero due forme difettive, derivate ed inautentiche rispetto alle forme autentiche o genuine, date dalla poesia antica e da quella romantica. Ovvero, Jean Paul ci sta qui mettendo di fronte ad una sorta di fenomenologia delle forme poetiche, presentandocele nelle sue manifestazioni originarie o comunque massimamente complete e compiute, e anche nelle sue varianti difettive, laddove questo o quell'aspetto è stato esasperato dando vita a forme artistiche di discutibile valore, che vanno tuttavia prese in esame dal momento che risultano ampiamente diffuse nell'epoca moderna. Ecco dunque che il compito di una Vorschule der Ästhetik, di una propedeutica all'estetica deve anzitutto consistere nel mostrare le forme artistiche più genuine, sia al fine di costruire una teoria dell'arte che ne spieghi le dinamiche più cogenti, ma anche al fine di – potremmo dire – “guidare la mano dell'artista” (o, in questo caso, del poeta) indirizzandolo verso la corretta struttura formale di una dinamica artistica e non verso le sue variazioni perniciose ed infruttuose. Una volta descritte le forme alterate della poesia antica e romantica, che consistono rispettivamente nelle varianti moderne della poesia materialistica e nichilistica, Jean Paul passa a tracciare i tratti salienti della poesia antica al fine di descrivere, attraverso la facoltà del genio ma anche attraverso le categorie del ridicolo, dell’umoristico e 108 dell’arguto, ciò che gli sta maggiormente a cuore, ossia la poesia romantica, in cui consiste, a suo dire, la vera essenza dell'età moderna. Genio e ironia nella poesia romantica L’opera di Jean Paul è volta, in ultima istanza, a determinare, attraverso una riflessione aperta sul campo dell’estetica, l’essenza stessa del romanticismo, inteso come quel particolare movimento del pensiero umano che cerca di andare oltre i modelli ereditati dalla classicità, in quanto intende piuttosto rappresentare un nuovo volto dell’essere al mondo da parte sia dell’uomo che dell’artista. Infatti, al cambiare del mondo muta l’occhio stesso di chi vive e scruta le nuove idee, le nuove speranze ed i bisogni fino a poco tempo prima taciuti e nascosti nelle pieghe più profonde dell’anima della storia. L’irrompere detonante della Rivoluzione francese (1789-1799) giustifica sul piano della realtà effettuale ciò che il movimento romantico vuole esprimere nel campo della cultura e dell’arte. La Rivoluzione compiuta in Francia negli ultimi anni del Settecento rappresenta infatti, da questo punto di vista, la cifra della natura stessa delle pretese di rinnovamento incarnate dal romanticismo, destituendo in maniera radicale leggi e abitudini secolari fondate nel principio di autorità e 109 nella tradizione ereditata fedelmente dal passato. L’umanità che esce da questa esperienza si trova così di fronte ad inesplorate possibilità di vita; nel campo della filosofia, in particolare, il pensiero romantico attraversa, per mezzo di un nuovo modo di concepire della facoltà dell’immaginazione, gli spazi della ragione dischiusi dalla filosofia kantiana e fichtiana. Il romanticismo si presenta di conseguenza come il pensiero di una frattura nata dallo scontrarsi tra istanze opposte, quasi come se questa contraddizione non sia altro che la radice e la linfa stessa della sua natura più profonda. Per questo motivo, tra l’altro, può risultare particolarmente significativo introdurre la figura di Jean Paul, riferendosi alla spaccatura costitutiva del movimento romantico attraverso la querelle tra classicismo e romanticismo, o meglio, usando la stessa immagine jeanpauliana, la disputa tra la poesia degli antichi e la poesia dei moderni. La distinzione - poesia degli antichi e poesia dei moderni - viene ripresa, come è stato appena ricordato, dallo stesso Jean Paul, anche se in modo più ricco e articolato di quanto lo potrebbe essere la semplice opposizione binaria su cui, a livello semplicemente introduttivo, si è fatto riferimento sinora. 110 La poesia antica rappresenta, per prima cosa, quella particolare forma di arte dove il poeta imita la natura. L’operazione compiuta attraverso l’esercizio di questa mimesis non è però da intendere come un atto rivolto indistintamente alla natura tout court; l’artista – in particolare l’artista greco – volge il proprio sguardo in direzione di quegli aspetti della natura capaci di rappresentare in modo esemplare quella bellezza che attraversa, anche se modulata in diversi gradi di intensità, la vita stessa dell’uomo. Il bello, infatti, incarna per il popolo greco una realtà che si muove ben oltre il semplice ambito dell’arte, finendo così col pervadere ogni aspetto del reale. Tuttavia, come già ricordato, la bellezza può esser celebrata solo per mezzo dell’esercizio di una mimesis rivolta agli aspetti ritenuti degni di esser rappresentati in virtù della loro stessa dignità e nobiltà. Lo sguardo dell’artista implica pertanto una selezione critica di quella parte di mondo che deve venir imitata dall’arte; ma, proprio per questa ragione, l’atto mimetico presuppone quindi necessariamente il mondo della natura come suo modello di riferimento – l’arte greca è di conseguenza ritenuta arte oggettiva e plastica, radicandosi così in una immagine della bellezza segnata dai caratteri, resi celebri dalla lettura 111 compiuta da Winckelmann, di quiete, di nobiltà, di semplicità e di grandezza. La poesia moderna, invece, rigetta il modello greco classico, sostituendo il concetto di mimesis della natura con quello di genio, dove l’imitazione si compenetra con l’aspetto originale incarnato dalla creazione di una nuova natura. Tale frattura nei confronti dei modelli offerti dal passato non porta tuttavia ad una definizione, oltre che ad una realizzazione, monolitica ed unidirezionale di quello che rappresenta in effetti la poesia moderna, la quale, in ragione della propria costitutiva complessità, risulta attraversata da tensioni e da tendenze scaturite da opposte sfere di senso. La poesia moderna, intesa come poesia romantica, riposa quindi su una doppia polarità espressa da tendenze contrarie – la riproduzione del mondo naturale e la creazione di una nuova natura per mezzo della facoltà del genio. Ogni volta che l’equilibrio tra queste dimensioni opposte si spezza, il peso dell’agire poetico giunge a concentrarsi su un aspetto particolare della relazione, perdendo così di vista l’altro. La poesia moderna, per questa ragione, può dar luogo a tre distinte forme di arte – la poesia romantica propria mente detta che, come già ricordato, unisce 112 imitazione e genio; la poesia materialistica e la poesia nichilistica. A partire dal quadro teorico appena delineato risulta in modo pienamente esplicito che, secondo Jean Paul, la poesia romantica presenta una completezza ed un valore intrinseco maggiore rispetto alle altre due forme di poesia. La poesia materialistica, da parte sua, intende rifarsi esplicitamente all’arte degli antichi, ma, travisando il concetto greco di mimesis, cade nel semplice atto del ricopiare la natura tale e quale nel modo in cui si presenta di fatto allo sguardo. L’imitazione della natura, pur incarnando, secondo Jean Paul, un aspetto imprescindibile della poesia, non deve cristallizzare l’arte in forme rigide e prive di vita; l’arte materialistica esaspera il valore della mimesis fino allo svuotarla del tutto di senso. D’altra parte, un eccesso del tutto identico, si trova, oltre che nella poesia materialistica, nella stessa poesia nichilistica, anche se di segno rovesciato. La poesia nichilistica, infatti, si realizza a partire dalla pretesa di poter fare a meno dell’imitazione per mezzo dell’esercizio sfrenato della fantasia, la quale si traduce nell’annullamento del mondo attraverso il realizzarsi del proprio gioco senza regole. La facoltà della 113 fantasia, che gli antichi riconducevano alle regole della mimesis, viene invece dilatata ed esasperata dalla poesia nichilistica fino a cancellare la realtà stessa di quel mondo naturale che prima svolgeva il ruolo di modello imprescindibile dell’arte. L’atto di superamento del mondo naturale è realizzato quindi attraverso una fantasia che, seguendo ormai una facoltà del genio priva di regole, viene ampliata al punto da cadere nell’arbitrio più grande rappresentato della creazione ex nihilo. La facoltà del genio, perdendo il contatto con la norma, svuota di significato la propria caratteristica capacità creativa, dal momento che si riduce a facoltà sregolata capace esclusivamente di assecondare i sogni e le fantasticherie di un io ormai reso solo come l’immagine megalomane ed eslege di se stesso. Il mondo, o meglio il non-mondo, dischiuso dal nichilismo della poesia trova la propria ripetizione e giustificazione teorica nella filosofia fichtiana, in cui, a partire dalla scissione insanabile tra l’umanità e la natura, espressa dall’opposizione tra Io e non-Io, si gettano le basi proprio per quella ipertrofica soggettività capace di creare da sé - ex nihilo - l’intero mondo. Tuttavia, secondo il pensiero di Jean Paul, la posizione nichilistica comporta la dissoluzione di ogni 114 possibile ordine morale, dal momento che viene meno un qualsiasi principio di ordine e di armonia; da questo punto di vista l’arte stessa, oltre alla morale, non è più capace di offrire modelli, in quanto sembra trovare il proprio luogo solo nella trasgressione che viola costantemente la regola – temi questi, in particolare quello della “perdita di valori”, che sono trattati da Jean Paul già nelle prime righe della Vorschule der Ästhetik. Il nichilismo conduce di conseguenza, sulla scia di quanto già affermato in precedenza, l’uomo all’ateismo, incarnando così quella stessa “morte di Dio”, di cui Jean Paul parla nel “Discorso del Cristo morto” proprio con l’intenzione di dare vita ad una effettiva rappresentazione della visione atea dell’esistenza. L’unica possibile via d’uscita dalla contraddizione, rappresentata dall’opporsi della poesia materialistica rispetto alla poesia nichilistica, è la poesia romantica, la quale cerca di mediare la contraddizione presente nei due poli opposti – materialismo-nichilismo -, conducendoli all’ordine attraverso quella che si potrebbe definire come una sorta di doppia correzione reciproca; dal momento che tanto la poesia materialistica richiede, secondo Jean Paul, di esser mediata da quella nichilistica, al fine di poter guadagnare un reale equilibrio 115 interno, quanto la stessa poesia nichilistica necessita di esser mitigata, in quella che risulta essere la propria straripante spinta creatrice, dalla prospettiva rappresentata dalla poesia materialistica. La poesia romantica poggia le proprie basi sulla facoltà dell’immaginazione, la quale, a differenza della fantasia utilizzata dai poeti nichilistici, presuppone necessariamente il riferimento ad una regola con la quale rapportarsi alla natura, poiché la natura stessa è un qualcosa di presupposto che non può esser annullato come nel caso, appunto, della poesia nichilistica, in virtù del riferimento ad una vuota ed annichilente potenza creatrice. La libertà dell’immaginazione non si identifica quindi con l’esercizio di una libertà assoluta, ma, al contrario, implica l’appoggio del genio, inteso come quella capacità in grado di portare, attraverso la realizzazione di uno sguardo olistico ed innovatore sull’esistenza, una nuova intuizione del mondo e della vita. Il genio, a partire dalla stessa natura, trova pertanto la forza di creare, per mezzo del proprio agire, un qualcosa di mai visto prima, essendo capace di racchiudere in sé la potenza di una nuova visione del mondo. 116 Il genio romantico incarna di conseguenza, in virtù della propria originale, anche se sottoposta a regola, forza creatrice, l’essenza stessa del romanticismo. Tuttavia, il solo riferimento alla facoltà del genio non è sufficiente a comprendere il movimento di idee, oltre che il cambiamento di prospettiva, rappresentato dalla stagione romantica, dal momento che la cifra stessa del romanticismo e della sua capacità di creare nuovi modi di intuire la vita e il mondo è rappresentato dal concetto di ironia. Da questo punto di vista l’ironia indica senz’altro una delle più potenti ed efficaci alternative nei riguardi della poesia nichilistica, in quanto incarna quella capacità concreta e positiva di leggere, oltre che di riconoscere, tutti quei nessi nascosti tra le pieghe più sottili della realtà. Detto in altri termini, è l’esercizio attivo dell’ironia che permette all’uomo di armonizzare le fratture di senso che si inscrivono nella propria particolare esperienza della vita e del mondo. L’importanza e la centralità dell’ironia è rispecchiata, d’altra parte, dall’interesse che Jean Paul manifesta per questo concetto, sottoponendolo ad uno studio attento e meticoloso, al fine di mostrarne le differenti stratificazioni di senso sottese alla sua stessa 117 variegata fenomenologia. L’ironia, infatti, non incarna un fenomeno semplice ed elementare, che può esser visto come espressione di una realtà monolitica e pacificata in se stessa; dal momento che questo concetto sottende al proprio interno una ulteriore ramificazione che si dirige in direzione di quelli che possono essere letti come i tre principali tipi di ironia – il comico, l’umorismo e l’arguzia. 118 C A PITOL O Q U ARTO I L G E NIO 4.1. Arte e bellezza nell’estetica romantica Per approcciare il concetto di genio nell'opera di Jean Paul è necessario, in via preliminare, sottolineare alcuni aspetti connessi alla nozione di bellezza e alla sua relazione con l'arte romantica. Il concetto di bellezza presenta una grande varietà di significati diversi tra loro - l’interessante, il piacevole, l’utile legato alla nozione di scopo, il divino, il vero, il buono. Uno dei paradigmi di bellezza che hanno maggiormente influenzato l’estetica è stato comunque quello di origine platonica, il quale lega il concetto di bello all’idea di bene, delineandolo così attraverso il riferimento eslicito all’unità e alla forma. Nella filosofia di Plotino la bellezza si vincola ancora al concetto di forma, mentre il suo opposto, il brutto, a quello di mancanza di forma, l’informe. D’altra parte, Agostino associa invece la bellezza al riferimento all’unità. Al di là delle varie ripetizioni del paradigma 119 platonico, si trova la concezione aristotelica della bellezza, definita dai caratteri di ordine, simmetria e perfezione – aspetto ripreso poi dal pensiero stoico, latino e rinascimentale. Per quanto riguarda invece il concetto di bellezza legato all’estetica, attraverso il delinearsi di una vera e propria dottrina del bello, si può parlare dell’introduzione del concetto di perfezione sensibile, come è avvenuto nel caso di Baumgarten. Secondo questa particolare prospettiva teorica, la questione sul bello si distingue in due punti ben determinati; il primo riguarda la rappresentazione sensibile intesa come rappresentazione artistica, mentre il secondo insiste sulla dimensione di piacere implicata dalla stessa attività estetica. I due lati della questione sul bello appena presentati vengono poi ripresi da Kant, per mezzo di una definizione che determina la bellezza come oggetto di un piacere disinteressato, riassumendo così i concetti chiave espressi sia dall’estetica razionalista che empirista. Kant distingue poi la bellezza in “bellezza libera”, pulchritudo vaga, ed in “bellezza aderente”, pulchritudo adhaerens. La bellezza libera si lega a quella del bello naturale, in quanto non presuppone alcun concetto che possa in qualche modo limitare la natura dell’oggetto in questione. La bellezza aderente, invece, presuppone sia il concetto dell’oggetto che quello dello scopo a cui l’oggetto implicato dall’oggetto stesso. Il 120 bello, con la lettura kantiana, diventa inoltre per la prima volta autonomo nei confronti della sfera morale e gnoseologica. Il romanticismo identificava l’arte con la bellezza, cosa che poi verrà invece respinta in modo del tutto esplicito dall’estetica postidealista. D’altra parte, la stessa identità tra arte e bello non rappresentava una lettura semplice ed immediata di facile definizione. Nello stesso romanticismo possiamo infatti riscontrare tre distinti significati della relazione arte e bellezza. L’arte si avvicina, secondo Schiller, alla sfera del gioco e della libertà; mentre Schelling lega invece l’esercizio dell’arte alla facoltà creatrice del genio. Hegel identifica inoltre, a differenza degli altri due autori, la bellezza con la verità. Nella visione del mondo romantica è possibile trovare traccia di ciò che è stato definito come estetismo, corrente di pensiero in cui i valori estetici sono considerati come il culmine della stessa vita spirituale. L’arte acquista, in questo modo, una valenza del tutto particolare, che si traduce poi in un altro aspetto caratteristico del romanticismo - il riconoscimento di un valore conoscitivo dell’arte, inteso come un qualcosa di distinto sia dalla conoscenza scientifica che da quella filosofica. Nella lettura compiuta da Schelling l’arte è invece l’“organo” della stessa conoscenza metafisica, la quale è inscritta nell’assoluto, inteso come luogo dell’identità tra finito ed infinito. La bellezza si schiude pertanto nel manifestarsi dell’infinità nel finito 121 stesso. Hegel intende invece l’arte, al pari della religione e della filosofia, come una delle manifestazioni più alte dell’assoluto, anche se nella forma a-concettuale della rappresentazione. 4.2. Il genio come facoltà dell’intelletto Il termine genio rappresenta una facoltà dell’intelletto fino alla fine del XVII secolo. L’ingegno appartiene invece all’ambito della retorica, legandosi all’appariscente e all’arguto e distinguendosi così sia dall’intelletto che dalla ricerca della verità perseguita dalla dialettica razionale. L’ingegno, tradotto anche nei termini di acutezza, da parte di Baltasar Gracian, si identifica col concetto di creatività ed inventiva artistica, oltre che di accortezza pratica in ambito morale. Lo sguardo guidato dall’ingegno è capace di produrre quella particolare forma di sguardo panoramico e immediato, reso dal concetto di discrezione e di “tatto”. Nel suo senso più proprio, quindi, il termine ingegno, reso in francese dall’espressione esprit, identifica una facoltà umana legata alla capacità inventiva propria del campo dell’arte, dando luogo una lunga serie di termini sinonimi tutti derivati dal latino genius, ricavato dal verbo gigno: genero – inglese: genius; francese: génie; tedesco: Genius. 122 4.3. Il genio moderno: espressione dell’irrazionale o del sovrarazionale Il genio o ingegno fu da sempre riferito ad una capacità tecnicopratica di carattere prevalentemente intellettuale, anche se legata alla sfera emotiva del sentimento o della fantasia. Dal Settecento, tuttavia, il concetto di genio arriva ad identificarsi con una sorta di rivelazione degli aspetti irrazionali o sovrarazionali appartenenti al mondo della natura. Diderot dedica, ad esempio, al genio una delle voci della sua Enciclopedia, mentre Kant lo definisce, all’interno della Critica del Giudizio, come quella “disposizione innata dell’animo (ingenium) per mezzo della quale la natura dà la regola all’arte”. Il genio, pertanto, giunge così a legarsi profondamente col dono naturale di creare ciò di cui non esiste alcuna regola - la creatività si sposa quindi con la libertà e l’inventiva. Il fatto stesso di essere dotati del genio artistico non comporta però la possibilità di saper spiegare il modo in cui è stato possibile attingere alle proprie intuizioni. La natura soprannanturale del genio è stata confermata anche da Hamann, che la rende con il concetto di Urkraft, forza originaria, la quale giunge poi ad identificarsi con quella creatività naturale capace di alludere, quasi come se fosse una sua nascosta manifestazione, al carattere più proprio di Dio. 123 4.4. Il genio romantico Il tema del genio e della genialità è poi ripercorso in modo del tutto evidente nell’età romantica, dove il senso estetico legato al genio viene ampliato in una maniera del tutto significativa ed originale; infatti, a partire dall’esempio offerto da Fichte, si è realizzata la sua estensione all’ambito religioso ed etico. La figura del genio implica pertanto, in Fichte, la tensione verso il mondo spirituale, la quale cerca di anticipare in qualche modo la perfezione futura che l’umanità sarà in grado di conquistare con le proprie forze. D’altra parte, con Schelling il genio diventa la sola facoltà in grado di cogliere l’assoluto attraverso l’intuizione dell’infinito nel finito, racchiudendo così al proprio interno la natura e lo spirito, così come l’inconsapevolezza ingenua del naturale e la capacità, presente a se stessa, di creare caratteristica dell’uomo. Nella filosofia di Schopenhauer il genio è distinto in due forme differenti del modo di conoscere - il modo del filosofo e quello dell’artista -, a cui si affiancano parallelamente le due modalità pratiche dell’uomo morale e dell’asceta. Alla figura del genio si accosta, ancora in Schopenhauer, il fenomeno della pazzia, tema che poi avrà ancora un più ampio successo, nell’età positivistica, con Lombroso, dove una alterazione dell’equilibrio fisico dell’uomo è letto come la causa che il genio, la delinquenza e la pazzia hanno in 124 comune. Il genio viene poi normalmente spiegato da fenomeni fisiologici, come accade ad esempio in Taine, provocando in tal modo una reale demitizzazione di questa facoltà, i cui frutti sono di fatto ricondotti, nella loro particolare natura di opere d’arte, ad aspetti ambientali che rispecchiano la società in cui la capacità creativa stessa si nutre ed è esercitata dall’artista. 4.5. La facoltà del genio nella Vorschule der Ästhetik Ciò che caratterizza l'arte moderna, a differenza di quella antica, è, secondo Jean Paul, la facoltà del genio, che cercheremo ora di presentare. Anzitutto bisogna chiarire che il genio non può essere inteso come un'unica facoltà 7 9 , bensì come una “armonia” 8 0 che comprende in sé diverse facoltà: “Nel genio, tutte le facoltà sbocciano nello stesso tempo; e l'immaginazione non è un fiore di questo buoquet, ma essa è la dea dei fiori che assicura l'ordine dei calici dai quali i pollini mescolati fanno schiudere nuove fioriture; essa è, per così dire, la facoltà nella quale sono racchiuse tutte le altre” 8 1 . 79 ”Der Glaube von instinkmäßiger Eikräftigkeit des Genies konnte nur durch die Verwechslung des philosophischen und poetischen mit dem Kunsttriebe der Virtuosen kommen und bleiben.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 55. 80 ”Das Dasein dieser Harmonie und dieser Harmonistin begehren und verbürgen zwei große Erscheinungen des Genius.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 56. 81 ”Im Genius stehen alle Kräfte auf einmal in Blüte; und die Phantasie ist darin nocht die Blume, sondern die Blumenkelche für neue Mischungen ordnet, gleichsam die 125 Già da subito notiamo lo stretto legame che intercorre tra la facoltà del genio e quella dell'immaginazione o fantasia 8 2 : se l'estetica antica ruota attorno al concetto di “imitazione” (“mimesis”), quella moderna non può invece prescindere dall'“immaginazione”, o “fantasia”. Scrive Jean Paul: “L'immaginazione [Einbildungskraft] è la prosa delle facoltà delle immagini [Bildungskraft] o fantasia [Phantasie] 8 3 . Essa non è che un ricordare più intenso e più alto in colori, che possiedono anche gli animali, poiché arrivano a sognare e ad avere paura. Le sue immagini non sono che turbinii di foglie staccate dal mondo reale; la febbre, la Kraft voll Kräfte.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 56. 82 Spesso questi termini sono usati da Jean Paul come sinonimi: si veda ad esempio il paragrafo 7 della Vorchule der Ästhetik, dove – già nel titolo – queste due nozioni risultano interscambiabili; “Bildungskraft oder Phantasie”, cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 47. 83 Si rende necessario qui un chiarimento terminologico: Jean Paul fa uso qui di tre termini: Einbildungskraft (immaginazione), termine classico e tecnico volto ad indicare la rappresentazione non percettiva; Bildungskraft (facoltà delle immagini), termine raro, se non addirittura proprio di Jean Paul, che designa la facoltà di formare o creare immagini; Phantasie (fantasia), uno delle nozioni-chiave del romanticismo, volta ad indicare la grande immaginazione creatrice di finzioni. Per questa scelta di traduzione, cfr. anche la scelta del traduttore francese: “JP use de trois termes: Einbildungskraft, terme classique et technique pour la représentation non-perceptive; Bildungskraft, terme rare sinon propre à JP, et qui désignerait plutôt la faculté de former ou forger – ou créer – des images; Phantasie, und des maìîtresmots d romantisme, la grande imagination créatrice de fictions. Nous traduisons comme l'indique, dans l'ordre, notre phrase”, Jean Paul, Cours preparatoire d'Esthetique, traduction et annotation de Anne-Marie Lang et Jean-Luc Nancy, L'Age d'Hommes, Lausanne 1979, p. 57. 126 debolezza dei nervi, le bevande possono ingrassare e gonfiare queste immagini al punto che esse passano dal mondo interiore a quello esteriore, come solidificate, e vi prendono corpo“ 8 4 . E, nel paragrafo successivo: ”Ma la fantasia, o facoltà delle immagini, è più alta: essa è l'anima del mondo delle anime, e lo spirito elementare delle altre facoltà; una grande fantasia può vedere il proprio corso scavato e isolato secondo facoltà particolari, quelle del tratto dello spirito, per esempio, o dell'acume, mentre nessuna di queste facoltà si lascia ingrandire secondo le dimensioni della fantasia” 8 5 . La fantasia va pensata alla stregua di una facoltà molteplice, che consta di diversi gradi: da una sorta di grado zero, in cui essa è meramente ricettiva, e che senza dubbio richiama l'immaginazione riproduttiva di kantiana memoria, si giunge fino alla fantasia vera e propria, intesa quale facoltà in grado di generare finzioni. Questo modo di intendere la fantasia, ossia secondo un cromatismo di 84 ”Einbildungskraft ist die Prose der Bildungskraft oder Phantasie. Sie ist nichts als eine potenzierte hellfarbigere Erinnerung, welche auch die Tiere haben, weil sie träumen und weil sie fürchten. Ihre Bilder sind nur zugeflogne Abblätterungen von der wirklichen Welt; Fieber, Nervenschwäche, Getränke können diese Bilder so verdicken und bleiben, daß sie aus der innern Welt in die äußere treten und darin zu Leibern erstarren.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 47. 85 ”Aber etwas Höheres ist die Phantasie oder Bildugskraft, sie ist die Welt-Seele der Seele und der Elementargeist der übrigen Kräfte; darum kann eine große Phantasie zwar in die Richtungen einzelner Kräfte, z. B. des Witztes, des Scharfsinns u. s. w., abgegraben und abgeleitet werden, aber keine dieser Kräfte lässet sich zur Phantasie erweitern.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 47. 127 sfumature che trascolorano l'una nell'altra, è uno dei tratti più significativi del pensiero estetologico di Jean Paul: in questo modo, infatti, egli ci propone di non intendere l'imitazione e l'immaginazione come due categorie eterogenee ed incompatibili l'una rispetto all'altra, bensì come paradossalmente legate tra di loro quasi come se una fosse lo sviluppo dell'altra. Ossia, l'imitazione, che riproduce mimeticamente la natura, può configurarsi come una mera e banale riproposizione di un contenuto dato (poesia materialistica), ma può anche agire in modo selettivo, evidenziando alcuni aspetti della natura a discapito di altri (poesia antica): qui ovviamente si vede già bene che la mimesis e la fantasia ricettiva, o immaginazione riproduttiva, rischiano di trascolorare l'una nell'altra. Questo processo astrattivo può affinarsi sempre di più, dando luogo alla fantasia (o immaginazione) vera e propria, in cui consiste la più alta delle facoltà che appartengono alla facoltà (o meta-facoltà, potremmo azzardare) del genio (poesia romantica); facoltà, questa, che può essere esasperata, sino a dar luogo ad una sorta di variazione negativa o difettiva, laddove il genio o la fantasia pretendono di poter creare la propria opera ex nihilo (poesia nichilistica). A questo punto potremmo dunque affermare che la facoltà del genio altro non sia che l'equilibrio tra l'imitazione e l'immaginazione, tra la mimesis e la phantasia, ovvero che coincida con la fantasia nella sua 128 accezione più originaria ed equilibrata, e non distorta per difetto o per eccesso; o, in altre parole, ripetendo l'espressione di Jean Paul che abbiamo già citato all'inizio della nostra trattazione, la facoltà del genio altro non deve essere che quella “bella imitazione” 8 6 , propria della poesia romantica, volta ad imitare la natura realizzando una copia che risulti più ricca del modello, laddove questo qualcosa in più è per l'appunto il prodotto del genio, che crea una nuova natura, senza avere però l'assurda pretesa di prescindere in toto da qualsivoglia modello di partenza. Scrive Jean Paul: “Il cuore del genio, al quale tutte le altre facoltà non fanno che portare la loro luce e il loro aiuto, possiede e conferisce un solo marchio autentico: una intuizione nuova del mondo o della vita. Laddove il talento non espone che delle parti, il genio espone tutto dell'esistenza” 8 7 . Scopo del genio è dunque quello di portare ad 86 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., I Programm “Über die Poesie überhaupt”, § 1-5, pagg. 30-47. 87 Scrive a tal proposito Jean Paul: ”Das Herz des Genies. welchem alle andere Glanz- und Hülf-Kräfte nur dienen, hat und gibt ein echtes Kennzeichen, nämlich neue Weltoder Lebens-Anschauung. Das Talent stellet nur Teile dar, das Genie das Ganze des Lebens, bis sogar in einzelnen Sentenzen, welche bei Schakespeare häufig vor der Zeit und Welt, bei Homer und andern Griechen von den Sterblichen, bei Schiller von dem Leben sprechen. Die höhere Art der Welt-Anscheuung bleibt als das Feste und Ewige im Autor und Menschen unverrückt, indes alle einzelnen Kräfte in den Ermattungen des Lebens und der Zeit wechseln und sinken können; ja der Genius muß schon als Kind die neue Welt mit andern Gefühlen als andere aufgenommen und daraus das Gewebe der künftigen Blüten anders gesponnen haben, weil ohne den frühen 129 una “intuizione nuova del mondo o della vita”, ovvero, il suo tratto distintivo consiste nell'elemento di novità che esso deve apportare nell'atto della sua creazione: il genio opera cioè rifacendosi alla natura, dando luogo ad una “bella imitazione” che, prediligendo sapientamente alcune cose a discapito di altre, possa mettere in luce la bellezza presente nel mondo naturale, al fine di dischiudere una nuova intuizione del mondo e della vita. Il genio, accanto all'ironia, è ciò che caratterizza la poesia romantica. Unterschied kein gewachsenerdenkbar wäre. Eine Melodie geht durch alle Absätze des Lebens-Liedes. Nur due äußere Form erschafft der Dichter in augenblicklicher Anspannung; aber den Geist und Stoff trägt er durch ein halbes Leben, und in ihm ist entweder jeder Gedanke Gedicht oder gar keiner.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 64. 130 C APITOLO Q UINTO L' IRONIA 5.1. La nozione di ironia nella Vorschule der Ästhetik La parte centrale della Vorschule der Ästhetik di Jean Paul prende in esame la nozione di ironia in senso lato, operando una variegata e dettagliata fenomenologia delle forme del ridicolo, mostrando come in esse sia possibile rintracciare la cifra della poesia romantica, che si distingue da quella antica proprio per il fatto di essere per essenza una poesia umoristica, basata cioè sullo humor, ossia sul comico romantico, e ancor di più sul concetto di Witz, che traduciamo qui, in accordo col traduttore della versione italiana di questi capitoli della Vorschule, con arguzia, ma che potrebbe essere reso anche con ingegno, motto di spirito, ecc. L'ironia è uno degli argomenti più trattati dagli autori romantici: basti citare Schlegel, Solger, ma soprattutto lo stesso Jean Paul. “Per Hegel (ma anche per il Kierkegaard di Sul concetto di ironia) l'ironia romantica è la riduzione di ogni contenuto, di ogni serietà, all'arbitrio del soggetto che, sentendosi, come accade in Fichte, origine di ogni sapere, pensa di poter porre e annullare a piacimento ogni cosa: è una 131 genialità arbitraria, che dissolve tutto quel che ha valore, una fatuità che gioca solo con se stessa e lascia perire ogni realtà. Ora, se si vuole arrivare a cogliere il significato che l'ironia assume per i romantici, è necessario lasciare da parte questa lettura hegeliana, che non solo fa slittare immediatamente comprendere, un connotando giudizio il di valore romanticismo sulla come cosa da incapacità di affrontare la concretezza, come disperdimento nella vanità o nello struggimento sentimentale, ma isola nell'ironia il solo aspetto dell'affermazione della soggettività, precludendo una comprensione che tenga nel dovuto conto i molteplici aspetti e le diverse istanze che nell'ironia trovano espressione [...]. Quando Fr. Schlegel comincia a usare il termine 'ironia', negli scritti del 1797, egli intende distanziarsi subito dall'accezione retorica, in base alla quale 'ironia' vuol dire affermare una cosa intendendo in realtà l'opposto, utilizzare il vocabolario dell'avversario per farne risultare l'inattendibilità, e per rendere evidente questo distanziamento Schlegel oppone nel modo più netto all'ironia retorica l'ironia di Socrate” 8 8 . Il concetto schlegeliano di ironia si sposa con la pretesa dell’artista romantico di distaccarsi dal mondo al fine di poter esercitare, attraverso una costante parodia di se stessi, la propria libertà, la quale è realizzata con quel particolare gusto per lo spiritoso e l’umorismo che rende possibile l’oggettività della stessa opera d’arte. L’ironia, secondo le stesse parole di Schlegel, non è altro che una “buffoneria trascendentale”, capace di superare le opposizioni inscritte nell’idea kantiana in direzione di un inesausto approssimarsi verso l’infinito, ripetendo in questo modo lo sforzo 88 Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo, cit., pag. 99. 132 stesso della filosofia idealistica di Fichte. Il realizzarsi dell’ironia comporta il rispetto di almeno due condizioni a cui non è possibile in alcun modo rinunciare: in prima istanza è necessario il presentarsi, attraverso due termini di natura opposta, di un contrasto; mentre, in seconda battuta, si manifesta l’assoluta libertà da parte del soggetto. Il ritmo dell’ironia riprende, non a caso, i movimenti della filosofia fichtiana, dove la stessa realtà del mondo, intesa sia in senso conoscitivo che morale, trova le proprie radici nell’opposizione tra la libertà e la costitutiva limitazione che segna l’io fin dalle sue più profonde origini. L’ironia tocca poi anche l’ambito dell’estetica, senza trovare però una reale soluzione che possa pacificare in modo assoluto i termini opposti dell’antitesi in cui si inscrive il suo particolare spazio di gioco; il compito dell’artista romantico non è infatti quello di soffocare la contraddizione in un equilibrio armonico di tipo schilleriano, ma, al contrario, deve rendere produttiva l’antitesi, attraverso l’esercizio della propria immaginazione, creando di continuo nuovi mondi come risposta al loro costante crollare su se stessi e mostrando in questo modo l’insopprimibile libertà del soggetto rispetto alla resistenza incarnata dalla natura del non-Io ostile. Quanto a Jean Paul, invece, vedremo che egli pone la questione in termini diversi e probabilmente più radicali. Egli in primo luogo esordisce con una disanima intorno al concetto di ridicolo, che non può “piegarsi ad entrare nelle definizioni dei filosofi [...] perché la sensazione che gli è peculiare assume tante forme quante sono le 133 deformità” 8 9 . La facoltà di ridere e quella di piangere da sempre sono state associate all'essenza dell'uomo quali differenze specifiche che lo contraddistinguono dagli animali da lui difformi, come emerge dalle riflessioni della Poetica di Aristotele che Jean Paul richiama all'inizio delle sue disquisizioni sul ridicolo: “l'antica definizione di Aristotele”, scrive Jean Paul, “segue [...] la traiettoria giusta, pur se non giunge a segno quando afferma che il ridicolo nasce da un'assurdità innocua. Ma né l'assurdità innocua degli animali né quella dei pazzi è comica, né sono comiche le più grandi assurdità di popoli interi” 9 0 . Jean Paul esordisce dunque richiamandosi alla definizione di ridicolo offerta da Aristotele, al fine di farla propria per poi criticarla e ampliarla nelle pagine che seguono. Il ridicolo e il sublime Le considerazioni di Jean Paul dedicate al tema del ridicolo prendono le mosse dal concetto opposto, determinando il quale sarà possibile, per differenza, giungere ad una definizione soddisfacente del ridicolo stesso; scrive Jean Paul: “Il miglior modo di scrutare una sensazione è di interrogarla sul suo opposto. Qual è dunque il riflesso inverso del ridicolo? Né il tragico, né il sentimentale [...]. Il nemico 89 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 102, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia. Arte e artificio del risto in una “Propedeutica all'estetica” del primo Ottocento , a cura di Eugenio Spedicato, Il Poligrafo, Padova 1994, pag. 113. 90 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 102-103, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 113. 134 giurato del sublime è il ridicolo” 9 1 . Il ridicolo viene dunque definito in prima istanza come opposto al sublime, la definizione del quale viene desunta da Kant e Schiller i quali, nell'interpretazione di Jean Paul, sostengono che la sublimità ideale consiste “in un infinito, che i sensi e la fantasia rinunciano a dare e a comprendere, mentre la ragione lo crea e lo tiene saldamente. Ma il sublime,per esempio il mare o un'alta catena montuosa, non può essere un'entità che i sensi non riescono a concepire, poiché proprio i sensi abbracciano lo spazio nel quale quel sublime è innanzitutto allogato [...]. Inoltre il sublime è sempre legato a un segno sensibile (dentro o fuori di noi); ma sovente tale segno non attinge né alle forze della fantasia né a quelle dei sensi [...]. Pertanto la sublimità estetica dell'agire riposa sempre su un rapporto inverso con l'importanza del segno sensibile, e solo il segno più piccolo è più sublime [...]. Kant divide inoltre il sublime in matematico e dinamico, o, secondo l'espressione di Schiller, in quel che supera la nostra forza cognitiva e in quel che minacia la nostra forza vitale” 9 2 . A seguito di queste considerazioni, Jean Paul arriva a definire, in modo sintetico, il sublime come l'infinito applicato 9 3 . 91 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 104-105, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 115. 92 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 105-106, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 117. 93 Leggiamo a questo punto l'intero passo in cui Jean Paul espone questa definizione: “Se mi è lecito definire il sublime come l' infinito applicato, s'instaura allora una ripartizione quintuplice o anche triplice: il sublime applicato all'occhio (matematico o ottico) – all'orecchio (dinamico o acustico) – la fantasia deve, a sua volta, dall'interno, porre l'infinità in rapporto con la propria sensibilità quantitativa e qualitativa, in 135 Se il sublime, ossia il riflesso inverso del ridicolo, è il sentimento dell'infinitamente grande, che risveglia l'ammirazione, il ridicolo sarà, di contro, il sentimento dell'infinitamente piccolo, che suscita la sensazione opposta 9 4 , che non riguarda però la sfera morale bensì quella dell'intelletto: “Nel regno morale non esistono misure piccole, rivolte alla vita interiore, la moralità genera stima, la nostra e l'altrui; la sua assenza disprezzo;rivolta alla vita esteriore genera amore; la sua quanto incommensurabilità e divinità – o poi vi è ancora la terza o quinta sublimità, che si rivela proprio nel rapporto inverso con il sensibile e con il segno esterno e interno: la sublimità etica o dell'azione. Come può, dunque, l'infinito essere applicato proprio ad un oggetto sensibile, se quest'ultimo, come ho dimostrato, è più piccolo delle ali dei sensi e della fantasia? Il prodigioso salto dal sensibile come segno al non sensibile come significato – un salto che la fisiognomica e la patognomica devono compiere ogni istante – solo la natura può offrircelo, non una qualche idea intermediaria; per esempio tra l'espressione mimica dell'odio e l'odio stesso, o tra la parola e l'idea, non vi è alcuna equivalenza. Tuttavia, occorre trovare le condizioni nelle quali un certo oggetto sensibile piuttosto che un altro diventa segno spirituale. Estensione e intensità sono ambedue necessarie all'orecchio; il suono del tuono deve anche essere un suono prolungatgo. Dato che nell'intuizione noi non conosciamo altra forza se non la nostra, e poiché la voce è in qualche modo la parola d'ordine della vita, riusciamo a capir meglio perché sia proprio l'orecchio a designare il sublime della forza.Non bisogna escludere del tutto un rapido paragonare i nostri suoni con i suoni altrui. Persino il silenzio può diventare sublime, quello di un'aquila in volo planato o quello del mare prima della tempesta o quando dopo il fulmine attendiamo il tuono”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 106, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 117. 94 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 109, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 119, dove si legge: “All'infinitamente grande che risveglia l'ammirazione, deve opporsi un infinitamente piccolo dello stesso tipo, che susciti il sentimento opposto”. 136 assenza odio; il ridicolo è troppo debole per agitare il disprezzo, troppo innocuo per generare l'odio. Non gli resta dunque che il regno dell'intelletto, e di questo regno, in particolare, la provincia dell'insensatezza. Ma perché l'intelletto desti un sentimento, occorre che i sensi lo intuiscano in un'azione o in uno stato, il che è possibile solo se l'azione rappresenta, in qualità di suo opposto, l'opinone dell'intelletto e ne punisce le menzogne” 9 5 . 95 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 109 e s., tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 119; il passo prosegue con queste parole, che è il caso di riportare: “Non siamo ancora al traguardo. Dato che nessun contenuto sensibile può essere di per sé ridicolo – ovvero nulla di inanimato può esserlo, fuorché tramite personificazione –, e parimenti nessun contenuto spirituale può di per sé diventar tale – né il puro errore, né la pura irragionevolezza –, allora ci si chiede: quale sensibile offre allo spirituale il suo specchio, e quale spirituale vi si riflette? Un errore in sé e per sé non è ridicolo, come non lo è l'ignoranza, altrimenti i diversi partiti religiosi e ceti non farebbero che deridersi a vicenda. Occorre infatti che l'errore possa manifestarsi in uno sforzo, in un'azione. Così, quella manifestazione d'idolatria la cui semplice descrizione ci lascia seri, ci apparirà ridicola se la vediamo direttamente. Una persona che goda di buona salute, eppure sia convinta d'esser malata, non ci parrà comica prima d'aver preso serie precauzioni contro la propria malattia. Affinché la contraddizione possa toccare l'apice del comico, sforzo e situazione devono essere ambedue intuibili. Anche in tal caso avremmo ancora tuttavia, semplicemente, un errore finito espresso nell'intuizione e non già un'assurdità infinita. Non vi è infatti persona che possa agire in qualsivoglia circostanza altrimenti ch in base alle proprie rappresentazioni. Quando Sancio, per una notte intera, si tiene sospeso su una fossa poco profonda, perché suppone che un abisso stia spalancato sotto di lui, il suo sforzo, data la suposizione, è pienamente sensato, e anzi egli sarebbe un pazzo se ardisse di sfracellarsi. Perché. ciononostante, ridiamo? Qui viene il punto decisivo: noi prestiamo al suo sforzo il nostro giudizio e il nostro punto di vista, e da questa contraddizione generiamo l'infinita assurdità; e solo 137 5.1.1. Il comico I tre volti dell’ironia si stagliano lungo un orizzonte estetico dove il comico, permeato dalle caratteristiche della semplicità e dall’assenza di complicazioni, rappresenta il primo punto d’approdo – il preludio per poi poter andar oltre la dura terra dell’umorismo attraversato dal dolore e dalla serietà 9 6 . Il comico è pervaso da una simpatia immediata e di natura intellettuale, che, nell’umorismo, si rovescia invece in una l'evidenza del'errore, offerta all'intuizione sensibile, permette alla nostra fantasia – mediatrice anche qui come per il sublime tra interiore ed esteriore – di operare tale trasposizione. Questo nostro autoinganno, che ci porta ad attribuire allo sforzo altrui un sapere che lo contraddice, fa dello sforzo quel minimum dell'intelletto e quell'insensatezza intuita che ci fanno ridere, sicché dunque il comico, come il sublime, non dimora mai nell'oggetto, ma nel soggetto”. 96 Si vedano, a mo' di introduzione sul tema, queste parole di uno die maggiori critici del pensiero di Jean Paul, Johannes Ast: “Auf das Gebiet seines eigensten Wesens kam jedoch Jean Paul erst mit der Untersuchung über das Lächerliche und den Humor. Bisher hatte er weit umherreichend das Gebiet seines Geistes und seines Schicksals im ganzen Gefüge der Dichtung umschreiben, nun begann er von seiner eigen Mitte her noch einmal nachzubilden, was in seinem Werte sich schon natürlich enfaltet hatte. In reichen Kapiteln „Über den Epischen“, „Über die humoristische Dichtkunst“, „Über den epischen, dramatischen und lyrischen Humor“ und „Über den Witz“ zeigte Jean Paul mit einer Mahrhast wissenschaftlichen Fachkenntnis das Gesetz des Komischen und erwies an ungemein treffenden Verweisen auf Sterne, Swift, Pope, Voltaire, Rabelais, Cervantes, Aristophanes und fast alle sonstigen mehr oder minder bedeutenden abendländischen Humoristen und Satiriker die Einheit des Humors im Taufendfältigen„ (J. AST, Verlangsbuchhandlung, München 1925, p. 324). 138 Jean Paul, E. H. Beck’sche simpatia sofferta e segnata dalla ragione, proprio in quanto, nell’umorismo stesso, l’immediatezza che caratterizza il comico lascia spazio ad una difficile e dolorosa mediazione. Il concetto di simpatia espresso da Jean Paul che, come mostrato, si trova alle radici del comico, attinge, secondo la lettura compiuta da Hörhammer 9 7 , alla Teoria dei sentimenti morali di Adam Smith 9 8 , anche se argomenti affini sono già presenti, in qualche modo, negli scritti di Hume, di Hutcheson e di Shaftesbury. La simpatia viene intesa da Smith come quella particolare facoltà che ci permette, senza abbandonare noi stessi, di immedesimarci con gli altri, anche se l’atto stesso dell’immedesimazione non può mai trovare una conferma certa in chi lo prova, in quanto il contatto con l’altro viene mosso paradossalmente sempre restando nella sfera dell’io. Un secondo elemento essenziale per il realizzarsi del comico è quello del contrasto; dal momento che l’effetto comico, per prodursi, presuppone un inganno dell’intelletto, capace di far stridere le diverse serie contrastanti di pensieri che, in questo modo, vengono generate. Riprendendo ora gli stessi concetti da un punto di vista più generale è possibile affermare che il comico, attraversato dalla simpatia guidata dall’intelletto, arriva, per mezzo di un inganno prodotto dell’intelletto stesso, a portare l’assurdo – rappresentato dalle serie contrastanti di pensieri – all’armonia, intesa come quell’equilibrio di senso che, con l’attuarsi del comico, rende 97 CFr. D. H Ö R H A M M E R , Die formation des literarischenn Humors. Ein psychoanalytischer Beitrag zur bürgerlichen Subjektivität, Fink, 1984, München. 98 A. S M I T H , The Theory of Moral Sentiments. A new edition, con una pref. dell’autore, Basil, J.J. Tourneisen, 1793, vol. I, p. 7. 139 possibile la libertà dell’intelletto. Tale libertà può realizzarsi in quanto l’intelletto non è più costretto a scegliere una serie di pensieri in opposizione a tutte la altre, ma è appunto kantianamente libero, secondo il principio di disinteresse, di giocare, attraverso una consapevole illusione, con i propri pensieri, conducendo così il contrasto in direzione dell’armonia. Il termine “comico” deriva dal greco kòmos, che indica la processione bacchica e che dà in seguto il nome alla commedia e al genere comico per l'appunto. Nella terminologia di Jean Paul la nozione di “ridicolo” e quella di “comico” sono sovrapponibili; se il primo indica però un ambito più generico, il secondo viene più spesso usato, nella Vorschule der Ästhetik, in riferimento alla poesia romantica (Jean Paul usa infatti l'espressione “comico romantico”), ossia come specificazione del genere del ridicolo, cui pertengono anche la satira, l'umorismo, l'ironia (in senso stretto) e il capriccio, che da esso si distinguono. “Il comico”, scrive Jean Paul, “come il sublime, non dimora mai nell'oggetto, ma nel soggetto” 9 9 : una stessa situazione, spiega Jean Paul, può infatti generare o meno in noi il nostro riso a seconda che noi siamo più o meno in grado di comprendere tale situazione 1 0 0 . Il 99 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 110, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 120. 100 “Das Lächerliche ist für Jean Paul die Umkehrung des Erhabenen, d. h. auf sein eigenes Leben angewandt: er, der absolut Ernste, wie er es als Kind, als Knabe und selbst nach Jüngling war, während er schon Satiren schreib, der auch später (wie erstaunende Berichte immer wieder anzeigen) in seiner Rede einfach und gemütvoll, geistig und warm, aber selten Zopferscheinung selbst den Gegenfa ß des reinen 140 soggetto, infatti, riconoscendo un errore con rapidità attraverso l'intuizione sensibile, può ridere dinanzi a ciò che è infinitamente piccolo. Ciò, come si è detto, accade sotto l'egida dell'intelletto, il quale, per generare il ridicolo e dunque il riso, deve destare un sentimento, ed è necessario che i sensi lo intuiscano in un'azione che rappresenti il proposito dell'intelletto o il suo opposto, oppure nelle intenzioni altrui che possono venire intuite. In questo senso, è impossibile ad esempio ridere di se stessi nel momento in cui si compie un'azione ridicola: è necessario che, passato del tempo, il soggetto guardi se stesso come un oggetto, ovvero come un altro soggetto, diverso da se stesso, la cui azione può essere intuita ed essere giudicata ridicola 1 0 1 . inneren Impulses und des äußeren Seins zuerst zornig als „objectiven Kontrast“ erkannt, dann während seiner zehnjährigen satirischen Arbeit diellrsachen dieses Zornes als „sinnlichen Kontrast“ anzuschauen gelernt, bis schließlich durch die Zusammenschmelzung seiner absolut reinlebendigen Innerlichkeit (ihr Symbol war die universale Natur) und des empfangenen Zopfbildes aus dem „anschaulich ausgedrückten endlichen Irrtum“ der Satire die „unendliche Ungereimtheit“ seines Humors wurde. Denn erst als Jean Paul dem lächerlichen Treiben, in das er hineingeboren wurde, seine Einsicht verlieh, konnte sich an ihm die Flamme des Komischen entzünden; dem echten Zopfbürger ist seine Verschrobenheit unbezweifelbarer Ernst wieder eine Hauptursache des Lächerlichen ist„ (J. A L T , Jean Paul, E. H. Beck’sche Verlangsbuchhandlung, München 1925, pp. 324-325). 101 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 114, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 122: “Ecco perché nessuno, mentre agisce, può nutrire la sensazione di essere ridicolo; bisognerà che sia trascorsa un'ora, e allora noi, essendo divenuti il nostro secondo io, potremo fittiziamente attribuire al primo io i giudizi del secondo. L'uomo può apprezzarsi e disprezzarsi mentre compie un'azione che è oggetto dell'uno o dell'altro io, ma non può deridersi da solo, come non può 141 Per definire il ridicolo, secondo Jean Paul, non ci si può liitare, come fanno le definizioni a lui precedenti o contemporanee, a considerare il contrasto reale tralasciando quello apparente: “Ciò spiega l'erroneità delle definizioni correnti del ridicolo, che si limitano a considerare solo il contrasto reale e non anche quello apparente; ecco perché l'essere ridicolo, con le sue deficienze, deve avere almeno la parvenza della libertà; ecco perché ridiamo solo degli animali più intelligenti, i quali ci consentono, con un credito di antropomorfismo, di prestar loro una personalità; e perché il ridicolo cresca con l'intelletto della persona ridicola; e perché l'uomo che si eleva al di sopra della vita e dei suoi motivi allestisca per sé la più lunga delle commedie, in quanto, attribuendo i propri elevati moventi alle vili aspirazioni della massa, può ridurre queste ultime a manifestazioni di assurdità; ma uno qualsiasi dei mediocri può rendergli la pariglia attribuendo i propri bassi moventi agli aneliti del grand'uomo; e perché una folla di programmi, di annunci e di annunciatori eruditi, comprese le più grevi creature del mercato librario tedesco, le quali, considerate per quel che sono, strisciano indolenti e ripugnanti, si drizzano d'incanto, trasformate in opere d'arte, non appena s'immagini (prestando dunque ad esse moventi più elevati) che qualcuno le abbia concepite a fin di burla o di parodia” 1 0 2 . Il ridicolo, a detta di Jean Paul, si basa su tre tipi di contrasto, oggettivo, sensibile, e soggettivo, a partire da cui hanno origine i vari amarsi e odiarsi”. 102 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 113-114, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 123. 142 generi del comico; scrive Jean Paul: “Mi si consenta [...] che per amor di brevità io chiami i tre costituenti del ridicolo, considerato come l'intuizione sensibile dell'insensatezza infinita, semplicemente così come faccio: il contrasto in cui lo sforzo o l'essere del soggetto ridicolo si oppone al rapporto offerto all'intuizione sensibile lo chiamo contrasto oggettivo; questo rapporto offerto all'intuizione sensibile lo chiamo contrasto sensibile; e il contrasto tra i precedenti, che noi affibbiamo loro in questo secondo contrasto prestando la nostra anima e il nostro punto di vista, lo chiamo contrasto soggettivo. Questi tre costituenti, trasfigurati nell'arte, a seconda del prevalere di uno di essi sugli altri, devono generare i vari generi del comico. La poesia antica o poesia plastica lascia prevalere nel comico il contrasto oggettivo con lo sforzo sensibile; il contrasto soggettivo si cela dietro l'imitazione mimica. In origine ogni imitazione fu dileggio, tant'è che presso tutti i popoli il teatro incominciò con la commedia. Per riprodurre sotto forma d'illusione quanto suscitava amore o incuteva terrore, furono necessari tempi più maturi. E il comico, con i suoi tre costituenti, poteva venire offerto nel modo più semplice proprio attraverso l'imitazione mimica. Dagli scimmiottamenti dei mimi si passò all'imitazione dei poeti. Ma nel comico, come nella serietà, gli antichi restarono fedeli alla loro plastica oggettività; ecco perché, presso di loro, gli allori del comico ornano solo i teatri, mentre presso i moderni anche altri luoghi” 1 0 3 . 103 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 114, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pagg. 123-124. 143 Il comico e la satira “Il regno della satira confina con il regno del comus” 1 0 4 : così Jean Paul apre il quarto paragrafo (§ 29, “Differenza tra la satira e il comico”) del VI Programma della Propedeutica all'estetica dedicato al comico o ridicolo. Se la satira si caratterizza come una seria indignazione morale, in versi, nei confronti del vizio 1 0 5 – e qui Jean Paul porta come esempi Giovenale e Persio, che “colmano di amarezza la bocca già pronta al riso” 1 0 6 –, il comico, dal canto suo, costruisce il suo gioco poetico sulle piccole cose insensate, rendendoci liberi e allegri 1 0 7 . “Il regno della satira è piccolo – scrive Jean Paul – poiché costituisce la metà del regno morale, e pertanto non si può mai schernire a talento; ma l regno del riso è grande infinitamente, grande come il regno dell'intelletto o della finitezza, poiché a ogni grado sarebbe possibile trovare un contrasto soggettivo atto a rimpicciolire. In quel regno ci si trova 104 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 115, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 124. 105 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 115, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 124. 106 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 115, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 124. 107 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 115, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 124. 144 legati alla morale, in questo liberati dalla poesia. Lo scherzo non conosce altro fine se non la propria esistenza” 1 0 8 . E purtuttavia, questi due regni non sempre sono così eterogenei tra di loro, tanto che spesso risulta facile il trapasso e la mescolanza dei due: spesso infatti la satira è portata a venire a contatto con lo scherzo, strumento tipico della comicità, il quale risulta volto a colpire l'insensatezza e la vanità che si trova in essa 1 0 9 . Infatti, “quanto più una nazione o un'epoca non possiede il senso della poesia, tanto più inclinerà a prendere lo scherzo per satira, come pure, al contrario, tanto più trasformerà la satira in scherzo quanto più diventa immorale [...]. Lo scherzo ci manca semplicemente per mancanza di... serietà; sul suo trono vacante si è seduta colei che rende tutte le cose uguali, l'arguzia, che deride e annulla virtù e vizio” 1 1 0 . 108 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 116, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 124. 109 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 116, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 125. 110 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 117, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pagg. 125-126; sulla relazione tra satira, idillio e umorismo si leggano queste parole di G. Voigt: “Satire, Idylle oder, vom Humoristen aus gesehen, besser: Elegie und Rhapsodie, das also waren die literarischen Sprachgebärden für den Humor, die Jean Paul im einzelnen von seinem unmittelbaren drei deutschen Vorgängern überkamen. Ihm als dem nächstfolgenden Humoristen fiel damit die Aufgabe zu, endgültig ein jedes Stilmomente mit dem anderen zu vereinigen. Zur innern Anlage, die Jean Paul dies zu erfüllen bestimmte, traten besondere äußere Unstände, welche dieser Bestimmung zur Verwirklichung verhalfen. Man weiß, wie dem Knaben und noch dem Jünglinge in der weltentlegenen 145 5.1.2. L'umorismo L’umorismo esprime la possibilità di ridere della finitezza umana senza, tuttavia, spezzare l’unità stessa del reale, ma, al contrario, cercando di trasfigurare le violenze e gli urti subiti dalla vita in direzione di quell’armonia, dove, per mezzo del riso, è possibile mostrare ancora “un dolore e una grandezza”. Il tema dell’umorismo, presente nella Vorschule tra la trattazione del comico e quella dell’arguzia, comporta quindi il realizzarsi di quella teodicea del riso, Abgeschiedenheit des kleinstädtischen Hof die große Kulturumwälzung fast ganz fremd blieb. Während der Sturm und Drang längst die Aufklärung überwunden und bereits die eigene Höhe erreicht hatte, rang er noch mit den veralteten Problemen jener, hatte er sich in diesem Ringen gerade zum „skeptischen Aufklärer“ entwickelt. Als Künstler begann er deshalb mit der Satire. Und nun sehen wir, wir sich in der Seele des Einsamen selbst die Geschichte des deutschen Humors im 18. Jahrhundert gleichsam in verkürzter Perspektive wiederholt. Denn ganz von selbst findet sich sein Genius von der Satire weiter zur Elegie und zur Rhapsodie. Jede dieser drei Formen prägt er zunächst für sich in einer Reihe kleinerer Dichtungen aus; sie stellen Jean Pauls Frühwerk dar. Mit dessen Befragung muß unsere Untersuchung anheben, wenn anders sie den aus den genannten Formen synthetisierten Humor Richters verstehen will, wie er dann glanzvoll in den großen Romanen der Reifezeit hervortritt, wenn anders sie vor allem der Figur des Humoristen in diesen Romanen gerecht werden soll„ (G. V O I G T , “Die humoristiche Figur bei Jean Paul”, Jean-Paul-Gesellschaft Bayreuth. Nachdruck, auch auszugsweise, nur mit Genhmigung der Jean-PaulGesellschaft. Druck: Buchdruckerei Emil Mühl Bayreuth – 1969, p. 15). 146 che acquista il suo senso più proprio in relazione al rovesciarsi, sul piano estetico, di quell’orizzonte di significati aperto dal concetto leibniziano di armonia. L’esercizio del riso, in particolare quello realizzato attraverso l’umorismo, permette quindi di redimere la parte di realtà che istintivamente l’uomo vorrebbe vedere allontanata da sé, in quanto causa di un dolore vissuto come estraneo e privo di senso. Detto in altri termini, l’umorismo ha il compito di muoversi in direzione dell’irrazionale, del brutto e dell’accidentale al fine di elaborarne un senso positivo in grado di mostrare come anche questi aspetti della realtà appartengano al nostro mondo di uomini razionali; infatti, e non a caso, l’umorismo si lega, a differenza del comico, alla ragione e non all’intelletto, incarnando così una sorta di vero e proprio esercizio filosofico capace di trovare comunque l’armonia in un mondo che sembra ormai avvolgersi intorno ad un asse spezzato. In questo modo è possibile cogliere in senso pieno il fatto che l’umorismo rappresenti, secondo Jean Paul, lo strumento capace, a partire da un orizzonte di riferimento estetologico, di muovere il pensiero dell’uomo dal finito all’infinito – opposizione quest’ultima che, tra l’altro, fonda tradizionalmente le basi sia filosofiche che poetiche del movimento 147 romantico, da cui Jean Paul eredita comunque, al di là delle differenze che lo contraddistinguono, una visione dualistica della realtà, intesa essenzialmente come il frutto della spaccatura tra mondo degli antichi e mondo dei moderni. Il passaggio alla modernità produce pertanto, all’interno della coscienza dell’uomo, il crearsi di coppie di contrari – io-mondo, finitoinfinito ed interiore-esteriore – che la poesia ha il compito di sciogliere, come avviene appunto nel romanticismo, attraverso l’esercizio della propria fantasia. La poesia romantica si pone pertanto il problema di affrontare il conflitto esplicito che viene a crearsi tra esistenza e realtà a partire dall’introduzione dell’idea cristiana di infinito. D’altra parte, quanto affermato spiega, allo stesso tempo, il motivo per cui, secondo Jean Paul, il concetto stesso di umorismo si leghi necessariamente, al pari delle posizioni più tipicamente romantiche, all’idea di infinito, trovando così in questo ruolo la giustificazione della propria importanza e centralità. Al di là delle analogie e dei punti in comune più evidenti, in particolare la centralità dell’idea di infinito, è necessario tuttavia sottolineare quella che risulta essere la distinzione fondamentale tra 148 l’ironia romantica e quella espressa invece da Jean Paul attraverso il concetto di umorismo. In prima istanza, infatti, è pur vero che sia l’ironia che l’umorismo traggono la propria origine da una spaccatura tra finito e infinito, dove, attraverso il prodursi di un sentimento del contrario, del contrasto e della contraddizione, si realizza la nostalgia per quell’infinito che distingue il sentire stesso della modernità. Tuttavia, nel caso dell’ironia romantica, il contrasto e la scissione tra il finito e l’infinito vengono portati e ripetuti nell’opera d’arte stessa, la quale, così, attraverso il proprio spezzarsi, mostra il suo essere di prodotto arbitrario in quanto frutto della libera poiesis dell’artista. Mentre, nel caso dell’umorismo jeanpauliano, viene preservata l’unità e l’organicità dell’opera d’arte, che, in questo modo, trova in sé la forza di rispecchiare, attraverso se stessa e la propria natura armonica, il migliore dei mondi possibili. Risulta di conseguenza che l’umorismo, pur trovando le proprie radici nel contrasto tra finito e infinito, supera la contraddizione leggendo, per mezzo dell’orizzonte di senso dischiuso dal mondo dell’arte, il finito come parte e specchio dell’infinito, realizzando così, in chiave esplicitamene estetologica – e 149 non pertanto in modo dialettico formale –, il concetto leibniziano di teodicea. L’umorismo incarna, proprio in quanto strumento per il concretarsi della teodicea, lo sforzo in direzione della totalità, intesa, nella stessa Vorschule, come la parte ultima della “grande catena dell’Essere”. Una prima ed ancora acerba tensione verso la totalità era tuttavia già presente, secondo Jean Paul, all’interno del comico, attraverso la spinta verso il fondersi tra soggetto e oggetto, cercata, anche se impossibile da realizzare, da parte del sentimento della simpatia – il sentimento chiave del comico stesso. 150 Da questo punto di vista è possibile tracciare una linea comune tra comico ed umorismo – l’umorismo, infatti, non fa altro che ripetere in se stesso una propensione già presente nel comico, differenziandosi tuttavia dal comico stesso in virtù di una propria maggiore consapevolezza ed efficacia, in quanto è nell’umorismo che si rende propriamente possibile quella elaborazione del contrasto in chiave armonica ed equilibrata, presupposta dal concetto di totalità, o meglio da quel pensiero del tutto (das All) implicato dalla jeanpauliana Poetische Poesie. Detto ancora in altri termini, nel comico si rivelano i limiti costitutivi dell’intelletto di fronte alla realtà dell’esistenza, lasciando così spazio alla figura della simpatia, intesa come quel sentimento capace di condurre l’assurdo della contraddizione all’armonia. Mentre, a livello dell’umorismo, la ragione è la facoltà che, attraverso il proprio procedere, rende possibile quel colpo d’occhio sulla realtà, comprendendo così al proprio interno le stesse contraddizioni che segnano necessariamente l’esistenza. L’atto razionale che segna l’umorismo non è da intendere tuttavia come un vuoto esercizio compiuto secondo le regole della logica, ma, al contrario, presuppone una netta distinzione tra quello che, nella Critica della ragione pura kantiana, era l’intelletto legislatore e la ragione stessa, letta come quella facoltà capace di afferrare, a livello esplicitamente prelogico, la totalità dell’esperienza dischiusa dai fenomeni appartenenti al nostro mondo. Il carattere prelogico implicato dall’umorismo comporta di conseguenza la messa tra parentesi di ogni proiezione rigidamente 151 schematica riguardo l’armonia dischiusa da questa particolare forma di ironia. L’umorismo, quindi, cela in sé quella innocente freschezza che permette all’uomo di tornare bambino, superando così l’odio fomentato da ogni ferrea dicotomia di tipo logico-razionale. Il comico o ridicolo, ci spiega Jean Paul alla fine del VI Programma, “resta [...] eternamente al seguito della finitezza spirituale” 1 1 1 essendo un contrasto tra finito e finito; da esso si distingue lo humor, o umorismo, che è “il comico romantico” 1 1 2 . 111 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 124, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 131. 112 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 124, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 132. A proposito del concetto di umorismo qui accennato, scrive G. Voigt: “Im §m 35 der „Vorschule“ über „humoristiche Sinnlichkeit“ wird als Funktion des Sinnes beschreiben, die einzelnen realen Dinge und Vorgängezu umfangen. Wie umgekehrt der Verstand sich auf das Ganze bezieht und wie demzufolge das Nebeneinanderwirken von Verstand und Sinn im Humor aussieht, wird in § 32 (S. 125) vergegenwärtigt: „Der Humor, als das umgekehrte Erhabne, vernichtet nicht das einzelne, sondern das Endliche durch den Kontrast mit der Idee. Es gibt für ihn keine einzelne Torheit, keine Toren, sondern nur Torheit und eine tolle Welt… der Humorist nimmt fast lieber die einzelne Torheit in Schutz, den Schergen des Prangers aber samt allen Zuschauen in Haft, weil nicht die bürgerliche Torheit, sondern die menschliche, d. h. das Allgemeine sein Inneres bewegt.“ Indem aber des Humoristen Verstand solchermaßen „die menschliche Torheit“, d. i. das menschliche Dasein in seiner Fragwürdigkeit durchschaut, wird ihm die Wirklichkeit in ihrem großen Ganzen zum Gegenstande eines „Skeptizismus, welcher… entsteht, wenn der der Geist sein Auge über die fürchterliche Menge kriegerischer Meinungen um sich her hinbewegt, gleichsam ein fremde der ganzen stehenden Welt umwandelt“ (a. a. O. § 33, S. 132). Dies nun ist der Augenblick, wo „der Humor… den Verstand verlässt, um vor der Idee fromm niederzufallen“ (ebd.). Das Gefühl tritt in seine 152 In poche parole, potremmo anticipare che l'umorismo altro non è che il comico così come esso viene utilizzato nella poesia romantica quale forma compiuta della poesia moderna nella sua accezione più propria, ossia in quanto distinta e distante dagli estremi in cui essa può deformarsi, la poesia materialistica, da un lato, quale mera imitazione del modello al fine di emulare, esasperandoli, i dettami della poesia antica, e la poesia nichilistica, dall'altro lato, che pretende di poter agire facendo a meno di qualsiasi forma di imitazione avvalendosi unicamente della facoltà immaginativa del genio portata all'eccesso trasformandola in una fantasia che pretende di poter produrre ex nihilo da sé il mondo 1 1 3 . Prendendo le distanze sia dalla poesia antica, Rechte. In diesem Sinne „gibt sicht der Humor als eine Grundsstimmung zu erkennen zu erkennen, zu welcher die Beigaben des Intellekts sich nur als ‚dienende Geister’ verhalten (Bahnsen, S. 113). Wahrlich als dienende Geister! „Bahnt“ doch „seine Höllenfahrt“ auf dem Schüdderump des Verstandes des Humor „die Himmelfahrt“ auf den Schwingen des Gefühls. Der Humor „gleich dem Vogel Merops, welcher zwar der Himmel den Schwanz zukehrt, aber doch in dieser Richtung in den Himmel auffliegt. Dieser Gaukler trinkt, auf dem Kopfe tanzend, den Nektar hinaufwärts“ (a. a. O. §33, S. 129)„ (G. V O I G T , “Die humoristiche Figur bei Jean Paul”, Jean-PaulGesellschaft Bayreuth. Nachdruck, auch auszugsweise, nur mit Genhmigung der JeanPaul-Gesellschaft. Druck: Buchdruckerei Emil Mühl Bayreuth – 1969, pp. 16-17). 113 Sul tema dell'umorismo si esprime ad es. J. Alt nel suo compendio dedicato all'opera di Jean Paul: “Gestalt, heroischen Tatendrang und Magie, zwischen hohem menschlichen Begehren nach Begehren nach herdischer Erfüllung und unstetem Ungenügen am Wirklichen, das immer wieder zur brennenden Sehnsucht nach einem glücklicheren Jenseits trieb. Doch bestand das Wertvolle des Jean Paulischen Humors gerade darin, daß er trotz dieser metaphysischen Zerrissenheit das Erdendasein mit stolzer Kühnheit packte und bezwang. Solche Kühnheit konnte zwar das Verhängnisvolle nicht im Grunde zu Beglückung wandeln, aber doch die Lebensfahrt 153 di tipo prettamente mimetico, sia dalle forme difettive di poesia moderna, quella materialistica e quella nichilistica, la poesia romantica cerca di calibrare correttamente la facoltà del genio, correggendo (e non sostituendo) l'imitazione con l'immaginazione, e modulando pertanto lo strumento della comicità in conformità con questo suo nuovo modus operandi. Da questa operazione nasce dunque l'umorismo quale forma di comicità propria della poesia romantica 1 1 4 , durch Schluchten und Gefahren zu einer furchtlosen ritterlichen Tat machen. Darum lobte Jean Paul die Besonnenheit so sehr, die ihm der Humor verliehen hatte; sie gab ihm die Macht nüchterner Beherrschung noch in der größten magischen Verzückung und idyllischen Beseligung und damit Jene Kühle, die Jean Paul bei aller Aufpeitschung der Empfindungen und Gefühle doch nie weichlich erscheinen lässt, eher grausam in der Art, wie er die glühende Seele in die kalten Widerspruche des Realen hineintaucht. Doch ohne diese Härte, mit der Jean Paul auch sein eigenes Leben zügelte, würde seiner Dichtung die entscheidende Würde und Größe fehlen, da erst die Strenge, mit der hier Qual und Schmerz immer wieder in das Göttliche hineingeleitet und mit der das Absolute rein und unverletzbar gewahrt wird, die andauernde „Vernichtung des Endliches durch den Kontrast mit der Idee“ ertragbar macht. Jean Paul wurde durch seine sittliche Größe, die als innere Zucht auch sein Werk adelt, vor solcher Verflüchtigung bewahrt„ (J. A L T , Jean Paul, E. H. Beck’sche Verlangsbuchhandlung, München 1925, pp. 326-327). 114 Leggiamo a tal proposito quanto scrive lo stesso Jean Paul: “In opposizione alla poesia plastica, abbiamo dato alla poesia romantica lo spazio d'azione di quel'infinità del soggetto in cui il mondo degli oggetti, come in un chiaro di luna, perde i suoi contorni. Ma come può il comico divenire romantico, se consiste semplicemente nel contrasto tra finito e finito e non può ospitare infinità alcuna? L'intelletto e il mondo oggettivo conoscono solo la finitezza. E solo qui troviamo quel contrasto infinito tra le idee (della ragione) e la finitezza nella sua globalità. Che accadrebbe però se ora, passandola sottobanco, prestassimo questa finitezza, come contrasto soggettivo, all'idea (l'infinità), vista come contrasto oggettivo, e se in luogo del sublime, l'infinito 154 e si caratterizza come un “sublime alla rovescia”, dal momento che non consiste in un contrasto tra due finiti, bensì in un contrasto con l'idea stessa (l'infinito), che porta ad annullare la finitudine 1 1 5 . L'umorismo dunque, a differenza del comico, è un ridicolo applicato ad una totalità, all'idea in quanto infinità o, con le parole di Jean Paul, alla “follia stessa degli uomini, cioè l'universalità” 1 1 6 . Ora, Jean Paul si chiede che cosa distingua l'umorista che riscalda l'anima dal canzonatore che la raggela, e a suo dire si tratta di ciò che egli chiama “idea annientante” 1 1 7 . Leggiamo questo esempio che porta Jean Paul: “Se l'uomo, come solevano fare gli antichi teologi, osserva il mondo terreno dal mondo ultraterreno, lo vedrà, minuscolo e vano, passare e allontanarsi; ma se egli, con il piccolo mondo, unisce il mondo infinito, e misura la sua estensione come suol fare l'umorismo, allora nascerà quel riso in cui ancora alberga un dolore e una grandezza. Ecco perché se la poesia greca, in contrasto con la poesia moderna, colmava l'uomo i gioie, l'umorismo, in contrasto con l'ilarità applicato, ottenessimo un finito applicato all'infinito, dunque solamente un'infinitezza del contrasto, vale a dire un'infinitezza negativa? Avremmo allora lo humor, o il comico romantico” (Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 124, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 132). 115 “Nella sua qualità di sublime alla rovescia, introducendo il contrasto con l'idea, l'umorismo non annichila l'individuale bensì il finito” (J ean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 124-125, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 132). 116 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 125, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 133. 117 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 129, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 136. 155 dei tempi antichi, gli infonde un certo grado di serietà; l'umorista cammina sui bassi socchi, ma spesso porta la maschera tragica, se non sul volto nella mano [...]. Gli antichi erano troppo felici di vivere per poter nutrire il disprezzo umoristico della vita” 1 1 8 . Nell'umorismo dimora pertano una sorta di parziale serietà 1 1 9 , che viene a compensare quel contrasto che in esso si incarna. Ciò che agisce nell'umorismo è pertanto ciò che Jean Paul definisce “idea annientante”, giacché l'umorismo si rifiuta di inchinarsi alla finitudine propria dell'intelletto e dei contrasti che in esso possono generarsi, e mostra al contrario la propria devozione nei confronti dell'idea, ossia dell'infinito 1 2 0 , dall'alto della cui totalità e infinità il mondo terreno appare dunque come un puro nulla, una vacuità che solo l'umorismo, per mezzo dell'idea annientante, sa far emergere. Umorismo e ironia Se l'umorismo ha prevalentemente a che fare con la soggettività, ossia con un contrasto soggettivo 1 2 1 dell'io con l'idea, cioè con 118 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 129, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 136. 119 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 129, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 136. 120 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 131, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 138. 121 Nella Propedeutica all'estetica di Jean Paul si legge: “Come il romanticismo serio, anche quello comico – in opposizione all'oggettività classica – è il reggente della soggettività. Se il comico è dato infatti dal contrasto in cui massima soggettiva e massima oggettiva s'invertono, non potrò mai pensare di situare l'oggettiva – che deve essere, dopo quanto s'è detto, un'infinità desiderata – fuori bensì dentro di me, e 156 l'infinità, l'ironia in senso stretto è invece quella forma di umorismo che, occultando il contrasto soggettivo, pone in rilievo quello oggettivo: “Là dove solo il contrasto oggettivo o la massima oggettiva vengono posti in rilievo, mentre il contrasto soggettivo viene occultato: questo luogo è l'ironia, che di conseguenza, in qualità di pura rappresentante dell'oggetto ridicolo, deve apparire sempre seria e prodiga di lodi, e non importa in quale forma conduca il suo gioco, se in forma di romanzo, come in Cervantes, o di panegirico, come in Swift” 1 2 2 . Ciò che caratterizza l'ironia in senso stretto è la serietà, o meglio, l'apparenza di serietà: “La serietà dell'ironia è sottoposta a due condizioni. Innanzitutto, considerando il linguaggio, si studierà l'apparenza di serietà, al fine di cogliere la serietà dell'apparenza o qui le attribuirò surrettiziamente la soggettiva. La conseguenza è che io stesso mi situo in tale scissura – ma non in una posizione estranrea, come accade nella commedia – e suddivido il mio io nel fattore finito e nel fattore infinito, lasciando derivare il secondo dal primo. Ma ecco che il lettore esclama ridendo: 'È impossibile! È troppo folle!'. Sicuro! Ecco perché presso tutti gli umoristi l'io recita il ruolo di protagonista e, quando può, inscena nel suo teatro comico persino le sue relazioni personali, benché al solo fine di distruggerle attraverso la poesia. L'io che scrive è il buffone di corte, il quartetto italiano di maschere, ed anche il reggente e il regista di se stesso, e perntanto ha bisogno che il lettore gli porti un po' d'amore, perlomeno non un sentimento d'odio, e che non scambi l'apparenza con l'essere; non vi è da dubitare che il migliore autore sarebbe colui il quale sapesse gustare a proprie spese senza riserve il sapore umoristico di un testo giocoso” (Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 132-133, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 139). 122 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 148, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pagg. 153-154. 157 serietà ironica” 1 2 3 . In ciò, l'ironia si distingue dal capriccio, “dal momento che il secondo è lirico e soggettivo, mentre la prima è oggettiva” 1 2 4 . La prima caratterizza infatti chi è maggiormente dotato d'intelletto, la seconda coloro nei quali prevale la fantasia 1 2 5 . Jean Paul aggiunge che “la materia dell'ironia deve essere oggetto, l'essenza epica deve convertirsi in una massima apparentemente razionale e deve fare il proprio gioco, non quello dell'ilarità del poeta; la serietà dell'apparenza deve perciò addensarsi anche nell'oggetto, non solo nel linguaggio. Ad un tal fine l'ironista non potrebbe mai dare all'oggetto ragioni e un'apparenza bastevoli” 1 2 6 . 123 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 148, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 154; prosegue Jean Paul: “Chi voglia sostenere un'opinione con serietà, tanto più se si tratta di una persona colta, lo fa solo con pudore; egli dubita – domanda – spera – teme – nega la negazione o ancora il superlativo dell'avversario – dice: non avrò l'ardire di affermare che, – opure: avrei torto a pensare che, – o: decidano gli altri se, – oppure: preferirei non dire che, – mi vuol sembrare come se, – ed impiega le formule di esordio e di connessione indicate da Peucer o da qualche altro stilista passabile. Ebbene, è proprio con questa dotta parvenza di moderazione e di modestia che alla serietà ironica conviene presentare al mondo le proprie affermazioni” (Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 148, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 154.). 124 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 152, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 157. 125 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 153-154, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 159. 126 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 154, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 159. 158 Umorismo epico, drammatico e lirico A questo punto Jean Paul passa a distinguere le tre forme di umorismo così come esse si manifestano nelle tre forme letterarie dell'epica, del dramma e della lirica 1 2 7 . Innanzitutto, a detta di Jean Paul, occorre separare l'epos dal dramma serio 1 2 8 : “Benché le descrizioni di ambedue siano di tipo oggettivo, l'uno rappresenta soprattutto l'esteriore, i personaggi e i destini, l'altro l'interiore, le sensazioni e le decisioni; l'uno il passato, l'altro il presente; l'uno una successione lenta, con lunghi prologhi prima delle azioni, l'altro la folgorazione lirica delle parole e degli 127 Leggiamo quanto scrive Jean Paul: “Nel passare dal comus epico al comus drammatico ci imbattiamo subito nella differenza per cui da un lato numerosi poeti epici comici grandi e piccoli, Cervantes, Swift, Ariosto, Voltaire, Steele, Lafontaine, Fielding, non scrissero commedie o ne scrissero di brutte, dall'altro grandi commediografi fanno la figura di carrivi ironisti, per es. Holberg nei suoi saggi in prosa, Foote nella sua commedia I retori. La difficoltà di questo passaggio – o ogni difficoltà in genere – presuppone una gerarchia di valori o solamente una differenza di capacità e di esercizio? La seconda, probabilmente. Omero avrebbe faticato a trasformarsi in Sofocle, e Sofocle viceversa in Omero; e la storia non ci offre un grande poeta epico che sia stato anche un grande drammaturgo e viceversa; e tra serietà epica e serietà tragica vi è una via più lunga persino di quella che le unisce allo scherzo, poiché quest'ultima, pur portando in un luogo opposto, forse incomincia già dietro l'angolo. Se ne ricava in generale, perlomeno, che la vis epica e l'esercizio dell'epica non rimpiazzano né rendono superflue le facoltà corrispondenti nel dramma, e viceversa; ma quant'è alto il muro divisorio?” (J ean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 156, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pagg. 158159). 128 Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 157, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 161. 159 atti; – il primo, nella parsimoniosa unità di luogo e di tempo, perde ciò che il secondo guadagna. Tutti questi tratti presi insieme rendono il dramma più lirico; non si potrebbe d'altronde trasformare tutti i personaggi del dramma in caratteri lirici? E se non si potesse, i cori di Sofocle non sarebbero allora, in questa armonia, delle lunghe note false?” 1 2 9 . Il poeta dell'epos serio è dunque colui che tenta di elevarsi sempre più, e il suo elevarsi sarà sempre un tendere al sublime oltre il quale egli non può però ergersi; il poeta dell'epos comico, dal canto suo, “insiste invece sull'opposizione tra pittore e oggetto” 1 3 0 : egli, al pari dell'attore comico, duplica il contrasto soggettivo con l'oggetto, al contrario del poeta serio che invece, analogamente all'attore tragico, “nel quale non si vuole né si deve presumere e osservare alcuna forma di parodia o alcun controcanto del ruolo eroico” 1 3 1 . Il lavoro del poeta comico può dunque apparire quasi più arduo rispetto a quello del poeta serio, giacché occorrono grandi doti, a detta di Jean Paul, per esprimere un ideale attraverso un equilibrato sodalizio con figure scimmiesche: “il poeta deve persino saper scrivere all'inverso, così che la sua scrittura diventi leggibile nella seconda inversione dello specchio dell'arte” 1 3 2 . L'arduo compito del poeta comico consiste 129 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 157, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 161. 130 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 157, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 161. 131 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 120, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 126. 132 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 120, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 126. 160 dunque nell'unione della sostanza divina con quella umana, che spesso porta non a una nuova natura ibrida, bensì all'annullamento delle due nature. Il comico lirico o il capriccio e il burlesco A differenza delle figure sin qui descritte, il poeta lirico rappresenta contemporaneamente se stesso e il folle: “nel medesimo istante d'insensatezza deve essere ridicolo e ridente, ma facendo sì che prevalgano il sensibile e il contrasto soggettivo” 1 3 3 : “L'umorismo, nella sua qualità di spirito comico universale, si rivela qui come entità minuscola e prigioniera, uno spiritello del focolare e del bosco, un'amadriade del serto spinoso, ovvero un capriccio” 1 3 4 . Pertanto, prosegue Jean Paul, l'umorismo sta al capriccio come l'ironia sta alla canzonatura 1 3 5 . Il poeta burlesco è invece colui che incarna il mondo della bassezza e, con la prpria opera, realizza il proprio autoritratto: egli “è una sirena, bella per metà del corpo; ma questo poeta lascia affiorare alla 133 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 161, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 165. 134 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 162, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 165. 135 Prosegue Jean Paul: “Il primo [l'umorismo] colloca più in alto, il secondo [il capriccio] più in basso il rispettivo punto di paragone. Il poeta si identifica sino a un certo grado con l'oggetto della decisione; e tra le corde di una tale lire l'oggettiva soggettività del Pan di Schelling riappare ai nostri occhi con il nome di burlesco” (Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 162, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 165). 161 superficie l'altra metà, e spesso si tratta di una poesia pastorale latrata da un cane pastore” 1 3 6 . 5.1.3. L'arguzia (Witz) Già nel VI Programma l'arguzia era stata definita come “colei che rende tutte le cose uguali” 1 3 7 . Ora invece, nel IX Programma della Propedeutica all'estetica, Jean Paul si occupa di approfondire in modo molto più dettagliato questo concetto, partendo dalla sua definizione 1 3 8 . 136 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 161, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pagg. 165-166. 137 Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 120, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 126. 138 Queste parole di F. Cambi introducono al tema in questione: “Systematisch behandelt Jean Paul die Ästhetik und Poetik des Witzes in den 13 Abschnitten, die das 9. Programm der <<Vorschule der Ästhetik >> ausmachen. In den 15 Programmen, in die sich die ersten beiden Abteilungen der <<Vorschule>> untergliedern, nimmt bezeichnenderweise der poetologische und linguistische Aspekt des Witzes den breitesten Raum ein. Es ist angebracht, an dieser Stelle zunächst die Schwierigkeiten herauszustellen, die sich im Bemühen um ein eindeutiges Verständnis des Begriffes <<Witz>> ergeben, sei es, weil der Begriff über die weite Zeitspanne seiner Existenz ein sehr breites und veilfältiges Spektrum an Stellungnahmen und Deutungsversuschen hervorgerufen hat, sei es, weil sich seine Definition selbst im begrenzten Rahmen des theoretischen Gebäudes Jean Pauls als problematisch erweist. In der <<Vorschule>> versteht Jean Paul unter <<Witz>> sprachliche Technik und Spiel, die sich auf lexikalischer und rhetorischer Ebene mit dem Begriff des Bonmts wiedergeben lassen, der geisstreich-satirischen Äußerung, der bissigen Bemerkung: Alles ist Ausdruck der dem Geist eigenem Vernunftbegabung und Kreativität. Dank 162 Tutta la tradizione romantica si è confrontata con questo concetto, che in sintesi, secondo alcune note parole di Schlegel, può essere definito come la “facoltà di creare somiglianze”. Franco Rella scrive che “il Witz (wit in inglese) è la 'battuta di spirito'. Diventa parola chiave per il romanticismo di Schlegel, Novalis e Solger [...]. Il Witz è la possibilità di cogliere il reale non nel concetto ma in una costellazione di senso. Solger ne farà l'organo principale di quello che definirà 'l'intelletto artistco'” 1 3 9 . Friedrich Schlegel aveva infatti definito il Witz come “la possibilità di creare somiglianze tra oggetti, che sono del tutto indipendenti, differenti e diversi, e così di connettere a unità ciò che più è molteplice, differente: è lo spirito einer Synthese gelingt es Jean Paul, die geistige Quelle mit den rhetirisch-stilistischen Vorgaben in Einklang und Übereinstimmung zu bringen und damit die Beziehung zwischen Idee, Zeichen und Bedeutung zu intensiviren. Die dehnbare Wesensart des Witzes als Erzeuger von Bildern, heiteren Sprüchen und Sprachspielen, in deren Rahmen die Unangemessenheit der Verknüpfungen und Fügungen um eine weitere Bilderquelle, die Metapher, bereichert wird, findet ihre, wenn auch anfechtbare und stets spannungsvolle Rechtfertigung und Vervollständigung in der humoristichen Einstellung zur Wirklichkeit„ (F. C A M B I , “<<Geist>> und <<Witz>> in der Ästhetik JeanPauls”, Jean-Paul-Gesellschaft Bayreuth. Nachdruck, auch auszugsweise, nur mit Genhmigung der Jean-Paul-Gesellschaft. Druck: Buch- und Offsetdruckerei Emil Mühl Bayreuth GmbH – 1994, p. 95). 139 Franco Rella, L'estetica del romanticismo, Donzelli, Roma 2006, pagg. 35-36. 163 combinatorio” 1 4 0 . Come scrive Franco Rella, “il nuovo pensiero mitico è quello che si muove attraverso il Witz e l'arabesco: attraverso la 'facoltà di creare somiglianze' [...]. Dunque 'essenza della forma del moderno', scrive Schlegel, 'è l'intrigo' [...], di cui l'arabesco è immagine. Con questo Schlegel rovescia il senso di una metafora che ha percorso i secoli, segnando, nel suo mutamento, una svolta epocale. Il labirinto, da figura d'orrore che si può dominare soltanto con il filo dell'astuzia (Arianna) e con il filo tagliente della spada (Teseo) diventa in quanto arabesco il luogo di infinite esplorazioni e di infinite scoperte: una peripezia verso il mutamento del nostro stesso concetto di realtà, del nostro stesso ethos, vale a dire del nostro luogo dentro il reale” 1 4 1 . Paolo D'Angelo fa notare che il Witz va oltre la semplice capacità di cogliere lontane somiglianze, in quanto rappresenta, soprattutto in Jean Paul, “la capacità di cogliere legami inaspettati” 1 4 2 ; scrive D'Angelo: “In senso stretto l'arguzia non è semplicemente la capacità di cogliere lontane somiglianze, ma la facoltà di istituire paragoni tra grandezze a prima vista incommensurabili, come quando 140 Cfr. Friedrich Schlegel, Kritische Friedrich Schlegels Ausgabe , a cura di E. Behler, J.J. Anstett e H. Eichner, Schoeningh, Paderborn-Muenchen-Wien 1958, pagg. 403-404. 141 Franco Rella, L'estetica del romanticismo, cit., pagg. 35-36. 142 Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo, Il Mulino, Bologna 1977, pag. 106. 164 si compie un salto dall'ordine delle cose fisiche a quelle spirituali e si dice, ad esempio, che la verità è un sole; la capacità inversa è l'acume, che agisce piuttosto sciogliendo e separando le somiglianze date, laddove l'arguzia le produce. Essa coglie i rapporti tra le cose, mentre il comico o il ridicolo si dirige di preferenza alle relazioni tra le persone. Il contrassegno esteriore più evidente nell'arguzia è la brevità, giacché l'analogia per essere efficace deve balzare in un solo tratto dinanzi all'intuizione, e per questo un esempio tipico dell'arguzia è incarnato dal gioco di parole, nel quale il paragone è evocato spesso dal piccolissimo scarto tra due termini prossimi. Ma l'arguzia, questo 'prete travestito, che riesce a sposare ogni coppia', può agire sia attraverso le immagini, e allora opera in lei la fantasia, sia senza di esse, lasciando campo all'intelletto; ne discendono, nei diversi casi, differenti tipi di figure retoriche: la metafora e l'allegoria, ad esempio, sono esempi di arguzia che procede attraverso l'immagine” 1 4 3 . L’arguzia (Witz) rappresenta, in quanto vera e propria facoltà poetica su cui si snoda l’apparato teorico ed estetologico della 143 Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo, Il Mulino, Bologna 1977, pagg. 107-108. 165 Vorschule, il ruolo del tutto particolare del linguaggio, inteso come quel processo di ricomposizione armonica dell’esperienza mondana in grado di gettar nuova luce sui nessi di senso nascosti allo sguardo quotidiano, che, per lo più, ci attraversa e percorre, rendendo così dura e impenetrabile la scorza dei fenomeni appartenenti alla nostra stessa esistenza di uomini concreti. In prima istanza, l’arguzia procede quindi deformando la realtà e spezzandone i rimandi comuni, al fine di poter poi attuare, per mezzo delle finzioni tessute dal linguaggio, una nuova veste di senso con cui significare in modo nuovo la realtà, che ne rimane in questo modo arricchita e giustificata. D’altra parte, l’arricchimento e la giustificazione della vita, a cui si è appena accennato, non fanno altro che rinviare ancora una volta ad un orizzonte di significati di chiara origine leibniziana; infatti, come è già stato mostrato in precedenza relativamente alle figure del comico e dell’umorismo, in Jean Paul lavorano ancora i concetti cardine, espressi appunto da Leibniz, di teodicea e di armonia prestabilita, anche se piegati e svolti ormai, attraverso una riflessione di ordine estetico, su un piano esclusivamente secolarizzato. 166 L’arte, intesa a partire dal suo stesso agire poietico, acquista pertanto il valore della monade, letta dallo stesso Leibniz, come immagine e specchio dello stesso universo. La varietà e la molteplicità espresse dall’esperienza vengono quindi ricondotte all’unità – unità che, secondo Jean Paul, può esser guadagnata attraverso un lungo cammino nelle terre dell’arte e della poesia –; in questo senso è infatti possibile, come già ricordato, parlare di teodicea, rovesciando così il suo stesso significato in giustificazione della vita e dell’esperienza umana nel mondo. Il linguaggio deve pertanto dar luogo, attraverso l’esercizio dell’arguzia, ad una vera e propria arte combinatoria in grado di tessere, in una trama comune, aspetti della realtà all’apparenza scissi e irrimediabilmente separati tra loro. Il nucleo teorico-estetico dell’arguzia viene svolto nel nono programma della Vorschule con la precisa intenzione, da parte di Jean Paul, di utilizzare le finzioni ed i mondi artificiali, di cui l’arguzia stessa si serve, al fine di poter instaurare poi una nuova e più ricca serie di trame e di relazioni col mondo. Detto in altri termini, è possibile affermare che l’arguzia realizza la propria funzione nel più paradossale dei modi, in quanto contribuisce ad allargare il concreto 167 rapporto con la realtà per mezzo di ciò che, innanzitutto e per lo più, reale non è – la finzione e l’illusione. L’allargamento e l’inspessirsi del mondo, attraverso l’attuarsi dell’arguzia, implica un sottile e delicato esercizio linguistico per mezzo delle possibilità di gioco dischiuse dalla natura proteiforme della metafora – l’arguzia stessa è un qualcosa di inscindibile dalla metafora; tanto che, come afferma esplicitamente Baierl 1 4 4 , gli aspetti teorici sottesi al Witz jeanpauliano non sono, in senso proprio, nulla di diverso da una riflessione sull’essenza e sul senso della metafora 1 4 5 . 144 Cfr. R. B A I E R L , Transzendez. Weltvertrauen und Weltverfehlung bei Jean Paul, Würzburg, Königshausen & Neumann, 1992, pp. 73 sgg. 145 A tal proposito si è espresso anche F. Cambi, in un articolo in cui viene posto in essere il problema della relazione tra Geist e Witz: “Jean Paul sieht in der <<Kürze>> den <<Körper und die Seele des Witzs>> und erkennt just in ebenderselben, im Klarheit gewährenden Fehlen alles Überflüssigen, den Einfluß von Tacitus und den Spartanern, von Cato, Seneca, Hamann, Gibbon, Bacon, Lessing und Rousseau auf die Geschichte der Volkskultur und volkstümlichen Sentenz. Während der konkrete Witz als geistige Verknüpfungstechnik sentenzözer Art verstanden wird, erwächst der bildliche Witz primär aus der Phantasie. Tatsächlich kann die typologische Differenzierung des Witzes ganz schematisch auf den Gegensatz zwischen der Sentenz als Ausfluß des Verstanden und der Metapher als Ausdruck der Phantasie reduziert werden; Metapher und Allegorie sind es, mit denen sich die Hauptparagraphen des Programms befassen. Hier stoßen wir uns Zentrum der Poetik vor, an der sich das literarische Werk Jean Paul orientiert; wobei nebensächlich ist, dass weder der Übergang des Witzes zur Metapher noch die eventuelle Wesensgleichheit beider überzeugend erklärt werden. Vom scharfsinnigen und 168 Il legame appena espresso tra arguzia e metafora mostra come il carattere più profondo del Witz si leghi alla possibilità stessa di istituire paragoni e confronti. Lo stesso Jean Paul, d’altra parte, afferma esplicitamente che l’arguzia “scopre il rapporto di somiglianza, vale a dire la parziale eguaglianza che si cela dietro una dissomiglianza più grande” 1 4 6 . Tuttavia, la dimensione dell’arguzia non si riduce al semplice atto di cogliere una somiglianza effettiva o parziale all’interno della multiforme molteplicità che costituisce la nostra esperienza del mondo. L’arguzia, secondo Jean Paul, si declina infatti per gradi, al Witz, capace, come già mostrato, di cogliere l’analogia all’interno della differenza, si affianca una facoltà dalle caratteristiche del tutto contrarie, lo Scharfsinn 1 4 7 , il quale, a partire da una uguaglianza, ne svela il rapporto di dissomiglianza ad essa beißenden Witz, der in den satirischen Jugendwerken als Angriffswaffe des Verstandes eingesetzt worden war und wie ein Seismograph die Abgründe und Wirbelstürme der menschlichen Existenz registriert hatte, scheinen sich hier die Spuren zu verlieren„ (F. C A M B I , “<<Geist>> und <<Witz>> in der Ästhetik JeanPauls”, Jean-Paul-Gesellschaft Bayreuth. Nachdruck, auch auszugsweise, nur mit Genhmigung der Jean-Paul-Gesellschaft. Druck: Buch- und Offsetdruckerei Emil Mühl Bayreuth GmbH – 1994, p. 107-108). 146 147 W, v, p. 171. Lo Scharfsinn, secondo le parole dello stesso Jean Paul, “scopre il rapporto di dissomiglianza, vale a dire la parziale ineguaglianza che si nasconde dietro un’eguaglianza più grande” (Ivi). 169 sotteso; mentre il Tiefsinn 1 4 8 , ultimo stadio dell’arguzia, rappresenta, in buona sostanza, la possibilità stessa di poter afferrare l’identità all’interno dell’universo dischiuso dal molteplice, permettendo in questo modo il realizzarsi di quella che Jean Paul ha definito come poetische Poesie. Il Tiefsinn, che può esser tradotto con l’espressione “profondità di pensiero”, declina il proprio operare legandosi alla facoltà della ragione, al fine di dirigersi poi verso quel superamento delle differenze e delle dissonanze che ricorda, per certi versi, il concetto di totalità dischiuso dall’analisi dell’umorismo. Il nesso che unisce il Tiefsinn alla ragione non si fonda tuttavia all’interno di una concezione astratta e formale del razionale; la ragione si identifica pertanto, in questo contesto, con una sorta di mistica raziocinante, incarnando così un concetto limite capace di cogliere la totalità dell’esperienza, facendo leva su quella profondità del pensiero, il Tiefsinn appunto, che rimanda ad un orizzonte di senso determinato, in modo del tutto esplicito, da un riferimento essenzialmente teleologico. Il telos espresso dalla profondità del pensiero arguto, che guida e dirige la ragione verso l’unità opposta alla dispersione caotica 148 Cfr. Ivi, v, pp. 172-173. 170 presentata dallo sguardo ingenuo sulla molteplicità, rinvia ancora una volta al concetto di teodicea estetica. Tornando ora al concetto di arguzia, inteso come la possibilità di istituire, per mezzo di un uso metaforico del linguaggio, paragoni e confronti, è possibile, seguendo lo stesso Jean Paul, distinguere tra una arguzia riflessiva e una arguzia figurata. L’arguzia riflessiva, detta anche arguzia non figurata, declina il proprio svolgersi nell’ambito della retorica, prescindendo da ogni riferimento alle immagini, in quanto si muove a partire dalle regole implicate dalla logica, anche se all’apparenza pare trasgredirle per mezzo delle figure retoriche della sineddoche e della metonimia, le quali, d’altra parte, pur sembrando di fatto infrangere la logica, presuppongono sempre il riferimento a determinati contenuti logici. L’esercizio dell’arguzia riflessiva non è tuttavia privo di valore, anzi, al contrario, è possibile affermare che svolge una funzione esplicitamente propedeutica nei riguardi dell’arguzia figurata, in quanto ne allena il pensiero in direzione di quella flessibilità necessaria ai fini del suo stesso realizzarsi. 171 L’arguzia figurata, invece, si identifica con quella particolare facoltà umana che è stata precedentemente descritta attraverso la propria vicinanza con il linguaggio metaforico guidato dalla fantasia, la quale, a sua volta, permette, col realizzarsi del telos razionale che la percorre, di porre le basi per l’armonizzazione del rapporto tra il mondo reale ed il mondo ideale, tagliando così la radice stessa di quel pericoloso dualismo - anima-corpo, interno-esterno e finito-infinito - presupposto, sempre secondo Jean Paul, dalle forme degenerate di poesia, incarnate, in modo del tutto esemplare, sia dalla poesia materialistica che da quella nichilistica. L’attacco diretto di Jean Paul nei confronti della poesia materialistica e nichilistica comporta, allo stesso tempo, una chiara ed irrimediabile avversione nei riguardi della filosofia fichtiana, la quale, attraverso la propria particolare forma di idealismo trascendentale, giustifica e fissa, in maniera incontrovertibile, una visione dualistica e scissa della realtà. Il riferimento jeanpauliano alla fantasia non deve però lasciar spazio ad una lettura disincarnata e derealizzante dell’agire poietico dell’artista 1 4 9 . L’arte, infatti, non crea e non riflette un mondo vuoto in 149 Wiethölter, in questa pagina che riportiamo, si è espresso sulla relazione tra Witz e Phantasie: “Der Witz ist der Produkt der Phantasie: „Wie an dem unbildlichen 172 quanto privo di luce propria. Il pensiero dischiuso dalla poesia è pertanto un pensiero, secondo Jean Paul, reale e concreto, tanto da esser in grado di offrire nuovo spessore e nuovo senso al mondo dell’uomo. La realtà, così come ci è offerta da una visione del mondo dischiuso della sensibilità, è effettivamente uno spazio dell’esistenza più arido e più povero dell’orizzonte di senso dischiuso dalla teodicea estetica e dall’armonia prestabilita ricercata dall’arte. La fantasia e la Witze der Verstand, so hat am bildlichen die Phantasie den überwiegenden Anteil […] “ (V 182). Grundsätzlich gilt das für den beseelenden; denn in beiden Fällen bedarf es der Vermittlung zwischen Inkommensurablem, und nur ein ausgeprägtes Vorstellungsvermögen vermag die Idee in sinnliche Gestalt umzusetzen bzw. die diversen Dinge als Zeichen eines Geistes zu deuten. Indes bringt erst letzteres die Phantasie voll zur Transzendenz bestimmt. In Anlehnung an die traditionelle Vermögenslehre sind beide, Witz und Phantasie, Seelenvermögen, doch übersteigt die Phantasie, wenngleich sie sich >>leicht zum Witz einbükken<< (V 200) kann, die witzige Potenz die weitem. Sie bildet das Zentrum aller Vermögen: „sie ist die Weltseele der Seele und der Elementargeist der übrigen Kräfte; darum kann eine gro ße Phantasie zwar in die Richtungen einzelner Kräfte, z. B. des Witzes, des Scharfsinn u. s. w., abgegraben und abgeleitet werden, aber keine dieser Kräfte lässet sich zur Phantasie erweitern“ (V 47). Ist der Witz das >>spielende Anagramm der Natur<<, das, Geist und Körper tauschend, ihre Ordnung stört und sie mutwillig zum rätselhaften Vexierbild macht, so die Phantasie >>das Hieroglyphen-Alphabet derselben, wovon sie mir wenigen Bildern ausgesprochen wird<< (v 47). Phantasie deutet die Natur, übersetzt deren Chiffren und vermittelt sie im Medium einer ästhetisch modellierten Sinnlichkeit auf ihre eigene, sonst verhüllte Bedeutung hin . In diesem Sinne, als produktive, die Endlichkeit transzendierende >Kräfte<, sind Phantasie und Poesie identisch„ (W. W I E T H Ö L T E R , Witzige Illumination: Studien zur Ästhetik Jean Pauls, Max Niemeyer Verlag, Tübingen 1979, pp. 139-140). Conclusioni LA POESIA ROMANTICA Il presente lavoro è stato volto a delineare la struttura dell'estetica elaborata da Jean Paul (Johannes Paul Friedrich Richter) all'interno della sua Vorschule der Ästhetik, prendendo inoltre in considerazione alcuni dei suoi romanzi, al fine di evidenziarne i concetti fondamentali cercando poi di esaminarli e ridiscuterli anche alla luce del contesto storico-culturale di riferimento nonché della letteratura critica successiva. Anzitutto si è trattato di mostrare quale sia, secondo Jean Paul, l'essenza della poesia romantica, definendola inizialmente secondo una via negativa esplicitandone le differenze rispetto alla poesia antica, a quella nichilistica e a quella materialistica. Ci si è quindi occupati di delineare positivamente ciò che caratterizza la poesia romantica, attraverso i concetti di genio e immaginazione e di ironia e arguzia che in essa risultano centrali. 176 L'estetica di Jean Paul, così come viene delineata nella sua Propedeutica all'estetica, i cui tratti salienti si inverano d'altra parte anche nei personaggi dei suoi romanzi, si propone di caratterizzare l'intima essenza della poesia romantica, quale punto più alto della poesia moderna, che consta di altri due aspetti: la poesia materialistica, che esaspera l'atteggiamento mimetico proprio della poesia antica, e la poesia materialistica, che invece pretende di farne a meno operando solo attraverso l'uso della fantasia. Il Romanticismo, per Jean Paul, incarna dunque non esattamente l'essenza della modernità, bensì la sua possibilità più propria, il compito verso cui essa deve tendere al fine di proporre un modo nuovo di relazionarsi al mondo che non si limiti a scimmiottare la lezione degli antichi ma che, al tempo stesso, prenda le distanze dalla folle pretesa nichilistica, incarnata ad esempio dall'idealismo, di creare da sé il mondo ex nihilo attraverso l'uso sregolato della fantasia. La forza del romanticismo deve consistere, in ultima analisi, nel saper calibrare la fantasia rifuggendo dagli eccessi che in essa attraggono, al fine di avvalersi di una facoltà nuova, nata dall'equilibrato connubio di fantasia e imitazione. L'essenza del romanticismo si fonda dunque nel concetto di genio, che opera attraverso l'immaginazione; Jean Paul ci insegna che il genio è anzitutto armonia: “armonia di facoltà diverse”, equilibrio tra mimesis e fantasia, tra mondo antico ed età moderna, che sa rendere attuale il principio dell'arte greca della “bella imitazione” della natura, dando in questo modo vita ad un nuovo mondo, ad una nuova natura modellata sì su quella già di per sé esistente, di cui è 177 però stato selezionato solo ciò che in essa vi è di bello, così da creare una copia che sia più ricca del modello. Scopo dell'arte romantica, e del genio che in essa opera, è quindi quello di portare ad una intuizione nuova del mondo o della vita. Altro aspetto caratteristico della poesia romantica, in cui il genio si manifesta quale equilibrio delle diverse facoltà, è l'ironia, concetto chiave delle riflessioni filosofiche ed estetologiche del Romanticismo. L'ironia, di cui Jean Paul offre una dettagliatissima tassonomia attraverso un'attenta disanima degli aspetti principali in cui essa si manifesta, dal comico all'umorismo all'arguzia, trova proprio in quest'ultima la sua essenza più profonda: l'ironia romantica si concentra infatti, a detta di Jean Paul, proprio nel Witz (arguzia o motto di spirito), ossia in quella capacità di instaurare nessi e paragoni tra concetti che apparentamente non mostrano somiglianze. La forza dell'arguzia consiste dunque nell'istituire nuovi orizzonti di senso, nuovi mondi che nascono nel e dal linguaggio attraverso la sua forza originaria di creare nuovi nessi tramite l'uso della metafora. Attraverso l'esercizio dell'arguzia il linguaggio dà luogo ad una vera e propria arte combinatoria che coniuga aspetti della realtà apparentemente non correlati tra di loro. Questa dunque la grande potenzialità dell'arte romantica, che non si limita a imitare la natura ma che, d'altro canto, non deve far uso sfrenato della fantasia: attraverso quell'armonia che è il genio essa deve, di contro, saper modulare la facoltà dell'immaginazione dando vita a nessi sempre nuovi che nella natura sono latenti, in attesa di poter emergere ad opera del poeta e del suo linguaggio. Di qui dunque 178 l'incommensurabile valore della poesia e del pensiero poetico, che sa concretamente offrire e dischiudere nuovi sensi al mondo e alla vita dell'uomo. La poesia non deve, con fatica miserevole, “spremere la primavera da zolle e tronchi, leccando via una crosta di neve dopo l’altra e strappando erba su erba”; piuttosto essa deve essere “la nave volante che da un inverno tempestoso d’un tratto ci trae su di un mare placido, dinanzi a una costa in piena fioritura ” . Il mondo viene visto dalla poesia come se fosse una realtà esterna e lontana, in quanto il genio-poeta si pone, attraverso un particolare atteggiamento del suo sguardo, “in un inverno tempestoso”, dove, portando su di sé il peso del negativo, è possibile cogliere la bellezza stessa la realtà. La poesia deve quindi condurre all’armonia, a partire da una dimensione interiore, rappresentata dalla “nave volante”, per poi dirigersi verso un mondo primaverile e ricco degli aspetti varianti e cangianti della vita. Il gioco interno-esterno degli opposti io-mondo permette a Jean Paul quella mediazione del tutto particolare con la realtà che era invece preclusa all’arte greca, dove l’io dell’artista veniva a dissolversi nell’opera, lasciando spazio alla sola oggettività plastica specchio di un sereno mondo ultraterreno. In quest'ottica, il Cristianesimo è ciò che spezza l’incanto greco attraverso l’insorgere dell’angusto lamento [enge Klage], che mette a 179 tacere la gioia dell’Essere infinito celebrata dall’arte classica. La spaccatura provocata dal Cristianesimo conduce l’arte verso il materiale e l’unilateralità dell’accidente, senza però fermarsi di fronte a questa stessa dimensione corporea, ma, al contrario, usandola come punto di leva per rovesciare il proprio sguardo nell’infinito; dal momento che è proprio dalla spaccatura tra gli opposti io-mondo, finito-infinito, dolore-gioia e morte-vita che è possibile il prodursi appunto di quel sentimento dell’infinito, dove l’arte, a partire dalle oscurità segrete dell’io, può condurre il poeta verso un mondo trascendente, inteso come figura di un ordine prima del tutto disperato. Il senso dell’infinito del romanticismo, inteso come vera e propria arte del Cristianesimo, si muove quindi dal particolare con il compito di portarlo in direzione di una redenzione estetica, conducendolo cioè verso l’universale oltre il mondo della semplice materia bruta. L’attenzione al senso dell’infinito è volta così a superare ogni lettura in chiave esclusivamente materialistica dell’uomo; in questo modo l’ideologia del materialismo è superata intendendo il particolare e il materiale esclusivamente come espressione del finito, il quale, a sua volta, acquisisce un proprio orizzonte di senso solo nella misura in cui è ordinato dallo Spirito. Nella poesia la stessa opera armonizzante dello Spirito si produce attraverso un processo che si declina per 180 gradi, sforzandosi costantemente nel superare il principio di individuazione in direzione del suo opposto, il generale, il quale rappresenta la dimensione della bellezza e delle idee-modello. La dimensione contraria alla individuazione, caratteristica del particolare concreto, ricorda quindi il mondo delle idee platoniche, che, attraverso il lavoro dell’arte, rappresentano quella forza in grado di condurre l’uomo verso la nuova armonia del migliore dei mondi possibili. Le stesse idee, in quanto espressione di un modello sovrasensibile, conducono l’arte e l’etica a toccarsi; infatti, lo stesso Jean Paul afferma in modo del tutto esplicito che “il culmine dell’eticità e il culmine della poesia si perdono in una sola altezza celeste”. L’arte come specchio del migliore dei mondi possibili è definita, nell’ultima sezione della stessa Vorschule, come poetische Poesie, la quale si definisce per opposizione rispetto alla Poesie der Poesie di Schlegel, che presuppone invece un chiaro contatto con la filosofia fichtiana, rispecchiandone sia i dualismi che l’ostentata fiducia nel ruolo dell’io. Jean Paul, d’altra parte, rifiuta esplicitamente il concetto di Poesie der Poesie, poiché, dato l’influsso fichtiano, i due termini che lo compongono sono in chiaro e aperto contrasto tra loro, rispecchiando così una delle molteplici opposizioni che si possono generare seguendo fedelmente il paradigma espresso dal pensiero 181 dello stesso Fichte. La posizione fichtiana, infatti, viene apertamente criticata da Jean Paul nella Clavis, dal momento che, pretendendo di risolvere l’universo nell’io, finisce col condurre l’uomo verso un solipsismo vuoto di determinazioni concrete e di realtà. L’esercizio di una poesia condotta in base a presupposti fichtiani si lega, secondo Jean Paul, ad una arte specchio del nichilismo, diventando così soltanto una fredda immagine capace di riflettere, in modo debole e vuoto, esclusivamente delle indefinite modulazioni della luce prive di forma. All’arte nichilista manca quindi la forza di condurre le proprie riflessioni verso una reale forma; Jean Paul, infatti, concentra le proiezioni dell’io in direzione del manifestarsi di Gestalten, di figure, intese nella forma di centri di forza su cui l’equilibrio della teodicea dell’arte deve innestarsi, tendendo così verso il migliore dei mondi possibili. Le figure dell’arte, in quanto modello di armonia conquistata dalla forza ordinatrice dello Spirito, rovesciano il gioco dell’arte nella serietà del modello ideale; l’illusione deve quindi aver la forza di farsi idea, portando così il proprio giocare a conclusione – il punto più alto dell’arte arriva, ancora una volta, a coincidere con la dimensione etica dell’uomo. 182 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI OPERE DI JEAN PAUL (JOHANNES PAUL FRIEDRICH RICHTER) A) GESAMTAUSGABEN 1) Jean Paul. Sämtliche Werke. Reimer, Berlin 1826ff. - Jean Pauls Sammtliche Werke. - 3. vermehrte Aufl. - Berlin: Reimer. - Jean Pauls ausgewahlte Werke. - 2. 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Weimar : Böhlaus - v. - Jean Pauls sämtliche Werke: historisch-kritische Ausgabe / herausgegeben von der Preussischen Akademie der Wissenschaften; in Verbindung mit der Akademie zur wissenschaftlichen Erforschung und zur Pflege des Deutschtum (Deutsche Akademie) und der Jean Paul Gesellschaft. - Leipzig : Zentralantiquariat der Deutschen Demokratischen Republik, 1975- . 184 B) TESTI - 1: Die unsichtbare Loge; Hesperus / Jean Paul; hrsg. von Norbert Miller; Nachwort von Walter Hollerer. - Munchen: Hanser, c1960. - 2: Siebenkäs; Flegeljahre / Jean Paul; hrsg. von Gustav Lohmann. Munchen: Hanser, 1959. - 3: Titan; Komischer Anhang zum Titan; Clavis Fichtiana seu Leibgeberiana / Jean Paul; hrsg. von Norbert Miller; Nachwort von Walter Hollerer. - Munchen: Hanser, 1961. - 4: Kleinere erzählende Schriften, 1796-1801 / Jean Paul; hrsg. von Norbert Miller; Nachwort von Walter Hollerer. - Munchen: Hanser, 1962. - 5: Vorschule der Ästhetik; Levana oder Erziehlehre; Politische Schriften / Jean Paul; hrsg. von Norbert Miller. - Munchen: Hanser, 1963. 185 - 5: Vorschule der Asthetik; Levana oder Erziehlehre; Politische Schriften / Jean Paul; herausgegeben von Norbert Miller. - 6., korriegierte Aufl. - 6: Schmelzles Reise nach Flätz; Dr. Katzenbergers Badreise; Leben Fibels; Der Komet; Selberlebensbeschreibung; Selina / Jean Paul; hrsg. von Norbert Miller; Nachwort von Walter Hollerer. - Munchen: Hanser, 1963. - 6.1 Dichtungen, Merkblatter, Studienhefte, Schriften zur Biographie, Libri legendi: Text / Jean Paul; hrsg. auf Veranlassung der Deutschen Schillergesellschaft Marbach am Neckar von Gotz Muller; unter Mitarbeit von Janina Knab; Vita-Buch hrsg. von Winfried Feifel. Weimar: Bohlaus Nachfolger, c1996. - 6.2 Dichtungen, Merkblatter, Studienhefte, Schriften zur Biographie, Libri legendi: Apparat / Jean Paul ; hrsg. auf Veranlassung der Deutschen Schillergeselllschaft Marbach am Neckar von Gotz Muller ; unter Mitarbeit von Janina Knab ; Vita-Buch hrsg. von Winfried Feifel. - Weimar : Bohlaus Nachfolger, c1996. - 7: Philosophische, asthetische und politische Untersuchungen / Jean Paul; hrsg. auf Veranlassung der Deutschen Schillergesellschaft 186 Marbach am Neckar von Gotz Muller unter Mitarbeit von Janina Knab. - Weimar: Bohlaus Nachfolger, c1999. -... - 8: Gedanken. 1: Text / [Jean Paul]; herausgegeben auf Veranlassun der Deutschen Schillergesellschaft Marbach am Neckar von Eduard Berend und Winfried Feifel. - Weimar: Bohlaus, 2000. - 8: Gedanken. 2: Apparat / [Jean Paul]; herausgegeben auf Veranlassung derDeutschen Schillergesellschaft Marbach am Neckar von Eduard Berend und Winfried Feifel. - Weimar: Bohlaus, 2004. - *: Jugendwerke 1 / Jean Paul; herausgegeben von Norbert Miller unter Mitwirkung von Wilhelm Schmidt-Biggemann. - Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft, c1974. - *: Vermischte Schriften 2 / Jean Paul; herausgegeben von Norbert Miller. - Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft, c1978. - *: Bemerkungen uber den Menschen. - Leipzig: Zentralantiquariat der Deutschen Demokratischen Republik, 1984. - *: Briefe 1780-1793 / Jean Paul. - Berlin: Akademie Verlag, 1956. 187 - *: Briefe 1809-1814 / Jean Paul. - Berlin: Akademie Verlag, 1952. - Dr. Katzenbergers Badereise / Jean Paul; mit einem Nachwort von Otto Mann. - Stuttgart: Reclam, c1961. - Des Feldpredigers Schmelzle Reise nach Flatz: mit fortgehenden Noten, nebst der Beichte des Teufels bei einem Staatsmanne / Jean Paul; mit einem Nachwort von Kurt Schreinert. - Stuttgart: Reclam, c1963. - Flegeljahre / Jean Paul; mit einem Nachwort von Paul Requadt. Stuttgart: Reclam, c1957. - Friedens-Predigt an Deutschland / Nachwort von Christoph Brant. Wien: Heller, 1918. - Idylle und Idyllik bei Jean Paul: eine Motivuntersuchung zur Rolle von Narrentum und Poesie im Werke des Dichters: Dissertation, 1972. - Jean Paul Brevier / herausgegeben von Heinz Hund. - Wiesbaden: Metopen, 1947. 188 - Leben des Quintus Fixlein aus funfzehn Zettelkasten gezogen, nebst einem Musteil und einigen Jus de tablette / Jean Paul; mit einem Nachwort von Ralph-Reiner Wuthenow. - Stuttgart: Reclam, c1972. - Leben des vergnugten Schulmeisterlein Maria Wutz in Auenthal: eine Art Idylle / Jean Paul; mit Anmerkungen und einer Biographischer Notiz. - Stuttgart: Reclam, c1977. - Levana, oder Erzieh-Lehre / von Jean Paul. - Leipzig: Reclam, [1886]. - The literary works of Leonardo Da Vinci / compiled and edited from the original manuscripts by J.P. Richter; commentary by C. Pedretti. 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Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft, c1959 (stampa 1987). - Vorschule der Ästhetik: nebst einigen Vorlesungen in Leipzig Uber die Parteien der Zeit / Jean Paul; herausgegeben von Joseph Muller; mit einer "Einfuhrung in Jean Pauls Gedankenwelt" von Johannes Volkelt. - Leipzig: Meiner, 1925. - Vorschule der Ästhetik / Jean Paul; Nach der Ausgabe von Norbert Miller; herausgegeben, textkritisch durchgesehen und eingeleitet von Wolfhart Henckmann. – Hamburg: Meiner, 1990. 190 TRADUZIONI ITALIANE - Anni acerbi, Napoli 1990; - L’arte di prender sonno, Genova 1991; - Autobiografia; La morte di un angelo, Milano 1900. - Clavis Fichteana, Napoli 2003. - Il comico, l’umorismo e l’arguzia, Padova 1994; - Il discorso del Cristo morto e altri sogni, Parma 1977; - Elogio della stupidità, Firenze 1995; - L’età della stupidera, Milano 1996; - Giornale di bordo dell’astronauta Giannozzo, Milano 1992; - Levana e altri scritti, Torino 1972; - Opere, Torino 1958; - Scritti sul nichilismo, Brescia 1997; - Setteformaggi (Siebenkäs), Milano 1998; - Il sogno di una folle, Milano 1996; - La sposa di legno, Piombino 1990; - Vita di Maria Wuz, Milano 1988; - La vita del Quintus Fixlein, Bologna 1987. 191 LETTERATURA CRITICA SU JEAN PAUL - AA.VV. 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