L`estetica di Jean Paul Richter - Università degli Studi di Palermo

Università degli Studi di Palermo
Dipertimento di Filosofia, Storia e Critica dei Saperi
Dottorato di Ricerca in Estetica e Teoria delle Arti - XX Ciclo
Coordinatore: Prof. Luigi Russo
SSD: M-Fil/04
L'ESTETICA DI JEAN PAUL RICHTER
di Erasmo Silvio Storace
Tutor: Prof. Salvatore Tedesco
Co-tutor: Prof.ssa Silvia Vizzardelli
1
INDICE
I NTRODUZIONE
–
N ICHILISM O
P ARTE P RIMA
–
C LA SS IFICAZIONE
C APITOLO P RIMO
–
E IRONIA IN
J EA N P AU L ................5
DE I VA RI TIPI DI POES IA NEL LA
V ORSCH ULE
DE R
Ä STHE TI K
L A “ POES IA
ANTICA ” E LA
DI
J E AN P AU L ........29
“ POE S IA
M ODERNA ”
.30
1.1. La “poesia antica” ...............................................................33
1.2. La “poesia moderna” tra materialismo, nichilismo e
romanticismo .............................................................................40
C APITOLO S E CONDO –
L A “ POES IA
MA TE RIAL IS TICA ” E LA
NICHIL IS TICA ”
“ POE S IA
............................................45
2.1. La “poesia materialistica” ...................................................45
2.2. La “poesia nichilistica” .......................................................51
2
2.3. Altre forme di nichilismo nei romanzi di Jean Paul ...........53
2.3.1. Il Discorso del Cristo morto .......................................56
- Contenuto del “Discorso” .................................................59
- Senso del “Discorso” ........................................................65
2.3.2. La Clavis fichtiana ....................................................70
- La disputa su Spinoza e sull'ateismo .................................70
- La Clavis .........................................................................76
- Jean Paul vs. Fichte ..........................................................87
P ARTE S E CONDA
C APITOLO T E RZO
–
–
L A “ POE S IA
ROM ANTICA ” IN
E L ' A RGU ZIA
..............................................97
L A “ POES IA
ROM ANTICA ” IN
J E AN P AU L :
IL GENIO
J E AN P A UL ........98
- Genio e ironia nella poesia romantica ...............................110
C APITOLO Q UA RTO –
IL
GENIO
.................................................119
4.1. Arte e bellezza nell’estetica romantica e postromantica ...119
4.2. Il genio come facoltà dell’intelletto ..................................122
4.3. Il genio moderno: espressione dell’irrazionale o del
sovrarazionale ..........................................................................123
4.4. Il genio romantico .............................................................124
4.5. La facoltà del genio nella Vorschule der Ästhetik ...............125
3
C APITOLO Q UINTO –
L' IRONIA .................................................131
5.1. La nozione di ironia nella Vorschule der Ästhetik ...............131
- Il ridicolo e il sublime .....................................................134
5.1.1. Il comico ................................................................138
- Il comico e la satira .........................................................144
5.1.2. L'umorismo ............................................................146
- Umorismo e ironia ...........................................................156
- Umorismo epico, drammatico e lirico ................................159
- Il comico lirico o il capriccio e il burlesco .........................161
5.1.3. L'arguzia ................................................................162
C ONCL US IONI
R IFE RIM ENTI
–
BIBL IOGRA FICI
LA
POE S IA ROMA NTICA
...............................176
...................................................................183
4
Introduzione
NICHILISMO E IRONIA IN JEAN PAUL
La Vorschule der Ästhetik 1 (Propedeutica all'estetica) di Jean Paul
(Johannes Paul Friedrich
Richter, Wunsiedel, 21 marzo 1763 –
Bayreuth, 14 novembre 1825) incarna essenzialmente una teorizzazione
estetologica
delle
forme
artistiche
concernenti
l’ambito
poetico-
letterario, dalla poesia al dramma al romanzo 2 ; si può infatti affermare
1
Vorschule der Ästhetik: nebst einigen Vorlesungen in Leipzig Uber die Parteien der Zeit /
Jean Paul; herausgegeben von Joseph Muller; mit einer "Einfuhrung in Jean Pauls
Gedankenwelt" von Johannes Volkelt. - Leipzig: Meiner, 1925; Vorschule der Ästhetik /
Jean Paul; Nach der Ausgabe von Norbert Miller; herausgegeben, textkritisch
durchgesehen und eingeleitet von Wolfhart Henckmann. – Hamburg: Meiner, 1990
(d’ora in poi sarà citata quest’ultima versione).
2
Per la letteratura critica sulla Vorschule der Ästhetik, cfr. ad es.: A. M. Bachmann, Das
Umschaffen der Wirklichkeit durch den ‘poetischen Geist’. Aspekte der Phantasie und des
Phantasierens in Jean Pauls Poesie und Poetik, Frankfurt 1986; E. Berend, Jean Pauls
Ästhetik, Berlin 1909 (rist. 1978); G. Carchia, Jean Paul e la teoria dell’umorismo, in
“Rivista
di
estetica”,
1989;
E.
Endres,
Jean
Paul.
Die
Struktur
seiner
Einbildungskraft,Zuerich 1961; G. Müller, Jean Pauls Ästhetik und Naturphilosophie ,
5
che “l’opera maggiore di Jean Paul è una complessa enciclopedia
dell’estetica romantica, intesa come propedeutica alla conoscenza del
mondo che illustra l’origine della poesia, della natura del genio, del
valore del bello. Sono queste
forme dell’arte che costituiscono il
fondamento della verità” 3 .
Questo scritto, pubblicato da Jean Paul nel 1804, ossia in una fase
matura della sua carriera di scrittore (inaugurata all’inizio degli anni
’80 del Settecento e conclusasi nel 1825, anno della sua morte), è,
insieme
al
trattato
Levana,
a
carattere
pedagogico,
l’elemento
filosoficamente più rilevante della sua opera, il cui quantitativo
maggiore consta perlopiù di romanzi, alcuni dei quali contengono
comunque digressioni, intermezzi o appendici concernenti tematiche
di filosofia 4 .
Tübingen 1983; G. Müller, Jean Pauls im Kontext, Wuerzburg 1996; W. Rasch, Die Poetik
Jean Pauls, Göttingen 1967; H. M. Speier, Die Ästhetik Jean Pauls; W. Wiethölter,
Witzige Illumination,Tuebingen 1979; G. Wilkending, Jean Paul Sprachauffassung in
ihrem Verhaeltnis zu seiner Ästhetik, Marburg 1968.
3
4
E. Franzini, S. Zecchi, Storia dell’estetica, il Mulino, Bologna 1995, pag. 408.
Si pensi
qui
in
particolare
al
“Discorso
che
Cristo
morto
tenne
dall’alto
dell’universo sulla non esistenza di Dio”, contenuto nel romanzo Siebenkäs (Siebenkas /
Jean Paul; herausgegeben von Carl Pietzcker. - Stuttgart: Reclam, 1983, tr. it.
Setteformaggi (Siebenkäs), Milano 1998), e la “Clavis fichteana”, in appendice al
romanzo Titan (Titan; Komischer Anhang zum Titan; Clavis Fichtiana seu Leibgeberiana /
Jean Paul; hrsg. von Norbert Miller; Nachwort von Walter Hollerer. - Munchen:
Hanser, 1961, tr. it. dell’appendice: Jean Paul, Clavis Fichteana seu leibgeberiana, a cura
di Eleonora de Conciliis e Hartmut Retzlaff, Cronopio, Napoli 2003).
6
L’opera, suddivisa in tre parti, è una teoria delle forme di
produzione letteraria
volta a determinare la poetica romantica in
generale e, più in particolare, a ravvisare nel concetto di “ironia” la
cifra del genere letterario “moderno” in contrapposizione a quello
“classico” 5 . Per tali ragioni, i concetti classici dell’estetica (come
5
Questa concezione, ampiamente diffusa all’interno del dibattito estetologico e
filosofico del protoromanticismo, è ravvisabile anche in diversi altri luoghi, di cui ci
limitiamo a ricordare quelli più noti: - F. Schiller, Lettere sull’educazione estetica
dell’uomo, Roma 1991; F. Schiller, Saggi estetici, Torino 1959; F. Schiller, Sulla poesia
ingenua e sentimentale, Milano 1993; A. W. Schlegel, Corso di letteratura drammatica,
Genova 1977; F. Schlegel, Dialogo sulla poesia, Torino 1991; F. Schlegel, Frammenti
critici e scritti di estetica, Firenze 1967; F. Schlegel, Sullo studio della poesia greca,
Napoli 1988; F. Schlegel, Simbolicità dell’arte, Firenze 1988; F. Schlegel, Frammenti di
estetica, Palermo 1989; K. W. F. Solger, Erwin, Berlin 1907. Il Romanticismo è stato
talora interpretato come un tentativo di risposta alla Querelle des anciens et des
modernes (nata nel 1688 con Perrault e ancora centrale non solo negli autori del
Settecento, come Du Bos, ma anche tra i Romantici), al centro della quale si poneva
l’antitesi tra antichità e modernità, tra autorità e ragione, tra pregiudizio e progresso:
se i sostenitori degli antichi affermavano l’impossibilità, in arte, di superare o
uguagliare la grandezza dei modelli antichi, i sostenitori dei moderni, senza negare la
validità dei grandi artisti del passato, attribuivano all’epoca moderna una visione più
vera della realtà delle cose. In questo contesto si inseriscono i Romantici: Friedrich
Schlegel, anzitutto, distingue tra opere antiche, che offrono appagamento, armonia e
perfezione, e che hanno come principio la bellezza, e opere moderne, dominate dal
caos, dal disordine, dall’eccesso, volte a rappresentare non solo il bello, ma anche il
brutto,
e
caratterizzate
da
una
tensione
verso
l’indeterminato
e
l’infinito.
Analogamente, Schiller distingue una poesia ingenua da una poesia sentimentale,
mentre Schelling parlava dell’arte greca, simbolica, in quanto contrapposta all’arte
cristiana, in cui prevale l’allegoria e in cui si gioca la cifra del romanticismo. Il
termine “romantico” viene dunque impiegato per distinguere le opere dei moderni. È
7
l’immaginazione, il genio, ecc.) vengono da Jean Paul accostati a
nozioni quali quelle di “ironia”, “ridicolo”, “comico”, “umorismo”,
“arguzia” (o “motto di spirito”), ecc 6 .
La prima parte prende le mosse da una categorizzazione delle
diverse figure di poesia (nichilistica o materialistica, greco-antica o
romantico-moderna, ecc.), al fine di far emergere quelle categorie
estetiche che agiscono nell’atto della produzione o della fruizione di
un testo poetico: dal genio al ridicolo all’umoristico, ecc. Essa si
articola in otto capitoli (o “programmi”, come scrive Jean Paul): “Sulla
poesia in generale”, “Scala delle forze poetiche”, “Sul genio”, “Sulla
poesia greca o plastica”, “Sulla poesia romantica”, “Sul ridicolo”,
“Sulla poesia umoristica”, “Sull’umorismo epico, drammatico e lirico”.
in questo panorama che si innestano le riflessioni di Jean Paul. Nella Vorschule egli
ironizza intorno alla suddivisione classico/romantico, la riformula e la esemplifica.
“Classico” sta ad indicare la poesia plastica, oggettiva, ideale, quieta e serena dei
Greci, mentre “romantico” si riferisce alla poesia cristiana, in cui viene espresso il
bello senza limitazione, il “bello infinito”. Jean Paul, come diversi altri autori a lui
contemporanei, dedica molte pagine al tema dell’ironia e alle sue possibili variazioni:
il comico, l’umorismo e l’arguzia (o motto di spirito). L’ironia, come vedremo nel
corso di questo lavoro, è per Jean Paul da una parte ciò che può opporsi alla visione
nichilistica del mondo, inverandola, e dall’altra ciò che identifica il genere letterario
moderno, romantico, contrapposto a quello classico.
6
Cfr. ad es., Il comico, l’umorismo e l’arguzia, Padova 1994, e in particolare
l’introduzione del curatore, o anche G. Carchia, Jean Paul e la teoria dell’umorismo , in
“Rivista di estetica”, 1989.
8
La seconda parte prosegue questo tipo di indagine, partendo dallo
studio dell’arguzia, per poi prendere in esame i caratteri, il dramma
greco, il romanzo, la poesia lirica, per finire con alcune considerazioni
conclusive rivolte allo stile, alla raffigurazione e alla lingua tedesca.
Essa si compone di sette capitoli: “Sull’arguzia”, “Sui caratteri”, “La
trama storica del dramma e dell’epos”, “Sul romanzo”, “Sulla lirica”,
“Sullo stile o sulla raffigurazione”, “Frammento sulla lingua tedesca”.
Una terza e ultima parte riporta tre lezioni tenute a Lipsia,
rispettivamente dedicate agli stilisti, ai poeti e alla poesia poetica.
La Vorschule riassume all’interno del proprio intreccio tematico una
significativa serie di questioni legate agli ambiti della poetica e
dell’estetica che presuppongono tuttavia, nel loro stesso svolgersi, un
riferimento costante all’uomo ed al suo mondo. La natura dello
sguardo verso la dimensione umana dell’esistenza non si riduce
d’altro canto ad una semplice ripetizione meccanica del dato naturale,
così come non prevede in alcun modo l’abbandono alle distorsioni
legate ai romantici e ai nostalgici dell’illuminismo. La risposta di Jean
Paul si muove innanzitutto dalla necessità di riconoscere una unità
all’interno del campo dell’arte; dal momento che, senza l’ammissione
di un principio certo, non si potrà mai proporre una alternativa
realmente percorribile nei confronti del disordine provocato dalla
9
ricerca di posizioni estreme e alla moda. Di conseguenza, come è
possibile ravvisare nella terza parte della Vorschule, intitolata Drei
Vorlesungen in Leipzig, Jean Paul si muove consapevolmente in un
quadro di assoluta solitudine, dove viene a trovarsi del tutto
abbandonato
dal
pubblico,
fatta
eccezione
del
solo
Albano,
il
personaggio principale del romanzo Der Titan.
Il principio dell’unità dell’arte si lega inoltre ad un altro aspetto del
tutto fondamentale agli occhi di Jean Paul – l’autonomia dell’arte
stessa e della sua caratteristica forma di rappresentazione del mondo
attraverso il linguaggio estetico. Una completa e reale forma di
autonomia del linguaggio dell’arte, nei confronti di termini e concetti
filosofici, è tuttavia di ben difficile applicazione. Infatti, parte della
stessa Vorschule, in particolar modo la terza, si svolge attraverso un
dialogo che prende decisamente le mosse dall’esempio lasciatoci dai
più celebri dialoghi platonici. Quanto appena affermato non deve
comunque far sviare l’interpretazione del pensiero di Jean Paul dallo
“spirito
cristiano”
che
rappresenta
il
vero
orizzonte
di
senso
determinante la sua stessa visione del mondo, legandosi alla nostalgia
per le tradizioni, le feste e lo spirito burlesco del medioevo cristiano,
periodo ancora capace, a differenza del moralismo settecentesco, di
10
intendere la profonda serietà del riso al di là della sua apparenza
frivola e superficiale 7 .
Il rapporto tra il riso e la serietà, nello spirito cristiano, riesce
dunque a rimaner vivo attraverso il senso dell’infinito che, toccando le
corde dell’indeterminato, il non finito appunto, è in grado di andar
7
Il riso e l'ironia in genere sarà uno dei temi ricorrenti del romanticismo, inaugurato
ad esempio dagli studi di Friedrich Schlegel (1772-1829), uno dei più importanti
esponenti del romanticismo tedesco. La propria posizione di teorico romantico va
oltre il kantismo di Schiller, ispirato ancora all’idea di un possibile equilibrio tra
antico e moderno, tra classico e romantico. Schlegel è vicino infatti alla nuova
filosofia di Fichte e si ispira, nel campo della poesia, alle figure di Geothe e Tieck.
D’altra parte, Friedrich è fratello del letterato August Wihelm (1767-1845), il
fondatore con lo stesso Friedrich, nel 1789, della rivista Athenaeum; inoltre, egli
partecipa attivamente ai circoli di Jena e Berlino, occupandosi di storia, di letteratura
e di critica d’arte, ma trovando nella filosofia il proprio reale centro d’interesse, tanto
da essere il primo autore ad esplicitare una vera e propria teoria del movimento
romantico, attraverso i suoi interventi nelle riviste Lyzeum der Schönen Künste ed
appunto nella già ricordata Athenaeum. Il romanticismo, con Friedrich Schegel,
acquista un significato ulteriore rispetto all’originario riferimento al genere letterario
del romanzo ambientato in una età medievale da sogno, venendo così ad identificarsi
con un nuovo modo di guardare alla poesia, dove l’arte stessa si prefigge lo scopo
d’essere arte totale, come mostra il romanzo di Geothe, Wilhelm Meister, classico
esempio di romanzo di formazione. Nell’arte totale l’artista si sforza di raggiungere
quella suprema libertà che è possibile cogliere esclusivamente attraverso uno sguardo
capace di riflettere la realtà a partire dalla più piena comprensione della società e del
tempo storico vissuto. La poesia romantica, intesa come quel luogo dove possono
fondersi gli stili poetici più diversi, diventa così espressione, anche se in forma
ancora aconcettuale, dell’assoluto e dell’infinito, studiato dalla stessa filosofia
fichtiana. La poesia, quindi, non fa altro, secondo Schlegel, che ripetere, seppur in
modo diverso, il lavoro della filosofia; lo specchiarsi della poesia nella filosofia di
11
oltre sia allo sterile opporsi di concetti contrari che ad ogni facile
soluzione compiuta sulle ali della dialettica spinte da un eccesso di
spirito di ragione.
Gli aspetti caratteristici della Vorschule appena enunciati, attraverso
il susseguirsi di un rapido sguardo panoramico sul suo stesso valore
critico-conoscitivo, non sono stati in alcun modo intuiti da autori
tedeschi del periodo come Geothe, Hegel e Schlegel, secondo i quali
Jean Paul poteva essere, nel migliore dei casi, un originale quanto
sterile esercizio della fantasia oppure, da un punto di vista più
realistico, solo un buon esempio di indisciplina filosofica, dove la
fatica del concetto veniva risparmiata alla luce di fatui colpi ad effetto
di nessuna sostanza. Friedrich Ast è stato il primo a scorgere una sorta
di unità, anche se non di tipo banale o immediato, all’interno
Fichte, porta lo stesso Schlegel a coniare, sull’esempio della fichtiana filosofia
trascendentale, detta anche filosofia della filosofia, la formula di poesia trascendentale o
poesia della poesia.
Gli aspetti che la poesia di Schlegel ha in comune con la filosofia
fichtiana sono poi molteplici, innanzitutto, la fede nella libertà e nella creatività
dell’immaginazione del genio, a loro volte unite ad una visione della filosofia e della
poesia in chiave religiosa, quasi come se fossero le portatrici di una missione decisiva
per tutta l’umanità. D’altra parte, il tema centrale della poesia romantica e della
filosofia idealistica, che riveste di nuova originalità l’arte e la sua verità, è senz’altro
quello dell’ironia – l’ironia dei dialoghi di platonici, rispecchiata dalla figura di
Socrate – che si estende ora, nell’arte romantica, attraverso le opere di Forster,
Lessing, Hemsterhuis e Hülsen, diventando la cifra stessa dell’arte ed espressione di
un nuovo e più profondo modo di leggere il mondo. L’ironia, in quest'ottica, è una
“buffoneria trascendentale”, che tende ad approssimarsi verso l’infinito; ma su questo
torneremo nel capitolo dedicato al concetto di ironia.
12
dell’opera di Jean Paul, in cui, al di là dell’apparente succedersi
multiforme di aspetti della vita totalmente distanti tra loro, è presente
una sorta di sintesi capace di portare i volti contrastanti dell’esistenza
ad
un
livello
superiore.
Il
limite
principale
dell’originale
interpretazione di Ast si staglia tuttavia sul modo del concepire la
sintesi operata da Jean Paul, interpretando così lo sciogliersi dei
contrasti della vita come parte di un reale movimento dialettico. In
questo modo il principale merito di Jean Paul rimane, agli occhi di
Ast, quello di aver anticipato, anche se non del tutto consapevolmente,
il movimento stesso della dialettica, intesa come cifra del dispiegarsi
stesso,
attraverso
il
ritmo
triadico,
della
vita
nel
tempo.
Il
rinvenimento di un luogo preciso e determinato dove cogliere la
sintesi di questa dialettica rimane però del tutto imprecisato come
conseguenza del fatto che la lettura di Ast, portata alle sue estreme
conseguenze, non fa altro che sovrapporsi alle pagine di Jean Paul,
ritrovando una regolarità della sintesi tra gli opposti che in realtà è
assente nelle intenzioni dell’autore. Del resto è del tutto innegabile
che la Vorschule si presenti, al proprio interno, come attraversata da
una serie di rapporti triadici del tutto evidenti e riconoscibili, anche se
incapaci di insistere su un unico centro di forza unitario capace di
garantirne tout court una effettiva sintesi.
13
D’altro canto le triadi afferrate dal pensiero di Jean Paul 8 , anche se
incapaci di realizzare una sintesi di tipo definitivo, possono trovare
del resto un punto di analisi privilegiato attraverso il riferimento alle
figure caratterizzanti il moto del riso – il comico, l’umorismo e il Witz.
Si presenta ora, in modo del tutto esplicito, il problema del come
intendere la particolare relazione che occorre tra i tre lati, appena
esposti, del riso; infatti, la negazione di una dialettica di tipo
hegeliano in Jean Paul, anche se in forma larvata, come ha mostrato la
critica alla lettura di Ast, non deve tuttavia giustificare la posizione
contraria, rappresentata per esempio da Carchia 9 , dove viene tolto
valore e senso ad ogni lettura intesa a poggiarsi sul concetto di
mediazione degli opposti. Sempre secondo Carchia la volontà di
riscontrare in Jean Paul un superamento, per mezzo della mediazione
appunto, della travagliata lotta tra gli opposti è figlia esclusivamente
di una impropria proiezione di senso effettuata attraverso categorie
attinte dalla modernità, senza l’uso di alcuna cautela storico-filosofica.
L’osservazione presentata da Carchia può esser messa in discussione
soltanto portando il gioco direttamente a livello delle radici e delle
8
Le diverse forme di triade dialettica, a cui si è appena fatto riferimento, possono
essere raggruppate nelle seguenti serie ternarie: materialismo poetico-nichilismo
poetico-poesia
poetica,
immaginazione-fantasia-genio, ridicolo-sublime-umorismo,
ironia-Laune-umorismo, arguzia-acume-profondità di pensiero epos-dramma-lirica.
9
Cfr. G. C A R C H I A , Jean Paul e la teorica dell’umorismo , “Rivista di estetica”, 31, 1989,
pp. 23-31.
14
fonti più immediate dell’opera di Jean Paul. Il terreno in cui si radica
la Vorschule è rappresentato, secondo quanto affermato attraverso gli
studi di Proß 1 0 , dal riferimento ad Hamann, ad Herder, a Jacobi e a
Pope, senza scordare però il peso determinante della filosofia Leibniz,
rimando costante del periodo giovanile di Jean Paul, soprattutto nelle
satire e negli scritti di carattere filosofico. La relazione tra Jean Paul e
Leibniz non deve tuttavia essere relegata ad un specifico periodo della
vita dell’autore, quasi come se si trattasse di un semplice momento del
passato ormai sepolto dal trascorrere impietoso del tempo; infatti, il
profondo vincolo nei riguardi di Leibniz rimarrà pressoché costante
nella vita di Jean Paul, finendo col fondersi con l’anima stessa del
pensiero
espresso
attraverso
le
pagine
della
Vorschule.
Detto
altrimenti, Leibniz è stato sempre così vicino a Jean Paul da non poter
mai esser riconosciuto del tutto attraverso la sua reale presenza nei
pensieri dell’autore – è sempre difficile infatti cogliere ciò che è
vicino, troppo vicino, all’occhio scrutatore del nostro intelletto e della
nostra ragione. Del resto, come potrebbe affermare lo stesso Jean Paul,
è sempre necessaria una distanza, una differenza, nei riguardi di ciò
che si intende spiegare e comprendere, tanto più se la cosa in
questione è il mondo, inteso come quel concetto limite, quella cifra
impossibile, tra reale e possibile o forse al di là del concetto stesso di
realtà e di possibilità.
10
Cfr. W. P R O S S , Jean Paul geschichtliche Stellung, Tübingen, Niemeyer 1975.
15
Per
il
resto
un
altro
aspetto
che
rende
ardua
e
difficile
l’identificazione di un chiaro paradigma leibniziano nella Vorschule
consiste nella effettiva e reale contaminazione di questo particolare
modello filosofico con altri non del tutto affini; d’altra parte, però, il
valore della teodicea in chiave estetologico è un tema caratteristico che
richiama esplicitamente, come afferma Casini 1 1 , la cultura europea del
Settecento nelle figure di Herder, di Pope, di Rousseau, di Shaftesbury
oltre che dello stesso Leibniz. La sintesi a cui aspira, anche se in modo
sottile, la Vorschule, non è quindi quella di un meccanismo dialettico
non ancora posseduto con aperta evidenza, ma, al contrario, si
identifica con quell’unità capace di riflette, al di là delle dissonanze
del reale, una armonia ideale attraverso la forma dell’arte, la quale
non può in alcun modo trovare nella realtà e nella natura il proprio
modello, in quanto essa stessa, rovesciando il gioco artistico in serietà,
giunge a offrire i modelli ideali, sotto forma di idee platoniche, per la
stessa vita umana.
A questo livello del discorso è possibile introdurre in modo ancora
più chiaro ed aperto quelli che, già in precedenza, sono stati indicati
come i poli costitutivi della triade dialettica principale della Vorschule
– il comico, l’umorismo e l’arguzia. Questi tre momenti non devono
essere visti infatti come lati predeterminati dal pensiero al fine di una
mediazione statica e dialettica; ma ciò non può comportare certo un
11
Cfr. P.C A S I N I , Introduzione all’illuminismo, Laterza, Roma-Bari 1973.
16
rifiuto ad ogni sorta di mediazione all’interno del loro reciproco
relazionarsi ed auto-rimandarsi; dal momento che il rifiuto della
mediazione comporterebbe la rinuncia ad ogni comprensione effettiva
del loro valore e della loro stessa natura.
Il comico, l’umorismo e l’arguzia rappresentano di conseguenza
proprio quella particolare cifra della possibilità, da parte dell’uomo, di
dare un senso alla natura e alla propria vita naturale attraverso il
gioco del tutto serio dell’arte, che, intervenendo sull’assurdo, riesce a
capovolgerne la disarmonia nel suo stesso contrario – l’armonia. Lo
spostamento dalla disarmonia prestabilita del mondo della natura
all’equilibrio
armonico
è
possibile
soltanto,
come
afferma
esplicitamente Blumenberg 1 2 , a partire da una secolarizzazione del
teologico in direzione del suo valore esclusivamente estetologico. Nel
comico, in particolare, abitato dalla immediatezza della simpatia
guidata dall’intelletto, è possibile, attraverso un inganno prodotto
dell’intelletto stesso, portare l’assurdo ad una sorta di equilibrio di
senso, per mezzo dell’esercizio del ridicolo, inteso come luogo ideale
per l’espressione di un riso segnato dalla cifra del tutto kantiana del
disinteresse. L’assurdo viene così reso accettabile attraverso il comico,
il quale prepara poi il terreno per l’umorismo, che si differenzia dal
primo in quanto, uscendo dall’immediatezza della simpatia, riesce a
guadagnare
12
un
punto
di
vista
più
consapevole
nei
confronti
Cfr. H. B L U M E N B E R G , Die Legitimität der Neuzeit, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1966.
17
dell’assurdità che attraversa la physis, sdoppiandosi così in due figure
opposte, da una parte la natura assurda e caotica e dall’altra un’ideale
di libertà, capace di assolvere la natura nel momento stesso della
propria distruzione. L’ultimo elemento della triade, il Witz, si articola,
in un certo senso, attraverso un grado di complessità superiore
rispetto l’umorismo; infatti, con il Witz, si supera la semplice
opposizione bipolare natura versus idea, costitutiva dell’umorismo, in
direzione, invece, di un continuo rimando alla dimensione giocosa del
linguaggio, attraverso il quale il pensiero riesce a ripetere su di sé
l’esperienza di una densa trama rimandi tra spirito e materia, al pari
del profondo legame che unisce nascostamente gli aspetti più disparati
della realtà e della vita.
L’esempio portato attraverso l’analisi del comico, dell’umorismo e
del Witz ha mostrato come il riso possa tradurre positivamente, nei
suoi stessi effetti concreti, quello che la tradizione ha invece inteso
come il fallimento della teodicea mossa e giocata all’interno di un
orizzonte essenzialmente teologico. Il passaggio, quindi, dal piano
teologico a quello estetologico permette all’uomo di muoversi nel
mondo libero, cercano costantemente di opporsi al vincolo nichilista,
attraverso il principio regolatore di una armonia che deve di continuo
esser cercata ed imposta al caos della natura. L’uomo risulta così
stretto
tra
due
opposti
modelli
18
in
conflitto,
l’essere
naturale
dell’animale e l’essere sovrannaturale di Dio; d’altra parte tali figure
archetipe sono da intendere, secondo Jean Paul, come figure derivate
da una teologia ormai rovesciata, attraverso un chiaro processo di
secolarizzazione, in una dimensione estetologica, in cui la stessa teoria
estetica prende le mosse dalle cadenze prima applicate ad un ambito
umano del tutto differente. Da questo punto di vista risulta chiaro che
il
passaggio
estetologica
dal
non
teologico
comporta
alla
in
dimensione
alcun
modo
più
un
propriamente
rovesciarsi
del
domandare teologico nel campo dell’estetica; ma, al contrario, è
l’estetica stessa che ripete la forma ed i ritmi delle questioni
teologiche.
Il discorso, secondo Jean Paul, si gioca quindi nel campo dell’arte,
l’armonia
a
giustificazione
cui
del
l’artista
mondo
deve
stesso,
tendere
il
presuppone
quale,
tuttavia,
infatti
può
la
esser
realmente giustificato solo attraverso una sua riconduzione all’unità; il
mondo disperso e frammentato della physis deve di conseguenza esser
ricomposto, segnando in questo modo lo scopo reale della Vorschule. In
questo modo la sintesi realizzata da Jean Paul si può muovere
riferendosi, piuttosto che a un indeterminato senso dialettico prehegeliano, ad una armonia attraversata da un telos unificante in grado
di coordinare i diversi enti in direzione del modello-uno. Le diverse
monadi possono così essere ordinate secondo un ordine razionale, che
19
esclude il prevalere della contingenza nei confronti della regola
dettata dall’idea. L’ordine che si viene a organizzare, non è però una
realtà uniforme ed indistinta; infatti, lo stesso movimento verso l’unità
presuppone una scala di ordini differenziati per gradi dal più basso al
più alto. All’apice di questa scala dell’essere delle monadi estetiche si
trova l’attività dell’arte umana autentica, ossia la poetische Poesie, la
poesia tesa tra le figure del comico, dell’umorismo e del Witz.
La
Vorschule
declina
pertanto
il
proprio
compito
di
ricerca
dell’armonia a partire da due lati opposti tra loro, che devono esser
entrambi giustificati - il lato del soggetto, o meglio del mondo
interiore del poeta, e quello dell’arte e del riso riferito all’ambito
estetico. In questa teodicea estetologica la tensione verso l’armonia si
gioca tra il particolare e l’universale, in quanto il particolare stesso
deve essere trasfigurato e giustificato in direzione della forma ideale,
attraverso un processo che si declina per gradi di perfezione sempre
maggiore.
Il riferimento all’universale era un aspetto comune sia all’arte greca,
l’arte del senso della vita e dell’oggettività dell’epos, che a quella
romantica, l’arte del senso della morte e della tensione verso il sogno,
il sublime e l’infinito. L’estetica di conseguenza dovrà muoversi tra
questi due momenti, rappresentati rispettivamente dal classicismo e
dal romanticismo, cercando di coglierne la profonda armonia. D’altra
20
parte i modelli opposti devono necessariamente trovarsi in una
dimensione armonica, in quanto l’isolarsi degli estremi, privati di ogni
tensione vero l’equilibrio, produce le due forme di poesia che Jean
Paul intende superare - la poesia materialista e la poesia nichilista. La
distinzione
dei
generi
di
poesia
appena
presentata
riprende,
proseguendola in modo autonomo, la querelle tra classicismo e
romanticismo 1 3 . Il poeta materialista cerca di ripetere la realtà, nella
13
A tal proposito va ricordata la nota distinzione tra poesia ingenua e poesia
sentimentale elaborata da Schiller. Nella lettura compiuta da Friedich Schiller,
attraverso la scrittura delle lettere Sulla educazione estetica dell’uomo (1793-1795), i vari
e frequenti dualismi della filosofia kantiana sono interpretati come la cifra di una
nascosta unità armonica della natura che la cultura umana ha il compito di sviluppare
e di portare a compimento, senza fissarsi per questo nel momento della separazione
degli opposti separati dalla contraddizione. Schiller intende poi divulgare la filosofia
kantiana ad un ampio pubblico, radicandola in un ambito allargato anche alla
dimensione politica e pedagogica. Le difficoltà a livello politico sono poi amplificate
dall’insorgere della rivoluzione in Francia e, proprio per questa ragione, Schiller
intende trovare una soluzione che tocchi la radice stessa dei problemi in questione,
intervenendo sulla stessa educazione estetica dell’uomo, in quanto, secondo la sua
opinione, solo attraverso la bellezza è possibile condurre l’uomo alla libertà. I
problemi dell’uomo moderno, attraversato da fratture difficilmente sanabili, erano
sconosciute agli uomini antichi, dove l’unità e l’armonia tra la vita e le sue forme non
era mai messa in discussione. L’uomo moderno vive una radicale frattura tra
intelletto intuitivo e intelletto speculativo, tale scissione è prodotta dall’evolvere
stesso della società, per mezzo della divisione del lavoro, della specializzazione
scientifica e della separazione tra le classi sociali. I benefici di questa nuova
condizione dell’umanità si riflettono esclusivamente nel campo dell’utile sociale, ma
si devono pagare con un prezzo salatissimo, ossia con l’incrinarsi dell’equilibrio
all’interno dell’individuo - il progresso della specie umana compiuto nella modernità
21
forma della realtà bella ed esemplare, quasi come se si trattasse di
imitare un meccanismo del tutto privo, a differenza della vera natura,
di una qualsiasi forma di organicità e di possibilità di cambiamento.
L’occhio del materialista porta uno sguardo di Medusa cristallizzato e
fermo di fronte alla multiforme Proteo della natura; mentre il
si paga paradossalmente con un ridimensionamento del valore del singolo uomo. La
situazione difficile in cui si trova l’uomo moderno non è tuttavia il segno di un
irrefrenabile declino, ma, al contrario, rappresenta la premessa per la costruzione di
una nuova forma di umanità, dove l’arte, l’educazione e la bellezza devono esser
intesi come i nuovi mezzi col quale può essere possibile ricomporre l’unità spezzata
degli opposti - libertà dell’individuo e stato, mondo naturale e mondo morale,
sensibilità ed intelletto. L’arte si prefigura come un esercizio necessario per lo
sviluppo dell’armonia all’interno dell’umanità in quanto, attraverso il proprio istinto
del gioco [Spieltrieb], rende possibile la giusta mediazione tra l’istinto materiale
[Stofftrieb], che conduce l’uomo fuori da se stesso verso il divenire della realtà
materiale e accidentale, e l’istinto formale [Formtrieb], che riporta l’uomo in sé per
mezzo del riferimento alla necessità della legge. Il gioco dell’arte conduce quindi
l’uomo ad un equilibrio tra vita e forma - la bellezza dell’idea non viene quindi
infranta dal suo molteplice manifestarsi nella realtà. Nel gioco l’uomo riesce poi a
realizzare
un
atteggiamento
disinteressato
verso
le
cose,
divenendo
così
effettivamente libero, attraverso il più completo realizzarsi della propria natura.
Nello stadio estetico, in particolare, l’uomo gioca con la bellezza, armonizzando così
le proprie facoltà attraverso un loro reciproco contenersi e limitarsi, soprattutto in
quelli che possono essere gli eccessi negativi di un uso unilaterale della ragione e del
sentimento. Per quanto riguarda i contributi diretti di Schiller al romanticismo è
possibile fare riferimento a due opere in particolare - Sulla grazia e la dignità (1793) e
Sulla poesia ingenua e sentimentale (1795-1796). All’interno del primo scritto è definita
la celebre figura dell’anima bella, dove il dovere è compiuto con naturale spontaneità,
sulla spinta della bellezza morale della stessa azione, superando così, attraverso la
grazia, le opposizioni presupposte al dovere per il dovere kantiano. Analogamente,
22
nichilista,
ripetendo
la
solida
fiducia
dell’io
fichtiano,
cerca
l’universale dimenticando la sfera di senso dell’accidente, l’universale
si riduce così nell’io stesso senza alcuna mediazione compiuta
attraverso la dimensione transeunte della vita. Dal punto di vista di
Jean Paul, invece, la spinta verso l’universale può esser compiuta solo
smarrendosi prima nel concreto e nell’unilaterale della natura; infatti,
è solo perdendosi che l’uomo può poi ritrovarsi ancora.
nel campo dell’arte, la libertà e la bellezza s’incontrano nella più felice armonia di
opposti, in quanto la stessa libertà viene resa sensibile nonostante la tecnica che è
necessario esercitare per realizzare, nella natura, l’opera d’arte in quanto tale.
Schiller riprende invece, nell’opera Sulla poesia ingenua e sentimentale , la discussione
intorno alla differenza tra l’uomo moderno e l’uomo antico dal punto di vista della
poesia. D’altra parte, secondo la chiave di lettura offerta da Schiller, la poesia degli
antichi è definita ingenua, in quanto l’artista si identifica immediatamente con la
natura; mentre quella dei moderni viene detta poesia sentimentale, poiché il poeta,
proprio poiché non è più uno con la natura, cerca la natura, riflettendo sul proprio
stesso sentimento. L’ingenuità degli antichi non viene pertanto a ricoprire un difetto
o un aspetto negativo della poesia, dal momento che, al contrario, indica la spontanea
identificazione dell’artista con la natura da parte del genio. Un esempio di poesia
ingenua, per Schiller, è senz’altro Omero, il cui corrispettivo, in ambito sentimentale,
è rappresentato dalla figura di Shakespeare. Nelle intenzioni di Schiller, tale
distinzione tra poesia ingenua e sentimentale, è utile, tra l’altro, al fine di distinguere
la propria produzione poetica, ritenuta sentimentale, da quella di Geothe, considerato
appunto espressione di una genialità dal carattere ingenuo. L’esito reale del contrasto
si è rivelato tuttavia di segno del tutto contrario rispetto quanto previsto da Schiller;
infatti la poesia di Geothe verrà ritenuta ingenua nel senso più profondamente
classico del termine e, di conseguenza, proprio in quanto autore classico, lo stesso
Geothe raggiungerà il ruolo di autore modello della poesia sentimentale e romantica.
23
La visione che lo stesso Jean Paul ha dell’uomo, in quanto soggetto,
presuppone un rimando imprescindibile all’unità, distinguendosi così
sia dal dualismo cartesiano che da Fichte, il quale, portando alle
estreme conseguenze la stessa posizione cartesiana, giunge ad un
concetto di io, che, proprio in quanto affetto da un radicale
gigantismo, viene attraversato da una profonda serie di irrimediabili
aporie. La centralità dell’uomo e del suo io è quindi ciò che offre alla
poesia lo strumento del suo stesso operare; tuttavia l’importanza
dell’io, dal punto di vista della teoria estetica di Jean Paul, non
incarna un vuoto centro di potere, ma, al contrario, presuppone
l’attenzione per tutti quei particolari che lo rendono un ricco ed
inesausto vortice di senso estetologico, ben al di là dell’astratta
megalomania fichtiana e nichilista. La figura complessa di questo io,
in
particolare,
rimanda
alle
stesso
orizzonte
letterario
della
produzione di Jean Paul attraverso i temi celebri delle del sogno, della
follia e della frantumazione dell’io, segnando così in modo esplicito la
sua vicinanza alla cultura romantica intesa come espressione letteraria
dello stesso Cristianesimo.
D’altra parte la vicinanza alla visione del mondo del romanticismo,
espressa nel programma sulla poesia romantica della stessa Vorschule,
non ha reso lo sguardo di Jean Paul cieco di fronte alle deriva verso
cui questo fenomeno culturale si stava dirigendo attraverso una
24
evidente degenerazione in chiave irrazionalistica. Il lato nascosto del
romanticismo si dispiega nei mondi incantati dell’evasione e del
delirio onirico, rievocando i miti della tradizione passata oppure della
fantasia legata ad orienti magici 1 4 . In questo quadro generale, dove la
realtà trova la propria totale distorsione, la dimensione del riso veniva
del tutto abbandonata, legandosi così ai sentimenti della indifferenza
o dell’incomprensione. Il declino del romanticismo comporta la messa
in crisi di quella stessa visione del mondo che nel momento del suo
14
Su questo tema cfr. ad es. quanto scrive E. Endres in Jean Paul. Die Struktur seiner
Einbildungskraft: “Wenn Jean Paul in seiner <<Vorschule der Ästhetik>> auf die
Phantasie zu sprechen kommt, verweist er auf seinen Aufsatz <<Über die natürliche
Magie der Phantasie>>, der bereits als Anhang zum <<Quintus Fixlein>> erscheinen ist.
Mit Recht erwähnt er hier noch einmal eine der wichtigsten Schriften, die es uns
ermöglicht, seine Werke und seine Anschauungen so zu beurteilen, wie es der
Intention und der inneren Art des Dichters entspricht. Schon der Titel deutet an, daß
es sich hier um eine Magie, also um irgendeine Verzauberung und Veränderung,
handelt, die freilich auf natürliche. Weise stattfinden wird. Was versteht nun Jean
Paul Phantasie? Die ersten Abschnitte zeigen, dass er darunter die Kraft des
Menschen versteht, innere Bilder zu entwerfen, also sich etwas vorzustellen. Er stellt
die Phantasie den Sinnen gegenüber, besonders dem Gesichtsinn. Sie stellt dem
Dichter <<innerhalb>> meines Kopfes einen Blumengarten vor die Seele>> (V, S. 185 Z.
10 f.), ohne dabei wie die Sinne eines unmittelbaren äußeren Eindrucks zu bedürfen.
Sie kann den Inneren des Menschen das zeigen und in ihn das aufstellen, was im
Augenblick nicht von den Sinnen registriert wird. So erinnert man sich etwa eines
Tages an die Kindheit durch ihre Kraft. So sehnt man sich nach etwas, man hofft auf
etwas; die Phantasie stellt dann das Künftige, das die Sinne noch nicht erfassen, wie
das Vergangene nicht mehr, vor die Seele„ (E. E N D R E S , Jean Paul. Die Struktur seiner
Einbildungskraft, Atlantis Verlag AG Zürich Buchdruckerei Fritz Frei Horgen, 1961, p.
19-20).
25
sorgere ha condotto l’umanità verso una più profonda conoscenza
dell’uomo, del suo mondo e del reale.
Il pericolo di questa deformazione è, secondo Jean Paul, resa ancora
più perniciosa dal profondo legame che l’autore stesso intravede tra la
poesia e la realtà, le quali non rappresentano altro che i due poli
opposti di quella che è già stata introdotta come teodicea estetica.
L’armonia a cui la poesia deve tendere si gioca sul rimandarsi
continuo, sotto la direzione del genio, di una doppia melodia tra
estetica ed arte. Il genio rappresenta la figura in grado di compiere,
attraverso l’esercizio delle proprie facoltà, quell’armonia che, nella
realtà, si deve determinare a partire dal confronto con l’apparente caos
della natura. L’attività del genio si declina attraverso l’applicarsi di
una serie di particolari facoltà - l’immaginazione [Einbildungskraft], la
fantasia
[Bildungskraft,
Phantasie]
e
la
lucidità
[Besonnenheit].
L’immaginazione implica essenzialmente il possesso di una memoria
particolarmente sviluppata, impulsiva sensibile e potente. La fantasia,
invece, rappresenta una facoltà in grado di leggere il libro della natura
attraverso l’esercizio di un particolare spirito di finezza che porta ad
afferrare il generale senza però lo studio analitico e scientifico di ogni
sua parte. La fantasia si declina poi per gradi maggiori o minori di
attività e ricettività. Il genio, al pari della monade leibniziana, si
mostra come specchio incontrastato del mondo, dove gli opposti si
26
declinano in un rapporto governato dall’armonia e dall’equilibrio; di
conseguenza la visione del genio si identifica con uno sguardo del
tutto privo di contrasti e di fratture, come se rispecchiasse appunto
una realtà ideale più alta, in quanto pacificata con se stessa e con il
mondo. La figura del genio specchio del mondo si sposa con la
lucidità, intesa appunto in quanto facoltà poetica legata all’equilibrio.
La lucidità si identifica poi, al suo livello più basso, col buon senso,
mentre a quello più alto provoca la scissione del mondo interiore del
genio in un io riflettente ed in un mondo di riflessi proteiformi e
variabili. L’equilibrio del genio è tuttavia un qualcosa di molto fragile
e sottile, è sufficiente infatti un leggero stimolo del mondo esterno per
spezzare
l’incanto
e
rompere
quella
che
Geothe
chiamerebbe
Gelassenheit - la quiete del pensiero stesso del genio. In questa quiete il
genio si avvicina alla forma del puro pensiero, in quanto pensiero del
movimento stesso del pensare.
La schiusura di questa nuova dimensione estetologica, aperta
dall’analisi della figura del genio, conduce, ancora una volta, al tema
della teodicea dell’arte, intesa quale luogo del superamento di ogni
lettura in chiave meccanica della natura umana, dove il poeta, al pari
del filosofo, si mostra in quanto occhio del mondo, superando ogni
imitazione ed ogni idolatria della quotidianità. La poesia si realizza
quindi come liberazione dell’uomo, superamento del senso comune, e
27
trasformazione dell’uomo stesso, a partire dalla propria “morte”, in
una sorta di divinità, specchio appunto di uno sguardo ideale sul
mondo. In questo orizzonte di senso ogni errore, ogni dolore ed ogni
travaglio deve essere elaborato, attraverso l’armonia, al fine di
sviluppare una reale resistenza dell’uomo nei confronti degli urti e
degli
insulti
imprevedibile
che
il
mondo
violenza.
Jean
gli
impone
Paul
per
raffigura
mezzo
questa
della
sua
concezione
particolare dell’arte con una immagine tratta dal mondo naturale;
infatti, così come l’uomo si serve della poesia per superare il dolore,
piegandolo all’armonia, l’ostrica produce in sé la perla, attraverso un
lento concentrarsi delle sue energie, per resistere al mare.
La ricerca dell’equilibrio, attraverso il ritmo armonico della teodicea,
è possibile, secondo Jean Paul, prendendo la giusta distanza dal
mondo; infatti, il poeta non può affatto identificarsi in modo
immediato con la realtà che intende armonizzare con la sua arte.
Pertanto, è necessario un passo all’indietro che permetta la giusta
presa di distanze da parte del genio.
28
P ARTE P RIMA
C LASSIFICAZIONE
NELLA
V ORSCHULE
DEI VARI TIPI DI POESIA
DER
Ä STHETIK
29
DI
J EAN P AUL
C A PITOL O P RIM O
L A “ POES IA
ANTICA ” E LA
“ POE S IA
M ODERNA ”
La Vorschule der Ästhetik si apre con un capitolo intitolato “Della
poesia in generale”, in cui ha luogo una prima classificazione delle
forme poetiche basata sul concetto di imitazione della natura.
Il fine di Jean Paul si espliciterà nel complesso della Prima parte,
inaugurata da questo primo capitolo, e risulterà essere quello di
mostrare come la poesia antica o plastica, incarnata dal mondo greco,
abbia come principio guida un carattere mimetico rivolto alla bellezza
delle forme riscontrabile nella natura, che la poesia romantica
abbandonerà in favore di facoltà estetiche nuove, dall’immaginazione
alla fantasia al genio: tratti caratteristici della poesia moderna saranno
il ridicolo, l’umorismo e soprattutto l’arguzia, su cui torneremo.
La classificazione delle forme poetiche proposta da Jean Paul
consiste anzitutto nel prendere in esame i diversi tipi di poesia “in
generale” (die Poesie überhaupt), dando luogo ad una prima tassonomia
fondata sulla nozione di immaginazione della natura. A questo punto
si renderà necessario prendere in esame anche alcuni concetti
30
irrinunciabili
dalla
tradizione
estetologica
sette-
e
ottocentesca,
dall’immaginazione alla fantasia, dal talento al genio. Seguirà poi la
classificazione della poesia sulla base delle sue concrete formazioni
storiche 1 5 , distinguendo dunque la poesia greca, definita plastica o
oggettiva, in quanto connessa con gli ideali di bellezza, serenità e
15
Diversi sono stati i tentativi, sia nel protoromanticismo che nel romanticismo
vero e proprio, di classificare le varie forme poetiche sulla base della distinzione tra
poesia antica e poesia moderna: si pensie a Schlegel, ma soprattutto a Schiller, la cui
filosofia incarna il momento esemplare dove il passato ed il presente si incontrano
per mezzo dell’opposizione tra la poesia ingenua – la poesia degli antichi, dove il
poeta si identifica in modo immediato con la natura – e la poesia sentimentale – la
poesia dei moderni, in cui il poeta, a partire dalla propria cultura nata, in buona
sostanza, attraverso l’esercizio della riflessione, cerca proprio quella natura che ha,
con ogni sforzo, abbandonato. La distinzione appena presentata doveva segnare, nelle
intenzioni di Schiller, la differenza tra la propria poesia sentimentale e quella di
Geothe, ritenuta invece espressione ingenua, in quanto frutto appunto di un genio di
natura classica. Il risultato mostrato poi dallo svolgersi della storia è stato invece del
tutto opposto – Geothe, infatti, proprio in quanto ritenuto come autore ingenuo, fu
considerato dagli stessi autori romantici come classico e quindi come il vero modello
della poesia romantica-sentimentale.
L’opposizione antichi-monderni è uno dei temi ricorrenti anche all'interno del
pensiero
poetante
di
Christian
Friedrich
Hölderlin
(1770-1843),
dove
la
contraddizione si muove, ancora una volta, a partire dalle opposte polarità espresse
dalle sfere della natura e della cultura. Nel romanzo epistolare Iperione, o l’eremita in
Grecia (1797-1799), Hölderlin sviluppa un vero e proprio romanzo di formazione,
dove, partendo dall’unità armonica tra uomo e natura, si passa poi allo stadio della
cultura, letta appunto come dimensione di una nuova ed ulteriore complessità, in cui
i bisogni dell’uomo, moltiplicati dall’uso della ragione, possono trovare il loro
soddisfacimento solo attraverso uno strenuo esercizio delle nostre forze vitali e
31
grazia, dalla poesia romantica, propria dell’età cristiana, che tende ad
esprime il bello senza limitazione alcuna, e i cui tratti distintivi
possono essere ravvisati nelle categorie del ridicolo, dell’umoristico e
dell’arguto. Il ridicolo concerne l’infinitamente piccolo ed è definibile
come l’infinita insensatezza intuita in modo sensibile; esso è dunque
l’opposto del sublime, connesso invece con l’infinitamente grande.
L’umorismo rimanda invece ad una sfera più ampia e si differenzia a
seconda
del
suo
relazionarsi
con
l’ambito
della
poesia
epica,
drammatica oppure lirica. Il vero tratto distintivo della poetica
romantica viene però individuato nel concetto di Witz (arguzia o motto
spirituali. Lungo lo scorrere di questa tensione, l’armonia naturale del tempo passato
viene, da una parte, idealizzata attraverso il riferimento alla Grecia di Omero, mentre
dall’altra è ricondotta al fallimento espresso della Grecia moderna, durante la guerra
del 1770 tra Russia e Turchia, descritta amaramente da Iperione al proprio amico
Bellarmin. L’ideale non può quindi vivere su questa terra, essendo condannato ad un
destino di morte e distruzione, come accade a Diotima, la donna amata da Iperione,
che incarna il dissolversi, in questo mondo, dello stesso ideale della bellezza.
Iperione finirà poi propri giorni come eremita, cercando la pace attraverso il ritorno
armonico alla dimensione della natura, intesa come luogo dove gli opposti possono
finalmente conciliarsi. L’armonia offerta dalla poesia non è però una pace vuota di
significato e di contenuto, ma presuppone, al contrario, l’inscriversi di un nuovo
equilibrio tra elementi prima letti, attraverso gli occhi della cultura, come un
qualcosa di reciprocamente separato e contrastante. Inoltre, nelle pagine della sua
stessa tragedia incompiuta – Empedocle – Hölderlin rappresenta questo filosofo,
Empedocle appunto, che ormai sicuro del proprio essere divino si getta nel cuore
stesso dell’Etna, ritornando così tra le braccia della natura, per mezzo di un gesto,
allo stesso tempo, tragico ed epico.
32
di spirito), di cui Jean Paul costruisce una dettagliata descrizione e
classificazione.
Partendo dallo studio della poesia nichilistica, cercheremo in questa
sede di mostrare come tutte queste modalità dell’ironia, riconducibili
alla poetica romantica quale suo tratto distintivo, possano porsi in
relazione con quel fenomeno detto “nichilismo”, cui Jean Paul fa cenno
nelle
primissime
Vorschule
der
pagine
Ästhetik,
della
sua
dissertazione
riservandosi
però
di
di
estetica,
trattarne
la
più
approfonditamente in altre sedi, ossia mettendolo in scena nei suoi
romanzi.
1.1. La “poesia antica”
Nel mondo antico, o meglio, secondo ciò a cui espressamente si
riferisce Jean Paul, nel mondo greco, la poesia non è un elemento
prettamente estetico, ma piuttosto una sorta di atmosfera di cui risulta
intessuta l'intiera società 1 6 ; scrive Jean Paul: ”L'arte della poesia non
16
Scrive Walther Harich: “In den folgenden Teilen [ossia nel Quarto e nel Quinto
Programma] werden die 'griechische oder plastische Dichtkunst' und die 'romantische
Dichtkunst' einander entgegengestellt. Auch hier wieder wird das Griechentum
Herders gegen das Griechentum des Goethe- und Schillerschen Kreises abgegrenzt.
Nicht alseine überzeitliche Norm wird bei Jean Paul das Griechentum begriffen,
sondern aus seinen besonderen Bedingungen heraus verstanden. Was hier, mit den
Augen Herders gesehen, über Griechentum gesagt wird, reicht viel tiefer hinaus als
alles, was seit Lessing die idealistisch klassische Epoche hervorbrachte. Jean Paul und
33
era imprigionata, seppellita dentro i muri di una capitale; essa
planava, al contrario, e fluttuava sulla Grecia intiera, parlava tutti i
dialetti greci e collegava così tutte le orecchie ad un unico cuore” 1 7 . Il
perno di tutto il mondo greco, e in particolare delle sue manifestazioni
artistiche (che non vanno intese come altro da esso) consiste, secondo
Jean Paul, nel concetto di “bello”, che va dalla bellezza del corpo
umano a quella di un esercito schierato, sino alla bellezza di un'opera
seiner Zeit fehlten freilich noch die historischen Grundbegriffe. Er konnte noch nicht
erkennen,
daß
das
Zivilisationsmomenten
GriechentumGoethes
überwuchert
war,
im
wie
Grunde
ja
bereit
von
Lessings
spätrömischen
Laokoon
das
griechische Bildungsideal aus einer späträömischen Skulptur abgeleitet hatte. Der
große Abschnitt der Vorchule 'Über die griechische oder plastische Dichtkunst' ist die
letzte Abhndlung der Zeit, die das historische Griechentum an ihren Wurzeln faßt.
Unmittelbar nach ihr verliegte der Herdersche Geist in Deutschland. Was durch
diesen großen Welthistoriker und Jean Paul erarbeitet war, ging unter in der
'grichenzenden' Nachahmung einer unwirklichen und konstruirten 'Antike' und
muste in der zweiten Hälfte des Jahrhunderts durch Nietzsche erst wieder erobert
werden.
Aber unsere Schulen und Bildungsanstalten sind noch heute von diesem
“griechenzenden'
Ideal
der
Antike
besessen,
das
zu
leerem
und
formalem
Kunstenthusiasmus hinführt statt zu lebendiger Erneuerung aus Griechischem Geiste.
Dem Freiheitsgefühl des griechischen Menschen werden die abgestorbenen instinkte
der spätrömischen Kaiserzeit untergelegt, als hätte nie ein Herder die lebendigen
Quellen des Griechentums erschloffen und in die deutsche Seele hineingeleitet ”
(Walther Harich, Jean Paul, cit., pagg. 620-621).
17
“Die Dichtkunst war nicht gefesselt in den Mauern einern Hauptstadt eingesargt,
sondern schwebte fliegend über ganz Griechenland und verband durch das Sprechen
aller griechischen Mundarten alle Ohren zu einem Herzen”, Jean Paul, Vorschule der
Ästhetik, cit., pag. 69.
34
d'arte o alla bellezza spirituale propria di un'anima. “Popolo ebbro di
bellezza” 1 8 : così viene definito da Jean Paul il popolo greco.
In un mondo già di per sé traboccante di bellezza, il ruolo della
poesia non può che consistere nel riproporre il bello che pervade la
natura 1 9 . O meglio, possiamo dire che la natura consta di diversi gradi
18
“Nun dieses schönheittrunkne Volk noch mit einer heitern Religion n Aug' und
Herz, welche Götter nicht durch Buß-, sondern durch Freudentage versöhnte und, als
wäre der Tempel schon der Olymp, nur Tänze und Spiele und die Künste der
Schönheit verordnete und mit ihren Festen wie mit Weinreben drei Viertel des Jahrs
berauschen umschlang – Und dieses Volk, mit seinen Göttern schöner und näher
befreundet als irgendeines, von seiner heroischen Vorzeit an, wo sich, wie auf einem
hohen Vorgebirge stehend, seine Helden-Ahnen riesenhaft unter die Götter verloren,
bis zu Gegenwart, worin auf der von lauter Gottheiten bewohnten oder verdoppelten
Natur in jedem Haine ein Gott oder sein Tempel war, und wo für alle menschliche
Fragen und Wünsche, wie für jede Blume, irgendein Gott ein Mensch wurde, und wo
das Irdische überall das Überirdische, aber sanft wie einen bauen Himmel über und
um sich hatte.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 70.
19
A tal proposito Jean Paul scrive: “ Ist nun einmal ein Volk schon so im Leben
verherrlicht und schon im Mittagschein von eine Zauberrauche umflossen, den andere
Völker erst in ihrem Gedicht auftreiben: wie werden erst, müssen wir alle sagen, um
solche Jünglinge, die unter Rosen und unter der Aurora wachen, die Morgenträume
der Dichtkunst spielen, wenn sie darunter schlummern – wie werden die NachtBlumen sich in die Tag-Blumen mischen – wie werden sie das Frülingsleben der Erde
auf Dichter-Sternen wiederholen – wie werden sie sogar die Schmerzen an Freuden
schlingen mit Venus-Gürteln! – Auch die Heftigkeit, womit wir Nordleute ein solches
Gemälde entwefen und beschauen, verrät das Erstaunen der Armut. Nicht, wie die
Bewohner der warmen schönen Länder, an die ewige Gleiche der Nacht und des Tages
gewöhnt, d. h. des Lebens und der Poesie, ergreift uns sehr natürlich nach der
längsten Nacht ein längster Tag desto stärker, und es wird uns schwer, uns für die
Dürre des Lebens nicht durch die Üppigkeit des Traums zu entschädigen -sogar in
35
di bellezza, e che pertanto il compito del poeta consiste nel riprodurre
e nel riproporre ciò che contiene un maggior grado di bellezza: perciò
il poeta canterà ad esempio gli strumenti dell'aratore e non quelli del
panettiere, perché i primi sono più nobili dei secondi, oppure gli
aspetti eterni della natura a discapito dei suoi momenti contingenti,
oppure esalterà ad esempio le macchie che decorano il manto di una
tigre ma non le macchie di grasso, ecc 2 0 . Si nota quindi che la facoltà
mimetico-imitativa 2 1 , in gioco nell'arte greca, non consiste nella vuota
Paragraphen.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 70-71.
20
Portiamo ad esempio le parole stesse di Jean Paul: ”Doch gibt es noch eine reine
frische Nebenquelle des griechischen Ideals. – Alles sogenannte Edle, der höhere Stil
begreift stets das Allgemeine, das Rein-Menschliche und schließt die Zufälligkeiten
der Individualität aus, sogar die schönen. Daher die Griechen (nach Winkelmann)
ihren weiblichen Kunstgebilden das reizende Grübchen nicht kiehn, als eine zu
individuelle Bestimmung. Die poesie fodert überall (ausgenommen die komische, aus
künftigen Gründen) das Allgemeinste der Manschheit; das Ackergeräte z. B. ist edel,
aber nicht das Backgeräte; – die ewigen Teile der Natur sind edler als die des Zufalls
und des bürgerlichen Verhältnisses; z. B. Tigerflecke sind edel, Fettflecke nicht; – der
Teil, wieder in Unterteile zerlegt, ist weniger edel, z. B. Kniescheibe statt Knie; – so
sind die ausländischen Wörter, als mehr eingeschränkt, nicht so edel als das
inländische Wort, das für uns als solches alle fremde der Menschheit umschließt und
darbietet; z. B. das Epos kann sagen die Befehle des Gewissens, aber nicht die
Dekrete, Ukasen etc. desselben; – so reicht und herrscht diese Allgemeinheit auch
durch die Charaktere, welche sich erheben, indem sie sich entkleiden, wie Verklärte,
des individuellen Ansatzes.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 75-76.
21
Scrive Paolo D'Angelo: “La tesi che le arti in genere siano riconducibili a una
riproduzione della realtà, a una imitazione della natura, a una mimesi di oggetti o
azioni, appartiene infatti al novero delle convinzioni più stabili e diffuse dell'intera
estetica occidentale fino a tutto il Settecento, ed è anzi la pietra angolare sulla quale
36
ed inconsapevole riproduzione meccanica di ogni singolo aspetto della
natura – come accade nella poesia materialistica –, bensì coincide con
una
riproduzione
mirata
di
alcuni
aspetti
che
sono
stati
precedentemente selezionati dallo sguardo critico dell'artista, che li
giudica come degni di essere riprodotti.
L'artista greco, a detta di Jean Paul, non può esimersi dall'avere a
che fare con un modello natura: per questi motivi egli definisce l'arte
antica oggettiva o plastica, in quanto non può prescindere dal mondo
naturale. In questo processo, però, l'artista deve saper cogliere le varie
gradazioni del bello e saperle riprodurre adeguatamente. Ora, in cosa
consiste la bellezza per l'uomo greco? Secondo Jean Paul, essa si cela
nella “quiete” e nella “gioia serena” – o, secondo le note parole di
Winckelmann, che Jean Paul cita espressamente in queste pagine (cfr.
ad es. § 19, p. 77), in “una nobile semplicità e una quieta grandezza”.
Ci che merita di essere riprodotto dal poeta è ciò che ha in sé il bello,
ovvero ciò in cui si possono ravvisare “equilibrio, serenità, bellezza e
quiete”. Scrive Jean Paul: “La poesia, imitando l'ostrica perlifera, deve
rivestire di sostanza perlacea ogni granello di sabbia grezzo o aguzzo
gettato nella vita” 2 2 . E l'artista greco esprime la gioia nella sua arte
si edificano la maggior parte delle teorie estetiche che si sono succedute in questo
lunghissimo lasso di tempo” ( Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo, Il Mulino,
Bologna 1977, pag. 93.).
22
Leggiamo ancora dalla Vorschule: ”Poesie soll, wie sie auch in Spanien sonst hieß,
die förhliche Wissenschaft sein und ein Tod zu Göttern und Seligen machen. Aus
37
della poesia attraverso la quiete 2 3 ; al contrario,'inquietudine viene
relegati ai generi artistici inferiori, quali ad esempio i drammi satirici
o i ritratti 2 4 .
In ultima analisi, ciò che per Jean Paul caratterizza l'arte greca è
sempre la sua imprescindibile valenza etica, tanto che egli arriva ad
affermare che, per i Greci, ogni azione morale è immediatamente
poetischen Wunden soll nur Ichor fließen, und wie die Perlenmuschel muß sie jedes
ins Leben geworfene scharfe oder rohe Sandkorn mit Perlenmaterie überziehen. Ihre
Welt muß eben die beste sein, worin jeder Schmerz sich in eine größere Freude
auflöset und wo wir Menschen auf Bergen gleichen, um welche das, was unten im
wirklichen. ”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 77.
23
”Wie drückt nun der Grieche die Freude in seiner Dichtkunst aus? – Wie an seinen
Götter-Bildern: durch Ruhe. Wie diese hohen Gestalten vor der Welt ruhen und
schauen: so muß der Dichter und sein Zuhörer vor ihr stehen, selig-unverändert von
der Veränderlichkeit.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 77.
24
”In Satyrs und in Porträts legten die Alten ie Unruhe, d. h. die Qual des Sterbens.
Es gibt keine trübe Ruhe, keine stille Woche des Leidens, sondern nur die des
Frauens, weil auch der kleinste Schmerz regsam und kriegerisch bleibt. Eben die
glücklichen Indier setzen das höchste Glück in Ruhen, eben die feurigen Italiener reden
von dolce far niente. Pascal hält den Menschen-Trieb nach Ruhe für eine Reliquie des
verlorenen göttlichen Ebenbildes. Mit Wiegenliedern der Seele nun zieht uns der
Grieche singend auf sein großes glänzendes Meer, aber es ist ein stilles. ”, Jean Paul,
Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 78-79.
38
poetica 2 5 e, al contrario, ciò che non è etico non può mai essere
poetico 2 6 .
25
”Die vierte Hauptfarbe ihrer ewigen Bildergalerie ist sittliche Grazie. Poesie löset
an sich schon den rohen Krieg der Leidenschaften in ein freies Nachspielen derselben
auf, so wie die olympischen Spiele die ernsten Kriege der Griechen unterbrachen und
aussetzten und die Feinde durch ein sanfteres Nachspielender Kämpfe vereinigten.
Da jede moralische Handlung als solche und als eine Bürgerin im Reiche der Vernunft
frei, absolut und unabhängig ist, so ist jede wahre Sittlihkeit unmittelbar poetisch,
und die Poesie wird wiederum jene mittelbar. Ein Heiliger ist dem Geiste eine
poetische Gestalt, so wie das Erhabne in der Körperwelt. Freiliche spricht die Poesie
sich nicht sittlich aus durch das Auswerfen klingender Sentenzen (so wenig als die
Gothaner unter Ernst I. sich sehr durch die Dreier werden gebessert haben, auf
welche er Bibel-Sprüche prägen lassen), sondern durch lebendige Darstellung, in
welcher der sittliche Sinn – so wie der Weltgeist und die Freiheit sich hinter das
mechanische Räderwerk der Weltmaschine verbergen – als unsichtbarer Gott mitten
über eine sündige freie Welt regieren muß, die er erschafft. ”, Jean Paul, Vorschule der
Ästhetik, cit., pag. 79.
26
”Das Unsittliche ist nie als solches poetisch, sondern wird es nur durch irgendeine
Zumischung; z. B. durch Kraft, durch Verstand; daher ist, wie ich später zeigen
werde, nur ein rein-unsittlicher Charachter, nämlich grausame und feige Ehrlosigkeit,
unpoetisch, nicht aber ihr Gegensatz, der rein-sittliche Charakter höchster Liebe, Ehre
und Kraft. Je größer das Dichtgenie, desto höhere Engelbilder kann dasselbe aus
seinem Himmel auf unsere Erde herunterlassen; da es sie aber, so wenig als eine neue
Anschauung, willkürlich zusammenbauen oder erfinden, sondern nur in sich finden
kann: so besiegelt dies wieder den Bund zwischen Sittlichkeit und Poesie. Man wende
nicht ein: je größer ein Milton, desto größer sein Teufel. Denn zur Schilderung der
Teufelsuperlativen
als
umgekehrten
Götter
39
ist
nicht
eine
bejahende
innere
1.2.
La
“poesia
moderna”
tra
materialismo,
nichilismo
e
romanticismo
Una volta delineati i tratti salienti della poesia antica, si tratta per
Jean Paul di tentare una descrizione della poesia moderna che, a suo
dire, si articola in tre differenti possibilità, ognuna delle quali si
caratterizza in base alla propria relazione con la poesia antica e con il
suo modo di rapportarsi alla natura.
Abbiamo visto che per gli antichi la poesia svolge il ruolo di
imitazione (mimesis) del bello secondo un principio selettivo; la poesia
dei moderni, dal canto suo, può essere classificata secondo tre
tipologie, a seconda di quanto questo parametro dell'imitazione venga
utilizzato dal poeta. I poeti della modernità si caratterizzano in genere
o per un uso eccessivo della facoltà imitativa o per un suo rifiuto
completo; solo in rari casi il poeta sa mantenere un giusto equilibrio
tra l'approccio mimetico degli antichi e quello più fantasioso dei
moderni.
Secondo la tassonomia proposta da Jean Paul, la poesia moderna è
poesia materialistica, laddove la mimesis diviene l'unico parametro
attraverso cui relazionarsi alla realtà, la quale viene riprodotta in ogni
suo
dettaglio
sino
all'eccesso
della
minuzia
e
del
particolare,
dimenticando che la poesia antica imita non ogni aspetto della natura,
bensì il bello di cui la natura, per l'uomo antico, è ebbra. Questo
Anschauung, sondern nur eine Verneigung alles Guten vonnöten; wer also am
reichsten zu bejahen weiß, vermag am reichsten zu verneinen.”, Jean Paul, Vorschule
der Ästhetik, cit., pagg. 79-80.
40
spirito materialistico-imitativo, che propone un ritorno all'antico senza
avvedersi del travisamento operato sull'atteggiamento degli antichi,
non incarna però il vero cuore dell'età moderna che, a detta di Jean
Paul, preferisce prendere le distanze dall'antichità, proponendo una
forma nuova di poesia, che nelle pagine della Vorschule viene detta
poesia nichilistica. I poeti nichilisti sono infatti coloro i quali
pretendono di poter fare completamente a meno della facoltà mimetica
e, per contro, si affidano intieramente a ciò che caratterizza l'età
moderna: la fantasia 2 7 . Secondo Jean Paul la fantasia è una forma
27
Sul tema della fantasia si è espresso ad esempio R.R. Wuthenow: “Alles kann einer
werden durch – Phantasie, alles Böse, alles Gute. Sie vermag sogar Autonomie zu
verheißen, und sei es auch nur in der bescheidensten Form der Selbstbehauptung –
durch Anpassung, Sie ist Weltaneignung, wiewohl auf trügerische Weise. So entfaltet
Wutz die Strategien seiner Überlebens-Kunst und macht sich sogar noch zum Autoren
der Bücher, die er nicht erwerben kann. So ist Schmelzles Furchtsamkeit nur die
Phantasie eines Tapferen. So wird auch Fibel zum Autor, der immerhin die Grundlage
aller möglichen Autorschaft (nach-)liefert. Nikolaus Marggraf schließlich hegt die
Träume eines ehrgeizigen Bürgers, der er auch als Fürst noch bleibt. Er träumt sich in
die Rolle eines setimentalen Prinzen, dem es nicht und politische Aktionen, um Macht
und Repräsentation zu tun ist, sondern um Großherzigkeit, Sanftmut, Leutseligkeit.
Wer Jean Paul kennt, wird wissen, wovon im Zusammenhang mit Phantasie bei ihm
die Rede ist, wie sehr dieses Phänomen von den Anfängen bis zum fragmentarischen
Spätwerk beschäftigt hat. Es handelt sich jedoch keineswegs um ein nur Jean Paul
betreffendes Problem, aber er vor allem hat es beinahe in seinem ganzen Werk stets
neu behandelt, in immer neuen Varianten erfaßt und durchgespielt, in der harmlosen,
heiteren,
liebenswürdigen
wie
in
der
folgenschweren,
abgründigen
Form
die
tragische Konsequenzen nicht ausschließt. Hiervon zeugt insbesondere die Gestalt
des Roquairol im <<Titan>>, den der Erzähler gewiß nicht ohne weitere Absicht als
Kind und Opfer seiner Epoche bezeichnet„ (R A L P H -R A I N E R W U T H E N O W , “Verfürung
durch Phantasie”, Jean-Paul-Gesellschaft Bayreuth. Nachdruck, auch auszugsweise,
41
distorta di immaginazione che porta a generare un mondo altro del
tutto privo di relazione con la natura, dando in questo modo vita a
eccessi di scarso pregio e valore: questo l'atteggiamento tipico del
nichilista che, sul piano estetico, produce un'opera completamente
distaccata dal mondo; sul piano metafisico, al pari di Fichte, dà vita a
un sistema idealistico basato sulla folle pretesa dell'io di essere il
fondamento del mondo; e sul piano morale, invece, genere una perdita
complessiva di valori da cui la degenerazione dell'epoca moderna. Tra
queste due estremità pochi tra i moderni hanno saputo trovare un
sensato equilibrio che sappia conciliare, accogliendola ma anche
superandola dialetticamente, la lezione degli antichi con la nuova
potenza
immaginativa
dei
moderni:
stemperando
la
fantasia
nell'immaginazione, ossia lasciando che in essa agisca anche la mimesis
in quanto selettiva imitazione del bello nella natura, il poeta moderno
autentico, ossia il poeta romantico, si mostra come colui che, per
mezzo della facoltà del genio, sa calibrare correttamente la propria
facoltà
immaginativa,
accostando
ad
essa
l'altro
elemento
fondamentale che distingue l'età moderna da quella antica: l'ironia.
Nell'attenta analisi che Jean Paul compie sulla modernità l'ironia, che
verrà classificata secondo i suoi momenti essenziali del comico,
dell'umorismo e dell'arguzia, troverà proprio in quest'ultima la sua
essenza più propria.
In quest'ottica, anche Paolo D'Angelo fa notare che il romanticismo è
caratterizzato da un vero e proprio superamento del principio di
nur mit Genhmigung der Jean-Paul-Gesellschaft. Druck: Buch- und Offsetdruckerei
Emil Mühl Bayreuth GmbH – 1993, p. 92).
42
imitazione; egli scrive: “Se si ricorda che per il romanticismo l'arte è
produzione di verità, che per i romantici noi ci apriamo la via alla
conoscenza del mondo innanzitutto attraverso l'attività artistica, si
comprende subito agevolmente il percorso che condusse l'estetica
romantica a uno dei suoi risultati di più ampia portata, a una
trasformazione che segna un netto discrimine rispetto alle teorie
precedenti: l'abbandono definitivo del principio di imitazione. Se l'arte
è creatrice e instauratrice di verità, se è l'arte a dare l'accesso alla
realtà, è evidente che non è più in alcun modo possibile pensare l'arte
come legata a un mondo o una verità preesistenti da un vincolo di
fedeltà, di imitazione” 2 8 . Notiamo che Jean Paul è stato di ciò un
interprete molto acuto, ravvisando tra i suoi contemporanei sia la
tendenza ad abbandonare, o in parte (poesia romantica) o del tutto
(poesia nichilistica) il principio imitativo, sia la tendenza, carsica e
meno frequente, a rifiutare la modernità stessa operando un ritorno
eccessivo ed esasperato al mondo dell'antichità (poesia materialistica),
che in genere viene criticato dai romantici, come sottolinea anche
D'Angelo: “Il concetto di imitazione è ancora centrale tanto per il
classicismo
francese,
contro
il
quale
quasi
tutti
i
romantici
polemizzano esplicitamente, quanto per i teorici tedeschi della
generazione precedente a quella romantica, per esempio Lessing e
Winckelmann, dei quali invece almeno i componenti del gruppo di
Jena si sentono piuttosto eredi e continuatori. Attraverso la critica al
principio di imitazione, dunque, i romantici definiscono nel modo più
netto la distanza che li separa dai loro predecessori, e operano nel
28
Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo, Il Mulino, Bologna 1977, pag. 93.
43
paraigma
della
teoria
dell'arte
una
rottura
destinata
a
non
ricomporsi” 2 9 . In questo senso D'Angelo può affermare che l'estetica
romantica, a differenza di quella precedente, non è un'estetica della
ricezione o fruizione dell'opera, bensì un'estetica della produzione,
della creazione artistica: di qui le riflessioni di Jean Paul e dei suoi
contemporanei su concetti quali quello di immaginazione, fantasia,
genio, arguzia, ecc. “Il romantico, insomma”, prosegue D'Angelo,
“avversa la teoria tradizionale dell'imitazione perché essa presuppone
un'attitudine meramente ricettiva e passiva, in luogo di quella
autonoma e creativa che egli richiede all'artista [...]. La poesia e l'arte
non sono registrazioni di impressioni, ma produzioni attive, il cui
movimento va dall'interno verso l'esterno e non viceversa: poetare è
generare” 3 0 .
29
Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo, cit., pagg. 94-95.
30
Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo, cit., pag. 96.
44
C A PITOL O S ECONDO
L A “ POES IA
MA TE RIAL IS TICA ” E LA
“ POE S IA
NICHIL IS TICA ” IN
J EA N P AU L
2.1. La “poesia materialistica”
Nelle prime righe del primo capitolo della Vorschule Jean Paul,
citando Aristotele, esordisce ponendo la questione se l’essenza della
poesia possa essere ricondotta alla bella imitazione della natura, e
nota che questa è, seppur negativamente, la miglior definizione
possibile, dal momento che esclude due estremi: il nichilismo poetico e
il materialismo poetico 3 1 .
L’epoca contemporanea, scrive Jean Paul, risulta caratterizzata da tre
elementi: anzitutto un culto sfrenato dell’io, seguito da una perdita dei
valori tradizionali (dalla religione alla patria, ecc.), e accompagnato
infine da una visione del mondo volta ad escludere che la natura possa
essere considerata frutto della creazione di un creatore 3 2 ; questi
31
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 30.
32
Ivi, pag. 31, dove si legge: “Es folgt aus gesetzlosen Willkür des jetzigen Zeitgeistes
– der lieber ichsüchtig die Welt una das All vernichtet, um sich nur freien Spiel-Raum
im Nichts auszuleeren, und welcher den Verband seiner Wunden als eine Fessel
abreißet –, daß er von der Nachahmung und dem Studium der Natur verächtlich
45
risultano essere, in ultima analisi, i tratti fondamentali di quel
fenomeno che verrà specificandosi come “nichilismo” 3 3 .
Se i poeti antichi fondano il loro atto creativo sull’imitazione della
natura, i poeti romantici moderni utilizzano piuttosto la facoltà del
genio, che ha la caratteristica di creare una nuova natura 3 4 . Ci
sprechen muß. Denn wenn allmählich die Zeitgeschichte einem Geschichtschreiber
gleich wird und ohne Religion und Vaterland ist: so muß die Willkür der Ichsucht
sich zuletzt auch an die harten, scharfen Gebote der Wirklichkeit stoßen und daher
lieber in die Öde der Phantasterei verfliegen, wo sie keine Gesetze zu befolgen findet
als eigne, engere, kleinere, die des Reim- und Assonanzen- Baues. Wo einer Zeit Gott,
wie die Sonne, untergehet; da tritt bald darauf auch die Welt in das Dunkel; der
Verächter des All achtet nichts weiter als sich und fürchtet sich in der Nacht vor
nichts weiter als vor seinen Geschöpfen. Spricht man denn nicht jetzo von der Natur,
als wäre diese Schöpfung eines Schöpfers – worin ihr Maler selber nur ein Farbenkorn
ist – kaum zum Bildnagel, zum Rahmen der schmalen gemalten eines Geschöpfes
tauglich; als wäre nicht das Größte gerade wirklich, das Unendliche? Ist nicht die
Geschichte das höchste Trauer- und Lustspiel?”.
33
Cfr. ad es. Jean Paul, Scritti sul nichilismo, Morcelliana, Brescia 1997; F. Masini,
Alchimia degli estremi. Studi su Jean Paul e Nietzsche, Parma 1967; Id., Nichilismo e
religione in Jean Paul, Bari 1974; W. Rehm, Jean Paul - Dostoevskij. Eine Studie zur
dichterischen Gestaltung des Unglaubens, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1962.
34
Ivi, pagg. 32-33, dove si legge: “Wie die bildende und zeichnende Kunst ewig in der
Schule
der
Natur
arbeitet:
so
waren
die
reichsten
Dichter
von
jeher
die
anhänglichsten, fleißigsten Kinder, um das Bildnis der Mutter Natur andern Kindern
mit neuen Ähnlichkeiten zu übergeben [...]. Bei gleichen Anlagen wird sogar der
unterwürfige Nachschreiber der Natur uns mehr geben (und wären es Gemälde in
Anfangbuchstaben) als der regellose Maler, der den Äther in den Äther mit Äther
malt. Das Genie uterscheidet sich eben dadurch daß es die Natur reicher und
vollständiger sieht, so wie der Mench vom halbblinden und halbtauben Tiere; mit
jedem Genie wird uns eine neue Natur erschaffen, indem es die alte weiter enthüllet.
46
troviamo dunque dinanzi a due polarità opposte: la mera imitazione
della natura, da una parte, e pretesa del genio, dall’altra, di creare
qualcosa di inedito. Jean Paul vuole mostrare come l’elemento più
proficuo consista in una compenetrazione di questi due aspetti e non
nell’esaltazione esasperata di uno di essi, dalla quale avrebbero
appunto luogo due forme estreme di poesia: quella nichilistica e quella
materialistica appunto.
La poesia nichilistica 3 5 è per Jean Paul una delle prime modalità
della poesia moderna: possono essere definiti poeti nichilisti coloro i
quali presuppongono una visione del mondo dominato dal caso, in cui
tutti i valori tradizionali vengono rinnegati in favore del culto dell’Io.
I poeti nichilisti, a differenza dei poeti antichi, non si limitano ad una
semplice riproduzione della natura, che sarà sempre insufficiente in
quanto non potrà mai esaurire il proprio modello; essi pretendono
piuttosto di creare la loro opera indipendentemente da qualsiasi
regola 3 6 .
Alle dichterische Darstellungen, welche eine Zeit nach der andern bewundert,
zeichnen sich durch neue sinnliche Individualität und Auffassung aus”.
35
A tal proposito si veda, oltre al volume di Eduard Berend, Jean Pauls Ästhetik, cit.,
anche il testo di Waltraud Wiethölter, Witzige Illumination. Studien zur Ästhetok Jean
Pauls, cit., in particolare da pag. 68 a pag. 82.
36
Scrive: Walther Harich: “In dem ersten ‘Programm’, wie Jean Paul die einzelnen
Abteilungen der Vorschule bezeichnet, stellt er die ‘poetischen Nihilisten’ und die
‘poetischen Materialisten’ einander entgegen. Schon diese Definitionen zeigen die
Frontstellung
an.
Unter
Nihilisten
versteht
47
er
jene
Kunstrichtung,
deren
D’altro canto, la poesia materialistica, modellata sulla lezione degli
antichi senza però coglierla nel suo significato ultimo, risulta essere il
contraltare della poesia nichilistica, dal momento che consiste soltanto
in una piatta imitazione della natura, priva di utilità, come scrive lo
stesso Jean Paul.
Partendo dall’analisi di queste due forme di poesia, Jean Paul ci
conduce nel cuore di una tematica squisitamente estetologica, ossia il
tema della imitazione della natura (Nachahmung der Natur), rigettata
dai nichilisti poetici ed esasperata dai materialisti poetici. Jean Paul
prende le distanze da entrambe queste due possibili impostazioni, che
Formensprache des Untergrundes der Wirklichkeit entbehrt. Es ist der gleiche
Vorwurf, den er von jeher der Weimarischen Schule machte und den er jetzt,
entsprechend den ‘Titan’ (‘Liane’), auch auf die Romantiker von der Reiheit und
Durchsichtigkeit eines Novalis ausdehnt. Unter den Materialisten fertigt er die
platten rationalistischen Nachahmer der Natur, wie Hermes, Brockes oder Gellert, ab.
Auch gegen Kants Ästethik wendet er sich. Kant suchte, wie das rein sittlich Gute, so
auch das ästhetisch Vollendete durch Isolierung des Begriffs. Jean Paul hingegen hat
als obersten Leitpunkt ständig das Leben selbst im Auge. ‘Dem Nihilisten mangelst
der Stoff und daher wieder die Form, kurz, beide durchschneiden sich in Unpoesie’
Der rechte Dichter ‘wird begrenzte Natur mit der Unendlichkeit der Idee umgeben,
und jene wie auf einer Himmelsfahrt in diese verschwinden lassen’. Damit war kurz
umrissen, was Jean Paul unter Dichtung oder Kunst überhaupt versteht. Schon hier
wird die Methode des Buches klar: er leitet nicht Begriffe aus Begriffen ab, sondern
sucht durch Bilder und Metaphern sein Ideal der Kunst erlebbar zu machen. Er baut
nicht ein lückenloses System der ästhetischen Werte auf, sondern er fügt Stein auf
Stein sein Kunsterlebnis in das Leben ein, wie es von jedem klar gefühlt und erlebt
wird.” (Walther Harich, Jean Paul, H. Haessel Verlag, Leipzig 1925, pagg. 616-617).
48
non sono altro che forme di non-poesia (Unpoesie), mostrando che la
creazione artistica non può prescindere del tutto dall’imitazione, ma
che tale imitazione non deve però ridursi ad un mero tentativo di
riproduzione del reale, bensì deve darsi in quanto opera del genio, che
per definizione deve già sempre produrre una nuova natura. Il quarto
paragrafo del primo capitolo si intitola infatti “Precisazione sulla bella
imitazione della natura”, e arriva appunto a stabilire che la poesia non
deve limitarsi a copiare dei modelli né pretendere di poter creare una
natura ex novo e svincolata da ogni modello, ma deve perseguire la
bella imitazione, ossia l’equilibrio tra questi due estremi, che deve sì
avere come fine l’elaborazione di una copia, la quale deve però poter
risultare più ricca del modello 3 7 . E questo qualcosa in più altro non è
37
Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 43, dove si legge: “Wir kommen zum
Grundsatze der poetischen Nachahmung zurück. Wenn in dieser Abbild mehr als das
Urbid enthält, ja sogar das Widerspiel gewährt – z. B. ein gedichtetes Leiden Lust –:
so entsteht dies, weil eine doppelte Natur zugleich nachgeahmt wird, die äußere und
die innere, beide ihre Wechselspiegel. Man kann dieses mit einem scharfsinnigen
Kunstrichter sehr gut ‘Darstellung der Ideen durch Naturnachahmung’ nennen. Das
Bestimmtere gehört in den Artikel vom Genie. Die äußere Natur wird in jeder innern
eine andere, und diese Brotverwandlung ins Göttliche ist der geistige poetische Stoff,
welcher, wenn er echt poetisch ist, wie eine anima Stahlii seinen Körper (die Form)
selber bauet, und ihn nicht erst angemessen und zugeschnitten bekommt. Dem
Nihilisten mangelt der Stoff und daher die belebte Form; kurz, beide durchschneiden
sich in Unpoesie. Der Materialist hat die Erdscholle, kann ihr aber keine lebendige
Seele einblasen, weil sie nur Scholle, nicht Körper ist; der Nihilist will beseelend
blasen, hat aber nicht einmal Scholle. Der rechte Dichter wird in seiner Vermählung
der Kunst und Natur sogar dem Parkgärtner, welcher seinem Kunstgarten die
49
che il prodotto del genio, che deve creare una nuova natura, senza
avere però la presunzione di poter agire senza alcun sostrato di
partenza da imitare per poter originare la propria opera.
Il genio, da una parte, e l’ironia, dall’altra, si mostreranno come i
due tratti distintivi caratterizzanti la poesia moderna – ma su questi
aspetti torneremo nelle prossime pagine.
Vediamo dunque che in queste prime pagine della Vorschule Jean
Paul ha già delineato i tratti essenziali di quel fenomeno, detto
nichilismo,
che
vedremo
poi
approfondito
i due
luoghi
molto
significativi della sua produzione letteraria: il “Discorso che Cristo
morto tenne dall’alto dell’universo sulla non esistenza di Dio”,
contenuto nel romanzo Siebenkäs, e la “Clavis fichteana”, in appendice
al romanzo Titan. Nella Vorschule der Ästhetik viene abbozzata una
nozione di nichilismo connessa, in sede estetica, con una rinuncia
totale al principio di imitazione ad opera di un genio che pretende
presuntuosamente di poter fare a meno di ogni modello, e, in sede
etica, con una perdita di valori, religiosi e socio-culturali, strettamente
correlata con un culto sfrenato dell’io, la cui genesi viene da Jean Paul
ravvisata
nella
filosofia
di
Fichte
quale
reazione
esasperata
e
Naturumgebungen gleichsam als schrankenlose Fortsetzungen desselben anzuweben
weiß, nachahmen, aber mit einem höhern Widerspiele, und er wird begrenzte Natur
mit der Unendlichkeit der Idee umgeben und jene wie auf einer Himmelfahrt in diese
verschwinden lassen”.
50
nichilistica della filosofia trascendentale di Kant – come vedremo nei
prossimi paragrafi.
2.2. La “poesia nichilistica”
In conclusione, le tre forme artistiche che, a detta di Jean Paul,
caratterizzano
l'età
moderna,
sono
dunque
il
Romanticismo,
il
Materialismo e il Nichilismo, laddove queste ultime due non sono
altro che variazioni esasperate della prima. Ricapitolando, potremmo
dire che il Materialismo è il tentativo di negare lo spirito romantico,
attraverso una
inattuale ripresa
delle
metodologie
estetologiche
antiche, fraintendendole e banalizzandole.
Il materialista poetico rifiuta infatti di avvalersi della facoltà del
genio e pretende di utilizzare soltanto la facoltà dell'imitazione,
attraverso cui riprodurre inutili copie della natura, senza avvedersi
del fatto che la mimesis, per l'artista greco, era qualcosa di altro: una
imitazione della natura, sì, ma che ne prediligeva e isolava gli aspetti
più belli (ossia dotati di ordine, armonia e serenità), al fine
sensibilizzare ed educare lo spettatore.
Il poeta romantico è invece colui il quale coglie in modo positivo la
lezione degli antichi, senza fossilizzarsi su di essa: egli sviluppa il
concetto di mimesis attraverso gradi diversi, attraverso le facoltà della
51
fantasia (o immaginazione) e del genio, che le racchiude tutte. La
fantasia
è
anzitutto
fantasia
ricettiva,
ossia
immaginazione
riproduttiva, e di poco si discosta dalla mimesis degli antichi. Essa può
però svilupparsi sempre più, sin quasi a perdere il controllo di se
stessa.
Il poeta nichilista è dunque colui che fa un uso illecito e sfrenato
degli strumenti utilizzati dal poeta romantico: egli sa portare le facoltà
della fantasia e del genio ai loro estremi, laddove la fantasia diviene
“la grande immaginazione creatrice di finzioni” e il genio una sorta di
“arbitrio ribelle ad ogni legge, [che] sacrifica il mondo e il tutto al
culto sfrenato dell'Io, per liberarsi nel nulla in un libero spazio di
gioco [...]. Quando la storia di un'epoca si mette ad assomigliare ad
uno storico, e non ha più né religione né patria, il furore dell'Io, nel
suo arbitrio, viene fatalmente contro le regole dure e taglienti della
realtà; essa ama di più volare nel deserto delle chimere, dove essa si
trova ad osservare solo le piccole regole particolari e ristrette della
combinazione delle rime e delle assonanze. Là dove Dio, un tempo,
come il sole, scompariva all'orizzonte, il mondo non tarda ad entrare
nelle tenebre; lo spregiatore del tutto non tiene conto che di se stesso e
non teme, in questa notte, che le sue stesse creature” 3 8 . Non è difficile
notare che il tratto più caratteristico, interessante ed anche innovativo
del pensiero di Jean Paul consiste non tanto nella teorizzazione della
38
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 31.
52
poesia romantica, già tentata svariate volte in quegli anni, ma proprio
nella determinazione di quelle forme che da essa hanno origine ma che
possono prendere una via del tutto autonoma. Questo è senza dubbio
il caso del Nichilismo, che non a caso, negli anni successivi, diverrà il
fenomeno cultura più ampiamente diffuso e forse anche maggiormente
stimolante.
Ciò che in questa sede vogliamo mostrare (senza pretese di
originalità, dato che è già stato tentato in molti altri luoghi, ma
semplicemente ripetendo quanto è già stato detto attraverso le parole
di un autore cui la storia del pensiero non ha forse ancora dato il
giusto peso) è proprio la genesi romantica di quel fenomeno che è il
Nichilismo, che non viene per l'appunto inventato ex nihilo, ma che
affonda le proprie radici in quell'humus fertile e variegato che è la
cultura Protoromantica e Romantica, sviluppatasi a cavallo tra il XVIII
e il XIX secolo, cui Jean Paul Richter ha a suo modo contribuito.
2.3. Altre forme di nichilismo nei romanzi di Jean Paul
Il Nichilismo è dunque la vera cifra dell'età moderna, ossia l'ultimo
sviluppo del Romanticismo, che ne accentua ed al tempo stesso ne
esaspera tratti essenziali.
53
La nozione di “nichilismo”, che si mostrerà particolarmente utile
all'interno della nostra trattazione in quanto risulterà strettamente con
un'altra nozione, quella di “ironia” (che verrà in seguito presa in
esame, quale altro elemento fondamentale della poesia romantica, o
meglio, dell'epoca contemporanea tout court, tanto nel suo aspetto
romantico quanto in quello nichilistico), non soltanto – come abbiamo
già visto – viene affrontata ed esposta da Jean Paul tra le prime pagine
del suo capolavoro filosofico ed estetologico, la Vorschule der Ästhetik,
ma viene inoltre tratteggiata, attraverso un approccio di diverso
genere, in alcuni dei suoi romanzi, e in particolare nel “Discorso che
Cristo morto tenne dall’alto dell’universo sulla non esistenza di Dio”,
contenuto nel romanzo Siebenkäs, e nella “Clavis fichteana”, in
appendice al romanzo Titan.
Scrive a tal proposito Paolo D'Angelo: “Nel romanticismo, e anche
nel primo romanticismo, non ci sono soltanto toni squillanti, attese
piene
di
fede,
impeti rivoluzionari,
non
si guarda
alla
storia
esclusivamente come alla garanzia di una palingenesi. Non meno
caratteristici sono atteggiamenti del tutto diversi, anzi antitetici, nei
quali l'oscurità e la notte prendono il posto della luce, la disperazione
quello della speranza, l'incredulità quello della fede, e invece di
annunciare la pienezza di senso della storia si dà espressione alla pura
insensatezza del mondo” 3 9 : questo è il fenomeno che chiamiamo
39
Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo, cit., pagg. 83-84.
54
nichilismo 4 0 . “È stato in particolare il filosofo F.H. Jacobi (1743-1819)
ad utilizzare il termine nella sua polemica con le dottrine di Fichte. In
alcune lettere dirette a quest'ultimo, fatte circolare nella primavera del
1799 e stampate nell'autunno dello stesso anno, Jacobi interpretava il
soggettivismo fichtiano e la sua costruzione che fa scaturire tutto
dall'io come una negazione di ogni più seria realtà e di ogni fede.
L'esaltazione della produttività del soggetto, risolvendo ogni ente
nell'io, fa sì che ogni cosa diventi nulla al di fuori della mia
immaginazione. L'idealismo è un nichilismo e conduce all'ateismo” 4 1 .
In questo panorama si inseriscono le posizioni di Brentano, Von
Kleist, Tieck, Wackenroder e soprattutto Jean Paul, che affronta il tema
del nichilismo in quanto perdita di valori e in quanto culto sfrenato
dell'io rispettivamente nel Discorso del Cristo morto e nella Clavis
fichteana che ora andremo ad analizzare.
40
Ovviamente il termine non va confuso con quello tanto usato da Nietzsche in poi:
“Se per indicare questi aspetti si fa ricorso alla parola 'nichilismo', il lettore non pensi
ad un anacronismo in cui si incorra per sfruttare il potere suggestivo di un termine
che, da Nietzsche in poi, non ha cessato di dominare il dibattito filosofico. Per
quanto, infatti, l'impiego della dizione 'nichilismo' venga comunemente fatto risalire
appunto a Nietzsche per quel che riguarda le sue valenze filosofiche, e al romanziere
russo Turgenev (in particolare al suo romanzo Padri e figli, del 1862) per le sue
valenze letterarie e socio-politiche, pure è certo invece che le prime occorrenze
rilevanti del nome e della cosa risalgono proprio all'epoca romantica” (Paolo
D'Angelo, L'estetica del romanticismo, cit., pag. 84).
41
Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo, cit., pag. 84.
55
2.3.1. Il Discorso del Cristo morto
Parlando di “morte di Dio”, ovvero dell'arcinota sentenza che
risuona quale emblema del nichilismo novecentesco, non si può
ovviamente non pensare a Nietzsche, che ha elaborato e sviluppato
questo concetto che ha avuto così tanta fortuna sino ai nostri giorni.
Eppure, non tutti sanno che questa idea della “morte di Dio” era già
stata sviluppata, seppur in modi e con parole diverse, da Jean Paul
all'interno del “Discorso che Cristo morto tenne dall’alto dell’universo
sulla non esistenza di Dio”, contenuto, come “Primo pezzo fiorito”, nel
romanzo Siebenkäs, il cui titolo completo suona come: Blumen-, Fruchtund Dornenstücke, oder Ehestand, Tod und Hochzeit des Armenadvokaten F.
St. Siebenkäs (Fiori, frutti e spine, ossia vita coniugale, morte e nozze
dell'avvocato dei poveri F. St. Setteformaggi). Tale romanzo è comparso
anzitutto in una prima edizione, datata 1796, e poi in una edizione
definitiva, fortemente rielaborata, nel 1818.
Anzitutto, come fa notare Adriano Fabris nella sua “Prefazione” a
Jean Paul, Scritti sul nichilismo 4 2 , in cui è riportata una versione
italiana del celebre dialogo, questo Discorso va collocato all'interno
del romanzo che lo contiene, nonché all'interno delle altre opere di
Jean Paul, soprattutto dove contengono rimandi ad esso o dove, in
qualche modo, lo anticipano, come ad esempio la “Lamentazione di
42
Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 7 e ss.
56
Schakespeare morto, fra ascoltatori morti nella chiesa, in cui si
proclama che non vi è Dio alcuno”, nonché il “Secondo pezzo fiorito”
del Siebenkäs, ossia “Il sogno nel sogno” 4 3 . Pur tenendo conto di tutti
questi passi, chi scrive si limiterà però, in questa sede, ad estrapolare
da tutti questi materiali, e il particolare dal “Discordo del Cristo
morto”, ciò che potrà risultare utile ai fini della presente trattazione.
43
Scrive a questo proposito Adriano Fabris: “Isolare [...] questo brano dal contesto
più ampio in cui si trova inserito comporta il rischio di avallare un'interpretazione
parziale ed inadeguata di esso. In primo luogo, infatti, il Discorso del Cristo morto
rappresenta il punto d'arrivo di una particolare ricerca espressiva condotta da Jean
Paul:una ricerca che è scandita da alcuni momenti letterari altrettanto ricchi di
invenzioni linguistiche, e tuttavia non così famosi come il Primo pezzo fiorito del
Siebenkäs. Fra di essi spicca, accanto ad altri scritti, la Lamentazione di Schakespeare
morto, fra ascoltatori morti nella chiesa, in cui si proclama che non vi è Dio alcuno : un
breve testo contenuto a sua volta, come Primo intermezzo serio, all'interno della
Baierische Kreuzerkomödie (la cui elaborazione risale alla seconda metà del 1789). In
tale scritto è la figura di Schakespeare quella che di notte, da dietro l'altare di una
chiesa abitata da spiriti inquieti, afferma che Dio non esiste. [...] In secondo luogo,
poi,lo stesso Discorso del Cristo morto dev'essere considerato nel quadro complessivo
di quel romanzo, Siebenkäs, all'interno del quale esso compare come Primo pezzo
fiorito. Per un verso, infatti, può essere mostrato come alcuni dei motivi presenti nel
Discorso ricorrano anche entro la struttura narrativa del Siebenkäs, e trovino in esso
sviluppo in una chiave ironica. Per l'altro verso, soprattutto, bisogna tenere nel
giusto conto il fatto che, in quest'opera, a seguire il Primo, compare un Secondo pezzo
fiorito, Il sogno nel sogno. A ben vedere, infatti,in quest'ultimo scritto la prospettiva
del Discorso del Cristo morto risulta per molti aspetti rovesciata: ad esso sembra quasi
indicare, se letto in relazione con il brano che lo precede, una possibile via d'uscita,
letterariamente elaborata, al prepotente incombere del nichilismoche quel testo
illustrava.” (A. Fabris, “Prefazione”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., pp. 8 e 9).
57
Jean Paul distingue tra varie modalità di nichilismo, e quella che
compare qui di seguito concerne quella “perdita di valori”, che
abbiamo già trovato tra le prime righe della Vorschule der Ästhetik. Dio
rappresenta infatti tutti i valori, e l'annuncio della sua morte o della
sua
non
esistenza
sta
ad
indicare
quel
complesso
fenomeno,
caratteristico dell'epoca contemporanea, secondo il quale i valori
tradizionali si dissolverebbero in un mero e vuoto nulla.
Il “Discorso che Cristo morto tenne dall’alto dell’universo sulla non
esistenza di Dio” è un breve brano, di una decina di pagine, in cui
viene narrato un sogno inquietante. In una delle precedenti versioni, o
meglio, in uno degli abbozzi preparatori della “Lamentazione di
Shakespeare morto”, riportato in una pagin del diario di Jean Paul
(fasc. 13c) datata 3 agosto 1989 4 4 , il Nostro utilizza come titolo:
“Rappresentazione dell'ateismo. Egli predica che non vi è Dio alcuno”.
Il “Discorso del Cristo morto”, sin dai suoi primi abbozzi, vuole
dunque essere una “rappresentazione dell'ateismo” – o, potremmo
dire, del “nichilismo” torut court. Qui Jean Paul mette in scena
un'angusta, tetra ed angosciosa (per usare le sue stesse parole)
immagine onirica, che lascia inorriditi come facendo esperienza del
“velenoso miasma” cui va incontro chi per la prima volta s'imbatte in
quell'esperienza che è l'ateismo.
44
Cfr. Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 19.
58
Contenuto del “Discorso”
Così esordisce Jean Paul, nelle due paginette che introducono il
“Discorso”: “Lo scopo di quest'opera è la giustificazione della sua
stessa audacia. Gli uomini negano l'esistenza di Dio con la stessa
pochezza di sentimento che, ai più, consente di ammetterla. Persino
nei nostri veraci sistemi raccogliamo, come avidi collezionisti di
numismatica,
unicamente
parole,
gettoni
e
medaglie;
–
e
solo
successivamente trasformiamo le parole in sentimenti e le monete in
possessi. Si può credere per vent'anni all'immortalità dell'anima – –
ma solo al ventunesimo, in un istante grandioso, ci si stupisce del
ricco contenuto di questa fede, del calore che offre una tale sorgente di
combustione” 4 5 . Già da queste prime battute si nota lo spirito audace e
polemico attraverso cui Jean Paul vuole trattare il tema, allora tanto
discusso, dell'ateismo, laddove questo va inteso come una delle
manifestazioni possibili, e forse la più alta, di quel fenomeno che
viene a delinearsi tra le pagine di Jean Paul assumendo il nome di
“nichilismo”. Egli prosegue: “Allo stesso modo sono rimasto inorridito
dal velenoso miasma che spira soffocante incontro al cuore di chi, per
la prima volta, s'avventura nell'edificio dottrinario dell'ateismo. La
negazione dell'immortalità mi fa meno male di quella della divinità: in
quel caso, non perdo nient'altro che un mondo coperto da coltri
nebbiose; in questo, vengo a perdere il mondo presente, il sole che lo
45
Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 23.
59
illumina; l'intero universo spirituale viene spaccato e frantumato in
innumerevoli punti-io, come di mercurio, i quali brillano, stillano,
errano,
fuggono,
incontrandosi
e
separandosi,
senza
unità
né
consistenza” 4 6 . Negare Dio significa non soltanto perdere la speranza
di una vita ultraterrena, bensì tutto ciò che si possiede nella vita
attuale, che improvvisamente di tramuta in un'orrida e cieca casualitò
priva di consistenza e di valore. Infatti egli può proseguire dicendo:
“Nessuno è così solo nel Tutto come colui che nega Dio – costui,
avendo perduto il Padre più grande, si trova in lutto, con il cuore
orfano, accanto allo smisurato cadavere della natura, il quale non è più
animato e unito dallo spirito del mondo, e che s'accresce nella tomba; e
il miscredente s'affligge così a lungo, fino a quando egli non si stacca,
sfaldandosi, da quel cadavere. Davanti a lui sta immobile il mondo
intero, come la grande Sfinge egizia di pietra semisdraiata nella
sabbia; e il Tutto è la fredda maschera di ferro dell'informe eternità” 4 7 .
Notiamo anzitutto che qui si parla di un vero e proprio “lutto” per
aver “perduto il Padre più grande”, e in conseguenza di ciò il cuore
dell'uomo è “orfano accanto allo smisurato cadavere della natura”: qui
non si sta parlando semplicemente dell'ateismo inteso come “non
esistenza di Dio”, bensì di quel concetto, sottilmente differente, che
diverrà centrale nel pensiero di Nietzsche: la “morte di Dio”. Ovvero,
46
Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., pp. 23-24.
47
Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 24.
60
Dio è pensato non come qualcosa di inesistente, bensì come una sorta
di nozione storica, che ha trovato senso in determinate epoche e che
invece nell'epoca del nichilismo, ossia nelle estreme propaggini della
cultura romantica propria dell'età moderna, risulta non più possibile,
e dunque destinato a venir meno, a soccombere. Questo è il nichilismo:
la vita nell'epoca della consapevolezza dell'impossibilità di Dio,
ovvero di tutti i valori che, sul piano assiologico, possono dare una
direzione alla vita dell'uomo: per questo gli individui sulla terra,
orfani di Dio, sono come schegge impazzite o – per usare l'esempio di
Jean Paul – gocce di mercurio che rotolano in ogni direzione, unendosi
e dividendosi senza sosta e senza criterio. Il Dio che viene meno non è
il “Padre buono” che dona l'immortalità, di cui si può ben fare a meno,
bensì il “Padre più grande”, ossia il supremo garante dell'ordine e
della regolarità della natura: se esso viene meno, ciò di cui ne va è
questo ordine stesso, la cui perdita porta ad uno stato di confusione e
di caos, ad una bruta ed informe casualità, ad un atomismo democriteo
in cui ogni certezza viene meno. Di qui l'estrema solitudine di chi nega
l'esistenza di Dio.
Dopo questa breve introduzione, che svolge la funzione di cornice,
ha inizio la narrazione vera e propria, ossia il racconto di questa
tremenda visione onirica ambientata nella chiesa di un camposanto a
mezzanotte, ossia “nell'ora in cui il nostro sonno sfiora l'anima sino a
61
toccarla, oscurando anche i sogni, [e] i morti si levano dal sepolcro e
scimmiottano nelle chiese il servizio divino dei vivi” 4 8 . Il sogno si
svolge dunque di notte, in un camposanto, ovvero in un tipico
scenario romantico, dove, al chiaro di luna, i morti escono dalle loro
tombe
per
recarsi
nella
chiesa
attigua:
“tutte
le
tombe
erano
scoperchiate, e le porte di ferro dell'ossario si aprivano e si
chiudevano aperte da mani invisibili. Sui muri fluttuavano ombre che
nessuno proiettava, e altre tombe vagavano ritte nell'aria” 4 9 . Vengono
qui evocate immagini fortemente nichilistiche, dai sarcofagi vuoti alle
mani invisibili, dalle ombre che nessuno proietta alla morte stessa: si
tratta cioè di modi attraverso cui evocare quel nulla che verrà
pienamente descritto laddove si proclamerà la non esistenza di Dio,
ovvero la sua morte. Il racconto prosegue con la descrizione di altre
immagini simili; dopodiché entra in scena “una figura alta e nobile,
accompagnata da un dolore inestinguibile” 5 0 : Gesù Cristo. Vedendolo,
“tutti i morti gridarono: 'Cristo! Non c'è Dio alcuno?'. Egli rispose:
'Non c'è'. L'ombra di ogni defunto tremò tutta intera, non solamente
nel petto, e per questo tremito ciascuna fu disgiunta dall'altra. Cristo
proseguì: 'Ho attraversato i mondi, sono salito fino ai soli e ho
percorso a volo, lungo le vie lattee, i deserti del cielo; ma non c'è Dio
48
Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 25.
49
Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 25.
50
Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 26.
62
alcuno. Sono disceso fin dove l'essere proietta le sue ombre e ho
scrutato nell'abisso gridando: 'Dove sei tu, Padre?'. Ma ho udito
solamente l'eterna tempesta che nessuno governa, mentre il variopinto
arcobaleno degli esseri, senza che vi fosse un sole a crearlo, s'inarcava
e sgocciolava sopra l'abisso. E quando levai lo sguardo al mondo
sconfinato, cerando l'occhio divino, esso mi fissò con una vuota orbita
senza fondo; e l'eternità si stendeva sopra il caos e lo erodeva e
ruminava se stessa. – Continuate a risuonare, o note dissonanti,
stridete sino a dissolvere le ombre; poiché Egli non c'è'” 5 1 . In questo
passo è racchiuso il cuore del “Discorso che Cristo morto tenne
dall’alto dell’universo sulla non esistenza di Dio”, in cui emerge con
forza ciò che Jean Paul intende con Nichilismo: un mondo privo di
valori, su cui regna il caos, in cui il solo garante dell'ordine morale e
fisico, Dio, è venuto meno. L'ateo non è colui il quale s'avvede della
non esistenza di Dio, bensì colui che compie di sua mano il deicidio,
come si vede bene da alcune parole dette da Cristo. Anzitutto egli dice
che, “cercando l'occhio divino, esso [lo] fissò con una vuota orbita senza
fondo”: al pari dei morti descritti poche righe più su, anche l'occhio di
Dio risulta vuoto, ossia si è putrefatto a seguito della sua morte –
nessuna orbita vi sarebbe, infatti, se egli non fosse mai stato, ossia,
un'orbita vuota è appartiene propriamente ad un cadavere che si sta
decomponendo (si notino qui queste lugubri immagini, che a detta di
51
Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., pp. 26-27.
63
Jean Paul sono tipiche della poetica romantica a differenza di quella
antica). Inoltre, poche righe più sotto, egli dice che “siamo tutti
orfani” (e si è orfani, è ovvio, di un padre che è venuto a mancare, ma
che prima esisteva): “Le ombre sbiadite volarono via, e scomparvero
come il bianco vapore del gelo si dissolve a un soffio caldo; e tutto si
fece vuoto. Giunsero allora nel tempio, spettacolo orribile per il cuore,
i bambini morti che si erano svegliati nel camposanto, e si gettarono
davanti all'alta figura presso l'altare e dissero: 'Gesù! non abbiamo noi
un padre?' – Ed egli rispose, piangendo: 'Siamo tutti orfani, io e voi,
siamo tutti senza padre'” 5 2 . Al suonare di queste parole, il mondo
intero inizia a sprofondare in un abisso senza fine e il gigantesco
serpente dell'eternità inizia a stritolare tutto, e proprio nel momento
in cui sta per suonare l'ultima ora del mondo, il terribile incubo
finisce. Ecco le parole di Jean Paul a commento di tale sogno: “La mia
anima pianse dalla gioia di poter adorare di nuovo Dio – e la gioia e il
pianto e la fede in lui furono la mia preghiera. E quando mi alzai il
sole riluceva ancora, al fondo, dietro le colme spighe purpuree, e
gettava, in pace, il riflesso del suo tramonto sulla piccola luna, che,
senza aurora, si levava da oriente; e fra cielo e terra distendeva le sue
brevi ali un gioioso mondo transeunte, che viveva, come me, al
52
Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 27.
64
cospetto del Padre infinito; e da tutta la natura che mi circondava
fluivano suoni di pace, come da campane remote nella sera” 5 3 .
Senso del “Discorso”
Ora che abbiamo presentato i contenuti del “Discorso che Cristo
morto tenne dall’alto dell’universo sulla non esistenza di Dio”
dobbiamo tentare di estrapolarne la valenza filosofica ed estetologica,
riconducibile alle nostre indagini sin qui condotte.
Iniziamo seguendo la chiave di lettura offerta da Adriano Fabris nel
saggio “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in
Jean Paul”, riportato in appendice alla edizione italiana degli Scritti
sul nichilismo di Jean Paul 5 4 . Come nota Fabris, in sede preliminare si
deve sottolineare che l'importanza di questo testo consiste nel fatto
che esso è uno di quei luoghi della storia del pensiero in cui emerge,
in
modo
chiaro
e
distinto,
o
comunque
in
modo
esplicito
e
consapevole, quel fenomeno che oggi riconosciamo nel concetto di
nichilismo e che viene inaugurato e vede la luce proprio in queste
pagine 5 5 . Significativo è anzitutto il fatto che venga qui preso in
53
54
Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 30.
A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean
Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., pp. 39-84.
55
A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean
Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 42. Notiamo qui che, pur essendo
possibile
intendere
il
nichilismo
come
un
fenomeno
culturale
in
senso
lato,
ravvisandone la genesi magari nel mondo greco, qui si sta semplicemente dicendo che
65
considerazione, parlando della genesi del concetto di nichilismo, non
un trattato di filosofia bensì un romanzo, ossia il pensiero non di un
filosofo speculativo bensì di un romanziere reso noto – certo – anche
per le sue speculazioni filosofiche, ascrivibili però precipuamente
all'ambito estetico 5 6 : ciò sta a significare che il concetto di nichilismo
ha avuto una genesi estetica.
Uno
dei
luoghi
in
cui
le
tematiche
del
Discorso
vengono
preannunciate è una lettera del 15 novembre 1790, in cui egli scrive:
“La sera più importante della mia vita:giacché provai il pensiero della
morte; che non c'è assolutamente nessuna differenza se io muoio
domani o fra trent'anni; che ogni progetto e tutte le cose si dileguano
davanti a me, e che devo amare i poveri uomini, che così presto vanno
a fondo con il loro brandello di vita; il pensiero [della morte] si
trasformò in quello dell'inutilità di ogni faccenda. Mi spinsi davanti al
mio futuro letto di morte, attraversando i trent'anni, mi vidi con la
mano da defunto, abbandonata, con il viso da malato, disfatto, con gli
occhi di marmo, udii il combattersi delle mie fantasie nell'ultima
notte... Oh voi, miei fratelli, vi voglio amare di più, vi voglio dare più
la genesi di tale termine e di tale concetto, il quale poi può ovviamente, in modo più
o meno lecito o più o meno corretto, venire applicato anche ad altri periodi storici, va
ravvisata proprio in questi anni a cavallo tra la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX
secolo.
56
A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean
Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 43.
66
gioia. Come potrei tormentare il vostro paio di giorni decembrini di
vita piena, le
vostre
immagini, colme
di colori
mondani, che
sbiadiscono nel riflesso tremolante della vita? Non dimenticherò mai
quel 15 di novembre”. Come si vede già in queste righe, quello di
nichilismo non è un concetto filosofico che possa essere elaborato a
tavolino, ma nasce da un'esperienza molto forte, di tipo estetico –
potremmo dire –, ovvero un'esperienza vissuta 5 7 del corpo e dello
spirito che precede ogni categorizzazione dell'intelletto ma che
concerne una percezione diretta e immediata della morte, che coincide
con la nullità e l'inutilità della vita stessa. La percezione e la paura (o
angoscia) della morte, cui va di pari passo la sensazione che la vita sia
vana, è un'esperienza estetica originaria e genuina e non un'inferenza
logica operata dall'intelletto: quest'ultimo può sopravvenire in un
secondo momento laddove l'angoscia, una volta messa da parte, può
essere osservata e studiata al fine di interrogarsi circa la condotta
pratica da intraprendere in una visione del mondo in cui la vita risulta
vanificata dal suo epilogo. Il nichilismo nasce dunque come esperienza
estetica della finitudine e vanità della vita, cui segue una sorta di
nichilismo derivato, e comunque intellettualizzato, che tenta di
oggettivare e spiegare tale concetto, per poi applicarlo alla vita pratica
57
A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean
Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 47, dove si legge: “Nel racconto di
questa esperienza vissuta non c'è più spazio, a ben vedere, per l'esercizio di quel
sovrano distacco dell'ironia”.
67
in modo da indicare una condotta possibile in un mondo reso vano
dalla finitudine che esso cela in grembo e che può solo essere esperita
direttamente, tramite l'esperienza dell'angoscia.
Qualcosa
di
analogo
accade
nella
già
citata
Lamentazione
di
Shakespeare morto: “In esso [...] è già menzionata la presenza, di notte,
di uno spirito nella chiesa che predica la vanità di tutte le cose: una
vanità che non apre, cristianamente, all'ambito in cui tutto, da ultimo,
può risultare salvaguardato all'interno di una prospettiva escatologica;
che evita, cioè, il rimando a una dimensione finale di salvezza, ma che
piuttosto dà voce ad un senso di irredimibile, universale, reiterata
dissoluzione” 5 8 .
Nel testo che invece stiamo prendendo in esame, il “Discorso che
Cristo morto tenne dall’alto dell’universo sulla non esistenza di Dio”,
è Cristo stesso a fare da protagonista: non più lo stesso Jean Paul,
come nella lettera del 15 novembre 1790, e non più un importante
personaggio della storia della letteratura come Shakespeare, ma Cristo
stesso esprime quell'esperienza della morte che ciascuno di noi ha
vissuto in alcune situazioni limite della propria vita. Scrive Fabris:
“Nella prospettiva nichilistica messa in scena da Jean Paul – una
prospettiva implicita sui possibili esiti del cristianesimo –, sarebbe il
Cristo stesso a risultare quasi un 'doppio' dell'uomo. Il Discorso del
58
A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean
Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 48.
68
Cristo morto, infatti, non solo lo raffigura nella sua incarnazione in
sembianze umane, non solo, una volta proclamata la morte di Dio, lo
vede assumere la dolorosa consapevolezza di essere uomo tra gli
uomini, orfano tra gli orfani, ma soprattutto lo presenta come
quell'alter ego, come quella figura accomunata alle creature da un
medesimo destino, nella quale un uomo privilegiato – il narratore –
proietta se stesso e ritrova la propria angoscia” 5 9 . In questo scritto,
l'esperienza della morte (della propria e di quella di Dio), e l'angoscia
che ne consegue, non viene esperita direttamente, bensì all'interno di
un angoscioso sogno che raffigura scenari di morte; scrive ancora
Fabris: “Il sogno, qui, ha la stessa funzione che tradizionalmente è
propria della teoria: offre cioè la possibilità di rivolgere al mondo uno
sguardo dall'alto, di porsi in una dimensione di lontananza rispetto ai
coinvolgimenti e agli affanni della quotidianità. [...] Tuttavia, ad uno
sguardo più attento, la capacità di raggiungere un effettivo distacco
dal mondo seguendo la via del sogno risulta puramente illusoria.
Giacché il sogno bensì trascende l'io, ma [...] all'io costitutivamente e
in primo luogo rimanda. Il sogno, in altre parole, permette certamente
di vedere meglio la realtà in cui l'uomo è coinvolto e sembra
addirittura essere in grado di racchiuderla in sé, riproducendola e
ricreandola con una lucidità non comune. E tuttavia, nel contempo, la
59
A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean
Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., p. 56.
69
stessa visione onirica fa parte a sua volta di questa realtà, ne è in
effetti contenuta” 6 0 .
2.3.2. La Clavis fichtiana
Se sin qui abbiamo visto la “pars destruens” del Nichilismo, ossia la
sua forza negatrice e distruttrice che pretende di sbarazzarsi di tutti i
valori tradizionali, arrivando persino a proclamare la morte di Dio, a
questo punto dobbiamo studiare questo fenomeno nella sua “pars
construens”, ovvero mostrare che “nichilismo” non significa soltanto
annichilamento e perdita di tutti i valori, bensì anche “autoesaltazione
dell'Io”. Prima di prendere in esame il luogo dell'Opera di Jean Paul in
cui avviene questo passaggio ci è però utile tratteggiare a brevi linee il
panorama storico in cui ciò si colloca: la cosiddetta disputa su Spinoza
e sull'ateismo, in cui si inscrivono sia le tematiche del Discorso del
Cristo morto che abbiamo appena descritto, sia quelle che emergono
nella Clavis fichtiana in cui Jean Paul polemizzerà contro il sistema di
Fichte.
La disputa su Spinoza e sull'ateismo
La disputa su Spinoza si delinea in Germania tra il 1783 e il 1887,
nutrendosi delle critiche che Schelling e Hegel muovono a Friedrich
Heinrich Jacobi (1743-1819), per poi confluire nelle polemiche sul
60
A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean
Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., pp. 58-59.
70
kantismo e nella successiva “disputa sull’ateismo” compiuta a partire
dalla discussione di tesi fichtiane.
Il dibattito si apre in occasione della commemorazione di Lessing
(1729-1781) voluta e realizzata da Mendelssohn (1729-1786), il quale si
propone pubblicamente come centro di raccolta di materiale sul
celebre filosofo tedesco. Tra i filosofi e uomini di cultura che
accolgono la proposta di Mendelsshon, si trova Jacobi, il quale riporta
su carta il contenuto di una discussione che egli stesso aveva avuto
tempo addietro con Lessing, sostenendo che quest’ultimo gli avesse
confidato che non è in alcun modo possibile una filosofia diversa da
quella elaborata da Spinoza. L’affermazione di Jacobi crea scalpore, in
quanto la filosofia di Spinoza era ritenuta all’epoca come una esplicita
forma di ateismo o, per lo meno, veniva interpretata come una
filosofia
che
rivelazione.
negava
in
modo
L’affermazione
incontrovertibile
compiuta
da
il
Jacobi
valore
della
provoca
di
conseguenza una forte reazione in tutti quei filosofi che intendono
conciliare
una
visione
religiosa
della
realtà
con
la
filosofia
razionalistica di Leibniz e di Wolff; tra l’altro, a peggiorare la
situazione contribuisce il fatto che lo stesso Lessing era celebre agli
occhi del grande pubblico per la propria avversione nei confronti della
filosofia di Spinoza.
71
Nel successivo dibattito che segue a questo polemico inizio, Jacobi si
schiera apertamente contro la filosofia di Spinoza, finendo col
sostenere,
nelle
Lettere
sulla
filosofia
di
Spinoza
(1785),
che
lo
spinozismo è ateismo così come la scuola leibnizio-wolfiana è fatalista,
essendo di fatto riducibile ai principi del pensiero dello stesso
Spinoza. Il senso della polemica di Jacobi è pertanto chiaro, dal
momento che, dal suo punto di vista, ogni sforzo del pensiero
filosofico razionalista non può che condurre al determinismo, ossia
alla negazione della libertà dell’uomo.
La reazione alle tesi di Jacobi è molto dura, la sua condanna del
razionalismo, implicato dal pensiero filosofico di Spinoza, suscita
infatti una forte polemica in chiave opposta; dal momento che gli
stessi esponenti dello Sturm und Drang, tra i quali figuravano Geothe e
Herder, riprendono il concetto spinoziano di immanenza di tutte le
cose
in
Dio,
rovesciandolo
però
da
un
piano
razionalistico-
deterministico, per leggerlo poi nei termini di un illuminato flusso
della vita. La verità, la vita interiore e la stessa esistenza, secondo
Herder, possono essere pensate a partire dal loro manifestarsi
attraverso le singole cose, in quanto modificazioni dell’esistenza
suprema, intesa, a sua volta, come l’unica realtà effettivamente
esistente, la quale non è tuttavia da leggere in termini esclusivamente
razionali ed astratti, dal momento che indica invece l’infinita ed eterna
72
radice dell’albero stesso della vita. La riduzione dell’essere infinito
della vita a cosa, attraverso un modo vuoto ed astratto di considerare
il linguaggio, è quindi la ragione per cui Jacobi vede nel “Dio” di
Spinoza solo un vuoto nome che nasconde dietro di sé il sordo rumore
di un sistema meccanicistico-deterministico universale. La lettura in
chiave deterministica di Spinoza è quindi conseguenza di un errore di
prospettiva di chi interpreta la filosofia spinoziana a partire da un
proprio personale ateismo, giustificato per mezzo di una nozione
meccanica e deterministica dello stesso Dio.
L’accusa di Jacobi a Spinoza di non aver rispettato i caratteri
antropomorfici di Dio, oltre al fatto di averlo risolto nella serie
meccanica
delle
operazioni
da
lui
stesso
generate,
viene
paradossalmente del tutto accolta dai romantici e dagli idealisti, ma
non nella forma di un limite del pensiero spinoziano, bensì alla
stregua di una sua caratteristica del tutto positiva. I romantici,
tuttavia, si batteranno apertamente per una interpretazione della
filosofia spinoziana scevra dalle influenze determinate dai vecchi
paradigmi geometrizzanti della scuola cartesiana.
I motivi del dissenso di Jacobi nei confronti di Spinoza si radicano in
un profondo anti-intellettualismo filosofico, finendo così per difendere
i diritti dell’esperienza interiore nei confronti dell’illuminismo senza
per questo cedere, come già mostrato, alle posizioni estreme dello
73
Sturm und Drang. Jacobi vede tra l’altro l’insorgere di una nuova forma
di spinozismo, dal carattere esplicitamente nichilistico, nella nuova
filosofia idealistica, dove la libertà umana viene, in qualche modo
misconosciuta, attraverso il sovrapporsi della ragione alla vita. Le
ragioni
che
giustificano
l’avvicinarsi
al
nichilismo
di
istanze
idealistiche, sono, agli occhi di Jacobi, essenzialmente due, anche se
entrambe legate indissolubilmente tra loro: da una parte, infatti, si
realizza una ipertrofizzazione della coscienza, la quale, attraverso un
vero e proprio processo di assolutizzazione, rende poi possibile, in un
secondo
momento,
la
negazione
della
realtà.
Il
concetto
della
negazione, in particolare, si declina verso la negazione della stessa
esistenza della realtà, la quale trova il proprio fondamento nella
separazione radicale che viene così a cadere tra la coscienza e la realtà
del mondo e di Dio.
In questo modo è possibile comprendere il motivo per cui le critiche
aperte dall’anti-intellettualismo di Jacobi si leghino poi, ancora una
volta, al tema dell’ateismo, come accade nel 1798, con la disputa
sull’ateismo [Atheismusstreit]. All’origine di questa nuova disputa si
trovano un articolo di Fichte e uno scritto del kantiano Forberg. Il
saggio di Fichte, in particolare, dal titolo Sul fondamento della nostra
fede in un governo divino del mondo [Über den Grund unseres Glaubens an
eine göttlische Weltregierung] sostiene che Dio non è da intendere in
74
senso
antropomorfico
come
se
fosse
una
persona
di
natura
trascendente, ma, al contrario, come ordine morale del mondo. La
stesura dell’articolo costa a Fichte l’accusa di ateismo, il quale, invece,
di sedare la polemica, arriva a minacciare il governo stesso di lasciare
l’università di Jena, credendosi affiancato dai propri colleghi e da
buona parte degli studenti dell’università. La rigidità di Fichte gli
aliena l’appoggio di Geothe e di Schiller, cosa che lo porterà presto al
più totale isolamento e ad accettare le proprie dimissioni.
Lasciata Jena, Fichte si dirige a Berlino, dove rimane fino al 1805,
rielaborando intanto la propria Dottrina della scienza; d’altra parte la
disputa sull’ateismo lascia il proprio segno, oltre che sulla vita
accademica, sulla sua stessa filosofia; infatti, Fichte giunge a rivedere
il concetto di Dio, il quale
non era più soltanto ordine morale, ma
ordinans, principio attivo, che arriva poi ad identificare in modo del
tutto esplicito con la vita stessa. Durante il periodo berlinese Fichte
vede aumentare ancora il proprio isolamento, così come accrescono
costantemente anche gli attacchi diretti alla sua filosofia da parte sia
di filosofi che di scrittori: Bardili, Hegel, Nicolai, Reinhold, Schelling e
Jean Paul. Ad aggravare la situazione contribuisce ulteriormente il
fatto che Fichte perde l’appoggio anche del circolo romantico di
Berlino, dove viene ora apertamente attaccato da Schleiermacher. Il
distacco da Schelling, come già ricordato, avviene in questo stesso
75
periodo, segnando così il definitivo tramonto della filosofia di Fichte,
cominciato con una discussione che intendeva conciliare l’ordine
divino e morale del mondo con la liberta espressa dalla stessa capacità
umana di comprendere ed afferrare la vita.
La Clavis
Si è detto che il fenomeno del Nichilismo, così come emerge tra le
pagine di Jean Paul e dei suoi contemporanei, può constare di una
“pars destruens” di assoluta negazione e rifiuto dei valori tradizionali,
e di una “pars construens”, che porta alla già citata “autoesaltazione
dell'Io”.
Ciò che dobbiamo notare, in via preliminare, è il fatto che questi due
aspetti non possono essere pensati come isolati l'un l'altro, in quanto
costituiscono un circolo,per così dire, laddove l'uno è fondamento per
l'altro, e viceversa. L'autoesaltazione dell'Io risulta infatti essere la
condizione a partire da cui i valori tradizionali possono essere
transvalutati, depauperati della loro valenza originaria e dunque
annichilati: è questo stesso Io che opera questa negazione – negazione
che concerne tanto l'ambito morale quanto quello estetico. D'altro
canto, però, la condizione che consente all'Io di autoesaltarsi ed
ergersi a giudice supremo della natura, potendo negarla e ricrearla a
proprio piacimento attraverso le facoltà della fantasia e del genio
esasperate nel loro uso e nelle loro potenzialità, è proprio la perdita
76
dei valori: solo in un mondo in cui niente ha valore, ossia in cui i
valori tradizionali hanno perduto la loro forza e capacità di imporsi
come incontrovertibili, è possibile che l'Io esalti se stesso sino al punto
di immaginarsi come creatore della natura. Risulta evidente che i
riferimenti all'Io fichteano che in primo luogo pone se stesso e che, in
secondo luogo, oppone a sé un non-Io, non sono certo casuali, e che
pertanto il vero bersaglio polemico, sul piano filosofico, di Jean Paul
inizia a prendere le sembianze di Fichte, che verrà direttamente
attaccato in quel noto pamphlet detto Clavis fichtiana.
77
La Clavis fichtiana seu leibgeberiana 6 1 – come cita il titolo completo –
pensata come “Prima appendice comica” al romanzo Titan, iniziato tra
il 1798 e il 1800 ma pubblicato nel 1806, è stata progettata in due sole
settimane, nel dicembre del 1799, quale risultato dell'intenso dialogo
intrapreso in quegli anni con Jacobi e con Herder (nonché con lo stesso
Fichte, incontrato nel 1798 – ma sul rapporto con Fichte si veda il
paragrafo
successivo),
e
pubblicata
indipendentemente
prima
dell'uscita del romanzo, nel marzo del 1800. Questo scritto si inserisce
nella ben nota “polemica sull'ateismo” che, a cavallo tra il 1798 e il
61
Scrive S. Hesse a proposito della Clavis: “In der Clavis Fichtiana seu Leibgeberiana
unterzieht Jean Paul Fichtes Frühphilosophie einer facettenreichen Kritik. Seine
Einwände, die sich insbesondere gegen den transzendentalphilosophischen Ansatz
der Jenaer Wissenschaftslehre richten, beinhalten sowohl sprachkritische wie auch
epistemologische und moralphilosophische Überlegungen. In der Absicht, nicht nur
eine >>Widerlegung gegen Fichte<< abzufassen (SW III/3,263), sondern sich auch
>>über die Dinge der Zeit ganz aus[zu]lassen<< (ebd., 291), verknüpft Jean Paul seine
Fichte-Kritik zudem mit einer Kritik am Geist seiner Epoche, als dessen deutlichste
Manifestation ihm neben der Wissenschaftslehre die zeitgenössische Literatur gilt.
Mit den knappen poetologischen Anmerkungen, die er in seine im Mai 1800
erschienene Schrift einfließen lässt, antizipiert Jean Paul einen Teil jener Kritik, die er
vier Jahre später unter deutlicher Bezugnahme auf die Frühromantik in seiner
Vorschule der Ästhetik üben wird„ (S. H E S S E , “Mir (empirisch genommen) grauset vor
mir (absolut genommen). Zur philosophischen Kritik und poetologischen Reflexion in
Jean Pauls Clavis Fichtiana”, in Jahrbuch … der Jean-Paul-Gesellschaft, Weimar: Verlag
Hermann Böhlaus Nachfolger Weimar Erscheint jährlich. – Früher im Verl. Mühl,
Bayreuth. – 2005, p. 107).
78
1799, costringerà Fichte a lasciare la sua cattedra presso l'Università di
Jena.
Come è stato notato molto bene dai curatori dell'edizione italiana
nell'“Avvertenza” 6 2 , ci troviamo qui di fronte ad un testo molto denso
e complesso, data la sovrapposizione di diversi livelli, letterali e
62
Cfr. Eleonora de Conciliis e Hartmut Retzlaff, “Avvertenza per il lettore”, in Jean
Paul, Clavis Fichteana seu leibgeberiana, cit., p. 7 e ss. Per inquadrare il panorama cui
questo testo va riprodotto, riportiamo qui di seguito una parte di tale “Avvertenza”:
“Il testo s'inserice a pieno titolo nella famosa polemica sull'ateismo, che negli anni
179-99 travolse Fichte obbligandolo a lasciare l'insegnamento universitario a Jena.
Esso costituisce un bizzarro pendant della Lettera che Jacobi aveva inviato qualche
mese prima al filosofo in segno di solidarietà, ma anche di dissenso; ne rappresenta
un originalissimo 'doppio' narativo, in cui Jean Paul, se da un lato ricalca la posizione
teoretica di Jacobi, dall'altro prova i fuochi d'artificio della propria fantasia creativa
nell'aria rarefatta e seriosa della filosofia. In un'epoca di giganti come Goethe,
Schiller e Herder, nella quale le dispute si animavano, spesso violentemente,
attraverso la circolazione di epistole, recensioni e pamphlet, la Clavis si presenta come
un complicato ibrido filoofico-letterario, traboccante di dopi sensi, di invettive e
riferimenti alle vicende contemporanee, ma anche di un gusto tard-illumiistico per
l'enciclopedismo, i virtuosismi filologici ed i rimandi alla cultura classica. Lo stesso
titolo originario, Chiave per la visione del mondo di Fichte, cioè di Leibgeber , è modellato
sulla Clavis ciceroniana di J. A. Ernestis (1739), che una volta viene anche menzionata
nel testo. Per esso Jean Paul usa sempre l'articolo maschile (der Clavis), mentre la
forma femminile compare soltanto di sfuggita in un passo del Titan. La struttura della
Clavis e finanche il suo titolo presuppongono una continua sovrapposizione di realtà
storica
e
finzione
letteraria,
frutto
di
un
espediente
narrativo
tipicamente
jeanpauliano: l'Autore finge che il testo sia stato scritto da Heinrich Leibgeber, un
personaggio del suo precendente romanzo, il Siebenkäs (1797); si tratta di un alter ego,
di un doppio claudicante, estroverso ed ironico del protagonita (l'avvocato dei poveri
Firmian Siebenkäs, cioè Setteformaggi), che riapparirànel Titan – l'originalissimo
79
filosofici, e di diversi piani di lettura, nonché di sovrapposizioni tra la
realtà storica e la finzione letteraria. Lo scopo è per l'appunto quello
di tentare una critica all'impianto dell'Io trascendentale, così come è
stato elaborato da Fichte nella Dottrina della scienza.
romanzo cui Jean Paul lavora già nel 1799 – nelle vesti del satirico Schoppe. In
tedesco, Leibgeber significa datore-di-corpo; nel Siebenkäs, egli 'dona' la propria
identità al suo amico Setteformaggi, per aitarlo ad evadere da un matrimonio
malriuscito e a farsi un'altra vita. Schoppe è il nuovo nome che il protagonista
assume
nel
Titan,
dove
svolge
un'importante
funzione
nella
formazione
del
protagonista Albano, di cui è tutore. Nella versione definitiva, Schoppe impazzisce
per aver letto la Dottrina della scienza di Fichte, e muore dopo aver reincontrato il suo
vecchio amico Setteformaggi, protagonista del romanzo precedente. Dunque, quando
a Jean Paul venne l'idea di uno scritto polemico contro Fichte – un personaggio reale
– egli 'prese in prestito' la figura letteraria di Schoppe, che era in piena elaborazione
psicologica nel Titan; lo scrittore era infatti solito creare una sorta di continuità
narrativa tra i suoi romanzi, corredandoli di prefazioni e appendici in cui egli stesso
poteva
apparire
in
qualità
di
personaggio;
talvolta
questa
tecnica
veniva
sapientemente associata a quella della cornice o dell'incastro, per ottenere un effetto
di indistinzione tra piano letterario e piano storico reale. Anche nella Clavis, testo in
cui torna all''acetificio satirico' della sua prima giovinezza, Jean Paul adotta la mise
en abìme, portandola quasi all'esasperazione. L'identità Schoppe-Leibgeber viene
piegata a favore del secondo: Jean Paul si finge curatore dello scritto composto dal
misterioso ed errante personaggio; costui glielo avrebbe inviato già in preda alla
follia, dopo aver studiato il pensiero di Fichte a Jena. Jean Paul lo fa precedere da un
proprio, antifichtiano Prologo (sotto forma di lettera a Jacobi), e lo correda di un
Protektorium – una sorta di salvacondotto da esibire ai suoi amici per evitare di
passere per fichtiano –, nel quale inserisce, tra l'altro, una delirante lettera 'privata'
dello stesso Leibgeber, indirizzata all'Autore assieme al testo della Clavis; essa rivela
confusamente a Jean Paul, ce vi appare nelle vesti di amico e biografo di Leibgeber,
80
Scrive Eleonora De Conciliis nel saggio intitolato “Fichte e il suo
doppio:
Jean
Paul
critico
del
solipsismo”,
posto
in
appendice
all'edizione italiana della Clavis fichtiana seu leibgeberiana: “La Clavis
racconta di un filosofico sogno di onnipotenza che pian piano diventa
indistinguibile dalla realtà, ed infine incubo: ruotando intorno al
paradosso per cui la libertà assoluta si crea una resistenza all'agire
non nel pensiero, ma semplicemente nella lingua, essa apre con largo
anticipo
il
problema
dell'ambigua
simbolicità
del
linguaggio
trascendentale di Fichte. Non si può rimproverare a Jean Paul di aver
capito male il senso della terminologia fichtiana, perché questa è usata
da Fichte in modo da escludere ogni rapporto immediato tra
significante e significato: la riflessione instaura delle tautologie prive
di rinvio al reale, per poter fondare trascendentalmente la struttura
del reale medesimo; ma così facendo, l'idealismo rompe con la
prudenza kantiana ed inaugura un nuovo metodo – per metà narrativo
e per metà filosofico – di impiegare il linguaggio. Secondo Jean Paul,
l'ambiguità di questo metodo nasconde un circolo vizioso: nel concetto
l'occasione e le circostanze del suo smarrimento filosofico, che culmina nella
convinzione, da parte di Leibgeber, di essere egli stesso l'autore della Dottrina della
scienza, e dunque un nuovo doppio, questa volta di Fichte. Ma, trattandosi pur
sempre di un personaggio romanzesco dietro cui si cela l'identità di Jean Paul,
Leibgeber rinvia continuamente al suo creatore, che si pone così come l'autentico
doppio rovesciato del filosofo Di Rammenau” (Eleonora de Conciliis e Hartmut
Retzlaff, “Avvertenza per il lettore”, pp. 12-14, in Jean Paul, Clavis Fichteana seu
leibgeberiana, cit).
81
di produzione del mondo sensibile, che si verifica perché sia possibile
l'agire, Fichte avrebbe già presupposto linguisticamente l'agire stesso.
Ma la Dottrina della Scienza occulta questo circolo, quando fa un uso
arbitrario – simbolico – dei vaghi significati risuonanti nelle parole
'produrre'
e
'agire':
essa,
intendendo
fondare
teoreticamente
il
comportamento umano, ha scambiato la conoscenza (l'enunciazione
linguistica) per l'azione” 6 3 .
Dobbiamo anzitutto notare che questo testo, a carattere filosofico,
non può essere inteso come un vero e proprio trattato di filosofia: Jean
Paul riprende qui le terminologie e i modi di procedere tipici della
filosofia al fine di confutarli attraverso il potente mezzo dell'ironia; il
linguaggio filosofico viene qui deformato e ridicolizzato, ossia portato
ai suoi eccessi al fine di mostrarne l'inconsistenza 6 4 . A tal proposito
63
Eleonora de Conciliis, “Fichte e il suo doppio: Jean Paul critico del solipsismo”, pp.
119-120, in Jean Paul, Clavis Fichteana seu leibgeberiana, cit.
64
Sulla struttra del testo vedasi ad es. quanto scrive Sandra Hesse: “Der Text der
Clavis Fichtiana besteht aus drei Teilen. Der erste Teil ist mit Vorrede, der zweite mit
Protektorum für den Herausgeber und der dritte mit Clavis betitelt. Verbunden sind
diese Teile durch eine literarische Fiktion, die Jean Paul in der Vorrede und dem
Protektorium entwirft. Dort wird gleichsam die Geschichte eines Romanautors erzählt,
dem eine seiner Figuren unversehens al real gewordene Person gegenübertritt. Bei
diesem Romanautor handelt es sich um >Jean Paul<, also nicht um den historischen,
außerhalb seiner Werke existierenden Jean Paul, sondern um einen jener fiktionalen
Stellvertreter, die das Werk realen Jean Paul bevölkern. Im Protektorium berichtet
dieser >Jean Paul< nun, dass er, ohne selbst zur Feder gegriffen zu haben, von einer
82
scrive Eleonora De Conciliis: “Nella Clavis fichtiana seu leibgeberiana il
lettore cercherà invano quella filosofia seria o accademica, che Jean
Paul disprezzava cordialmente; egli voleva che il suo pamphlet
confutasse
l'idealismo
ridicolizzandolo:
nello
scherzo
doveva
nascondersi la verità. Una verità che, a dispetto di quanti sono stati
tentati di liquidare il testo come un cumulo di farneticazioni, indusse
Fichte a prenderlo sul serio ed a confrontarsi con il suo autore” 6 5 .
La filosofia accademica, rappresentata dall'idealismo fichtiano, non
viene qui confutata con le medesime armi dell'argomentazione, bensì
viene messa in ridicolo mostrando come un siffatto discorso, se
portato alle sue estreme conseguenze, possa apparire in una veste
ridicola che ne confuta i contenuti più di qualsiasi serrata critica
costruita su coerenti dimostrazioni logico-razionali. La Clavis non è
aus seinem Siebenkäs bakannten Gestalt, nämlich Leibgeber, einen Brief erhalten habe,
in dem ihn dieser bitte, einen seinem Schreiben beiliegenden Text zur Philosophie
Fichtes – die Clavis – herauszugeben. >Jean Paul< kommt dieser Bitte nach. Dabei setz
er sich allerdings über eine implizite Aufforderung Leibgebers hinweg. Dessen
Schreiben enthält nämlich eine weitere, wenngleich indirekte Bitte: die, dass >Jean
Paul< lediglich als Herausgeber und nicht etwa – aus Furcht vor Angriffen auf seine
Person, die er sich durch die Herausgeberscharf zuziehen könnte – auch als Lektor
und Kommentator der Clavis fungieren möge„ (S. H E S S E , “Mir (empirisch genommen)
grauset vor mir (absolut genommen). Zur philosophischen Kritik und poetologischen
Reflexion in Jean Pauls Clavis Fichtiana”, Jahrbuch …der Jean-Paul-Gesellschaft.Weimar: Verlag Hermann Böhlas Nachfolger Weimar Erscheint jährlich.- Früher im
Verl. Mühl, Bayreuth.- 2005, p. 114).
65
Eleonora de Conciliis, “Fichte e il suo doppio: Jean Paul critico del solipsismo”, p.
116, in Jean Paul, Clavis Fichteana seu leibgeberiana, cit.
83
dunque un trattato filosofico bensì un pamphlet satirico; scrive
Eleonora De Conciliis: “In filosofia, esattamente come in politica, la
satira si assume il compito di dissolvere le illusioni ideologiche; nella
Clavis, lo strumento con il quale Jean Paul sceglie di far andare,
secondo le sue stesse parole, in 'metastasi' il pensiero di Fichte, è il
linguaggio: attraverso l'uso virtuosistico della metafora, dell'ipotassi,
della digressione e della sospensione del discorso, la lingua tedesca gli
permette di creare una sorta di rizomatico rispecchiamento formale
dell'Io fichtiano, che ruota però attorno ad emozioni reali, a paradossi
empirici pieni di contenuto concreto. Se la filosofia trascendentale
fichtiana si autofonda nel puro pensiero e nella facoltà linguistica
coagulata intorno al deittico 'io', Jean Paul mostra il rovescio di tale
fondazione: davanti al lettore della Clavis si aprono le infinite
possibilità deliranti del linguaggio che dice 'io' e gli s mostra, come in
un caotico affresco, l'immagine capovolta dell'idealismo e delle sue
aspirazioni sistematiche. Attraverso la proliferazione incontrollata
della scrittura, Jean Paul persegue una sorta di scomposizione
dell'autocoscienza
fichtiana,
creando
una
Dottrina
della
Scienza
schizoide e in miniatura – una filosofia 'esplosa', nella quale l''Io' è
allo
stesso
tempo
assoluto,
empirico,
divisibile,
megalomane
e
desiderante. Vi si illustrano tutte le conseguenze della pretesa
fichtiana di fondare l'esistenza del mondo sull'Io, e di stabilire
84
contemporaneamente l'esistenza di una molteplicità di soggetti empirici.
Per mostrare quanto questa pretesa sia assurda, Jean Paul non si limita
a riprendere alcuni argomenti di Jacobi, ma si attiene al proprio
metodo satirico: invece di costruire un sistema, egli semplicemente ne
critica un altro, respingendo ciò che in esso non va. Jean Paul si sottrae
così alla seduzione di plausibilità tipica del sistema filosofico,
credendo che l'unica a poter pretendere di sedurre senza convincere
non sia la filosofia, ma la letteratura: in quanto la finzione letteraria è
anti-sistematica, egli la sceglie come alternativa alla filosofia; con essa,
e non con la ragione, combatte l'ateismo e lo scetticismo. E negli stessi
anni in cui il giovane Fichte si lasciava sedurre dal sistematico e
razionale Kant, in Jean Paul nasceva una sorta di venerazione per l'ex
stürmeriano Herder (del quale, peraltro, criticava lo spinozismo
panteistico ed ogni tentativo di compartimentazione specialistica del
sapere): da lui avrebbe mutuato lo spirito linguistico col quale
confutare il Grundsatz della Dottrina della Scienza” 6 6 .
Notiamo a margine che a queste considerazioni possono essere
ricollegate alcune riflessioni di Hartmut Retzlaff che, in un commento
al paragrafo centrale della Clavis, ossia il paragrafo 13, scrive: “Questo
rito della rappresentazione del linguaggio è stato definito come la fine
del pensiero classico. Fondamentalmente per il 'pensiero classico' era
66
Eleonora de Conciliis, “Fichte e il suo doppio: Jean Paul critico del solipsismo”, pp.
117-118, in Jean Paul, Clavis Fichteana seu leibgeberiana, cit.
85
l'ontologia nella quale il mondo è rappresentabile; tutta la discussione
settecentesca a proposito dell'origine delle lingue non abbandona
quest'assioma. Lo schema delle corrispondenze che regnava nel
pensiero classico' trova il suo parallelo nelle concezioni economiche
che consideravano il bisogno fisico e materiale, cioè il valore d'uso, il
riferimento assoluto per i valori di scambio. Foucault colloca il
passaggio dal valore d'uso al valore di scambio dal passaggio da Smith
a Ricardo, oppure, più genericamente, nel passaggio dal Settecento
all'Ottocento, quando le analogie 'classiche' vengono sostituite da
concetti riflessivi. Da allora in poi il pensiero filosofico non è più
congruente con il sapere pragmatico e con la sopravvivenza nel mondo
reale. Qui troviamo la costellazione storica in cui collocare la tanto
acida critica jeanpauliana al 'porre' della 'riflessione pura' di Fichte” 6 7 .
Anche
Adriano
Fabris
spende
alcune
parole
circa
la
critica
jeanpauliana dell'io fichtiano: “Se [...] l'io stesso, in quanto tale, risulta
in sé scisso, allora sostenere, fichtianamente, che 'Io è uguale a Io'
equivale ad affermare una stabilità che non può affatto essere
mantenuta.
Significa
rischiare,
in
altre
parole,
di
presentarsi
tragicamente esposti [...] davanti all'irrompere, che non tarderà a
verificarsi, del proprio 'doppio'. Un 'doppio' che [...] è indice del fatto
che esso [...] non è in grado di dominare, non soltanto le sue creature,
67
Hartmut Retzlaff, “Il paragrafo 13, visto da vicino”, pp. 139-140, in Jean Paul, Clavis
Fichteana seu leibgeberiana, cit.
86
ma neppure la sua propria identità. [...] L'io è, in se stesso, altro da sé,
ma [...] questo altro, nel contempo, si configura come sosia, immagine
dell'io: addirittura, a volte, come l'unica sua vera espressione. [...] Si
tratta di un processo che non conduce affatto, in ultimo, a un sicuro
possesso di sé, ad un'autoaffermazione dell'io, ma che nel sé, come in
uno specchio, vede rifrangersi l'altro, in mille modi e secondo mille
deformazioni. Gacché solo nell'altro risiede il fondamento autentico
dell'io. E tuttavia, proprio nel momento in cui [...] ci si accorge che
questa stessa alterità dell'io è insensata, e che tutto è vano, ecco che
l'io stesso appare vuoto, inutile, come uno specchio che nulla riflette.
Si compie così, in definitiva, una radicale correzione del fichtiano
'Primo principio assolutamente incondizionato' della Dottrina della
scienza del 1794/95: quello per cui l'io 'si pone nel mezzo del suo mero
essere ed è per mezzo del suo mero esser posto'. L'io, infatti, potrebbe
porre arbitrariamente anche il proprio annullamento. Come vien detto
nel Discorso del Cristo morto: 'Se ogni io è padre e creatore di se stesso,
perché non può essere anche il proprio angelo sterminatore?'” 6 8 .
Jean Paul vs. Fichte
Come abbiamo visto, Fichte risulta essere il vero bersaglio polemico,
a livello filosofico, del testo che abbiamo precedentemente preso in
68
A. Fabris, “Uno sguardo dal sogno. La rappresentazione del nichilismo in Jean
Paul”, in Jean Paul, Scritti sul nichilismo, cit., pp. 54, 55, 61.
87
esame: la Clavis fichtiana seu leibgeberiana 6 9 . Fichte rappresenta, per
Jean Paul, uno dei principali emblemi di quel fenomeno, detto
“nichilismo”, che porterebbe ad una distorsione degli elementi
originari e genuini di quel movimento, caratteristico dell'età moderna,
detto “romanticismo”. Entrambi sono frutti dell'epoca moderna, ed
entrambi si avvalgono delle medesime facoltà estetico-conoscitive, e in
particolare della fantasia (o immaginazione) e del genio. Il poeta
nichilista, potremmo dire, è un poeta romantico che ha perduto il
controllo di sé e delle proprie forze: dotato di una forza mostruosa, la
Einbildungkraft, egli non sa però controllarla e, al pari del sonno della
ragione, la veglia troppo prolungata della fantasia genera mostri.
69
Sandra Hesse mostra ad esempio la duplice lettura della Clavis attraverso cui Jean
Paul viene elaborando le sue critiche all'idealismo fichteano: “Die zweifache
Darstellung von Fichtes Philosophie als solipsistischer Theorie, die die Clavis bietet,
wurde von der Forschung allein in ihrer Valenz als ontologischer Solipsismus
wahrgenommen und dabei von den ältern Autoren häufig als Produkt eines
Mißverständnisses gewertet: die Haltung, die Jean Paul Fichte unterstelle, sei von
diesem keineswegs vertreten worden; als (ontologischer) Solipsismus stelle sich die
Wissenschaftslehre Jean Paul bloß deshalb dar, er das absolute Ich mit dem
empirischen Ich verwechsle und für ein ontologisches Prinzip halte, also die Rede
vom >Setzen< als Existenzstiftung fehlinterpretiere. Was hier Jean Paul, dem realen
Verfasser der Clavis, angelstet wird, ist jedoch zunächst einmal Leibgeber, dem
fiktiven Verfasser, in Rechung zu stellen„ (S. H E S S E , “Mir (empirisch genommen)
grauset vor mir (absolut genommen). Zur philosophischen Kritik und poetologischen
Reflexion in Jean Pauls Clavis Fichtiana”, Jahrbuch …der Jean-Paul-Gesellschaft.Weimar: Verlag Hermann Böhlas Nachfolger Weimar Erscheint jährlich.- Früher im
Verl. Mühl, Bayreuth.- 2005, p. 123).
88
Uno degli artefici di questo modo di pensare è, secondo Jean Paul,
colui che potremmo definire il vero padre del Romanticismo, come
esso viene oggi inteso, ossia Fichte. Egli rappresenta quel vaso di
Pandora che non può essere richiuso e che erompe con forza nel
mondo, riscrivendo in modo nuovo le categorie kantiane.
Se è vero che tutta la cultura romantica nasce come tentativo di
risposta a Fichte, di certo lo stesso Jean Paul non può essere escluso
dal novero di quanti, in modo più o meno polemico, si siano accostati
a quella novità assoluta costituita dalla Dottrina della scienza fichteana.
Proprio leggendo e commentando questo testo viene usato, in senso
proprio, il termine “nichilismo”, che Jean Paul è tra i primi ad
utilizzare in modo ricorrente e sistematico. Questo termine diviene
centrale nel dibattito filosofico con la polemica di Jacobi contro Fichte
del 1798-99, ovvero contro la filosofia trascendentale, accusata di
dissolvere il mondo in apparenza; in questa polemica intervennero
anche Wackenroder, Clemens Brentano, Von Kleist, e appunto Jean
Paul.
Il Nostro, nello stesso anno in cui aveva pubblicato il romanzo
Siebenkäs, contenente il “Discorso che Cristo morto tenne dall’alto
dell’universo sulla non esistenza di Dio”, ossia nel 1796, aveva avuto
modo di conoscere di persona Goethe, Schiller e soprattutto Herder,
col quale stringerà una forte amicizia. In quel periodo, in cui inizia a
89
scrivere
il
Titan
e
la
Clavis
fichtiana,
intraprende
una
serrata
corrispondenza con Jacobi, di cui condivide la religiosità antiidealistica. Pochi mesi dopo, ma prima dello scoppio della “polemica
sull'ateismo”, conosce Fichte a Jena e ha modo di discutere con lui
circa i contenuti della Dottrina della scienza. A seguito di questo
incontro, e stimolato dal dialogo con Jacobi e con Herder, scrive la
Clavis fichteana seu leibgeberiana, che vedrà la luce nel 1800.
Questo testo, come abbiamo cercato di illustrare, non intende
rispondere all'idealismo fichtiano criticandolo sul piano teorico, come
farà ad esempio Schelling, nel 1795, con la sua recensione negativa alla
Dottrina della scienza fichtiana intitolata Sulla possibilità di una forma
della filosofia in generale, né tanto meno elaborando un sistema
filosofico alternativo – si prenda ancora come esempio Schelling e il
suo Sistema dell'idealismo trascendentale. Jean Paul decide invece di
mostrare l'assurdità, e anche i rischi, di un sistema come quello di
Fichte cercando di portarlo alle sue estreme conseguenze, ossia
esagerandone
i
tratti
fondamentali
attraverso
la
potente
arma
dell'ironia. Secondo Jean Paul, l'idealismo fichtiano è sinonimo di
solipsismo, in quanto porta ad un distacco dalla realtà, e dunque, in
ultima analisi, di nichilismo 7 0 .
70
“Die Epochen-Kritik, die Jean Paul auf diese Weise in seiner Clavis Fichtiana
entfaltet, birgt nun insofern eine latente Selbstkritik, als der fiktionale >Jean Paul<
auf den realen Jean Paul verweist. Die Kritik, die Jean Paul in der Vorschule an seiner
eigen
Dichtung
übt,
indem
er
ihr
Affinität
90
zum
poetischen
Fichteanismus
Il nichilismo è dunque quel fenomeno che si manifesta in varie
forme: nella poesia, laddove il poeta pretenda di fare un uso
sconsiderato della propria fantasia illudendosi di poter prescindere da
ogni modello nel momento della creazione della propria opera;
nell'esperienza della vita di tutti i giorni, in cui è possibile esperire in
modo diretto la morte e, provando angoscia dinanzi ad essa, arrivare a
concepire il mondo nella propria vacuità, inutilità e assenza totale di
valori, a cominciare da Dio stesso che viene meno; nel solipsismo
idealistico, infine, in cui l'io schizoide e scisso pretende di essere
fondamento di se stesso e del mondo intiero, perdendo in tal modo
ogni contatto col mondo reale.
Leggiamo a questo proposito una bellissima pagina di Eleonora De
Conciliis, che molto bene si ricollega alle riflessioni che abbiamo
frühromantischer Prägung bescheinigt, präfiguriert er in der Clavis Fichtiana, indem
er seinem fiktionalem Stellvertreter als poetischen Fichteaner agieren lässt. Während
sein Alter ego mit der Kritik am potischen Fichteanismus eine Selbstkritik formuliert,
ohne
sich
dessen
bewusst
zu
sein,
gestaltet
Jean
Paul
seine
Kritik
an
der
Wissenschaftslehre und den Geist der Zeit in Form eines ausgeklügelten Textgefüges,
das den Blick auf seinem Autor zurücklenkt. So birgt die Auseinandersetzung mit
dem absoluten >>alles gebärende[n]<< Ich Fichtes eine Schöpfertum reflektiert – ganz
so, als klage dieser gemeinsam mit seinem Leibgeber: >>Mir (empirisch genommen)
grauset vor mir (absolut genommen)<<, vor dem in mir wohnenden grässlichen
Demogorgon.<< (I/3, 1049)„ (S. H E S S E , “Mir (empirisch genommen) grauset vor mir
(absolut genommen). Zur philosophischen Kritik und poetologischen Reflexion in
Jean Pauls Clavis Fichtiana”, Jahrbuch …der Jean-Paul-Gesellschaft.- Weimar: Verlag
Hermann Böhlas Nachfolger Weimar Erscheint jährlich.- Früher im Verl. Mühl,
Bayreuth.- 2005, p. 149).
91
condotto sin qui: “Il filosofo idealista perde il senso della realtà e
muore al mondo, poiché è isolato nella propria soggettività: egli è un
suicida. La reazione a ciò è lo spostamento della filosofia verso
l'estetica, dove il nesso centrale è quello fra soggetto e mondo:
soltanto l'estetica pone in relazione i diversi 'mondi' individuali che
popolano la realtà. La fantasia e la creazione artistica reggono in tal
modo alla disgregazione del soggetto; giocando con la molteplicità dei
linguaggi, esse rappresentano un mondo altro capace di arginare
ironicamente la minaccia del disgregamento: assecondandola, la
esorcizzano, mentre la pura ragione, chiusa nella fortezza dell'Io,
rischia di sprofondare nella follia. Per guadagnare l'infinità dell'Io,
Fichte finisce con perdere il mondo; ma perdendo l'oggetto, il soggetto
perde anche se stesso. Secondo Jean Paul, non è l'Io infinito a porre il
mondo, e neppure esso è costituito dalla morta materia: il mondo
esplode piuttosto dal nulla, e con il linguaggio lo si percorre per
divertimento, prima di ritornare al nulla; la ragione, inventando
mondi, coniuga l'immaginazione produttiva (Einbildungskraft) alla
facoltà dell'ingegno (Witz), che crea giocosamente l'oggetto letterario.
L'estetica jeanpauliana, a differenza di quella protoromantica, è in
questa prospettiva la vera madre dell'etica: soltanto l'arte è capace di
evitare l'arroccamento solipsistico dell'Io in se stesso, e di fornire
all'uomo quei mondi immaginari del desiderio, in cui vengono
92
incontrati gli altri esseri umani e rappresentate – senza negarle – le
parti conflittuali del proprio io. La realtà, linguisticamente percepita, è
il contro-veleno che ha da prendere il filosofo se vuole sfuggire al
suicidio,se vuole ottenere una sintesi immaginativa fra esterno ed
interno. Così Jean Paul riduce la differenza, pur sempre mantenuta da
Kant, tra filosofia ed arte (una differenza che nascondeva in effetti
un'alternativa, ed una coerente scelta kantiana a favore della filosofia);
l'artista non inventa sistemi, ma epopee, romanzi, dunque inventa in
senso artistico – crea nuove idee: l'arte non è una menzogna, ma uno
sforzo morale, e dunque una forma diversa di filosofia” 7 1 .
Questa parole confermano la tesi che abbiamo cercato di far
emergere nelle nostre pagine, ossia che il concetto di nichilismo goda
in ultima analisi di una genesi di tipo estetico. Questo concetto nasce
infatti proprio con Jean Paul, o comunque attorno a lui, tra quei
pensatori che in un modo o nell'altro hanno cercato di contrapporsi
all'idealismo fichtiano. Oggi, quando si parla di nichilismo, si pensa
subito
ad
una
categoria
ontologica,
ad
un
concetto
metafisico
elaborato sul piano teorico. La genesi del concetto di nichilismo va
invece ricondotta all'ambito estetico sia in senso storico che in senso
ideale. Sul piano storico, è facile mostrare – ed è ciò che abbiamo fatto
sin qui – che il termine “nichilismo”, e il dibattito intorno ad esso,
71
Eleonora de Conciliis, “Fichte e il suo doppio: Jean Paul critico del solipsismo”, pp.
134-135, in Jean Paul, Clavis Fichteana seu leibgeberiana, cit.
93
nascono proprio
nel settore della
critica
letteraria, ossia della
riflessione estetologica intorno allo statuto della poesia e delle altre
forme artistico-letterarie, che si sviluppa tra la fine del Settecento e gli
inizi dell'Ottocento, proprio tra le pagine jeanpauliane e tra quelle dei
suoi contemporanei. Sul piano delle idee, invece, abbiamo cercato di
mostrare che quello di nichilismo non è semplicemente un vuoto
concetto filosofico che risulti da un'elaborazione teorica all'interno di
un pensiero razionale e sistematico, bensì che esso si dà in prima
istanza come esperienza diretta: esso si colloca cioè sul piano della
sensibilità, e solo in un secondo momento può essere desunto
dall'intelletto per esser trasformato in una categoria concettuale.
Nichilismo è dunque, a detta di Jean Paul, anzitutto l'esperienza,
sentita e vissuta, della vacuità della vita resa vana dalla morte che
incombe ed angoscia: dalla morte propria, in quanto anticipata; dalla
morte altrui, in quanto esperita nella vita di tutti i giorni; dalla morte
di Dio, infine, che rappresenta, sul piano assiologico, la perdita di
valori tipica dell'epoca del nichilismo che in quegli anni sta venendo
alla luce. Nichilismo è, in secondo luogo, la conseguente assurda
pretesa dell'io, resosi consapevole della vanitas mundi, di poter
produrre da sé se stesso e il mondo. Nichilismo è, infine, in ambito
artistico, quella forma di poesia che crede di poter rinunciare alla
lezione degli antichi e all'approccio mimetico da loro elaborato,
94
avvalendosi della facoltà, tipicamente romantica, del genio, utilizzata
però non in modo equilibrato, bensì portata ai suoi eccessi. Lo scopo
di Jean Paul consiste dunque nel portare alla luce siffatte dinamiche,
mostrando come il pensiero di Fichte sia una delle manifestazioni
dell'approccio nichilistico dilagante, al fine di poter elaborare un
approccio estetico al mondo di tipo nuovo, che tenga insieme
l'insegnamento degli antichi e il progresso dei moderni, attraverso una
categoria estetica innovativa e potente, che sappia contrapporsi al
nichilismo e ai suoi esiti negativi: l'ironia.
L'analisi che Jean Paul conduce nella Vorschuele der Ästhetik, che noi
abbiamo seguito sino alla chiarificazione del concetto di poesia
moderno-romantica nei suoi rapporti con la poesia antica, con la
poesia materialistica e con la poesia nichilistica (su cui ci siamo
soffermati
maggiormente),
proseguirà
nel
prossimo
capitolo
evidenziando ulteriori tratti caratteristici dell'arte romantica rispetto a
quella antica, ravvisando nel concetto di “ironia” la cifra del genere
letterario “moderno” in contrapposizione a quello “classico”. Di qui la
necessità di studiare le nozioni di “ironia”, “ridicolo” o “comico”,
95
“umorismo” 7 2 , “arguzia” (o “motto di spirito”), ecc., laddove giocherà
un ruolo di primo piano il concetto di Witz.
72
A tal proposito bisogna citare un curioso riferimento che Jean Paul fa all'interno
della Propedeutica all'estetica, laddove parla del concetto di umorismo, che noi
affronteremo
nel
capitolo
successivo:
“Nell'umorismo
l'io
gode
di
un
risalto
parodistico, e questa peculiarità spinse 25 anni or sono molti autori ad omettere l'io
grammaticale per meglio evideziarlo mediante l'elllissi. Un autore migliore di loro lo
sostituì, parodiando la parodia, con dei tratti in grassetto che sottolineavano la
soppressione: parlo ancora del delizioso Musäus nei suoi Viaggi fisiognomici, questi
veritieri e pittoreschi viaggi i piacere del comus e del lettore. Ben presto, gli io defunti
risorsero in massa grazie all'aseità, all'egoità e al vocalismo egolatrico di Fichte”
(Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 135, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e
l'arguzia, cit., pag. 141).
96
P ARTE S ECONDA
L A “ POESIA
ROMANTICA ” IN
J EAN P AUL :
IL GENIO E L ' ARGUZIA
97
C A PITOL O T ERZO
L A “ POES IA
ROM ANTICA ”
L'essenza dell'età moderna, ovvero il periodo in cui Jean Paul scrive,
coincide, a suo dire, con il Romanticismo. Il punto consiste dunque nel
trovarne i tratti caratteristici, al fine di giungere ad una soddisfacente
definizione della poesia moderna, che altrimenti rischia di vacillare tra
i due estremi che già abbiamo visto all'opera: il materialismo e il
nichilismo.
Uno degli errori dell'età moderna consiste, secondo Jean Paul,
nell'esaltare oltremodo l'antichità a discapito della contemporaneità:
“Nessuna epoca è soddisfatta della propria epoca; ovvero, i giovani
idealizzano l'avvenire in rapporto al presente, ed i giovani attempati
in rapporto al passato. Riguardo la letteratura, pensiamo allo stesso
tempo come dei giovani e come degli anziani” 7 3 ; e ancora: “Abbiamo
73
”Keine Zeit ist mit der Zeit Zufrieden; das heißet, die Jünglinge halten die künftige
für idealer als die gegenwärtige, die Alten die vergangne. In Rücksicht der Literaur
denken wir wie Jünglinge und Greise zugleich. Da der Mensch für seine Liebe
dieselbe Einheit sucht, die er für seine Vernunft begehrt; so ist er so lange für oder
wider Völker parteiisch, als er ihre Unterschiede nicht unter einer höhern Einheit
auszugleichen weiß. – Daher mußte in England und noch mehr in Frankreich die
98
vantato la più alta potenza delle dottrine greche con soggetto dei ed
eroi. Tuttavia, bisogna sempre guardarsi dal sistemare l'anima di un
popolo in uno dei molteplici elementi che formano la sua vita, e di
credere che i frutti, che le uova di cui si nutre siano una fioritura, una
covata prossima a schiudersi” 7 4 . Non si tratta certo di disconoscere la
lezione degli antichi, ma semplicemente di ridimensionarla, al fine di
poter dare anche alla propria epoca il giusto peso.
Scrive Jean Paul: “Con una maggiore coscienza, reclamiamo una
migliore coscienza di noi stessi. – E infine (per nominare il cattivo
genio dell'arte), la poesia era un tempo oggetto del popolo, come il
popolo oggetto della poesia; al giorno d'oggi, si canta da una camera
di studio ad un'altra, che interessa di più i loro due occupanti. Per
divenire parziale, non c'è più nulla da aggiustare. Ma biogna che la
Vergleichung der Alten und Neuern allzeit entweder im Wider oder im Für parteiisch
werden. Der Deutsche, zumal im 19ten Jahrhundert, ist imstande, gegen alle Nationen
– seine eigne verkannte ausgenommen – unparteiisch zu sein.”, Jean Paul, Vorschule
der Ästhetik, cit., pag. 82.
74
Scrive Jean Paul: ”Wir priesen oben die Kraft der griechischen Götter- und Heroen-
Lehre. Nur aber manche man doch nie im vielgliederigen Leben eines Volks irgendein
Glied zur Seele und nicht nährende Früchte und Eier sogleich zu aufgehenden und
ausgebrüteten!
Ging
nicht
der
Zug
der
Götter-Schar
aus
Ägyptens
traurigen
Labyrinthen über Griechenlands helle Berge auf Roms sieben Hügel? Aber wo schlug
sie ihren poetischen Himmel auf als nur auf dem Helikon, auf dem Parnaß und an den
Quellen beider Berge? – Dasselbe gilt von der Heroen-Zeit, welche auch auf Ägypter,
Peruaner und fast alle Völker herüberglänzte, ohne doch in irgendeinem so wie im
griechischen einen poetischen Widerschein nachzulassen.”, Jean Paul, Vorschule der
Ästhetik, cit., pag. 84.
99
verità abbia colpito con tutta la sua franchezza! – A dire il vero, è
perfettamente vano fissare tutti i popoli – e di più le loro epoche – e,
per finire, i giochi di colore sempre mutevoli dei loro geni – cioè un
grande corpo vivente, dalle membra multiple, sempre diverse in
primavera, – ossia fissarli ad una coppia di larghe generalità (come la
poesia plastica e romantica, o oggettiva e soggettiva) come se li si
stesse inchiodando a due assi sulla croce; poiché, senza dubbio, questa
divisione è vera, tanto vera quanto la divisione analoga della natura in
linee diritte e linee curve (laddove quella curva, visto che è infinita, è
la poesia romantica), da cui la divisione in quantità e qualità; e tanto
giusta quanto la divisione che scinde tutta la musica tra quella in cui
domina l'armonia e quella in cui domina la melodia o, più brevemente,
in un regno della simultaneità e in uno della successione; è inoltre
tanto giusta quanto le distinzioni polarizzanti e vuote degli esteti
schellinghizzanti; ma la vita dinamica che ha da guadagnare da questa
atomistica arida? Ad esempio, anche la divisione di Schiller tra poesia
ingenua ('oggettiva' sarà più chiaro) e sentimentale (termine, questo,
che non esprime che un aspetto della soggettività moderna) risulta
altrettanto poco efficace nel designare e distinguere il diverso
romanticismo di uno Shakespeare o di un Petrarca, di un Ariosto o di
un Cervantes, ecc., e il termine 'ingenuo' risulta altrettanto inefficace
nel designare e distinguere l'oggettività diversa di un Omero, di un
100
Sofocle, di un Job o di un Cesare. Ogni popolo particolare, ed insieme
ad esso la sua epoca, si organizza in un clima di poesia, ed è molto
difficile estrarre, in vista di un sistema, la ricchezza diffusa di questa
organizzazione senza perciò dimenticare tante parti vitali rispetto a
quante ne vengono trattenute. Ciononostante, non si tratterà di
sopprimere la grande distinzione fra poesia greca e poesia romantica:
la scala continua degli animali non sopprime infatti la classificazione
per specie del loro regno” 7 5 .
Da queste ultime parole notiamo un aspetto essenziale nel pensiero
di Jean Paul, cui abbiamo già fatto cenno nel paragrafo precedente
mostrando che imitazione e immaginazione non sono due facoltà
eterogenee bensì due tonalità di una scala cromatica continua in cui i
colori si trasfigurano l'uno nell'altro: allo stessomodo, poesia antica e
poesia romantica non sono due compartimenti stagni, due settori
autonomi, eterogenei e privi di relazione l'uno con l'altro. La poesia
antica e quella moderna, in tutte le sue varianti, vanno pensate in
continuità tra di loro, laddove la seconda rappresenta uno sviluppo
della prima e non qualcosa di autonomo ed isolato: porre infatti delle
vuote
distinzioni
significa
depauperare
la
vita
della
propria
dinamicità e continuità, della propria forza inarrestabile, pretendendo
di scomporla in elementi fissi e statici, a mo' di atomi, che hanno senso
75
”[Wir] dringen mit mehr Selbstbewußtsein jetzo auf mehr Selbstbewußtsein.”, Jean
Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 85-86.
101
solo nelle scomposizioni e ricostruzioni degli scienziati ma che non
hanno piglio alcuno all'interno della fatticità e della motilità della
vita.
Ossia,
la
poesia
per
Jean
Paul
rappresenta
la
più
alta
manifestazione dello spirito di un popolo (abbiamo poc'anzi letto che
“ogni popolo particolare e la sua epoca si organizzano in un clima di
poesia”), ma lo spirito dei popoli si sviluppa storicamente, attraverso
gli influssi che un popolo recepisce da un altro e viceversa. La poesia
romantica non sarebbe dunque pensabile senza quella antica: esse si
trovano sì in continuità tra di loro, ma ciò non toglie che ciascuna
possa conservare le proprie differenze specifiche
Si tratta ora di giungere ad una determinazione dell'essenza della
poesia romantica; leggiamo le parole di Jean Paul con cui si apre il §
23: “L'origine il carattere di tutta la poesia moderna si deduce così
facilmente dal cristianesimo che potremmo anche chiamare la poesia
romantica 'poesia cristiana'” 7 6 . Leggiamo, attraverso le parole stesse di
Jean Paul, le motivazioni attraverso cui egli stesso giustifica questa
sua affermazione, che in quegli anni generò alcune polemiche 7 7 : “Tale
76
”Ursprung und Charakter der ganzen neuern Poesie lääßt sich so leicht aus dem
Christentume ableiten, daß man die romantische ebensogut die christliche nennen
könnte.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 93.
77
Si rende qui necessario un chiarimento: nella edizione precedente era il paragrafo
precedente che si apriva con le parole poc'anzi citate (secondo cui “l 'origine il
carattere di tutta la poesia moderna si deduce così facilmente dal cristianesimo che
potremmo anche chiamare la poesia romantica 'poesia cristiana” ), mentre, nella
versione definitiva, esso risulta preceduto da un paragrafo, il § 22, che si apre con le
102
ad un Supremo Giudizio, il Cristianesimo estirpa l'intiero mondo dei
sensi con tutte le sue seduzioni, lo riduce fino a non essere che il
debole rigonfiamento di una tomba, di un'orma di cielo, e mette al suo
posto un nuovo mondo di spiriti. La demonologia diviene la mitologia
propria del mondo dei corpi, e i diavoli tentatori andranno a
medesime parole, poste tra virgolette, al fine di spiegare tale frase preliminare, in
quanto era divenuta oggetto di critiche da parte di Boutewerk e soprattutto di Horn,
in quale aveva fatto notare che il rigetto cristiano della sensualità non può costituire
l'essenza della poesia romantica, in quanto quest'ultima, soprattutto in riferimento
agli sviluppi della “poesia meridionale”, si caratterizza al contrario per una
sensualità esacerbata (cfr. a tal proposito quanto scrive in nota il traduttore francese:
“C'est-à-dire Bouterwek et surtout F. Horn qui, dans sa critique du Cours, avait fait
observer que le rejet chrétien de la sensualité ne peut constituer l'essence de la poésie
romantique,
si
celle-ci,
en
particulier
à
l'époque
florissante
de
la
litérature
méridionale, se caractérise au contraire par une sensualité exacerbée” , Jean Paul,
Cours preparatoire d'Esthetique, cit., p. 91). A fronte di queste critiche, Jean Paul
introduce, nell'ultima edizione, un paragrafo (§ 22), che reca il titolo: “Essenza
dell'arte poetica romantica, differenze fra quella del sud e quella del nord”; qui egli
cerca appunto di dar ragione della propria affermazione, secondo cui la poesia
romantica può essere detta poesia cristiana, anche alla luce della distinzione tra
poetica romantica del sud (Italia e Spegna) e del nord. A tal proposito, basti notare
che la soluzione proposta da Jean Paul ripete la sua concezione secondo cui tra
imitazione e immaginazione, e tra poesia antica e poesia moderna, non vi sarebbe
discontinuità bensì continuità: le poesie del sud presentano tratti più difficilmente
riconducibili a quegli aspetti tipicamente cristiani che invece contraddistinguono la
poesia romantica del nord, e ciò sta ad indicare, ancora una volta, che sarebbe
ingenuo pretendere di parlare di un'unica specie di “poesia romantica”, laddove
questa, soprattutto in determinate aree geografiche e in precisi momenti storici, si è
sviluppata in modi diversi in quanto ha subito influssi di vario genere. Se la poesia
del nord può dunque, a pieno titolo, venir chiamata “poesia cristiana”, le poesie del
103
sistemarsi negli uomini e nelle statue degli dei; ogni presenza sulla
terra sarà svanita per un avvenire in cielo. Che cosa resta allora allo
spirito poetico, prima che il mondo esteriore sia crollato? – Questo
mondo interiore, nel quale l'altro crolla. Lo spirito discende in lui
stesso, discende nella sua notte e vive di spiriti. Ma come la finitezza
non concerne che i corpi, e come negli spiriti tutto è infinito o
inaccessibile, il regno dell'infinito si mette a fiorire nella poesia, sotto
le ceneri della finitezza. Angeli, diavoli, santi, fortunati, così come
l'Essere
infinito, non avevano nessuna carne
divina, né forma
corporale; così il mostruoso e l'incommensurabile aprivano i loro
abissi; al posto della gioia serena dei Greci, ora un'infinita nostalgia,
ora la beatitudine ineffabile, – la dannazione senza né fine né limiti –
nord, d'altro canto, conservano caratteristiche proprie del Cristianesimo, che sono
state però storicamente mediate e modificate per tramite di influssi orientali, ad
esempio, o pagani. (Per tali ragioni, è possibile – a detta di Jean Paul – classificare
anche la poesia orientale, e in particolare quella indiana, come poesia “romantica”
perché, pur non avendo relazioni con la religione cristiana, presenta molti più aspetti
in comune con la poesia romantica che non con quella antica). Scrive Jean Paul: “Va
da sé che il Cristianesimo, benché padre comune dei bambini romantici, deve
generare certi figli al sud, e certi altri al nord. Bisogna che in Italia, il cui clima la
rende simile alla Grecia, il romanticismo del sud, ad esempio in un Ariosto, abbia un
soffio più sereno, e s'involi e dilegui meno lontano dalla forma antica che ne fa, in
uno Shakespeare, il romanticismo del nord, come di nuovo, quello del sud, nella
scottante Spagna, prenda una figura differente e più arditamente orientale. La poesia
e il romanticismo del nord sono un'arpa eolia che traspone la poesia e il romanticismo
del nord, che risolve il clamore in accordo, ma una malinconia trema sulle sue corde,
e talora anche un dolore straziante” (Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 92).
104
la paura degli spiriti, che trama davanti ad essa stessa, – l'amore
esaltato e contemplativo – la rinuncia senza limiti, – la filosofia
platonica e neoplatonica. Nella vasta notte dell'infinito, l'uomo
provava più spesso la paura che la speranza. La paura è già più
potente e ricca della speranza [...], poiché la paura, ben più della
speranza, rende la fantasia feconda di immagini” 7 8 .
Due sono i tratti precipui che distinguono la poesia romantica da
quella antica: il genio, di cui già si è detto nel paragrafo precedente, e
l'ironia, e in particolare il Witz, che saranno oggetto di studio della
Seconda Parte del presente lavoro.
La poesia romantica – possiamo azzardare – consiste nella perfetta
sintesi tra la poesia nichilistica e quella materialistica. Entrambe
queste forme, caratteristiche dell'epoca moderna, non risultano infatti
per Jean Paul pienamente soddisfacenti per dare vita ad una forma
artistica equilibrata, scevra di contraddizioni interne e soprattutto
dotata di un nesso effettivo con la realtà, senza prevaricarla (come
accade nel caso della poesia nichilistica) e senza limitarsi a riprodurla
in una copia priva di utilità (come accade nel caso della poesia
materialistica).
In
sintesi,
l'epoca
moderna
risulta,
a
detta
di
Jean
Paul,
caratterizzata da tre forme di poesia: materialistica, nichilistica e
78
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 93-94.
105
romantica. La prima si limita ad emulare la metodologia estetologica
della
poesia
antica,
tra
l'altro
cogliendone
ed
esasperandone
unicamente l'aspetto riproduttivo; la seconda pretende invece di
saltare a piè pari la lezione degli antichi, avvalendosi unicamente
della facoltà del genio, inteso però come facoltà di creare ex nihilo.
L'equilibrio tra queste due forme artistiche è dato, secondo Jean Paul,
dalla
poesia
romantica,
che
sa
modulare
in
modo
coerente
e
consapevole la facoltà del genio, che ha il compito di imitare sì la
natura, bensì al fine di operare una riproduzione non banalmente
fedele al modello ma più ricca di esso, dando cioè vita ad una natura
di secondo livello, potremmo dire, ossia ad una sorta di natura
ulteriore, o virtuale, che ha preso spunto dalla natura in sé ma che da
essa si è discostata ed emancipata, seppur presupponendola. L'opera
del genio non consiste dunque nella creatio ex nihilo, che non potrebbe
che portare alla creazione di un mero nulla, ovvero a qualcosa di
totalmente irreale e distaccato dall'esperienza: tale ipotesi risulta,
nell'ottica di Jean Paul, del tutto insensata nonché autocontraddittoria,
dal momento che ogni volta che il genio o la fantasia si mettono
all'opera per creare qualcosa di nuovo, non possono mai prescindere
da un qualche materiale empirico o da una qualche forma data di cui
si è già fatta esperienza; ciò significa che, pur essendo possibile
fantasticare su qualcosa di inesistente come un cavallo alato, sarà pur
106
sempre necessario, al fine di costruire questa immagine, partire
dall'esperienza empirica di un cavallo e delle ali di un uccello per
poter dar vita a questa immagine. Ogni creazione artistica non può
dunque prescindere da un sostrato materiale (la natura), ma al tempo
stesso non assolverebbe al proprio compito qualora si limitasse a
riprodurre, con dovizia di particolari, il modello in questione: anche
questa operazione sarebbe infatti altrettanto assurda, per il fatto che la
copia di un modello è, nella sua essenza, già da sempre qualcosa di
altro dal modello stesso, non solo perché realizzata su un supporto
diverso (ad esempio sulla tela di un pittore o tra le pagine di un
romanzo), ma anzitutto per il fatto che il principium individutionis li
costringerà ad essere sempre altri l'uno rispetto all'altro, anche
laddove potessero raggiungere una somiglianza pressoché assoluta (si
pensi ad esempio ad un quadro che riproduce un altro quadro). Creatio
ex nihilo e mera riproduzione del reale sono dunque non solo inutili e
fini a se stesse, ma soprattutto impossibili, in quanto risultano in
ultima analisi in sé autocontraddittorie.
Secondo un'altra ottica, le quattro forme di poesia sin qui prese in
esame (materialistica, nichilistica, antica e romantica) possono essere
interpretate secondo una sorta di rapporto di proporzione del tipo: “la
poesia materialistica sta a quella antica, come quella nichilistica sta a
quella romantica”, laddove la poesia materialistica e quella nichilistica
107
sarebbero due forme difettive, derivate ed inautentiche rispetto alle
forme autentiche o genuine, date dalla poesia antica e da quella
romantica. Ovvero, Jean Paul ci sta qui mettendo di fronte ad una
sorta di fenomenologia delle forme poetiche, presentandocele nelle sue
manifestazioni originarie o comunque massimamente complete e
compiute, e anche nelle sue varianti difettive, laddove questo o
quell'aspetto è stato esasperato dando vita a forme artistiche di
discutibile valore, che vanno tuttavia prese in esame dal momento che
risultano ampiamente diffuse nell'epoca moderna. Ecco dunque che il
compito di una Vorschule der Ästhetik, di una propedeutica all'estetica
deve anzitutto consistere nel mostrare le forme artistiche più genuine,
sia al fine di costruire una teoria dell'arte che ne spieghi le dinamiche
più cogenti, ma anche al fine di – potremmo dire – “guidare la mano
dell'artista” (o, in questo caso, del poeta) indirizzandolo verso la
corretta struttura formale di una dinamica artistica e non verso le sue
variazioni perniciose ed infruttuose.
Una volta descritte le forme alterate della poesia antica e romantica,
che consistono rispettivamente nelle varianti moderne della poesia
materialistica e nichilistica, Jean Paul passa a tracciare i tratti salienti
della poesia antica al fine di descrivere, attraverso la facoltà del genio
ma anche attraverso le categorie del ridicolo, dell’umoristico e
108
dell’arguto, ciò che gli sta maggiormente a cuore, ossia la poesia
romantica, in cui consiste, a suo dire, la vera essenza dell'età moderna.
Genio e ironia nella poesia romantica
L’opera di Jean Paul è volta, in ultima istanza, a determinare,
attraverso una riflessione aperta sul campo dell’estetica, l’essenza
stessa del romanticismo, inteso come quel particolare movimento del
pensiero umano che cerca di andare oltre i modelli ereditati dalla
classicità, in quanto intende piuttosto rappresentare un nuovo volto
dell’essere al mondo da parte sia dell’uomo che dell’artista. Infatti, al
cambiare del mondo muta l’occhio stesso di chi vive e scruta le nuove
idee, le nuove speranze ed i bisogni fino a poco tempo prima taciuti e
nascosti nelle pieghe più profonde dell’anima della storia. L’irrompere
detonante della Rivoluzione francese (1789-1799) giustifica sul piano
della realtà effettuale ciò che il movimento romantico vuole esprimere
nel campo della cultura e dell’arte. La Rivoluzione compiuta in
Francia negli ultimi anni del Settecento rappresenta infatti, da questo
punto
di
vista,
la
cifra
della
natura
stessa
delle
pretese
di
rinnovamento incarnate dal romanticismo, destituendo in maniera
radicale leggi e abitudini secolari fondate nel principio di autorità e
109
nella tradizione ereditata fedelmente dal passato. L’umanità che esce
da questa esperienza si trova così di fronte ad inesplorate possibilità
di vita; nel campo della filosofia, in particolare, il pensiero romantico
attraversa, per mezzo di un nuovo modo di concepire della facoltà
dell’immaginazione, gli spazi della ragione dischiusi dalla filosofia
kantiana e fichtiana. Il romanticismo si presenta di conseguenza come
il pensiero di una frattura nata dallo scontrarsi tra istanze opposte,
quasi come se questa contraddizione non sia altro che la radice e la
linfa stessa della sua natura più profonda. Per questo motivo, tra
l’altro, può risultare particolarmente significativo introdurre la figura
di Jean Paul, riferendosi alla spaccatura costitutiva del movimento
romantico attraverso la querelle tra classicismo e romanticismo, o
meglio, usando la stessa immagine jeanpauliana, la disputa tra la
poesia degli antichi e la poesia dei moderni.
La distinzione - poesia degli antichi e poesia dei moderni - viene
ripresa, come è stato appena ricordato, dallo stesso Jean Paul, anche se
in modo più ricco e articolato di quanto lo potrebbe essere la semplice
opposizione binaria su cui, a livello semplicemente introduttivo, si è
fatto riferimento sinora.
110
La poesia antica rappresenta, per prima cosa, quella particolare
forma di arte dove il poeta imita la natura. L’operazione compiuta
attraverso l’esercizio di questa mimesis non è però da intendere come
un atto rivolto indistintamente alla natura tout court; l’artista – in
particolare l’artista greco – volge il proprio sguardo in direzione di
quegli aspetti della natura capaci di rappresentare in modo esemplare
quella bellezza che attraversa, anche se modulata in diversi gradi di
intensità, la vita stessa dell’uomo. Il bello, infatti, incarna per il
popolo greco una realtà che si muove ben oltre il semplice ambito
dell’arte, finendo così col pervadere ogni aspetto del reale. Tuttavia,
come già ricordato, la bellezza può esser celebrata solo per mezzo
dell’esercizio di una mimesis rivolta agli aspetti ritenuti degni di esser
rappresentati in virtù della loro stessa dignità e nobiltà. Lo sguardo
dell’artista implica pertanto una selezione critica di quella parte di
mondo che deve venir imitata dall’arte; ma, proprio per questa
ragione, l’atto mimetico presuppone quindi necessariamente il mondo
della natura come suo modello di riferimento – l’arte greca è di
conseguenza ritenuta arte oggettiva e plastica, radicandosi così in una
immagine della bellezza segnata dai caratteri, resi celebri dalla lettura
111
compiuta da Winckelmann, di quiete, di nobiltà, di semplicità e di
grandezza.
La poesia moderna, invece, rigetta il modello greco classico,
sostituendo il concetto di mimesis della natura con quello di genio,
dove l’imitazione si compenetra con l’aspetto originale incarnato dalla
creazione di una nuova natura. Tale frattura nei confronti dei modelli
offerti dal passato non porta tuttavia ad una definizione, oltre che ad
una
realizzazione,
monolitica
ed
unidirezionale
di
quello
che
rappresenta in effetti la poesia moderna, la quale, in ragione della
propria costitutiva complessità, risulta attraversata da tensioni e da
tendenze scaturite da opposte sfere di senso. La poesia moderna,
intesa come poesia romantica, riposa quindi su una doppia polarità
espressa da tendenze contrarie – la riproduzione del mondo naturale e
la creazione di una nuova natura per mezzo della facoltà del genio.
Ogni volta che l’equilibrio tra queste dimensioni opposte si spezza, il
peso dell’agire poetico giunge a concentrarsi su un aspetto particolare
della relazione, perdendo così di vista l’altro. La poesia moderna, per
questa ragione, può dar luogo a tre distinte forme di arte – la poesia
romantica propria mente detta che, come già ricordato, unisce
112
imitazione e genio; la poesia materialistica e la poesia nichilistica. A
partire
dal
quadro
teorico
appena
delineato
risulta
in
modo
pienamente esplicito che, secondo Jean Paul, la poesia romantica
presenta una completezza ed un valore intrinseco maggiore rispetto
alle altre due forme di poesia.
La poesia materialistica, da parte sua, intende rifarsi esplicitamente
all’arte degli antichi, ma, travisando il concetto greco di mimesis, cade
nel semplice atto del ricopiare la natura tale e quale nel modo in cui si
presenta
di
fatto
allo
sguardo.
L’imitazione
della
natura,
pur
incarnando, secondo Jean Paul, un aspetto imprescindibile della
poesia, non deve cristallizzare l’arte in forme rigide e prive di vita;
l’arte materialistica esaspera il valore della mimesis fino allo svuotarla
del tutto di senso. D’altra parte, un eccesso del tutto identico, si trova,
oltre che nella poesia materialistica, nella stessa poesia nichilistica,
anche se di segno rovesciato.
La poesia nichilistica, infatti, si realizza a partire dalla pretesa di
poter fare a meno dell’imitazione per mezzo dell’esercizio sfrenato
della fantasia, la quale si traduce nell’annullamento del mondo
attraverso il realizzarsi del proprio gioco senza regole. La facoltà della
113
fantasia, che gli antichi riconducevano alle regole della mimesis, viene
invece dilatata ed esasperata dalla poesia nichilistica fino a cancellare
la realtà stessa di quel mondo naturale che prima svolgeva il ruolo di
modello imprescindibile dell’arte. L’atto di superamento del mondo
naturale è realizzato quindi attraverso una fantasia che, seguendo
ormai una facoltà del genio priva di regole, viene ampliata al punto da
cadere nell’arbitrio più grande rappresentato della creazione ex nihilo.
La facoltà del genio, perdendo il contatto con la norma, svuota di
significato la propria caratteristica capacità creativa, dal momento che
si riduce a facoltà sregolata capace esclusivamente di assecondare i
sogni e le fantasticherie di un io ormai reso solo come l’immagine
megalomane ed eslege di se stesso.
Il mondo, o meglio il non-mondo, dischiuso dal nichilismo della
poesia trova la propria ripetizione e giustificazione teorica nella
filosofia fichtiana, in cui, a partire dalla scissione insanabile tra
l’umanità e la natura, espressa dall’opposizione tra Io e non-Io, si
gettano le basi proprio per quella ipertrofica soggettività capace di
creare da sé - ex nihilo - l’intero mondo. Tuttavia, secondo il pensiero
di Jean Paul, la posizione nichilistica comporta la dissoluzione di ogni
114
possibile ordine morale, dal momento che viene meno un qualsiasi
principio di ordine e di armonia; da questo punto di vista l’arte stessa,
oltre alla morale, non è più capace di offrire modelli, in quanto sembra
trovare
il
proprio
luogo
solo
nella
trasgressione
che
viola
costantemente la regola – temi questi, in particolare quello della
“perdita di valori”, che sono trattati da Jean Paul già nelle prime righe
della Vorschule der Ästhetik. Il nichilismo conduce di conseguenza,
sulla scia di quanto già affermato in precedenza, l’uomo all’ateismo,
incarnando così quella stessa “morte di Dio”, di cui Jean Paul parla nel
“Discorso del Cristo morto” proprio con l’intenzione di dare vita ad
una effettiva rappresentazione della visione atea dell’esistenza.
L’unica possibile via d’uscita dalla contraddizione, rappresentata
dall’opporsi della poesia materialistica rispetto alla poesia nichilistica,
è la poesia romantica, la quale cerca di mediare la contraddizione
presente
nei
due
poli
opposti
–
materialismo-nichilismo
-,
conducendoli all’ordine attraverso quella che si potrebbe definire
come una sorta di doppia correzione reciproca; dal momento che tanto
la poesia materialistica richiede, secondo Jean Paul, di esser mediata
da quella nichilistica, al fine di poter guadagnare un reale equilibrio
115
interno, quanto la stessa poesia nichilistica necessita di esser mitigata,
in quella che risulta essere la propria straripante spinta creatrice, dalla
prospettiva rappresentata dalla poesia materialistica.
La
poesia
romantica
poggia
le
proprie
basi
sulla
facoltà
dell’immaginazione, la quale, a differenza della fantasia utilizzata dai
poeti nichilistici, presuppone necessariamente il riferimento ad una
regola con la quale rapportarsi alla natura, poiché la natura stessa è un
qualcosa di presupposto che non può esser annullato come nel caso,
appunto, della poesia nichilistica, in virtù del riferimento ad una
vuota ed annichilente potenza creatrice. La libertà dell’immaginazione
non si identifica quindi con l’esercizio di una libertà assoluta, ma, al
contrario, implica l’appoggio del genio, inteso come quella capacità in
grado di portare, attraverso la realizzazione di uno sguardo olistico ed
innovatore sull’esistenza, una nuova intuizione del mondo e della vita.
Il genio, a partire dalla stessa natura, trova pertanto la forza di creare,
per mezzo del proprio agire, un qualcosa di mai visto prima, essendo
capace di racchiudere in sé la potenza di una nuova visione del
mondo.
116
Il genio romantico incarna di conseguenza, in virtù della propria
originale, anche se sottoposta a regola, forza creatrice, l’essenza stessa
del romanticismo. Tuttavia, il solo riferimento alla facoltà del genio
non è sufficiente a comprendere il movimento di idee, oltre che il
cambiamento di prospettiva, rappresentato dalla stagione romantica,
dal momento che la cifra stessa del romanticismo e della sua capacità
di creare nuovi modi di intuire la vita e il mondo è rappresentato dal
concetto di ironia. Da questo punto di vista l’ironia indica senz’altro
una delle più potenti ed efficaci alternative nei riguardi della poesia
nichilistica, in quanto incarna quella capacità concreta e positiva di
leggere, oltre che di riconoscere, tutti quei nessi nascosti tra le pieghe
più sottili della realtà. Detto in altri termini, è l’esercizio attivo
dell’ironia che permette all’uomo di armonizzare le fratture di senso
che si inscrivono nella propria particolare esperienza della vita e del
mondo.
L’importanza e la centralità dell’ironia è rispecchiata, d’altra parte,
dall’interesse
che
Jean
Paul
manifesta
per
questo
concetto,
sottoponendolo ad uno studio attento e meticoloso, al fine di
mostrarne le differenti stratificazioni di senso sottese alla sua stessa
117
variegata fenomenologia. L’ironia, infatti, non incarna un fenomeno
semplice ed elementare, che può esser visto come espressione di una
realtà monolitica e pacificata in se stessa; dal momento che questo
concetto sottende al proprio interno una ulteriore ramificazione che si
dirige in direzione di quelli che possono essere letti come i tre
principali tipi di ironia – il comico, l’umorismo e l’arguzia.
118
C A PITOL O Q U ARTO
I L G E NIO
4.1. Arte e bellezza nell’estetica romantica
Per approcciare il concetto di genio nell'opera di Jean Paul è
necessario, in via preliminare, sottolineare alcuni aspetti connessi alla
nozione di bellezza e alla sua relazione con l'arte romantica.
Il concetto di bellezza presenta una grande varietà di significati
diversi tra loro - l’interessante, il piacevole, l’utile legato alla nozione
di scopo, il divino, il vero, il buono. Uno dei paradigmi di bellezza che
hanno maggiormente influenzato l’estetica è stato comunque quello di
origine platonica, il quale lega il concetto di bello all’idea di bene,
delineandolo così attraverso il riferimento eslicito all’unità e alla
forma.
Nella filosofia di Plotino la bellezza si vincola ancora al concetto di
forma, mentre il suo opposto, il brutto, a quello di mancanza di forma,
l’informe. D’altra parte, Agostino associa invece la bellezza al
riferimento all’unità. Al di là delle varie ripetizioni del paradigma
119
platonico, si trova la concezione aristotelica della bellezza, definita dai
caratteri di ordine, simmetria e perfezione – aspetto ripreso poi dal
pensiero stoico, latino e rinascimentale.
Per quanto riguarda invece il concetto di bellezza legato all’estetica,
attraverso il delinearsi di una vera e propria dottrina del bello, si può
parlare dell’introduzione del concetto di perfezione sensibile, come è
avvenuto
nel
caso
di
Baumgarten.
Secondo
questa
particolare
prospettiva teorica, la questione sul bello si distingue in due punti ben
determinati; il primo riguarda la rappresentazione sensibile intesa
come rappresentazione artistica, mentre il secondo insiste sulla
dimensione di piacere implicata dalla stessa attività estetica.
I due lati della questione sul bello appena presentati vengono poi
ripresi da Kant, per mezzo di una definizione che determina la
bellezza come oggetto di un piacere disinteressato, riassumendo così i
concetti chiave espressi sia dall’estetica razionalista che empirista.
Kant distingue poi la bellezza in “bellezza libera”, pulchritudo vaga, ed
in “bellezza aderente”, pulchritudo adhaerens. La bellezza libera si lega
a quella del bello naturale, in quanto non presuppone alcun concetto
che possa in qualche modo limitare la natura dell’oggetto in questione.
La bellezza aderente, invece, presuppone sia il concetto dell’oggetto
che quello dello scopo a cui l’oggetto implicato dall’oggetto stesso. Il
120
bello, con la lettura kantiana, diventa inoltre per la prima volta
autonomo nei confronti della sfera morale e gnoseologica.
Il romanticismo identificava l’arte con la bellezza, cosa che poi verrà
invece respinta in modo del tutto esplicito dall’estetica postidealista.
D’altra parte, la stessa identità tra arte e bello non rappresentava una
lettura semplice ed immediata di facile definizione. Nello stesso
romanticismo possiamo infatti riscontrare tre distinti significati della
relazione arte e bellezza. L’arte si avvicina, secondo Schiller, alla sfera
del gioco e della libertà; mentre Schelling lega invece l’esercizio
dell’arte alla facoltà creatrice del genio. Hegel identifica inoltre, a
differenza degli altri due autori, la bellezza con la verità.
Nella visione del mondo romantica è possibile trovare traccia di ciò
che è stato definito come estetismo, corrente di pensiero in cui i valori
estetici sono considerati come il culmine della stessa vita spirituale.
L’arte acquista, in questo modo, una valenza del tutto particolare, che
si traduce poi in un altro aspetto caratteristico del romanticismo - il
riconoscimento di un valore conoscitivo dell’arte, inteso come un
qualcosa di distinto sia dalla conoscenza scientifica che da quella
filosofica.
Nella
lettura
compiuta
da
Schelling
l’arte
è
invece
l’“organo” della stessa conoscenza metafisica, la quale è inscritta
nell’assoluto, inteso come luogo dell’identità tra finito ed infinito. La
bellezza si schiude pertanto nel manifestarsi dell’infinità nel finito
121
stesso. Hegel intende invece l’arte, al pari della religione e della
filosofia, come una delle manifestazioni più alte dell’assoluto, anche
se nella forma a-concettuale della rappresentazione.
4.2. Il genio come facoltà dell’intelletto
Il termine genio rappresenta una facoltà dell’intelletto fino alla fine
del XVII secolo. L’ingegno appartiene invece all’ambito della retorica,
legandosi all’appariscente e all’arguto e distinguendosi così sia
dall’intelletto che dalla ricerca della verità perseguita dalla dialettica
razionale. L’ingegno, tradotto anche nei termini di acutezza, da parte
di Baltasar Gracian, si identifica col concetto di creatività ed inventiva
artistica, oltre che di accortezza pratica in ambito morale. Lo sguardo
guidato dall’ingegno è capace di produrre quella particolare forma di
sguardo panoramico e immediato, reso dal concetto di discrezione e di
“tatto”. Nel suo senso più proprio, quindi, il termine ingegno, reso in
francese dall’espressione esprit, identifica una facoltà umana legata
alla capacità inventiva propria del campo dell’arte, dando luogo una
lunga serie di termini sinonimi tutti derivati dal latino genius, ricavato
dal verbo gigno: genero – inglese: genius; francese: génie; tedesco:
Genius.
122
4.3.
Il
genio
moderno:
espressione
dell’irrazionale
o
del
sovrarazionale
Il genio o ingegno fu da sempre riferito ad una capacità tecnicopratica di carattere prevalentemente intellettuale, anche se legata alla
sfera emotiva del sentimento o della fantasia. Dal Settecento, tuttavia,
il concetto di genio arriva ad identificarsi con una sorta di rivelazione
degli aspetti irrazionali o sovrarazionali appartenenti al mondo della
natura. Diderot dedica, ad esempio, al genio una delle voci della sua
Enciclopedia, mentre Kant lo definisce, all’interno della Critica del
Giudizio, come quella “disposizione innata dell’animo (ingenium) per
mezzo della quale la natura dà la regola all’arte”. Il genio, pertanto,
giunge così a legarsi profondamente col dono naturale di creare ciò di
cui non esiste alcuna regola - la creatività si sposa quindi con la libertà
e l’inventiva. Il fatto stesso di essere dotati del genio artistico non
comporta però la possibilità di saper spiegare il modo in cui è stato
possibile attingere alle proprie intuizioni. La natura soprannanturale
del genio è stata confermata anche da Hamann, che la rende con il
concetto
di
Urkraft,
forza
originaria,
la
quale
giunge
poi
ad
identificarsi con quella creatività naturale capace di alludere, quasi
come se fosse una sua nascosta manifestazione, al carattere più
proprio di Dio.
123
4.4. Il genio romantico
Il tema del genio e della genialità è poi ripercorso in modo del tutto
evidente nell’età romantica, dove il senso estetico legato al genio viene
ampliato in una maniera del tutto significativa ed originale; infatti, a
partire dall’esempio offerto da Fichte, si è realizzata la sua estensione
all’ambito religioso ed etico. La figura del genio implica pertanto, in
Fichte, la tensione verso il mondo spirituale, la quale cerca di
anticipare in qualche modo la perfezione futura che l’umanità sarà in
grado di conquistare con le proprie forze. D’altra parte, con Schelling
il genio diventa la sola facoltà in grado di cogliere l’assoluto
attraverso l’intuizione dell’infinito nel finito, racchiudendo così al
proprio interno la natura e lo spirito, così come l’inconsapevolezza
ingenua del naturale e la capacità, presente a se stessa, di creare
caratteristica dell’uomo. Nella filosofia di Schopenhauer il genio è
distinto in due forme differenti del modo di conoscere - il modo del
filosofo e quello dell’artista -, a cui si affiancano parallelamente le due
modalità pratiche dell’uomo morale e dell’asceta. Alla figura del genio
si accosta, ancora in Schopenhauer, il fenomeno della pazzia, tema che
poi avrà ancora un più ampio successo, nell’età positivistica, con
Lombroso, dove una alterazione dell’equilibrio fisico dell’uomo è letto
come la causa che il genio, la delinquenza e la pazzia hanno in
124
comune. Il genio viene poi normalmente spiegato da fenomeni
fisiologici, come accade ad esempio in Taine, provocando in tal modo
una reale demitizzazione di questa facoltà, i cui frutti sono di fatto
ricondotti, nella loro particolare natura di opere d’arte, ad aspetti
ambientali che rispecchiano la società in cui la capacità creativa stessa
si nutre ed è esercitata dall’artista.
4.5. La facoltà del genio nella Vorschule der Ästhetik
Ciò che caratterizza l'arte moderna, a differenza di quella antica, è,
secondo Jean Paul, la facoltà del genio, che cercheremo ora di
presentare. Anzitutto bisogna chiarire che il genio non può essere
inteso come un'unica facoltà 7 9 , bensì come una “armonia” 8 0 che
comprende in sé diverse facoltà: “Nel genio, tutte le facoltà sbocciano
nello stesso tempo; e l'immaginazione non è un fiore di questo buoquet,
ma essa è la dea dei fiori che assicura l'ordine dei calici dai quali i
pollini mescolati fanno schiudere nuove fioriture; essa è, per così dire,
la facoltà nella quale sono racchiuse tutte le altre” 8 1 .
79
”Der Glaube von instinkmäßiger Eikräftigkeit des Genies konnte nur durch die
Verwechslung
des
philosophischen
und
poetischen
mit
dem
Kunsttriebe
der
Virtuosen kommen und bleiben.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 55.
80
”Das Dasein dieser Harmonie und dieser Harmonistin begehren und verbürgen
zwei große Erscheinungen des Genius.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 56.
81
”Im Genius stehen alle Kräfte auf einmal in Blüte; und die Phantasie ist darin nocht
die Blume, sondern die Blumenkelche für neue Mischungen ordnet, gleichsam die
125
Già da subito notiamo lo stretto legame che intercorre tra la facoltà
del genio e quella dell'immaginazione o fantasia 8 2 : se l'estetica antica
ruota attorno al concetto di “imitazione” (“mimesis”), quella moderna
non può invece prescindere dall'“immaginazione”, o “fantasia”. Scrive
Jean Paul: “L'immaginazione [Einbildungskraft] è la prosa delle facoltà
delle immagini [Bildungskraft] o fantasia [Phantasie] 8 3 . Essa non è che
un ricordare più intenso e più alto in colori, che possiedono anche gli
animali, poiché arrivano a sognare e ad avere paura. Le sue immagini
non sono che turbinii di foglie staccate dal mondo reale; la febbre, la
Kraft voll Kräfte.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 56.
82
Spesso questi termini sono usati da Jean Paul come sinonimi: si veda ad esempio il
paragrafo 7 della Vorchule der Ästhetik, dove – già nel titolo – queste due nozioni
risultano interscambiabili; “Bildungskraft oder Phantasie”, cfr. Jean Paul, Vorschule
der Ästhetik, cit., pag. 47.
83
Si rende necessario qui un chiarimento terminologico: Jean Paul fa uso qui di tre
termini: Einbildungskraft (immaginazione), termine classico e tecnico volto ad indicare
la rappresentazione non percettiva; Bildungskraft (facoltà delle immagini), termine
raro, se non addirittura proprio di Jean Paul, che designa la facoltà di formare o
creare immagini; Phantasie (fantasia), uno delle nozioni-chiave del romanticismo,
volta ad indicare la grande immaginazione creatrice di finzioni. Per questa scelta di
traduzione, cfr. anche la scelta del traduttore francese: “JP use de trois termes:
Einbildungskraft, terme classique et technique pour la représentation non-perceptive;
Bildungskraft, terme rare sinon propre à JP, et qui désignerait plutôt la faculté de
former ou forger – ou créer – des images; Phantasie, und des maìîtresmots d
romantisme, la grande imagination créatrice de fictions. Nous traduisons comme
l'indique, dans l'ordre, notre phrase”, Jean Paul, Cours preparatoire d'Esthetique,
traduction et annotation de Anne-Marie Lang et Jean-Luc Nancy, L'Age d'Hommes,
Lausanne 1979, p. 57.
126
debolezza dei nervi, le bevande possono ingrassare e gonfiare queste
immagini al punto che esse passano dal mondo interiore a quello
esteriore, come solidificate, e vi prendono corpo“ 8 4 . E, nel paragrafo
successivo: ”Ma la fantasia, o facoltà delle immagini, è più alta: essa è
l'anima del mondo delle anime, e lo spirito elementare delle altre
facoltà; una grande fantasia può vedere il proprio corso scavato e
isolato secondo facoltà particolari, quelle del tratto dello spirito, per
esempio, o dell'acume, mentre nessuna di queste facoltà si lascia
ingrandire secondo le dimensioni della fantasia” 8 5 .
La fantasia va pensata alla stregua di una facoltà molteplice, che
consta di diversi gradi: da una sorta di grado zero, in cui essa è
meramente ricettiva, e che senza dubbio richiama l'immaginazione
riproduttiva di kantiana memoria, si giunge fino alla fantasia vera e
propria, intesa quale facoltà in grado di generare finzioni. Questo
modo di intendere la fantasia, ossia secondo un cromatismo di
84
”Einbildungskraft ist die Prose der Bildungskraft oder Phantasie. Sie ist nichts als
eine potenzierte hellfarbigere Erinnerung, welche auch die Tiere haben, weil sie
träumen und weil sie fürchten. Ihre Bilder sind nur zugeflogne Abblätterungen von
der wirklichen Welt; Fieber, Nervenschwäche, Getränke können diese Bilder so
verdicken und bleiben, daß sie aus der innern Welt in die äußere treten und darin zu
Leibern erstarren.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 47.
85
”Aber etwas Höheres ist die Phantasie oder Bildugskraft, sie ist die Welt-Seele der
Seele und der Elementargeist der übrigen Kräfte; darum kann eine große Phantasie
zwar in die Richtungen einzelner Kräfte, z. B. des Witztes, des Scharfsinns u. s. w.,
abgegraben und abgeleitet werden, aber keine dieser Kräfte lässet sich zur Phantasie
erweitern.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 47.
127
sfumature che trascolorano l'una nell'altra, è uno dei tratti più
significativi del pensiero estetologico di Jean Paul: in questo modo,
infatti, egli ci propone di non intendere l'imitazione e l'immaginazione
come due categorie eterogenee ed incompatibili l'una rispetto all'altra,
bensì come paradossalmente legate tra di loro quasi come se una fosse
lo
sviluppo
dell'altra.
Ossia,
l'imitazione,
che
riproduce
mimeticamente la natura, può configurarsi come una mera e banale
riproposizione di un contenuto dato (poesia materialistica), ma può
anche agire in modo selettivo, evidenziando alcuni aspetti della natura
a discapito di altri (poesia antica): qui ovviamente si vede già bene che
la mimesis e la fantasia ricettiva, o immaginazione riproduttiva,
rischiano di trascolorare l'una nell'altra. Questo processo astrattivo
può
affinarsi
sempre
di
più,
dando
luogo
alla
fantasia
(o
immaginazione) vera e propria, in cui consiste la più alta delle facoltà
che appartengono alla facoltà (o meta-facoltà, potremmo azzardare)
del genio (poesia romantica); facoltà, questa, che può essere esasperata,
sino a dar luogo ad una sorta di variazione negativa o difettiva,
laddove il genio o la fantasia pretendono di poter creare la propria
opera ex nihilo (poesia nichilistica).
A questo punto potremmo dunque affermare che la facoltà del genio
altro non sia che l'equilibrio tra l'imitazione e l'immaginazione, tra la
mimesis e la phantasia, ovvero che coincida con la fantasia nella sua
128
accezione più originaria ed equilibrata, e non distorta per difetto o per
eccesso; o, in altre parole, ripetendo l'espressione di Jean Paul che
abbiamo già citato all'inizio della nostra trattazione, la facoltà del
genio altro non deve essere che quella “bella imitazione” 8 6 , propria
della poesia romantica, volta ad imitare la natura realizzando una
copia che risulti più ricca del modello, laddove questo qualcosa in più
è per l'appunto il prodotto del genio, che crea una nuova natura, senza
avere però l'assurda pretesa di prescindere in toto da qualsivoglia
modello di partenza.
Scrive Jean Paul: “Il cuore del genio, al quale tutte le altre facoltà
non fanno che portare la loro luce e il loro aiuto, possiede e conferisce
un solo marchio autentico: una intuizione nuova del mondo o della
vita. Laddove il talento non espone che delle parti, il genio espone
tutto dell'esistenza” 8 7 . Scopo del genio è dunque quello di portare ad
86
Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., I Programm “Über die Poesie überhaupt”,
§ 1-5, pagg. 30-47.
87
Scrive a tal proposito Jean Paul: ”Das Herz des Genies. welchem alle andere Glanz-
und Hülf-Kräfte nur dienen, hat und gibt ein echtes Kennzeichen, nämlich neue Weltoder Lebens-Anschauung. Das Talent stellet nur Teile dar, das Genie das Ganze des
Lebens, bis sogar in einzelnen Sentenzen, welche bei Schakespeare häufig vor der Zeit
und Welt, bei Homer und andern Griechen von den Sterblichen, bei Schiller von dem
Leben sprechen. Die höhere Art der Welt-Anscheuung bleibt als das Feste und Ewige
im Autor und Menschen unverrückt, indes alle einzelnen Kräfte in den Ermattungen
des Lebens und der Zeit wechseln und sinken können; ja der Genius muß schon als
Kind die neue Welt mit andern Gefühlen als andere aufgenommen und daraus das
Gewebe der künftigen Blüten anders gesponnen haben, weil ohne den frühen
129
una “intuizione nuova del mondo o della vita”, ovvero, il suo tratto
distintivo consiste nell'elemento di novità che esso deve apportare
nell'atto della sua creazione: il genio opera cioè rifacendosi alla
natura, dando luogo ad una “bella imitazione” che, prediligendo
sapientamente alcune cose a discapito di altre, possa mettere in luce la
bellezza presente nel mondo naturale, al fine di dischiudere una nuova
intuizione del mondo e della vita.
Il genio, accanto all'ironia, è ciò che caratterizza la poesia romantica.
Unterschied kein gewachsenerdenkbar wäre. Eine Melodie geht durch alle Absätze
des Lebens-Liedes. Nur due äußere Form erschafft der Dichter in augenblicklicher
Anspannung; aber den Geist und Stoff trägt er durch ein halbes Leben, und in ihm ist
entweder jeder Gedanke Gedicht oder gar keiner.”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik,
cit., pag. 64.
130
C APITOLO Q UINTO
L' IRONIA
5.1. La nozione di ironia nella Vorschule der Ästhetik
La parte centrale della Vorschule der Ästhetik di Jean Paul prende in
esame la nozione di ironia in senso lato, operando una variegata e
dettagliata fenomenologia delle forme del ridicolo, mostrando come in
esse sia possibile rintracciare la cifra della poesia romantica, che si
distingue da quella antica proprio per il fatto di essere per essenza
una poesia umoristica, basata cioè sullo humor, ossia sul comico
romantico, e ancor di più sul concetto di Witz, che traduciamo qui, in
accordo col traduttore della versione italiana di questi capitoli della
Vorschule, con arguzia, ma che potrebbe essere reso anche con ingegno,
motto di spirito, ecc.
L'ironia è uno degli argomenti più trattati dagli autori romantici: basti
citare Schlegel, Solger, ma soprattutto lo stesso Jean Paul. “Per Hegel
(ma anche per il Kierkegaard di Sul concetto di ironia) l'ironia
romantica è la riduzione di ogni contenuto, di ogni serietà, all'arbitrio
del soggetto che, sentendosi, come accade in Fichte, origine di ogni
sapere, pensa di poter porre e annullare a piacimento ogni cosa: è una
131
genialità arbitraria, che dissolve tutto quel che ha valore, una fatuità
che gioca solo con se stessa e lascia perire ogni realtà. Ora, se si vuole
arrivare a cogliere il significato che l'ironia assume per i romantici, è
necessario lasciare da parte questa lettura hegeliana, che non solo fa
slittare
immediatamente
comprendere,
un
connotando
giudizio
il
di
valore
romanticismo
sulla
come
cosa
da
incapacità
di
affrontare la concretezza, come disperdimento nella vanità o nello
struggimento
sentimentale,
ma
isola
nell'ironia
il
solo
aspetto
dell'affermazione della soggettività, precludendo una comprensione
che tenga nel dovuto conto i molteplici aspetti e le diverse istanze che
nell'ironia trovano espressione [...]. Quando Fr. Schlegel comincia a
usare il termine 'ironia', negli scritti del 1797, egli intende distanziarsi
subito dall'accezione retorica, in base alla quale 'ironia' vuol dire
affermare una cosa intendendo in realtà l'opposto, utilizzare il
vocabolario dell'avversario per farne risultare l'inattendibilità, e per
rendere evidente questo distanziamento Schlegel oppone nel modo più
netto all'ironia retorica l'ironia di Socrate” 8 8 . Il concetto schlegeliano
di ironia si sposa con la pretesa dell’artista romantico di distaccarsi
dal mondo al fine di poter esercitare, attraverso una costante parodia
di se stessi, la propria libertà, la quale è realizzata con quel particolare
gusto per lo spiritoso e l’umorismo che rende possibile l’oggettività
della stessa opera d’arte. L’ironia, secondo le stesse parole di Schlegel,
non è altro che una “buffoneria trascendentale”, capace di superare le
opposizioni inscritte nell’idea kantiana in direzione di un inesausto
approssimarsi verso l’infinito, ripetendo in questo modo lo sforzo
88
Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo, cit., pag. 99.
132
stesso della filosofia idealistica di Fichte. Il realizzarsi dell’ironia
comporta il rispetto di almeno due condizioni a cui non è possibile in
alcun modo rinunciare: in prima istanza è necessario il presentarsi,
attraverso due termini di natura opposta, di un contrasto; mentre, in
seconda battuta, si manifesta l’assoluta libertà da parte del soggetto. Il
ritmo dell’ironia riprende, non a caso, i movimenti della filosofia
fichtiana, dove la stessa realtà del mondo, intesa sia in senso
conoscitivo che morale, trova le proprie radici nell’opposizione tra la
libertà e la costitutiva limitazione che segna l’io fin dalle sue più
profonde origini. L’ironia tocca poi anche l’ambito dell’estetica, senza
trovare però una reale soluzione che possa pacificare in modo assoluto
i termini opposti dell’antitesi in cui si inscrive il suo particolare spazio
di gioco; il compito dell’artista romantico non è infatti quello di
soffocare
la
contraddizione
in
un
equilibrio
armonico
di
tipo
schilleriano, ma, al contrario, deve rendere produttiva l’antitesi,
attraverso
l’esercizio
della
propria
immaginazione,
creando
di
continuo nuovi mondi come risposta al loro costante crollare su se
stessi e mostrando in questo modo l’insopprimibile libertà del
soggetto rispetto alla resistenza incarnata dalla natura del non-Io
ostile.
Quanto a Jean Paul, invece, vedremo che egli pone la questione in
termini diversi e probabilmente più radicali. Egli in primo luogo
esordisce con una disanima intorno al concetto di ridicolo, che non
può “piegarsi ad entrare nelle definizioni dei filosofi [...] perché la
sensazione che gli è peculiare assume tante forme quante sono le
133
deformità” 8 9 . La facoltà di ridere e quella di piangere da sempre sono
state associate all'essenza dell'uomo quali differenze specifiche che lo
contraddistinguono dagli animali da lui difformi, come emerge dalle
riflessioni della Poetica di Aristotele che Jean Paul richiama all'inizio
delle sue disquisizioni sul ridicolo: “l'antica definizione di Aristotele”,
scrive Jean Paul, “segue [...] la traiettoria giusta, pur se non giunge a
segno quando afferma che il ridicolo nasce da un'assurdità innocua.
Ma né l'assurdità innocua degli animali né quella dei pazzi è comica,
né sono comiche le più grandi assurdità di popoli interi” 9 0 . Jean Paul
esordisce dunque richiamandosi alla definizione di ridicolo offerta da
Aristotele, al fine di farla propria per poi criticarla e ampliarla nelle
pagine che seguono.
Il ridicolo e il sublime
Le considerazioni di Jean Paul dedicate al tema del ridicolo
prendono le mosse dal concetto opposto, determinando il quale sarà
possibile, per differenza, giungere ad una definizione soddisfacente
del ridicolo stesso; scrive Jean Paul: “Il miglior modo di scrutare una
sensazione è di interrogarla sul suo opposto. Qual è dunque il riflesso
inverso del ridicolo? Né il tragico, né il sentimentale [...]. Il nemico
89
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 102, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo
e l'arguzia. Arte e artificio del risto in una “Propedeutica all'estetica” del primo Ottocento ,
a cura di Eugenio Spedicato, Il Poligrafo, Padova 1994, pag. 113.
90
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 102-103, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 113.
134
giurato del sublime è il ridicolo” 9 1 . Il ridicolo viene dunque definito in
prima istanza come opposto al sublime, la definizione del quale viene
desunta da Kant e Schiller i quali, nell'interpretazione di Jean Paul,
sostengono che la sublimità ideale consiste “in un infinito, che i sensi
e la fantasia rinunciano a dare e a comprendere, mentre la ragione lo
crea e lo tiene saldamente. Ma il sublime,per esempio il mare o un'alta
catena montuosa, non può essere un'entità che i sensi non riescono a
concepire, poiché proprio i sensi abbracciano lo spazio nel quale quel
sublime è innanzitutto allogato [...]. Inoltre il sublime è sempre legato
a un segno sensibile (dentro o fuori di noi); ma sovente tale segno non
attinge né alle forze della fantasia né a quelle dei sensi [...]. Pertanto la
sublimità estetica dell'agire riposa sempre su un rapporto inverso con
l'importanza del segno sensibile, e solo il segno più piccolo è più
sublime [...]. Kant divide inoltre il sublime in matematico e dinamico,
o, secondo l'espressione di Schiller, in quel che supera la nostra forza
cognitiva e in quel che minacia la nostra forza vitale” 9 2 . A seguito di
queste considerazioni, Jean Paul arriva a definire, in modo sintetico, il
sublime come l'infinito applicato 9 3 .
91
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 104-105, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 115.
92
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 105-106, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 117.
93
Leggiamo a questo punto l'intero passo in cui Jean Paul espone questa definizione:
“Se mi è lecito definire il sublime come l' infinito applicato, s'instaura allora una
ripartizione quintuplice o anche triplice: il sublime applicato all'occhio (matematico o
ottico) – all'orecchio (dinamico o acustico) – la fantasia deve, a sua volta, dall'interno,
porre l'infinità in rapporto con la propria sensibilità quantitativa e qualitativa, in
135
Se il sublime, ossia il riflesso inverso del ridicolo, è il sentimento
dell'infinitamente grande, che risveglia l'ammirazione, il ridicolo sarà,
di contro, il sentimento dell'infinitamente piccolo, che suscita la
sensazione opposta 9 4 , che non riguarda però la sfera morale bensì
quella dell'intelletto: “Nel regno morale non esistono misure piccole,
rivolte alla vita interiore, la moralità genera stima, la nostra e l'altrui;
la sua assenza disprezzo;rivolta alla vita esteriore genera amore; la sua
quanto incommensurabilità e divinità – o poi vi è ancora la terza o quinta sublimità,
che si rivela proprio nel rapporto inverso con il sensibile e con il segno esterno e
interno: la sublimità etica o dell'azione. Come può, dunque, l'infinito essere applicato
proprio ad un oggetto sensibile, se quest'ultimo, come ho dimostrato, è più piccolo
delle ali dei sensi e della fantasia? Il prodigioso salto dal sensibile come segno al non
sensibile come significato – un salto che la fisiognomica e la patognomica devono
compiere ogni istante – solo la natura può offrircelo, non una qualche idea
intermediaria; per esempio tra l'espressione mimica dell'odio e l'odio stesso, o tra la
parola e l'idea, non vi è alcuna equivalenza. Tuttavia, occorre trovare le condizioni
nelle quali un certo oggetto sensibile piuttosto che un altro diventa segno spirituale.
Estensione e intensità sono ambedue necessarie all'orecchio; il suono del tuono deve
anche essere un suono prolungatgo. Dato che nell'intuizione noi non conosciamo altra
forza se non la nostra, e poiché la voce è in qualche modo la parola d'ordine della
vita, riusciamo a capir meglio perché sia proprio l'orecchio a designare il sublime
della forza.Non bisogna escludere del tutto un rapido paragonare i nostri suoni con i
suoni altrui. Persino il silenzio può diventare sublime, quello di un'aquila in volo
planato o quello del mare prima della tempesta o quando dopo il fulmine attendiamo
il tuono”, Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 106, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 117.
94
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 109, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo
e l'arguzia, cit., pag. 119, dove si legge: “All'infinitamente grande che risveglia
l'ammirazione, deve opporsi un infinitamente piccolo dello stesso tipo, che susciti il
sentimento opposto”.
136
assenza odio; il ridicolo è troppo debole per agitare il disprezzo,
troppo innocuo per generare l'odio. Non gli resta dunque che il regno
dell'intelletto,
e
di
questo
regno,
in
particolare,
la
provincia
dell'insensatezza. Ma perché l'intelletto desti un sentimento, occorre
che i sensi lo intuiscano in un'azione o in uno stato, il che è possibile
solo se l'azione rappresenta, in qualità di suo opposto, l'opinone
dell'intelletto e ne punisce le menzogne” 9 5 .
95
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 109 e s., tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 119; il passo prosegue con queste parole, che è il caso
di riportare: “Non siamo ancora al traguardo. Dato che nessun contenuto sensibile
può essere di per sé ridicolo – ovvero nulla di inanimato può esserlo, fuorché tramite
personificazione –, e parimenti nessun contenuto spirituale può di per sé diventar
tale – né il puro errore, né la pura irragionevolezza –, allora ci si chiede: quale
sensibile offre allo spirituale il suo specchio, e quale spirituale vi si riflette? Un
errore in sé e per sé non è ridicolo, come non lo è l'ignoranza, altrimenti i diversi
partiti religiosi e ceti non farebbero che deridersi a vicenda. Occorre infatti che
l'errore possa manifestarsi in uno sforzo, in un'azione. Così, quella manifestazione
d'idolatria la cui semplice descrizione ci lascia seri, ci apparirà ridicola se la vediamo
direttamente. Una persona che goda di buona salute, eppure sia convinta d'esser
malata, non ci parrà comica prima d'aver preso serie precauzioni contro la propria
malattia. Affinché la contraddizione possa toccare l'apice del comico, sforzo e
situazione devono essere ambedue intuibili. Anche in tal caso avremmo ancora
tuttavia,
semplicemente,
un
errore
finito
espresso
nell'intuizione
e
non
già
un'assurdità infinita. Non vi è infatti persona che possa agire in qualsivoglia
circostanza altrimenti ch in base alle proprie rappresentazioni. Quando Sancio, per
una notte intera, si tiene sospeso su una fossa poco profonda, perché suppone che un
abisso stia spalancato sotto di lui, il suo sforzo, data la suposizione, è pienamente
sensato, e anzi egli sarebbe un pazzo se ardisse di sfracellarsi. Perché. ciononostante,
ridiamo? Qui viene il punto decisivo: noi prestiamo al suo sforzo il nostro giudizio e il
nostro punto di vista, e da questa contraddizione generiamo l'infinita assurdità; e solo
137
5.1.1. Il comico
I tre volti dell’ironia si stagliano lungo un orizzonte estetico dove il
comico, permeato dalle caratteristiche della semplicità e dall’assenza
di complicazioni, rappresenta il primo punto d’approdo – il preludio
per poi poter andar oltre la dura terra dell’umorismo attraversato dal
dolore e dalla serietà 9 6 . Il comico è pervaso da una simpatia immediata
e di natura intellettuale, che, nell’umorismo, si rovescia invece in una
l'evidenza del'errore, offerta all'intuizione sensibile, permette alla nostra fantasia –
mediatrice anche qui come per il sublime tra interiore ed esteriore – di operare tale
trasposizione. Questo nostro autoinganno, che ci porta ad attribuire allo sforzo altrui
un sapere che lo contraddice, fa dello sforzo quel minimum dell'intelletto e
quell'insensatezza intuita che ci fanno ridere, sicché dunque il comico, come il
sublime, non dimora mai nell'oggetto, ma nel soggetto”.
96
Si vedano, a mo' di introduzione sul tema, queste parole di uno die maggiori
critici del pensiero di Jean Paul, Johannes Ast: “Auf das Gebiet seines eigensten
Wesens kam jedoch Jean Paul erst mit der Untersuchung über das Lächerliche und
den Humor. Bisher hatte er weit umherreichend das Gebiet seines Geistes und seines
Schicksals im ganzen Gefüge der Dichtung umschreiben, nun begann er von seiner
eigen Mitte her noch einmal nachzubilden, was in seinem Werte sich schon natürlich
enfaltet hatte. In reichen Kapiteln „Über den Epischen“, „Über die humoristische
Dichtkunst“, „Über den epischen, dramatischen und lyrischen Humor“ und „Über den
Witz“ zeigte Jean Paul mit einer Mahrhast wissenschaftlichen Fachkenntnis das
Gesetz des Komischen und erwies an ungemein treffenden Verweisen auf Sterne,
Swift, Pope, Voltaire, Rabelais, Cervantes, Aristophanes und fast alle sonstigen mehr
oder minder bedeutenden abendländischen Humoristen und Satiriker die Einheit des
Humors
im
Taufendfältigen„
(J.
AST,
Verlangsbuchhandlung, München 1925, p. 324).
138
Jean
Paul,
E.
H.
Beck’sche
simpatia
sofferta
e
segnata
dalla
ragione,
proprio
in
quanto,
nell’umorismo stesso, l’immediatezza che caratterizza il comico lascia
spazio ad una difficile e dolorosa mediazione. Il concetto di simpatia
espresso da Jean Paul che, come mostrato, si trova alle radici del
comico, attinge, secondo la lettura compiuta da Hörhammer 9 7 , alla
Teoria dei sentimenti morali di Adam Smith 9 8 , anche se argomenti affini
sono già presenti, in qualche modo, negli scritti di Hume, di
Hutcheson e di Shaftesbury. La simpatia viene intesa da Smith come
quella particolare facoltà che ci permette, senza abbandonare noi
stessi,
di
immedesimarci
con
gli
altri,
anche
se
l’atto
stesso
dell’immedesimazione non può mai trovare una conferma certa in chi
lo prova, in quanto il contatto con l’altro viene mosso paradossalmente
sempre restando nella sfera dell’io. Un secondo elemento essenziale
per il realizzarsi del comico è quello del contrasto; dal momento che
l’effetto comico, per prodursi, presuppone un inganno dell’intelletto,
capace di far stridere le diverse serie contrastanti di pensieri che, in
questo modo, vengono generate. Riprendendo ora gli stessi concetti da
un punto di vista più generale è possibile affermare che il comico,
attraversato dalla simpatia guidata dall’intelletto, arriva, per mezzo di
un inganno prodotto dell’intelletto stesso, a portare l’assurdo –
rappresentato dalle serie contrastanti di pensieri – all’armonia, intesa
come quell’equilibrio di senso che, con l’attuarsi del comico, rende
97
CFr. D. H Ö R H A M M E R , Die formation des literarischenn Humors. Ein psychoanalytischer
Beitrag zur bürgerlichen Subjektivität, Fink, 1984, München.
98
A. S M I T H , The Theory of Moral Sentiments. A new edition, con una pref. dell’autore,
Basil, J.J. Tourneisen, 1793, vol. I, p. 7.
139
possibile la libertà dell’intelletto. Tale libertà può realizzarsi in quanto
l’intelletto non è più costretto a scegliere una serie di pensieri in
opposizione a tutte la altre, ma è appunto
kantianamente libero,
secondo il principio di disinteresse, di giocare, attraverso una
consapevole illusione, con i propri pensieri, conducendo così il
contrasto in direzione dell’armonia.
Il termine “comico” deriva dal greco kòmos, che indica la processione
bacchica e che dà in seguto il nome alla commedia e al genere comico
per l'appunto. Nella terminologia di Jean Paul la nozione di “ridicolo”
e quella di “comico” sono sovrapponibili; se il primo indica però un
ambito più generico, il secondo viene più spesso usato, nella Vorschule
der Ästhetik, in riferimento alla poesia romantica (Jean Paul usa infatti
l'espressione “comico romantico”), ossia come specificazione del
genere del ridicolo, cui pertengono anche la satira, l'umorismo, l'ironia
(in senso stretto) e il capriccio, che da esso si distinguono.
“Il comico”, scrive Jean Paul, “come il sublime, non dimora mai
nell'oggetto, ma nel soggetto” 9 9 : una stessa situazione, spiega Jean
Paul, può infatti generare o meno in noi il nostro riso a seconda che
noi siamo più o meno in grado di comprendere tale situazione 1 0 0 . Il
99
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 110, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo
e l'arguzia, cit., pag. 120.
100
“Das Lächerliche ist für Jean Paul die Umkehrung des Erhabenen, d. h. auf sein
eigenes Leben angewandt: er, der absolut Ernste, wie er es als Kind, als Knabe und
selbst nach Jüngling war, während er schon Satiren schreib, der auch später (wie
erstaunende Berichte immer wieder anzeigen) in seiner Rede einfach und gemütvoll,
geistig und warm, aber selten Zopferscheinung selbst den Gegenfa ß des reinen
140
soggetto, infatti, riconoscendo un errore con rapidità attraverso
l'intuizione sensibile, può ridere dinanzi a ciò che è infinitamente
piccolo. Ciò, come si è detto, accade sotto l'egida dell'intelletto, il
quale, per generare il ridicolo e dunque il riso, deve destare un
sentimento, ed è necessario che i sensi lo intuiscano in un'azione che
rappresenti il proposito dell'intelletto o il suo opposto, oppure nelle
intenzioni altrui che possono venire intuite. In questo senso, è
impossibile ad esempio ridere di se stessi nel momento in cui si
compie un'azione ridicola: è necessario che, passato del tempo, il
soggetto guardi se stesso come un oggetto, ovvero come un altro
soggetto, diverso da se stesso, la cui azione può essere intuita ed
essere giudicata ridicola 1 0 1 .
inneren Impulses und des äußeren Seins zuerst zornig als „objectiven Kontrast“
erkannt, dann während seiner zehnjährigen satirischen Arbeit diellrsachen dieses
Zornes als „sinnlichen Kontrast“ anzuschauen gelernt, bis schließlich durch die
Zusammenschmelzung seiner absolut reinlebendigen Innerlichkeit (ihr Symbol war
die universale Natur) und des empfangenen Zopfbildes aus dem „anschaulich
ausgedrückten endlichen Irrtum“ der Satire die „unendliche Ungereimtheit“ seines
Humors wurde. Denn erst als Jean Paul dem lächerlichen Treiben, in das er
hineingeboren wurde, seine Einsicht verlieh, konnte sich an ihm die Flamme des
Komischen
entzünden;
dem
echten
Zopfbürger
ist
seine
Verschrobenheit
unbezweifelbarer Ernst wieder eine Hauptursache des Lächerlichen ist„ (J. A L T , Jean
Paul, E. H. Beck’sche Verlangsbuchhandlung, München 1925, pp. 324-325).
101
Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 114, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 122: “Ecco perché nessuno, mentre agisce, può nutrire
la sensazione di essere ridicolo; bisognerà che sia trascorsa un'ora, e allora noi,
essendo divenuti il nostro secondo io, potremo fittiziamente attribuire al primo io i
giudizi del secondo. L'uomo può apprezzarsi e disprezzarsi mentre compie un'azione
che è oggetto dell'uno o dell'altro io, ma non può deridersi da solo, come non può
141
Per definire il ridicolo, secondo Jean Paul, non ci si può liitare, come
fanno le definizioni a lui precedenti o contemporanee, a considerare il
contrasto reale tralasciando quello apparente: “Ciò spiega l'erroneità
delle definizioni correnti del ridicolo, che si limitano a considerare
solo il contrasto reale e non anche quello apparente; ecco perché
l'essere ridicolo, con le sue deficienze, deve avere almeno la parvenza
della libertà; ecco perché ridiamo solo degli animali più intelligenti, i
quali ci consentono, con un credito di antropomorfismo, di prestar
loro una personalità; e perché il ridicolo cresca con l'intelletto della
persona ridicola; e perché l'uomo che si eleva al di sopra della vita e
dei suoi motivi allestisca per sé la più lunga delle commedie, in
quanto, attribuendo i propri elevati moventi alle vili aspirazioni della
massa, può ridurre queste ultime a manifestazioni di assurdità; ma
uno qualsiasi dei mediocri può rendergli la pariglia attribuendo i
propri bassi moventi agli aneliti del grand'uomo; e perché una folla di
programmi, di annunci e di annunciatori eruditi, comprese le più grevi
creature del mercato librario tedesco, le quali, considerate per quel che
sono,
strisciano
indolenti
e
ripugnanti,
si
drizzano
d'incanto,
trasformate in opere d'arte, non appena s'immagini (prestando dunque
ad esse moventi più elevati) che qualcuno le abbia concepite a fin di
burla o di parodia” 1 0 2 .
Il ridicolo, a detta di Jean Paul, si basa su tre tipi di contrasto,
oggettivo, sensibile, e soggettivo, a partire da cui hanno origine i vari
amarsi e odiarsi”.
102
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 113-114, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 123.
142
generi del comico; scrive Jean Paul: “Mi si consenta [...] che per amor
di brevità io chiami i tre costituenti del ridicolo, considerato come
l'intuizione sensibile dell'insensatezza infinita, semplicemente così
come faccio: il contrasto in cui lo sforzo o l'essere del soggetto ridicolo
si oppone al rapporto offerto all'intuizione sensibile lo chiamo
contrasto oggettivo; questo rapporto offerto all'intuizione sensibile lo
chiamo contrasto sensibile; e il contrasto tra i precedenti, che noi
affibbiamo loro in questo secondo contrasto prestando la nostra anima
e il nostro punto di vista, lo chiamo contrasto soggettivo. Questi tre
costituenti, trasfigurati nell'arte, a seconda del prevalere di uno di essi
sugli altri, devono generare i vari generi del comico. La poesia antica o
poesia plastica lascia prevalere nel comico il contrasto oggettivo con lo
sforzo sensibile; il contrasto soggettivo si cela dietro l'imitazione
mimica. In origine ogni imitazione fu dileggio, tant'è che presso tutti i
popoli il teatro incominciò con la commedia. Per riprodurre sotto
forma d'illusione quanto suscitava amore o incuteva terrore, furono
necessari tempi più maturi. E il comico, con i suoi tre costituenti,
poteva venire offerto nel modo più semplice proprio attraverso
l'imitazione
mimica.
Dagli
scimmiottamenti
dei
mimi
si
passò
all'imitazione dei poeti. Ma nel comico, come nella serietà, gli antichi
restarono fedeli alla loro plastica oggettività; ecco perché, presso di
loro, gli allori del comico ornano solo i teatri, mentre presso i moderni
anche altri luoghi” 1 0 3 .
103
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 114, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pagg. 123-124.
143
Il comico e la satira
“Il regno della satira confina con il regno del comus” 1 0 4 : così Jean
Paul apre il quarto paragrafo (§ 29, “Differenza tra la satira e il
comico”) del VI Programma della Propedeutica all'estetica dedicato al
comico o ridicolo.
Se la satira si caratterizza come una seria indignazione morale, in
versi, nei confronti del vizio 1 0 5 – e qui Jean Paul porta come esempi
Giovenale e Persio, che “colmano di amarezza la bocca già pronta al
riso” 1 0 6 –, il comico, dal canto suo, costruisce il suo gioco poetico sulle
piccole cose insensate, rendendoci liberi e allegri 1 0 7 . “Il regno della
satira è piccolo – scrive Jean Paul – poiché costituisce la metà del
regno morale, e pertanto non si può mai schernire a talento; ma l regno
del riso è grande infinitamente, grande come il regno dell'intelletto o
della finitezza, poiché a ogni grado sarebbe possibile trovare un
contrasto soggettivo atto a rimpicciolire. In quel regno ci si trova
104
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 115, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 124.
105
Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 115, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 124.
106
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 115, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 124.
107
Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 115, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 124.
144
legati alla morale, in questo liberati dalla poesia. Lo scherzo non
conosce altro fine se non la propria esistenza” 1 0 8 .
E purtuttavia, questi due regni non sempre sono così eterogenei tra
di loro, tanto che spesso risulta facile il trapasso e la mescolanza dei
due: spesso infatti la satira è portata a venire a contatto con lo scherzo,
strumento tipico della comicità, il quale risulta volto a colpire
l'insensatezza e la vanità che si trova in essa 1 0 9 . Infatti, “quanto più
una nazione o un'epoca non possiede il senso della poesia, tanto più
inclinerà a prendere lo scherzo per satira, come pure, al contrario,
tanto più trasformerà la satira in scherzo quanto più diventa immorale
[...]. Lo scherzo ci manca semplicemente per mancanza di... serietà; sul
suo trono vacante si è seduta colei che rende tutte le cose uguali,
l'arguzia, che deride e annulla virtù e vizio” 1 1 0 .
108
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 116, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 124.
109
Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 116, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 125.
110
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 117, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pagg. 125-126; sulla relazione tra satira, idillio e umorismo
si leggano queste parole di G. Voigt: “Satire, Idylle oder, vom Humoristen aus
gesehen,
besser:
Elegie
und
Rhapsodie,
das
also
waren
die
literarischen
Sprachgebärden für den Humor, die Jean Paul im einzelnen von seinem unmittelbaren
drei deutschen Vorgängern überkamen. Ihm als dem nächstfolgenden Humoristen fiel
damit die Aufgabe zu, endgültig ein jedes Stilmomente mit dem anderen zu
vereinigen. Zur innern Anlage, die Jean Paul dies zu erfüllen bestimmte, traten
besondere
äußere
Unstände,
welche
dieser
Bestimmung
zur
Verwirklichung
verhalfen. Man weiß, wie dem Knaben und noch dem Jünglinge in der weltentlegenen
145
5.1.2. L'umorismo
L’umorismo esprime la possibilità di ridere della finitezza umana
senza, tuttavia, spezzare l’unità stessa del reale, ma, al contrario,
cercando di trasfigurare le violenze e gli urti subiti dalla vita in
direzione di quell’armonia, dove, per mezzo del riso, è possibile
mostrare ancora “un dolore e una grandezza”. Il tema dell’umorismo,
presente nella Vorschule tra la trattazione del comico e quella
dell’arguzia, comporta quindi il realizzarsi di quella teodicea del riso,
Abgeschiedenheit des kleinstädtischen Hof die große Kulturumwälzung fast ganz
fremd blieb. Während der Sturm und Drang längst die Aufklärung überwunden und
bereits die eigene Höhe erreicht hatte, rang er noch mit den veralteten Problemen
jener, hatte er sich in diesem Ringen gerade zum „skeptischen Aufklärer“ entwickelt.
Als Künstler begann er deshalb mit der Satire. Und nun sehen wir, wir sich in der
Seele des Einsamen selbst die Geschichte des deutschen Humors im 18. Jahrhundert
gleichsam in verkürzter Perspektive wiederholt. Denn ganz von selbst findet sich sein
Genius von der Satire weiter zur Elegie und zur Rhapsodie. Jede dieser drei Formen
prägt er zunächst für sich in einer Reihe kleinerer Dichtungen aus; sie stellen Jean
Pauls Frühwerk dar. Mit dessen Befragung muß unsere Untersuchung anheben, wenn
anders sie den aus den genannten Formen synthetisierten Humor Richters verstehen
will, wie er dann glanzvoll in den großen Romanen der Reifezeit hervortritt, wenn
anders sie vor allem der Figur des Humoristen in diesen Romanen gerecht werden
soll„ (G. V O I G T , “Die humoristiche Figur bei Jean Paul”, Jean-Paul-Gesellschaft
Bayreuth. Nachdruck, auch auszugsweise, nur mit Genhmigung der Jean-PaulGesellschaft. Druck: Buchdruckerei Emil Mühl Bayreuth – 1969, p. 15).
146
che acquista il suo senso più proprio in relazione al rovesciarsi, sul
piano estetico, di quell’orizzonte di significati aperto dal concetto
leibniziano di armonia. L’esercizio del riso, in particolare quello
realizzato attraverso l’umorismo, permette quindi di redimere la parte
di realtà che istintivamente l’uomo vorrebbe vedere allontanata da sé,
in quanto causa di un dolore vissuto come estraneo e privo di senso.
Detto in altri termini, l’umorismo ha il compito di muoversi in
direzione dell’irrazionale, del brutto e dell’accidentale al fine di
elaborarne un senso positivo in grado di mostrare come anche questi
aspetti della realtà appartengano al nostro mondo di uomini razionali;
infatti, e non a caso, l’umorismo si lega, a differenza del comico, alla
ragione e non all’intelletto, incarnando così una sorta di vero e proprio
esercizio filosofico capace di trovare comunque l’armonia in un mondo
che sembra ormai avvolgersi intorno ad un asse spezzato. In questo
modo è possibile cogliere in senso pieno il fatto che l’umorismo
rappresenti, secondo Jean Paul, lo strumento capace, a partire da un
orizzonte di riferimento estetologico, di muovere il pensiero dell’uomo
dal finito all’infinito – opposizione quest’ultima che, tra l’altro, fonda
tradizionalmente le basi sia filosofiche che poetiche del movimento
147
romantico, da cui Jean Paul eredita comunque, al di là delle differenze
che lo contraddistinguono, una visione dualistica della realtà, intesa
essenzialmente come il frutto della spaccatura tra mondo degli antichi
e mondo dei moderni.
Il passaggio alla modernità produce pertanto, all’interno della
coscienza dell’uomo, il crearsi di coppie di contrari – io-mondo, finitoinfinito ed interiore-esteriore – che la poesia ha il compito di
sciogliere,
come
avviene
appunto
nel
romanticismo,
attraverso
l’esercizio della propria fantasia. La poesia romantica si pone pertanto
il problema di affrontare il conflitto esplicito che viene a crearsi tra
esistenza e realtà a partire dall’introduzione dell’idea cristiana di
infinito. D’altra parte, quanto affermato spiega, allo stesso tempo, il
motivo per cui, secondo Jean Paul, il concetto stesso di umorismo si
leghi
necessariamente,
al
pari
delle
posizioni
più
tipicamente
romantiche, all’idea di infinito, trovando così in questo ruolo la
giustificazione della propria importanza e centralità.
Al di là delle analogie e dei punti in comune più evidenti, in
particolare la centralità dell’idea di infinito, è necessario tuttavia
sottolineare quella che risulta essere la distinzione fondamentale tra
148
l’ironia romantica e quella espressa invece da Jean Paul attraverso il
concetto di umorismo. In prima istanza, infatti, è pur vero che sia
l’ironia che l’umorismo traggono la propria origine da una spaccatura
tra finito e infinito, dove, attraverso il prodursi di un sentimento del
contrario, del contrasto e della contraddizione, si realizza la nostalgia
per quell’infinito che distingue il sentire stesso della modernità.
Tuttavia, nel caso dell’ironia romantica, il contrasto e la scissione
tra il finito e l’infinito vengono portati e ripetuti nell’opera d’arte
stessa, la quale, così, attraverso il proprio spezzarsi, mostra il suo
essere di prodotto arbitrario in quanto frutto della libera poiesis
dell’artista.
Mentre, nel caso dell’umorismo jeanpauliano, viene preservata
l’unità e l’organicità dell’opera d’arte, che, in questo modo, trova in sé
la forza di rispecchiare, attraverso se stessa e la propria natura
armonica, il migliore dei mondi possibili. Risulta di conseguenza che
l’umorismo, pur trovando le proprie radici nel contrasto tra finito e
infinito, supera la contraddizione leggendo, per mezzo dell’orizzonte
di senso dischiuso dal mondo dell’arte, il finito come parte e specchio
dell’infinito, realizzando così, in chiave esplicitamene estetologica – e
149
non pertanto in modo dialettico formale –, il concetto leibniziano di
teodicea.
L’umorismo incarna, proprio in quanto strumento per il concretarsi
della teodicea, lo sforzo in direzione della totalità, intesa, nella stessa
Vorschule, come la parte ultima della “grande catena dell’Essere”. Una
prima ed ancora acerba tensione verso la totalità era tuttavia già
presente, secondo Jean Paul, all’interno del comico, attraverso la
spinta verso il fondersi tra soggetto e oggetto, cercata, anche se
impossibile da realizzare, da parte del sentimento della simpatia – il
sentimento chiave del comico stesso.
150
Da questo punto di vista è possibile tracciare una linea comune tra
comico ed umorismo – l’umorismo, infatti, non fa altro che ripetere in
se stesso una propensione già presente nel comico, differenziandosi
tuttavia
dal
comico
stesso
in
virtù
di
una
propria
maggiore
consapevolezza ed efficacia, in quanto è nell’umorismo che si rende
propriamente possibile quella elaborazione del contrasto in chiave
armonica ed equilibrata, presupposta dal concetto di totalità, o meglio
da quel pensiero del tutto (das All) implicato dalla jeanpauliana
Poetische Poesie. Detto ancora in altri termini, nel comico si rivelano i
limiti costitutivi dell’intelletto di fronte alla realtà dell’esistenza,
lasciando così spazio alla figura della simpatia, intesa come quel
sentimento
capace
di
condurre
l’assurdo
della
contraddizione
all’armonia. Mentre, a livello dell’umorismo, la ragione è la facoltà
che, attraverso il proprio procedere, rende possibile quel colpo
d’occhio sulla realtà, comprendendo così al proprio interno le stesse
contraddizioni
che
segnano
necessariamente
l’esistenza.
L’atto
razionale che segna l’umorismo non è da intendere tuttavia come un
vuoto esercizio compiuto secondo le regole della logica, ma, al
contrario, presuppone una netta distinzione tra quello che, nella
Critica della ragione pura kantiana, era l’intelletto legislatore e la
ragione stessa, letta come quella facoltà capace di afferrare, a livello
esplicitamente prelogico, la totalità dell’esperienza dischiusa dai
fenomeni
appartenenti
al
nostro
mondo.
Il
carattere
prelogico
implicato dall’umorismo comporta di conseguenza la messa tra
parentesi
di
ogni
proiezione
rigidamente
151
schematica
riguardo
l’armonia dischiusa da questa particolare forma di ironia. L’umorismo,
quindi, cela in sé quella innocente freschezza che permette all’uomo di
tornare bambino, superando così l’odio fomentato da ogni ferrea
dicotomia di tipo logico-razionale.
Il comico o ridicolo, ci spiega Jean Paul alla fine del VI Programma,
“resta [...] eternamente al seguito della finitezza spirituale” 1 1 1 essendo
un contrasto tra finito e finito; da esso si distingue lo humor, o
umorismo, che è “il comico romantico” 1 1 2 .
111
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 124, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 131.
112
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 124, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 132. A proposito del concetto di umorismo qui
accennato,
scrive
G.
Voigt:
“Im
§m
35
der
„Vorschule“
über
„humoristiche
Sinnlichkeit“ wird als Funktion des Sinnes beschreiben, die einzelnen realen Dinge
und Vorgängezu umfangen. Wie umgekehrt der Verstand sich auf das Ganze bezieht
und wie demzufolge das Nebeneinanderwirken von Verstand und Sinn im Humor
aussieht, wird in § 32 (S. 125) vergegenwärtigt: „Der Humor, als das umgekehrte
Erhabne, vernichtet nicht das einzelne, sondern das Endliche durch den Kontrast mit
der Idee. Es gibt für ihn keine einzelne Torheit, keine Toren, sondern nur Torheit und
eine tolle Welt… der Humorist nimmt fast lieber die einzelne Torheit in Schutz, den
Schergen des Prangers aber samt allen Zuschauen in Haft, weil nicht die bürgerliche
Torheit, sondern die menschliche, d. h. das Allgemeine sein Inneres bewegt.“ Indem
aber des Humoristen Verstand solchermaßen „die menschliche Torheit“, d. i. das
menschliche Dasein in seiner Fragwürdigkeit durchschaut, wird ihm die Wirklichkeit
in ihrem großen Ganzen zum Gegenstande eines „Skeptizismus, welcher… entsteht,
wenn der der Geist sein Auge über die fürchterliche Menge kriegerischer Meinungen
um sich her hinbewegt, gleichsam ein fremde der ganzen stehenden Welt umwandelt“
(a. a. O. § 33, S. 132). Dies nun ist der Augenblick, wo „der Humor… den Verstand
verlässt, um vor der Idee fromm niederzufallen“ (ebd.). Das Gefühl tritt in seine
152
In poche parole, potremmo anticipare che l'umorismo altro non è che
il comico così come esso viene utilizzato nella poesia romantica quale
forma compiuta della poesia moderna nella sua accezione più propria,
ossia in quanto distinta e distante dagli estremi in cui essa può
deformarsi, la poesia materialistica, da un lato, quale mera imitazione
del modello al fine di emulare, esasperandoli, i dettami della poesia
antica, e la poesia nichilistica, dall'altro lato, che pretende di poter
agire facendo a meno di qualsiasi forma di imitazione avvalendosi
unicamente della facoltà immaginativa del genio portata all'eccesso
trasformandola in una fantasia che pretende di poter produrre ex
nihilo da sé il mondo 1 1 3 . Prendendo le distanze sia dalla poesia antica,
Rechte. In diesem Sinne „gibt sicht der Humor als eine Grundsstimmung zu erkennen
zu erkennen, zu welcher die Beigaben des Intellekts sich nur als ‚dienende Geister’
verhalten (Bahnsen, S. 113). Wahrlich als dienende Geister! „Bahnt“ doch „seine
Höllenfahrt“ auf dem Schüdderump des Verstandes des Humor „die Himmelfahrt“
auf den Schwingen des Gefühls. Der Humor „gleich dem Vogel Merops, welcher zwar
der Himmel den Schwanz zukehrt, aber doch in dieser Richtung in den Himmel
auffliegt. Dieser Gaukler trinkt, auf dem Kopfe tanzend, den Nektar hinaufwärts“ (a.
a. O. §33, S. 129)„ (G. V O I G T , “Die humoristiche Figur bei Jean Paul”, Jean-PaulGesellschaft Bayreuth. Nachdruck, auch auszugsweise, nur mit Genhmigung der JeanPaul-Gesellschaft. Druck: Buchdruckerei Emil Mühl Bayreuth – 1969, pp. 16-17).
113
Sul tema dell'umorismo si esprime ad es. J. Alt nel suo compendio dedicato
all'opera di Jean Paul: “Gestalt, heroischen Tatendrang und Magie, zwischen hohem
menschlichen Begehren nach Begehren nach herdischer Erfüllung und unstetem
Ungenügen am Wirklichen, das immer wieder zur brennenden Sehnsucht nach einem
glücklicheren Jenseits trieb. Doch bestand das Wertvolle des Jean Paulischen Humors
gerade darin, daß er trotz dieser metaphysischen Zerrissenheit das Erdendasein mit
stolzer
Kühnheit
packte
und
bezwang.
Solche
Kühnheit
konnte
zwar
das
Verhängnisvolle nicht im Grunde zu Beglückung wandeln, aber doch die Lebensfahrt
153
di tipo prettamente mimetico, sia dalle forme difettive di poesia
moderna,
quella
materialistica
e
quella
nichilistica,
la
poesia
romantica cerca di calibrare correttamente la facoltà del genio,
correggendo (e non sostituendo) l'imitazione con l'immaginazione, e
modulando pertanto lo strumento della comicità in conformità con
questo suo nuovo modus operandi. Da questa operazione nasce dunque
l'umorismo quale forma di comicità propria della poesia romantica 1 1 4 ,
durch Schluchten und Gefahren zu einer furchtlosen ritterlichen Tat machen. Darum
lobte Jean Paul die Besonnenheit so sehr, die ihm der Humor verliehen hatte; sie gab
ihm die Macht nüchterner Beherrschung noch in der größten magischen Verzückung
und
idyllischen
Beseligung
und
damit
Jene
Kühle,
die
Jean
Paul
bei
aller
Aufpeitschung der Empfindungen und Gefühle doch nie weichlich erscheinen lässt,
eher grausam in der Art, wie er die glühende Seele in die kalten Widerspruche des
Realen hineintaucht. Doch ohne diese Härte, mit der Jean Paul auch sein eigenes
Leben zügelte, würde seiner Dichtung die entscheidende Würde und Größe fehlen, da
erst die Strenge, mit der hier Qual und Schmerz immer wieder in das Göttliche
hineingeleitet und mit der das Absolute rein und unverletzbar gewahrt wird, die
andauernde „Vernichtung des Endliches durch den Kontrast mit der Idee“ ertragbar
macht. Jean Paul wurde durch seine sittliche Größe, die als innere Zucht auch sein
Werk adelt, vor solcher Verflüchtigung bewahrt„ (J. A L T , Jean Paul, E. H. Beck’sche
Verlangsbuchhandlung, München 1925, pp. 326-327).
114
Leggiamo a tal proposito quanto scrive lo stesso Jean Paul: “In opposizione alla
poesia plastica, abbiamo dato alla poesia romantica lo spazio d'azione di quel'infinità
del soggetto in cui il mondo degli oggetti, come in un chiaro di luna, perde i suoi
contorni. Ma come può il comico divenire romantico, se consiste semplicemente nel
contrasto tra finito e finito e non può ospitare infinità alcuna? L'intelletto e il mondo
oggettivo conoscono solo la finitezza. E solo qui troviamo quel contrasto infinito tra
le idee (della ragione) e la finitezza nella sua globalità. Che accadrebbe però se ora,
passandola sottobanco, prestassimo questa finitezza, come contrasto soggettivo,
all'idea (l'infinità), vista come contrasto oggettivo, e se in luogo del sublime, l'infinito
154
e si caratterizza come un “sublime alla rovescia”, dal momento che
non consiste in un contrasto tra due finiti, bensì in un contrasto con
l'idea stessa (l'infinito), che porta ad annullare la finitudine 1 1 5 .
L'umorismo dunque, a differenza del comico, è un ridicolo applicato
ad una totalità, all'idea in quanto infinità o, con le parole di Jean Paul,
alla “follia stessa degli uomini, cioè l'universalità” 1 1 6 .
Ora, Jean Paul si chiede che cosa distingua l'umorista che riscalda
l'anima dal canzonatore che la raggela, e a suo dire si tratta di ciò che
egli chiama “idea annientante” 1 1 7 . Leggiamo questo esempio che porta
Jean Paul: “Se l'uomo, come solevano fare gli antichi teologi, osserva il
mondo terreno dal mondo ultraterreno, lo vedrà, minuscolo e vano,
passare e allontanarsi; ma se egli, con il piccolo mondo, unisce il
mondo infinito, e misura la sua estensione come suol fare l'umorismo,
allora nascerà quel riso in cui ancora alberga un dolore e una
grandezza. Ecco perché se la poesia greca, in contrasto con la poesia
moderna, colmava l'uomo i gioie, l'umorismo, in contrasto con l'ilarità
applicato,
ottenessimo
un
finito
applicato
all'infinito,
dunque
solamente
un'infinitezza del contrasto, vale a dire un'infinitezza negativa? Avremmo allora lo
humor, o il comico romantico” (Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 124, tr. it.
Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 132).
115
“Nella sua qualità di sublime alla rovescia, introducendo il contrasto con l'idea,
l'umorismo non annichila l'individuale bensì il finito” (J ean Paul, Vorschule der
Ästhetik, cit., pagg. 124-125, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag.
132).
116
Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 125, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 133.
117
Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 129, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 136.
155
dei tempi antichi, gli infonde un certo grado di serietà; l'umorista
cammina sui bassi socchi, ma spesso porta la maschera tragica, se non
sul volto nella mano [...]. Gli antichi erano troppo felici di vivere per
poter nutrire il disprezzo umoristico della vita” 1 1 8 . Nell'umorismo
dimora pertano una sorta di parziale serietà 1 1 9 , che viene a compensare
quel contrasto che in esso si incarna. Ciò che agisce nell'umorismo è
pertanto ciò che Jean Paul definisce “idea annientante”, giacché
l'umorismo si rifiuta di inchinarsi alla finitudine propria dell'intelletto
e dei contrasti che in esso possono generarsi, e mostra al contrario la
propria
devozione
nei
confronti
dell'idea,
ossia
dell'infinito 1 2 0 ,
dall'alto della cui totalità e infinità il mondo terreno appare dunque
come un puro nulla, una vacuità che solo l'umorismo, per mezzo
dell'idea annientante, sa far emergere.
Umorismo e ironia
Se l'umorismo ha prevalentemente a che fare con la soggettività,
ossia con un contrasto soggettivo 1 2 1 dell'io con l'idea, cioè con
118
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 129, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 136.
119
Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 129, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 136.
120
Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 131, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 138.
121
Nella Propedeutica all'estetica di Jean Paul si legge: “Come il romanticismo serio,
anche quello comico – in opposizione all'oggettività classica – è il reggente della
soggettività. Se il comico è dato infatti dal contrasto in cui massima soggettiva e
massima oggettiva s'invertono, non potrò mai pensare di situare l'oggettiva – che
deve essere, dopo quanto s'è detto, un'infinità desiderata – fuori bensì dentro di me, e
156
l'infinità, l'ironia in senso stretto è invece quella forma di umorismo
che, occultando
il contrasto soggettivo, pone
in
rilievo
quello
oggettivo: “Là dove solo il contrasto oggettivo o la massima oggettiva
vengono
posti
in
rilievo,
mentre
il
contrasto
soggettivo
viene
occultato: questo luogo è l'ironia, che di conseguenza, in qualità di
pura rappresentante dell'oggetto ridicolo, deve apparire sempre seria e
prodiga di lodi, e non importa in quale forma conduca il suo gioco, se
in forma di romanzo, come in Cervantes, o di panegirico, come in
Swift” 1 2 2 .
Ciò che caratterizza l'ironia in senso stretto è la serietà, o meglio,
l'apparenza di serietà: “La serietà dell'ironia è sottoposta a due
condizioni. Innanzitutto, considerando il linguaggio, si studierà
l'apparenza di serietà, al fine di cogliere la serietà dell'apparenza o
qui le attribuirò surrettiziamente la soggettiva. La conseguenza è che io stesso mi
situo in tale scissura – ma non in una posizione estranrea, come accade nella
commedia – e suddivido il mio io nel fattore finito e nel fattore infinito, lasciando
derivare il secondo dal primo. Ma ecco che il lettore esclama ridendo: 'È impossibile!
È troppo folle!'. Sicuro! Ecco perché presso tutti gli umoristi l'io recita il ruolo di
protagonista e, quando può, inscena nel suo teatro comico persino le sue relazioni
personali, benché al solo fine di distruggerle attraverso la poesia. L'io che scrive è il
buffone di corte, il quartetto italiano di maschere, ed anche il reggente e il regista di
se stesso, e perntanto ha bisogno che il lettore gli porti un po' d'amore, perlomeno
non un sentimento d'odio, e che non scambi l'apparenza con l'essere; non vi è da
dubitare che il migliore autore sarebbe colui il quale sapesse gustare a proprie spese
senza riserve il sapore umoristico di un testo giocoso” (Jean Paul, Vorschule der
Ästhetik, cit., pagg. 132-133, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag.
139).
122
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 148, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pagg. 153-154.
157
serietà ironica” 1 2 3 . In ciò, l'ironia si distingue dal capriccio, “dal
momento che il secondo è lirico e soggettivo, mentre la prima è
oggettiva” 1 2 4 . La prima caratterizza infatti chi è maggiormente dotato
d'intelletto, la seconda coloro nei quali prevale la fantasia 1 2 5 .
Jean Paul aggiunge che “la materia dell'ironia deve essere oggetto,
l'essenza epica deve convertirsi in una massima apparentemente
razionale e deve fare il proprio gioco, non quello dell'ilarità del poeta;
la serietà dell'apparenza deve perciò addensarsi anche nell'oggetto,
non solo nel linguaggio. Ad un tal fine l'ironista non potrebbe mai
dare all'oggetto ragioni e un'apparenza bastevoli” 1 2 6 .
123
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 148, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 154; prosegue Jean Paul: “Chi voglia sostenere
un'opinione con serietà, tanto più se si tratta di una persona colta, lo fa solo con
pudore; egli dubita – domanda – spera – teme – nega la negazione o ancora il
superlativo dell'avversario – dice: non avrò l'ardire di affermare che, – opure: avrei
torto a pensare che, – o: decidano gli altri se, – oppure: preferirei non dire che, – mi
vuol sembrare come se, – ed impiega le formule di esordio e di connessione indicate
da Peucer o da qualche altro stilista passabile. Ebbene, è proprio con questa dotta
parvenza di moderazione e di modestia che alla serietà ironica conviene presentare al
mondo le proprie affermazioni” (Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 148, tr. it.
Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 154.).
124
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 152, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 157.
125
Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pagg. 153-154, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 159.
126
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 154, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 159.
158
Umorismo epico, drammatico e lirico
A questo punto Jean Paul passa a distinguere le tre forme di
umorismo così come esse si manifestano nelle tre forme letterarie
dell'epica, del dramma e della lirica 1 2 7 .
Innanzitutto, a detta di Jean Paul, occorre separare l'epos dal
dramma serio 1 2 8 : “Benché le descrizioni di ambedue siano di tipo
oggettivo, l'uno rappresenta soprattutto l'esteriore, i personaggi e i
destini, l'altro l'interiore, le sensazioni e le decisioni; l'uno il passato,
l'altro il presente; l'uno una successione lenta, con lunghi prologhi
prima delle azioni, l'altro la folgorazione lirica delle parole e degli
127
Leggiamo quanto scrive Jean Paul: “Nel passare dal comus epico al comus
drammatico ci imbattiamo subito nella differenza per cui da un lato numerosi poeti
epici comici grandi e piccoli, Cervantes, Swift, Ariosto, Voltaire, Steele, Lafontaine,
Fielding,
non
scrissero
commedie
o
ne
scrissero
di
brutte,
dall'altro
grandi
commediografi fanno la figura di carrivi ironisti, per es. Holberg nei suoi saggi in
prosa, Foote nella sua commedia I retori. La difficoltà di questo passaggio – o ogni
difficoltà in genere – presuppone una gerarchia di valori o solamente una differenza
di capacità e di esercizio? La seconda, probabilmente. Omero avrebbe faticato a
trasformarsi in Sofocle, e Sofocle viceversa in Omero; e la storia non ci offre un
grande poeta epico che sia stato anche un grande drammaturgo e viceversa; e tra
serietà epica e serietà tragica vi è una via più lunga persino di quella che le unisce
allo scherzo, poiché quest'ultima, pur portando in un luogo opposto, forse incomincia
già dietro l'angolo. Se ne ricava in generale, perlomeno, che la vis epica e l'esercizio
dell'epica non rimpiazzano né rendono superflue le facoltà corrispondenti nel
dramma, e viceversa; ma quant'è alto il muro divisorio?” (J ean Paul, Vorschule der
Ästhetik, cit., pag. 156, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e l'arguzia, cit., pagg. 158159).
128
Cfr. Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 157, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 161.
159
atti; – il primo, nella parsimoniosa unità di luogo e di tempo, perde ciò
che il secondo guadagna. Tutti questi tratti presi insieme rendono il
dramma più lirico; non si potrebbe d'altronde trasformare tutti i
personaggi del dramma in caratteri lirici? E se non si potesse, i cori di
Sofocle non sarebbero allora, in questa armonia, delle lunghe note
false?” 1 2 9 . Il poeta dell'epos serio è dunque colui che tenta di elevarsi
sempre più, e il suo elevarsi sarà sempre un tendere al sublime oltre il
quale egli non può però ergersi; il poeta dell'epos comico, dal canto
suo, “insiste invece sull'opposizione tra pittore e oggetto” 1 3 0 : egli, al
pari dell'attore comico, duplica il contrasto soggettivo con l'oggetto, al
contrario del poeta serio che invece, analogamente all'attore tragico,
“nel quale non si vuole né si deve presumere e osservare alcuna forma
di parodia o alcun controcanto del ruolo eroico” 1 3 1 . Il lavoro del poeta
comico può dunque apparire quasi più arduo rispetto a quello del
poeta serio, giacché occorrono grandi doti, a detta di Jean Paul, per
esprimere un ideale attraverso un equilibrato sodalizio con figure
scimmiesche: “il poeta deve persino saper scrivere all'inverso, così che
la sua scrittura diventi leggibile nella seconda inversione dello
specchio dell'arte” 1 3 2 . L'arduo compito del poeta comico consiste
129
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 157, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 161.
130
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 157, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 161.
131
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 120, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 126.
132
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 120, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 126.
160
dunque nell'unione della sostanza divina con quella umana, che spesso
porta non a una nuova natura ibrida, bensì all'annullamento delle due
nature.
Il comico lirico o il capriccio e il burlesco
A differenza delle figure sin qui descritte, il poeta lirico rappresenta
contemporaneamente se stesso e il folle: “nel medesimo istante
d'insensatezza deve essere ridicolo e ridente, ma facendo sì che
prevalgano il sensibile e il contrasto soggettivo” 1 3 3 : “L'umorismo, nella
sua qualità di spirito comico universale, si rivela qui come entità
minuscola e prigioniera, uno spiritello del focolare e del bosco,
un'amadriade del serto spinoso, ovvero un capriccio” 1 3 4 . Pertanto,
prosegue Jean Paul, l'umorismo sta al capriccio come l'ironia sta alla
canzonatura 1 3 5 .
Il poeta burlesco è invece colui che incarna il mondo della bassezza
e, con la prpria opera, realizza il proprio autoritratto: egli “è una
sirena, bella per metà del corpo; ma questo poeta lascia affiorare alla
133
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 161, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 165.
134
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 162, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 165.
135
Prosegue Jean Paul: “Il primo [l'umorismo] colloca più in alto, il secondo [il
capriccio] più in basso il rispettivo punto di paragone. Il poeta si identifica sino a un
certo grado con l'oggetto della decisione; e tra le corde di una tale lire l'oggettiva
soggettività del Pan di Schelling riappare ai nostri occhi con il nome di burlesco”
(Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 162, tr. it. Jean Paul, Il comico, l'umorismo e
l'arguzia, cit., pag. 165).
161
superficie l'altra metà, e spesso si tratta di una poesia pastorale latrata
da un cane pastore” 1 3 6 .
5.1.3. L'arguzia (Witz)
Già nel VI Programma l'arguzia era stata definita come “colei che
rende tutte le cose uguali” 1 3 7 . Ora invece, nel IX Programma della
Propedeutica all'estetica, Jean Paul si occupa di approfondire in modo
molto
più
dettagliato
questo
concetto,
partendo
dalla
sua
definizione 1 3 8 .
136
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 161, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pagg. 165-166.
137
Jean Paul, Vorschule der Ästhetik, cit., pag. 120, tr. it. Jean Paul, Il comico,
l'umorismo e l'arguzia, cit., pag. 126.
138
Queste parole di F. Cambi introducono al tema in questione: “Systematisch
behandelt Jean Paul die Ästhetik und Poetik des Witzes in den 13 Abschnitten, die
das 9. Programm der <<Vorschule der Ästhetik >> ausmachen. In den 15 Programmen,
in die sich die ersten beiden Abteilungen der <<Vorschule>> untergliedern, nimmt
bezeichnenderweise der poetologische und linguistische Aspekt des Witzes den
breitesten Raum ein. Es ist angebracht, an dieser Stelle zunächst die Schwierigkeiten
herauszustellen, die sich im Bemühen um ein eindeutiges Verständnis des Begriffes
<<Witz>> ergeben, sei es, weil der Begriff über die weite Zeitspanne seiner Existenz
ein
sehr
breites
und
veilfältiges
Spektrum
an
Stellungnahmen
und
Deutungsversuschen hervorgerufen hat, sei es, weil sich seine Definition selbst im
begrenzten Rahmen des theoretischen Gebäudes Jean Pauls als problematisch erweist.
In der <<Vorschule>> versteht Jean Paul unter <<Witz>> sprachliche Technik und
Spiel, die sich auf lexikalischer und rhetorischer Ebene mit dem Begriff des Bonmts
wiedergeben lassen, der geisstreich-satirischen Äußerung, der bissigen Bemerkung:
Alles ist Ausdruck der dem Geist eigenem Vernunftbegabung und Kreativität. Dank
162
Tutta la tradizione romantica si è confrontata con questo concetto,
che in sintesi, secondo alcune note parole di Schlegel, può essere
definito come la “facoltà di creare somiglianze”. Franco Rella scrive
che “il Witz (wit in inglese) è la 'battuta di spirito'. Diventa parola
chiave per il romanticismo di Schlegel, Novalis e Solger [...]. Il Witz è
la possibilità di cogliere il reale non nel concetto ma in una
costellazione di senso. Solger ne farà l'organo principale di quello che
definirà
'l'intelletto
artistco'” 1 3 9 .
Friedrich
Schlegel
aveva
infatti
definito il Witz come “la possibilità di creare somiglianze tra oggetti,
che sono del tutto indipendenti, differenti e diversi, e così di
connettere a unità ciò che più è molteplice, differente: è lo spirito
einer Synthese gelingt es Jean Paul, die geistige Quelle mit den rhetirisch-stilistischen
Vorgaben in Einklang und Übereinstimmung zu bringen und damit die Beziehung
zwischen Idee, Zeichen und Bedeutung zu intensiviren. Die dehnbare Wesensart des
Witzes als Erzeuger von Bildern, heiteren Sprüchen und Sprachspielen, in deren
Rahmen die Unangemessenheit der Verknüpfungen und Fügungen um eine weitere
Bilderquelle, die Metapher, bereichert wird, findet ihre, wenn auch anfechtbare und
stets spannungsvolle Rechtfertigung und Vervollständigung in der humoristichen
Einstellung zur Wirklichkeit„ (F. C A M B I , “<<Geist>> und <<Witz>> in der Ästhetik
JeanPauls”, Jean-Paul-Gesellschaft Bayreuth. Nachdruck, auch auszugsweise, nur mit
Genhmigung der Jean-Paul-Gesellschaft. Druck: Buch- und Offsetdruckerei Emil Mühl
Bayreuth GmbH – 1994, p. 95).
139
Franco Rella, L'estetica del romanticismo, Donzelli, Roma 2006, pagg. 35-36.
163
combinatorio” 1 4 0 . Come scrive Franco Rella, “il nuovo pensiero mitico
è quello che si muove attraverso il Witz e l'arabesco: attraverso la
'facoltà di creare somiglianze' [...]. Dunque 'essenza della forma del
moderno', scrive Schlegel, 'è l'intrigo' [...], di cui l'arabesco è
immagine. Con questo Schlegel rovescia il senso di una metafora che
ha percorso i secoli, segnando, nel suo mutamento, una svolta epocale.
Il labirinto, da figura d'orrore che si può dominare soltanto con il filo
dell'astuzia (Arianna) e con il filo tagliente della spada (Teseo) diventa
in quanto arabesco il luogo di infinite esplorazioni e di infinite
scoperte: una peripezia verso il mutamento del nostro stesso concetto
di realtà, del nostro stesso ethos, vale a dire del nostro luogo dentro il
reale” 1 4 1 . Paolo D'Angelo fa notare che il Witz va oltre la semplice
capacità di cogliere lontane somiglianze, in quanto rappresenta,
soprattutto in Jean Paul, “la capacità di cogliere legami inaspettati” 1 4 2 ;
scrive D'Angelo: “In senso stretto l'arguzia non è semplicemente la
capacità di cogliere lontane somiglianze, ma la facoltà di istituire
paragoni tra grandezze a prima vista incommensurabili, come quando
140
Cfr. Friedrich Schlegel, Kritische Friedrich Schlegels Ausgabe , a cura di E. Behler, J.J.
Anstett e H. Eichner, Schoeningh, Paderborn-Muenchen-Wien 1958, pagg. 403-404.
141
Franco Rella, L'estetica del romanticismo, cit., pagg. 35-36.
142
Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo, Il Mulino, Bologna 1977, pag. 106.
164
si compie un salto dall'ordine delle cose fisiche a quelle spirituali e si
dice, ad esempio, che la verità è un sole; la capacità inversa è l'acume,
che agisce piuttosto sciogliendo e separando le somiglianze date,
laddove l'arguzia le produce. Essa coglie i rapporti tra le cose, mentre
il comico o il ridicolo si dirige di preferenza alle relazioni tra le
persone. Il contrassegno esteriore più evidente nell'arguzia è la
brevità, giacché l'analogia per essere efficace deve balzare in un solo
tratto
dinanzi
all'intuizione,
e
per
questo
un
esempio
tipico
dell'arguzia è incarnato dal gioco di parole, nel quale il paragone è
evocato spesso dal piccolissimo scarto tra due termini prossimi. Ma
l'arguzia, questo 'prete travestito, che riesce a sposare ogni coppia',
può agire sia attraverso le immagini, e allora opera in lei la fantasia,
sia senza di esse, lasciando campo all'intelletto; ne discendono, nei
diversi casi, differenti tipi di figure retoriche: la metafora e l'allegoria,
ad
esempio,
sono
esempi
di
arguzia
che
procede
attraverso
l'immagine” 1 4 3 .
L’arguzia (Witz) rappresenta, in quanto vera e propria facoltà
poetica su cui si snoda l’apparato teorico ed estetologico della
143
Paolo D'Angelo, L'estetica del romanticismo, Il Mulino, Bologna 1977, pagg. 107-108.
165
Vorschule, il ruolo del tutto particolare del linguaggio, inteso come
quel processo di ricomposizione armonica dell’esperienza mondana in
grado di gettar nuova luce sui nessi di senso nascosti allo sguardo
quotidiano, che, per lo più, ci attraversa e percorre, rendendo così
dura e impenetrabile la scorza dei fenomeni appartenenti alla nostra
stessa esistenza di uomini concreti. In prima istanza, l’arguzia procede
quindi deformando la realtà e spezzandone i rimandi comuni, al fine
di poter poi attuare, per mezzo delle finzioni tessute dal linguaggio,
una nuova veste di senso con cui significare in modo nuovo la realtà,
che ne rimane in questo modo arricchita e giustificata. D’altra parte,
l’arricchimento e la giustificazione della vita, a cui si è appena
accennato, non fanno altro che rinviare ancora una volta ad un
orizzonte di significati di chiara origine leibniziana; infatti, come è già
stato mostrato in precedenza relativamente alle figure del comico e
dell’umorismo, in Jean Paul lavorano ancora i concetti cardine,
espressi appunto da Leibniz, di teodicea e di armonia prestabilita,
anche se piegati e svolti ormai, attraverso una riflessione di ordine
estetico, su un piano esclusivamente secolarizzato.
166
L’arte, intesa a partire dal suo stesso agire poietico, acquista
pertanto il valore della monade, letta dallo stesso Leibniz, come
immagine e specchio dello stesso universo. La varietà e la molteplicità
espresse dall’esperienza vengono quindi ricondotte all’unità – unità
che, secondo Jean Paul, può esser guadagnata attraverso un lungo
cammino nelle terre dell’arte e della poesia –; in questo senso è infatti
possibile, come già ricordato, parlare di teodicea, rovesciando così il
suo stesso significato in giustificazione della vita e dell’esperienza
umana nel mondo. Il linguaggio deve pertanto dar luogo, attraverso
l’esercizio dell’arguzia, ad una vera e propria arte combinatoria in
grado
di
tessere,
in
una
trama
comune,
aspetti
della
realtà
all’apparenza scissi e irrimediabilmente separati tra loro.
Il
nucleo
teorico-estetico
dell’arguzia
viene
svolto
nel
nono
programma della Vorschule con la precisa intenzione, da parte di Jean
Paul, di utilizzare le finzioni ed i mondi artificiali, di cui l’arguzia
stessa si serve, al fine di poter instaurare poi una nuova e più ricca
serie di trame e di relazioni col mondo. Detto in altri termini, è
possibile affermare che l’arguzia realizza la propria funzione nel più
paradossale dei modi, in quanto contribuisce ad allargare il concreto
167
rapporto con la realtà per mezzo di ciò che, innanzitutto e per lo più,
reale non è – la finzione e l’illusione. L’allargamento e l’inspessirsi del
mondo, attraverso l’attuarsi dell’arguzia, implica un sottile e delicato
esercizio linguistico per mezzo delle possibilità di gioco dischiuse
dalla natura proteiforme della metafora – l’arguzia stessa è un
qualcosa di inscindibile dalla metafora; tanto che, come afferma
esplicitamente Baierl 1 4 4 , gli aspetti teorici sottesi al Witz jeanpauliano
non sono, in senso proprio, nulla di diverso da una riflessione
sull’essenza e sul senso della metafora 1 4 5 .
144
Cfr. R. B A I E R L , Transzendez. Weltvertrauen und Weltverfehlung bei Jean Paul,
Würzburg, Königshausen & Neumann, 1992, pp. 73 sgg.
145
A tal proposito si è espresso anche F. Cambi, in un articolo in cui viene posto in
essere il problema della relazione tra Geist e Witz: “Jean Paul sieht in der <<Kürze>>
den <<Körper und die Seele des Witzs>> und erkennt just in ebenderselben, im
Klarheit gewährenden Fehlen alles Überflüssigen, den Einfluß von Tacitus und den
Spartanern, von Cato, Seneca, Hamann, Gibbon, Bacon, Lessing und Rousseau auf die
Geschichte der Volkskultur und volkstümlichen Sentenz. Während der konkrete Witz
als geistige Verknüpfungstechnik sentenzözer Art verstanden wird, erwächst der
bildliche
Witz
primär
aus
der
Phantasie.
Tatsächlich
kann
die
typologische
Differenzierung des Witzes ganz schematisch auf den Gegensatz zwischen der
Sentenz als Ausfluß des Verstanden und der Metapher als Ausdruck der Phantasie
reduziert
werden;
Metapher
und
Allegorie
sind
es,
mit
denen
sich
die
Hauptparagraphen des Programms befassen. Hier stoßen wir uns Zentrum der Poetik
vor, an der sich das literarische Werk Jean Paul orientiert; wobei nebensächlich ist,
dass
weder
der
Übergang
des
Witzes
zur
Metapher
noch
die
eventuelle
Wesensgleichheit beider überzeugend erklärt werden. Vom scharfsinnigen und
168
Il legame appena espresso tra arguzia e metafora mostra come il
carattere più profondo del Witz si leghi alla possibilità stessa di
istituire paragoni e confronti. Lo stesso Jean Paul, d’altra parte,
afferma
esplicitamente
che
l’arguzia
“scopre
il
rapporto
di
somiglianza, vale a dire la parziale eguaglianza che si cela dietro una
dissomiglianza più grande” 1 4 6 . Tuttavia, la dimensione dell’arguzia
non si riduce al semplice atto di cogliere una somiglianza effettiva o
parziale all’interno della multiforme molteplicità che costituisce la
nostra esperienza del mondo. L’arguzia, secondo Jean Paul, si declina
infatti per gradi, al Witz, capace, come già mostrato, di cogliere
l’analogia all’interno della differenza, si affianca una facoltà dalle
caratteristiche del tutto contrarie, lo Scharfsinn 1 4 7 , il quale, a partire da
una uguaglianza, ne svela il rapporto di dissomiglianza ad essa
beißenden
Witz,
der
in
den
satirischen
Jugendwerken
als
Angriffswaffe
des
Verstandes eingesetzt worden war und wie ein Seismograph die Abgründe und
Wirbelstürme der menschlichen Existenz registriert hatte, scheinen sich hier die
Spuren zu verlieren„ (F. C A M B I , “<<Geist>> und <<Witz>> in der Ästhetik JeanPauls”,
Jean-Paul-Gesellschaft
Bayreuth.
Nachdruck,
auch
auszugsweise,
nur
mit
Genhmigung der Jean-Paul-Gesellschaft. Druck: Buch- und Offsetdruckerei Emil Mühl
Bayreuth GmbH – 1994, p. 107-108).
146
147
W, v, p. 171.
Lo Scharfsinn, secondo le parole dello stesso Jean Paul, “scopre il rapporto di
dissomiglianza, vale a dire la parziale ineguaglianza che si nasconde dietro
un’eguaglianza più grande” (Ivi).
169
sotteso; mentre il Tiefsinn 1 4 8 , ultimo stadio dell’arguzia, rappresenta,
in buona sostanza, la possibilità stessa di poter afferrare l’identità
all’interno dell’universo dischiuso dal molteplice, permettendo in
questo modo il realizzarsi di quella che Jean Paul ha definito come
poetische Poesie.
Il Tiefsinn, che può esser tradotto con l’espressione “profondità di
pensiero”, declina il proprio operare legandosi alla facoltà della
ragione, al fine di dirigersi poi verso quel superamento delle
differenze e delle dissonanze che ricorda, per certi versi, il concetto di
totalità dischiuso dall’analisi dell’umorismo. Il nesso che unisce il
Tiefsinn
alla
ragione
non
si
fonda
tuttavia
all’interno
di
una
concezione astratta e formale del razionale; la ragione si identifica
pertanto, in questo contesto, con una sorta di mistica raziocinante,
incarnando così un concetto limite capace di cogliere la totalità
dell’esperienza, facendo leva su quella profondità del pensiero, il
Tiefsinn appunto, che rimanda ad un orizzonte di senso determinato,
in
modo
del
tutto
esplicito,
da
un
riferimento
essenzialmente
teleologico. Il telos espresso dalla profondità del pensiero arguto, che
guida e dirige la ragione verso l’unità opposta alla dispersione caotica
148
Cfr. Ivi, v, pp. 172-173.
170
presentata dallo sguardo ingenuo sulla molteplicità, rinvia ancora una
volta al concetto di teodicea estetica.
Tornando ora al concetto di arguzia, inteso come la possibilità di
istituire, per mezzo di un uso metaforico del linguaggio, paragoni e
confronti, è possibile, seguendo lo stesso Jean Paul, distinguere tra
una arguzia riflessiva e una arguzia figurata.
L’arguzia riflessiva, detta anche arguzia non figurata, declina il
proprio svolgersi nell’ambito della retorica, prescindendo da ogni
riferimento alle immagini, in quanto si muove a partire dalle regole
implicate dalla logica, anche se all’apparenza pare trasgredirle per
mezzo delle figure retoriche della sineddoche e della metonimia, le
quali, d’altra parte, pur sembrando di fatto infrangere la logica,
presuppongono sempre il riferimento a determinati contenuti logici.
L’esercizio dell’arguzia riflessiva non è tuttavia privo di valore, anzi,
al
contrario,
è
possibile
affermare
che
svolge
una
funzione
esplicitamente propedeutica nei riguardi dell’arguzia figurata, in
quanto ne allena il pensiero in direzione di quella flessibilità
necessaria ai fini del suo stesso realizzarsi.
171
L’arguzia figurata, invece, si identifica con quella particolare facoltà
umana che è stata precedentemente descritta attraverso la propria
vicinanza con il linguaggio metaforico guidato dalla fantasia, la quale,
a sua volta, permette, col realizzarsi del telos razionale che la percorre,
di porre le basi per l’armonizzazione del rapporto tra il mondo reale
ed il mondo ideale, tagliando così la radice stessa di quel pericoloso
dualismo
-
anima-corpo,
interno-esterno
e
finito-infinito
-
presupposto, sempre secondo Jean Paul, dalle forme degenerate di
poesia, incarnate, in modo del tutto esemplare, sia dalla poesia
materialistica che da quella nichilistica. L’attacco diretto di Jean Paul
nei confronti della poesia materialistica e nichilistica comporta, allo
stesso tempo, una chiara ed irrimediabile avversione nei riguardi della
filosofia fichtiana, la quale, attraverso la propria particolare forma di
idealismo
trascendentale,
giustifica
e
fissa,
in
maniera
incontrovertibile, una visione dualistica e scissa della realtà.
Il riferimento jeanpauliano alla fantasia non deve però lasciar spazio
ad
una
lettura
disincarnata
e
derealizzante
dell’agire
poietico
dell’artista 1 4 9 . L’arte, infatti, non crea e non riflette un mondo vuoto in
149
Wiethölter, in questa pagina che riportiamo, si è espresso sulla relazione tra
Witz e Phantasie: “Der Witz ist der Produkt der Phantasie: „Wie an dem unbildlichen
172
quanto privo di luce propria. Il pensiero dischiuso dalla poesia è
pertanto un pensiero, secondo Jean Paul, reale e concreto, tanto da
esser in grado di offrire nuovo spessore e nuovo senso al mondo
dell’uomo. La realtà, così come ci è offerta da una visione del mondo
dischiuso della sensibilità, è effettivamente uno spazio dell’esistenza
più arido e più povero dell’orizzonte di senso dischiuso dalla teodicea
estetica e dall’armonia prestabilita ricercata dall’arte. La fantasia e la
Witze der Verstand, so hat am bildlichen die Phantasie den überwiegenden Anteil […]
“ (V 182). Grundsätzlich gilt das für den beseelenden; denn in beiden Fällen bedarf es
der
Vermittlung
zwischen
Inkommensurablem,
und
nur
ein
ausgeprägtes
Vorstellungsvermögen vermag die Idee in sinnliche Gestalt umzusetzen bzw. die
diversen Dinge als Zeichen eines Geistes zu deuten. Indes bringt erst letzteres die
Phantasie voll zur Transzendenz bestimmt. In Anlehnung an die traditionelle
Vermögenslehre sind beide, Witz und Phantasie, Seelenvermögen, doch übersteigt die
Phantasie, wenngleich sie sich >>leicht zum Witz einbükken<< (V 200) kann, die
witzige Potenz die weitem. Sie bildet das Zentrum aller Vermögen: „sie ist die Weltseele der Seele und der Elementargeist der übrigen Kräfte; darum kann eine gro ße
Phantasie zwar in die Richtungen einzelner Kräfte, z. B. des Witzes, des Scharfsinn u.
s. w., abgegraben und abgeleitet werden, aber keine dieser Kräfte lässet sich zur
Phantasie erweitern“ (V 47). Ist der Witz das >>spielende Anagramm der Natur<<, das,
Geist und Körper tauschend, ihre Ordnung stört und sie mutwillig zum rätselhaften
Vexierbild macht, so die Phantasie >>das Hieroglyphen-Alphabet derselben, wovon sie
mir wenigen Bildern ausgesprochen wird<< (v 47). Phantasie deutet die Natur,
übersetzt deren Chiffren und vermittelt sie im Medium einer ästhetisch modellierten
Sinnlichkeit auf ihre eigene, sonst verhüllte Bedeutung hin . In diesem Sinne, als
produktive, die Endlichkeit transzendierende >Kräfte<, sind Phantasie und Poesie
identisch„ (W. W I E T H Ö L T E R , Witzige Illumination: Studien zur Ästhetik Jean Pauls, Max
Niemeyer Verlag, Tübingen 1979, pp. 139-140).
Conclusioni
LA POESIA ROMANTICA
Il presente lavoro è stato volto a delineare la struttura dell'estetica
elaborata da Jean Paul (Johannes Paul Friedrich Richter) all'interno
della sua Vorschule der Ästhetik, prendendo inoltre in considerazione
alcuni dei suoi romanzi, al fine di evidenziarne i concetti fondamentali
cercando poi di esaminarli e ridiscuterli anche alla luce del contesto
storico-culturale
di
riferimento
nonché
della
letteratura
critica
successiva.
Anzitutto si è trattato di mostrare quale sia, secondo Jean Paul,
l'essenza della poesia romantica, definendola inizialmente secondo
una via negativa esplicitandone le differenze rispetto alla poesia
antica, a quella nichilistica e a quella materialistica. Ci si è quindi
occupati di delineare positivamente ciò che caratterizza la poesia
romantica, attraverso i concetti di genio e immaginazione e di ironia e
arguzia che in essa risultano centrali.
176
L'estetica di Jean Paul, così come
viene delineata nella sua
Propedeutica all'estetica, i cui tratti salienti si inverano d'altra parte
anche nei personaggi dei suoi romanzi, si propone di caratterizzare
l'intima essenza della poesia romantica, quale punto più alto della
poesia
moderna,
che
consta
di
altri
due
aspetti:
la
poesia
materialistica, che esaspera l'atteggiamento mimetico proprio della
poesia antica, e la poesia materialistica, che invece pretende di farne a
meno operando solo attraverso l'uso della fantasia. Il Romanticismo,
per Jean Paul, incarna dunque non esattamente l'essenza della
modernità, bensì la sua possibilità più propria, il compito verso cui
essa deve tendere al fine di proporre un modo nuovo di relazionarsi al
mondo che non si limiti a scimmiottare la lezione degli antichi ma che,
al tempo stesso, prenda le distanze dalla folle pretesa nichilistica,
incarnata ad esempio dall'idealismo, di creare da sé il mondo ex nihilo
attraverso l'uso sregolato della fantasia. La forza del romanticismo
deve consistere, in ultima analisi, nel saper calibrare la fantasia
rifuggendo dagli eccessi che in essa attraggono, al fine di avvalersi di
una facoltà nuova, nata dall'equilibrato connubio di fantasia e
imitazione. L'essenza del romanticismo si fonda dunque nel concetto
di genio, che opera attraverso l'immaginazione; Jean Paul ci insegna
che il genio è anzitutto armonia: “armonia di facoltà diverse”,
equilibrio tra mimesis e fantasia, tra mondo antico ed età moderna, che
sa rendere attuale il principio dell'arte greca della “bella imitazione”
della natura, dando in questo modo vita ad un nuovo mondo, ad una
nuova natura modellata sì su quella già di per sé esistente, di cui è
177
però stato selezionato solo ciò che in essa vi è di bello, così da creare
una copia che sia più ricca del modello. Scopo dell'arte romantica, e
del genio che in essa opera, è quindi quello di portare ad una
intuizione nuova del mondo o della vita. Altro aspetto caratteristico
della poesia romantica, in cui il genio si manifesta quale equilibrio
delle diverse facoltà, è l'ironia, concetto chiave delle riflessioni
filosofiche ed estetologiche del Romanticismo. L'ironia, di cui Jean
Paul offre una dettagliatissima tassonomia attraverso un'attenta
disanima degli aspetti principali in cui essa si manifesta, dal comico
all'umorismo all'arguzia, trova proprio in quest'ultima la sua essenza
più profonda: l'ironia romantica si concentra infatti, a detta di Jean
Paul, proprio nel Witz (arguzia o motto di spirito), ossia in quella
capacità di instaurare nessi e paragoni tra concetti che apparentamente
non mostrano somiglianze. La forza dell'arguzia consiste dunque
nell'istituire nuovi orizzonti di senso, nuovi mondi che nascono nel e
dal linguaggio attraverso la sua forza originaria di creare nuovi nessi
tramite l'uso della metafora. Attraverso l'esercizio dell'arguzia il
linguaggio dà luogo ad una vera e propria arte combinatoria che
coniuga aspetti della realtà apparentemente non correlati tra di loro.
Questa dunque la grande potenzialità dell'arte romantica, che non si
limita a imitare la natura ma che, d'altro canto, non deve far uso
sfrenato della fantasia: attraverso quell'armonia che è il genio essa
deve, di contro, saper modulare la facoltà dell'immaginazione dando
vita a nessi sempre nuovi che nella natura sono latenti, in attesa di
poter emergere ad opera del poeta e del suo linguaggio. Di qui dunque
178
l'incommensurabile valore della poesia e del pensiero poetico, che sa
concretamente offrire e dischiudere nuovi sensi al mondo e alla vita
dell'uomo.
La poesia non deve, con fatica miserevole, “spremere la primavera
da zolle e tronchi, leccando via una crosta di neve dopo l’altra e
strappando erba su erba”; piuttosto essa deve essere “la nave volante
che da un inverno tempestoso d’un tratto ci trae su di un mare
placido, dinanzi a una costa in piena fioritura ” .
Il mondo viene visto dalla poesia come se fosse una realtà esterna e
lontana, in quanto il genio-poeta si pone, attraverso un particolare
atteggiamento del suo sguardo, “in un inverno tempestoso”, dove,
portando su di sé il peso del negativo, è possibile cogliere la bellezza
stessa la realtà. La poesia deve quindi condurre all’armonia, a partire
da una dimensione interiore, rappresentata dalla “nave volante”, per
poi dirigersi verso un mondo primaverile e ricco degli aspetti varianti
e cangianti della vita. Il gioco interno-esterno degli opposti io-mondo
permette a Jean Paul quella mediazione del tutto particolare con la
realtà che era invece preclusa all’arte greca, dove l’io dell’artista
veniva a dissolversi nell’opera, lasciando spazio alla sola oggettività
plastica specchio di un sereno mondo ultraterreno.
In quest'ottica, il Cristianesimo è ciò che spezza l’incanto greco
attraverso l’insorgere dell’angusto lamento [enge Klage], che mette a
179
tacere la gioia dell’Essere infinito celebrata dall’arte classica. La
spaccatura
provocata
dal
Cristianesimo
conduce
l’arte
verso
il
materiale e l’unilateralità dell’accidente, senza però fermarsi di fronte
a questa stessa dimensione corporea, ma, al contrario, usandola come
punto di leva per rovesciare il proprio sguardo nell’infinito; dal
momento che è proprio dalla spaccatura tra gli opposti io-mondo,
finito-infinito, dolore-gioia e morte-vita che è possibile il prodursi
appunto di quel sentimento dell’infinito, dove l’arte, a partire dalle
oscurità segrete dell’io, può condurre il poeta verso un mondo
trascendente, inteso come figura di un ordine prima del tutto
disperato.
Il senso dell’infinito del romanticismo, inteso come vera e propria
arte del Cristianesimo, si muove quindi dal particolare con il compito
di portarlo in direzione di una redenzione estetica, conducendolo cioè
verso l’universale oltre il mondo della semplice materia bruta.
L’attenzione al senso dell’infinito è volta così a superare ogni lettura
in chiave esclusivamente materialistica dell’uomo; in questo modo
l’ideologia del materialismo è superata intendendo il particolare e il
materiale esclusivamente come espressione del finito, il quale, a sua
volta, acquisisce un proprio orizzonte di senso solo nella misura in cui
è ordinato dallo Spirito. Nella poesia la stessa opera armonizzante
dello Spirito si produce attraverso un processo che si declina per
180
gradi,
sforzandosi
costantemente
nel
superare
il
principio
di
individuazione in direzione del suo opposto, il generale, il quale
rappresenta la dimensione della bellezza e delle idee-modello.
La dimensione contraria alla individuazione, caratteristica del
particolare concreto, ricorda quindi il mondo delle idee platoniche,
che, attraverso il lavoro dell’arte, rappresentano quella forza in grado
di condurre l’uomo verso la nuova armonia del migliore dei mondi
possibili. Le stesse idee, in quanto espressione di un modello
sovrasensibile, conducono l’arte e l’etica a toccarsi; infatti, lo stesso
Jean Paul afferma in modo del tutto esplicito che “il culmine
dell’eticità e il culmine della poesia si perdono in una sola altezza
celeste”.
L’arte come specchio del migliore dei mondi possibili è definita,
nell’ultima sezione della stessa Vorschule, come poetische Poesie, la
quale si definisce per opposizione rispetto alla Poesie der Poesie di
Schlegel, che presuppone invece un chiaro contatto con la filosofia
fichtiana, rispecchiandone sia i dualismi che l’ostentata fiducia nel
ruolo dell’io. Jean Paul, d’altra parte, rifiuta esplicitamente il concetto
di Poesie der Poesie, poiché, dato l’influsso fichtiano, i due termini che
lo
compongono
sono
in
chiaro
e
aperto
contrasto
tra
loro,
rispecchiando così una delle molteplici opposizioni che si possono
generare seguendo fedelmente il paradigma espresso dal pensiero
181
dello stesso Fichte. La posizione fichtiana, infatti, viene apertamente
criticata da Jean Paul nella Clavis, dal momento che, pretendendo di
risolvere l’universo nell’io, finisce col condurre l’uomo verso un
solipsismo vuoto di determinazioni concrete e di realtà. L’esercizio di
una poesia condotta in base a presupposti fichtiani si lega, secondo
Jean Paul, ad una arte specchio del nichilismo, diventando così
soltanto una fredda immagine capace di riflettere, in modo debole e
vuoto, esclusivamente delle indefinite modulazioni della luce prive di
forma. All’arte nichilista manca quindi la forza di condurre le proprie
riflessioni verso una reale forma; Jean Paul, infatti, concentra le
proiezioni dell’io in direzione del manifestarsi di Gestalten, di figure,
intese nella forma di centri di forza su cui l’equilibrio della teodicea
dell’arte deve innestarsi, tendendo così verso il migliore dei mondi
possibili. Le figure dell’arte, in quanto modello di armonia conquistata
dalla forza ordinatrice dello Spirito, rovesciano il gioco dell’arte nella
serietà del modello ideale; l’illusione deve quindi aver la forza di farsi
idea, portando così il proprio giocare a conclusione – il punto più alto
dell’arte arriva, ancora una volta, a coincidere con la dimensione etica
dell’uomo.
182
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Mitarbeit von Janina Knab; Vita-Buch hrsg. von Winfried Feifel. Weimar: Bohlaus Nachfolger, c1996.
- 6.2 Dichtungen, Merkblatter, Studienhefte, Schriften zur Biographie,
Libri legendi: Apparat / Jean Paul ; hrsg. auf Veranlassung der
Deutschen Schillergeselllschaft Marbach am Neckar von Gotz Muller
; unter Mitarbeit von Janina Knab ; Vita-Buch hrsg. von Winfried
Feifel. - Weimar : Bohlaus Nachfolger, c1996.
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Marbach am Neckar von Gotz Muller unter Mitarbeit von Janina
Knab. - Weimar: Bohlaus Nachfolger, c1999. -...
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Propedeutica