LA CRITICA AI SISTEMI FILOSOFICI PRECEDENTI ED AL PRINCIPIO DI IDENTITA’: Premessa storica: Prima di Hegel, per dialettica si intendeva l’iter dell’intelletto o della ragione dal finito all’infinito, al trascendente che, per Kant, rimaneva un termine di riferimento tanto imprescindibile quanto irraggiungibile. Prima di Hegel, inoltre, il procedimento dialettico aveva carattere puramente logico-conoscitivo: la metafisica ne costituiva il punto di arrivo, la realtà, in quanto espressione del mutevole ed imperfetto, ne rimaneva escluda o, al più, ne poteva costituire il punto di partenza; se consideriamo la dialettica come processo di avvicinamento all’immutabile, all’essere in quanto essere, essa è quindi procedimento che si esaurisce con il raggiungimento del fine. Infatti, nessun genere di movimento può riguardare il fondamento (cfr. l’Atto puro, o causa prima incausata, il Motore immobile, di aristotelica memoria). La dialettica hegeliana A partire da questa breve premessa, vediamo come Hegel si accinga ad elaborare la sua filosofia, eminentemente - ed in certo qual modo rivoluzionariamente - dialettica, e quali siano gli intenti che lo muovono. Innanzi tutto, egli si propone, in pieno accordo con il già citato “bisogno” della filosofia, di elaborare una teoria filosofica che abbia le caratteristiche di incontraddittorietà (che non possa prestare il fianco a critiche riguardanti il rigore del ragionamento), incontrovertibilità (che non possa in alcun modo essere negata, che escluda qualsivoglia ulteriore precisazione). Per conseguire questo risultato, è necessario che la filosofia abbia un carattere scientifico e sistematico, che non tralasci di considerare alcunché: solo in tal modo sarà possibile pervenire alla comprensione del reale, senza sacrificare l’universale al particolare, o viceversa. A partire da tali premesse, risulta chiaro come lo scopo della filosofia hegeliana sia quello di porsi come un tutto organico: tutto, in quanto nulla deve rimanere escludo dal processo di speculazione e comprensione dello svolgimento dialettico del reale (che è nel contempo espressione del razionale, come vedremo); organico, in quanto, come in un organismo, ogni funzione deve avere il proprio posto e la propria importanza. organo del filosofare è quindi il concetto, non l’intuizione ( Fichte e dal romanticismo in genere), in quanto quest’ultima - anche nel caso riuscisse ad giungere alla verità - non sarebbe mai comunicabile ad altri, mentre la comunicazione è possibile per mezzo dei concetti. <<Il filosofo può sperare di conoscere e far conoscere la verità esclusivamente dimostrandola>> (Hegel, Fenomenologia dello spirito) Proprio a partire da tale premessa, muove la critica di Hegel alla soluzione proposta da Fichte: egli infatti concepisce l’Assoluto come pura soggettività libera e in grado di produrre il molteplice. Tuttavia, la scoperta dell’Io Puro non consegue ad una razionale dimostrazione, ma consegue alla trasformazione dell’intuizione dell’identità immediata dell’Io in fondamento; inoltre, la produzione del molteplice (il non-Io) da parte dell’Io puro altro non è che un processo all’infinito che si riproduce continuamente (cattivo infinito), senza superamento delle contraddizioni. Per Hegel, invece, l’Assoluto deve essere dimostrato, non presupposto, e le determinazioni devono mantenere il loro grado di realtà affinché il sistema filosofico non possa prestare il fianco ad alcuna obiezione (sia, cioè, incontraddittorio ed incontrovertibile). A questo punto non si può fare a meno di esaminare l’atteggiamento di Hegel nei confronti del principio di identità e non-contraddizione. La posizione hegeliana nei confronti del principio di identità e non - contraddizione è la seguente: le proposizioni del principio di identità non sono valide se non in relazione alle proprie contrarie considerare il principio di identità come un principio formale, una verità di ragione con valore assoluto, è per Hegel un’evidente contraddizione. Difatti un principio formale non ha in sé alcuna valenza onnicomprensiva. Per Hegel, l’identità è un principio relazionale, è un rapporto, ed in un rapporto si devono connettere termini diversi. Dire, pertanto, che A=A equivale, per Hegel, a non avere nulla da dire, in quanto si tratta di una pura tautologia. Poiché, tuttavia, niente può esser dato senza dimostrazione, anche l’affermazione che ogni identità contiene la diversità deve essere dimostrata: a. in un primo momento, si considera la presenza nell’identità del proprio opposto. Affermare A =A, equivale a dire che A non è non A specificando il generico riferimento a “non A” A = non b,c,d,... l’identità sussiste ancora come sottofondo (evidenziato dal permanere del segno =) e la differenza, il generico non A, si esplicita in senso negativo generale (A non è b,c,d,..., in quanto il significato generale di A non coincide con nessuno dei diversi significati particolari, così come il numero “5” non coincide con nessuno dei numeri primi che ne compongono la somma) b. tuttavia, i molteplici significati di A, che non coincidono interamente con A stesso, possono, mediante l’oggettivazione, la negazione, venir riconosciuti come - di volta in volta - uno dei molteplici significati di A A=nonA=A A si ritrova come diverso da se stesso, non da altro in generale, ma dal suo altro (A=A)=(A=nonA) In altri termini: solo attraverso la conoscenza di non A possiamo affermare A; solo attraverso il falso si ha la determinazione del vero e così via. MA: il vero non è il falso di nulla si può dire che è assolutamente positivo e di nulla che è assolutamente negativo. Tutto contiene in sé altrettanto di negatività e di positività, altrimenti non si darebbero significati di alcun genere. LO SCHEMA DELLA SCIENZA DELLA LOGICA: La logica in Hegel indica la struttura dell’intero, in quanto pensare ed essere coincidono. “Oggetto della logica sono dunque i principi, le strutture che stanno a fondamento delle realtà concrete offerte dall’esperienza. Si capisce quindi che la logica si identifichi con la metafisica, che è appunto lo studio dei principi primi della realtà” (S. Vanni Rovighi). Nella logica quindi il pensiero, realizzando se medesimo, realizza il proprio contenuto, pertanto la struttura della logica hegeliana si realizza in un processo dialettico a sviluppo triadico che si articola in essere, essenza, concetto. Posizione:Essere L’essere è inteso come momento dell’identità che deve essere negata attraverso il suo opposto, ossia il nulla. Ma anche la negazione non risulta significativa se non rimanda all’altro da sé, se non viene negata nel processo di negazione di negazione. La riassunzione sintetica non potrà dunque essere che il divenire, sintesi di essere della permanenza (posizione) e non essere (negazione), e pertanto momento in cui la negazione non è più fuori, ma all’interno dell’identità. Il divenire implica, però, qualcosa che diviene e il mutamento è possibile solo se vi è qualcos’altro rispetto al quale qualcosa diviene e qualcos’altro non è qualcosa. Ciò rimanda all’essenza come essere costitutivo e permanente, come ciò che permane nel mutamento e gli conferisce significato, distinguendo, nel contempo, qualcosa rispetto all’altro da sé. Negazione:Essenza: L’essenza è, rispetto all’essere, il momento negativo in quanto ne spezza l’identità assoluta per frammentarlo nei molteplici essere costituiti dalle essenze particolari. Anche in questo caso, s’intende, il momento negativo va superato (negato) e sussunto nella sintesi concettuale. Negazione di negazione (superamento):Concetto: Il concetto è inteso, in questa parte del sistema hegeliano, non come concetto di, in quanto lo spirito non è ancora sorto, ma come pura intelligibilità, come condizione della pensabilità astratta del reale. Il concetto, in questa sede, è <<...la pura attività unificatrice del dato, quella che costituisce l’oggetto come oggetto, ossia come intelligibile....Come concetto puro...è universale, ma il concetto deve determinarsi, deve essere l’intelligibilità di questo e di quello e perciò farsi particolare ed individuo. Il giudizio esprime la coincidenza dell’individuo con l’universale, il giudizio infatti consiste nel trovare un concetto che illumini un dato, che faccia capire che cosa è un dato...ma la razionalità del reale non deve essere semplicemente asserita come frutto di un’intuizione intellettuale o di una fede; dev’essere dimostrata>> (ib.) Con il concetto dunque, l’idea torna in sé e per sé, riassume e riprende l’altro da sé come proprio e intelligibile. SCHEMA DELLA SCIENZA DELLA LOGICA essere Essere nulla qualcosa divenire qualcos’altro altro da sé IDEA Essenza Concetto IL SISTEMA HEGELIANO Guida allo studio Premessa 1. Alienazione: Alienazione ha un significato, primariamente, giuridico: vuol dire la vendita o cessione di un bene ad altra persona. Nella filosofia idealistica tedesca il temine è stato adoperato per indicare il processo per cui l’Io (in Fichte), oppure l’Idea o lo Spirito (in Hegel), escono fuori di sé, si alienano, per dare vita al mondo oggettivo della natura, della storia e delle istituzioni, il quale acquista così un’esistenza apparentemente autonoma. Per quanto riguarda queste entità (Io, idea, Spirito) che escono fuori di sé, si parla perciò anche di una loro autoalienazione. In Hegel quest’uso filosofico - metafisico e idealistico del concetto di alienazione comincia ad affacciarsi soltanto a partire dagli scritti del periodo di Francoforte. Nel periodo di Berna l’alienazione è ancora quella che l’uomo subisce ad opera di corpose realtà socio - materiali di fatto, che gli si oppongono come a lui totalmente estranee (cfr. l’analisi delle due differenti accezioni di coscienza infelice proposte negli scritti giovanili e nella Fenomenologia) . Per vincerle, e riappropriarsi dei propri valori umani autonomi, sono dunque necessarie all’uomo azioni materiali, socio - politiche, molto concrete. Non appena subentrerà in Hegel la concezione filosofico idealistica che l’alienazione è un’autoalienazione, lo strumento per togliere e superare l’alienazione non sarà più una concreta azione pratico - materiale, bensì un’operazione affidata essenzialmente al pensiero filosofico(cfr. il bisogno della filosofia): propriamente anzi quel sistema filosofico particolare che Hegel viene costruendo. Il termine alienazione ha affinità con quello di estraneazione, che però indica qualcosa di più. Oltre ad alienazione c’è estraneazione quando una cosa, dopo averla noi alienata, ci si pone di fronte come una potenza estranea, ostile o comunque non più controllabile. Ciò avviene ogni qualvolta i prodotti dell’attività materiale umana ( in particolare i rapporti sociali, le istituzioni politiche e giuridiche e le ideologie) non soltanto assurgono di fatto a dominatori di chi li ha creati, ma assumono tale carattere di potenze estranee e dominatrici anche nelle rappresentazioni e credenze soggettive. I termini di alienazione ed estraneazione hanno avuto, dopo Hegel, una larga diffusione nel pensiero filosofico, da Feuerbach a Marx fino alle correnti esistenzialistiche. Sono stati adoperati per definire le situazioni di smarrimento dell’uomo di fronte a un mondo, sia materiale che spirituale, che gli appare estraneo e ostile. Le indicazioni su come superare quest’estraneità e ostilità dipesero poi, naturalmente, dagli orientamenti specifici di ognuno di quegli indirizzi di pensiero.>> (AA.VV., Storia delle filosofie, Firenze 1988, p.67) .Il concetto di alienazione risulta fondamentale per la comprensione della dialettica hegeliana, ossia del movimento nel contempo reale e razionale che sottende e sovrintende al Tutto. 2. Dialettica: Hegel non è il primo, nella storia della filosofia, ad aver parlato di dialettica. Il termine deriva dal greco dialektichè techne, arte del discutere, del dialogare. Nella discussione c’è opposizione e diversità di punti di vista, ma l’obiettivo è un accordo, una sintesi delle posizioni contrapposte. Nella storia successiva del pensiero il termine ha assunto altri significati. In Platone, oltre ad indicare la capacità di condurre un ragionamento fortemente logico, la dialettica significava anche fare attenzione al legame reciproco che esiste, nella conoscenza, fra universale e particolare. La sua era una dialettica diadica, cioè di due termini, nel senso che gli interessava appurare, quando si trattava di definire una cosa, il rapporto che dentro quella cosa sussiste tra le idee generali dell’essere e del non-essere, il fondamento logico per cui di una cosa si può dire che essa è questo o quello in opposizione e distinzione a tutto ciò che essa non è. In Aristotele la dialettica venne presa in un senso peggiorativo, intesa cioè come un ragionamento condotto con sottigliezze artificiose e inutili. Per Kant era essenzialmente l’insieme delle contraddizioni in cui la mente umana incorre quando discute di cose su cui essa non può decidere, cioè di cose che esulano dal campo dell’esperienza. In Hegel la dialettica è invece una concezione generale del mondo, secondo la quale le cose, quelle della natura non meno che le forme del pensiero, si muovono e si trasformano e si sviluppano in virtù di opposizioni. Solo dopo l’utilizzazione che ne fece Hegel, il termine dialettica è entrato nel linguaggio comune come sinonimo, in senso molto generico, di un pensiero non rigido, non fisso, il quale cioè è in grado di individuare, nella realtà, antagonismi, tensioni e conflitti. Per Hegel la dialettica è costitutiva della ragione umana in quanto questa riproduce nel pensiero le opposizioni che si danno oggettivamente nella realtà. La caratteristica della dialettica hegeliana è di essere triadica, cioè di tre termini. Ogni concetto nuovo che sorge dall’opposizione di due precedenti “....è superiore e più ricco”, è l’unità di entrambi, come Hegel dice ripetutamente. Per descrivere questo ritmo triadico è invalso chiamare il primo termine tesi, il secondo antitesi e il terzo sintesi. In realtà è più corretto adoperare una terminologia che lo stesso Hegel preferiva: il primo momento della triade è la posizione, dove un concetto è soltanto posto, ovvero enunciato nella sua forma astratta, quasi esso possa essere autosufficiente di per sé, senza riferimento al suo opposto; il secondo momento è la negazione di quel primo concetto operata contrapponendogli il concetto opposto che viene preso anch’esso, dapprima, come se potesse essere del tutto indipendente; il terzo momento è la negazione della negazione, ovvero la negazione che l’uno e l’altro concetto possano sussistere separati. Dunque (due negazioni avendo per risultato un’affermazione, ma questa volta a un livello superiore) viene affermata come sottolinea un passo già all’inizio della Scienza della logica, “’unità di quel concetto e del suo opposto”, la quale è un superamento delle due opposte unilateralità” (AA.VV., op. cit., p.79) La filosofia della natura “La filosofia della natura di Hegel ha due caratteristiche. Per un verso vi confluirono estese conoscenze di scienza naturale che Hegel possedeva. Queste gli dettarono considerazioni in parte assai moderne: ad esempio la correlazione delle forze (gli effetti termodinamici del movimento meccanico, ecc.); l’intuizione che in qualche modo materia e movimento sono uniti; una dottrina dell’organismo vivente il quale ha (ad esempio nel rapporto seme-pianta) un finalismo dovuto a cause non trascendenti, di intervento divino, ma immanenti; l’idea, concettualmente generalizzabile a partire da fenomeni che avvengono in chimica, che cambiamenti quantitativi si ribaltano d’improvviso in cambiamenti qualitativi. Il patrimonio di scienza naturale della tradizione settecentesca, di Newton e Linneo, venne conglobato in un sistema il cui connotato principale era che la natura possiede un movimento ad essa immanente, riguardo al quale sarebbe del tutto scorretto considerarlo come una manifestazione di un disegno provvidenziale divino. Era stata la filosofia romantica a dichiarare che la natura, in quanto segno fisico di Dio, sarebbe veicolo per eccellenza attraverso cui cogliere, nel finito, le vestigia dell’infinito1. Contro un simile modo di intendere la natura Hegel ha sempre protestato2. L’altro aspetto della filosofia della natura di Hegel dipende dall’impostazione idealistica di essa, dal fatto che egli concepisce la natura come un prodotto dell’Idea. Ne vengono due conseguenze entrambe negative e che rendono la filosofia hegeliana della natura, nel suo complesso, molto arretrata rispetto ai progressi delle scienze naturali. In primo luogo i fenomeni della natura sono per Hegel una ripetizione, in forma esterna, sensibile, delle astrazioni della logica, con l’aggravante che, risiedendo la verità vera soltanto nell’idea, l’esteriorità che la natura ha rispetto all’idea costituisce una mancanza, un difetto della natura che va tolto. Proprio per questo motivo il sistema della natura viene costruito da Hegel secondo una sequenza di gradi (dal movimento puramente meccanico-astratto degli astri fino alla fisica dei corpi individuali e poi ai processi della vita organica) che fin dall’inizio sono programmati dal filosofo per farne scaturire in ultimo, all’apice del regno animale con cui culmina la fisica organica, l’Io umano che con la sua attività autocosciente riprende possesso della natura. In secondo luogo la sequenza di quei gradi ha per Hegel soltanto una necessità filosofica, non uno svolgimento nel tempo. Non la natura, ma soltanto lo spirito ha una storia. Perciò Hegel rifiutava in blocco, per pregiudizio metafisico, l’intera dottrina evoluzionistica della natura da forme inferiori a superiori, per lui una “rappresentazione nebulosa”, da escludere “del tutto dalla considerazione filosofica”. Così come Hegel stesso afferma “La natura è l’Idea come il suo esser altro”, è l’oggettivarsi dell’Idea, dell’Assoluto astratto, il cui scopo consiste solo nel porre le basi del ritorno dello Spirito in sé e per sé, del superamento che ha inizio con la natura organica e la comparsa di quella metamorfosi del corpo vivente che si conclude e si compie nell’individuo umano e nella conseguente comparsa del tempo e della storia, nella ripresa delle tematiche profondamente hegeliane che abbiamo già conosciuto nella Fenomenologia e che trovano il loro compimento maturo nello Hegel dei 1 A tale proposito, si ricordi la concezione del genio creatore come espressione della divina capacità creatrice, proposta da Goethe, massimo esponente della poetica romantica tedesca. 2 Confermandosi come voce autenticamente laica e, nel contempo, confermando il proprio profondo interesse per il mondo storico-sociale che emerge dalla natura configurandosi come processo di riconduzione degli opposti ad una sintesi superiore, ma certamente mai trascendente, nella quale particolare ed universale si riconoscono reciprocamente nella storia e possono essere compresi dalla filosofia (anch’essa vista nella propria evoluzione storica) come espressione della corrispondenza di reale e razionale o come manifestazione del Dasein, dell’esserci, inteso a sua volta come perdita di senso in quanto identità ormai priva di consapevolezza, che deve, pertanto, venir spezzata e superata. Lineamenti della filosofia del diritto. In questo senso “La natura è l’eterno passato dello spirito, e l’emergenza di quest’ultimo non è un progresso che si compie in seno alla natura, ma un progresso dell’Idea, che attraversa la natura e la supera per realizzarsi spiritualmente nell’uomo.” (G. De Ruggiero) In breve: secondo Hegel, la natura comincia col quantitativo, non col qualitativo, con l’inerzia della materia intesa come persistenza nel riposo o nel movimento, con la meccanica. Il passaggio successivo propone, nella fisica, la categoria della qualità, da intendersi in senso chimico inorganico, il cui compimento si attua nella natura organica, sintesi di materia quantitativa e qualitativa da cui emerge la materia cosciente, che trova la propria massima espressione nell’individuo umano come emergenza dello Spirito, inizio della riconduzione dell’Idea in sé e per sé. Nell’uomo si compie il ritorno dell’Idea su se stessa...Ma anche questo ritorno ha varie fasi: una soggettiva, in cui l’Idea emerge a poco a poco nel soggetto umano; una fase oggettiva in cui la libertà, per l’impulso dell’Idea che la sospinge, rompe il circolo chiuso della soggettività individuale e si impegna nella vita collettiva, fondando i rapporti del diritto, della moralità, dell’eticità, della storia; una fase assoluta in cui questa esperienza mondana si eleva al sopramondo e, nell’arte, nella religione, nella filosofia, trova il suo naturale compimento. Con lo spirito soggettivo, con la negazione del momento antitetico della natura, lo Spirito è pronto a ritornare in se stesso, cosciente del fatto che la natura stessa, come suo momento negativo, è parte integrante del proprio sviluppo. Lo Spirito torna così all’identità, non più tautologica, ma significante e incontraddittoria, in quanto contiene e riconosce in sé come proprie le contraddizioni e, superandole, mediante il processo di negazione di negazione, può riaffermare la propria piena identità consapevole. Ma vediamo meglio, sia pur schematicamente, la dialettica dello spirito soggettivo, che costituisce il momento iniziale del ritorno dello Spirito in sé e per sé: 1. Il primo momento, l’antropologia, indica l’apparire dello spirito nella materia, ossia nel soggetto empirico. Come si è già visto nella Fenomenologia, in questo primo momento l’individuo è capace di conoscere e sentire, ma non è consapevole di sé come soggetto che conosce e sente. Tale fase viene da hegel paragonata all’infanzia, momento in cui l’autocoscienza non è ancora emersa. 2. Negazione dell’identità antropologica è la fenomenologia (da Hegel paragonata all’adolescenza intesa come emblema della scoperta di sé). Nella fenomenologia, l’identità soggetto/oggetto si spezza e l’individuo si fa oggetto a sé, si assolutizza nella sua acquisita identità autocoscienziale, si contrappone al resto del mondo riproponendo la dialettica servo-padrone che Hegel ripropone tal quale in questa sezione dell’Enciclopedia. Solo, nel senso dell’autoriconoscimento di sé come autocoscienza, l’adolescente si pone come altro (autentico) rispetto al mondo, non riconosce altra autocoscienza che non sia la propria, nega l’altro da sé per affermare se stesso come il negativo del mondo che ha faticosamente separato da se stesso. 3. Solo nel superamento della psicologia, l’individuo acquista la piena consapevolezza di sé e si riconosce autenticamente libero di conoscere ed agire solo nella conciliazione della propria libertà con la libertà dell’altro. Lo spirito oggettivo, negazione dell’identità individuale che ha appena acquisito piena coscienza di sé, è la conciliazione delle molteplici soggettività libere la consapevolezza che la “mia” libertà sussiste solo se io riconosco nell’altro la stessa soggettività libera che attribuisco a me, se sono in grado di conciliare e riconoscere gli altri non come totalmente diversi, bensì come aspetti differenti del mio stesso esser autocoscienza libera, come altro da me che, nel contempo, mi rispecchia e mi consente di riconoscermi (e di esser riconosciuto) come soggetto libero. Lo spirito oggettivo “..è la civiltà, è ciò che si fa storia...è la realizzazione della libertà, e la libertà è l’unità del volere razionale col volere singolo; non è dunque l’arbitrio, ma è la volontà che si adegua a ciò che prescrive la ragione, ossia la legge. Si capisce quindi che la libertà si realizzi nel diritto”. Nel momento iniziale in cui lo spirito soggettivo si riconosce come volontà libera, tale volontà è solo impulso e desiderio che rende l’uomo schiavo delle cose – da - fare, delle cose –da - avere. Risulta necessario sottolineare ancora una volta la profonda diversità che caratterizza libertà ed arbitrio. Nell’arbitrio3 il soggetto permette all’oggetto di determinare il suo volere; diviene soggetto-per-l’oggetto, vive per le cose da fare e da avere. Nell’arbitrio, pertanto, la volontà non può definirsi libera in quanto viene condizionata dall’esterno, da ciò che desidera possedere o dominare. “L’uomo ordinario crede di essere 3 La definizione di arbitrio in Hegel è del tutto identica a quella già analizzata in Kant, pertanto si rimanda alla sezione della guida allo studio del pensiero kantiano, e precisamente alla definizione di diritto. libero quando gli è permesso di agire arbitrariamente; ma è certo che nell’arbitrio egli non è libero...la vera libertà non è dunque indeterminazione, ma autodeterminazione.” Tuttavia Hegel non intende l’autodeterminazione secondo l’accezione kantiana, così come essa emerge nella Critica della ragion pratica, “L’autodeterminazione non è per lui il farsi legge a se stesso e il possedersi dell’individuo nella interiorità dei suoi atti, ma il suo tradursi all’esterno. La libertà si realizza e si compie nella negazione che l’individuo fa della sua particolarità e nell’entrare nel giro dei rapporti giuridici, morali, sociali e politici coi suoi simili. Lo spirito oggettivo, negazione della necessaria posizione soggettiva, si articola in diritto, moralità, eticità. Per diritto, Hegel intende l’insieme delle leggi che salvaguardano la libertà dei singoli individui. Leggi estrinseche, pure norme che non implicano intima adesione, ma assoluta obbedienza, rispetto. Nel diritto conta ciò che si fa, non l’intenzione con cui si agisce: pertanto esso può essere definito come “... l’insieme dei rapporti esteriori tra individui che costituiscono una comunità; nel diritto astratto l’individuo è persona...soggetto capace di proprietà...i rapporti che si instaurano fra le persone (...) si riferiscono tutti alla proprietà.” (S. Vanni Rovighi). La persona, infatti, “...per essere libera deve darsi una sfera esterna della sua libertà; ed è questa la radice della proprietà individuale” (G. De Ruggiero) la convivenza di più individui rende necessaria una norma che, limitando le singole esigenze, consenta, regolandolo, il vivere insieme. La negazione del diritto si attua nella moralità, nel momento cioè in cui l’individuo accetta la legge non in quanto tale, ma in quanto la riconosce come sua: “Ogni azione, per essere morale, deve innanzi tutto coincidere col proposito...Se mancasse, in colui che delinque, ogni sentimento, per quanto rudimentale, del bene, verrebbe a mancare ogni responsabilità della sua trasgressione” (G. De Ruggiero). Secondo Hegel la vera vita morale non può esaurirsi nella tensione ad una perfezione mai pienamente raggiungibile, ma deve realizzarsi nel consapevole inserimento in una comunità, vissuto nel costume, inteso come comportamento etico. “La virtù non consiste nell’obbedienza a una legge formale, al dovere per il dovere, ma è la dedizione alla comunità in cui si vive, al bene del popolo, è la capacità di sacrificarsi”. La sintesi etica, consistente nel superamento della prospettiva individuale in nome non di un’adesione esteriore alla legge, né di una vuota ed universale obbedienza al formalismo morale, si realizza attraverso i tre momenti dialettici dell’eticità: famiglia, società civile, Stato. “Col termine eticità...Hegel designa quel complesso di istituzioni umane nelle quali la libertà si oggettiva e si realizza, passando dalla sua espressione individualistica iniziale all’universalità concreta. Famiglia, società civile, stato sono, come già si è detto, le tre incarnazioni della libertà. Per mezzo di esse gradualmente si compie l’identificazione della volontà individuale con l’universale” (G. De Ruggiero). La famiglia, momento dell’identità, implica il superamento dell’egoismo in nome dell’amore. Hegel ha della famiglia un altissimo concetto e, pur non mancando di sottolineare come essa sia frutto anche dell’impulso naturale alla conservazione della specie e di motivazioni economiche, la ritiene frutto sostanzialmente del “..consenso libero delle persone a costituire...una sola persona, ad abbandonare la propria personalità naturale e singola in quell’unità” (Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Bari 1974, p.172). Ne consegue, sempre utilizzando il testo hegeliano, che “L’ethos del matrimonio consiste nella coscienza di questa unità...e, quindi, nell’amore, nella fede e nella comunione di tutta l’esistenza individuale” Nei figli, l’unità del matrimonio che... è soltanto intimità e sentimento...diventa ...un oggetto, che essi amano, in quanto loro amore…I figli hanno il diritto di essere nutriti ed educati col patrimonio comune della famiglia. Il diritto dei genitori ai servigi dei figli...si fonda e si limita alla comunione della cura della famiglia, in genere…I figli sono in sé un che di libero...quindi non appartengono né ad altri, né ai genitori, come cose” L’identità familiare è tuttavia destinata a spezzarsi, i figli - frutto dell’amore dei coniugi intrecciano amori a loro volta, formano famiglie nuove. All’individuale della famiglia si contrappone il collettivo della società civile, intesa come negazione dell’identità familiare nella formazione ed unione di più famiglie il cui scopo è quello di far fronte ai bisogni economici collettivi essa è quindi, nel contempo, sia “La mediazione del bisogno e l’appagamento del singolo col suo lavoro e col lavoro l’appagamento dei bisogni di tutti gli altri”, ovvero “sistema dei bisogni”; sia espressione della tutela della proprietà attraverso l’amministrazione della giustizia. La società civile funge quindi da mediazione tra la famiglia e lo Stato; la sua struttura piramidale, rigida, di stampo feudale, rispecchia fedelmente l’assetto della Prussia federiciana. Dopo questa necessaria puntualizzazione, non rimane che analizzare il terzo momento della dialettica dell’eticità, ovvero lo Stato, società politica, che non va confuso con la società civile. Lo Stato, per Hegel, “...sta alla società civile come l’universale sta al particolare; quindi in esso si compie l’articolazione piena del concetto concreto che, con la mediazione del particolare, fonde insieme gli individui in un tutto organico di valore universale. Lo stato è pertanto l’espressione schietta della razionalità, è il mondo che si è fatto spirito, è la libertà nella pienezza della sua realizzazione....l’idea dello stato come un ché di divino si è formata nella mente di Hegel in contrasto con tutte le correnti politiche del tempo, che degradano lo stato a un gendarme, o a un’istituzione privata e patrimoniale...E bisogna anche considerare che, quando egli parla di Stato come incarnazione della ragione e della libertà, non si riferisce a un qualunque stato, ma allo stato moderno, retto a monarchia costituzionale, che impersona lo spirito del popolo (Volkgeist) e manifesta la sua autorità per mezzo di leggi che obbligano tutti i cittadini e si alimenta del contenuto di vita espresso dalle rappresentanze politiche, dall’opinione pubblica e dalla stampa” (G. De Ruggiero). Su questo punto le Lezioni di filosofia della storia sono ancora più radicali: che cosa sia bene o male è determinato, per i casi abituali della vita privata, dalle leggi e dai costumi di uno Stato. ”Il valore degli individui, dunque, deriva dalla loro conformità allo spirito del popolo, dal fatto che essi lo rappresentino e facciano parte di una delle classi nelle quali è distribuita l’attività del tutto (...). La moralità dell’individuo consiste dunque nell’adempimento dei doveri del proprio stato e questi sono facili da conoscere...” (S. Vanni Rovighi, op. cit., pp.860-861). Strettamente connessa alla concezione dello Stato, individuo rispetto agli altri stati ed universale rispetto ai cittadini, è la concezione della storia, intesa come rapporti tra gli Stati. Lo Stato è espressione dello spirito di un popolo, ma i popoli sono molti e spesso in contrasto fra loro; l’universalità del diritto è un ideale, deve essere, ma non è; ora, quando qualcosa non è essa non è, per Hegel, un valore. Bisogna accettare i rapporti tra gli Stati così come sono, come rapporti di forza che si risolvono spesso con la guerra. A differenza di Kant, strenuo e convinto sostenitore della Pace perpetua conseguibile con l’istituzione di un efficace diritto internazionale, Hegel ritiene che la guerra sia indispensabile al movimento dialettico della storia. In questo senso, la storia è, nel contempo, dialettica tra gli stati; espressione dell’astuzia della ragione (in quanto dal conflitto esce vincitore, così come nella dialettica servo-padrone, lo Stato più forte, che in quel momento incarna lo spirito del mondo, il Weltgeist); tribunale del mondo, in quanto essa esprime il giudizio universale (das Weltericht). <<E’ possibile fare una filosofia della storia (Hegel ha dedicato ripetutamente ad essa corsi di lezioni) perché anche la storia, come ogni realtà, è razionale; anzi, essendo una realtà spirituale, manifesta con particolare evidenza la sua razionalità. La filosofia della storia ha il compito di cogliere questa razionalità, di cogliere il significato di ciò che avviene nella storia... Si è già detto che il soggetto della storia non è l’individuo, ma lo spirito dei popoli, rappresentato dalla Stato; gli individui non sono che i mezzi per lo svolgimento della vita dei popoli: cercando infatti di perseguire i loro interessi, i loro fini particolari, essi realizzano un fine più universale, che sfugge alla loro consapevolezza. Qui si rivela l’astuzia della ragione, che adopera le passioni degli individui per realizzare fini universali. Ci sono però nella storia degli individui superiori, gli individui storici (Weltgescichtliche Individuen) che incarnano in sé lo spirito di un popolo: i condottieri, i grandi uomini politici: Alessandro Magno, Giulio Cesare, Napoleone, che intuiscono la direzione della storia, la fanno progredire e per questo sono da chiamare eroi. “… Questi individui non hanno un concetto filosofico di ciò che vogliono realizzare, lo sentono istintivamente: la loro intuizione è quasi animalesca (...), e la prova che essi colgono nel segno è il successo, il seguito che hanno.La filosofia della storia, o storia filosofica, ha il compito di cogliere il significato degli eventi storici; evidentemente non dei singoli eventi, ma delle grandi epoche storiche… (S. Vanni Rovighi) La filosofia dello spirito Dopo questa sintetica esposizione della concezione della storia, che si configura come dialettica tra gli Stati, non ci resta che seguire, così come Hegel ce lo propone nella dialettica dello Spirito assoluto, il ritorno dell’Idea in sé e per sé, il processo dialettico mediante il quale si giunge alla riconduzione dell’universale al particolare. Lo Stato, infatti, come abbiamo più volte sottolineato, pur essendo universale rispetto agli individui che costituiscono il popolo, è individuo rispetto agli altri Stati. Solo nella negazione di negazione, nel superamento che avviene nello Spirito assoluto, l’Idea (assoluto astratto) che ha oggettivato le proprie contraddizioni, può ritornare in sé e per sé, costituirsi come sintesi di oggettivo e soggettivo, di universale e particolare. L’arte, la religione e la filosofia sono le tre forme supreme in cui si compie questo ritorno. Tra esse c’è graduazione, ma c’è insieme unità profonda, nel senso che lo stesso contenuto di vita dell’Idea si espone diversamente nell’intuizione sensibile dell’Arte, nella rappresentazione religiosa, nel concetto filosofico. Ma vediamo, nel dettaglio, l’articolazione dell’ultima triade dialettica: Arte: Nell’arte si ha l’intuizione dell’universale che assume la forma del bello, inteso come apparenza sensibile dell’Idea. L’intuizione del bello caratterizza sia il momento creativo, sia il momento contemplativo dell’arte. Lo spirito assoluto si rende visibile in un oggetto finito come risultato di un’intuizione. Religione4: Se l’arte è la manifestazione dell’infinito mediante l’intuizione, la religione attua l’identità tra finito ed infinito mediante il sentimento dell’unità dell’anima col divino. “...l’Assoluto non è più intuito in immagine, ma rappresentato nella sua essenza; dove cioè la figurazione sensibile del dio cede di gran lunga all’universalità di quel che lo spirito si rappresenta sotto quel segno” (G. De Ruggiero) Tuttavia, si tratta pur sempre di sentimento, di rappresentazione, non di concetto, di razionalità. Inoltre, la religione contiene sempre un carattere di estraneazione: l’assoluto, che nell’arte coincide immediatamente con l’opera particolare, è, nella religione, comunque altro rispetto all’uomo, in quanto la divinità, rimane comunque al di fuori del mondo e dell’uomo. Filosofia: Con la filosofia lo Spirito Assoluto non viene più ad assumere forme sensibili, non è colto mediante l’intuizione e la rappresentazione, ma assume la forma perfetta del concetto, dell’assoluta trasparenza a sé. Anche la filosofia si articola storicamente, si identifica con la storia della filosofia in quanto l’Assoluto si coglie nella sua trasparenza e unità di universale e particolare nello svolgimento storico dialettico. storicamente la filosofia nasce quando lo spirito di un popolo si è ormai emancipato dal torpore della vita naturale e dalle passioni, quando non è più assorbito dalle cose. come la Nottola di Minerva5, la filosofia giunge quando il dramma è compiuto e, per dirla con De Ruggiero: “...altro non resta da fare che una sterile ricapitolazione”. Per l’articolazione storico dialettica della religione, si rimanda alla figura della Fenomenologia in cui essa è trattata e che viene riproposta in modo analogo da Hegel nella trattazione del sistema. 5 Rileggi, a tale proposito, il brano assegnato nella manuale. 4