Problemi della e posizione attuale musica italiana

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Problemi e posizione attuale
della musica italiana
Si dice e si ripete quotidianamente
che l'arte: a) debba essere del nostro tempo; b) che debba appoggiarsi sulla tradizione nazionale; c) che debba «andare
verso il popolo ». Vediamo adesso se la
musica nostra attuale risponda o meno a
questi principi.
Per dire il vero, credo che nessun artista tra quelli che «fanno la storia », si
sia mai pl'eoccupato di essere del suo tempo. Non si vede infatti come un'arte qualsiasi - se realmente è arte - possa non
appartenere alla sua epoca. Vi è oggi, è
vero, una rilevante quantità di arte italiana che non appartiene affatto all'epoca
nostra, e che tende a perpetuare espressioni e costumi artistici che sono quelli
della società piccola-borghese del tardo
Ottocento. Ma di quest'arte non possiamo
tenere conto in sede di discussioni estetiche. Certamente questi esponenti di una
mentalità tramontat.a e che non ritornerà
mai più, godono del favore della parte
meno preparata del pubblico, senza che
ne risulti mutato il giudizio, già chiaro
in ogni coscienza, della storia.
Tuttavia, se possiamo senza difficoltà
riconoscere, che esiste oggi una musica italiana rispondente all'epoca dura ed eroica
nella quale «viviamo pericolosamente »,
dobbiamo ammettere che, mentre l'Italia
ha saputo crearsi in meno di vent'anni una
musica sinfonica veramente aderente non
soltanto al clima littorio, ma anche all'attualità europea, non altrettanto si può dire
del teatro, ove il problema del rinnovamento del melodramma rimane aperto. Si
parla continuamente della cosiddetta crisi
del teatro, e da ogni parte si levano voci
anche autorevoli a proporre questo o quell'altro rimedio. A InÌo avviso, il dramma del
melodramma (mi si consenta il bisticcio),
risiede unicamente· nel fatto che i maestri
dell 'Ottocento godevano della invidiabile
fortuna di possedere una formula teatrale,
che rispondeva perfettamente al gusto ed
alle esigenze della società di allora, ben
diversa da quella di oggi. Per quei compositori, il melodramma era tutto fuorchè
un problema. Essi si muovevano sul sicuro, e non rimaneva loro che abbandonarsi fiduciosamente alla ventura della
fantasia (sorretta questa, non dimentichiamolo, se vogliamo alludere a Rossini
o Verdi, da una tecnica sovrana). Questa
assenza di preoccupazioni estetiche-sociali,
questa certezza di andare incontro al
gusto del pubblico, permettevano loro
di lavorare con entusiasmo e con lilla
naturalezza di movimenti purtroppo totalmente ignota ai maestri contemporanei.
Nessuno di noi avrebbe l'ardire di disconoscere il valore di Debora e Jaèle, delle
Sette Canzoni, di Wozzeck, ma non si può
d'altra parte affermare che una fra queste
espressioni isolate di un tormento creativo rivolto verso un avvenire ancora incerto, contenga là formula melodrammatica atta a sostituire nel nostro secolo e per
le nuove masse sociali, il felice equilibrio
che regnava nell'Ottocento fra compositori e pubblico. Nel campo teatrale dunque, la esigenza che l'arte debba essere
del suo tempo, rimane per ora insoddisfatta. Alcuni spiriti malinconici approfittano di questa attuale incertezza creativa per affermare senz'altro che il melodramma è morto e che non risponde più al
gusto delle folle. Affermazione certamente
arrischiata e che non possiamo menomamente accettare come verità. Il teatro,
in quanto arte, è eterno, ed eternamente
vivo è il melodramma, come associazione
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di poesia · e di musica nella cornice del tive: abbandono della tradizione nazionale,
dramma, la quale, dai Greci sino ad oggi, asservimento a mode straniere, incapacità
non ha mai cess.a to di vivere come forma a trascendere la sterile esercitazione cered'arte solenne e supremamente rappre- brale nell'arte, ecc.
sentativa delle passioni e dei sentimenti più
Quest'agitazione non è affatto nuova
alti e nobili dell'umanità. Non è quindi nel nostro paese. Chi conosca la storia,
assolutamente pensabile che una simile ricorda perfettamente, che, subito dopo il
forma d'arte possa morire per lasciar posto Barbiere, Rossini venne accusato di « corad altre forme di teatro inferiori e che del rompere il gusto della patria di Cimarosa
resto teatro non sono (quali ad es. il cine- colla imitazione degli oltramontani »; che
matografo, nel quale taluni credono già di l'Armida del- medesimo autore fece scriravvisare l'erede del melodramma). Può vere a Napoli nel 1817 che «da questa
darsi che il travaglio dal quale dovrà opera scappano fuori (sic) accordi i quali
uscire quella nuova formula melodramma- mostrano che l'autore, nato con l'anima
tica abhia ancora ad essere lungo. Ma non _ di Cimarosa e Paisiello, fatichi incessanvi è dubbio che da esso sorgerà una nuova temente a reprimer gli slanci dell'indole
forma di opera, la quale oggi già si intra~ natìa per comparire adorno di barbari modi,
vede come una maestosa costruzione di ca- sia perchè nutrito dalla vertigine della morattere mistico, religioso, eroico, con larga da, sia perchè soverchiamente nutrito dalla
partecipazione di elementi corali e forse lettura degli stranieri»; che, quando si
della massa ascoltatrice stessa (cosÌ come diede per la prima volta il Rigoletto, vi
nella Messa la folla dei fedeli è ad un fu un critico che definÌ lo spartito «potempo spettatrice ed attrice partecipe del vero di melodia e di concertati, opera di
rito).
un maestro al quale sarebbe consigliabile,
anzichè di modellare la sua armonia su
* * *
quella dei tedeschi, di ritemprare la propria
La questione che riguarda la tradizio- melodia alla sorgente di ·Rossini e di Belne è assai complessa, ed è su questo pro- lini»; che Bizet stesso scrisse nel 1867
blema dell'arte che si sono impegnate ne- dopo il Don Carlos che « Verdi non era
gli ultimi anni le più dure battaglie fra più italiano, ma faceva del Wagner, perquelle due frazioni di artisti, che rappre- dendo i suoi difetti ma anche tutte le sue
sentano rispettivamente, oggi come al qualità »; per non dire poi del Mefistofele
tempo deJla celebre querelle des anciens et al quale si rimproverò nel 1880 di essere
cles modernes, lo sforzo audace verso l'av- «pura algebra»: pezzi di prosa nei quali
venire e l'amore del quieto vivere. Nei si trovano già, i medesimi equivoci di
tempi più recenti poi, la polemica ha as- certa critica odierna.
sunto un tono aspro e doloroso; e se moL'argomento capitale, del quale tenmentaneamente la polemica si è calmata, tano di valersi coloro che vorrebbero adè probabile che si riaccenda in avvenire, dita re alla sfiducia del pubblico la musica
perchè - come già dissi poco fa - questa italiana contemporanea, è quello che unica
battaglia fra giovani e vecchi è eterna tradizione, unico volto legittimo dell'arte
quanto la storia umana.
nostra sia il melodramma ottocentesco.
In questa polemica la musica ha avuto Argomento che - se può trovare giustificalarga parte e si sono rivolte alla nostra zione nell'autocrazia melodrammatica dumigliore produzione contemporanea le me- rata per tutto l'Ottocento - perde però di
desime accuse, che da tempo ricorrevano validità qualora, invece di considerare sonelle cronache contro le nostre arti figura- lamente l'ultimo secolo della nostra storia
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musicale, si abbracci anche il periodo
che va da Palestrina attl'averso Monteverdi
sino alla nostra musica strumentale del
Seicento e della prima metà del Settecento.
Occorre però ricordare la situazione particolare nella quale si è trovata la musica
nostra alla fine dello scorso secolo. Mentre
Verdi chiudeva la sua prodigiosa fatica
artistica col FalstiLff, che doveva rimanere
incompreso per circa trent'anni, i musicisti italiani del tempo, anzichè meditare
l'altissima lezione verdiana, attraversavano effettivamente un periodo di fiacchezza e di abbandono al pensiero straniero. Primo - e più insigne - fra quei
sintomi di «soggezione» ad estetiche e
forme esotiche fu il verismo, del quale
vanamente si cercherebbero le origini nell'arte generosa e rude di Verdi, e che
trae unicamente le sue fonti dal naturalismo francese di Maupassant e di Zola
e soprattutto dalla Carmen bizetiana, senza
la quale è verosimile _che il melodramma
verista italiano non avrebbe mai veduto
la luce. E alto merito tuttavia di quei
maestri - e in particolar modo di Puccini,
che maggiormente subÌ influenze straniere di aver dato ad un verbo d'oltralpe un
contenuto ed una forma essenzialmente
italiani.
Accanto ai veristi ed alla loro larga
fortuna, alcuni musicisti si ponevano intanto all' opera per rianimare in Italia il
culto della musica pura, vale a dire quella
strumentale orchestrale e da camera, che
dopo lento declinare, si el'a spenta da noi
colla morte del romano Clementi. Mentre i
veristi guardavano essenzialmente a Bizet
e a Massenet, Sgamhati e Martucci si avvicinavano invece ai grandi modelli classici e romantici tedeschi, e dalla talvolta
ingenua assimilazione di quelli gettavano
il seme per la rinascita sinfonica nazionaIe. Può parere assai singolare, oggi che
il grande passato nostro strumentale del
Seicento e del Settecento è non solamente
riapparso a nuova e luminosa vita ma è
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cosÌ vivo nella coscienza e negli amorosi
studi dei giovani musicisti, può sembrare,
ripeto, stranissimo che maestri italiani di
cosÌ alta cultura quali erano appunto
Sgambati e Martucci, non abbjano pensato
a cercare le basi della loro cultura in quel
mirabile passato nazionale anzichè nei canoni dell'arte germanica. Ma il silenzio, che
regnava a quei tempi attorno a questa nostra arte classica, era caratteristica dei tempi e non ne potevano certo essere incolpati
quei maestri che muovevano i loro primi
passi in mezzo ad enormi difficoltà. L'arte
musicale germanica aveva raggiunto, colla
fine dello scorso secolo, una posizione ege• monica cosÌ formidabile (specialmente dopo
la schiacciante affermazione del wagnerismo) da scuotere dalle fondamenta persino
il melodramma italiano. Frescobaldi, Vivaldi, Scarlatti e tanti altri, erano sinonimi
di archeologia e nessuno se ne interessava.
Questo spiega l'atteggiamento culturale
dei nostri pionieri, e li mette al riparo
da qualsiasi accusa alla loro benemerita
opera di apostoli e di ricostruttori.
Col presente secolo, altre influenze straniere sono penetrate in Italia: di Strauss
e di Debussy, più recentemente di Strawinski, e - in assai minor misura - di
Hindemith e della scuola viennese.
Ma, nell'ultimo quindicennio, il potente soffio di rinnovamento che il Fascismo
ha impresso a tutta la vita nazionale, è
penetrato anche nell'arte, liberandola da
ogni soggezione straniera e restituendo
nuova attualità a quel nostro passato per
tanti decenni obliato. Il nuovo senso di
dignità nazionale, la fiducia nelle proprie
forze, l'ardimento infine e l'amore del rischio hanno trasformato anche la vita artistica, e fatto realtà di quanto era stato
per oltre un trentennio pura aspirazione
o tentativo.
Rimane però il fatto che oggi sorge in
Italia una musica che appare a molti avulsa
dalla tradizione nazionale o per lo meno
dalla parte più recente di essa. L'accusa
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di mancanza di carattere nazionale, anzi
di «internazionalismo» Ila costituito il
tema di quanto si è scritto da qualche
tempo sullo sforzo creatore dei maggiori
maestri italiani. Si è voluto riannodare
questa nostra arte ad una ipotetica arte
internazionale, della quale però si ignorano
i conriotati; o si è definito questa musica
prodotto dell'ebraismo internazionale.
Scrissi recentemente, e desidero qui
ripetere le mie precise parole: «La musica italiana contemporanea - parlo beninteso di quella che veramente "vive"
e non di quella che nasce defunta - è, a
Dio piacendo, profondamente indipendente.
Lo è nella sua melodia, rimasta pura dalle
deformazioni medieuropee ed in pari tempo liberata d.a lla decadenza vocalistica del
tardo Ottocento. Lo è nella sua armonia,
così sana ed equilibrata, come nel suo
ritmo - nel quale rivive oggi - dopo decenni di fiacchezza, la vitalità dei maggiori nostri periodi storici. Lo è per il
suo strumentale rude, sbozzato e "ferrigno" talvolta ed in ogni caso nemico
delle smaglianti e virtuosistiche sonorità
russo-francesi. Lo è ancora per le sue
forme che non sono - come si dice erroneamente - "neo-classiche", nè tanto
meno "ritorni" alla parigina, ma alti,
severi richiami a grandi discipline passate,
che oggi risorgono a nuova e profonda
vita. Lo è infine per il suo carattere profondamente religioso, che - nella mia generazione come nella seguente - si riconnette coll'antico mondo romano e cattolico e - a traverso questo rinnovato cohtatto - ritrova poco a poco quel senso
polifonico-corale che l'Ottocento aveva
non solamente negato, ma anche riuscito
a far totalmente dimenticare ».
La posizione attuale della nostra musica di fronte alla straniera, è sostanzialmente analoga a quella di Verdi, che opponeva al cromaticismo wagneriano, la purezza del nostro diatonicismo, anche a costo
- a quei tempi - di parere «antimoder7
no ». Ed infatti è oggi similmente definita
« antimoderna » la musica contemporanea
nostra in certi ambienti stranieri, prevalentemente ebraici e snobistici e di carattere «spinto ». La nostra posizione però
corrisponde alla storia e alla tradizione
della nostra patria e della nostra razza, e
concorda perfettamente col clima politico
del Regime, il quale ha trasferito la vita
della nazione sul piano europeo in un
primo tempo, e su quello imperiale in
un secondo. Possono quindi aver la coscienza perfettamente a posto quei musicisti che oggi rivendicano serenamente la
responsabilità di aver obbedito a quanto
dettavano loro un'alta cultura, un sicuro
gusto ed un profondo senso della vera
« italianità ».
* * *
Il dopoguerra è stato caratterizzato
in arte da un violento movimento antiromantico, il quale ha avuto il suo epicentro nella Medieuropa, ma si è anche
manifestato in Italia. Oggi però questa
battaglia tende essa pure a placarsi, lasciando posto ad una concezione rasserenata dell'arte secondo la quale non vi è
classicismo che non contenga una parte.
di romanticismo, come non sono rari quei
romantici - cosÌ Verdi o Chopin - che
per la limpidezza della loro rappresentazione meritano di essere chiamati anche
classici. Il movimento anti-romantico del
dopoguerra era in realtà una reazione non
contro il romanticismo, ma contro la sua
decadenza iniziata colla fine dello scorso
secolo. Oggi un'antica verità fondamentale - per lunghi anni smarrita - rivive nella coscienza degli artisti: quella che l'unica
materia eterna ed essenziale dell'arte sia,
oggi come ieri, come domani, il suo contenuto umano. Su questo terreno l'intesa
col romanticismo non poteva tardare a
profilarsi, ed infatti assistiamo da qualche
anno ad una vera e propria pace firmata
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tra Ottocento e Novecento. Ormai II legame che unisce, al disopra degli eventi
politici-bellici e del mutare delle mode,
l'umanità attuale a quella dei secoli precedenti risulta intatto, e gli apparenti
sconvolgimenti tecnici della nostra arte
nulla appaiono oggidì se non la continuità
imponente e solenne di un'unica . civiltà
in marcia.
* * *
«Andare verso il popolo» è oggi la
nostra parola d'ordine e la più eloquente
sintesi dell'atteggiamento di un regime ri~
voluzionario, regime di popolo, verso l'arte.
Comandamento, del quale tuttavia occorre non alterare il significato, di elevare
verso l'arte - sino a ieri privilegio di poche
categorie - quelle masse che si affacciano
oggi alla vita totale della nazione. Si dia
dunque a queste masse vergini e generose
la vera arte, non quella mediocre che è di
origine borghese, ma quella più elevata,
dei grandi maestri, senza escludere la parte
migliore dell'arte contemporanea. · I mezzi
dei quali dispone il Regime per questa
opera di educazione musicale sono immensi.
Ma occorre che il popolo venga poco a
poco costretto a questo sforzo ascensionale verso quella bellezza che non si concede se non ai degni.
* * *
Se questo sforzo educativo non si
compia, si corre il rischio di introdurre
il « classismo» nella creazione, destinando
ingiustamente l'arte ad una determinata
categoria sociale. La rivista ufficiale del nostro Sindacato auspicava infatti nel suo
numero del settembre 1937 «la creazione di una musica non più destinata a
ristrette cerchie feudali o borghesi di raffinati (come avveniva negli scorsi secoli
e come tuttora avviene), ma destinata
LE AR TI - - -
alla più vasta collettività di popolo ». La
necessità della creazione di nuove forme
musicali adatte ai tempi presenti è già
stata da me prospettata poc'anzi parlando
del rinnovamento del melodramma, per il
quale stiamo tutti cercando un nuovo disegno, che dovrà essere .a datto ad una
epoca di collettività e avere un carattere
di ampiezza e di coralità misurato allo
scopo. Ma la storia dell'arte ci insegna che
i grandi artisti, anche quando lavoravano
per la società del loro tempo: papi, monarchi, aristocratici od anche semplici borghesi, creavano in realtà per l'umanità int era. L.a Matthaeus Passion fu scritta da
Bach per le esigenze normali della Thomaskirche di Lipsia dove egli era cantor.
La maggior parte della produzione di
Beethoven è frutto di « ordinazioni» provenienti da grandi signori. Chopin scriveva esclusivamente per quei salotti parigini nei quali incontrava il fior dell'intelligenza del suo tempo. Se passiamo al
nostro melodramma, vediamo che tutti
i maggiori capolavori furono scritti in
adempienza ad un contratto e per un
determinato pubblico. Ma, ripeto, tutti
questi musicisti, lavorando per la società
talvolta ristrettissima che li circondava,
si ·rivolgevano in realtà alla umanità tutta.
Ritengo quindi che la concezione classista,
per la quale l'arte del passato sarebbe stata
unicamente destinata oggi a strati sociali
scomparsi o in decadenza, sia fondamentalmente falsa ed anche pericolosa. Che i
compositori, oggi, in clima fascista, pensino
a 'scrivere per un pubblico ben diverso da
quello dei nostri padri, è cosa elementare,
ed io per primo cerco di indirizzare i miei
giovani discepoli a cercare forme musicali
rispondenti alle necessità del tempo: musiche destinate alla gioventù littoria, ai
dopolavoristi, agli operai ed ai contadini
infine. Ma questo non deve in nessun caso
significare una menomazione dell'arte che,
non dimentichiamo, è la più alta realtà
concessa all'uomo.
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dette di trovare nel folklore la soluzione
del vasto problema (io stesso avevo dato
l'esempio
con Italia sin dal 1909, e più
Ritorniamo adesso alla posIzIOne atrecentemente
[nel 1924] con La giara).
tuale della nostra musica nel quadro generale della musica europea (potremmo Oggi però che la coscienza musicale itadire anche mondiale, perchè "l'America va liana è cosÌ saldamente formata ed il
oggi tenuta in conto). La situazione gene- volto della nostra musica già chiaramente
rale degli ultimi vent'anni è stata assai delineato, si può anche considerare traco mplessa in Europa, dove nel dopoguerra montato questo periodo, nel quale si creè sorto un caos di tendenze quale forse deva di essere italiani solamente perchè
mai la storia conobbe "(per quanto non si si inserivano in musiche « dotte» (come
debba dimenticare che Bach e D. Scar- direbbe Porrino) citazioni e documenti
latti, coetanei, divergevano altrettanto tolti dalla voce del popolo. Manuel de
quanto, due secoli dopo, Strawinski e Falla e Bela Bartòk hanno saputo dimoSchonberg). Tuttavia, oggi che una rela- strare luminosamente che il canto popotiva calma è subentrata alla pro cella ar- lare non acquista valore nell'opera d'arte
tistica del dopoguerra, è facile scorgere che se non quando è a tale punto trasformato
tutte quelle tendenze si riducevano in real- " ed assimilato dal compositore da divenire
_.
tà a due grandi correnti: prima, quella di espressione personale.
coloro che conducevano l'assalto alle leggi
fondamentali della musica: tonalità, for* * *
ma, discorsività, ecc., tendenza questa esNella mia azione di musicista, ho semsenzialmente medi europea ; seconda, la
pre
deliberatamente combattuto l'imprestendenza che intendeva rinnovare la tradizione colle nuove, legittime conquiste sionismo (per quanto abbia una ammirasonore. Fu scherzosamente (ma non senza zione altissima per Debussy). La mia inuna base di verità) chiamata « bolscevica» clinazione naturale, la mia cultura, il mio
la prima e « menscevica» la seconda. Gli gusto vanno verso la pittura toscanoItaliani non hanno mai esitato circa la umbra, verso un'arte quindi che rispecchia
scelta della strada da seguire, ed hanno fedelmente la chiarezza precisa e tersa
recisamente respinto non solamente l'ato- dei nostri paesaggi italiani. Anche in munalità ma anche ogni tentativo di atten- " sica, il poco che abbiamo allineato di imtare a quella continuità maestosa della pressionistico nell'ultimo ventennio è di
storia alla quale ho accennato. Posizione evidente provenienza francese ed ha avuto
chiara e inequivocabile; posizione che è pertanto limitatissimi sviluppi fra noi.
strettamente coerente allo sforzo politico
del Regime Fascista, che è ad un tempo
* * *
tradizione e rivoluzione.
Queste le osservazioni che si possono
fare, in uno spazio forzatamente limitato,
* * *
sui problemi e sulla posizione attuale della nostra musica. N elle recenti discussioni
N el travaglio della nostra musica - al- sull'arte, erano protagoniste due opposte
ludo soprattutto al periodo)920-30 - che, mentalità: prima, quella che - basandosi
mentre si liberava dalle ultime influenze sul pregiudizio che le epoche passate fosstraniere, cercava febbrilmente la defini- sero ricche di ogni perfezione - non conzione di uno stile nazionale, vi fu chi cre- cepisce alla musica italiana altro volto
* * *
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o altri costumi che quelli ottocenteschi
e nega ogni altro nuovo orientamento;
seconda, quella che considera necessario
rendere la musica nostra - pur senza
nulla rinnegare della nostra tradizione,
anzi, facendo tesoro di esperienze delle
quali l'Ottocento non volle mai sapere parte viva ed integrante di quel vasto
movimento spirituale europeo (da non
confondersi con quel già citato internazionalismo del quale gli italiani non
hanno mai subìto il contagio) che, sorto
sulle rovine del mondo borghese romantico, guida oggi l'intera arte verso un nuovo
ordine, verso nuove discipline, verso una
nuova coscienza morale e sociale, che già
si delinea chiaramente come una rinascita
ad un tempo classica e romantica, per sicurezza e serenità di forme, per attualità
nutrita di tradizione: rinascita infine di
un concreto senso storico. Come eloquentemente disse il Ministro Bottai, l'arte vale
solo se pareggiata all'azione; e solamente
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se definitiva ed incancellabile come l'azione, può aver tanto peso da inscriversi concretamente nella storia. Ogni tendenza cede
di fronte ad una certezza od un fatto. Ed è
palese che nè certezza nè fatto possano
chiamarsi i tentativi di sbarrare la strada
all'evoluzione dell'arte, la quale non può
- in clima fascista - che essere strettamente
partecipe del carattere rivoluzionario del
Regime, tesa quindi in una identica volontà di audacia e di fiducia nel rischio.
N essuna ingenua, superata preoccupazione dunque di essere «nazionali» nel pensiero e nello stile, ogni opera d'arte perfetta essendo valida sul piano storico. Ma
invece, a traverso la nostra italianità,
raggiungimento finale dell' universalità:
questo è l'altissimo scopo che deve guidare la nostra azione di artisti mussoliniani, come guidò in ogni tempo quella
dei nostri padri.
ALFREDO CASELLA.
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