Sulla figura di pietro abba’ – cornaglia a cura di ANDREA CREMASCHI Come per qualunque altro compositore italiano dell’Ottocento, il primo interesse di Pietro Abbà-Cornaglia fu il melodramma, ed è certamente in questo campo che egli profuse le sue migliori energie. Compose tre opere: Isabella Spinola (1877), Maria di Warden (1884) e Una Partita a Scacchi (1892), tutte rappresentate in importanti teatri italiani ed accolte dalla critica come i primi frutti di un talento assai promettente. Erano anni fecondi ma al contempo difficili per un compositore d’opera italiano: la figura di Verdi, giunta all’apice della propria parabola artistica, gettava una vasta ombra sulle nuove generazioni e rendeva vieppiù urgente l’elaborazione di nuove forme e nuovi stili, così da distinguersi dall’anziano maestro. È in questo clima che nacque la giovane scuola verista di Mascagni e Leoncavallo, che seppe accentrare su di sé il successo a cavallo fra i due secoli. Ma essa non fu l’unica: Abbà-Cornaglia, con le sue opere, già a partire dagli anni Settanta, aveva indicato un’altra via, in sintonia con le correnti letterarie coeve. Ebbe infatti stretti contatti con gli ambienti della Scapigliatura milanese e piemontese, e in qualche misura tali suggestioni si riverberano anche sulla sua musica. Il ricorso a libretti dalle ambientazioni medievaleggianti, quando non di gusto spiccatamente neo-gotico, sono già un indice in questo senso; mentre, ad un livello prettamente musicale, un certo distacco dalla simmetria classica in favore di percorsi tonali e formali più tortuosi e talvolta imprevedibili sembrano una risposta diretta alla poetica scapigliata. Tutto questo ci dice di un compositore attento al clima intellettuale dei suoi tempi, con uno sguardo che sa spaziare al di là dei confini della musica per trarre ispirazione anche da altri campi artistici. Un atteggiamento differente si ritrova invece nei lavori cameristici per pianoforte solo o per canto e pianoforte. In essi emerge il lato salottiero del compositore, i cui titoli e le cui dediche da soli ci restituiscono uno spaccato della società alessandrina di fine Ottocento. Troviamo perciò il brano d’occasione, spesso in forma di danza, o il bozzetto pianistico, o ancora il brano virtuosistico, certamente pensato per i propri numerosi concerti. Il passo è qui sempre brioso ed elegante, e più leggero che non quello dei melodrammi. D’altro canto, soprattutto fra le romanze per canto e pianoforte, troviamo momenti di più alta intensità emotiva, in cui il pur fine artigianato viene accantonato in favore di un’espressione sentita e profonda. Ritroviamo qui alcune delle caratteristiche dei melodrammi, dalle ampie melodie e i recitativi che indagano il significato dei testi poetici, all’arrangiamento strumentale più ricco, alla maggiore elaborazione formale. Si tratta insomma di lavori di più largo respiro che non semplici brani d’occasione. Un discorso ancora diverso merita l’ingente mole di musica sacra scritta da Abbà-Cornaglia. La composizione di tali brani rientrava fra le sue mansioni di organista del Duomo di Alessandria e dunque presenta tutte le caratteristiche di semplicità ed immediatezza che la quotidianità della liturgia richiedeva. Torniamo perciò nell’ambito di un solido artigianato, ben lontano dalla temperie artistica dei melodrammi e dai lavori cameristici di maggior impegno. Spicca però fra questi la Messa da Requiem, eseguita nel 1876 per celebrare il ventisettesimo anniversario della morte di Carlo Alberto. Si tratta di un lavoro grandioso ed imponente, dallo stile austero (benché talvolta affiorino inflessioni quasi operistiche), che gli valse numerose onorificenze, oltre che una larga notorietà in tutta Italia. In conclusione, la figura di Pietro Abbà-Cornaglia riveste per noi un duplice interesse: da un lato egli è parte dello sviluppo del melodramma italiano nella seconda metà dell’Ottocento e le sue opere certamente reggono il confronto con la produzione di altri, più celebri compositori della stessa generazione. Dall’altro lato, egli è testimonianza della vita musicale di quegli anni quale si svolgeva al di fuori dei teatri, cioè nei salotti della nobiltà e della borghesia e nell’ambito liturgico. In questo senso, la sua produzione merita la nostra attenzione, poiché è in grado di restituirci un’immagine più nitida e sfaccettata dell’Ottocento musicale italiano, in cui il melodramma era certamente il principe dei generi musicali, ma attorno ad esso vi era tutta una costellazione di generi e di contesti sociali diversi la cui importanza è stata sempre, fino ad anni recenti, sottovalutata. È probabilmente tempo di riconsiderarli. 1 2