Diabete mellito e disturbi del comportamento alimentare

G It Diabetol Metab 2011;31:24-34
Rassegna
Diabete mellito e disturbi
del comportamento alimentare
RIASSUNTO
I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono considerati una vera e propria malattia con criteri diagnostici basati su
caratteristiche psicologiche, comportamentali e fisiologiche.
Hanno un forte impatto sullo stato di salute individuale e possono potenzialmente minacciare la vita stessa. Negli ultimi venti
anni sono stati fatti molti progressi nella comprensione dei meccanismi che portano a questa condizione.
In generale, in termini di eziopatogenesi, classificazione, incidenza, sono state raggruppate tre categorie: anoressia nervosa,
bulimia nervosa, altri disturbi non classificabili diversamente
(EDNOS), incluso il binge eating.
I disturbi del comportamento alimentare sono comuni anche nel
diabete sia di tipo 1 sia di tipo 2. I DCA sono molto frequenti
nella sua forma clinica e subclinica nelle giovani con diabete di
tipo 1 (binge eating e EDNOS). I DCA complicano e rendono
ancora più instabile il diabete. EDNOS e BMI eccessivo creano
molti problemi nel controllo del diabete e nella prevenzione delle
complicanze: è necessario comprendere i meccanismi che sottostanno ai DCA, la loro complessità, le complicanze mediche e
psicologiche per potere terapizzare nel giusto modo queste
condizioni.
La natura stessa dei DCA richiede un intervento complesso e
multidisciplinare, nutrizionale, psicologico, diabetologico, psichiatrico.
SUMMARY
Eating disorders and diabetes
Eating disorders are considered medical illnesses with diagnostic criteria based on psychological, behavioural, and physiologic
characteristics. Eating disorders considerably impact the health
status of affected individuals, potentially in a life-threatening
manner.
Over the past two decades, much progress has been made in
the classification and understanding of eating disorders. In general terms, information about the classification, incidence, etiology, and effects of eating disorders encompasses three groups
of psychopathologies with associated eating pattern abnormali-
F. Tomasi1, V. Miselli2
1
UOC Diabetologia, Dietologia e Nutrizione Clinica,
Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara “Arcispedale
S. Anna”; 2UOC Diabetologia, Malattie Metaboliche e
Nutrizione Clinica, AUSL di Reggio Emilia, Presidio
Ospedaliero di Scandiano (RE)
Corrispondenza: dott. Franco Tomasi,
UOC Diabetologia, Dietologia e Nutrizione Clinica,
Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara,
corso Giovecca 203, 44122 Ferrara
G It Diabetol Metab 2011;31:24-34
Pervenuto in Redazione il 17-12-2010
Accettato per la pubblicazione il 02-02-2011
Parole chiave: disturbi del comportamento alimentare,
anoressia nervosa, bulimia, diabete di tipo 1,
diabete di tipo 2, classificazione, terapia
Key words: eating disorders, anorexia nervosa, bulimia,
type 1 diabetes, type 2 diabetes, classification,
treatment
Diabete mellito e disturbi del comportamento alimentare
ties: anorexia nervosa; bulimia nervosa; and eating disorders not
otherwise specified (EDNOS), including binge eating disorder.
Disordered eating is not uncommon and can be detrimental to
both short- and long-term health for patients with type 1 (and
type 2) diabetes.
Clinical and subclinical disordered eating behaviours such as
binge eating disorder and EDNOS are more common in adolescent girls with type 1 diabetes than age-matched control subjects. Both comorbid disordered eating (subclinical as well as
clinical) and elevated BMI can have a negative influence on
glycemic control and health outcomes in type 1 diabetes.
Understanding the complexities of eating disorders, such as
influencing factors, comorbid illness, medical and psychological
complications, and boundary issues, is critical in the effective
treatment of eating disorders. The nature of eating disorders
requires a collaborative approach by an interdisciplinary team of
psychological, nutritional, and medical specialists.
Introduzione
I disturbi del comportamento alimentare (DCA) rappresentano oggi un problema sociosanitario di rilevante importanza in tutti i Paesi del mondo occidentale. I DCA sono caratterizzati da un’alterazione del comportamento alimentare e
da un rapporto problematico con il proprio corpo e con la
propria identità, il cui nucleo centrale è rappresentato dalla
estrema preoccupazione per il peso e l’aspetto fisico,
caratteristiche peculiari di chi ne è affetto. A causa del frequente riscontro di comorbilità psichiatrica e di complicanze mediche, sono tra i disturbi psichiatrici a più elevato
rischio di mortalità1,2.
I DCA riconoscono una patogenesi multifattoriale nella quale
possono essere identificati aspetti genetici, psicologici e
socioculturali che, con modalità estremamente variegate da
caso a caso, svolgono i ruoli di fattori predisponenti (individuali, familiari, culturali), precipitanti (insoddisfazione per il
proprio peso e le forme del corpo e quindi dieta come tentativo di migliorare l’autostima e il controllo di sé) e perpetuanti (sintomi del digiuno e reazioni degli altri)3.
La classificazione e i criteri diagnostici per un corretto inquadramento dei DCA sono riportati rispettivamente nelle tabelle 1 e 24.
I più importanti modelli cognitivo-comportamentali per il trattamento dei DCA si basano principalmente sul presupposto
che l’anoressia nervosa (AN) e la bulimia nervosa (BN) siano
alimentate da idee disfunzionali nei confronti del peso e delle
forme corporee; idee che in molti casi derivano dagli imperativi culturali che impongono di raggiungere un livello di peso
assolutamente non realistico. Osservando l’importanza culturale attribuita alla magrezza, non è difficile comprendere
come le donne, soprattutto quelle con una persistente scarsa autostima, possano arrivare alla conclusione che i propri
fallimenti personali siano in qualche modo legati al loro peso
e che il raggiungimento della magrezza sia in grado di migliorare notevolmente la loro autostima. Per le persone che sviluppano DCA, questi pensieri disfunzionali si legano inesorabilmente alle contingenze rinforzanti positive e negative
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Tabella 1 Classificazione dei disturbi del comportamento alimentare (da DSM IV – American
Psychiatric Association, 1994).
• Anoressia nervosa
– con restrizioni
– con abbuffate/condotte di eliminazione
• Bulimia nervosa
– con condotte di eliminazione (vomito, diuretici, lassativi, enteroclismi)
– senza condotte di eliminazione (compenso
con digiuno, attività fisica strenua)
• Disturbo da alimentazione incontrollata (BED)
• Disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati (EDNOS)
associate al successo o al fallimento nei comportamenti di
controllo del peso. Una volta che il dimagrimento sia stato
raggiunto, il processo viene ulteriormente perpetuato dai sintomi emotivi e psicologici secondari alla denutrizione, che
tendono a mantenere pensieri disfunzionali e comportamenti idiosincratici nei confronti del controllo del peso. Il tentativo di regolare il peso a un valore più basso aumenta la possibilità di andare incontro alle abbuffate; queste ultime, intensificando la paura di ingrassare, portano le persone ad attuare misure sempre più radicali per controllare il loro peso.
Nella presente rassegna verranno presi in considerazione gli
aspetti epidemiologici dei DCA nella popolazione generale e
fra i diabetici e i rapporti peculiari esistenti fra il diabete mellito sia di tipo 1, sia di tipo 2 e i DCA al fine di individuare l’esistenza di una possibile relazione di causa-effetto fra tali
patologie. Verranno altresì discussi le conseguenze dei DCA
sul diabete e alcuni aspetti peculiari dei DCA stessi in caso
di diabete. Ne verrà infine descritto, seppur schematicamente, il possibile trattamento.
Epidemiologia dei disturbi
del comportamento alimentare
La diffusione dei DCA è maggiore nel genere femminile e nell’età adolescenziale e giovanile. La prevalenza dell’AN è stimata fra lo 0,2 e lo 0,8% nella popolazione femminile; quella della BN fra l’1 e il 2%5-7; quella del BED (binge eating disorder o disturbo da alimentazione incontrollata) è fra il 3 e il
4% nell’intera popolazione8, mentre oscilla fra il 5 e il 30% a
seconda delle diverse casistiche in caso di sovrappeso od
obesità9. Molto più frequenti sono i cosiddetti DCA non altrimenti specificati (EDNOS, eating disorders not otherwise
specified): si tratta di sindromi parziali in cui sono presenti
alcuni, ma non tutti, i sintomi necessari per la diagnosi di AN
o BN che coinvolgono circa il 4-10% delle adolescenti e delle
giovani donne10,11.
Per quanto riguarda la loro incidenza, i DCA hanno un andamento diverso: in particolare, quella dell’AN, negli ultimi anni,
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F. Tomasi e V. Miselli
Tabella 2 Criteri diagnostici per l’inquadramento dei disturbi del comportamento alimentare.
Anoressia nervosa
A. Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per l’età e la statura (per es. perdita di peso che porta a mantenere il peso
corporeo al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto, oppure incapacità di raggiungere il peso previsto durante il periodo della crescita in altezza, con
la conseguenza che il peso rimane al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto).
B. Intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, anche quando si è sottopeso.
C. Alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo, o eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima, o
rifiuto di ammettere la gravità dell’attuale condizione di sottopeso.
D. Nelle femmine, dopo il menarca, amenorrea per 3 cicli mestruali consecutivi.
Sottotipi
1) con restrizioni: nell’episodio attuale di anoressia nervosa il soggetto non ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione (per es.
vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi);
2) con abbuffate/condotte di eliminazione: nell’episodio attuale di anoressia nervosa il soggetto ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di
eliminazione (per es. vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi).
Bulimia nervosa
A. Ricorrenti abbuffate. Un’abbuffata è caratterizzata da entrambe le seguenti caratteristiche:
1) mangiare in un definito periodo di tempo (per es. un periodo di due ore) una quantità di cibo significativamente maggiore di quello che la maggior
parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo e in circostanze simili;
2) sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (per es. sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa e quanto si sta
mangiando).
B. Ricorrenti e inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, enteroclismi
o altri farmaci, digiuno o esercizio fisico eccessivo.
C. Le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano entrambe in media almeno due volte alla settimana, per tre mesi.
D. I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporei.
E. L’alterazione non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di anoressia nervosa.
Sottotipi
1) con condotte di eliminazione: nell’episodio attuale di bulimia nervosa il soggetto ha presentato regolarmente vomito autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi;
2) senza condotte di eliminazione: nell’episodio attuale il soggetto ha utilizzato regolarmente altri comportamenti compensatori inappropriati, quali
il digiuno o l’esercizio fisico eccessivo, ma non si dedica regolarmente al vomito autoindotto o all’uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi.
Disturbo da alimentazione incontrollata (BED)
A. Episodi ricorrenti di alimentazione incontrollata. Un episodio di alimentazione incontrollata si caratterizza per la presenza di entrambi i seguenti elementi:
1) mangiare, in un periodo definito di tempo (per es. entro un periodo di 2 ore), un quantitativo di cibo chiaramente più abbondante di quello che la
maggior parte delle persone mangerebbe in un periodo simile di tempo e in circostanze simili;
2) sensazione di perdita del controllo nel mangiare durante l’episodio (per es. la sensazione di non riuscire a fermarsi, oppure a controllare che cosa e
quanto si sta mangiando).
B. Gli episodi di alimentazione incontrollata sono associati con tre (o più) dei seguenti sintomi:
1) mangiare molto più rapidamente del normale;
2) mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni;
3) mangiare grandi quantitativi di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati;
4) mangiare da soli a causa dell’imbarazzo per quanto si sta mangiando;
5) sentirsi disgustati verso sé stessi, depressi o molto in colpa dopo le abbuffate.
C. Presente marcato disagio a riguardo del mangiare incontrollato.
D. Il comportamento alimentare incontrollato si manifesta, mediamente, almeno per 2 giorni alla settimana in un periodo di 6 mesi.
E. L’alimentazione incontrollata non è associata con l’utilizzazione sistematica di comportamenti compensatori inappropriati (per es. uso di purganti, digiuno, eccessivo esercizio fisico) e non si verifica esclusivamente in corso di anoressia nervosa o di bulimia nervosa.
Disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati (EDNOS)
Questa categoria include quei disturbi dell’alimentazione che non soddisfano i criteri di nessuno specifico disturbo.
1) Per il sesso femminile, tutti i criteri dell’anoressia nervosa in presenza di un ciclo mestruale regolare.
2) Tutti i criteri dell’anoressia nervosa sono soddisfatti e, malgrado la significativa perdita di peso, il peso attuale risulta ancora nei limiti della norma.
3) Tutti i criteri della bulimia nervosa risultano soddisfatti, tranne il fatto che le abbuffate e le condotte compensatorie hanno una frequenza inferiore a 2 episodi per settimana per 3 mesi.
4) Un soggetto di peso normale che si dedica regolarmente a inappropriate condotte compensatorie dopo aver ingerito piccole quantità di cibo (per es.
induzione del vomito dopo aver mangiato due biscotti).
5) Il soggetto ripetutamente mastica e sputa, senza deglutirle, grandi quantità di cibo.
Diabete mellito e disturbi del comportamento alimentare
sembra essersi stabilizzata intorno ai 20 casi annui per
100.000 abitanti con un picco di esordio che va dai 15 ai 19
anni di età, mentre quella della BN risulta in aumento con 30
casi annui per 100.000 abitanti, con esordio soprattutto fra i
20 e i 24 anni di età6,7. Per quanto riguarda il genere, anche
se come già ricordato i DCA si manifestano soprattutto in
persone di sesso femminile, non sono rari i maschi che ne
soffrono12. La percentuale di soggetti affetti da DCA che
richiede un trattamento, pur essendo aumentata, rimane
comunque ancora molto bassa per una scarsa consapevolezza di malattia e quindi per un’insufficiente motivazione al
trattamento, situazione questa che si verifica soprattutto
nell’AN13. Una diagnosi precoce dei DCA è di fondamentale
importanza perché un intervento tempestivo ha più elevate
probabilità di successo e riduce il rischio di cronicizzazione.
Con le opportune terapie, messe in atto da equipe pluriprofessionali (nutrizionista, dietista, psichiatra e/o psicologo)
specificatamente formate a tali problematiche, si ottiene, in
circa il 50% dei casi, una remissione totale; nel 30% dei
pazienti si ha una remissione parziale e nel restante 20%
un’evoluzione verso la cronicizzazione.
Disturbi del comportamento alimentare
e diabete di tipo 1
La prima descrizione di un’associazione fra DCA e diabete di
tipo 1 venne pubblicata nel 1980 sul British Medical Journal
da Fairburn e Steel14, che riportarono tre casi di AN in giovani diabetiche con insorgenza del DCA dopo la diagnosi di
diabete di tipo 1. Alla pubblicazione di questo articolo, fece
seguito una lettera inviata al BMJ da Bruni15 nella quale veniva riportato un caso di associazione tra diabete di tipo 1 e
AN da lui presentato nel 1972 all’VIII Congresso dell’EASD.
In seguito sono stati pubblicati numerosi studi clinici e rassegne16-27 che concordano sul fatto che l’associazione DCA e
diabete di tipo 1 è più frequente di quanto ci si potrebbe
attendere casualmente.
Fra i lavori più recenti a tale proposito, va citata la metanalisi
di Mannucci e coll.28 nella quale sono stati inclusi 8 studi
caso-controllo che hanno valutato la prevalenza di AN e BN
in 748 giovani donne con diabete di tipo 1 di età compresa
fra i 15 e i 35 anni e in 1687 ragazze non diabetiche. Mentre
la prevalenza dell’AN non si è rivelata diversa fra le giovani
con diabete e i controlli, quella della BN è risultata significativamente più elevata fra le diabetiche (1,73%) rispetto ai
controlli (0,69%).
Un ulteriore lavoro da ricordare, anch’esso per la vastità del
campione studiato, è quello di Jones e coll.29 che, in un
gruppo di 356 adolescenti con diabete di tipo 1 di età compresa fra i 12 e i 19 anni, confrontate con 1098 adolescenti
non diabetiche, hanno evidenziato una prevalenza dei DCA
conclamati pari al 10% nelle diabetiche e al 4% nei controlli e dei DCA borderline al 14% nelle diabetiche e all’8% nei
controlli. In particolare, i DCA diagnosticati nelle adolescenti
con diabete erano classificabili come BN nel 30,6% dei casi,
BED nel 25%, AN nel 16,7% e EDNOS nel 27,7%. Per quan-
27
to riguardava la comparsa temporale dei DCA, in ben il 70%
dei casi questi si erano manifestati dopo l’esordio del diabete. L’8,8% delle diabetiche faceva frequentemente ricorso
alla manipolazione e/o all’omissione delle dosi di insulina
(insulin purging) e le diabetiche con DCA, in particolare quelle che lo praticavano, avevano valori di HbA1c maggiori
rispetto a quelli riscontrati nelle altre diabetiche.
Il riscontro di un peggiore compenso metabolico in persone
con diabete e DCA, in particolare fra quelle che praticano
l’insulin purging, è stato riportato anche da altri autori30-33.
A conclusioni diverse, circa il maggior deterioramento del
compenso metabolico in caso di DCA, è invece giunto uno
studio prospettico di Colton e coll.34, che hanno seguito
per 5 anni un gruppo di ragazze adolescenti con diabete di
tipo 1 in alcune delle quali era stato diagnosticato un DCA.
Al termine del periodo di osservazione, non è stata individuata alcuna correlazione fra DCA e compenso metabolico, dal momento che le ragazze con DCA, prevalentemente BN, avevano valori di HbA1c che, seppur leggermente più
elevati rispetto a quelli delle ragazze senza DCA, non differivano da questi in maniera significativa. Gli autori hanno
ipotizzato che l’assenza di correlazione fra DCA e compenso metabolico fosse dovuta alla precocità dell’intervento
terapeutico messo in atto nei casi di DCA che si sarebbe
dimostrato in grado di contenere le abbuffate e l’insulin
purging e quindi avrebbe evitato il peggioramento del compenso metabolico.
A proposito delle diverse modalità di scelta delle condotte
compensatorie adottate, gli studi che hanno indagato tali
comportamenti mostrano come alcune adolescenti utilizzino
a questo scopo solo l’insulin purging35-37, altre l’insulin purging associato al ricorso al vomito autoindotto e/o a lassativi38 e altre ancora il vomito autoindotto e/o l’uso di lassativi
senza ricorrere all’insulin purging18.
Una successiva metanalisi di Nielsen e coll.39 ha confermato, in
adolescenti femmine e in giovani donne con diabete di tipo 1,
la presenza di comportamenti quali le abbuffate nel 60-80%
del campione e l’induzione volontaria di glicosuria da omissione o riduzione del dosaggio di insulina, finalizzata a ottenere una perdita di peso, nel 12-40% del campione.
Conseguenze dei disturbi
del comportamento alimentare
nel diabete di tipo 1
Nelle persone con diabete di tipo 1 i DCA sono spesso
causa diretta o indiretta di altre problematiche: in particolare determinano alterazioni del metabolismo lipidico40 e
potrebbero rappresentare un fattore di rischio per l’insorgenza delle complicanze croniche del diabete41-43. Per
quanto riguarda infatti l’evenienza di complicanze microvascolari nelle persone con DCA e diabete di tipo 1, esistono
molti dati di letteratura che dimostrano che i DCA stessi
portino a uno scarso controllo metabolico, causa principale, come è noto, delle complicanze a lungo termine del dia-
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F. Tomasi e V. Miselli
bete44. In particolare, le persone con diabete di tipo 1 che
ricorrono all’insulin purging, come metodo di compenso
dopo le abbuffate, hanno un rischio molto elevato di incorrere nelle complicanze croniche proprio per lo scarso controllo metabolico: diversi studi29-33 hanno infatti dimostrato
che l’HbA1c di queste persone è significativamente superiore rispetto a quella in persone con diabete di tipo 1 con le
medesime caratteristiche, ma in assenza di DCA. La Greca
e coll.45 hanno evidenziato che il 50% delle persone con
diabete di tipo 1 che avevano livelli di HbA1c compresi tra
9,0 e 11,9% e il 70% di quelle i cui valori di HbA1c erano
≥12% faceva ricorso all’insulin purging il che invece non si
verificava fra quelle con HbA1c < 9,0%.
Peveler e coll.46, poi, hanno dimostrato come la presenza di
complicanze microvascolari fosse presente nel 21% di persone con DCA, nel 47% di quelle con comportamenti alimentari disordinati e nel 48% di quelle che facevano un uso
improprio dell’insulina. Da questo studio è anche emersa
una correlazione positiva tra DCA e presenza di due o più
complicanze gravi. Fra quelle croniche evidenziate con maggiore frequenza in letteratura32-34 vanno ricordate la retinopatia, la nefropatia, la neuropatia e il piede diabetico. Per quanto riguarda quelle acute, Peveler e coll.46 hanno riscontrato
che il 24% di adolescenti e l’11% di giovani adulti sono
andati incontro a uno o più ricoveri ospedalieri per chetoacidosi secondaria all’insulin purging.
Studi recenti47-49 hanno poi messo in evidenza che persone
con diabete di tipo 1 che ricorrono all’insulin purging hanno
un rischio di mortalità 2,5-3 volte superiore a quelle che non
ricorrono a questo metodo di compenso. È emerso inoltre
che l’età di morte è significativamente più bassa tra le donne
che ricorrono all’insulin purging (45 anni) rispetto a quelle che
invece ne fanno un uso appropriato (58 anni).
Dal diabete di tipo 1
ai disturbi del comportamento alimentare
Un’attenta lettura del modello eziopatogenetico proposto
per lo sviluppo di DCA può far intuire quali siano i fattori che
rendono i soggetti affetti da diabete di tipo 1 uno dei gruppi a rischio per tali patologie. Oltre agli elementi già ricordati, nel diabete di tipo 1 esistono anche fattori di rischio specifici collegati al diabete e/o alla terapia insulinica e tali fattori sono elencati nella tabella 3. Fra questi merita un cenno
la problematica rappresentata dal fatto che le adolescenti
con diabete di tipo 1 hanno un peso corporeo e quindi un
BMI maggiore rispetto a quello delle coetanee non diabetiche50-52 e ciò, alla luce del fatto che BMI elevato e DCA correlano strettamente, potrebbe rappresentare un fattore
importante nella genesi dei DCA per le motivazioni esposte
più avanti.
Per spiegare i meccanismi che potrebbero favorire la comparsa dei DCA in corso di diabete di tipo 1 si possono formulare diverse ipotesi: innanzitutto, la restrizione dietetica,
cui vengono sottoposti questi pazienti sin dal momento
della diagnosi, potrebbe facilitare la comparsa di comportamenti alimentari abnormi in quelli fra di loro più suscettibili. Oltre a ciò va ricordato il fatto che, come è ben noto, il
diabete di tipo 1 al suo esordio si accompagna frequentemente a un evidente calo ponderale, mentre con l’inizio
della terapia insulinica il peso perduto viene rapidamente
recuperato53: ebbene, tali oscillazioni ponderali, soprattutto
quando si verifichino in epoca adolescenziale, nella quale è
molto spesso presente una caratteristica preoccupazione
per il peso e l’aspetto fisico, potrebbero concentrare l’attenzione della persona sulla forma corporea, favorendo la
comparsa di un DCA. Da non dimenticare, poi, la focalizza-
Tabella 3 Fattori di rischio specifici per disturbi del comportamento alimentare nel diabete di tipo 1.
Fattori predisponenti
– BMI (kg/m2), nelle femmine, superiore rispetto alle coetanee non diabetiche
– Rapido incremento ponderale con l’avvio della terapia insulinica (nella maggior parte dei casi dopo la sperimentazione di un rapido calo ponderale)
– Caratteristiche familiari (rigidità, criticismo, aspettative elevate sul controllo glicometabolico, ruolo attivo
nella gestione del diabete, alti livelli di conflitto, incapacità di riconoscere le emozioni e interagire con esse,
difficoltà a promuovere l’autonomia)
– Pressione a ignorare i segnali interni della fame a favore di una pianificazione dei pasti
Fattori precipitanti
– Aumentato rischio di complicanze mediche nel corso di tutta la vita
– Cronicità della malattia
– Forte pressione a mantenere un “perfetto” controllo della glicemia a cui segue senso di colpa e di fallimento se non è raggiunto l’obiettivo
– Tristezza, rabbia, isolamento sociale e maggiore dipendenza dalla propria famiglia
– Difficoltà ad adeguarsi alla dieta prescritta
Fattori iatrogeni
– Prescrizione alimentare con attenzione particolare ad alcune categorie di alimenti
– Pianificazione dei pasti
– Focus sulla “compliance” piuttosto che sulla collaborazione
Diabete mellito e disturbi del comportamento alimentare
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zione che il diabete impone comunque sul cibo e l’aumento dell’attenzione sul corpo che esso comporta.
Infine, nelle persone con diabete di tipo 1 si osservano spesso irregolarità nello svuotamento gastrico, che potrebbero
influire sulle sensazioni fisiologiche di fame e sazietà, contribuendo alla genesi di alterazioni del comportamento alimentare54.
Per quanto riguarda in particolare il diabete di tipo 1, nella
grande maggioranza dei casi, la comparsa del diabete
precede quella del DCA, suggerendo l’ipotesi che il diabete stesso rappresenti un fattore di rischio soprattutto
per la BN nella quale un metodo di compenso utilizzato
dopo le abbuffate è rappresentato molto speso dall’insulin purging.
e che alcuni sintomi depressivi siano spesso riscontrati in
persone con DCA. Per tale motivo, l’adolescente con diabete di tipo 1, a rischio di depressione, dovrebbe venire sottoposto a una valutazione psicosociale che ricerchi la presenza di sintomi depressivi quali: tristezza, sensazione di vuoto,
diminuzione dell’appetito e/o perdita di peso, problemi del
sonno o letargia, agitazione, affaticamento, basso interesse,
diminuita capacità di pensiero o di concentrazione, indecisione, ricorrenti pensieri di morte e/o suicidio o tentativi di
suicidio56.
Se il team diabetologico sospettasse la presenza di un DCA
è importante valutare i segni, i sintomi e le complicanze
mediche connesse a questo tipo di disturbo. Tali aspetti
sono elencati nella tabella 4.
Diagnosi dei disturbi
del comportamento alimentare
nel diabete di tipo 1
Peculiarità dei disturbi
del comportamento alimentare
nel diabete di tipo 1
Al di là dei criteri diagnostici classici da utilizzare per la diagnosi di DCA, Colton e coll.55 hanno richiamato l’attenzione
su alcuni particolari segni di allarme che potrebbero indicare
la presenza di DCA tra i giovani con diabete di tipo 1: livelli
inspiegabilmente elevati della glicemia a cui si accompagni
una rapida perdita di peso potrebbero, per esempio, essere
secondari a un DCA e a pratiche compensatorie quali l’omissione o la riduzione volontaria della terapia insulinica. Anche
episodi ricorrenti di chetoacidosi diabetica vanno inclusi tra i
segnali di insulin purging per ottenere una perdita di peso.
Elevati valori glicemici, inoltre, potrebbero nascondere abitudini alimentari errate, come l’evenienza di abbuffate, mentre
ricorrenti ipoglicemie accompagnate da una ridotta crescita
staturale e/o dalla perdita di peso possono indicare una
restrizione alimentare (il digiuno, una severa restrizione calorica o un eccessivo utilizzo dell’attività fisica per la perdita di
peso).
Anche gli esami ematochimici possono risultare utili nella
diagnosi di DCA, in particolare nelle persone che utilizzano
condotte di eliminazione. Oltre ovviamente al periodico controllo dell’HbA1c, può risultare utile verificare gli elettroliti, in
particolare potassio e sodio, dal momento che una ipopotassiemia, associata a un incremento dei livelli di bicarbonato, potrebbe essere secondaria al frequente ricorso al vomito autoindotto o all’abuso di diuretici, o una iposodiemia
potrebbe invece dipendere dall’eccessivo consumo di
acqua. Le alterazioni dei parametri bioumorali sono più probabili nei giovani con diabete di tipo 1 che ricorrono all’insulin purging.
La valutazione risulta più complessa nei casi in cui questi
valori si presentino nella norma (più frequentemente tra i disturbi di entità lieve). In questo caso è importante valutare
sintomi quali: scarsa autostima, dispercezione corporea,
depressione, ansia e manipolazione della dieta. È importante sottolineare come la depressione maggiore sia stata
riscontrata in 1 caso su 5 tra le persone con diabete di tipo 1
Come abbiamo visto, è bene ricordare che, nelle persone
con diabete di tipo 1, i DCA possono assumere alcuni aspetti clinici particolari:
– in caso di BN, viene spesso utilizzato l’insulin purging
quale mezzo per il controllo del peso e questo particolare comportamento può essere considerato un equivalente dei metodi purgativi “classici” della BN (vomito autoindotto, lassativi, diuretici ecc.). La manipolazione delle
dosi di insulina allo scopo di perdere peso è peraltro frequente nelle giovani diabetiche, anche in assenza di
fenomeni di perdita di controllo sul cibo. Se al pasto,
infatti, non viene associata la giusta quantità di insulina,
la glicemia aumenta marcatamente e compaiono glicosuria e poliuria. Il risultato finale è l’escrezione di glucosio
(e quindi di calorie) con le urine con conseguente rapido
calo ponderale per disidratazione e riduzione dell’introito
calorico;
– le variazioni di peso nelle persone con diabete di tipo 1
non riflettono in maniera fedele il comportamento alimentare. Per esempio, la presenza di frequenti abbuffate, pur
in assenza di comportamenti compensatori, può determinare scompenso glicometabolico con massiva glicosuria e calo ponderale; ciò spiega perché, tra le persone
con diabete di tipo 1, quelle con BED siano spesso normopeso o sottopeso;
– le crisi ipoglicemiche, che si accompagnano a un forte
impulso verso il cibo, possono essere difficili da distinguere (per la stessa persona) da episodi di perdita di
controllo.
Uno studio attento del comportamento alimentare è quindi
raccomandabile in tutte le persone con diabete di tipo 1
caratterizzato da ampia variabilità glicemica ed elevati valori di HbA1c specialmente se di sesso femminile, perché alterazioni anche minime nei rapporti con il cibo possono
determinare un rilevante peggioramento dell’equilibrio
metabolico.
30
F. Tomasi e V. Miselli
Tabella 4 Principali segni, sintomi e complicanze dei disturbi del comportamento alimentare.
Anoressia nervosa
Bulimia nervosa
Immunologici
• Ridotta attività battericida dei granulociti
• Compromessa immunità cellulo-mediata
Ematologici
• Anemia
• Piastrinopenia (rara)
• Leucopenia con linfocitopenia
Metabolici
• Ipokaliemia
• Alcalosi metabolica
• Ipercolesterolemia
• Ipokaliemia
• Ipofosforemia
• Iponatriemia
• Ipocalcemia
• Ipocloremia
• Ipomagnesemia
• Ipomagnesemia
Endocrini
• Amenorrea/ipogonadismo
• Ipoglicemia
• Diabete insipido
• Iperaldosteronismo secondario
• Ipoglicemia
• Disidratazione
• Disfunzione dell’asse ipotalamo-ipofisario-surrenale
• Irregolarità mestruali
• Sensibilità al freddo
• Aborti spontanei
• Euthiroid sick sindrome
• Iperamilasemia
• Osteopenia
• Nefropatia ipokaliemica
• Chetoacidosi
• Chetoacidosi
Dermatologici
• Peluria lanuginosa del viso
• Caduta dei capelli
• Fragilità delle unghie
• Ipercarotenodermia
Gastrointestinali • Dolori addominali
• Colon catartico
• Ridotta motilità intestinale
• Diarrea
• Ritardato svuotamento gastrico
• Stipsi
• Dilatazione duodenale
• Pancreatite
• Stipsi
• Epatopatia
• Senso di sazietà precoce
• Pancreopatia
Gastroesofagee
• Esofago di Barrett
• Dispepsia, disfagia, esofagite, gastrite
• Stenosi, ulcera, rottura esofagea, rottura
gastrica, ernia iatale
Neuromuscolari
• Convulsioni
• Neuropatia
Cardiovascolari
• Aritmie
• Aritmie
• Anomalie dell’ECG
• Prolasso della valvola mitralica
• Disfunzione ventricolare sinistra
• Ipotensione
• Irregolarità del movimento della valvola mitrale
• Miocardiopatia da rialimentazione
Polmonari
• Polmonite ab ingestis
Mediastiniche
• Pneumomediastino
Orali
• Cheliosi
• Sialodenosi, iperamilasemia di origine
salivare
• Perimolisi e carie dentali
Diabete mellito e disturbi del comportamento alimentare
Disturbi del comportamento alimentare
e diabete di tipo 2
Nelle persone con diabete di tipo 2 il comportamento alimentare è stato meno indagato rispetto a quanto è invece avvenuto fra quelle con diabete di tipo 157-64. L’esordio del diabete di
tipo 2 in un’età (di solito oltre i 40 anni) nella quale difficilmente i DCA più studiati (AN e BN) fanno la loro comparsa rende
infatti improbabile l’associazione fra queste patologie.
La maggior parte delle persone con diabete di tipo 2 è sovrappeso o presenta una vera e propria obesità e, come è ben
noto, l’obesità si associa molto spesso ad alterazioni del comportamento alimentare65-67. Dagli studi compiuti è comunque
emerso che anche nel diabete di tipo 2 può essere presente
un DCA e quello più frequentemente diagnosticato negli individui sovrappeso od obesi con diabete di tipo 2 è il BED.
Il controllo dell’apporto alimentare nel diabete di tipo 2 costituisce, ancor più che nel diabete di tipo 1, un presidio terapeutico fondamentale, per cui le persone vengono più frequentemente sottoposte a restrizioni dietetiche rigide. Analogamente
alle persone con diabete di tipo 1, anche quelle con diabete di
tipo 2 ricevono generalmente, al momento della diagnosi, prescrizioni dietetiche precise. Dal momento che, come detto, la
maggior parte delle persone con diabete di tipo 2 presenta problemi di eccesso di peso, e dato che spesso al diabete sono
associate anche altre patologie che richiedono una correzione
dietetica (ipertensione, iperlipidemie ecc.), queste persone vengono spesso sottoposte a regimi alimentari assai più restrittivi
rispetto a quelli prescritti in caso di diabete di tipo 1. Sebbene
l’età della diagnosi del diabete di tipo 2, e quindi della relativa
prescrizione dietetica, sia più elevata di quella tipica per i DCA,
il diabete di tipo 2 potrebbe quindi rappresentare un modello
interessante per comprendere l’effetto della prescrizione dietetica sul comportamento alimentare. In particolare, il confronto
tra persone con diabete di tipo 2 e soggetti di controllo può fornire informazioni dell’effetto sul comportamento alimentare di
una prescrizione dietetica somministrata in età adulta. A tale
proposito, lo studio di Mannucci e coll.68 eseguito su 146 persone obese con diabete di tipo 2 e su 240 soggetti obesi non
diabetici non ha però evidenziato alcuna differenza significativa
nella prevalenza di DCA nell’ambito dei due gruppi studiati.
Sulla base dei dati attualmente disponibili, si può quindi concludere che una prescrizione dietetica effettuata in età adulta non induce un aumento delle alterazioni del comportamento alimentare e che le persone obese con diabete di tipo 2
non sono significativamente diverse, a questo riguardo, da
quelle obese non diabetiche della stessa fascia di età.
Herpertz e coll.69 hanno riportato i dati di un’analisi multicentrica nell’ambito della quale sono state valutate 322 persone
con diabete di tipo 2, l’81% delle quali presentava eccesso
di peso; la prevalenza globale di DCA riscontrata andava dal
6,5% al 9% con una prevalenza del 59,3% di BED, del
18,8% di BN e del 21,9% di EDNOS. In particolare, comunque, in ben il 90% dei casi, i DCA erano già presenti prima
della diagnosi di diabete.
Può quindi essere ragionevolmente condivisa l’ipotesi che il
BED, il DCA più frequente in corso di diabete di tipo 2, pre-
31
ceda il diabete e, rappresentando molto spesso la causa
dell’obesità, possa determinare nel tempo la comparsa di un
diabete di tipo 270.
Trattamento dei disturbi
del comportamento alimentare
nel diabete
Il trattamento di queste condizioni è difficile. Chi ne è affetto
deve essere preso in carico da professionisti esperti nella
gestione di tali situazioni e questi devono sempre operare in
stretta collaborazione fra di loro. In particolare, l’approccio
che si è rivelato in grado di offrire le maggiori probabilità di
successo è quello di tipo cognitivo-comportamentale.
Il recupero di un comportamento alimentare accettabile deve
passare attraverso l’utilizzo di un modello multidisciplinare integrato di tipo multidimensionale (riabilitazione psiconutrizionale)
che comprende da un lato la riabilitazione nutrizionale e dall’altro il trattamento efficace degli effetti psicobiologici del digiuno.
A titolo di esempio, una schematica descrizione della riabilitazione psiconutrizionale nel disturbo da alimentazione
incontrollata, come può accadere nel diabete di tipo 2, è
descritta nella tabella 5.
Tabella 5 La riabilitazione psiconutrizionale nel
disturbo da alimentazione incontrollata.
• Assessment medico: i soggetti con BED sono molto spesso obesi e quindi è sempre opportuno valutare il grado di obesità, i fattori di rischio e le
complicanze mediche presenti.
• Spiegazione del razionale del trattamento: riduzione graduale delle
abbuffate e normalizzazione dell’alimentazione in primis e poi, eventualmente in un secondo tempo, perdita di peso.
• Motivazione del paziente (spesso numerosi precedenti fallimenti).
• Affrontare il tema della vergogna e della negativa valutazione di sé
legata ai pregiudizi sociali nei confronti dell’obesità (golosità, scarsa
forza di volontà, scarsa disciplina personale).
• Educazione nei confronti dell’obesità (fattori genetici, comportamentali e
sociali) mirata a far comprendere che la dieta solo raramente è in grado di
indurre una perdita di peso prolungata nel tempo e anzi, a volte, può addirittura aggravare il disturbo alimentare e che quindi il peso del paziente sarà verosimilmente superiore alla media. Il target da conseguire deve essere tarato su
un decremento ponderale iniziale del 5-10% del peso iniziale.
• Utilizzo del diario comportamentale (alimentazione e attività fisica).
• Educazione alimentare: principi nutritivi calorici (la trappola dei grassi) e
non calorici; linee guida per una corretta alimentazione; gruppi alimentari e
sistema di scambio; esempi di alimentazione adeguata dal punto di vista
quali-quantitativo; condotte che scatenano le abbuffate (saltare i pasti, ridurre le porzioni, eliminare i cibi, intervalli lunghi fra un pasto e il successivo) e
messa in atto di attività alternative alle abbuffate stesse.
• Modifica dell’alimentazione: stabilire un pattern regolare (3 pasti e 2
merende), ricorrere a tecniche pratiche e personalizzate per il controllo degli
stimoli e ricorrere al conteggio delle calorie.
• Introduzione di attività fisica regolare, riduzione delle attività sedentarie e sviluppo di uno stile di vita attivo.
• Ristrutturazione cognitiva per confutare le convinzioni distorte.
32
F. Tomasi e V. Miselli
Il modello cognitivo-comportamentale mira alla ristrutturazione dei pensieri e alla gestione delle emozioni che sono alla
base del comportamento alimentare patologico per favorire
quei cambiamenti che rappresentano le tappe fondamentali del processo terapeutico.
Gli obiettivi principali della riabilitazione nutrizionale sono
l’annullamento dei comportamenti restrittivi, la rimodulazione
del senso di fame e sazietà e la prevenzione degli episodi di
disinibizione. In particolare, si deve cercare di ottenere dalla
persona la riduzione o l’eliminazione della restrizione, dal
momento che si ritiene che questa rappresenti un fattore di
rischio per le abbuffate e al contempo non la si deve mai colpevolizzare nel caso attraversi momenti di perdita di controllo. Tra restrizione e perdita di controllo si stabilirebbe, infatti,
un circolo vizioso, secondo il quale la restrizione alimentare,
attivando meccanismi fisiologici di compenso che inducono
a ricercare il cibo, determina perdita di controllo; gli episodi
di perdita di controllo, a loro volta, inducendo preoccupazioni per il peso e la forma corporea, determinano un’accentuazione della restrizione. La limitazione nel cibo costituirebbe
quindi uno dei fattori patogenetici fondamentali dei DCA,
tanto che il circolo vizioso restrizione/perdita di controllo
costituisce uno degli elementi che concorrono al mantenimento dei sintomi della bulimia nervosa.
Le persone con diabete, in particolare quelle in trattamento
insulinico, di solito dovrebbero tenere un diario in cui annotare dosaggio dell’insulina, livelli di glicemia, episodi di ipoglicemia, attività fisica svolta e quindi dovrebbero già essere
abituati alla registrazione di eventi; in caso di presenza di un
DCA, sarebbe opportuno invitarli anche alla registrazione
della loro alimentazione (cibo e bevande) con particolare
riguardo alle eventuali abbuffate, oggettive o soggettive, dei
comportamenti di compenso (vomito, utilizzo di purganti,
diuretici, attività fisica strenua, insulin purging) e soprattutto
dei pensieri e delle sensazioni in rapporto con l’ingestione del
cibo. Questo diario comportamentale dovrebbe quindi essere oggetto di confronto in occasione delle periodiche visite di
controllo e si dovrebbe invitare la persona a capire il perché
di queste abbuffate, a sviluppare strategie per evitarle e
a mangiare in maniera regolare (non saltare i pasti dopo
le abbuffate), spiegando chiaramente che inizialmente
si potrebbe verificare anche un aumento di peso. La lettura
del diario è un atto terapeutico importante e richiede, da
parte dell’operatore sanitario, una preparazione specifica.
L’atteggiamento non giudicante, la capacità di mediazione,
le decisioni condivise fanno parte di un percorso che si
intreccia con la psicoterapia e le tecniche di counseling motivazionale.
Un grosso sforzo educativo va fatto nel tentativo di fare riflettere il paziente sulle conseguenze del ricorso all’insulin purging come metodo di compenso.
L’obiettivo primario, infatti, è quello di ripristinare il compenso
glicometabolico con la somministrazione regolare di insulina.
In questa fase è importante che il diabetologo (o il dietista)
collabori con la persona per creare uno schema alimentare
concordato, al quale adattare la terapia insulinica. Le crisi ipoglicemiche scatenano reazioni d’ansia incontrollata nelle persone con DCA e la correzione delle ipoglicemie richiede l’as-
sunzione di alimenti spesso fobici per questo tipo di persone
ed è spesso la causa scatenante di abbuffate.
A fianco del medico diabetologo e del dietista è di primaria
importanza la figura di un altro operatore (psichiatra e/o psicologo) per la riabilitazione psicosociale, trattamento cardine
di questo tipo di disturbi.
Di solito è necessario sviluppare un programma di follow-up
con frequenti visite nei primi mesi e può essere opportuno
coinvolgere anche gli altri membri della famiglia.
In caso di depressione possono essere usati farmaci antidepressivi e va ricordato che questi farmaci possono risultare utili
anche per controllare la bulimia nei pazienti non depressi. Gli
inibitori selettivi della serotonina (SSRI) sono attualmente considerati gli antidepressivi più sicuri e possono essere utili specialmente per le persone con sintomi concomitanti di depressione,
ansia, ossessività o disturbo del controllo degli impulsi o per
quelle persone che hanno avuto una risposta subottimale a
precedenti tentativi di un’appropriata terapia psicosociale.
Alcune persone però rifiutano qualsiasi aiuto a causa del desiderio ossessivo di raggiungere la magrezza. Nei casi gravi è
quindi indicato un trattamento ospedaliero e qualche volta può
essere necessario il trattamento sanitario obbligatorio in reparto psichiatrico, se la vita della persona è in pericolo.
Conclusioni
Il diabete, in particolare quello di tipo 1, rappresenta un terreno fertile per lo sviluppo di un DCA dal momento che, oltre
ai fattori di rischio comunemente presenti nella popolazione,
possono essere presenti altri fattori di rischio specificamente
legati al suo trattamento.
In particolare:
– il diabete crea spesso una preoccupazione nei confronti
del cibo;
– il cibo può essere vissuto come un pericolo da evitare
piuttosto che da moderare;
– la propria vita può essere percepita come fuori controllo,
con la convinzione della perdita di potere sulla propria
esistenza;
– la famiglia può essere percepita come eccessivamente
coinvolta nella propria esistenza;
– il calo ponderale conseguito con la manipolazione/omissione di insulina può fornire una illusoria sensazione di
avere ripreso il controllo.
Per tali motivi i DCA nelle persone con diabete sono particolarmente invalidanti e presentano notevoli difficoltà di trattamento.
Dal momento che queste persone tendono spesso ad avere
un cattivo controllo metabolico, per cui possono sviluppare
gravi complicanze, risulta fondamentale che il diabetologo
familiarizzi con le problematiche dei DCA in modo da riconoscerli il più precocemente possibile.
In particolare, nel diabete di tipo 1 instabile, soprattutto in un
adolescente di sesso femminile, la possibile concomitanza di
un DCA va sempre sospettata; in caso di diabete di tipo 2
con BMI > 30 kg/m2 è sempre opportuno utilizzare la BES
(binge eating scale) come test di screening di DCA.
Diabete mellito e disturbi del comportamento alimentare
Nel diabete di tipo 1 il DCA, la BN in particolare, può essere
conseguenza del diabete, mentre nel diabete di tipo 2, in cui
si manifesta di solito come BED, ne precede l’esordio.
Il team diabetologico, spesso presente sin dall’infanzia
nella vita delle persone con diabete di tipo 1, svolge un
ruolo essenziale nella prevenzione dei DCA. In tal senso gli
operatori dovrebbero promuovere nella persona con diabete lo sviluppo di competenze legate ai concetti dell’autostima, dell’autonomia, del sostegno dell’immagine di sé e,
nell’accettazione dell’immagine corporea, alla riduzione
degli aspetti legati al perfezionismo e all’adesione acritica ai
modelli estetici proposti dai mass-media. I migliori programmi terapeutici orientati alla prevenzione prevedono
interventi allargati alla famiglia e alla comunità scolastica o
all’ambiente di lavoro.
In conclusione, va sottolineata l’importanza che gli operatori
sanitari siano formati alla prevenzione, al trattamento e alla
diagnosi precoce di questi disturbi71.
Conflitto di interessi
Nessuno.
33
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