ETICA SOCIALE (prof. G. Acocella) CAP.1 L’ETICA SOCIALE SOCIALE= termine che designa l’inclinazione degli esseri umani alla convivenza organizzata ed alla relazione interpersonale, nonché gli aspetti riguardanti l’insieme dei rapporti legati alla vita comune e la coscienza della necessità e dell’importanza di tali rapporti rispetto alla condizione individuale. ETICA (ETHOS)= termine greco che indica il costume diffuso nella comunità che viene assunto come norma x il comportamento individuale. Pertanto “etica” è quella parte della riflessione filosofica che riguarda la condotta umana e analizza i criteri con i quali valutarla. X cui l’etica è descrittiva qndo indaga i comportamenti, le regole o le norme che li orientano, o normativa qndo indica quali debbano essere i valori di riferimento e la norma che ne riassume le prescrizioni. Di fatto i due aspetti risultano interconnessi e indistinguibili. Pertanto l’Etica sociale considera il comportamento morale dei singoli all’interno del quadro storico-sociale nel quale si manifesta, indagando il significato del legame tra legge morale, ordine sociale, norma giuridica. L’etica sociale, disciplina appartenente all’ambito della filosofia morale, analizza: - l’origine storica e sociale del comportamento etico nelle relazioni sociali da un lato - e del fondamento etico dell'ordinamento sociale e giuridico dall’altro, in quanto ritiene che il comportamento etico individuale si realizzi pienamente all’interno del contesto comunitario. Alla fine dell’800 Wilhelm Dilthey (uno dei maggiori autori dell’età contemporanea, considerato il fondatore dello storicismo tedesco) definì i criteri di civiltà che corrispondono alla natura razionale dell’uomo e che si servono dello sviluppo delle scienze sociali1: egli partiva dal presupposto che, nella società, leggi giuridiche o norme morali designano qualità intese come virtù (onestà, veridicità, ecc) che stabiliscono ciò che è “buono” e ciò che è “cattivo”. Tuttavia, criteri etici universalmente accettati, per esempio del buono e del cattivo, non possono essere ricavati partendo dalla considerazione che di essi ha il singolo individuo. Quindi è necessario un riferimento comune, 1 fattore sociale direttivo. Noi indichiamo “buono” un uomo che possiede quelle qualità (quindi quella virtù, quella morale=onestà, veridicità appunto) richieste x adempiere i compiti che la vita gli assegna. Anche dal punto di vista linguisitico la parola “buono”= “adatto”, “idoneo”; la parola greca “agathos” indica l’eroe che x eccellenza è “buono”, cioè “capace di” e l’insieme delle prestazioni eccellenti di cui è capace costituiscono la sua aretè, la sua virtù. Ancora oggi la parola tedesca “virtù” è legata all’attitudine. Tuttavia, nel tempo, qste parole hanno acquistato un significato interiorizzato (x es da “rectus”, “giusto”=chi percorre la strada dritta, poi=a giovare e qunidi=all’utile2). Anche la ragione di qsta interiorizzazione, che ha trasformato i concetti di buono, cattivo, virtù in fini da realizzare, in forme della volontà, deve essere ricercata nell’ambito dell’evoluzione della coscienza morale. Qndo si agisce si opera una scelta in vista di un fine e x raggiungere tale fine si adottano determinati mezzi, ora se fermo la valutazione solo ad uno degli elementi (o il fine, o il mezzo, ecc) tale valutazione è incompleta. Dilthey fa capire, quindi, che il principio di valutazione del comportamento umano si deve basare su tutti gli aspetti dell’azione stessa, è necessario valutare attentamente il principio di valore che sottende l’azione. Qndo si giudica un’azione si considerano non solo gli effetti diretti (le conseguenze + prossime), ma anche e soprattutto gli effetti mediati dal contesto sociale: Dilthey prende ad esempio san Crispino il quale fece da cuoio rubato scarpe x la povera gente; ora, noi non giudichiamo qst’azione principalmente dalle conseguenze prossime, cioè dall’utile della gente povera, piuttosto giudichiamo qsto modo di pensare e di agire, rivolto al bene altrui, che ha portato san Crispino a rischiare il patibolo, come svantaggioso alla società x il danno alla proprietà subito dal ricco commerciante di cuoio. 1 Scienze sociali (dette anche scienze umane) si intendono le scienze che studiano l'essere umano nel complesso delle sue interazioni sociali. UTILE= Termine che intende privilegiare la coincidenza del vantaggio individuale con le finalità della convivenza e della dimensione pubblica, indicando come bene (x il singolo e la società) il conseguimento della felicità e del benessere. L’utilitarismo è pertanto la dottrina filosofica, maturata nel pensiero economico e sociale inglese del XVIII e XIX sec, che esalta la ricerca dell’utilità attraverso la massimizzazione del piacere e la minimizzazione del dolore, ritenendo che perseguendo il vantaggio individuale si realizzi il bene pubblico (e la stessa giustizia). 2 Riassumendo: dal punto di vista dell’etica individuale, noi riconosciamo la bontà dell’atto di san Crispino→è stato un atto giustissimo per l’utile della gente povera, egli lo ha compiuto a fin di bene; tuttavia dal punto di vista dell’etica sociale il furto è sbagliato, il danno compiuto è stato grande xkè egli si è slegato dall’etica condivisa→ l’etica sociale che riguarda tutti in qsto caso ha riguardato uno solo (è san Crispino che ha deciso ciò che giusto e ciò che non lo è!!). Quindi la valutazione di un’azione si separa dalla considerazione delle sue conseguenze particolari, anche se resta legata al giudizio generale di tali conseguenze, alla considerazione dell’effetto durevole di un’azione o di una qualità in tutti i casi e in generale. Da qui si comprende come certi modi di agire e qualità hanno la funzione di tenere unità la società: soddisfano il singolo e promuovono unità. Noi indichiamo tali qualità o modi d’agire come virtù, buono, morale. Dunque è la coscienza morale a cercare le ragioni che spingono ad attuare i compiti reali della vita umana. Da quanto affermato da Dilthey, emerge che l’etica sociale è una questione della modernità, quindi non presente fin dalle origini della filosofia, infatti la ricerca del fondamento etico dei comportamenti si rende necessaria quando viene a mancare una cosmologia unitaria ed un universo comune di valori, che invece erano tipici dell’età classica e medioevale. Nel mondo medievale dominava il principio dell’unitarietà cosmologica, cioè tutto è nel cosmos (=ordine non violato). L’uomo e la natura erano parte del cosmos: tipica è la figura del centauro, metà uomo e metà animale, che indica appunto qsta mescolanza tra essere e natura. Ma qsta idea di ordine, del tutto, si è poi frantumata: non + cosmos, ma Dio come ente supremo, idea generatrice di tutto e fondamento esclusivo della morale umana, cosmo realizzato teologicamente. Nel corso dell’età moderna3, invece, l’etica sociale nasce come disciplina autonoma dalla morale religiosa, nel momento in cui la filosofia di matrice razionalista (soprattutto Hobbes e Spinoza) sancisce, definitivamente, la rottura con gli schemi tradizionali della teologia medievale e da qui l’esigenza di determinare le norme che consentano agli uomini di vivere in comunità (ora è l’individuo a governare la natura!). L’esigenza della nascita di una dottrina sistematica dei comportamenti sociali si sviluppa quando, grazie al contributo di novità apportato dalla filosofia moderna, ogni pensiero ed atto dell’individuo viene ricondotto, definitivamente, alla sfera esclusiva del pensiero umano: il «Cogito ergo sum» di Cartesio rivendica la ragione come l’essenza della natura umana→ esisto x il mio atto di pensare. Pietro Piovani ha osservato come il principio dominante del pensiero moderno è fare che l’uomo, libero dalle antiche soggezioni, possa lavorare e liberarsi compiutamente, cercando da solo la sua nuova strada, anche se con sacrifici e sofferenze. All’ordinato e gerarchico mondo medievale deve subentrare un’aperta competizione di individualità spregiudicatamente ricercanti. Su questa scia, la definizione dell’etica sociale e dei suoi obiettivi si può ricavare considerando un’ulteriore riflessione di Piovani il quale afferma che “la nostra civiltà non ha + nulla di unitario, non c’è + un’unica chiesa o un’unica religione. Occorre allora sforzarsi x raggiungere una nuova armonia, x assicurare ovunque il rispetto dei diritti d’ognuno, quei diritti che stanno alla base della natura umana (diritti naturali)”. Importante è la riflessione di Marciano Vidal che determina il passaggio dalla visione sociale alla visione civile dell’etica, slittamento che individua nel principio della “civitas” e del “civis” (da intendersi non solo il cittadino che fa parte di quella determinata cittadinanza, ma l’uomo interamente integrato nel contesto). Etica civile=modo specifico di vedere e di formulare la morale nella società laica e pluralistica, cioè il riconoscere il diverso modo di porsi dei vari soggetti (pluralismo ma non separatismo). MODERNO= Termine che designa il periodo convenzionalmente fissato da eventi che segnano la fine dell’età medioevale, dalla scoperta dell’America (1492), alla svolta galileiana della scienza, al “Principe” di Machiavelli (1513) in cui si afferma l’autonomia dell’azione politica. Quindi fine 400- inizio 500, ma continua a manifestarsi anche nei primi decenni del 900. Nella modernità, dunque, si attribuisce all’uomo la responsabilità delle sue scelte politiche, morali, scientifiche, e si esalta la centralità della ragione umana, insofferente di ogni antico o nuovo ordo rerum. Il principio che pertanto caratterizza la modernità è l’individualità, costantemente travagliata dalla difesa della sua irreperibile unicità e nel contempo dalla ricerca di fondamenti necessari a fissare le regole etiche e sociali della vita comunitaria. 3 X Vidal, dunque, l’etica civile non può esistere se non esiste un modo specifico di intendere e di vivere la realtà sociale. Tale peculiarità si basa su 3 aspetti fondamentali: 1. l’etica civile postula la non confessionalità della vita sociale: infatti l’etica civile e la confessionalità sociale sono 2 dimensioni opposte; confessionalità sociale vuol dire giustificare irrazionalmente,in modo totalizzante, la realtà escludendo altre eventuali giustificazioni: essa trasforma le persone in “credenti” e le valutazioni in “dogmi”. Al contrario invece alla base dell’etica sociale c’è la laicità, intesa come principio di razionalità e di non confessionalità, come condizione indispensabile x l’esistenza dell’etica civile. 2. pluralismo dei progetti umani: è indispensabile correlare l’idea di etica civile con il concetto di pluralismo morale; infatti il pluralismo morale esprime la maturità della libertà, l’etica civile rende manifesta l’idea di unità. La libertà è matura solo quando si realizza nella ricerca del bene sociale, mentre si parla di unità solo se nasce dal gioco libero e democratico, quindi l’etica civile esprime la massima convergenza dei vari progetti umani di una società libera e democratica. 3. possibilità teorica e pratica di un’etica laica: l’etica civile x definizione è basata sulla razionalità umana ed in essa possono e devono coesistere credenti ed atei in quanto l’etica civile ha origine non dall’accettazione o dal rifiuto della religione, ma dall’accettazione di una razionalità condivisa. In effetti con l’avvento della modernità, la garanzia di un universo morale gerarchicamente ordinato, offerto dal giusnaturalismo4, viene a mancare. Il giusnaturalismo x molto tempo, come afferma Meinecke, aveva rappresentato la stella polare in tutte le tempeste della storia (secondo il giusnaturalismo, la legge naturale è al di sopra di tutto). Ma nonostante l’affermarsi di correnti di pensiero individualistiche, dice M. che noi non possiamo fare a meno del giusnaturalismo, che tuttora ha la sua efficacia. Nel 1924 lo stesso M. avvertì qsto passaggio dall’etica giusnaturalistica a quella moderna, qndo in tutta l’Europa, lacerata da anni di guerra, si delineava la crisi degli assetti degli Stati di potenza, come la Germania di Weimar e l’Unione Sovietica della Nep. Il diritto naturale non era applicato, regnava ovunque la menzogna e l’ipocrisia, a tal punto da pensare che l’idea di una politica di potenza corrispondesse ad un concetto di moralità superiore. Si sviluppò così un’etica di potenza, pseudo naturalistica e biologica, di conseguenza il giusnaturalismo non era + legge morale, ma solo un inutile richiamo ad un imprecisato universalismo di valori. Dopo la tragedia dei totalitaristi e l’olocausto, M. sentì l’esigenza di richiamare le funzioni e i limiti del diritto naturale, inteso come diritto razionale: sin dall’antichità l’atteggiamento giusnaturalistico del pensiero dimostrava una fede nell’immutabilità della ragione umana. L’ignoranza e la passione umana possono offuscare la ragione, ma se la ragione si libera da qsti offuscamenti è capace di trovare delle verità di valore assoluto che corrispondono alla razionalità di tutto l’universo. Dunque, se prima il giusnaturalismo assicurava un’unità morale e sociale, con il suo frantumarsi (e l’apparire del diritto positivo) si apre una realtà mobile e incerta. Con il pluralismo moderno si costituisce una cosmologia acosmica che non combacia con la visione giusnaturalistica del mondo. Così nell’età dei grandi progressi della scienza e dell’economia, l’etica stessa è assorbita da queste nuove ideologie. 4 Il giusnaturalismo, ovvero la dottrina del diritto naturale, si presenta in età moderna con caratteri specifici, distinti dalla concezione delle età classica e medioevale intese ad affermare un diritto naturale eterno ed immutabile, come immutabile è la fonte cui esso si richiama. Il giusnaturalismo moderno richiama l’esperienza giuridica a conformarsi ai principi di giustizia, fondata sulla razionalità e sul riconoscimento dei diritti fondamentali della persona. DIRITTO NATURALE= Se il diritto è l’insieme delle regole relative al comportamento degli uomini organizzati in società, accanto al diritto positivo, cioè il diritto posto dall’autorità dello Stato, è stato di frequente invocato – specie di fronte alle possibili deviazioni ed in contrapposizione alla riduzione del diritto a mera espressione di potere arbitrario – il diritto naturale come fondamento dello Stato stesso e della sua potestà ad emanare la norma giuridica. Sia che trovi giustificazione ed origine nella natura, o nella legge divina, o addirittura nella esperienza giuridica, esso si pone sempre come invocazione della giustizia (legge morale) che richiama alla sua vera funzione il diritto positivo. In un articolo pubblicato nel 1924 Edmund Husserl sottolinea il fatto che l’individualismo moderno deve sempre tenere come punto fermo di riferimento gli organismi collettivi etici che ne garantiscono la libertà e la giustizia. H sostiene che il tema dominante di ogni etica è il rinnovamento dell’uomo proprio xkè l’etica ne abbraccia l’intera vita attiva e razionale. Inoltre l’etica non è solo individuale, ma anche etica sociale, nel senso che una riflessione sui valori etici è sempre una riflessione su una comunità. La comunità non è soltanto un insieme di persone che rappresentano un aggregato fisico, ma anche morale. Si deve andare oltre l’idea di territori naturali (di contesti specifici) e considerare invece l’idea di una “comunità universale”, cioè dell’umanità che abbraccia + nazioni (xes l’umanità europea od occidentale). La scelta dell’uomo nel compiere un’azione è condizionata dal contesto culturale, ma la cultura può essere ricompresa anche a distanza da soggetti che non fanno parte di quella comunità. Un’umanità si estende tanto quanto l’unità di una cultura che può abbracciare molte e determinate culture nazionali. La cultura5 non è altro che l’insieme delle azioni e operazioni realizzate da uomini accomunati nelle loro continue attività e tali operazioni si conservano spiritualmente nell’unità della coscienza comunitaria e della sua tradizione. Dunque con la cultura si genera una forma costante di accomunamento tra i vari uomini. La comunità è una soggettività personale che lega + teste tra di loro: le singole persone rappresentano i suoi membri che tra loro danno vita ad atti sociali che uniscono una persona con l’altra (atti Io-Tu, accordi, atti d’amore, ecc), senza che nessuna volontà soggettiva prevalga sull’altra, di conseguenza la stessa vita attiva di una comunità può assumere la forma unitaria della ragion pratica, cioè la forma di una vita etica simile alla vita etica del singolo xkè come qst’ultima tende ad un continuo rinnovamento x divenire una umanità eticamente autentica fondata su una cultura veramente umana. Di fatto, un’umanità deve essere pensata come un “uomo in grande” capace di determinare criteri etici di riferimento x i suoi membri. Nello stesso periodo anche Ernst Troeltsch tentò di definire l’etica sociale nella prima delle 3 conferenze, preparate x Oxford nel 1923 e poi pubblicate l’anno successivo. A differenza di Husserl, T. accentua il carattere storicistico6 della morale della vita sociale: all’etica appartengono tutte le determinazioni della morale della solidarietà, x cui ogni gruppo si unisce all’altro formando una totalità morale, sopraindividuale (la famiglia, il ceto, la nazione, l’umanità), la quale non è il risultato del sangue, degli interessi, delle abitudini ma deve essere percepita e realizzata come comunità del dovere nei valori etici, cioè significa che i componenti devono sentire la dedizione, il dovere appunto, verso di essa fino a sacrificarsi. X il reciproco rapporto dei gruppi valgono le stesse regole che x le singole persone tra loro, mentre risulta + difficile la regolazione morale che tuttavia riguarda, come x i singoli, lo stesso bisogno di giustizia, di educazione, di rispetto, ecc. Dunque, lo storicismo, allargando i confini dell’etica oltre l’ambito nazionale, ha sancito il formarsi di esigenze morali universalmente valide (purificazione e unità etica). Più recentemente, sia Hans Jonas che Ralf Dahrendorf hanno richiamato la necessità di una dimensione etica sopraindividuale. Hans Jonas rileva l’insufficienza dell’etica tradizionale, dell’imperativo categorico kantiano: "Agisci in modo che anche tu possa volere che la tua massima diventi legge universale". Imperativo che concerne i rapporti diretti dell’uomo con l’uomo (reciprocità). Tuttavia dobbiamo domandarci 5 CULTURA= Il patrimonio di conoscenze, valori, giudizi e comportamenti che una persona o una comunità paticolare possiede e pone a base della propria identità. Il multiculturalismo indica la convivenza di culture anche radicalmente diverse tra di loro in un contesto che prevede, consente o tollera la presenza di differenti appartenenze. Quale variante specifica del pluralismo culturale che accompagna l’età moderna, può rappresentare tanto l’indirizzo a tenere separate le identità culturali di ciascuna delle componenti etniche o linguistiche all’interno di uno stesso paese o di una unica comunità nazionale, quanto lo sforzo di conseguire l’integrazione tra di esse. 6 STORICISMO= concezione filosofica che considera ogni aspetto della realtà come storia, ossia trasformazione, sviluppo o involuzione: ogni evento è storicamente condizionato, dipendente e spiegabile solo in relazione alla determinata situazione storica che ha dato origine ad esso. In questo senso, lo storicismo è uno degli aspetti più caratteristici del pensiero contemporaneo, riconducibile all'eredità hegeliana. quali rapporti possiamo intrattenere con le generazioni future (non ancora esistenti) e quale reciprocità di comportamenti possiamo aspettarci da esse se, allora, noi non esisteremo più? Su qsta scia J. contrappone all’imperativo kantiano l’etica della responsabilità (’79), l’etica della nonreciprocità, focalizzandosi sugli effetti delle nostre azioni anche a lungo termine, individuando così la disponibilità a favorire il diritto alla vita, non solo + dei contemporanei, ma anche di coloro che verranno in futuro→ dunque non ha valore l’argomento secondo cui il non-essente/vivente non può avanzare le pretese per cui non ha diritti e se non ci sono diritti non ci sono doveri. In qsto modo J delinea una concezione basata sul primato del bene sul giusto che comporta il rifiuto della legge di Hume (secondo la quale è ingiustificato dedurre da proposizioni descrittive, ovvero contenenti una conoscenza, proposizioni prescrittive, cioè contenenti un comandamento morale. Questo perchè l'etica non può fondarsi su alcuna conoscenza, in quanto mondo dell'etica e mondo della conoscenza sarebbero completamente divisi l'uno dall'altro). Come sottolineato da J, bisogna tener presente che la responsabilità x il tutto, cioè x l’umanità, è il valore supremo x il mondo futuro x il quale compito educativo ed intellettuale + importante è fondare razionalmente un vero sentimento x l’umanità, qsto anche xkè è difficile che il singolo possa cavarsela senza sentimenti di comunità, senza la nazione. E’ necessario dunque ascoltare la voce di tutta l’umanità, non degli interessi personali degli Stati, che in qsto modo possono anche evitare la guerra. La minaccia del futuro proviene dal comportamento quotidiano all’interno delle forme statali del mondo tecnicizzato che appare quasi innocente. Certo, afferma J., dal punto di vista biologico non ci sarebbe da obiettare se una parte degli uomini uccide o lascia morire altre parti, in quanto qsto non sarebbe né il primo né l’ultimo caso nella storia. Ma nell’uomo c’è altro: essere e dover essere. Il sapere "diventa un dovere impellente" xkè è in gioco la sopravvivenza della specie che rende necessario un autocontrollo del potere e una dottrina etica compiuta, con l’aiuto della metafisica come uno dei valori del mondo di domani (metafisica= “oltre la fisica”, quella parte della filosofia che esamina l’essere in qnto essere prescindendo dall’aspetto materiale). Qndi J ha individuato un principio che può sostituire quella certezza che mi dava la legge naturale xkè rappresentata da Dio che non c’è +. Qndi sostiene che noi non possiamo assolutamente pensare che l’essere dell’uomo sia niente. La sua affermazione è “ontologica”, nel senso che l’uomo deve operare le proprie scelte soprattutto pensando ad un futuro lontano e non immediato. Anche Ralf Dharendorf, pose l’attenzione sul problema dell’edificazione della società moderna attraverso il patto garante della libertà individuale e della sicurezza, considerando il fatto che l’etica sociale deve cogliere, attraverso le “legature”, gli aspetti della vita legati alle relazioni sociali, alle istituzioni, ai valori di appartenenza che danno senso alle scelte e all’azione umana (“legature”= patto sociale - famiglia, parrocchia, ecc). X D. bisogna cercare nuove legature e rifondare la società: di fronte a questa ricerca troviamo da un lato, i promotori dell’etica sociale che cercano le “legature”, x sostituire i valori negativi della rivalità e della cupidigia; altri invece (i nuovi conservatori), combinano i valori classici del successo e della competizione, con le vecchie legature della famiglia, della chiesa e della nazione. Il risultato di questa ricerca resta molto incerto xkè ci dice qnto abbiamo perso, ma non ci dice che cosa succederà. Ci ritroviamo così di fronte ad un’etica della fraternità “che tende a prendere il posto di ogni altra cosa”. Dunque, con il contratto sociale, si passa dalla legge naturale (il diritto oggettivo) ad un diritto naturale (diritto soggettivo) che afferma la naturalità della tutela della vita (diritti naturali), riconosciuta da Piovani come il segno specifico dell’avvento della modernità, e ciò viene ripreso da Cherles Taylor, molto attento ai problemi posti dalla società pluralista e multiculturale, il quale si chiede qual è la reale differenza tra legge naturale e diritto naturale?Non obbligano ad entrambi di fare o non fare qualcosa? Tuttavia la differenza non sta in ciò che viene vietato, ma sta nella posizione attribuita al soggetto: l’uomo obbedisce alla legge non soltanto xkè essa ne assicura il rispetto della vita, ma soprattutto xkè l’uomo ne è subordinato. La legalità, dunque il rispetto della legge positiva che crea le condizioni x la vita sociale, rappresenta la libertà specifica dell’individuo, quale soggetto di diritti che volontariamente li può rivendicare o vi può rinunciare. CAP.2 TRA DIRITTO E MORALE: LA LOTTA CONTRO L’ARBITRIO Al capitolo 11° de Il Leviatano, che celebra il travaglio della modernità, Hobbes fornisce lo scenario dello “Stato di natura” in cui il diritto naturale non presenta alcun riferimento alla legge morale che fonda l’ordine giuridico, ovvero domina il dir di tutto a tutti (una condizione di disordine). In qsto Stato la felicità non indica una condizione di appagamento, in quanto non esistono né il fine ultimo dell’uomo, né il bene supremo, ma è un procedere continuo del desiderio da un oggetto all’altro. L’uomo moderno, quindi, fino alla morte ha sempre desiderio di acquisire spazi di potere. Qsta condizione di insicurezza e di pericolo fa si che l’uomo oscilli tra la condizione di oppressore e quella di oppresso. Egli si trova a vivere in uno stato di “guerra di tutti contro tutti”, a causa della sua condizione ferina che lo spinge ad agire soltanto x l’istinto di sopravvivenza e di sopraffazione, senza desiderio di avvicinarsi al suo simile (Vico lo definisce il “bestione”; Hobbes lo definisce “lupo”→ ‹homo homini lupus: l’uomo è un lupo x l’uomo›). Qsta situazione ha reso necessario fondare la vita sociale su leggi + nuove e + certe. A questo scopo tutti gli individui rinunciano ai propri diritti naturali, stringendo tra loro un patto/contratto con cui li trasferiscono a una singola persona (o un monarca, o un'assemblea di uomini), che si assume il compito di garantire la pace entro la società (x questo Hobbes è spesso considerato un teorico del giusnaturalismo, dove il diritto naturale precede e fonda quello civile, positivo). Da qsto contratto/patto trae dunque origine il diritto assoluto dello Stato. Assoluto (latino absolutus)= cioè libero da ogni rapporto, da ogni dipendenza o sovranità altrui e persino dalla legge stessa, di origine divina o pattizia che sia e caratterizza la formazione degli Stati nazionali dopo la crisi dell’universalismo medioevale. Nell’età medioevale l’Assoluto è solo Dio; in età moderna (in Schelling x es) l’Assoluto è l’unità indifferenziata Io-Natura. Cosicché nell'etica moderna si pone subito il problema della ricerca della legittimità della "norma", del potere che la emana e dei criteri che la delineano e la rendono accettabile. X la centralità assunta dall’individuo, dunque, bisogna fare in modo che il comando della legge non lo opprima. Facendo riferimento a questo carattere del diritto moderno, Michael Walzer definisce la figura del critico sociale come colui che continuamente deve verificare se le norme comuni rispondono ai principi etici, anch’essi in continua ridefinizione. X realizzare una buona giustizia, è opportuno indagare le motivazioni che portano alle leggi, ma soprattutto chiedersi: 1. X quale motivo assoggettarsi al comando? 2. Xkè bisogna rinunciare alla libertà individuale x sottoporsi invece al duro limite delle regole comuni? 3. E’ necessario accettare l’obbedienza alla legge qndo non se ne comprende la ragione? La vita sociale vive in una continua “lotta x il diritto” che pericolosamente spinge il diritto stesso a diventare strumento di arbitrio. Infatti Hobbes assegna al sovrano la possibilità di stabilire cosa sia omicidio, furto o minaccia alla sicurezza: per questo il sovrano può legittimamente ordinare ai sudditi di uccidere un altro suddito, o di andare in guerra, nel momento in cui lo ritenga necessario alla sicurezza dello Stato stesso. Secondo Walzer, dato che la morale è cosa + generica del diritto, la questione morale viene posta, di solito, in termini + generali rispetto alla questione giuridica. La morale, dunque, stabilisce quelle proibizioni fondamentali (di assassinio, di inganno, tradimento, ecc) che il diritto specifica e la polizia fa rispettare. Qste proibizioni corrispondono alle preoccupazioni di ogni comunità locale e sono una sorta di codice morale minimo e universale, che tutti siamo in grado di riconoscere e comprendere in virtù della nostra comune umanità. Possono essere rappresentate come scoperte o invenzioni filosofiche, come i prodotti di molti parlanti anche se provvisorie e incomplete. In realtà emergono da anni di esperienze ed errori, di conoscenze parziali e incerte; sono come la regola che proibisce il furto di cui parla Hume che si acquisisce progressivamente grazie alle esperienze degli ostacoli che nascono dal trasgredirla. Le proibizioni sono necessarie x ottenere una cultura morale, con propri valori e giudizi, quindi è necessario che le conoscenze si solidificano e le conversazioni tra parlanti diventino continue. Infatti da un codice minimo non si può dedurre una cultura morale o un sistema giuridico in qnto qsti sono soltanto specificazioni ed elaborazioni del codice, cioè variazioni su di esso. Attraverso le specificazioni, che hanno un carattere plurale, la comprensione della morale e del diritto, non risulta + singola, ma ampia e varia, cioè noi dipendiamo sempre dai significati creati socialmente. La questione morale ha una forma generale dato che si riferisce sia al codice minimo, sia ai significati sociali; invece la questione giuridica è + specifica, dato che si riferisce solo ai significati sociali stabiliti dalla legge. In entrambi i casi, cmq, noi possiamo solo usare il metodo interpretativo xkè il codice minimo, x se stesso, non risponde a nessuna delle due. Afferma Walzer che noi possiamo sempre inventare e scoprire una morale nuova e pienamente sviluppata, tuttavia si può riflettere sui modi in cui esse falliscono: in parte falliscono xkè vi è un numero infinito di possibili scoperte ed invenzioni e una successione infinita di scopritori ed inventori; dall’altra parte xkè l’accettazione di una particolare scoperta o invenzione in un gruppo di persone dà subito adito a discussioni sul significato di ciò che è stato accettato. Come dice una massima: «Ogni scoperta e invenzione richiede l’interpretazione!!». L’interpretazione, forma familiare della discussione morale, xò ha avuto la sua importanza solo nell’intervallo tra i momenti rivoluzionari della scoperta e dell’invenzione che hanno trasformato il nostro modo di vivere e pensare sul nostro modo in cui viviamo, si ricordano la forza di gravità, il potere dell’atomo, il motore a vapore, l’elaboratore la tesi del filosofo ebreo medioevale Giuda Halevi sulla religione secondo cui una religione di origine divina nasce all’improvviso. Tuttavia le trasformazioni morali nascono + lentamente e con meno decisione rispetto a quelle scientifiche e tecnologiche. Da qui emerge la necessità di ridefinire la relazione che intercorre tra legge morale e norma giuridica. Spesso molti atteggiamenti illegali (tipo aggressività violenta tra i giovani), secondo molti analisti sociali, sono attribuibili a cause di disagio economico-sociale o ambientale, escludendo ogni implicazione etica. Qsto problema ha interrogato la scuola xkè si è sempre sperato che tali fenomeni sarebbero stati risolti col suo arrivo. Tuttavia, non è detto che chi è colto non commette delitti, quindi la conoscenza è valida ma non elimina il ricorso al male. Dunque è vero che la scuola può cambiare la società in cui si inserisce, ma è anche vero che la semplice dislocazione non è sufficiente, infatti può accadere che è la stessa società a poter cambiare la scuola inserita in quel contesto. La scuola, impiantata in contesti diversi, riceve sproni diversi. In realtà l’illegalità si riproduce in ambienti non classificabili tra quelli degradati o marginali sotto il profilo socio-economico e la presenza di rete di luoghi sociali(scuole,palestre, attività di socializzazione), di certo non risolvono con la loro solo presenza il problema di per sé. L’illegalità ostacola l’instaurarsi di regole di giustizia, x qsto l’ordinamento etico-sociale non può trasformarsi in effettiva garanzia di eguaglianza e di rimozione dell’arbitrio se non si basa sulle forme legali del comando giuridico. Infatti la legalità rappresenta nell’età moderna il principio di garanzia e salvaguardia dei diritti dell’individuo-cittadino, colma la carenza di formazione ai valori e combatte la competitività e l’assoggettamento alle pulsioni che oggi sono così favorite dalla società del consumo. Con Jurgen Habermas (teoria dell’agire comunicativo) la relazione tra diritto e morale nell’etica moderna presenta nuovi aspetti: nota che anche se riuscissimo ad accertarci se una determinata norma incontra la reale adesione di tutti gli interessati, cmq essa non sarà mai in grado di garantirci un risultato infallibile, univoco e tempestivo. Dunque la morale autonoma possiede solo procedure fallibilistiche che giustificano le norme. Qsto alto grado di incertezza cognitiva è ancor + aggravato dalla difficoltà di applicare regole astratte a situazioni complesse. Inoltre, a tale debolezza cognitiva corrisponde poi una debolezza motivazionale in quanto ogni morale post-tradizionale si è staccata dalle certezze che caratterizzavano le forme di vita tradizionali. Dunque + la morale si fa interiore ed autonoma, + si ritira nella sfera privata. H cerca una posizione di equilibrio tra diritto e morale (separati all’inizio della modernità) ed afferma la difesa dell’autonomia del diritto dalla morale ma guai se essa diventa separazione. A tal proposito, Apel ha evidenziato il problema della pretendibile osservanza (Zumutbarkeit) di una morale universalistica secondo cui anche le norme moralmente giustificate diventano pretendibili (acquisiscono obbligatorietà giuridica) solo se coloro che vi obbediscono possono attendersi che anche tutti gli altri si comportino allo stesso modo. Se si considera la legge da qsto punto di vista, cioè come capacità di compensare le debolezze della morale autonoma, si riesce anche a capire meglio le caratteristiche +importanti del diritto positivo: - le attese di comportamento legale traggono la loro forza vincolante dalla sanzione dello stato, si rivolgono a ciò che Kant chiama l’aspetto esteriore dell’agire e non considerano i motivi interiori che non possono essere controllati; - la gestione professionale dei diritto scritto, pubblico solleva i soggetti giuridici dalla fatica di trovare soluzioni morali ai conflitti; - il diritto positivo viene posto in essere da una decisione del legislatore politico e può essere modificato a piacere. Qsta dipendenza dalla politica spiega anche l’aspetto strumentale del diritto. Infatti mentre le norme morali sono dei fini di x sé, le norme giuridiche sono dei mezzi x realizzare scopi politici, cioè le norme giuridiche a differenza della morale non esistono solo x comporre imparzialmente dei conflitti d’azione, ma anche x attivare politicamente dei programmi. Dunque il diritto è a metà strada tra politica e morale. La morale, dunque, non si trova al di sopra del diritto, non è un insieme sopra-positivo di norme, ma si introduce nel cuore stesso del diritto positivo senza xò annullarvisi. Si tratta sempre di una morale di natura procedurale, cioè utilizzata come procedimento di giustificazione di possibili contenuti normativi: abbiamo così diritto procedurale da un lato, e dall’altro morale proceduralizzata che si controllano a vicenda. . Tuttavia il diritto positivo può essere anche arbitrio, come dimostra la storia dell’assolutismo tra XII e XVIII secolo in Europa, che comprende dispotismo e autocrazia (governo di uno solo), cioè lo Stato si era posto come la sola autorità. Ma secondo Capograssi la fonte e condizione legittima dell’autorità è la persona, quindi “il diritto è la persona” (accezione adottata da Rosmini, uomo di pensiero religioso dell’800): la persona è il diritto in atto, ovvero il diritto nella sua realizzazione concreta, nella sua originaria affermazione dei valori della vita e della verità. Nella verità è contenuta l’autorità come forza di realizzarsi nella vita. Dunque, qndo l’individuo giunge alla coscienza del proprio essere, rispettando la legge morale e pretendendo che essa sia rispettata, realizza l’autorità (=l’autorità è nell’autocoscienza)e il diritto nasce proprio dalla sua stessa essenza razionale. Senza qsta autorità tutte le altre sono inconcepibili così come la vita giuridica. Dunque lo Stato, negando tutte le altre autorità, non ha fatto altro che negare la sostanza stessa del diritto, infatti nell’epoca moderna si è diffusa l’orribile idea che il diritto sia creazione dello Stato, escludendo ogni considerazione valoriale. Piovani ha cercato di ricostruire la storia tormentata del contratto sociale: atto originario con cui si fornisce fondamento legittimo allo Stato, quando questi sia privo di una origine non riconducibile alla volontà umana, riconoscibile o in un pactum subiectionis (Hobbes) verso un potere (il Leviatano) rimasto estraneo al patto iniziale (pactum unionis), o in un contratto vincolante anche x il sovrano partecipe del pactum unionis. Il contrattualismo è la dottrina filosofico-giuricia che, benché rintracciabile nel pensiero antico, accompagna la nascita e la maturazione dello Stato moderno e si contrappone alle dottrine che ritengono lo Stato una realtà preesistente agli individui e alla loro volontà. Dunque il contrattualismo moderno cerca di fondare un nuovo ordine opposto a quello divino, infatti qui non è + Dio il vero garante del contratto sociale, ma lo Stato. Machiavelli, ne Il Principe, specifica che chi governa deve fare tutto ciò che è possibile perché i sudditi vivano bene. Hobbes si dimostra sostenitore dell’assolutismo (contratto sociale= pactum subiectionis) 25 anni dopo Locke (l'architetto della democrazia moderna) sostiene che un contratto che viene garantito solamente dalla forza dello Stato non realizza i desideri del contrattualismo xkè subordina gli individui allo Stato stesso. Si possono cedere al sovrano solo alcuni diritti, ma non altri, come il diritto alla vita, che sono inviolabili. Dunque x Locke il contratto sociale è un patto bilaterale che tutela i diritti dell’uomo ed istituisce la società. Rousseau, contratto sociale= pactum unionis (esigenza politico-democratica volta a tutelare al meglio i diritti dei cittadini, realizzando la volontà generale). Nonostante ciò, lo Stato, proprio xkè realizza funzioni che prima appartenevano alla divinità, finisce con l’essere designato “Dio mortale”, “apparizione di Dio nel mondo” e si presenta anche come “Stato etico”, cioè come depositario di una sua eticità, diversa da quella degli individui associati e anche imponibile con la coazione. Ciò non è dovuto esclusivamente al contratto sociale ma soprattutto al disagio degli uomini al di fuori dello Stato di natura, i quali da un lato cercano di riaffermare la propria indipendenza e dall’altro sono sempre + ansiosi di creare legami che li vincolino. L’etica moderna sembra dunque caratterizzata dalla tendenza a legare i liberi anche a costo della libertà stessa. Tuttavia lo strumento contrattuale, anche se affidato alle mani prepotenti dello Stato, permette la libera convivenza solo se il patto stesso è considerato come accordo fra cittadini che vogliono vedere garantite le loro libertà politiche. Dunque, nonostante le critiche, l’idea del contratto garantito dallo Stato è stato ed è fondamentale per la libertà degli individui. Il patto sociale garantito dallo Stato non è altro che la Costituzione, dunque i diritti naturali sono diritti soggettivi pubblici costituzionalmente riconosciuti al cittadino. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 è il primo documento a sancire universalmente i diritti che spettano all'essere umano, i diritti positivizzati (recepiti nell’ordinamento positivo degli Stati). Senza la positivizzazione gli stessi diritti possono incontrare + pericoli, come il disprezzo, l’avvilimento, ecc. La sicurezza morale del mondo moderno è aleatoria, sempre esposta a cadute e ricadute e la dottrina giusnaturalistica moderna (intesa come dottrina dei diritti naturali) deve sopportare qsti rischi. E’ una condizione priva di sicurezze di un mondo governato dall’alto, che cmq promette all’uomo la felicità del dovere e del lavoro compiuti in libertà. CAP.3 ETICA E POLITICA L’attuale relazione tra etica e politica è caratterizzata dalla sfida di dare regole alla vita economicosociale e forme politico-sociali in cui la libertà può essere garantita ed utilizzata da tutti, sull’esempio della libertà dei moderni (cs definita da Constant) che ha cercato di coniugare nella politica la tutela della sfera privata ed individuale con quella delle regole collettive e con la garanzia pubblica dell’organizzazione della convivenza. Su qste basi, nel 900, è cresciuto lo Stato democratico e costituzionale dopo l’oppressione totalitaria. Max Weber (scomparso prima della stagione dei totalitarismi) ci ha lasciato una riflessione significativa sul rapporto tra etica e politica: egli si domanda qual è il loro rapporto reale, non sono estranee l’una all’altra? o viceversa la stessa etica vale x l’azione politica come x tutte le altre? Si è spesso ritenuto che sarebbero giuste entrambe le affermazioni. Ciò significa che qualsiasi norma etica potrebbe valere x ogni genere di rapporti (verso la famiglia, verso gli avversari, ecc) e che sarebbe indifferente x l’etica che la politica opera con la potenza e qndi con la violenza. Ma non è così, infatti, se si considera l’etica del Sermone della Montagna, cioè l’etica assoluta del Vangelo, x essa vale ciò che è stato detto a proposito della causalità nella scienza, ovvero che non è una carrozza di piazza da utilizzare x salirvi o scendere a proprio piacimento. A tal proposito si può considerare la parabola del giovane ricco il cui significato è preciso: dà via tutto ciò che possiedi!Un politico dirà che una tale pretesa è socialmente assurda e non attuata x tutti, x tutti valgono soltanto ordini e coercizioni, invece la legge morale non vuole nulla di tutto ciò. Un altro comando è “Porgi l’altra guancia”: si tratta di un comando incondizionato, che viene dato senza domandare all’altro quale diritto abbia questo di colpire; x accettare questo comando bisognerebbe essere santi in tutto, come Gesù e gli Apostoli, e solo allora tale etica avrebbe un senso. In effetti se x l’etica dell’amore si comanda “non resistere al male con la violenza”, viceversa il precetto che vale x il politico è “devi resistere al male con la violenza altrimenti sarai responsabile se esso prevale”. Chi vuole agire secondo l’etica del Vangelo deve, x coerenza, astenersi dagli scioperi e non parlare di rivoluzione se pacifista e quindi rifiutarsi di prendere le armi, oppure gettarle via come dimostrò la Germania ritenendolo un dovere morale x porre fine alla guerra e alle guerre. Si sa che la guerra è sempre stata proficua x i vincitori e ciò ci ha sempre spinto a combattere, ma con l’avvento dell’etica assoluta, del dovere della verità, si è giunti a riconoscere la propria colpa senza considerare le conseguenze. Invece il politico guarda alle conseguenze xkè altrimenti non si giova la verità ma la si oscura. Di conseguenza Weber sostiene che ogni agire orientato in senso etico può oscillare tra 2 massime diverse e opposte: - può essere orientato secondo l’etica della convinzione - può essere orientato secondo l’etica della responsabilità X l’etica della convinzione, il cristiano opera da giusto e rimette l’esito nelle mani di Dio; x l’etica della responsabilità,bisogna invece rispondere delle conseguenze delle proprie azioni. Per esempio, un convinto sindacalista che agisce secondo l’etica della convinzione può essere persuaso che la sua azione avrà x conseguenza quella di aggravare l’oppressione della sua classe e di impedirne l’ascesa, ma ciò non lo fermerà. Se le conseguenze di un’azione nata da una pura convinzione sono cattive il responsabile non sarà l’agente bensì il mondo o la stupidità altrui oppure la volontà divina che li ha creati così. L’uomo dell’etica della convinzione si sente responsabile solo x il dovere di mantenere viva una convinzione pura (x es quella della protesta contro l’ingiustizia dell’ordinamento sociale). Chi invece si regola in base all’etica della responsabilità tiene conto di qsti difetti degli altri, come ha detto Fichte non ha il diritto di presupporre in loro bontà e perfezione e non si sente autorizzato ad attribuire loro le conseguenze della propria azione, ma a se stesso. Tuttavia Weber sostiene come nessuna etica può prescindere dal fatto che il raggiungimento di fini “buoni” è spesso dovuto all’uso di mezzi pericolosi e conseguenze cattive e come nessuna etica può determinare quando e in che modo lo scopo moralmente buono giustifichi i mezzi e le altre conseguenze moralmente pericolose. X la politica il mezzo decisivo è la forza e x capire la portata del contrasto tra mezzi e fine dal punto di vista etico Weber ci riporta il caso dei socialisti rivoluzionari (tendenza di Zimmerwald) che già durante la guerra si basavano sul principio secondo il quale: “Se ci si pone l’alternativa di scegliere tra qualche anno di guerra e la rivoluzione, oppure subito la pace e nessuna rivoluzione, essi scelgono qualche anno di guerra”. Ponendo poi un’ulteriore domanda: “quali risultati potrà portare questa rivoluzione?” Ogni socialista risponderà: “questo passaggio porterà alla formazione di una nuova economia borghese in grado di eliminare gli elementi feudali e i rischi dinastici”. E’ un risultato modesto x altri anni di guerra. Si comprende cs come anche un socialista fermamente convinto potrebbe rifiutare il fine che esige tali mezzi. La democrazia, quale inclusione progressiva nei diritti fondata su chiari presupposti etico-sociali, appare molto inquieta non solo di fronte all’oscillazione tra etica della convinzione e etica della responsabilità, ma anche x il fatto che l’etica stessa possa essere trascurata in quanto oggi si delinea una concezione prettamente quantitativa della democrazia, cioè la si considera come l’obiettivo storico delle moderne società, in opposizione ai modelli autoritari del passato, in grado di fondare le regole della convivenza e garantire il riconoscimento dell’eguaglianza mediante l’opinione della maggioranza e del suo voto elettorale. Qsta convinzione è stata xò radicalmente scossa in diverse occasioni, come nel frequente ricorso della comunità internazionale alle sanzioni contro le scelte politico-istituzionali interne a Stati democratici. Tale atteggiamento sanzionatorio viene giustificato con l’incompatibilità tra le decisioni di carattere interno e i principi antitotalitari prevalenti nella comunità internazionale. Ciò è accaduto qndo è scoppiato il “caso Haider” in Austria da parte degli stati europei: si è cercato di evitare la partecipazione al governo di un partito portatore di “valori negativi” (il partito liberale austriaco di destra di Haider il cui slogan era “Via gli stranieri”) ma gli è stato cmq concesso di partecipare alla competizione elettorale per la formazione di quello stesso governo. Si profila in tale caso la violazione della sovranità popolare nazionale, in quanto messa in discussione è stata proprio la sovranità popolare austriaca, "colpevole" di aver eletto partiti non graditi in chiave governativa. Dunque è contraddittorio che la difesa dei principi antitotalitari limiti la libertà di scelta elettorale mettendo in crisi il meccanismo stesso alla base della legislazione dei diritti e a cedere non sarebbe solo la sovranità statale, bensì la stessa democrazia formale e rappresentativa. Su qsta scia il principio della democrazia non è affidabile se si basa su criteri esclusivamente quantitativi, ma piuttosto deve basarsi su fondamenti etici come unici criteri di riflessione sulla corrispondenza delle libere scelte elettorali allo stesso principio democratico. Tuttavia, un esempio della persistenza del criterio che l’opinione dei più sia fonte indiscussa della norma giuridica e della volontà generale è quello del dibattito interno alle moderne democrazie sulla pena di morte che viene applicata nonostante le proteste mondiali: tutti i commentatori e i + sconcertati sull’insensibilità di politici e candidati nei confronti di qsto fenomeno incompatibile con la democrazia (xkè nessuno, né lo Stato né gli altri possono decidere della vita di un uomo) notano che con qsto comportamento gli eletti corrispondono perfettamente al volere della maggioranza elettorale che li sostiene, altrimenti ci sarebbe una rottura. Dunque è possibile che una maggioranza decida in merito a questioni etiche fondamentali come x es l’eutanasia o la determinazione della qualità delle coppie e dei donatori? Proprio su qsto punto è intervenuto Tocqueville nel cap 7 del Libro secondo della Democrazia in America in cui si legge come egli considera detestabile la massima democratica che la maggioranza di un popolo ha il diritto di far tutto (tirannia della maggiornanza); tuttavia egli pone nella volontà della maggioranza l’origine di tutti i poteri. X T. la maggioranza è un individuo che ha opinioni e interessi contrari ad un altro individuo che si chiama minoranza e quindi come si ammette che un uomo fornito di tutto il potere può abusarne contro i suoi avversari xkè non ammettere qsto anche x la maggioranza. La critica è rivolta al criterio della volontà generale di Rousseau evolutasi tragicamente verso il giacobinismo e lo Stato etico. Molti paesi hanno utilizzato la forza senza limiti morali, tuttavia contro di essi si è mossa la c.d. “interferenza umanitaria” in base al nuovo principio che non ci sono confini etico-sociali insuperabili in nome dei diritti dell’umanità. Dunque secondo lo jus (diritto) naturale non c’è maggioranza che possa ignorare il confine etico, che tenga qndo occorre stabilire quello che è giusto. La “libertà da”, intesa come libertà politica x eccellenza, si trova ad essere sostituita dalla “libertà di”, intesa come libertà individuale, libertà di intraprendere ed intrattenere relazioni, maggiormente considerata nel costituzionalismo americano e anglosassone (che la pone a fondamento di tutte le libertà) piuttosto che in quello europeo. Tuttavia la vera distinzione sul tema della libertà si verifica concentrandoci sulla differenza tra libertà formale e libertà sostanziale: - libertà formale= libertà apparente e offerta a tutti, ma in realtà esercitatile solo dai pochi in possesso delle possibilità economiche x esercitarla; essa richiede dalla collettività (lo Stato) solo un’attività di regolamentazione riducendosi quindi al minimo di funzioni pubbliche: lo “Stato minimo”; - libertà sostanziale= chiama in causa la comunità organizzata xkè siano promosse le libertà sostanziali e assicurate con lo sforzo comune; tale libertà richiede un impegno comune di solidarietà e di attuazione di fini sociali: lo “Stato sociale”. (Lo Stato deve quindi intervenire per aiutare le classi + deboli, dandogli i mezzi economici per esercitarli →libertà positiva per lo stato). Quindi le libertà formali devono essere accompagnate da quelle sostanziali x far si che la libertà diventi un diritto realmente esercitato. Quindi è la trasformazione della libertà in diritto a rendere sostanziale la libertà nel percorso travagliato che la democrazia ha compiuto sotto la spinta delle forze sociali. La questione etica è dunque il problema centrale della democrazia che xò, in direzione opposta a quella dello Stato etico, sembrerebbe conseguibile solo se si rinuncia a ideologie etiche condivise affidando la ragione delle regole della convivenza sociale al compromesso tra diverse opzioni, di modo che , come afferma Wieviorka, la considerazione di domande politiche da parte di minoranze culturali si effettui senza regole prestabilite (giuridiche, morali, ecc) che servono a definire i principi o le critiche della giustizia, rendendo impossibile la deliberazione tra i cittadini. Quindi una democrazia deliberativa senza pregiudizi nel prendere decisioni. Su qsta scia, la pratica della decisione viene sostituita dalle giustificazioni che producono le categorie di “giusto” e “ingiusto” che i fautori del liberalismo e quelli del comunitarismo cercando di promuovere. I primi insistono sugli ostacoli che bloccano il funzionamento della democrazia e sul modo in cui tale funzionamento potrebbe essere avviato e poi assicurato e riflettono, seguendo Jurgen Habermas, sull’“etica della discussione”. I secondi, invece, suggeriscono di ispirarsi alla filosofia di John Dewey x evidenziare i legami tra la strutturazione istituzionale della vita collettiva e i processi d’interazione dove si formano soggetti e si liberano individualità. E’ evidente uno sforzo filosofico di conciliare una morale precedente alla deliberazione democratica ed un’altra morale cha evidenzia il primato della democrazia. Ma in realtà un’etica comunitaria si può costruire solo rinunciando ai valori oggettivi e cercando di conseguire la linea del giusto e del bene, attraverso una continua trattativa. Il primato dell’economia ha favorito l’ascesa verso il “trattativismo normativo”, cioè l’economia è giunta ad indirizzare la decisione politica, fino a portare all’affermazione di un’etica del consumismo, intesa come criterio e dovere dell’azione del governo. Queste condizioni vengono sempre + assicurate dal processo di globalizzazione economica7. Un osservatore, George Soros, ha ammesso che il rapporto tra capitalismo e democrazia non è automatico. I regimi repressivi non rinunciano al potere e spesso godono della complicità di interessi privati e nazionali, specie in paesi 7 GLOBALE= Termine che indica la dimensione planetaria dei fenomeni economici, sociali, culturali caratterizzata da una integrazione totale delle parti, fino alla omologazione. La globalizzazione si presenta dunque come il processo di unificazione profonda e di interdipendenza – riguardante produzione economica e mercati finanziari, sistemi di comunicazione, indirizzi politici, sociali, culturali – che trasforma le economie ed il ruolo stesso degli Stati nazionali. La globalizzazione del mercato – segnata dalla finanziarizzazione e dalla tendenza alla concentrazione economica – comporta una radicale modificazione della stessa organizzazione sociale e politica, in specie in rapporto alla funzione sociale dell’economia ed agli indirizzi etico-sociali delle comunità. dove sono in palio risorse come il petrolio e i diamanti. Il capitalismo dunque crea ricchezza, ma non da garanzia del rispetto della libertà, di democrazia e dello stato di diritto. Gli interessi personali non bastano a proteggere lo stesso mercato: i partecipanti sono in competizione x vincere e se potessero eliminerebbero la concorrenza. Tuttavia qsto modello che assume come unico criterio della norma e delle relazioni sociali l’interesse individuale, non permette la tutela della legalità. Un esempio in qsto senso è quello del contrabbando che potrebbe xfino non essere classificato come fenomeno illegale in qnto sono in gioco l’interesse economico delle multinazionali del tabacco alla vendita ad ogni costo dei propri prodotti+l’interesse dei cartelli economici che organizzano l’acquisto e lo smercio+l’interesse dei singoli distributori+l’interesse dei singoli acquirenti dei prodotti del contrabbando. Di fronte a qsto scenario rimane ininfluente l’interesse fiscale dello stato (cioè l’interesse pubblico). Lo stesso Soros ha affermato che: “compito tradizionale dello stato nazionale era difendere l’interesse comune. Ma con l’espansione dei mercati globali, i poteri statali si sono ridotti di molto. Poikè oggi il capitale può evitare stati che impongono tasse e regolamentazioni, i governi vanno incontro alle sue richieste”. Da un lato ciò potrebbe essere positivo xkè la globalizzazione impedisce agli stati di abusare del proprio potere, xò non mancano le contraddizioni in qnto i mercati finanziari sono instabili, la libera concorrenza crea disuguaglianze, poco considerati sono gli interessi collettivi (pace, diritti umani,ecc). Orientamenti neo-contrattualisti, mettendo tutto in capo all’homo oeconomicus, hanno xò cercato la soluzione a qste contraddizioni dall’esito della somma degli interessi particolari svolti liberamente con l’unico limite della salvaguardia degli interessi particolari reciproci. Ne consegue xò la scomparsa della dimensione sociale e l’affermarsi di una visione dell’individualismo come unica possibile teoria del presente. Zygmunt Baumann propone una visione attuale dello stato di natura, facendo riferimento alla condizione dell’insicurezza dell’uomo contemporaneo ripresentando così la condizione della “guerra di tutti contro tutti” dell’uomo moderno la cui paura era stata esorcizzata dallo Stato. L’incertezza, la paura del futuro che perseguita gli uomini immersi in un contesto sociale in cui le regole cambiano sempre, non uniscono ma dividono i sofferenti (gli uomini). Da qsto punto di vista, il declino della comunità è un fenomeno che si autoalimenta, non ci sono stimoli che spingono ad unire i legami spezzati. Certo appare penosa la condizione di individui che combattono da soli, ma l’impegno ad un’azione comune sembra addirittura destinato ad arrecare + danni che vantaggi→si potrebbe scoprire che le zattere sono fatte di carta assorbente qndo la possibilità di salvarsi è già svanita. Il vero problema della democrazia nelle società moderne risiede nel rapporto pubblico/privato: sembra arrestarsi il lungo cammino che ha condotto la civiltà etico-politica e giuridica ad introdurre la tutela pubblica dell’interesse del singolo attraverso l’idea di bene comune e dell’interesse generale anche in contrapposizione agli interessi individuali e alla loro somma; c’è indifferenza anche di fronte al pericolo che all’onnipotenza della volontà generale si sostituisca l’onnipotenza degli interessi particolari. La democrazia contemporanea si trova dunque di fronte ad un bivio: nella società è inevitabile la formazione di una maggioranza di fronte a singoli temi senza riferimento a valori comuni; le scelte sociali e legislative si limitano a registrare la somma delle singole volontà soggette alla manipolazione delle opinioni. X qsto motivo una comunità internazionale non può negare legittimità a governi che si fondano sulla libera volontà del popolo espressa con gli stessi strumenti della democrazia, non si possono esercitare pressioni contro quelle legislazioni favorevoli alla pena di morte e, ancora, non si possono giustificare diritti di interferenza internazionale nei confronti delle violazioni dei diritti umani all’interno di ogni paese, come ritiene Habermas il quale afferma che l’“ingerenza umanitaria” nell’area chiusa della sovranità nazionale accresce il vuoto di legittimità. In qsto modo Habermas vuole affermare il maggiore significato dell’ordine giuridico rispetto a quello morale e porta l’attenzione sui diritti fondamentali, ma, alla fine, finisce x delegittimare la stessa politica dei diritti umani, accusata di mascherare azioni di polizia fatte x imporre guerre che finiscono x assumere perfino una valenza morale. CAP.4 LA QUESTIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI Se la globalizzazione ha determinato la crisi delle sovranità nazionali in nome degli interessi particolari (soprattutto economici), ha reso xò necessario il riferimento ai diritti umani e la diffusione di procedure coerenti col principio democratico. Johannes Messner, professore di etica sociale dell’università di Vienna, destituito dai nazisti e rifugiato in Gran Bretagna dove nel 1949 pubblicò Social Ethics. Natural Law in the Modern World, notò come la modernità comporta, oltre alla rottura con il pensiero giusnaturalistico, la nascita del pluralismo politico e culturale e quindi il principio della molteplicità degli ordinamenti giuridici, rendendo + difficile il compito normativo del diritto naturale. Nella sua opera, che riproponeva in Germania e in Austria il problema dei valori fondamentali nel dibattito sulle carte costituzionali di tali paesi, M. affronta i nodi che dopo il processo di Norimberga e con l’instaurazione della guerra fredda si proponevano all’umanità(processo di Norimberga=tribunale istituito dagli alleati x giudicare i crimini di guerra): egli afferma che i diritti che fondano ambiti di libertà sociale vengono chiamati, nell’epoca moderna, diritti dell’uomo, cioè diritti propri dell’uomo x la sua natura, che si fondano sui principi del diritto basati sulla dignità personale e sulla responsabilità morale: tali principi appartengono al diritto naturale primario (originario, elementare), xkè fondati direttamente nella natura morale dell'uomo che gli permette di adempiere i compiti della vita, e che gli viene rivelato attraverso la sua conoscenza razionale. Su qsta scia, un’altra questione importante riguarda il principio moderno della positivizzazione del diritto naturale. Nel 1974 Piovani ricordò a tutti che, negli anni tra le due guerre mondiali, al centro di tutte le preoccupazioni morali vi era il quesito se esistevano valori non momentanei x cui valeva la pena di battersi contro le violenze del nichilismo. Così l’umanità devastata dalle guerre, x proteggersi dalle minacce incombenti sull’esistenza umana, si affidò alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo firmata a Parigi nel 1948, la cui redazione fu promossa dalle Nazioni Unite perché avesse applicazione in tutti gli stati membri (si tratta dell’affermazione di diritti che sono tali a prescindere che lo Stato li riconosca o meno). Al centro di tale documento vi è il problema dell’individuazione dei principi che stanno a fondamento di un principio di autorità non sottoposto alla sovranità dei singoli stati inadempienti, fino a giungere alla legittimazione, x i singoli paesi, del diritto all’interferenza internazionale negli affari interni nel caso di violazioni dei diritti umani. Giuseppe Capograssi, colse con preveggenza l’elemento di crisi che il “diritto dopo la catastrofe” introduceva nella vita dello Stato moderno, infatti egli scrisse che la riduzione dell’individuo a nuda forza senza diritti è opera dello Stato che è diventato nemico dei propri sudditi; dall’altra parte xò la miseria e il bisogno delle masse creano anch’essi stati di inquietudine, di pericolo internazionale che possono spingere lo Stato (cioè i gruppi dominanti che se ne sono impossessati) ad entrare in guerra x risolverli. Quindi, secondo tale interpretazione della Dichiarazione, gli Stati potevano anch’essi violare il diritto all’esistenza e alla dignità di ogni essere umano in nome di un principio di sovranità superiore. Allo stesso modo Messner pose il problema della concreta normatività del diritto naturale che secondo lui è condizionato dalle situazioni socioculturali, x cui cambia da paese a paese. Meinecke, già nel 1924, aveva avvertito che l’uomo di Stato moderno deve tendere tanto + fortemente il suo discorde senso di responsabilità verso lo Stato e verso la legge morale, qnto + terribile e pericolosa la civiltà moderna è divenuta x l’azione secondo la ragion di stato. L’unione degli stati richiede sacrifici di sovranità dai singoli membri. Alain Tourain ha tentato di descrivere il lungo itinerario che ha portato dalla democrazia industriale e le leggi sociali tedesche, dal New Deal all’estensione del Welfare State a quasi tutta l’Europa occidentale nell’ultimo dopoguerra. Con tali mutamenti i paesi protagonisti della prima riv industriale sono riusciti a legare l’efficienza economica, cioè l’apertura ai mercati internazionali, con una forte ridistribuzione dei redditi e una efficace azione contro le problematiche di intere popolazioni (malattie, infortuni, disoccupazione, vecchiaia, invalidità). Tuttavia, recentemente si è notato che le regole della convivenza e la stessa leadership scaturiscono dell’esistenza dei legami sociali, ma nella società di massa, segnata dal pluralismo e dalla mancanza di legami sociali, il contratto non è + quel cemento che unisce la società. Invece il valore universalistico della norma, su cui si fondano le democrazie, necessita di un orientamento etico comune e di una tutela giuridica dei principi individuati. Su qsta scia, Robert Bellah mette in luce che ci può essere salvaguardia dei diritti individuali solo se consideriamo il valore solidaristico (la solidarietà), che tutela le comunità + deboli. Ma come sappiamo, con l’avvento della globalizzazione e il declino della sovranità nazionale, è entrato in crisi anche il concetto fondamentale dell’eguaglianza fondato sulla reciprocità che ha legittimato il sistema di Welfare come connotazione essenziale dell’organizzazione pubblica dello Stato di diritto che aveva collegato il modello della redistribuzione con quello del mercato. La crisi di tale sistema rappresenta il banco di prova della crisi della democrazia xkè nel 900 lo Stato sociale si è presentato come il punto di equilibrio essenziale della democrazia e del processo di inclusione affettiva nei diritti di tutti i cittadini, e perfino,lo stato sociale considerava legittimo il principio della superiorità etica del criterio sociale. Con la crisi del criterio sociale, la diffusione di etiche utilitaristiche e il ritorno ad un naturalismo economico e scientifico, nell’età della globalizzazione e della new economy, si è generata una forte crisi della democrazia e delle sue radici etico sociali. Queste trasformazioni(la crisi della democrazia e del welfare) hanno alterato il significato dell’etica pubblica, x cui il cittadino non è + stimolato a compiere i propri doveri, né ad esercitare i propri diritti. La democrazia viene così sostituita da una tecnocrazia di mercato. L’uomo rinuncia ad ogni considerazione etica e l’efficienza resta l’unico valore universalmente riconosciuto. Così mentre lo Stato e la stessa società si sono sviluppati attraverso l’affermazione dei diritti e dei principi sociali, la contemporaneità pone fine al criterio sociale come comune indicatore x valutare misure e assetti nella vita delle nazioni. Le differenze sociali, che una volta rappresentavano i fini generali x richiamare la giustizia sociale, ora diventano pure constatazioni sociologiche. Così nella seconda metà del 900, la democrazia va in crisi di pari passo con il Welfare:si assiste così ad una marginalizzazione delle politiche pubbliche sociali. In particolare nella società si crea il rischio di una lacerazione tra la società degli inclusi(coloro che ritengono di appartenervi anche x brevi periodi) e la società degli esclusi. Lo sviluppo del mercato globale ha portato la società a considerare come unico punto di riferimento non la persona ma il consumo. Cs la grande questione del I decennio del III millennio appare l’esclusione sociale. In qsto contesto, con la perdita del peso delle sovranità nazionali, entra in crisi il significato del diritto come regolatore dell’ethos comunitario. Latouche, al riguardo dice che la caduta del vincolo sociale equivale alla caduta della stessa ragione etica del mondo sociale. La morale ormai è solo un’ipocrita facciata,non + una realtà sentita, c’è solo egoismo, volontà di potenza, disprezzo x i deboli e x i perdenti. Il tema dei diritti sociali come sostanza dei diritti fondamentali ha rappresentato lo sforzo concreto fatto dello Stato, nel 900, x assicurare a ciascuno i diritti soggettivi fondamentali. Achille Ardigò, al riguardo, ci ha ricordato che la riforma universalistica teorizzata da Lord Beverdige consiste nel far cadere ogni selettività nell’accertamento x reddito e nel fornire servizi sociali e assicurazioni essenziali pubbliche x tutti, cioè diritti eguali x tutti. Quindi bisogna considerare il servizio sociale come espressione dell’eguaglianza dei cittadini che sta alla base degli Stati democratici costituzionali. Come afferma ancora Ardigò, l’universalismo delle prestazioni contro la selettività precedente dello Stato assistenziale aveva, a sua giustificazione, una definizione di povertà non intesa come carenza di un minimo reddito di sussistenza. La povertà, come ha osservato Peter Towsend, un noto sociologo inglese, non è una condizione assoluta che richiede solamente un trasferimento di reddito dalla collettività all’indigente, ma è una condizione relativa che cioè chiama in causa l’insieme delle relazioni di superiorità e di inferiorità nelle società di riferimento; essa diviene uno segno di inferiorità in tutte le relazioni sociali. Lo stato moderno si tramuta in Stato di diritto e Stato sociale qndo ai diritti di I generazione (individuali) si accompagnano quelli di II generazione, ossia i diritti sociali essenziali x assicurare la libertà. Da Macchiavelli ad Hobbes, fino agli interrogativi sui totalitarismi del 900, la riflessione eticopolitica si è concentrata sulle sorti dell’uomo moderno, indifeso e senza certezze («il povero individuo empirico» come lo definisce Capograssi). Già Hobbes aveva ricordato la condizione dell’uomo moderno come quella dell’ Homo Aeconomicus, un uomo mosso da qualcosa x possedere sempre qualcos’altro (pronto x questo xfino ad uccidere). Anche Montesquie aveva avvertito nel capitolo II del libro ventesimo dello Spirito delle leggi che se lo spirito del commercio è quello di portare la pace, nello stesso modo xò non unisce ugualmente i privati; nei paesi dove si vive soltanto preoccupandosi del commercio tutto si riduce a denaro. Latouche afferma che l’economicizzazione del mondo ha portato alla scomparsa della politica come istanza autonoma e il suo assorbimento nell’economica fa ritornare lo stato di guerra di tutti contro tutti; dunque la concorrenza, le leggi dell’economia sono diventate le leggi della politica. Werner Sombart, a conclusione del libro primo de Il borghese, afferrando i temi fondamentali della trasformazione dell’etica moderna, rivolgeva la sua attenzione all’“ideale”, ovvero i valori fondamentali verso cui tende a orientarsi l’uomo economico moderno. Egli nota lo spostamento di posizione dell’uomo di fronte ai valori + personali, cioè l’uomo, col suo bene e col suo male, con le sue esigenze e bisogni, è stato respinto dal centro dell’interesse e il suo posto è stato preso da un paio di astrazioni: il guadagno e l’affare. Quindi l’uomo non è + la misura di tutte le cose. Infatti, l’economicizzazione del mondo, la globalizzazione hanno trasformato tutti gli aspetti della vita in questioni economiche, quasi in merci. L’onnimercificazione riguarda anche il corpo umano. In qsto senso sono tanti gli esempi: i problemi morali sollevati dalle biotecnologie nel campo medico e sanitario, dal tentativo della scienza di impadronirsi dei confini della vita e della morte, l’ingegneria genetica, l’aborto, il prelievo e trapianto di organi, la clonazione, ecc.(si cerca di equipararsi a Dio: infatti qndo nacque Louise Brown, la prima bambina al mondo concepita in provetta, si disse “Diveniamo finalmente simili a Dio”). Wilhelm Dreier ha scritto dell’etica scientifica evidenziando che dal dibattito sui giudizi di valore, sviluppatosi all’inizio del nostro secolo soprattutto da Max Weber, è cs mutata l’esistenza dell’uomo x cui la scienza non può + essere messa in disparte quando viene minacciato il diritto alla vita. Su tale punto si sofferma l’etica sociale cristiana x la quale si tratta di salvare la persona umana, di edificare la società umana. Negli ultimi anni qsti problemi hanno assunto sempre + una dimensione globale. A tal proposito il fisico Muller sostiene che il pensiero particolare, settoriale (autosufficiente) che pretende di essere completo, di fronte a qste nuove sfide che si presentano, è giunto a termine. Dunque la prospettiva sul futuro x la ricerca e l’azione dell’etica sociale è quella di cercare delle vie che eliminino le minacce già presenti alla sopravvivenza e alla dignità dell’umanità e realizzare una convivenza sociale solidale. Oggi nel dibattito bioetico8 ci si confronta sempre + sull’indisponibilità della vita umana da parte delle comunità e dei singoli nei confronti della propria esistenza. I progressi della scienza medica e delle biotecnologie accentuano la spietatezza delle sperimentazioni e il rischio della prevalenza degli 8 BIOETICA= L’etica applicata a quel particolare campo di indagine rappresentato dal mondo vivente, nel senso illustrato dalla definizione di W.T. Reich: lo studio sistematico della condotta umana nell’ambito delle scienze della vita e della cura della salute, quando tale condotta è esaminata alla luce di valori e principi morali. La bioetica sociale riguarda il giudizio morale sugli atti che si compiono sulla vita e per la vita ricollegandolo ai profili sociali che investono le scienze della vita e la condizione umana. interessi economici che le sostengono fino all’indifferenza x la vita umana che invece dovrebbe sempre essere il fine ultimo della ricerca scientifica e della sperimentazione. Su qsta scia si ricorda il peso sociale assunto sempre + dalla new economy che non solo determina mutamenti ed adattamenti nelle dimensioni del mercato o nei meccanismi finanziari, ma modifica il ruolo stesso dell’economia e l’assetto che essa comporta x le stesse libertà così come si sono configurate nella contemporaneità. (NEW ECONOMY= si indicano le attività, le aziende e gli investimenti basati sulle nuove tecnologie informatiche e telematiche gestibili su Internet. offre la possibilità di operare in un mercato globale abbattendo i costi di gestione e di non essere vincolati a uno spazio definito quale può essere la sede fisica di una società o di un esercizio commerciale). CAP.5 IL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA Nell’attuale contesto in cui lo sviluppo scientifico e tecnologico mette in crisi la sopravvivenza e la dignità dell’umanità vi è il rischio che venga messo in discussione anche il principio dell’eguaglianza, quale principio cardine dell’età moderna su cui è fondata la democrazia. La recente espansione delle biotecnologie pone al centro il problema dell’etica scientifica e del tema della responsabilità delle conoscenze e del loro uso sociale. La scienza con i suoi numerosi sviluppi e le sue numerose scoperte (dalla scissione dell’atomo alla creazione di varie forme di energia), non si è posta limiti nella sua ricerca. È questo il caso di Oppenheimer che, lavorando sull’atomo, creò la bomba atomica. Ma ben presto egli si rese conto del danno che aveva recato all’umanità denunciando il progresso della scienza che, al contrario, non reca progresso all’umanità. Il problema della responsabilità della conoscenza non si separa dalle questioni che l’etica razionale moderna ha affrontato nel 900, in particolare sui temi del lavoro, della produzione nell’età delle macchine e delle specializzazioni professionali. Il piano del fordismo-keynesismo delle società consumistiche è stato quello di distribuire elevati salari x aumentare la produttività. Inoltre, ciò che fa della crescita economica un bene indiscutibile agli occhi della morale è il suo essere risultato di un comportamento a sua volta morale, x cui secondo Max Weber il decollo dell’economia occidentale muove dalla diffusione dell’etica del lavoro e dello spirito imprenditoriale. La critica mossa è che lo Stato non pone alcun limite etico alla scienza che invece opera indisturbata. Così indebolita la sovranità statale e sviluppatosi il processo dell’economicizzazione, le ragioni dell’eguaglianza sono state trascurate. Nella modernità il trionfo del soggetto si caratterizza quindi come trionfo dell’egoismo. Ne consegue un aspro dibattito contemporaneo tra liberali e comunitaristi. I liberali(universalisti),sono coloro che intendono superare la volontà dello Stato. I comunitaristi sono a favore del bene della comunità. A tal proposito Latouche afferma che in assenza di altre forme di organizzazione sociale, lo Stato nazione risulta l’unico modo x esprimere un’esistenza collettiva nei riguardi degli altri e di se stessi. Nonostante ciò, il nazionalismo si restringe a dimensioni di comunità omogenee o finte regolando in modo provvisorio le aspirazioni identitarie e quelle comunitarie. L’uomo sente cs di vivere immerso in un “villaggio globale”, un mondo che offre straordinarie possibilità di comunicazione, che xò presenta molte illusioni. Tutto ciò ha aumentato la dimensione di appartenenza di ognuno alla propria comunità statale, generando un processo di mondializzazione della cittadinanza, così il cosmopolitismo diviene la dimensione essenziale della vita comune. Eppure tale processo rischia di mostrarsi fittizio xkè racchiude gli individui in gruppi sempre + ristretti (così ogni individuo sente di appartenere ad un gruppo comune x 3 fattori eguali e condivisi: società,etnia,lingua). Invece la globalizzazione ha realizzato solo un’unica dimensione, quella comunicativa, x il resto non c’è x niente unità, non ci sono valori morali comuni. Tra i comunitaristi, ricordiamo Philip Selznick che analizza la contraddizione che il relativismo multiculturale può comportare x il principio dell’eguaglianza: se noi prendiamo in esame il discorso di Gettysburg (che Lincol pronunciò x abolire la schiavitù) o la Dichiarazione di Indipendenza di Jefferson (uno dei padri della nazione americana, che nel ’76 dichiarò l’indipendenza dell’Inghilterra) eguaglianza significa eguaglianza morale, cioè tutti gli uomini hanno lo stesso intrinseco valore. Gli uomini sono diversi x talento, x il loro contributo alla vita sociale, ecc, ma x il principio morale ogni persona adulta deve essere considerata un attore morale responsabile e ogni persona, adulta o no, è sempre degna di considerazione morale. Questa idea non è né propriamente liberale né propriamente moderna, ma ha le sue radici + profonde nel mondo religioso. Tuttavia la dottrina laica dell’eguaglianza morale è stata un momento centrale del pensiero e della pratica liberale, una potente arma contro quei principi che presuppongono forme di gerarchia sociali (pregiudizio, disprezzo) e un richiamo all’interesse verso la crescita e la prosperità individuale. Dunque il liberalismo ha dato il suo massimo contributo alla causa dell’umanità. Ma questione importante, afferma Selznick, è la complessa connessione tra eguaglianza morale e eguaglianza sociale(o giuridica). Il problema è: quanta e quale genere di eguaglianza sociale (x es il reale accesso all’assistenza sanitaria) è prevista da una promessa di eguaglianza morale? Qsto problema ha portato divisioni nella tradizione liberale. Il liberalismo classico era pronto ad accettare gravi condizioni di disuguaglianza, come lo si nota nel commento di Anatole France secondo il quale la legge, paradossalmente, proibisce egualmente ai ricchi come ai poveri di dormire sotto i ponti, elemosinare x strada o rubare il pane. Invece il liberalismo americano si è allontanato da qsta prospettiva, grazie soprattutto al New Deal di Roosvelt che riconobbe una responsabilità collettiva x la povertà e la disoccupazione e qndo la Corte Suprema dette speciale protezione agli afro-americani e alle altre vittime di altre discriminazioni. L’attuale liberalismo popolare è arrivato a pensare che ogni tipo di privilegio, di autorità, di segregazione, offende la dignità del soggetto come persona e quindi l’eguaglianza morale. In qsto modo xò l’eguaglianza è divenuta un’astrazione, una premessa da cui si suppone si possano trarre specifiche conclusioni di politica sociale in qnto gli Stati e le comunità locali sono limitate nelle loro scelte. Infatti nel liberalismo contemporaneo, sia teorico che popolare, si nota il passaggio dall’eguaglianza morale all’autonomia morale. L’eguaglianza morale indica appunto il trattare le persone come eguali, come investite di intrinseca dignità e responsabilità; invece il concetto di autonomia morale (ognuno ha una morale a proprio uso e consumo) ha prodotto pluralismo morale cioè differenze nei valori e nei modi di vedere delle persone. Cs l’eguaglianza morale, che richiama all’identità che abbiamo in comune, si riduce alla celebrazione della differenza. Sicuramente c’è un’importante legame tra eguaglianza morale e rispetto della diversità, ma qst’ultimo nacque x mostrare come caratteristiche umane, condivise da tutti i popoli, potessero andare oltre le particolarità di parentela, di luogo, di religione, ecc. Xciò i liberali cosmopoliti rifiutarono l’etnocentrismo e affermarono i diritti naturali, svalutando xò il localismo inteso come terreno di coltura dell’ignoranza e dell’intolleranza. Oggi invece noi sappiamo che la gente ha il diritto di essere rispettata e tale rispetto non può prescindere dalla considerazione della propria cultura di appartenenza. Dunque riconoscere l’eguaglianza morale significa rispettare la diversità (e di conseguenza riconoscere quell’unità di uomini che chiamiamo comunità) senza cs stravolgere il principio morale stesso, infatti, afferma Selznick, quando ci viene detto che, x esempio, l’assimilazione culturale equivale ad un genocidio, allora abbiamo il dovere di protestare con la forza. Confrontando le tesi dei + significativi studiosi si nota che le teorie della giustizia concordano nell’assegnare la stessa importanza morale a una determinata caratteristica posseduta da ogni persona in base alla quale è possibile giungere a definire l’ideale egualitario. Ronald Dworkin si concentra sull’eguaglianza distributiva che prevede l’acquisizione originaria delle risorse ed un successivo processo di redistribuzione che consente la nascita e lo sviluppo dello scambio e della produzione mediante risorse come la predisposizione personale, le doti individuali, il mercato, che modificano positivamente la situazione iniziale. Da qui D. ritiene che il ripristino dell’eguaglianza dei beni e delle risorse originarie venga conseguito con la redistribuzione, distinguendo x qsto tra risorse esterne (possedute dall’individuo nel mercato, quindi ciò che possiede: la fortuna, le abilità fisiche e mentali) risorse interne (ciò che l’individuo è: qualità e capacità che distinguono ciascuno in base agli obiettivi preposti). Vengono redistribuite le risorse esterne e non quelle interne così lo Stato sociale consente anche a coloro che sono svantaggiati di partire con le stesse condizioni. Bernard Williams, che si ispira alla posizione di Kant, secondo la quale ogni uomo merita eguale rispetto in quanto agente morale, ritiene che tutti gli esseri umani sono eguali in relazione alla capacità di darsi degli obiettivi. Thomas Nagel, invece, pone l’eguaglianza economica come elemento base dell’eguaglianza che distribuisce egualmente i beni in base alle necessità individuali + urgenti. Richard Arneson concepisce l’eguaglianza come la disponibilità di eguali possibilità offerte x raggiungere il soddisfacimento delle proprie preferenze. Con il ricorso al concetto di responsabilità A. tende ad annullare la differenza tra avvantaggiati e svantaggiati. Si corre xò il rischio di considerare il relativismo etico come aspetto inevitabile del pluralismo moderno. Selim Abou, uno studioso franco-libanese, negli anni 90 avanzò la critica al dissolvimento di principi etici universali come esito di un lungo processo storico di definizione, successivo all’affermarsi del relativismo culturale. Secondo lo studioso la logica relativista radicale si fonda su rapporti di causalità che stabilisce fra una serie di giudizi che in realtà sono soltanto ipotesi. Egli afferma che se la storia non è orientata verso nessun fine e se non dice nulla sulla natura umana non è possibile stabilire valori universali sulla natura stessa attraverso cui giudicare le diverse culture, ne consegue che bisogna sancire l’equivalenza dei sistemi di valori delle diverse culture (quindi ad ognuna si deve dare assoluto rispetto), xò l’incrocio di culture e l’acculturazione derivante rappresentano un attentato alla loro integrità. Infatti l’acculturazione è stata spesso accompagnata da pratiche etnocide xkè imposta ai dominati senza rispetto x la loro organizzazione sociale e culturale. Tuttavia ciò non significa che bisogna criticare le varie operazioni di cooperazione x lo sviluppo che oggi sono attuate. Mettendo in risalto il concetto di identità culturale, rispetto a quello dell’identità umana, si determina un diritto alla differenza che si ritorce contro coloro x i quali era stato proclamato, si tratta di un diritto alla chiusura, alla repressione, alla morte. Definendo l’uomo soltanto in base alla sua cultura, il relativismo radicale lo spoglia della libertà di pensiero e di azione che gli permette di prendere le distanze dalla sua società e dalla sua cultura x criticarle e trasformarle. Infatti come scrive un filosofo contemporaneo: “l’uomo non si definisce soltanto attraverso la società politica, ma anche attraverso la critica permanente della società nella quale vive”. Bisogna aprire se stessi all’universalismo, alla libertà razionale che permette l’omogeneizzazione della società. Strauss scrive che non si può definire la libertà razionalmente, e quindi in termini di universalità, e diffonderla in una società pluralista. La dottrina universalista muta verso le formule del partito unico. Ma tale affermazione è smentita dal fatto che le democrazie occidentali, governate dal principio umanista della libertà razionale, sono sempre + aperte al pluralismo; invece le nazioni governate da un partito unico si ripiegano sulla loro eredità culturale ed etnica. Il relativismo ha spinto i popoli verso l’etnicità, comportando la loro chiusura, dato che chi appartiene ad una cultura chiusa non sviluppa il suo senso critico. Georges Devereux ha affermato che il diritto alla chiusura è il primo risultato contorto del diritto alla differenza esaltato dal relativismo culturale radicale. Inoltre, poiché ci sono tante etiche x qnte sono le culture e che ognuna ha una propria razionalità, che non può essere giudicata dall’esterno, allora bisogna ammettere che il diritto alla differenza legittima l’oppressione che una società, in nome della sua cultura, esercita sui suoi stessi membri, aspettando forse di esercitarla sugli altri. Qsta prospettiva è stata studiata da Pascal Bruckner, nella sua opera Le Sanglot de l’homme blanc in cui egli sostiene che, proprio in base al rispetto assoluto della diversità culturale, ognuno utilizza proprie parole x spiegare il cannibalismo, la mutilazione sessuale, il taglio delle mani dei ladri, pratiche diffuse in africa e in Medio Oriente. In La défaite de la pensée Alain Finkielkraut riprende lo stesso argomento utilizzando l’affermazione di un prete cattolico: «aiutare gli immigrati significa soprattutto rispettarli così come essi sono e vogliono essere». Poi ironizza dicendo «Esiste una cultura in cui ai delinquenti si infliggono supplizi corporali, dove si pratica l’infibulazione, dove i matrimoni misti sono vietati e la poligamia autorizzata, dove la donna adultera è punita con la morte?» L’amore del prossimo richiede che tutti qsti costumi siano rispettati. Quindi il diritto all’oppressione è il secondo risultato del diritto alla differenza contorto esaltato dal relativismo culturale. Le tesi di Abou sono ulteriormente arricchite dalle osservazioni che Susan Moller Okin dedica alle contraddizioni tra riconoscimento multiculturalista da un lato e garanzie irrinunciabili delle libertà individuali dall’altro. La Okin afferma che fino a poco tempo fa ci si aspettava che i gruppi minoritari si assimilassero nelle culture di maggioranza, ma oggi qsta attesa di assimilazione è spesso considerata oppressiva e molti paesi occidentali (Inghilterra, Francia) cercano di tracciare nuove linee di condotta politica contro le differenze culturali. Su qsta sica, la filosofa richiama l’attenzione su una questione attuale e ricorrente, ovvero cosa bisogna fare qndo le pretese di culture o religioni minoritarie collidono col principio dell’eguaglianza di genere che, nonostante sia sottoscritta dagli stati liberal-democratici, essi continuano a violarla? Ci riporta un esempio: nella seconda metà degli anni 80 scoppiò in Francia un’aspra disputa sul permesso x le ragazze magrebine di frequentare la scuola portando il velo. I difensori dell’educazione laica si schierarono con alcune femministe e con i nazionalisti dell’estrema destra, gran parte della sinistra tradizionale rivendicò il rispetto x la diversità accusando gli avversari di razzismo. Nello stesso momento xò l’opinione pubblica rimase in silenzio su un problema ancora + importante x molte immigrate francesi di origine araba o africane: la poligamia, che era stata consentita dal governo francese(secondo le stime 200mila famiglie parigine sono attualmente poligame). Qndo xò i cronisti intervistarono le mogli si scoprì che qste subivano la poligamia considerandola una istituzione inevitabile e a malapena sopportabile nei loro paesi come in Francia. Gli appartamenti sovraffollati, le violenze tra le mogli e tra i figli e la conseguente tensione sul welfare, hanno spinto il governo francese a riconoscere solo una moglie e nulli tutti gli altri matrimoni. Ma cosa succede a tutte le altre mogli e agli altri figli? Il governo francese se n’è lavato le mani. In realtà tale questione, illustra un problema profondo: c’è una forte tensione tra il femminismo e il desiderio multiculturalista di proteggere la diversità culturale. In ogni caso, tutti i gruppi richiedono diritti x autogovernarsi. Qsti gruppi hanno le loro culture che, come dice Will Kymlicka, il principale difensore contemporaneo dei diritti dei gruppi culturali, danno ai loro membri abitudini dotate di significato in ogni ambito delle attività umane (sociali, educative, religiose, ecc). Poiché le culture sociali hanno un ruolo cs importante nelle vite dei loro membri e poiché esse sono minacciate, è necessario proteggerle con diritti speciali (qsto è l’esito della questione a favore dei diritti di gruppo), bisogna xò ricordare che i diritti di gruppo non devono primeggiare su quelli individuali. CAP.6 ETICA ED ECONOMIA Nell’età contemporanea, come afferma Latouche, l’economicizzazione del mondo ha portato alla scomparsa della politica come istanza autonoma e il suo assorbimento nell’economica fa ritornare lo stato di guerra di tutti contro tutti; dunque la competizione, la concorrenza, le leggi dell’economia sono diventate leggi della politica. La fiducia nell’autoregolamentazione attraverso il mercato ha portato a volerla sostituire ad ogni altra regolamentazione, x cui lo scambio trasnazionale di merci rappresenta l’unica base del legame sociale. In qsto modo sono sacrificati la custodia della memoria e la costruzione del futuro, legati nella tradizione contrattualistica e giusnaturalistica, in nome del presente di coloro che sono in grado di trionfare nel mercato impersonale non + governato da regole di giustizia sociale. La defuturizzazione della vita sociale riduce etica e diritto a volontà dei gruppi + forti, anche se non + nelle forme violente dell’assolutismo dell’Ancien Regime o del totalitarismo contemporaneo, ma in quelle del consenso manipolato. Nel 1944 Polanyi aveva rilevato che la dinamica del mercato + si mondializza meno diffonde universalismo di valori in quanto l’economia e la tecnica tendono ad occupare la totalità dello spazio sociale e ad essere di per se stesse universali. Ma ancor + della tecnica, le pseudo-leggi dell’economia espropriano il cittadino e lo Stato nazione della sovranità in quanto appaiono come un obbligo che si può solo amministrare e non contestare. La conseguenza di ciò è la perdita del governo del proprio destino da parte delle collettività dei cittadini, il cittadino con i suoi diritti non ha + ragion d’essere (Marx). X cui oggi le uniche etiche possibili sembrano essere i progressi della scienza e gli orizzonti del benessere economico che prima erano determinati dalla potenza degli Stati, mentre ora sono determinati da altre sovranità non nazionali ma sopranazionali. Il relativismo ha portato alla rinascita dei localismi, ma nello stesso momento ha aumentato la difficoltà di tradurre in risorsa le diversità proprie dei singoli e dei popoli. Ridimensionandosi la domanda politica si è ridimensionata anche l’offerta e quindi la possibilità politica di risolvere i problemi delle persone. Ralf Dahrendorf si chiede cosa succede alla democrazia qndo problemi e decisioni vengono considerati in spazi politici x i quali non si dispongono di istituzioni adeguate e nei quali i poteri sono costituiti secondo le regole del mercato. La conseguenza è che il rapporto Stato-cittadino risulta alterato poiché l’economia non offre una tutela sociale dei diritti umani fondamentali. Su qsta scia, il processo di globalizzazione ha portato alla crisi del Welfare State. Amartya Sen tenta di fornire una posizione eticamente accettabile x affrontare qsta situazione con la teoria dei funzionamenti. Tale teoria si pone come alternativa alle più consuete concezioni del well-being (star bene) economico come appagamento dei desideri, felicità o soddisfazione delle preferenze (comunemente etichettate come concezioni welfariste o benesseriste, di cui uno degli esempi più noti è l'utilitarismo). Mentre tali approcci privilegiano aspetti soggettivi del well-being, la visione dei funzionamenti mette l'accento sulla realizzazione di certe dimensioni oggettive, che Sen descrive come stati di fare e di essere e che chiama genericamente “funzionamenti”. Sono dei risultati acquisiti dai singoli individui nell’ambito della sanità, dell’alimentazione, dell’istruzione, ecc. Secondo Sen qsti devono rappresentare gli indicatori x stabilire il well-being xkè sono acquisizioni effettive da parte dei singoli, mentre il reddito è solo uno strumento x raggiungere il well-being. Accanto alla nozione di funzionamenti, Sen propone poi il concetto di “capacità”: le quali riflettono le acquisizioni potenziali, e sono quindi costitutive della libertà (concetto positivo di libertà, cioè libertà di fare qualcosa e di essere qualcuno, non come assenza di impedimenti formali). Per chiarire la distinzione, si pensi al caso di un disabile che intende raggiungere un edificio pubblico per qualche importante motivo; mentre da una parte egli può essere negativamente libero di accedervi, nel senso che nessuno glielo vieta legalmente, dall'altra può essere positivamente non-libero (cioè sostanzialmente incapace), se ad esempio vi sono barriere architettoniche. X qnto riguarda il binomio etica-economia, x Sen entrambe hanno bisogno l’una dell’altra. L’etica è molto importante x l’economia x due diversi motivi: 1) molta economia riguarda provvedimenti che vanno valutati e x valutare c’è bisogno di valori, qundi di un’etica x decidere; 2) il comportamento umano dipende da valori etici che possono essere universali e locali (locali=anche di gruppo: un imprenditore è + solidale con altri imprenditori). In riferimento a qst’ultimo punto, Sen riprende un discorso riguardante le componenti motivazionali dell’azione economica che considera come le valutazioni etiche legate alla soddisfazione di colui che produce (sia l’imprenditore che il lavoratore consapevole dei fini dell’impresa) e la questione della responsabilità sociale che richiama il problema della democrazia economica, possano determinare l’equilibrio economico fondamentale x lo sviluppo dell’intero sistema civile e sociale oltre ke economico. Allo stesso modo, grazie a tale equilibrio, i diversi soggetti realizzano fini di giustizia. Sen quindi afferma che l’umanità ha bisogno di etica xkè essa influisce sui nostri valori; ma è anche vero che l’economia può dare un contributo all’etica, dato che la max parte delle preoccupazioni etiche riguardano questioni dove l’economia è al centro (x es la libertà dalla fame, il poter contare sull’aiuto degli altri, ecc). Secondo la weberiana “etica della responsabilità” l’etica non può non tener conto delle conseguenze delle nostre azioni e molte di qste ultime operano attraverso l’economia xkè è un legame forte tra azioni umane e le loro conseguenze e qsto è il reale motivo x il quale l’etica ha bisogna dell’economia. L’attenzione che Sen dedica ad Adam Smith è legata proprio alla considerazione dell’importanza delle motivazioni che sono alla base delle scelte economiche dell’uomo. Smith si preoccupò dei poveri e dei meno fortunati e delle sofferenze che essi sono costretti a sopportare. Egli considerava la povertà non solo come impossibilità di acquisire i mezzi di sussistenza (cibo, abiti, ecc), ma anche come esclusione sociale. Infatti importante è anche partecipare alla vita sociale xkè gli uomini sono animali sociali e se l’uomo non riesce a parteciparvi o mostrarsi in pubblico senza vergogna, allora vuol dire che sta soffrendo una privazione. Nella Ricchezza delle nazioni, Smith affronta il tema delle privazioni che ci permette di comprendere + in profondità la povertà. X es egli era interessato al fatto che in una società le merci necessarie x vivere come gli altri, dipendono dal livello medio di benessere del paese: se si vive in un paese + ricco la gente ha maggiori opportunità, dal punto di vista della dipendenza (x es oggi si dipende dalla tv, dalle automobili, ecc); se si vive in un paese + povero la gente sarà meno dipendente. Tuttavia non c’è soltanto il problema di non essere alla pari con gli altri, ma anche quello di non poter partecipare liberamente alla vita sociale, di vergognarsi a mostrarsi in pubblico. Smith afferma che nell’Inghilterra del suo tempo anche un operaio di livello + basso si poteva vergognare di mostrarsi in pubblico senza una camicia di cotone o senza scarpe di cuoio; ma in un paese + povero non sarebbe necessario avere scarpe di cuoio x mostrarsi in pubblico senza vergogna. A New York un ragazzo può non essere in grado di partecipare alla conversazione con altri ragazzi della sua scuola se non possiede una televisione e un telefono come gli altri. Invece in Africa, in India un ragazzo senza qsti accessori può partecipare alla vita comunitaria senza vergognarsi xkè anche gli altri ne sono privi. Con ciò Smith ha dimostrato che la privazione relativa di reddito comporta una privazione assoluta, cioè l’impossibilità di partecipare alla vita di comunità e di apparire in pubblico senza vergogna. Quindi la povertà determina l’esclusione sociale! Alla relazione economia-etica si collega anche il tema dello sviluppo sostenibile che mira all’aumento della popolazione, invece alcuni ritengono che misure coercitive di riduzione della crescita demografica sarebbero indispensabili x tale sviluppo. Invece un sistema economico, x non fallire, non può fare a meno delle condizioni di libertà. A tal proposito Sen ha detto che se si costringono le persone a frenare la crescita della popolazione, si è già rinunciato a sostenere la libertà quindi il concetto di sviluppo sostenibile deve essere allargato fino ad includere il sostegno delle libertà individuali x aumentarle e x sostenere quelle che già esistono. La storia della democrazia contemporanea ha fondato la sua azione sulla stretta interdipendenza etica-economia: a partire da Montesquieu, le scienze sociali si sono concentrate sulla relazione tra condizionamenti sociali e responsabilità individuale come cause della disuguaglianza. L’individuazione delle cause della disuguaglianza permette di sviluppare differenti visioni della giustizia. Dunque abbiamo: - cause naturali (da non intendersi come biologiche, ma come cause determinatesi oggettivamente) - cause sociali (determinatesi storicamente e x volontà soggettiva) Sulla base di qsta classificazione è possibile valutare le “visioni del mondo” (le etiche) sulle quali poggiano le teorie della giustizia: - l’etica (A) ricondurrebbe alle visioni liberali e liberldemocratiche, soggettivizzanti, secondo le quali bisogna considerare le disuguaglianze che consentono l’unica responsabilità possibile, quella derivante dalle virtù individuali, su cui costruire diversi modelli di società, orientate all’unico bene veramente possibile; - l’etica (B) ricondurrebbe alle visioni giacobine e socialiste, oggettivizzanti, secondo le quali l’uomo nasce libero eppure ovunque è in catene; dunque il male sarà sconfitto grazie ad una nuova organizzazione sociale egualitaria, anche a costo dell’autoritarismo che ripristinando la natura ne realizza gli obiettivi. Tale classificazione, xò, non risulta così chiara se si considerano le concezioni antropologiche che si intrecciano: - pessimistiche, secondo cui l’uomo è cattivo x natura e ci vuole la forza x farlo diventare civile; - ottimistiche, secondo cui l’uomo è buono, ma la società è maligna ed occorre ripristinare la condizione naturale di giustizia. Entrambe, tuttavia, ritengono l’eguaglianza come obiettivo e non come presupposto, x cui la responsabilità individuale resta fondamentale x identificare l’azione e qualificarla e ridurre così le disuguaglianze. Sul tema dell’eguaglianza si ricorda anche la discussione degli ultimi tempi sulle tesi di Roemer in qnto ripropongono il tema delle “forme dell’umano” che attraversa tutta la cultura filosofica e politica tra 800 3 900, soprattutto x ciò che riguarda lo storicismo tedesco di cui ricordiamo la dottrina di Dilthey, basata sulle Weltanshauung (visioni del mondo), secondo cui la storia consente di cogliere la trasformazione delle concezioni filosofiche del mondo e dei loro “tipi” fondamentali. Quindi la distinzione dei “tipi” è importante x mantenere il valore della responsabilità individuale nell’azione sociale e giungere alla formulazione di leggi sociali generali. Ciò rimanda alla questione, che si ripresenta continuamente, della relazione tra “ethnos” (relativo alla comunità) ed “ethos” comune (determinato con caratteristiche universali e razionali, es. diritti umani) come nel caso della relazione uguaglianza/diversità. La questione della responsabilità individuale (in particolare sulla periodicità dei delitti o degli eventi sociali, come i matrimoni o la frequenza scolastica) ha accompagnato l’evoluzione ottocentesca della statistica morale con la quale si è cercato di definire quelle leggi generali del comportamento umano nelle singole società che avrebbero dovuto fornire “tipi” attendibili, e dunque il fondamento etico delle legislazioni, scontrandosi xò con il vincolo della libertà dei singoli. Tuttavia Gabelli (uno dei primi sostenitori dell’uso dei materiali statistici in Italia) spiegava ke la statistica era impotente a chiarire la “chimica sociale”, cioè proprio le motivazioni individuali, e dunque i “tipi” potevano essere solo storicamente individuabili, così come i valori etici di riferimento. L’applicazione delle tesi di Roemer potrebbe somigliare all’uso dei “Qalys” nel modello sanitario detto “modello Oregon” (Qalys=l’unità di misura che colloca il rapporto tra risorse investite e quantità di vita nelle migliori condizioni di salute), vediamo ke esso comporta una semplice economicizzazione del diritto sociale alla salute, x qsto motivo la metodologia dell’autore appare basata su criteri statici e retrospettivi, invece l’uguaglianza non può essere basata sul semplice calcolo razionale. Con l’avvento della new economy, di un nuovo giusnaturalismo economico, si assiste alla crisi della democrazia e del collegato concetto di uguaglianza e cs viene meno la composizione del legame sociale ed anche la natura pubblica e collettiva (solidale) del lavoro. Prima si poteva parlare di “società del lavoro”, ora invece la frammentazione del lavoro, il telelavoro che ne spezza i luoghi sociali, la degradazione dei luoghi di lavoro, le molestie, il mobbing, ecc, sono tutte conseguenze di uno frenato individualismo e del ritorno alla professionalità competitiva nella democrazia contemporanea. In qsto scenario desolante, anche il “critico sociale” (citato da Walzer) è limitato nel suo agire, dato che non riesce + ad effettuare un’opera di verifica dell’ordine sociale con l’ordine morale. Così gli uomini non possono fare altro che convivere con la “mano invisibile” (concetto smithiano) dell’economia che ricompone tutto attraverso il calcolo delle utilità Secondo Capograssi tutto il problema dei rapporti tra etica ed economia è nato proprio dall’aver ridotto l’atto economico a pura attività di tornaconto. Bisogna invece far si che l’economia rispetti l’essere umano e non sia privato della sua interiore eticità, altrimenti non potremmo mai comprendere il significato dell’attività economica nella vita e nel destino degli uomini. CAP.7 SULLE TEORIE DELLA GIUSTIZIA Nella società moderna, l’orizzonte etico sicuro, ricercato con sforzo dal giusnaturalismo, rischia di ridursi nei circoscritti territori che i gruppi dominanti indicano alla scienza, all’economia e alla stessa politica. Su qsta scia, nel 900 si è cercato con insistenza di ritrovare la “stella polare”, un punto di riferimento unitario x orientare l’azione, qual è stata la proclamazione dei diritti umani. Il liberale Ludwig Von Mises, quasi citando un’affermazione di Grozio, ripropone lo spirito del moderno nel suo classico Liberalism in the Classical Tradition dichiarando che i liberali non affermano che Dio e la Natura vollero liberi tutti gli uomini xkè essi non conoscono i loro disegni e vogliono evitare di trascinarli in una disputa sui problemi di qsto mondo, essi affermano che soltanto un sistema basato sulla libertà x tutti i lavoratori è garanzia della massima produttività del lavoro dell’uomo e che esso è pertanto l’interesse di tutti gli abitanti della terra. Noberto Bobbio (studioso dell’evoluzione del giusnaturalismo) evidenzia la difficile relazione tra utilitarismo economico e teoria della giustizia a proposito del giusnaturalismo di Hobbes. Infatti Hobbes x primo ha costruito una teoria della ragione come calcolo delle utilità da cui noi uomini siamo spinti a unirci agli altri attraverso un patto, a costruire la società civile, a porre le condizioni x trasformare le leggi naturali in leggi positive, cioè in leggi vantaggiose xkè efficaci e garanti del valore supremo della pace. Hobbes sostiene che le stesse leggi naturali non sono altro che il prodotto del calcolo delle utilità. Macpherson, circa 20 anni dopo, richiama l’attenzione su Hobbes, definendolo un mercantilista, poiché incoraggia solo la produttività e l’accumulazione del capitale, affidando il compito di tutto questo nelle mani dello Stato. La premessa della dottrina del giusto valore di Hobbes è: il valore di scambio è misurato dagli appetiti di coloro che operano lo scambio. Tuttavia la globalizzazione, non solo ridimensiona il ruolo degli stati storici, ma modifica profondamente le loro forme di socializzazione. Così l’individualismo, cardine della modernità, da un lato fornisce valori di tutela x la persona, quale fondamento della civiltà giuridica, e dall’altro, come ha sottolineato Mac Intyre, ha ridotto il senso della morale a pura volontà di potenza (in riferimento ai fatti cruenti del 20°sec). Bisogna invece ritrovare il senso della storia nell’esperienza comune altrimenti non ci sarebbe + tutela politica e sociale dei diritti di ognuno, ma solo sopraffazione ed oppressione del + forte economicamente. In qsta prospettiva si colloca l’inaspettata rinascita del giusnaturalismo attraverso gli enunciati delle “Teorie economiche della giustizia” tra cui quelle di Rawls e Nozick, differenti tra loro: Rawls (fra i + importanti filosofi morali contemporanei) è d’accordo con gli interventi del Welfare State e ammette un loro ampliamento; Nozick invece sostiene un ritorno allo Stato minimo. Entrambi, xò, sostengono i rapporti fondamentali tra l’economia di mercato capitalistica e i suoi istituti proprietari. Agli inizi degli anni 70, nel suo celebre saggio, Il bene e il giusto, Rawls sostenne che il giudizio etico può essere espresso solo sulla base della condizione finale di giustizia che l’assetto distributivo realizza. Con tale opera ci si sposta, quindi, dalla massimizzazione del benessere sociale alla ricerca di una dottrina dei diritti umani fondamentali →Dall’utilità ai diritti: la giustizia come equità. Secondo Rawls scegliere conformemente a una norma giusta significa scegliere conformemente a 2 principi di giustizia: 1) principio della massimizzazione della libertà= afferma che è preferibile quel sistema capace di garantire a tutti in eguale misura la massima libertà possibile 2) principio della differenza= afferma che l'ineguaglianza va introdotta quando rende migliore la situazione delle persone che stanno relativamente peggio. Rawls si rende conto che gli individui di una società hanno obiettivi e fini diversi; ma proprio per questo ritiene necessario che raggiungano un comune accordo sui criteri di un’equa distribuzione dei beni essenziali. Egli ha avuto il merito di mettere in scena nel suo libro il contesto in cui vengono scelte le regole fondamentali del gioco sociale: immagina una situazione iniziale (posizione originaria) in cui i singoli individui scelgono i principi di giustizia in condizione di assoluta eguaglianza, xkè privi di un certo numero di informazioni relative alla propria condizione futura nella società. La scelta viene, cioè, effettuata sotto "un velo di ignoranza" (x es, nota Rawls, coloro che fossero a conoscenza di essere ricchi potrebbero considerare ingiuste eventuali imposte a scopo assistenziale, mentre coloro che fossero a conoscenza del loro stato di povertà sarebbero molto probabilmente a favore di quelle stesse imposte). Il "velo di ignoranza", quindi, ha il compito di escludere la conoscenza di quei fattori contingenti che porrebbero gli uomini in conflitto tra loro, rendendo impossibile qualsiasi accordo sui princìpi di giustizia. Il "velo di ignoranza" rende eguali le parti nella posizione originaria: infatti, tutti hanno gli stessi diritti nella scelta dei princìpi e ognuno può avanzare proposte razionali da sottoporre al giudizio e all'accordo altrui. Le parti vengono, dunque, presentate come razionali e reciprocamente disinteressate, in quanto nessuno può pensare di avvantaggiarsi dalla scelta di taluni criteri. I princìpi di giustizia che ne scaturiscono sono il risultato di un accordo equo, proprio perché conseguito in una condizione iniziale equa. In questo senso la teoria rawlsiana può legittimamente definirsi una “teoria della giustizia come equità” (giustizia come equità significa che i princìpi di giustizia sono appunto quelli che le persone razionali, preoccupate della propria sorte, sceglierebbero in condizione di eguaglianza iniziale, qualora cioè nessuno fosse avvantaggiato o svantaggiato da contingenze sociali o naturali (velo d'ignoranza). [Rawls attribuisce a Kant l'ispirazione della sua teoria. Come l'etica kantiana è incentrata sulla scelta autonoma di persone razionali, libere ed eguali, così quella di Rawls, grazie al velo di ignoranza, fa discendere la giustizia dall'accordo di persone libere e indipendenti, in quanto non determinate da motivi egoistici e contingenti. Si tratta di un'etica dell'autonomia, che esclude ogni eteronomia morale. Inoltre Rawls proclama che i princìpi di giustizia sono da considerarsi come "imperativi categorici" nel senso kantiano. L'imperativo morale kantiano è categorico proprio perché prescinde da scopi o desideri particolari. A questo punto i riferimenti teorici di Rawls sono chiari: abbandonata la tradizione utilitarista, dominante nell'area anglo-americana, egli si riallaccia, anche se in termini nuovi, al contrattualismo che aveva trovato in Kant il suo momento più alto. C'è, però, da osservare che il neocontrattualismo di Rawls si differenzia dal contrattualismo classico x il fatto che il contratto sociale di Hobbes, Locke, Rousseau, Kant, aveva come fine quello di giustificare razionalmente il potere dello Stato, cioè quel potere che non ammette al di sopra di sé altro potere, non quello di proporre un modello di società giusta, che è al contrario lo scopo della teoria di Rawls]. Tuttavia, lo stesso Rawls ha affermato che è stato un errore fondare una teoria della giustizia come parte di una teoria della scelta razionale, riformulando la sua considerazione sul tema della cooperazione sociale legata ai poteri morali dei singoli. Egli sostiene come 1 giustizia equa parta dall’idea che la società sia un sistema di cooperazione equo e xciò adotta una concezione della persona che sia adatta a qsta idea. Dai tempi della Grecia antica il concetto di persona indicava un essere umano capace di prendere parte o svolgere un ruolo nella vita sociale e xciò di esercitare i suoi diritti e di rispettare i suoi doveri. Qndi persona è il cittadino, cioè un membro della società che coopera x la sua intera esistenza (“intera esistenza” xkè la società è vista come un sistema di cooperazione + o meno completo e autosufficiente). Se consideriamo le persone , da un punto di vista democratico, come libere ed eguali, dobbiamo affermare che esse sono libere grazie ai loro poteri morali legati alla capacità di ragionare, di giudicare, ecc; sono eguali xkè posseggono tali poteri in modo sufficiente x essere membri pienamente cooperanti della società. Ne consegue che le persone in grado di partecipare ad un sistema di cooperazione sociale equo posseggono 2 poteri morali fondamentali: 1) la capacità di avere un senso di giustizia, cioè la capacità di comprendere, applicare o agire sulla base della concezione pubblica della giustizia; 2) la capacità di sviluppare una concezione del bene, cioè la capacità di formarsi, rivedere e razionalmente perseguire una concezione del proprio vantaggio razionale (appunto il bene), dei propri scopi e dei vincoli di lealtà che ci legano ai diversi gruppi e associazioni che generano affetti e devozioni; inoltre dobbiamo includere anche il nostro modo (religioso, filosofico, morale) di concepire il nostro rapporto con il mondo. In qnto cittadini, tutti abbiamo la capacità di essere membri della società e di essere pienamente cooperanti. Alcuni studiosi etico-politici ed etico-sociali hanno ritenuto che il tema della “posizione originaria” abbia riedificato un particolare giusnaturalismo fondato sul ritorno alla fiducia nell’armonia degli interessi e nelle leggi naturali dell’economia. A tal proposito si può tornare a guardare a quel famoso testo sul panettiere, il birraio e il macellaio nel II cap del 1°libro de La ricchezza delle nazioni dell’economista inglese Adam Smith il quale dimostra come, in ambito economico, il libero gioco dell’amor di sé (self-love) e dell’interesse personale origini il bene comune. Bisogna xò ricordare che il tema dell’armonia degli interessi non è nuovo nella storia del pensiero morale, infatti lo ritroviamo a partire da Sant’Agostino e poi molti filosofi hanno sostenuto che da in mondo corrotto dal peccato originale, dalla lotta delle passioni, poteva nascere un ordine umano coerente e armonioso; bisogna quindi rovesciare il giudizio sulle debolezze umane: vedere bianco ciò che si vedeva nero, definire virtù ciò che si chiama vizio. All’opera di Smith (e anche a quella di Rawls) è stata dedicata particolare attenzione da Amartya Sen fornendo una sintesi del rapporto tra etica ed economia, riferendosi appunto alle due opere maggiori di Smith: La ricchezza delle nazioni e Teoria dei sentimenti morali. La ricchezza delle nazioni divenne l’opera economica + importante tanto da far considerare Smith il padre della scienza economica moderna e trae origine da un ramo della Teoria dei sent morali. Secondo Amartya Sen la Teoria dei sentimenti morali è un’opera di morale sociale che esamina le motivazioni degli esseri umani e l’uso della ragione in relazione all’azione. Ma è anche un grande libro di etica, cioè riferito al nostro modo razionale di analizzare la natura del bene e degli stati positivi (la natura delle azioni giuste opposte a quelle ingiuste). Tra le varie questioni morali della vita sociale c’è quella legata al proprio interesse personale e quella dell’amore di sé. Il perseguimento del proprio interesse viene indicato da Smith con la nozione di “prudenza”: il comportamento prudente è mosso dall’interesse personale, ma è messo in atto in modo intelligente ed illuminato. A ciò si collega la simpatia x gli altri xkè, come afferma Smith, saper simpatizzare con gli altri può, nel lungo periodo, risultare utile a noi stessi. Poi ci sono la generosità, lo spirito pubblico, ecc. Tutte qste motivazioni, che gli uomini possono voler coltivare x capire ciò che dovrebbero fare nella società, sono quindi analizzate da Smith sul piano psicologico (xkè ci si comporta così?Qsto sentimento è utile?), sul piano delle motivazioni tattiche (come posso agire?) e sul piano epistemologico (la conoscenza dei fattori che hanno rilievo etico). Dallo studio sugli aspetti morali della vita sociale scaturiscono le idee di Smith sul mettere se stessi nella posizione degli altri, il che naturalmente è fondamentale per assumere una posizione etica nell’ambito della società, da qui il concetto dello “spettatore imparziale”. Quando si vive in una società, con altri, si pone il problema di come i propri interessi si confrontino con quelli degli altri: lo spettatore imparziale si può immaginare come una persona esterna che arriva e osserva quel che sta accadendo, considera le diverse persone coinvolte e i loro interessi. Questo è un modo di introdurre il bisogno di impersonalità, il bisogno di compiere valutazioni morali andando oltre l’interesse personale. Emmanuel Kant, che era un contemporaneo di Smith, propone un modello negoziale, diverso dal modello di arbitrato di Smith: uno spettatore imparziale giunge dall’esterno, osserva le persone e decide cosa si deve fare. Il modello negoziale sviluppato da Kant e molto usato dai filosofi contemporanei, come John Rawls, ipotizza che in una certa occasione la gente si riunisca insieme; il termine che viene usato è “posizione originaria”. Prendendo come riferimento una tale “posizione originaria” ci si chiede, come fa John Rawls, quali regole sceglierebbero queste persone, senza xò prestare attenzione alla posizione che occuperà ogni individuo. Xò la negoziazione è una relazione tra persone già direttamente coinvolte che negoziano x un fine; mentre l’arbitrato coinvolge un personaggio esterno, un arbitro appunto, che non è direttamente coinvolto e che può mettersi nei panni di tutti Spesso il modello dello spettatore imparziale offre dei vantaggi. Abbiamo due esempi: 1. Qndo vi è incertezza su chi deve partecipare alla negoziazione, il modello dello spettatore imparziale funziona meglio del modello della posizione originaria. X es consideriamo le politiche della popolazione, osservando che per loro effetto la dimensione della popolazione sarà diversa: se si segue una politica può accadere di avere una popolazione di x persone, mentre se si segue un’altra politica può accadere di avere una popolazione di x + y persone. Di conseguenza ci si chiede chi deve prendere parte alla decisione nella posizione originaria, solo le prime x persone o anche le altre y persone? Ma le y persone nascerebbero solo se si intraprendesse una delle due politiche. Quindi qual è lo status di questi soggetti; essendo persone potenziali, sono persone reali oppure no? X Smith, invece, entrerebbe in scena uno spettatore imparziale che si porrebbe nella posizione di una delle x persone del 1°caso e di una delle x + y persone del 2°caso, farebbe un confronto e giungerebbe ad una conclusione razionale. 2. Spesso succede che la percezione che la gente ha del proprio interesse sia condizionata molto fortemente dalla società in cui vive. Questo accade, ad esempio, quando si tratta di questioni di genere e di uguaglianza che possono essere così profondamente radicati nella mente delle persone da rendere loro impossibile vedere oltre; tale condizione vizia ogni negoziazione tra le persone. Ciò si verifica specialmente in quelle società dove vi è una lunga tradizione di disuguaglianze sessuali, in cui x es le donne sono in una posizione sociale inferiore. Ma uno spettatore imparziale potrebbe portare una nuova prospettiva in tale contesto non basata solo su quella situazione sociale ma anche su circostanze che potrebbero prevalere in altri paesi. Quello di consentire una prospettiva più ampia appare quindi un vantaggio di cui gode il modello dello spettatore imparziale nei confronti del modello kantiano della “posizione originaria”, che però ha esercitato una maggiore influenza sulla filosofia morale moderna. Robert Nozick, il + noto esponente del libertarismo, nell'opera Anarchia, stato e utopia, ha espresso un punto di vista opposto a quello di Rawls, sostenendo la tesi utopica di una libertà quasi illimitata dell'individuo. N. sostiene una visione radicalmente individualista della vita che comporta la drastica riduzione della sfera di intervento dello Stato negli affari dei cittadini (Stato minimo) e quindi estende alla sfera politico-costituzionale il liberismo propriamente economico Tale “teoria del titolo valido” privilegia dunque l’individuazione di regole capaci di assumere da sole il valore di criteri di giudizio e di valutazione dell’agire economico. Dunque il libertarismo avversa la funzione statale x esaltare l’individualismo assoluto, quale criterio massimo della convivenza. Da qsta ideologia sono sorte molte motivazione che scatenarono gli assalti allo Stato sociale. Diverse invece sono le teorie che si ispirano al comunitarismo (Tylor) il cui 1° bersaglio è Rawls e la sua tesi del primato del giusto sul bene. Nella sua opera maggiore, Le radici dell’io, Taylor condivide la critica di Rawls all’utilitarismo accusato di basarsi su una rappresentazione inadeguata del giusto. Quindi, secondo Rawls, data per scontata l'inevitabile compresenza nelle società moderne di una pluralità di interessi, culture e visioni del mondo, l'unico punto di incontro che è ancora possibile trovare si colloca sul piano della «Giustizia», distinto da quello del «Bene». Alla base della vita collettiva non può stare, in altre parole, un'etica condivisa, ma solo un insieme di regole che garantiscano a ciascun soggetto l’autonomia e il rispetto dei suoi diritti. Il “giusto” è la prospettiva pubblica della cittadinanza; il “bene” è l’utile, è la prospettiva privata di ogni individuo. In qsto modo Rawls sembra riproporre l’antica bipartizione tra pubblico e privato: alla prospettiva privata del bene possiamo accedere quando affrontiamo le scelte ad esempio di carattere religioso o filosofico; alla prospettiva del giusto dobbiamo accedere invece quando affrontiamo questioni di interesse pubblico (xes la risoluzione dei dilemmi della bioetica contemporanea o le questioni che riguardano la politica dell’istruzione). Invece x Taylor il bene non può essere interpretato semplicemente come espressione di una visione ideologica o religiosa e la moralità non si riferisce soltanto gli obblighi e le regole pubbliche. Da tutto ciò consegue che, all’interno del dibattito seguito alla rinascita della filosofia pratica, ispirandosi i liberali all’etica kantiana ed i comunitaristi all’etica aristotelica, i neo-kantiani accentuerebbero l’aspetto del bene ed i neo-aristotelici quello del giusto, riducendo il confronto alla dicotomia tra privato e pubblico e tra etica individuale ed etica comunitaria. Infine, in qsto dibattito tra liberali e comunitaristi, appare appropriata la valutazione di Dahrendorf secondo il quale fin dagli anni 70 molti autori si sono concentrati sulle contraddizioni della modernità concludendo che oggi si ha necessità di una nuova etica sociale. L’umanità è alla ricerca di quella stella polare attraverso cui la vita sociale e il comportamento dei singoli può ottenere una valutazione morale.