Il fondaco dei turchi

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UniversitàdegliStudidiCagliari
FacoltàdiIngegneriaeArchitettura
A.A 2013-2014
Il fondaco dei turchi
Comparazione fra i restauri effettuati
dall’Arch. federico Berchet
e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura
Teoria e Storia del Restauro
Studente: Piludu Marco N. Matr.47046
Docente prof. arch. Caterina GIANNATTASIO
Tutor: Valentina PINTUS/Maria Serena PIRISINO
IL FONDACO DEI TURCHI
Comparazione fra i restauri effettuati dall’Arch. Federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
In copertina
Tanarkoburger - Il Fondaco dei Turchi
Indice
Introduzione
1. Lo stato attuale dei luoghi
pag. 9
pag. 13
2. Il contesto storico-urbanistico:
pag. 21
3. La storia della fabbrica
pag. 25
4. La storia dei restauri
pag. 31
1.1.
1.2.
Localizzazione
Descrizione della fabbrica
1.2.1.
I caratteri tipologici del Fondaco dei Turchi
1.2.2.
Il palazzo veneziano
1.2.3.
Definizione di fondaco
1.3.
La destinazione attuale
1.3.1.
Gli ambienti del Museo
1.3.1.1.
Piano terra
1.3.1.2.
Piano ammezzato
1.3.1.3.
Primo piano
2.1.
Il contesto urbanistico: Venezia
2.1.1.
La suddivisione della città in sestieri
2.1.2.
Il sestiere di Santa Croce
2.1.3.
La suddivisione dei sestieri in insule
2.1.4.
L’insula di San Giacomo dell’Orio
2.2.
La storia del Fondaco ed i suoi abitanti
3.1.
3.2.
3.3.
“Il Fondaco dei Turchi in Venezia”: introduzione di Agostino Sagredo
La costruzione
Il restauro di Federico Berchet
3.3.1.
Criteri guida del restauro e sue finalità
3.3.2.
La destinazione d’uso
3.4.
Il restauro di Eugenio Vassallo
3.4.1.
Finalità del restauro
3.4.2.
La destinazione d’uso
4.1.
Storia del restauro di Federico Berchet
4.1.1.
Lo stato dei luoghi dell’epoca
4.1.2.
Obiettivo dell’intervento
4.1.3.
La distribuzione degli spazi
4.1.4.
I caratteri costruttivi
4.1.5.
L’esecuzione
4.2.
Il restauro di Eugenio Vassallo
4.2.1.
Obiettivo dell’intervento
4.2.2.
Il progetto di restauro
4.2.2.1.
Il programma della committenza
4.2.2.2.
Traduzione del programma in linee guida progettuali
4.2.2.3.
L’analisi diretta ed il rapporto preliminare
4.2.2.4.
La documentazione storica
pag. 13
pag. 13
pag. 13
pag. 13
pag. 17
pag. 17
pag. 17
pag. 17
pag. 17
pag. 18
pag. 21
pag. 22
pag. 22
pag. 23
pag. 24
pag. 24
pag. 25
pag. 25
pag. 26
pag. 27
pag. 28
pag. 28
pag. 28
pag. 29
pag. 31
pag. 31
pag. 33
pag. 33
pag. 34
pag. 34
pag. 34
pag. 34
pag. 35
pag. 35
pag. 35
pag. 35
pag. 36
4.2.2.5.
Il rilievo geometrico
4.2.2.6.
Il rilievo dei particolari costruttivi
4.2.2.7.
Le indagini tecniche (analisi strumentale)
4.2.2.8.
Valutazione degli elementi acquisiti
4.2.3.
La proposta d’intervento
4.2.3.1.
Aspetti distributivi e costruttivi
4.2.3.2.
Gli impianti
4.2.4.
L’esecuzione dell’intervento
pag. 36
pag. 36
pag. 36
pag. 37
pag. 37
pag. 37
pag. 38
pag. 38
5. Conclusioni
pag. 39
6. Biografia di Eugenio Vassallo
pag. 41
7. Bibliografia
pag. 43
5.1.
5.2.
7.1.
Analisi critica
Inquadramento degli interventi nell’ambito della teoria del restauro
Bibliografia specifica
7.1.1.
Testi cartacei di riferimento
7.1.2.
Siti internet parti testuali
7.1.3.
Siti internet immagini
Allegati grafici
Stato dei luoghi anteriore al progetto di Federico Berchet
Progetto di Federico Berchet
Rilievo di Eugenio Vassallo
Progetto di Eugenio Vassallo
pag. 39
pag. 39
pag. 43
pag. 43
pag. 43
pag. 43
Fondaco dei Turchi
Comparazione fra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
Fondaco dei Turchi
Comparazione fra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
Introduzione
Nella presente ricerca si effettua la comparazione tra il progetto
di massima per le opere di conservazione e restauro del Fondaco
dei Turchi, sede del Museo civico di storia naturale di Venezia,
elaborato per conto dell’Amministrazione comunale da parte
dell’Prof. Arch. Eugenio Vassallo, ed il progetto di restauro
effettuato nel XIX secolo dall’architetto veneziano Federico
Berchet.
Il Fondaco dei Turchi, è stato oggetto di una integrale
ricostruzione realizzata fra il 1862 ed il 1880 su progetto del
Berchet: stiamo parlando di “ricostruzione” e non di “restauro” in
quanto tale intervento è stato oggetto di un ampio dibattito che
si è sviluppato negli ultimi trent’anni sia dal punto di vista della
valutazione della sua qualità intrinseca, sia dal punto di vista
della sua possibile classificazione nell’ambito della storia e della
teoria del restauro. In particolare il Boscarino in un suo articolo
dall’emblematico titolo “Il cosiddetto restauro del Fondaco dei
Turchi a Venezia”, ha definito l’intervento” del Berchet come
“malinteso senso del restauro” (1986); tuttavia proprio questo
tipo di critica ha permesso di stimolare il dibattito sull’opera e
di conseguenza di inserirla a pieno titolo negli studi di storia del
restauro (Lugato, 1987).
La necessità di tale comparazione si basa sul presupposto che la
reale finalità della presente ricerca, che dovrebbe essere quella
di descrivere esclusivamente l’intervento proposto dal Vassallo (il
tema proposto dal Corso di Teoria e Storia del Restauro infatti si
dovrebbe occupare precipuamente di questo), considera questo
come conseguenza dell’intervento del Berchet. Per soddisfare
quindi tale necessità si prendono in considerazione in maniera
contestuale gli studi storici ed artistici compiuti rispettivamente da
Agostino Sagredo che dallo stesso Berchet.
Infatti, come ci insegna la moderna Storia dell’Architettura, di
cui la Storia del Restauro è una parte, lo studio di una fabbrica
oggetto di qualunque tipo di intervento e (quindi deduttivamente
anche di restauro) è uno studio essenzialmente critico che ha una
Fig.1
9
Fig.1. Il Fondaco dei Turchi
Veduta frontale dal Canal Grande
Fondaco dei Turchi
Comparazione tra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
duplice finalità: sia di approfondimento teorico, per comprendere
al meglio attraverso di essa l’ambiente che ci circonda, che,
soprattutto di tipo operativo, nel momento in cui dovessimo
operare sulla medesima fabbrica.
Del resto lo stesso Vassallo oltreché progettista di interventi di
restauro, è precipuamente uno studioso della materia, e pertanto
sarebbe stato impossibile non ritenere che alla base della sua
proposta d’intervento non ci sia, oltre ad un approfondito studio
della fabbrica dal punto di vista della fisicità dei luoghi, anche
quello di acquisire riguardo ad esso la massima quantità di
informazioni possibili, di selezionarle e di gerarchizzarle in base
alle proprie conoscenze sulla materia del Restauro, derivare da
esse l’”idea forte” sulla modalità d’intervento, e di conseguenza
operare sulla base di essa.
Il progetto in oggetto è stato abbondantemente descritto
nell’opera di Giovanni Carbonara, Trattato di Restauro
che viene descritto da costui nel Carbonara, quanto alla più
importante delle opere presenti in tale bibliografia “BERCHET
F., SAGREDO A., 1860, Il Fondaco dei Turchi in Venezia, Civelli,
Milano.”, ripubblicata in copia anastatica dalla casa editrice Nabu
Press.
Architettonico, UTET, nella quale l’autore ha fatto intervenire
direttamente il Vassallo, il quale, oltreché illustrare in dettaglio la
propria proposta d’intervento, ha fatto ricorso ad un abbondante
numero di illustrazioni, attuali e storiche, chiosando la descrizione
dell’opera attraverso il ricorso ad una ricca bibliografia.
Pertanto, per comprendere ancor meglio l’intenzione progettuale
del Vassallo la presente ricerca farà riferimento tanto a ciò
Quanto verrà esposto costituisce il percorso seguito per la
redazione del progetto di massima comprendendo in esso,
come è stato, il lavoro di progettazione ed esecuzione delle
indagini tecniche. Una descrizione nella quale verranno illustrate
insieme alle scelte di progetto per il restauro, quelle operate per
la definizione delle modalità con cui redigere il progetto stesso,
cercando così di evidenziare insieme gli aspetti metodologici e gli
....................................................
(Premessa Prof. Arch. Eugenio Vassallo sul G.Carbonara,
Trattato del Restauro Architettonico, UTET, 1996). “L’incarico
affidatoci prevedeva una progettazione articolata in due fasi
— progetto di massima e progetto esecutivo — ed assicurava,
precipuamente nella prima fase, la disponibilità di una somma
per effettuare quelle “indagini tecniche” che il progettista avesse
ritenuto indispensabili per disporre di un quadro di conoscenza
appropriato sul quale fondare le proprie scelte operative.
Fig.2
10
Fig.2 Venezia
Veduta aerea del tessuto edilizio intorno al Fondaco
Fondaco dei Turchi
Comparazione fra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
elementi contingenti. Quello che si descriverà è dunque un lavoro
professionale che è stato svolto, e si continuerà a svolgere nelle
fasi successive (l’opera del Carbonara è del 1996 n.d.r.), nella
consapevolezza che un restauro è sempre occasione per una
avventura intellettuale, perché azione complessa mai riducibile a
qualcosa di semplicemente burocratico o professionalistico.
Acquisizione questa che cercheremo di rispecchiare nelle pagine
seguenti (del Carbonara) evitando di limitare l’esposizione ad una
cronaca dei fatti e discutendo piuttosto di fondamenti e prospettive
del nostro lavoro; dando conto dell’approccio metodologico
assunto attraverso riferimenti al dibattito attuale; verificando le
talune scelte (…)
[E. Vassallo]
....................................................
Come si può notare, il Vassallo, al momento di operare, valuta
il singolo intervento sia dal punto di vista dell’inserimento dello
stesso nell’ambito di una ben definita collocazione al dibattito
sul tema del restauro (approccio metodologico) che dal punto di
vista dell’operatività contingente. È questo il tipico atteggiamento
di chi opera nel mondo reale con la forma mentis del teorico
dell’argomento.
Fig.3
11
questioni di principio, misurandone l’incidenza e valutandone gli
effetti nella prassi. Vogliamo così, ancora una volta, accogliere e
rilanciare l’invito “ad agire con sempre maggiore coscienza in una
continua dialettica fra momento operativo e momento speculativo
unica garanzia all’elevarsi del livello di entrambi” (Carbonara,
1978).(…)
[E. Vassallo]
finalita’ del restauro
(…)Prima descrivere il percorso progettuale messo a punto e
seguito sarà bene sottolineare due elementi che consideriamo
particolarmente significativi e che rendono interessante la vicenda
che ci accingiamo ad illustrare. Innanzitutto a motivare l’esigenza
di progettare un intervento al Fondaco dei Turchi non è stata una
condizione di dissesto che abbia generato una impraticabilità del
monumento, né la necessità o volontà di modificarne l’uso attuale,
bensì quella, da un lato, di far fronte per tempo al diffuso stato
di degrado della fabbrica e, dall’altro, di adeguare l’insufficiente
situazione impiantistica al rispetto delle normative ed alle
esigenze della vita contemporanea. Motivazioni, queste, che non
poco hanno influito, come vedremo più avanti, nell’assunzione di
Fig.3. Il Fondaco dei Turchi
Veduta di scorcio dal Canal Grande
Fondaco dei Turchi
Comparazione fra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
1. Lo stato attuale dei luoghi
1.1. Localizzazione
Il Fondaco (o Fontego) dei Turchi è un palazzo in stile venetobizantino sul Canal Grande, sede oggi del Museo civico di
Storia Naturale di Venezia.
Questo palazzo è uno dei più antichi della città. Fu infatti
edificato nel 1227 ma completamente ricostruito tra il 1858 e il
1869, basandosi però sulla tipologia architettonica dell’edificio
precedente e utilizzandone gli stessi materiali.
Fig.4
facciata principale, come detto, affaccia sul Canal Grande, ed è
ha un prospetto simmetrico e ritmico a portico, con due pseudotorri, in corrispondenza degli angoli, anch’esse di tre piani fuori
terra, aventi copertura a padiglione. Il portico è caratterizzato
da dieci arcate a tutto sesto con colonne circolari. Il primo piano
presenta un balcone chiuso su tre lati e comprende interamente la
distanza tra le due pseudo-torri. Esso è caratterizzato da diciotto
arcate a tutto sesto con colonnine a sezione circolare.
La profondità del portico e del balcone è pari alla metà della
larghezza della sezione della fabbrica.
Sovrastante ad esso, Il secondo piano presenta
una copertura a tetto con linea di colmo
parallela al prospetto principale parzialmente
occlusa da una sequenza di nove timpani.
La facciata destra (volgendo le spalle al
palazzo), affaccia sul Rio Megio, e si alza
anch’essa su tre piani. Presenta una copertura
a tetto a due falde con linea di gronda parallela
al Rio Megio.
La corte interna è caratterizzata al piano terra
da un loggiato su tre lati, mentre il quarto lato,
retrostante al portico esterno, presenta è a
parete.
In realtà la suddivisione verticale degli spazi
interni non corrisponde a ciò che si può notare
osservando la facciata. Infatti tra il piano
terra ed il primo piano è presente un piano
ammezzato.
Esso è situato nel Sestiere di Santa Croce, all’interno dell’Insula
di San Giacomo dell’Orio accanto al Fontego del Megio e di fronte
alla chiesa di San Marcuola di Cannaregio.
Il palazzo deve il nome di Fondaco dei Turchi in quanto per lungo
tempo nella storia di Venezia era destinato ad essere utilizzato
come abitazione dai mercanti turchi. Il fatto che al suo interno
dovessero dimorare degli stranieri, comportò, come vedremo,
delle conseguenze, anche dal punto di vista architettonico, in
relazione ai rapporti che essi dovevano avere con il resto della
città.
1.2. Descrizione della fabbrica
1.2.1. I caratteri tipologici del fondaco
deei turchi
Il palazzo è un edificio a tre piani fuori terra con corte interna. La
Fig.4. Il Fondaco dei Turchi
Veduta dalla riva opposta del Canal Grande
Approfondiamo ora le tematiche del palazzo veneziano e del
fondaco in generale.
1.2.2. Il palazzo veneziano
I documenti che cominciano a riferire, nell’XI secolo, su denominazioni e caratteri dell’edilizia civile di una città in fieri, che non si
chiama nemmeno Venezia, ma Civitas Rivoalti, forniscono con progressiva abbondanza termini insignificanti, o difficili da significare:
troviamo p.e. la casa (o domus) maior, o magna, e minor, la casa
(o domus) a statio, e la domus de segentibus, o domus a statio
cum segentibus: analogamente può essere specificato l’edificium
(maius, minus); se si tratta di botteghe, incontriamo stationes o uno
stationum ordo, e una consimile serie costruttiva modulare è conosciuta come ruga domorum, o ruga domorum de segentibus; più
genericamente un edificio viene chiamato opus fabrica, laborerium,
structura, particolarmente quando si presenti con caratteri di provvisorietà o di rustico, e mansione nell’accezione arcaica (compren-
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Fondaco dei Turchi
Comparazione tra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
siva anche del concetto di abitazione-laboratorio), ancora peraltro
nell’uso nel 1008, quando per la penna di Giovanni diacono serve
ad indicare la tessitura edilizia del centro marciano di trent’anni
prima.
14
Questo lessico configura fasi, qualificazioni originarie, funzioni
dell’edilizia che si va facendo a Venezia mentre la città comincia a
configurarsi, fra i secoli XI e XII. Non troviamo “palazzi”, non troviamo “case-fondaco”.
Gli antenati dei palazzi sono dunque nascosti in quella nomenclatura: sono le domus maiores, o magnae, della nobiltà mercantile,
perché nessuno, prima del secolo XIII (e anche più tardi, fino al XV)
avrebbe potuto osare di chiamare palatium la propria dimora.
Palatium, coerentemente con l’uso antico, può essere solo quello
del potere. Il palatium domini ducis ubicato nel palazzo ducale ove
sono ora gli appartamenti dogali, è attestato da numerosi diplomi
fin dalla fine del secolo IX, per la fondazione di Agnello Particiaco
all’interno di un precedente castellum bizantino; ad esso si aggiungono, alla fine del secolo XII, il palatium ad jus reddendum, e, subito dopo, il palatium commune: due fabbriche estroflesse fuori dalle
muraglie castrensi, non più con facciate sulla curtis, ma sui liberi
spazi della città nascente. Palatium è anche eccezionalmente in
quegli stessi anni la sede veneziana di nuova costruzione a S.Silvestro del patriarca di Grado, e la sede del vescovo di Castello, per
ovvia imitazione del potere ecclesiastico da quello politico.
Ma se il palatium fino al XII secolo è non solo unico, ma altresì
ricompreso all’interno di un castellum e legato a una curtis (sia nel
senso tipologico, sia in quello giuridico), può esso essere concepito come elemento creativo di tipologia urbana, costituito com’è,
all’opposto, come unicum extraurbano, preurbano, e addirittura antiurbano.
Possiamo ritenere che, in vario modo, la prima edilizia petrinea
veneziana abbia fruito sia di alcuni aspetti della tipologia castrense,
sia del modello più semplice delle fabbriche ecclesiastiche, nelle
quali si associavano tradizioni aquileiesi e ravennati.
Per quanto riguarda il primo influsso, si può notare che i caratteri icnografici propri degli edifici maggiori pervenutici (o figurativamente
conservatrici), quali le Procuratie vecchie e il Fondaco dei Turchi
(già casa di Palmieri da Pesaro, ricostruito nel 1860), conservando
o dimettendo strutture ad aggetto o a pseudo-torre angolari, utilizzano esternamente una lunga “linea continua” di facciata, che
viene realizzata a portico e loggia.
Questa soluzione formalistica si rese possibile forse perché già
nel reimpiego dello scheletro castrense dell’insediamento palatino
divenuto comunale gli operatori dovettero associare il tema della
creazione di un portico sostenente una loggia a una preesistente
muraglia difensiva, adattando la nuova partitura aperta sull’esterno
come rivestimento certo imprevedibile di un antico edificio chiuso,
il quale perciò diveniva sostegno neutro di una nuova articolazione.
Ma la grandissima parte delle domus magnae veneziane non eb-
bero una preponderanza longitudinale di facciata, come gli edifici
richiamati. Le loro dimensioni più usuali, riconoscibili anche in edifici modificati in superficie fra il Quattrocento e il Settecento, equivalgono a piedi romani 60x90, pressoché corrispondenti a piedi veneti
50x75 , dove un lato corto funge da facciata, talvolta escludendo
in larghezza due, una o mezza calli laterali. E si deve notare che
quelle misure sono le più ricorrenti anche nell’icnografia originaria
delle chiese veneziane più antiche.
L’edificio petrineo di questa età imita in effetti - ecco il secondo
modello - la fabbrica ecclesiastica, così come era stata tramandata
dalla tradizione ravennate e tardoesarcale: un rettangolo, con i due
lati brevi (i capita) rispettivamente sul Canale (o su un rio o una
piscina) e sulla corte retrostante, diviso longitudinalmente in tre
‘navi’. Quella centrale, che è leggermente più larga delle laterali e
attraversa l’intero edificio, è detta al piano terra anditus, o andedo,
e anche porticus, il nome che sarà assunto dal grande vano corrispondente al piano superiore.
Nelle ‘navi’ laterali la fabbrica si suddivide al piano terreno in magazzini (più tardi anche con ammezzati), e al piano nobile in hospicia, camere comunicanti col “portego”. Si noti che il termine porticus cela un possibile equivoco, poiché costituisce in origine il piano
terra di un corpo di fabbrica aggiunto in facciata, come il porticale a
una chiesa, a coprire tutta la larghezza dell’edificio, sostenendo al
primo piano una loggia.
Negli esempi più antichi esso risulta ancora coperto con travi perpendicolari alla facciata, sì che si costituisce nella trama del solaio
(e talvolta anche nei muri interni) una forma a T (“a crozzola”).
I solaria sono infatti realizzati con travi tese fra i muri longitudinali
esterni e quelli interni, fatta eccezione per il caso suddetto.
Sebbene non manchi evidenza di qualche struttura a volta, la generalità degli edifici veneziani dei secolo XII-XIII si avvale di un solarium ligneo per le coperture. Si tratta di un piano coerente con un
elastico modello “a gabbia”, sostenente il terracium e sovrapposto
alle trabes incastrate nei muri; questi ultimi diminuiscono progressivamente di spessore - da due piedi romani (cm 59) a un piede veneto (cm 35) - avvalendosi talvolta di qualche arco di scarico, e più
spesso di travi (tressa, rema) inserite nel tessuto laterizio: il tutto
ripete per più aspetti la pratica delle “catene” lignee, che ingabbiano a vista fra navate e colonne molte chiese veneziane e bizantine.
Il tessuto murario, che divenne frequente nel secolo XII, e prevalente solo verso il Duecento, fu dunque relativamente sottile,
contesto assai spesso di vecchi laterizi reimpiegati, e solo con la
piena maturazione del processo formativo cominciò a dotarsi di organiche profilature, cornici, archi e pilastri in pietra d’Istria, o, più
raramente, in marmo bianco, rosa o rosso di Verona. I lapicidi di
quell’area introdussero in città, a partire dal cadente secolo XII, i
loro capitelli a cubo scantonato, con accenno più o meno evidente
di stilizzata forma angolare, ereditati da forme ottoniane diffusesi
Fondaco dei Turchi
Comparazione fra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
attorno al 1000, che sono documentati in situ per esempio nel chiostro del monastero dei SS. Filippo e Giacomo (ora S.Apollonia), e
in quello muranese (di S.Cipriano?) dietro palazzo da Mula, e che
risultano perfettamente leggibili anche nelle procuratie dipinte nel
citato telero di Gentile Bellini. Quel modello, su colonna non rastremata e priva di entasi, associandosi con arco a tutto sesto o a sesto
rialzato, composto in laterizio con bardellone o con toro marmoreo
e fregio plasticamente lavorato, realizzò la forma decorativa laica
e semplificata - contrapposta al capitello classico rinato nel cantiere contariniano di S.Marco nell’XI secolo - di una lunga stagione
dell’edilizia veneziana, fino al sopravvenire del gotico trecentesco.
Dal punto di vista funzionale, fino almeno al secolo XIV, il piano terra ospitò insieme con la corte retrostante depositi, laboratori e servizi, e accolse in fronte e dalla fronte il carico di merce direttamente
dalla nave, mediante lo junctorium (l’approdo) “ad naves jungendas” e una ripa gradata (e talvolta una cavanna che, per un arco
aperto sull’acqua, introduceva addirittura un’imbarcazione in casa),
potendo ivi egualmente smistarlo su imbarcazioni leggere per la
Fig.5
sua distribuzione su differenti mercati in città e nell’entroterra. Le
notevoli dimensioni in altezza e larghezza dell’anditus, il numero
e l’ampiezza degli accessi a portico dalla ripa gradata e dall’junctorium, la funzionalità di congiungimento immediato con la calle
laterale all’edificio, la presenza di “mezadi de subtus” (ammezzati
inferiori) collocati lateralmente fra il piano terra e il piano nobile (i
quali evolveranno in una fase di transizione, apparendo con finestre anche in facciata), sono elementi qualificanti non secondari,
variamente impiegati caso per caso secondo gli ambiti operativi
delle famiglie; essi peraltro cominceranno a diminuire la loro capacità di condizionamento fra la fine del Duecento e il Trecento,
segnando in maniera decisiva lo svolgimento più formalistico della
facciata palaziale gotica.
Fig.5. Palazzo Ducale
Veduta assonometrica dello stato dei luoghi dell XII secolo
La casa costruita da Giovanni Aurio nel 1069 sul terreno a concessione trentennale del monastero di S.Benetto confinante con la
calle omonima, è “unam mansionem ligneam in qua sunt duo solarii et una porticus per latitudinem ipsius mansionis constructa”, un
organismo dunque - benché ligneo - già adulto, eccezionalmente
con due piani oltre il terreno, con portico su tutta la fronte lungo il
Canale. Anche il portico della casa impegnata da Domenico Caput
in Collo nel 1086 percorre la fronte lungo il rivo de Curte (rio di palazzo), in confinio di S.Zulian.
E similmente Beltrame e Marco Longo, spartendo nel 1167 con il
nipote Matteo la proprietà in cui risiedono in confinio di S.Cassiano, dividono a metà anche il portico che la fronteggia lungo il rivus
Saponario (attualmente della Pergola).
Gli edifici del XIII secolo a noi noti (da ca’ da Mosto a ca’ Barzizza,
da ca’ Donà a ca’ Businello, da ca’ Farsetti a ca’ Loredan) sono i
diretti eredi di quelle case documentate dalle fonti.
La specificità delle soluzioni impiegate nelle loro facciate, nell’ambito di un gusto sottile della variazione chiaroscurale, più volte riconosciuto come linguaggio esclusivo dell’arte veneziana, e particolarmente illuminato dai lavori di Sergio Bettini, non può nascondere
la proprietà autenticamente architettonica (concepita in analogia
con i porticati e le logge - certo più grevi - dell’entroterra romanico)
di quelle prime creazioni, che poterono sembrare “architettura negativa”, se non addirittura negazioni dell’architettura.
Seppure spesso non coordinati fra loro, i colonnati dei portici e
quelli delle logge che si sono conservati (e probabilmente anche
quelli solo documentati per esempio dal De’ Barbari) sono spesso
vere strutture, costitutivamente rispondenti alla logica del nesso trilitico, e non finti paramenti di spazi inautonomi. L’ispirazione monumentale più prossima per questo conseguimento non fu S.Marco,
la cui connessione strutturale, a prescindere dal disegno “greco”,
era troppo arcaica, e fra l’altro veniva nel corso del XIII secolo sistematicamente nascosta da una cortina di colonne e di marmi;
fu forse nei palatia costruiti a partire dall’età di Sebastiano Ziani
(1172-1178); fu con sicurezza negli esiti cui pervenne nel giro absidale esterno la nuova fabbrica dei SS. Maria e Donato di Murano,
peraltro non isolata se, oltre a S.Fosca di Torcello, le stesse absidi
di S.Polo e di S.Salvador sembrano nel disegno del De’ Barbari
aver moltiplicato le esperienze di quella partitura ad archi sovrapposti, in cui leggerezza e forza si sposavano con esito singolare.
Quando, nei secoli seguenti, gli edifici vennero sopraelevati, con il
carico di un secondo piano nobile e, spesso, di un ulteriore piccolo
loggiato destinato a chiudersi come “mezadi de sora” (ammezzati
superiori), quelle strutture trasparenti, pur duramente messe alla
prova, hanno spesso resistito, giungendo fino a noi. Se si presentavano come preziosi trafori, esse erano organizzate con materiali,
tagli, misure e rapporti destinati a durare, e a portare se stessi e
l’ordine superiore.
E’ il processo successivo, estesosi soprattutto in età gotica, quello
che determina un progressivo impoverimento della struttura porti-
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Fondaco dei Turchi
Comparazione tra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
cus-laubia, sia con lo schema della “linea contratta” che alla loggia
a “linea continua” sostituisce la polifora, sia con la scomparsa del
portico. La struttura a piano terra aperta e coperta trasmette infatti
il proprio nome come portico passante alla sala centrale del piano
nobile quando nell’edificio gotico - espulse le attività mercantili - diviene sufficiente una sola porta sull’acqua, mentre lo stesso anditus, ormai inutile nel suo dimensionamento, tende ad assumere il
nome di “portego”. Questa trasformazione fa venir meno l’autonomia del frammento residuo della loggia, che nelle nuove fabbriche
è pericolosamente privata del murus retrostante, di cui costituiva
proiezione e corrispondenza, e conseguentemente della travatura
perpendicolare, sicché il colonnato, già gabbia portante, diviene
transenna portata, mentre l’ordine architettonico si riduce a ricamo plastico. La polifora rimane così stesura ottica bidimensionale,
laddove la loggia (e a maggior ragione il portico sottostante) era
invece concepita e praticata come spazio tridimensionale e di alta
specificazione strutturale, funzionale e formale: il passaggio, a ben
vedere, è fra un ambiente vissuto e una cornice di contemplazione.
16
oreficeria, etc. di analoga origine. Con esse, una scultura veneziana di tipo nuovo, legata a partire dal tardo XI secolo a mode esecutive diverse (stile del cantiere contariniano di S.Marco, spesso di
raffinata imitazione orientale; maniere recate dai lapicidi veronesi;
linguaggio romanico-padano del primo arcone centrale di S.Marco,
etc.), dette qualche risalto plastico alla decorazione di significato
eminentemente cromatico che veniva ricercata su quel panorama
inedito di pareti lignee e laterizie giallo-rosa (spesso di riuso) che
si affacciavano sul Canale e sui rivi. Alle patere si associarono del
resto fin dall’inizio sulle facciate croci decorate con sottili racemi
fogliacei, mentre nelle corti retrostanti vere da pozzo di spesso raffinata fattura, incise a porticato cieco con fitomorfismi di educazione postcontariniana, o a capitello con grandi elementi fogliacei
angolari, recavano una nota di gentilezza fra le modestissime case
monopiano e monolocale abituali al lavoro e al riposo dei servi (domus de segentes).
Fig.6
Un percorso in parte più autonomo sembra sia stato effettuato dalla
plastica decorativa che fin dall’XI secolo si può ritenere incorporata
nelle prime fabbriche civili petrinee. In essa sono talvolta identificabili motivi propri del lessico venetico dei secoli precedenti, tributario
come si è visto della cultura dell’entroterra, ma soprattutto modelli
di carattere fitomorfico di grande semplicità, o sequenze di fioroni
clipeati, o decorazioni a girale abitato di progressiva variazione repertoriale.
Questo tipo di lavorazioni appare a Venezia usato particolarmente
per cornici marcapiano e archi di portali a tutto sesto, mentre per gli
stipiti più prestigiosi, a partire da S.Marco, si preferisce la struttura
mistilinea a tori, listelli, gradini e scozie, di chiara ispirazione orientale. La tecnica non escluse inizialmente la terracotta, per assumere subito dopo la pietra d’Istria, per fasce decorate alte tre palmi o
un piede, e di spessore assai modesto, che venivano dipinte.
Successivamente, questi fregi furono integrati con un toro rilevato
in marmo rosso veronese, o con minori cornici a palmetta, e infine
(XIII secolo) con un dentello doppio che diventò costitutivo della
plastica architettonica veneziana fino all’ingresso del gotico.
Di grande interesse in quest’ambito appaiono anche le patere, dischi marmorei lavorati con soggetto quasi sempre animalistico e
significato apotropaico, talvolta a traforo, in genere del diametro
di un piede, un cospicuo numero dei quali sussiste ancora sulle
facciate degli edifici residenziali, ove hanno conservato talvolta la
primitiva ubicazione (nelle spandrille delle polifore, p.e., o sopra la
chiave di volta degli archi, o ai lati dei portali). Dal punto di vista
iconologico, sembra certa la loro derivazione dai clipei con animali, singoli, in combattimento, o in coppia speculare, rappresentati
soprattutto nelle stoffe di produzione costantinopolitana o microasiatica ispirate a modelli sasanidi, e in altri oggetti di ceramica,
Fig.6. Patera
Più tardi nel Duecento le formelle verticali ad arco inflesso prodotte
fino al XIV secolo, o le protomi angeliche scolpite a tutto tondo chiamate a cristiana protezione delle case, o gli stemmi familiari appesi
sui limiti degli edifici ad affermarne orgogliosamente l’identità, o i
pilastri angolari ad archeggiature cieche di robusta fattura o segnati
da croci di monito confinario: simboli questi ultimi di una stagione
che vide il passaggio della struttura urbana dal legno al mattone e
alla pietra, nella quale appariva ancora necessario affermare con
segnacoli di classico sapore i confini delle proprietà familiari.
Solo nel XIII secolo qualche famiglia dogale introduce lentamente
l’uso di palacium per la propria edilizia privata.(…)
L’assunzione sistematica e accentuata nell’edilizia civile dall’inizio
del XIII secolo dell’arco a sesto continuato (rialzato su piedritti) fa
Fondaco dei Turchi
Comparazione fra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
nuovo riferimento alla cultura bizantina, dalla quale esso è conosciuto e impiegato almeno dal VI secolo (S.Irene di Costantinopoli,
Qasr-Ibn-Wardan in Siria); esso penetra precedentemente in Venezia solo con le fabbriche ecclesiastiche, da S.Marco a Murano
a S.Fosca di Torcello, e quasi mai nell’ambito delle loro parti più
nettamente romaniche
Dal 1923 l’edificio è quindi sede del Museo di Storia Naturale di
Venezia.
A seguito di complessi restauri dell’intero palazzo, conclusi nel
2011, l’intero percorso Museale è stato rinnovato ed aperto al pubblico con 16 nuove sale, un nuovo giardino ed una nuova area
ingresso.
1.2.3. Definizione di fondaco
1.3.1. Gli ambienti del Museo
Il fondaco[1] (pron. fóndaco, dal greco πάνδοκος[][2], albergo,
attraverso l’arabo: funduq, letteralmente “casa-magazzino”) e un
edificio (o un complesso di edifici) di origine medievale, che nelle
citta di mare svolgeva funzioni di magazzino e, spesso, anche di
alloggio per i mercanti stranieri. Solitamente si trattava di un locale
sito al pianterreno o nel seminterrato.
Le dimensioni erano variabili, ma solitamente il fondaco era caratterizzato da un’altezza poco pronunciata.
I fondaci erano diffusi nelle citta del bacino del Mediterraneo come
Genova, Napoli e Venezia.
La presenza di propri fondaci (intesi come insieme di edifici adibiti
al commercio e all’ospitalità dei propri connazionali) nei più importanti porti mediterranei e ritenuta una delle caratteristiche fondamentali per definire una citta repubblica marinara. Venezia, Genova, Pisa, Amalfi, Ragusa, Ancona avevano infatti nel Medioevo
fondaci a Costantinopoli, Alessandria d’Egitto e negli altri centri di
commercio marittimo. Un fondaco poteva raggiungere la grandezza di un quartiere, dove generalmente era presente una chiesa o
un ospizio (e in certi casi anche delle terme), ed era governato da
un balivo, il quale era giudice della controversie economiche.
A Venezia sono ancora presenti vari fondaci, tra cui il Fondaco dei
Turchi, oggetto della presente ricerca, e il Fondaco dei Tedeschi.
Poiché le strade veneziane dove avvenivano i traffici e gli scambi
mercantili erano e sono tuttora i canali, i fondaci si affacciavano
solitamente sui canali di maggiore importanza (come il Canal Grande), trovandosi cosi in posizione strategica e privilegiata. Gli spazi
adibiti a magazzino si trovano solo al pian terreno, dotato di portico
dietro al quale l’androne percorre tutta la profondità dell’edificio,
mentre i locali ai piani superiori erano riservati alla vita domestica.
1.3.1.1. Piano terra
Al piano terra, sono stati acquisiti e recuperati importanti spazi: innanzitutto il giardino, ricavato in un’area all’aperto inutilizzata da
molti anni, che è stata inglobata nelle pertinenze del museo, risistemata con zone erbose, siepi, piantumazioni offrendo un importante
valore aggiunto per l’intera area urbana circostante. Dal giardino
si accede al piano terra del palazzo, il cui porticato interno è stato
dotato di vetrate parzialmente apribili, in modo da poter ospitare sia
alcuni dei servizi essenziali come il punto informativo, la biglietteria, il museumshop, sia, nelle lunghe ali est e ovest, nuove, interessanti funzioni: da un lato un ampio spazio per mostre temporanee,
dall’altro la galleria dei cetacei, ovvero l’esposizione, a soffitto, degli scheletri di una grande balenottera, di un capodoglio e di altri
piccoli cetacei. Questa soluzione rende percorribile e suggestivo lo
spazio sottostante, utilizzabile anche per attività di aggregazione. Il
piano terra continua inoltre a ospitare altre aree e funzioni:
- l’Acquario delle Tegnùe, con pesci, molluschi, crostacei e altri
organismi tipici delle particolari zone rocciose sommerse al largo
del litorale veneziano (le Tegnùe, appunto), e il gioco “sottAcqua”,
suo complemento didattico
- la sala conferenze
- lo spazio per le attività educative
- la biblioteca
- il laboratorio di tassidermia e preparazione biologica
Include quindi, oltre alle aree aperte al pubblico, anche spazi Include quindi, oltre alle aree aperte al pubblico, anche spazi dedicati
a importanti attività scientifiche e di ricerca, accessibili solo agli
addetti ai lavori.
1.3. La destinazione attuale
1.3.1.2. Piano ammezzato
Il palazzo oggetto della presente ricerca, fu dapprima sede del civico Museo Correr, qui inaugurato nel 1880 e in seguito trasferito
con le raccolte storiche ed artistiche in Piazza San Marco. Quando
il Fontego dei Turchi rimase libero, l’ingegner Giorgio Silvio Coen
propose di trasferirvi l’istituendo Museo di Storia Naturale che
avrebbe riunito le varie raccolte scientifiche esistenti a Venezia, ed
in particolare quelle del Museo civico Correr, dell’Istituto Veneto di
Scienze, Lettere ed Arti, la collezione privata del conte Alessandro
Pericle Ninni, ed altre minori
Le aree di questo piano - per le quali è già pronto un progetto di
ulteriore ampliamento delle aree espositive con una sezione dedicata alla laguna di Venezia - ospitano depositi di conservazione
delle collezioni, laboratori scientifici, un ulteriore spazio per le attività educative e le sale delle associazioni naturalistiche collegate
al museo.
17
Fondaco dei Turchi
Comparazione tra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
1.3.1.3. Primo piano
Interamente adibito a spazio espositivo, ospita le tre grandi sezioni
del museo, che affrontano la Storia Naturale da tre diversi punti
di vista, con un approccio museologico nuovo e interessante, pur
mantenendo strette connessioni con l’attività e la tradizione scientifica del Museo e della città.
Fig.7
no raccolto e costituito le imponenti collezioni scientifiche del
Museo. Partendo dall’esploratore Giovanni Miani, al cacciatore
Conte Giuseppe De Reali, fino al contemporaneo esploratore,
antropologo e mecenate Giancarlo Ligabue. Una suggestiva
ricostruzione di wunderkammer cinque-seicentesca introduce
al grande salone della Museologia modernamente intesa, della
seconda metà del setteconto, era dell’illuminismo, della classificazione Linneiana, e dello studio analitico della natura.
Il percorso della Vita
Partendo da una sala multimediale circolare animata da un
sistema computerizzato touchless, che proietta le immagini
di centinaia di organismi vissuti sul pianeta in ogni ambiente
come in un planetario, il visitatore entra nell’ultima parte del
percorso in cui attraversa stanze tematiche, dedicate a successivi esempi di declinazione, nel tempo e nei diversi ambienti, del tema generale dell’adattamento delle forme degli organismi alle loro necessità. Il visitatore può così leggere dal vero le
infinite soluzioni sviluppate dall’evoluzione nel corso di milioni
di anni di storia della vita sul nostro pianeta.
18
....................................................
Come citato, al piano terra è stata allestita la nuova galleria dei
cetacei. Nel nuovo percorso, realizzato con particolare attenzione
al coinvolgimento del visitatore in percorso di tipo esperienziale,
spiccano in particolare le seguenti sale:
La sala della spedizione scientifica Ligabue è dedicata alla
spedizione scientifica del archeologo Giancarlo Ligabue in Niger
(Sahara Gadoufaoua) nel 1972-1973, e presenta molti preziosi reperti portati alla luce durante questa spedizione, tra cui spiccano
l’eccezionale scheletro di un dinosauro Ouranosaurus nigeriensis,
considerato uno dei più interessanti reperti al mondo di questo tipo.
Nella sala, modernamente allestita e corredata da una documentazione completa della storia degli scavi e degli studi effettuati, è
stato collocato anche lo scheletro di un Sarcosuchus imperator, il
più grande coccodrillo della storia.
Attraverso cinque sale si segue il percorso della vita camminando
tra e sopra fossili, collocati ai bordi e sotto un ipotetico scavo che il
visitatore percorre dalle prime forme di vita apparse nel mare fino
ai grandi animali presenti al termine del periodo glaciale nel territorio italiano e veneto in particolare, con una piccola sezione finale
dedicata all’uomo.
Una sezione dedicata ai grandi esploratori e collezionisti che hanFig.7 Fondaco dei Turchi
Pianta del piano primo con allestimento museale
L’acquario delle tegnùe è allestito al piano terreno, esso è lungo cinque metri, ed è capace di oltre 5000 litri d’acqua marina.
Riproduce lo straordinario ambiente delle tegnùe e la loro biodiversità, con oltre 50 specie animali fra invertebrati e pesci.
Una precisa ricostruzione dell’ambiente e un efficace struttura
didattica permettono di ammirare numerose specie dal vivo,
scoprendo le caratteristiche e le curiosità sui diversi aspetti
della biologia e del comportamento di questi animali guidati da
un facile gioco.
Con la denominazione locale di Tegnùe si intendono quegli
affioramenti rocciosi naturali che si distribuiscono in modo discontinuo nell’area occidentale del Golfo di Venezia, in batimetriche comprese fra gli 8 ed i 40 m. Le dimensioni possono
essere molto diverse, da pochi metri quadri a diverse migliaia,
con elevazioni dal fondale che passano dai pochi decimetri nelle formazioni base “lastrure”, ad alcuni metri in quelle più alte,
spesso localizzate a maggiore profondità. Numerosi studi geologici hanno permesso una caratterizzazione degli affioramenti
sotto il profilo morfologico e strutturale riconducendoli essenzialmente a tre diverse tipologie: rocce sedimentarie clastiche,
denominate comunemente “beachrocks”; rocce sedimentarie di deposito chimico; rocce organogene, ovvero prodotte
dall’azione di organismi costruttori, vegetali e animali. Queste
formazioni rocciose sono riconducibili a facies di piattaforma
carbonatica di bassa profondità in acque temperato-fredde. La
presenza di “isole” di substrati solidi nella omogenea distesa
di fondali sabbioso/fangosi crea, sia pure localmente, zone
ricche di microambienti e gradienti ecologici che favoriscono
Fondaco dei Turchi
Comparazione fra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
un aumento della diversità specifica nei popolamenti. Si realizzano
così “oasi” di estrema ricchezza biologica, con un incremento del
numero delle specie presenti, ma anche con una notevole biomassa per unità di superficie. Fra le molte specie presenti si annoverano Poriferi, Celenterati, Anellidi, fra cui numerosissimi sono i
Serpulidi che ricoprono spesso ogni superficie disponibile sovrapponendosi in strati successivi. Anche fra gli Echinodermi numerose
sono le specie tipicamente presenti nelle biocenosi delle Tegnùe.
Tipica infine la presenza di numerose specie di Tunicati. Specie
ittiche anche pregiate come l’astice Homarus gammarus, la corvina
Sciaena umbra, l’ombrina Umbrina cirrosa, il merluzzetto Trisopterus minutus, il grongo Conger conger ed il branzino Dicentrarchus
labrax risultano infatti particolarmente frequenti in questi ambienti,
che rappresentano in effetti per alcune specie, come l’astice, ambienti esclusivi.
19
Fondaco dei Turchi
Comparazione fra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
2. Il contesto storico-urbanistico
2.1. Il contesto urbanistico: Venezia
Il territorio comunale di Venezia può essere diviso in centro
storico, a cui appartiene il primo nucleo della città ed è costituito
da un insieme di isole poste nel centro della Laguna di Venezia e
la parte posta sulla terraferma che si estende per 130,03 km².
Il centro storico è sempre stato isolato dalla terraferma (cosa che
in più occasioni ha rappresentato un efficiente sistema difensivo)
fino al 1846, quando fu ultimato il ponte ferroviario, affiancato, nel
Fig.8
1933, dal Ponte della Libertà,aperto al traffico stradale. Il corpo
principale della città visto dall’alto ha l’aspetto di un pesce, con la
coda rivoltaverso est.
Il centro storico di Venezia è stato suddiviso nell’XI secolo in sei
sestieri: Cannaregio, Castello, Dorsoduro, SantaCroce, San
Marco e San Polo. Dal punto di vista ecclesiastico, Venezia è
suddivisa in 70 parrocchie. I sestieri si sviluppano su 118 isolette
collegate da 354 ponti e divise da 177 tra rii e canali. A Venezia si
possono inoltre trovare diversi ambienti urbani caratteristici della
città, quali la calle, il sotoportego, la ruga, la corte, il campo, il
campiello, la riva, la fondamenta e la salizada. I nomi delle calli
e dei campi sono dipinti sui muri (si tratta dei cosiddetti “nizioleti”)
eccezion fatta per Corte Cappello, a Castello.
Fig.8. Venezia
Veduta aerea
I canali principali della città sono il Canal Grande ed il Canale
della Giudecca. Il primo taglia in due la città tracciando una “S”
(divide Venezia in due zone nettamente distinte: “de ultra”, al di
là dell’acqua, e “de citra”, al di qua, distinzione ancora corrente,
molto sentita dalla popolazione), il secondo, disponendosi a sud
della città, separa il centro storico propriamente detto dall’isola
della Giudecca ed è molto trafficato dalle grosse navi da carico e
passeggeri che vanno ad attraccare alla Stazione Marittima.
Anticamente le vie maggiormente usate erano proprio quelle
d’acqua, che fornivano la visione principe
della città: questo spiega perché alcune
facciate importanti di palazzi diano su rii
anche non molto larghi.
Nel tempo hanno avuto luogo discussioni
sul futuro di Venezia. Già nel Cinquecento
c’era chi, il proto Cristoforo Sabbadino,
progettava il mantenimento dell’acqua e
chi, lo scrittore Alvise Cornaro, auspicava
il riscatto dal passato eliminando i canali.
L’acqua ha sempre dato preoccupazioni.
Richiede cure, investimenti cospicui
per
evitare
l’impaludamento
quanto
l’allagamento.
L’acqua
nello
stesso
tempo, però, attrae e affascina e, senza
di essa, Venezia perderebbe senso. La
conformazione ed il terreno su cui sorge
Venezia hanno richiesto la soluzione a
diversi problemi nella costruzione degli
edifici e nell’urbanistica della città
Il consolidamento delle fondamenta, è stato
ottenuto piantando nel terreno instabile
delle isole lagunari dei pali di legno.
L’assenza di fonti di acqua potabile ha
portato allo sviluppo dei campi e campielli,
dove la stessa area urbana veniva usata
come una enorme cisterna, isolata dalle
infiltrazioni della laguna con argilla e riempita di sabbia per la
raccolta ed il filtraggio dell’acqua piovana, infine un pozzo al
centro del campiello permetteva l’approvvigionamento di acqua
potabile. Spesso le vere da pozzo sono vere e proprie opere
d’arte in marmo bianco, al giorno d’oggi se ne contano 600
circa ma, prima della costruzione dell’acquedotto nel 1858, ne
esistevano 6782 in tutta la città.
Il delicato equilibrio della laguna, che risente dell’apporto di
sedimenti e di acqua dolce dai fiumi, dell’invasione dell’acqua
marina in base alle maree e al vento, ha reso necessario
l’attento controllo del regime delle acque nel corso dei secoli, in
ciò Venezia è stata maestra nel passato modellando la laguna
con interventi idraulici e di gestione ambientale e trovando
21
Fondaco dei Turchi
Comparazione tra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
un equilibrio tra laguna e città. Tale equilibrio si è rotto nel
corso del XX secolo a causa dell’intervento umano portando
all’aggravamento del fenomeno dell’acqua alta.
Come già accennato, il primo nucleo della città, ergo, il centro
storico, è costituito da un insieme di isole poste nel mezzo della
laguna di Venezia, sulla costa adriatica nord-occidentale (golfo
di Venezia), per un totale di circa 60.000 abitanti. A queste si
aggiungono la maggior parte delle isole dell’estuario (circa 30.000
abitanti) e la terraferma (circa 180.000) che con i suoi 130,03
km² di estensione, rappresenta l’83% delle superfici emerse del
territorio.
2.1.1. La suddivisione della città in
sestieri
22
Il sestiere è una delle sei zone in cui è divisa la città di Venezia.
Corrisponde al quartiere delle altre città, che idealmente rappresentava la quarta parte dell’accampamento romano, schema ideale della costruzione di un gran numero di centri abitati d’Europa.
La suddivisione cittadina in sestieri risale alle origini di Venezia; tra
l’altro in città la numerazione civica è unica per ciascun sestiere,
con alcune eccezioni per aree più grandi incluse in isole non collegate da ponti, e raggiunge numeri a quattro cifre (Castello raggiunge quasi i 7000). Questo particolare sistema di numerazione, unito
alla naturale complessità della viabilità veneziana, porta ad avere
talvolta due numeri civici molto diversi fra loro a poca distanza l’uno
dall’altro.
I nomi tradizionali dei sestieri di Venezia sono:
• Cannaregio, così denominato perché sviluppatosi in una zona paludosa ove erano frequenti i canneti;
• Castello, ha preso il nome da un
fortilizio ormai scomparso attorno a
cui si è sviluppata l’area;
• Dorsoduro, probabilmente il suo
nome richiama le compatte dune di
sabbia di questa zona;
• San Marco, prende il nome dalla
Omonima basilica;
• San Polo, è al centro di Venezia,
qui ha sede il mercato di Rialto;
• Santa Croce, comprende anche
Piazzale Roma, il Tronchetto e la
Stazione Marittima.
Queste suddivisioni non esauriscono la zona storica costituente la città
di Venezia. Le isole della Giudecca
fanno parte di Dorsoduro, l’isola di
Fig.9. Sestiere di Santa Croce
Mappa con indicazione delle emergenze
San Giorgio Maggiore di S. Marco e l’isola di San Michele, sede
del cimitero cittadino, di Castello.
Si parla di sestieri anche nelle isole di Burano e Pellestrina, sebbene abbiano rispettivamente cinque e quattro quartieri.
2.1.2. Il sestiere di Santa Croce
Il sestiere di Santa Croce confina a sud e ad est con il sestiere di
San Polo, avendo come limiti il Rio di San Stae, il Rio Marin e la
prima parte di Rio della Frescada, fino alla parrocchia di San Pantalon.
A sud confina con il sestiere di Dorsoduro a Corte Gallo e Corte
Barbo. A nord è delimitato dal Canal Grande ed è collegato a Cannaregio tramite il Ponte degli Scalzi e il Ponte della Costituzione.
Se si esclude l’area del Tronchetto, di origini recenti, il sestiere risulta essere il meno esteso della città.
Il sestiere deve il suo nome alla chiesa di Santa Croce, importante
luogo di culto demolito dopo le soppressioni di Napoleone.
Come parte di San Polo, questo sestiere apparteneva anticamente
alla zona detta Luprio, dove avevano sede numerose saline.
È il sestiere che nel corso del XX secolo più degli altri ha subito
l’impatto del collegamento viario tra Venezia e la terraferma, prima
con la realizzazione della Stazione Marittima e poi con la creazione
dell’area di Piazzale Roma, l’apertura del Rio Novo e la costruzione
del parcheggio-isola artificiale del Tronchetto, tutte conseguenze
Fig.9
Fondaco dei Turchi
Comparazione fra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
dirette della costruzione del Ponte automobilistico della Libertà nel
1933, che hanno trasformato la parte nord del sestiere nel terminal
automobilistico e dei bus nella città lagunare. Questo è l’unico sestiere della città lagunare in cui esiste una piccola zona dove poter
circolare con degli automezzi, sia pure in modo molto limitato.
Forse, anche per la limitate estensione, è la zona meno ricca d’arte
della città e si caratterizza per le viuzze strette intervallate da pochi
campi.
Tra le poche chiese, degne di nota sono San Giacomo dell’Orio,
San Stae e il tempio di San Nicola da Tolentino. Da ricordare anche
le due consacrate a San Simeone: una è detta San Simeon Grando
o Profeta, l’altra San Simeon Piccolo. Questi aggettivi si riferiscono
solo all’importanza del santo a cui sono dedicati e non hanno nulla
a che fare con la dimensione dei relativi edifici, dato che in effetti la
chiesa di San Simeon Grando è molto più piccola rispetto a quella,
monumentale, di San Simeon Piccolo.
Gli edifici di maggior pregio si trovano lungo il Canal Grande. Tra
questi spicca per importanza Ca’ Pesaro, che è sede del Museo
d’arte orientale e della Galleria internazionale di arte moderna dove
sono esposte opere significative di grandi autori, tra i quali Gustav
Klimt, Vasilij Kandinskij e Matisse.
Fig.10
chi di ricostruzione rispetto a rii e canali sono in genere assai semplici e regolari.
Essi, come avviene per i tipi edilizi, non sono molto vari e si ripetono con poche varianti in diverse zone della città, al centro come alla
periferia: la scelta è comunque derivata dall’andamento dei canali.
Il primo schema è il più semplice e frequente ed è costituito da
isolati a forma rettangolare di solito molto allungati: i rettangoli sono
disposti trasversalmente entro un’isola pressoché rettangolare.
Una disposizione analoga era adottata anche dai Fenici nelle numerose colonie del Mediterraneo.
Esempi li possiamo vedere nella parte nord di Cannaregio, attorno alla chiesa di S. Sofia, a Dorsoduro, tra i rii di S. Vio e delle
Torreselle, a Castello tra il Rio della Tana ed il rio interrato ora via
Garibaldi.
Il medesimo schema è adottato anche in una zona rettangolare
compresa tra un rio e una calle importante, come a Rialto con Il
Canal Grande e Ruga Vecchia, e Castello tra Rio S. Giuseppe e
calle Secco Marina.
Il secondo schema, anche questo ben diffuso a Venezia, è costituito da un’isola o da una striscia di terra molto allungata compresa
tra due rii pressoché paralleli: l’isola è percorsa longitudinalmente
da una calle principale da cui si dipartono numerose callette trasversali.
Sistemazioni di questo tipo si trovano ad esempio a Dorsoduro con
la calle lunga S. Barnaba e con Calle dei Cerchieri, a Castello con
la Salizzada S. Lio di Calle della Testa o attorno a Campo Ruga,
a San Marco con le isole attorno a Campo S. Maurizio e S. Maria
del Giglio.
Un terzo schema è quello costituito da una zona compresa tra due
rii paralleli o più spesso convergenti verso un altro rio più largo: detta zona è servita via terra da una calle lunga longitudinale a fondo
cieco o da una fondamenta laterale, da cui si diramano altre callette: tale esempio di urbanizzazione quasi eccessiva si può trovare in
Calle degli Avvocati, nel Sestiere di castello ai Biri, a San Giovanni
in Laterano o nella zona del campo dei due pozzi, a Cannaregio,
tra S. Alvise e il Rio della Sensa, e tra i Rii di Noale e di S. Felice
a S. Croce.
2.1.3. La suddivisione dei sestieri in 2.1.4. L’insula di San Giacomo dell’Orio
insule
Le insule veneziane, compongono appunto la città e la rendono
parte comune, un unico nucleo appunto con ponti e con rii terài;
da tutto questo si possono ricostruire alcuni schemi urbanistici elementari.
Questi schemi che definiscono la forma e la distribuzione dei blocFig.10. Sestiere di Santa Croce
San Nicola da Tolentino
L’Insula è situata nella parte centrale di Venezia e appartiene al Sestriere di Santa Croce. È delimitata a nord dal Canal Grande, a est
da Rio del Megio e da Rio San Boldo, a sud da Rio di San Giacomo
dell’Orio e a ovest da Rio de San Zan Degolà e di San Giovanni.
23
Fondaco dei Turchi
Comparazione tra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
L’insula è collegata da ben dieci ponti alle insule limitrofe. A ovest
i Rii di San Zan Degolà e di San Giovanni sono attraversati da sei
ponti; il più settentrionale è il Ponte di San Zan Degolà, a seguire Ponte del Savio, Ponte de la Ruga Vecchia, Ponte de la Ruga
Bella, Ponte de l’Anatomia e Ponte de le Oche. A est dal Ponte del
Megio e Ponte del Colombo; infine a sud-est dal Ponte San Boldo
e Ponte del Parucheta Per raggiungere l’insula dalla stazione ferroviaria di Santa Lucia si deve attraversare il Ponte degli Scalzi,
conosciuto anche come Ponte della Stazione per la prossimità alla
stessa. È uno dei quattro ponti che attraversano il Canal Grande:
le imbarcazioni alberate, lo stile “industriale” contrastava esteticamente con le strutture veneziane, ma soprattutto perché la ghisa
cominciò a corrodersi evidenziando pericoli strutturali.
Quindi nel 1932 il ponte in metallo venne sostituito da un nuovo
ponte a singola arcata in pietra d’Istria seguendo il progetto dell’ingegner Eugenio Miozzi (1889 – 1979). I lavori durarono due anni e
finirono il 28 ottobre 1934.
Fig.11
24
d’Italia, per cui non deve sorprendere il fatto che l’autore veda da
questo punto di vista particolare la storia del Fondaco.
Nel 1364 il Marchese Estense Niccolò chiede al Comune la licenza
per poter acquistare una casa a Venezia ed una a Treviso, ed il
Comune di Venezia, con proprio decreto decide di donare due case
al Marchese. Nel 1378 il Comune acquista il palazzo dei Palmieri
Da Pesaro e lo regala al Marchese; successivamente, quando il
papato, col trattato di Faenza del 1598, estese il proprio dominio
sul ducato di Ferrara, gli estensi persero il palazzo. Con atto rogato
nel 1602 il Palazzo fu rogato dalla casa d’Este al Cardinale Aldobrandini.
In seguito il cavaliere Antonio Priuli acquistò il palazzo dal cardinale, e quando fu eletto Doge, lo affittò ad uso Fondaco dei Turchi.
Quindi il Priuli lasciò in eredità il Fondaco al figlio Girolamo, il quale
lo diede in dote alla sua figlia Maria in occasione del matrimonio
con Leonardo Pesaro (erede della famiglia che lo costruì). In questo modo il palazzo tornò in possesso della famiglia che lo aveva fondato, e che lo tenne fino a che non si estinse nel 1830. In
quell’anno Pietro Pesaro, erede del casato, nel suo testamento
diede il Fondaco al Conte Leonardo Manin, figlio di sua sorella Caterina, ed il Conte lo vendette nel 1838 al signor Antonio Busetto
Petich. Il comune allora chiese a Petich di poterlo acquistare, ma
costui, che non voleva rivenderlo, propose al Comune di restaurare
la facciata, in cambio di un canone annuo d’affitto. Tuttavia l’assenso all’operazione fu negato. Proseguì però l’interesse del Comune,
per cui, nel 1859, data della stampa del trattato, il Comune decise
finalmente di acquistare il Fondaco.
Questa ricostruzione è compatibile con quanto hanno appurato le
più recenti ricerche storiche.
2.2. La storia del Fondaco ed i suoi
abitanti (secondo la ricostruzione di
agostino sagredo)
La storia del Fondaco dei Turchi abbraccia circa novecento anni.
Secondo il Sagredo, che riporta quanto riportato nel libro “Il Carosio, ovvero Origine regia et augusta della serenissima famiglia
Pesari di Venezia, del conte Giacomo Zabarella” la realizzazione
del palazzo avvenne nel 1250, quando la famiglia Palmieri si trasferisce da Pesaro a Venezia. Sagredo compie uno studio storico sul Fondaco dei Turchi mostrando un parallelismo tra gli eventi
che hanno caratterizzato la successione delle famiglie residenti nel
Fondaco e la storia d’Italia. Ricordiamo che il Trattato di Sagredo
e Berchet è del marzo 1859, quindi siamo agli albori del Regno
Fig.11. Ponte del Megio
Fondaco dei Turchi
Comparazione fra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
3. La storia della fabbrica
3.1. “Il Fondaco dei Turchi in Venezia”:
introduzione di Agostino Sagredo
Tranne le fronte, null’altro più rimane del magnifico edifizio conosciuto col nome di Fondaco dei Turchi, che fu uno dei più splendidi
ornamenti del canal Grande in Venezia. E la fronte è così guasta,
anzi pericolante, da mettere profonda tristezza in chi la guarda,
perché accenna a città caduta nella massima desolazione. E il
dolore cresce pensando che pochi sono gli edifizi privati in Italia
che abbiano importanza maggiore di questo, sia rispetto alla storia,
come rispetto all’arte.
Egli è per tali ragioni che io da qualche anno volsi il pensiero al
Fondaco dei Turchi, e cercai di indagarne le origini e le vicissitudini.
Un valentuomo, l’ingegnere Giovanni Casoni, ebbe il destro di esaminare i titoli giuridici che provavano la successione dei proprietarj
del Fondaco, ne trasse parecchi appunti e me li favorì. Alla cara
memoria dell’amico trapassato credo mio debito testificare la mia
gratitudine, perché la sua fatica mi fu scorta a dettare una scrittura,
la quale ho letta all’Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, e ottenne l’onore di essere designata per essere accolta nel volume delle
sue memorie. Nella scrittura mia, dopo avere svolta la tela storica
m’ingegnavo notare alcuna cosa sulle regioni artistiche dell’edifizio.
Ma dopo avere io letto all’Istituto il mio scritto, mi venne dato trovare alcuni preziosi documenti pei quali ero obbligato a rifonderlo.
Intanto seppi che l’amico mio, ingegnere e architetto Federico Berchet, aveva immaginato un progetto di restauro alla fronte per adattare una parte dell’edifizio ad uso di museo civico. Lo pregai di unirsi meco e di comporre la parte artistica, offrendogli i documenti che
gli potevano giovare. Egli di buon grado si unisce meco, e l’opera
nostra dividesi pertanto in due parti distinte: Storica e Artistica. Narrato da me quello spetta alla storia del Fondaco, alle sue relazioni
colla storia italiana, all’epoca vera, finora controversa, della sua
fondazione, alla colonia turchesca in Venezia, il Berchet parla di
quello spetta all’arte che professa, e presenta il progetto, disegnato
da lui, pel restauro, e ne dà le ragioni.
(studioso di restauro e a sua volta operatore sul campo) procede
all’opera di restauro. Ciò è di testimonianza della simbiosi che deve
sempre esistere, in qualunque campo dell’architettura, tra le figure
intellettuali e quelle tecniche.
3.2. La costruzione
Per comprendere quale fosse il momento in cui fu gettata la prima
pietra per la realizzazione del Fondaco, occorre riferirsi alla critica,
la quale dopo averne datato prima al decimo e poi all’undicesimo
secolo la costruzione, è oggi concorde nel fissarne la fondazione al
tredicesimo secolo e ciò “sia sulla base delle notizie documentarie
che sulla scorta delle osservazioni stilistiche” (Arslan, 1970). In realtà la prima notizia diretta concernente le costruzioni esistenti lungo il Canal Grande nel sito dove sorge oggi il Fondaco dei Turchi risale al 1309 quando un certo Angelo Palmieri, figlio di tal Giacomo,
uomo ricchissimo trasferitosi (o riparato) a Venezia da Pesaro, nel
proprio testamento dispone il lascito di alcune case d’affitto ubicate
in quel luogo. In quelle case Angelo abitava almeno dal 1298-99 se
non già da prima, essendo Giacomo arrivato a Venezia nel 1225.
.....................................................
Quale fosse la forma e l’articolazione spaziale originaria del Fondaco dei Turchi è difficile a dirsi. Qualche supposizione può essere
fatta osservando alcune architetture coeve quali il palazzo Donà
Dolcetti, la Ca’ Barzizza o i palazzi Farsetti e Loredan sul Canal
Grande. Con questi ultimi sussiste ancora oggi una notevole analogia specie nelle parti inferiori delle torrette laterali. Per determinare
la configurazione originaria del Fondaco dei Turchi un ulteriore elemento può essere fornito dalla famosa veduta di Venezia di Jacopo
de Barbari, del 1500, dalla quale però si può solo apprendere, non
Fig.12
Noi non dubitiamo punto che ove volgano alla città nostra prosperi
tempi, il prezioso monumento sarà conservato e rimesso nel suo
stato primiero, almeno per quello spetta alla parte esterna. In ogni
caso, questo volume lo ricorderà ai posteri, né faranno addebito
alla età presente dello averne, per propria volontà, trascurata vergognosamente la conservazione. [A. Sagredo]
....................................................
Come si può notare, Sagredo, nella sua veste di storico, acquisì le
informazioni da Giovanni Casoni (ingegnere), per scambiarle poi
col Berchet (architetto e ingegnere), e sulla base di esse il Vassallo
Fig.12. Fondaco dei Turchi
Veduta a volo d’uccello di Jacopo de Barbari (anno 1500)
25
senza incertezze, dell’esistenza di due torrette poste ai lati della
facciata prospettante sul Canal Grande; facciata che, oltretutto,
non si vede direttamente in quanto la costruzione vi appare ritratta
dalla parte posteriore. Inoltre, a motivo delle ridotte dimensioni con
cui vi è disegnata, in ragione della scala di rappresentazione, non
Fondaco dei Turchi
Comparazione tra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
si possono trarre altre conclusioni. [F. Berchet]
E’ appena il caso, a questo punto, di fare una breve digressione per
segnalare che Federico Berchet nel progettare il suo restauro-rifacimento del Fondaco dei Turchi ha tratto non pochi suggerimenti
progettuali proprio dall’esame di questa rappresentazione. Sostiene infatti che chi “volesse riedificare il ‘Fondaco dei Turchi’ non può
Fig.13
metà dell’Ottocento, è segnata da numerosi passaggi di proprietà
e da taluni interventi di adeguamento realizzati al variare degli usi
cui la fabbrica venne via via destinata.
L’avvenimento più significativo è certamente rappresentato dalla
decisione, presa nel 1621, di trasformarlo in “albergo” per i mercanti provenienti dall’impero ottomano. È così che il palazzo che
era stato prima dei da Pesaro, poi dei Priuli e che aveva ospitato l’ambasciatore di Ferrara s Venezia,
diviene il Fondaco dei Turchi. Questi lo
lasceranno solo nel 1740, costretti dalle Serenissima a sgombrarlo anche per
consentire la realizzazione di alcuni lavori urgenti, indispensa¬bili per riparare
i maggiori e più pericolosi danni che gli
erano stati inferti; lavori condotti proprio
dal Maccaruzzi. Da quel momento inizia
il lento declino di questo edificio che si
riduce ad essere anche deposito di materiali di una impresa edile e poi sede
della Manifattura tabacchi.
3.3. Il restauro
Federico Berchet
di
Per comprendere al meglio la proposta
d’intervento del Vassallo, occorre aver
conoscenza, dal punto di vista artistico,
delle linee guida che hanno ispirato l’intervento di Berchet.
26
trascurare il sistema dei tetti quale apparisce” (Berchet e Sagredo,
1860) in quella pianta.
Un accenno alla forma del Fondaco dei Turchi ci è dato poi, nel
1663, da Francesco Sansovino che nella sua descrizione di Venezia “città nobilissima” parla del palazzo, che in quel momento era
di proprietà del duca di Ferrara, come d’una costruzione antica,
“fabbricata in forma di castello, con struttura tedesca” (Sansovino,
1663).
Il primo elaborato grafico relativo al Fondaco dei Turchi è invece,
quasi certamente, quello steso tra il 1600 ed il 1602 da Cesare
Franco Torello, tagliapietra e topografo veneziano. Questi disegni
saranno poi ripresi nel 1768 da Bernardino Maccaruzzi — allievo del Massari ed interprete dell’ultimo barocco a Venezia (Bassi,
1962) — in occasione d’un suo interessamento operativo a” Fondaco dei Turchi.
La vicenda dell’edificio, dalla sua fondazione fino alla seconda
Fig.13. Francesco Guardi
Pittura a olio del Canal Grande con il Fondaco
Come abbiamo precedentemente accennato, le impostazioni attuali per un
corretto progetto di restauro prevedono
una approfondita ricerca critica di informazioni riguardanti la fabbrica, specie
se essa è stata precedentemente soggetta ad un intervento di restauro. Proprio procedendo in questa direzione, non solo si sono
riuscite ad ottenere indirettamente una grande quantità di informazioni del progetto del Berchet, che vanno fino al dettaglio architettonico, ma si è avuto modo di notare direttamente che altre informazioni sono reperibili nella pubblicazione “Il Fondaco dei Turchi in
Venezia”, che lo stesso Berchet ha scritto a quattro mani con Agostino Sagredo, con quest’ultimo che si occupa degli aspetti storici.
Ciò significa che già nel 1859, anno della sopracitata pubblicazione, si pensò bene di non disgiungere, nell’ambito di un progetto di
restauro, gli aspetti storici da quelli artistici.
Questo fatto è molto importante da sottolineare, in quanto mette in
evidenza che accanto ad uno studio sull’evoluzione di tipo compositivo e materico della fabbrica, viaggia di pari passo una riflessione
Fondaco dei Turchi
Comparazione fra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
su come essa possa essere valutata dal punto di vista della risposta al soddisfacimento di determinati bisogni, in tutte le sue epoche
storiche, aspetto questo, che come sappiamo essere tipico di ogni
opera architettonica. In altre parole, la parte della pubblicazione
inquadrabile come ricerca storica effettuata dal Sagredo è anche
inquadrabile come elemento metaprogettuale rispetto all’intervento
effettuato dal Berchet.
Pertanto il Vassallo non si troverà, in seguito, semplicemente ad
operare su un museo, quanto su di un edificio caratterizzato da una
ben precisa identità storica, cui l’opera architettonica del restauro di
Berchet risulta essere la risposta operativa.
Dunque la testimonianza diretta di Federico Berchet permette di
inquadrare quali fossero le argomentazioni tecniche alla base del
suo intervento in ragione della sua destinazione d’uso successiva.
Fig.14
3.3.1. Criteri guida del restauro e sue
finalità
Il Berchet quasi antepone la ricostruzione della facciata sul Canal Grande (oggi lo definiremmo profilo morfologico o skyline) ad
ogni tipo di considerazione che riguarda la sua destinazione d’uso.
A questo proposito dedica un intero capitolo della pubblicazione
scritta a quattro mani col Sagredo. Difatti, se anche un occhio poco
attento osservasse il manufatto edilizio, noterebbe che la “monumentalità” dello stesso è quasi tutta concentrata sulla facciata sul
Canal Grande.
Il primo aspetto che possiamo notare dagli scritti del Berchet, è
come egli considerasse il fabbricato “distrutto”. E che l’intervento
che avrebbe dovuto intraprendere fosse quello della riedificazione.
Il problema a questo punto diventa duplice, come accade molto
spesso per le opere di restauro: operare dal punto di vista morfologico, stilistico e dei caratteri costruttivi e ornamentali compatibilmente con la destinazione d’uso prevista. Ma mentre come si
vedrà, si ha un’idea chiara su quella che sarebbe diventata in tempi
Fig.14. Fondaco dei Turchi
Facciata restaurata sulCanal Grande
successivi la destinazione d’uso museale, per quanto riguarda le
considerazioni formali e stilistiche, il risultato che si sarebbe ottenuto sarebbe stato assai condizionato dalla documentazione (indiretta) ritrovabile. E in realtà il Berchet si basa soprattutto su questa
documentazione, ricorrendo spesso all’“approssimazione” dell’ipotesi nel momento in cui non fosse stato in grado, per la scarsezza
della stessa, a comprendere con certezza quale fosse lo stato dei
luoghi in passato.
A tal proposito si cita una parte del Capitolo VI della succitata pubblicazione, a proposito della morfologia della facciata sul Canal
Grande:
(…) Sia poi chi si vuole, il disegnatore o intagliatore di quella opera
importantissima (Pianta di Venezia del 1500 opera, secondo la tradizione, di Alberto Dürer, n.d.r.) lasciò un monumento (documento
n.d.r.) prezioso, il più grande e forse il più interessante che della
incisione in legno nell’età del risorgimento ci sia pervenuto. La pianta è presa dall’alto, o come adesso dicono, a volo d’uccello, da un
punto ideato oltre l’isola di San Giorgio maggiore, e l’autore, volendo far primeggiare la piazza di San Marco, ritrasse la fronte degli
edifici che prospettano la destra del gran canale, e del Fondaco e
degli altri edifici posti alla sinistra non si scorgono che i tetti (…). [F.
Berchet]
Come si può notare, quella che Berchet definisce “pianta”, è in realtà soltanto una prospettiva aerea nella quale oltretutto veniva data
scarsa importanza al tessuto edilizio stante alla sinistra del Canal
Grande, dove appunto il Fondaco era ubicato, e questo a testimonianza dell’esiguità delle informazioni possedute dall’architetto.
Ma ciò che è più significativo, del brano riportato, è quanto sostiene
in seguito:
(…) Dalla pianta del Dürer chiaramente si vede che due laterali
torricelle (quelle che in altra parte della ricerca abbiamo definito
pseudo-torri, n.d.r.) erano il compimento della fronte del Fondaco
dei Turchi; non se ne ha il prospetto, ma solo si può misurarne l’altezza deducendola da uno dei lati verticali, colle note regole della
prospettiva, tanta è l’esattezza, piuttosto unica che rara, colla quale
vi sono delineate le fabbriche pubbliche e private. L’altezza delle
torricelle era precisamente la terza parte della altezza totale della
facciata, non calcolando la merlatura, e la base loro era quadrata,
lochè si riscontra pure sulla faccia del luogo pella maggiore grossezza dei corrispondenti muri (…). [F. Berchet]
Queste sono le informazioni sulla facciata desunte da Berchet:
come si vede non ci sono quelle informazioni al giorno d’oggi desumibili dagli elaborati fondamentali per la lettura di un progetto
edile, vale a dire piante, prospetti e sezioni; tutto è demandato ad
un’altezza deducibile con le regole della prospettiva.
Queste informazioni e queste deduzioni, sono state in seguito, per
così dire, “incrociate”, con quanto osservato dall’architetto, sulla
27
Fondaco dei Turchi
Comparazione tra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
fabbrica:
(…) Ognuna di esse comprendeva quindi una stanza, alla quale si
doveva ascendere per una scaletta che mettesse in un luogo a tetto, ricavato entro lo spazio del coperto principale, d’onde si entrava
nelle torricelle per due porte laterali, delle quali sussistono ancora
i vani, nei muri che restano, quasi mezzi timpani, sotto le falde del
tetto. (…)
....................................................
Berchet inoltre afferma che le due pseudo-torri, definite torreselle,
siano state distrutte, in seguito ad un decreto del 27 maggio del
1627, in quanto da quelle torricelle i turchi, che allora risiedevano
nell’edificio, avrebbero potuto spiare la città, o, per la loro presenza, darsi vanto di nobiltà o di potere.
La ricerca della monumentalità rispetto all’affaccio sul Canal Grande quale finalità del progetto di restauro diventa quindi centrale; i
corpi della fabbrica laterali, sul Rio Megio e sulla Salizzada (o Salizada), destinati a suo tempo a magazzini per il deposito del tabacco, sono messi in secondo ordine, tant’è che nella pubblicazione di
Sagredo e Berchet non vengono nemmeno rappresentati.
3.3.2. La destinazione d’uso
28
Il Berchet suggerisce, con valide argomentazioni, che la destinazione d’uso a museo fosse la più idonea per questo manufatto.
L’architetto assume un tono autocelebrativo nel momento in cui
dice che il proprio intervento consentirebbe il nuovo splendido ritrovo di principi ricevuti da principi con magnificenza sovrana; tuttavia la necessità di dover avere degli spazi espositivi non garantiti
dal museo civico allora esistente, ha fatto propendere al suo utilizzo museale.
Da citare il fatto che egli propendesse per un collegamento mediante cavalcavia tra il Fondaco ed il Museo Correr; tant’è che,
come auspicato, alla fine del secolo vi fu trasferita al Fondaco l’esposizione museale del Palazzo Correr.
3.4. Il restauro di Eugenio Vassallo
Oggi il Fontego dei Turchi è uno dei palazzi più caratteristici tra
quelli affacciati sul Canal Grande, ben riconoscibile per la sua elegante facciata decorata da vari elementi architettonici come patere
e formelle, una delle quali appare riprodotta nel logo del Museo.
Il restauro di Eugenio Vassallo, è avvenuto nel periodo compreso
tra la metà degli anni novanta del secolo scorso e il primo decennio del secolo attuale; in particolare per quanto riguarda gli aspetti
progettuali vi è, come accennato, ampia documentazione nel testo
Giovanni Carbonara: “Trattato del Restauro Architettonico”, nella
cui edizione del 1996 poteva essere approfondita esclusivamente
la parte riguardante le linee guida progettuali, e non quella esecu-
tiva, in quanto avvenuta in tempi successivi alla pubblicazione del
Trattato.
In data 8 marzo 2010 il Museo di Storia Naturale è stato riaperto
dopo una lunga fase di forzata inattività durata ben 15 anni, durante la quale oltreché i profondi interventi di restauro, vi è stato il
riordino delle collezioni e il rinnovo espositivo.
Come ha ricordato l’allora sindaco Massimo Cacciari durante la
conferenza stampa che ha preceduto l’inaugurazione, nella fase
conclusiva è stata determinante l’opera della Fondazione Musei
Civici di Venezia che, con la gestione del presidente Sandro Parenzo, ha impresso nuova vitalità ai 12 musei veneziani ricevuti in
affidamento dal Comune.
3.4.1. La finalità del restauro
La finalità del restauro è stata di intervenire sulla fabbrica non tanto
meramente in termini di manutenzione e di risanamento conservativo, quanto soprattutto seguendo l’idea di migliorare l’approccio
esperienziale degli utenti del Museo, attraverso una rifunzionalizzazione ed una valorizzazione degli spazi.
Partendo dal presupposto che un intervento su un organismo edilizio quando coinvolga contemporaneamente il risanamento strutturale e gli interventi sulle finiture, l’adeguamento degli impianti
alle sopravvenute esigenze, e la rifunzionalizzazione degli spazi
interni, va valutato in maniera organica, in quanto vi è una stretta
attinenza tra tutti questi aspetti, bisogna sottolineare che il Vassallo nel Carbonara li ha giustamente messi in evidenza in contemporanea. Questo fatto ha avuto un evidente riverbero soprattutto
al momento della definizione delle linee guida progettuali. Egli in
particolar modo fa discendere gli interventi conservativi e di adeguamento impiantistico alle sopravvenute esigenze funzionali di
potenziamento delle attività museali antecedenti al suo progetto,
sostenendo che si debba operare partendo dal garantire un nuovo
approccio esperienziale del visitatore del Museo, per poi derivarne
le conseguenze operative da parte del progettista.
(…) Orientare la progettazione degli interventi conservativi e l’adeguamento degli impianti all’attuale distribuzione funzionale avrebbe
significato ignorare tali condizioni e quindi svolgere un lavoro per
molti versi inutile se non addirittura sbagliato. A tutto ciò si aggiunga che l’istituzione museo in questi ultimi decenni ha visto cambiare radicalmente la sua struttura ed il suo funzionamento. Per
esso “sono da rifondare nuovi obiettivi ed è necessario riportarsi
all’interno dell’istituzione nei caratteri che l’hanno fatta arrivare fino
a noi” (Lugli, 1992). Nel definire tali nuovi obiettivi si deve tenere
ben presente che il museo è (e deve continuare ad essere) un ambiente nel quale si sviluppa un continuo processo di conoscenza.
È pertanto indispensabile, nel momento in cui si interviene, prevederne una sua riorganizzazione puntando ad adeguare il suo ruolo
agli orientamenti attuali. Tale adeguamento, comunque, non dovrà
Fondaco dei Turchi
Comparazione fra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
mai cancellare la storia stessa del museo, nel nostro caso specifico
il suo essere nato da una collezione ed il suo aver avuto una doppia anima: la prima aperta verso l’antropologia, l’altra diretta alla
conoscenza del mondo lagunare. Assicurare il rispetto della storia
di questo museo vuol dire anche conservare al massimo possibile i
diversi allestimenti che oggi vi sono contenuti e che testimoniano le
sue fasi di vita. Sulla scorta delle osservazioni svolte circa la situazione attuale ed allargando lo sguardo alla questione più generale
dei musei di storia naturale è emersa con evidente chiarezza la
necessità di assicurare un potenziamento delle attività attualmente ospitate dal museo. In relazione a ciò abbiamo tratteggiato due
possibilità: elaborare una soluzione tutta interna al Fondaco dei
Turchi; vagheggiare una ipotesi di espansione all’esterno della sua
sede attuale.(…) [E. Vassallo]
....................................................
Di questi aspetti tratteremo comunque nel capitolo successivo.
In questa sede occorre invece sottolineare quali sono state le idee
guida per la rifunzionalizzazione degli ambienti.
In questo senso si è pensato di valorizzare i reperti individuando
temi e percorsi che ne sviluppino le potenzialità didattiche; di mediare la complessità dei concetti attraverso una comunicazione attiva a più livelli, primo tra tutti quello esperienziale: nel progettare
il nuovo museo, il continuo intreccio e l’integrazione tra questi elementi hanno condotto a
un’elaborazione originale, in cui contenuti, allestimento e comunicazione concorrono a coinvolgere il visitatore, a stimolarne l’attenzione, l’attitudine critica a porsi domande, creare collegamenti, cercare risposte, comprendere per deduzione le strutture essenziali
del metodo scientifico.
Si è trattato quindi di un restauro che ha coinvolto soprattutto le
parti interne della fabbrica.
3.4.2. La destinazione d’uso
Rimane quindi confermata la destinazione d’uso museale, ma cambia, nelle intenzioni progettuali, la modalità attraverso cui il visitatore si relaziona con gli spazi del Museo.
29
Fondaco dei Turchi
Comparazione fra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
4. La storia dei restauri
4.1. Storia del restauro di Federico
Berchet
4.1.1. Lo stato dei luoghi dell’epoca
Attraverso lo stralcio della parte della pubblicazione scritta da Berchet, possiamo renderci conto dello stato della fabbrica da lui trovato e sulla quale è intervenuto. Queste informazioni costituiranno poi
la memoria storica di ogni successiva opera di restauro, a partire
dal progetto del Vassallo. Questa è una vera e propria relazione
illustrativa sullo stato dei luoghi.
Fig.15
In un bel punto del Canal Grande di Venezia, quasi dirimpetto alla
magnifica mole di palazzo che i Lombardi, sommi maestri dell’arte,
edificarono ai Loredani, poi passò ai Calergi, quindi ai Vendramin
ed ora spetta alla Duchessa di Berry, si scorge un edifizio vasto e
rovinoso, comunemente conosciuto col nome di Fondaco dei Turchi.
Un rosso ponticello di legno, sostenuto da due palate e fatto a comodo dello scarico e carico dei tabacchi e dei sigari, attualmente
nel Fondaco depositati, toglie allo sguardo gli avanzi dell’antica
gradinata semicircolare di arrivo, che metteva ad una zona di terreno, dinanzi all’edificio e lunghesso il gran canale, selciata e contenuta esternamente da un’opera di struttura laterizia, colla fronte a
corsi regolari di pietre naturali, al che si diede e si dà comunemente in Venezia il nome generico di fondamenta, forse dal sodo suo
Fig.15. Fondaco dei Turchi
Fotografia anteriore al restauro del Berchet
fondamento sul letto molle della laguna. Ora la antica fondamenta
non è più riconoscibile: la parte a destra di chi entra è ingombra da
una meschina casetta, posta a ridosso della estremità del prospetto verso la salizzada del Fontego, ed è chiusa qua da una muraglia
rovinosa di cinta, e là da un grossolano assito di tavole sconnesse:
la parte a sinistra, che non molti anni or sono era quasi in eguale
condizione, è attualmente aperta ed abbandonata: cresce l’erba fra
i rottami ammassati sui rottami, il piano stradale, rialzato dalle tante
rovine, seppellisce le basi delle colonne, la fronte della fondamenta
è sconnessa e si sconnette ogni giorno. Né in migliore condizione
è il prospetto dell’interessante edificio che sorge tra quelle macerie.
Ha una loggia inferiore divisa in dieci arcate a
mezzo di nove colonne, sulle quali girano archi semicircolari d’assai allungati sul loro peduccio: i capitelli sono uniformi, in quelli delle
ultime colonne verso il Rivo del Megio sono visibili le traccie dei guasti commessi e gli abachi
sono esternamente mutilati; seguono quindi tre
archi murati e spartiti da due pilastri posti sopra
un basamento continuato, ad ognuno dei quali fanno ornamento sottili colonne. Qui restano
ancora poche lastre di marmo greco ed alcune
formelle circolari, incastrate per ornamento della fronte; si vedono intorno gli avanzi interrotti
di alcune fascie a prismi alternati; e furono successivamente aperte e murate irregolari porte e
finestre. Sopra la loggia inferiore sorge la loggia superiore, nella quale il numero delle arcate è diciotto, e sono diciassette le colonne con
capitelli a svariato disegno; in essa un rovinoso
muretto sostituisce in gran parte dopo la loggia
vi è un pilastro, poi altra colonna, poi due pilastri ornati di colonnini, e finalmente un monolite, che forma l’angolo dello edificio. Il tetto della
casetta costruttavi a ridosso, copre in parte tali
archi murati, e al di sopra fu aperta una meschina finestra con poggiuolo di ferro, tagliando archivolti e decorazioni e trascurando ogni
riguardo. Qui pure restano poche lastre di pietre naturali ed alcuni
archivolti di marmi colorati, chiusi dalle solite doppie fascie di cordoni a prismi alternati: eguale ornamento gira intorno alle sculture
simboliche di alcune formelle. La parte superiore è appuntellata e
lascia vedere rovine nel tetto, che non ha né cornice né ornamenti;
il centro del prospetto segue una curva rientrante, ed alcune escono di piombo la muratura altra volta coperta di lastre di marmo, non
presenta ora che gravi corrosioni dove sole dominano l’edera ed
il musco: un ciliegio crebbe fra le rovine dei balaustri e diede inaspettati frutti. Tale è l’aspetto del Fondaco sul canal grande, il quale
ho rappresentato in prospettiva nella Tavola I, ritraendolo dal vero,
perché potesse servirmi di norma alla ricostruzione della fronte nello stato originario.
31
Fondaco dei Turchi
Comparazione tra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
Nell’interno vi è un cortile con una cisterna; ai lati vi sono due edificii nuovi, innalzati dalle fondamenta in tre piani: quello a destra di
chi entra per l’unica porta del cortile, serve per la foglia del tabacco,
quello a sinistra, pel tabacco lavorato che si dispensa ai venditori.
Nel terzo, quello verso il Gran Canale, restano le antiche murature,
le altezze primitive degli appartamenti, delle quali sono visibili le
traccie, furono suddivise con nuovi palchi, così che ora si contano
quattro piani: terreno, mezzanino, piano delle gallerie, e soffitta;
per cui basso è il piano inferiore e bassi sono i superiori. Le due
loggie abbracciano in altezza ciascheduna due piani. Le Tavole II e
III offrono le iconografiche rappresentazioni di questo lato, in ogni
piano, secondo l’esatto rilievo dello stato attuale eseguito sulla faccia del luogo.
La interna distribuzione è la seguente:
TAVOLA II
Piano Terreno
A. Casetta a ridosso del prospetto
a) Stanza terrena e scala di legno che conduce al piano superiore
b) Cucina con focolajo
c) Magazzino che non riceve luce diretta da alcuna finestra
B. Casa con ingresso dalla Salizzada
d) Entrata dall’esterno, con una cisterna da un lato
e) Magazzino a sinistra
f) Altro magazzino a destra
C. Loggia terrena, in parte chiusa da assiti e in parte da mare
32
D. Portico o androne di comunicazione coll’interno cortile
E. Sei magazzini locati alla officina dei tabacchi
Piano Dei Mezzanini
A. Casetta a ridosso del prospetto
a) Scala di legno
b) Quattro camere
B. Casa con ingresso dalla Salizzada
c) Scala di legno che dalla entrata terrena mette a tutti i piani
d) Anticamera
e) Cucina con focolajo e fornelli
f) Retro-cucina
g) Stanza
C. Scala provvisoria di legname che dalla loggia terrena conduce
ai mezzanini
D. Altra scala di legno che dai mezzanini mette alla loggia superiore
E. Corridoj di comunicazione
F. Sette camere, in ciascheduna delle quali esistono gli avanzi di
un focolajo ed accessori.
TAVOLA III
Piano Primo o della Galleria
A.
B.
C.
D.
Loggia superiore divisa in diciotto arcate
Tre camere della casa avente accesso dalla Salizzada
Corridoi di comunicazione
Sette camere, ognuna con focolajo ed accessori
Fig.16
Fig.17
Fig.16. Cesare Franco Torello
Fondaco dei Turchi - Pianta piano terra (1602)
Fig.17. Cesare Franco Torello
Fondaco dei Turchi - Pianta piano primo (1602)
Fondaco dei Turchi
Comparazione fra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
Piano a tetto
A. Scala provvisoria che dalla loggia superiore mette a questo
piano
B. Casa con ingresso dalla salizzada
a) Cucina con focolajo
b) Tinello
c) Camera colla finestra a poggiuolo che taglia irregolarmente gli
archi e le decorazioni del prospetto
C. Scala che conduce alle catene del tetto
D. Sette luoghi in sommo disordine
Pochi invero sono gli indizi che ancora rimangono dell’antica condizione interna del Fondaco dei Turchi. Il contorno di una porta di
magazzino, in broccatello di Verona a cordoni salienti: un fregio
dipinto a chiaroscuro appena riconoscibile nella loggia superiore,
ma più conservato nella stanza a tetto sull’angolo di levante: e
qualche architrave a sagome e dentelli murato nelle pareti, sono le
sole vestigia degli interni ornamenti. Veggonsi nella parte centrale
della loggia superiore, a metà circa della sua altezza, sporgere dal
muro maestro parallelo al prospetto, le teste segate delle travi di un
palco; qui la interna muraglia seguì l’andamento tortuoso della facciata ed uscì di piombo; altri danni parziali si ravvisano in varie parti
delle masse murali, e specialmente nella soffitta. La condizione generale dell’edificio è più o meno difettosa, secondo la sua presente
destinazione. In buono stato sono i magazzini appigionati alla officina dei tabacchi, e difesi da pavimenti e da fodere di legname; la
casetta addosso del prospetto è rovinosa, sufficiente invece è l’altra abitazione avente lo ingresso dalla salizzada; in essa nessuna
traccia dello stato primitivo, ma tutto opera di posteriori riduzioni.
I luoghi terreni, non appigionati per deposito di tabacchi, sono greggi; un muro sconnesso avanza da altra casetta; i luoghi superiori
sono abbandonati, corrosi i pavimenti, crollati gli intonachi, mancanti le imposte. La struttura del tetto appuntellato è slegata, e le
incavallature sono assai deboli, e solo alcune minori ed antiche
sopra la loggia, che servono ora di membri ausiliari alle principali,
sono ancora in buono stato. Il colmello, gli arcarecci ed i panconcelli sono deperiti, mentre mediocre è la copertura a tegole e pianelle.
Si vedono chiaramente sulla faccia del luogo e nelle icnografie alle
Tavole II e III, le suddivisioni fatte nei varj piani, con assiti intonacati da ambe le parti, quando l’edificio fu destinato a Fondaco dei
Turchi, e gli originari muri maestri e di tramezzo che servivano alla
primitiva distribuzione. [F. Berchet]
4.1.2. Obiettivo dell’intervento
Perchè l’intervento di restauro fosse finalizzato alla realizzazione di
un nuovo spazio museale, dovevano attuarsi quindi degli interventi
che destinassero a spazio museale la parte della fabbrica prospi-
ciente il Canal Grande, ritenendosi non idonee allo scopo quelle
prospicienti il Rio Megio e la Salizzada; Berchet giustificò questa
rifunzionalizzazione parziale sostenendo che una superficie di ml
40x16 sarebbe bastata alle attività del Museo. Inoltre, affermò, attraverso uno studio delle piante, che si sarebbe potuto raggiungere
lo scopo suddetto approffittando delle parti esistenti colle minori
variazioni possibili. La mancanza di una scalea lo indusse a prevederne una da lui definita grandiosa, avente come perimetro i muri
esistenti, mentre al piano terreno ritenne utile realizzare l’abitazione del custode. Una parte del piano terra doveva poi essere destinata alle guardie del fuoco.
4.1.3. La distribuzione degli spazi
La distribuzione degli ambienti prevista era la seguente:
TAVOLA VI
Piano Terreno
1. Loggia aperta per bassorilievi ed iscrizioni
2. Due sale laterali per le statue
3. Luoghi per le guardie del fuoco, cioè:
a) Dormitorio
b) Magazzino per le trombe
c) Luogo per gli attrezzi
4. Magazzino del civico museo
5. Alloggio del custode che comprende:
d) Ingresso dalla Salizzada
e) Cucina con focolajo, accessori e cisterna
f) Stanzino di guardia
g) Scala che conduce alla camera superiore
6. Scalea che ascende a tutti i piani
7. Androne di comunicazione coll’interno cortile
Piano Dei Mezzanini
8. Studio del direttore
9. Camera del custode
10. Cinque gabinetti per la raccolta dei bronzi, medaglie, oggetti
preziosi, porcellane, majoliche, cristalli ed incisioni
TAVOLA III
Piano della Galleria
11. Tre sale per pinacoteca a destra della scalea e posteriormente
alla loggia
12. Due salotti per la biblioteca a sinistra della scalea
13. Armeria nella gran loggia
33
Fondaco dei Turchi
Comparazione tra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
14. Raccolta Zoppetti, od altro museo speciale nel salotto all’angolo di levante
15. Scala interna di ascesa ad una delle torricelle, mentre per l’altra serve la scalea principale
Piano a tetto
16. Due passaggi dalle scale alle torricelle
17. Due stanze per musei speciali, ricavate nelle due torricelle
4.1.4. I caratteri costruttivi
Berchet incentrò il proprio interesse in particolar modo sugli aspetti
decorativi delle colonne e dei capitelli. In particolar modo su questi ultimi fece una disamina che potremmo definire maniacale, con
una precisa catalogazione ed una accurata descrizione fino ai minimi particolari.
Allo stesso tempo si occupò dell’organizzazione del cantiere descrivendo le lavorazioni che dovevano essere compiute e predisponendo un apposito conto di spesa, con le voci di computo assai
dettagliate per ogni singola lavorazione.
4.1.5. L’esecuzione
Gli interventi proposti dal Berchet si sono articolati a livello esecutivo in quattro lotti: il primo, dal 1862 al 1869 ha riguardato il restauro
del corpo prospettante sul canal Grande, dal 1873 al 1878 si è
34
intervenuto sul corpo prospettante sulla salizzada, dal 1880-84 al
1889 sull’ala lungo il Rio Megio, mentre nel 1890-91 venne costruito il corpo opposto al corpo principale.
4.2. Il restauro di Eugenio Vassallo
Quanto pubblicato ora è una sintesi della ricostruzione delle fasi
progettuali dell’intervento così come sono state riportate in prima
persona dall’Arch. Vassallo nell’opera di Giovanni Carbonara, Restauro Architettonico, UTET.
Si ritiene infatti, pur con tutte le tutele del caso, che la migliore descrizione dell’intervento, così come è avvenuto nel caso del restauro del Berchet, sia quello effettuata dal diretto protagonista.
Abbiamo parlato di “tutele” in quanto ben sappiamo che la Storia
del Restauro, e lo ripetiamo, in quanto parte della storia dell’Architettura, si basa sul cosiddetto “giudizio critico”, e come l’opera del
Berchet è stata recentemente oggetto di un vivace dibattito (vedi
pag…), anche quella del Vassallo sarà soggetta in futuro ad uno
stesso tipo di indagine critica. Pertanto attraverso le parole dirette
del protagonista, avremo una proposta progettuale mediata dalle
proprie convinzioni teoriche ed operative sull’esecuzione di questi
tipi d’intervento, piuttosto che una “verità” assoluta. Del resto, la
storia del restauro ci insegna che non sempre vi è corrispondenza
fra le convinzioni teoriche del restauratore e quello che noi possiamo cogliere dall’osservazione della fabbrica.
4.2.1. Obiettivo dell’intervento
Verrà ora preso in esame la metodologia utilizzata dal
Vassallo per operare in ragione delle finalità di cui abbiamo disquisito nel capitolo precedente.
Fig.18
Occorre tener sempre presente che gli aspetti tecnologici ed anche la metodologia con la quale si eseguono
le indagini sulla fabbrica non sono aspetti totalmente
slegati dall’obiettivo che ci si pone, cioè quello di rifunzionalizzarla per raggiungere lo scopo di renderla maggiormente fruibile dagli utenti.
Per chiarire questo concetto si può fare un esempio.
Se ci si pone l’obiettivo di rendere maggiormente fruibile un edificio, potrebbe essere necessario intervenire
a livello distributivo sugli ambienti, così come è avvenuto nell’edificio oggetto del nostro caso-studio. Ma gli
aspetti distributivi sono strettamente connessi con gli
aspetti tecnologici: infatti potrebbe per esempio essere
necessario intervenire a livello strutturale. Un intervento
strutturale impone una conoscenza approfondita dell’organismo edilizio, in quanto solo conoscendo il suo comFig.18. Veduta della Salizzada
Fondaco dei Turchi
Comparazione fra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
portamento statico possiamo operare di conseguenza. Non solo:
un diverso livello di approfondimento del comportamento statico
della fabbrica ci viene offerto dalla diversa metodologia attraverso
cui si conducono le indagini, in ragione della più o meno avanzata
tecnologia che si utilizza per ottenere i dati da cui partire per operare sulla fabbrica.
In altri termini, se sia un architetto dell’800 che uno contemporaneo
volessero intervenire su di una determinata fabbrica seguendo lo
stesso criterio del minimo intervento, i risultati progettuali cui perverrebbero sarebbero completamente diversi in ragione del fatto
che a quest’ultimo verrebbe data una più ampia possibilità d’intervento data dal maggiore grado di conoscenza della fabbrica offerto
dalle più recenti tecnologie.
Ciò vale non soltanto per gli aspetti statici, ma anche per qualunque risultato che si vuole ottenere a livello prestazionale (in termini
energetici, acustici, etc..), e anche a livello compositivo.
Vi è inoltre da sottolineare come determinati requisiti, per esempio
di abbattimento delle barriere architettoniche, erano praticamente
impossibili da raggiungere due secoli fa, se non attraverso interventi assai invasivi sulla fabbrica, e nello stesso tempo certi tipi di
prestazioni non potevano essere garantite in quanto non venivano
nemmeno prese in considerazione le esigenze che le avrebbero
richieste.
Per questi motivi, riguardo al progetto del Vassallo, verranno approfonditi anche gli aspetti riguardanti la conoscenza della fabbrica
in ragione delle attuali tecnologie d’analisi, e le soluzioni tecnologiche adottate a livello impiantistico proposte nel suo intervento di
restauro.
4.2.2. Il progetto di restauro
Se volessimo definire in poche parole un progetto su manufatti esistenti, potremmo affermare che si tratta di comprendere il costruito
per progettare l’innovazione.
Il Vassallo ha descritto in maniera assai dettagliata nel Carbonara
come è avvenuto questo processo progettuale; in questa sede il
sottoscritto ne proporrà una sintesi seguendo l’ordine dei paragrafi
del Trattato. Chiaramente per gli approfondimenti si rimanda al testo, dal quale comunque è stata estrapolata una notevole quantità
di fotografie.
4.2.2.1. Il programma della committenza
Come accennato nell’introduzione, l’intervento è finalizzato soprattutto a limitare il processo di degrado della fabbrica e di integrarne
la parte impiantistica in ragione del mantenimento della destinazio-
ne d’uso museale, prevedendo nel contempo una diversa distribuzione degli ambienti.
4.2.2.2. Traduzione del programma in linee guida
progettuali
Per ogni intervento nel campo delle opere pubbliche è richiesta,
a monte della redazione del progetto, la cosiddetta metaprogettazione dell’intervento. Attualmente di questo aspetto si occupa il
Responsabile unico del procedimento dell’Amministrazione competente. Tale passaggio, non è un fatto semplicemente burocratico, ma serve soprattutto da guida per permettere al progettista
di valutare quali sono i diversi livelli di approfondimento richiesti
nell’ambito dell’iter progettuale. Questo avviene oggi, dopo la promulgazione delle varie Leggi Merloni.
Il Vassallo si trovò ad operare all’inizio degli anni ’90, prima della
redazione della più recente normativa sui LL.PP., pertanto la redazione del progetto risente da un lato di minori vincoli imposti dalla
normativa del tempo, dall’altro dell’utilizzo anche di una diversa terminologia (nel Carbonara su parla di Progetto di Massima anziché
di Progetto Preliminare e Definitivo).
Questo fatto tuttavia non ha impedito all’architetto di compiere un
percorso progettuale assai ben definito. Proprio di questo percorso
ci occuperemo nei prossimi paragrafi.
4.2.2.3. L’analisi
preliminare
diretta
ed
il
rapporto
Il primo passo che il Vassallo ha compiuto nel suo processo conoscitivo è stato quello che il Carbonara definisce “rilievo mentale”,;
in pratica egli si è fatto un’idea complessiva mediante i sopralluoghi
del tipo d’intervento da realizzare. Questa idea sta a monte di qualunque tipo d’intervento, dal momento che, già quando si decide di
andare sul luogo e di fotografare la fabbrica, il decidere cosa fotografare sulla base dei particolari che in particolar modo hanno colpito l’architetto-osservatore, configura un atto di tipo progettuale.
Il secondo è stato quello di” formare la squadra”, ovvero, di comprendere quali sono le professionalità richieste per l’intervento per
poi ripartire i compiti sulla base delle rispettive competenze.
Il cosiddetto rilievo mentale, di cui il rilievo fotografico costituisce la
traduzione documentale, è considerata una fase assai importante
per il Vassallo in quanto consente al restauratore di preselezionare le parti che maggiormente necessitano d’intervento rispetto a
quelle che possono andare invece in secondo piano, venendosi a
creare in tal modo una gerarchia necessaria perché il percorso progettuale non implichi in seguito dei compromessi, che come ben
sappiamo, comportano la cattiva qualità dell’intervento.
35
Fondaco dei Turchi
Comparazione tra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
Contestualmente egli ha redatto una griglia di ordinamento e di
controllo delle fasi progettuali.
Si sono poi numerati i vari vani in quanto il vano è stato definito
come unità progettuale, nel senso che tutte le informazioni da reperire sulla fabbrica devono essere riferite all’unità minima “vano”.
Accanto a questa fase di tipo progettuale si accompagna una fase
da “storico dell’architettura”, che consiste nel reperimento di tutta la documentazione bibliografica ed iconografica sulla storia del
Fondaco, in particolare gli elaborati grafici e contabili dei lavori effettuati in precedenza.
Sulla base di tali documenti (rilievo fotografico, griglia ordinatrice
e elaborati grafici della preesistenza), si sono definiti gli elaborati
da produrre, redigendosi una sorta di documento preliminare alla
progettazione, gli aspetti da focalizzare e da studiare e quindi la
ripartizione delle competenze tra le varie figure professionali.
4.2.2.4. La documentazione storica
36
Il Vassallo per poter operare sulla fabbrica in maniera critica, ha
fatto ricorso ad un’ampia documentazione storica, pubblicata al termine del capitolo del Carbonara dedicato alla descrizione dell’intervento. Sulla base di quanto scritto da lui stesso nel Trattato, possiamo ritenere che il documento cardine di tutti i suoi studi storici
sia stata la pubblicazione “BERCHET F., SAGREDO A., 1860, Il
Fondaco dei Turchi in Venezia, Civelli, Milano.”, che è, in pratica
la stessa pubblicazione cui il sottoscritto ha fatto riferimento per
esaminare l’opera del Berchet. Pertanto nella presente ricerca possiamo cogliere il fatto che il restauro del Vassallo è stato sicuramente condizionato dallo studio che egli ha effettuato sul restauro
del Berchet, e di conseguenza affermare che per comprendere al
meglio l’intervento del primo occorra necessariamente conoscere
bene anche l’intervento del secondo.
4.2.2.5. Il rilievo geometrico
Il rilievo geometrico è una fase assai importante nei progetti che
riguardano l’esistente, in quanto permette di trasferire sulla carta
una grande quantità di informazioni che diventano input progettuali. Egli ha articolato il rilievo geometrico in tre parti: topografico,
fotogrammetrico e diretto, con il primo funzionale agli altri due.
Le tecnologie utilizzate sono quelle degli inizi degli anni ’90, utilizzando software in quell’epoca innovativi, ma che noi attualmente
usiamo nella quotidianità (anche di fotoritocco). Il fatto che il rilievo topografico sia stato effettuato in maniera precisa, ha agevolato molto il rilievo delle misurazioni prese vano per vano (che
sono quelle più importanti), come succede al giorno d’oggi quando
per esempio dobbiamo fare il rilievo di un appartamento, per la
realizzazione di opere interne: quando per il rilievo delle misure ci
si basa sul layout offerto da una pianta dell’esistente abbastanza
Fig.19. Fondaco dei Turchi
Prelievo di un campione dal paramento lapideo
precisa (per esempio una planimetria catastale), è assai agevole
riferire ad essa le misure prese in cantiere, e quindi ottenere una
ricostruzione precisa dello stato dei luoghi.
4.2.2.6. Il rilievo dei particolari costruttivi
Successiva al rilievo dei vari vani è stata effettuato il rilievo idei
dettagli che ha riguardato tutti gli elementi architettonici, funzionali,
decorativi e costruttivi.
Ricordiamo che il Berchet aveva accentrato la sua attenzione soprattutto riguardo agli aspetti decorativi; il Vassallo invece rappresenta tutti gli infissi interni ed esterni, le cornici, i pilastri e le colonne. Ogni elemento è stato rappresentato singolarmente e non per
abachi in quanto egli ha potuto notare che elementi appartenenti
alla stessa categoria differivano fra di loro per via del fatto che sono
stati realizzati in epoche differenti e hanno avuto differenti vicende,
ed inoltre, essendo stati realizzati con tecniche artigianali, presentano quei caratteri di unicità che invece noi non cogliamo nei manufatti industriali.
Si sono inoltre rilevati i tipi di soffitti, le coperture, le pavimentazioni,
gli arredi fissi e gli impianti e si è fatta poi l’indagine dei materiali
costitutivi di ciascuna parte o elemento.
Una parte del rilievo ha poi riguardato i materiali, in particolar modo
la struttura muraria: mattoni, intonaci, marmi di rivestimento, chiodature, canali degli impianti, dipinture.
4.2.2.7. Le indagini tecniche (analisi strumentale)
Il Vassallo ha descritto nel Carbonara quali debbano essere i criteri da cui muoversi per
compiere le indagini tecniche.
Rispetto al periodo del Berchet
vi è stato un grande salto tecnologico riguardo agli strumenti
utili per diagnosticare le patologie cui potrebbe essere afflitto
un organismo edilizio, tuttavia il
Vassallo ritiene che nell’analisi
debba essere considerato prevalente il primato della percettività rispetto ad un eccessivo
ripiegamento ad un utilizzo acritico della tecnologia.
Pertanto l’analisi strumentale
sarà soltanto un importante momento di approfondimento per
quegli aspetti che la percezione
Fig.20. Fondaco dei Turchi
Analisi del paramento lapideo
Fig.19
Fig.20
Fondaco dei Turchi
Comparazione fra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
diretta non ci permette di rilevare. Questa considerazione deve essere effettuata in ragione del fatto che le risorse da destinare a
costose analisi e prove di laboratorio non possono essere infinite e
quindi devono essere mirate al conseguimento di risultati utili all’intervento.
Si è quindi operato secondo un progetto delle indagini tecniche,
in ragione anche del livello di approfondimento richiesto dalla fase
progettuale (di massima od esecutiva), per ottenere in tal modo
Fig.21
piano terra, fino ad allora adibiti ad altri usi.
4.2.3.1. Aspetti distributivi e costruttivi
La riorganizzazione, come si può notare dalla documentazione allegata, ha riguardato esclusivamente gli spazi serventi, in quanto
quelli serviti, all’interno dei quali si sviluppano i vari percorsi sono
rimasti inalterati, essendo stati considerati memoria storica del museo. Del resto lo stesso Berchet, nella pubblicazione più volte citata aveva considerato l’idoneità della destinazione d’uso di
tipo museale, che viene offerta dalla possibilità di ottenere
all’interno del palazzo quei percorsi conoscitivi caratteristici
degli edifici di tipo espositivo.
Il primo intervento previsto in sede di progettazione ha riguardato le facciate. Se per il Berchet la facciata sul Canal
Grande sarebbe stata la parte maggiormente interessata
ad un intevento di tipo innovativo, volendo egli riaffermare
uno stile che si era perso nei secoli in ragione delle variazioni di destinazione d’uso del Fondaco, per Vassallo
invece essa doveva essere interessata solo ad interventi
di tipo conservativo, anche perché rispetto al precedente
intervento del Berchet non era cambiata la finalità museale
del palazzo, e oltretutto venivano confermati i percorsi dei
visitatori al suo interno. Gli interventi su tale facciata sono
stati quindi puntuali e valutati caso per caso. Stesso discorso è valso per le facciate sulla salizzada, sul Rio Megio e
sulla corte interna.
informazioni sulle forme di degrado e dissesto presenti, per conoscere le strutture e gli elementi più segnati, per avere un quadro
delle destinazioni d’uso e formulare le prime ipotesi sulle possibili
linee d’intervento.
La prima fase è stata quella delle indagini campione, poi si è generalizzata l’indagine all’intero edificio. In questa sede non si disquisirà sull’esame di ciascun tipo di indagine, che viene trattato nello
specifico sul Carbonara.
4.2.2.8. Valutazione degli elementi acquisiti
Tutti i dati acquisti sono stati quindi valutati in maniera organica per
elaborare la proposta progettuale.
4.2.3. La proposta d’intervento
Si è quindi proposto un intervento di tipo conservativo nella logica
del minimo intervento, cercando di limitarlo ad una razionalizzazione della distribuzione interna, all’acquisizione di alcuni locali al
Gli interventi sulle facciate, come pure sui pavimenti, sui
rivestimenti e sulle coperture sono stati perlopiù a carattere manutentorio e sostitutorio delle parti ammalorate, quasi a voler definire l’opera di restauro quale sommatoria concentrata in un
tempo ristretto di interventi manutentori non effettuatisi in passato
nei modi e nei tempi previsti per una sana conservazione della fabbrica.
Al piano terra si è pensato di costruire la vasca, mediante l’abbattimento delle pareti divisorie e di utilizzare gli ambienti interessati
dall’intervento come sede della biblioteca: deposito, sala cataloghi
e distribuzione, sala lettura; viene inoltre riaperto un vano di porta per consentire un collegamento continuo con tutta l’ala lungo il
rio del Megio. La biblioteca viene trasferita dal piano ammezzato
al piano terra per motivi statici e per offrire ad essa possibilità di
ampliamento. È importante sottolineare che si è intervenuto anche
in termini di servizi igienici, adattando quello esistente in modo da
garantire la fruibilità ai portatori di handicap, e realizzandone ex
novo un secondo.
Al piano ammezzato si interviene con l’apertura di una porta verso
la corte per garantire l’accesso all’ascensore e la creazione di un
nuovo locale igienico e con lo spostamento della porta di accesso
Fig.21. Fondaco dei Turchi
Prospetto con l’indicazione dei materiali individuati a vista e della porzione sulla quale svolgere le indagini.
37
Fondaco dei Turchi
Comparazione tra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
al servizio igienico esistente presso la torretta d’angolo fra il Canal
Grande e la Salizzada.
Al primo piano si è intervenuto creando un servizio igienico.
Al secondo piano si è abbassato il solaio per garantire lo smonto dell’ascensore e per realizzare una passerella che metta in comunicazione la parte posteriore con quella anteriore del Fondaco.
Questo intervento comporta la realizzazione di due piccole scale
per garantire il collegamento tra i vari ambienti. Si sono poi creati
due locali igienici nel secondo piano, nel sottotetto in prossimità
della torretta d’angolo tra il Canal Grande ed il rio del Megio.
4.2.3.2. Gli impianti
Nella parte posteriore del Fondaco è stata prevista l’installazione
dell’ascensore rispettoso della normativa sui portatori di handicap.
Si è intervenuto sull’impianto termico, mediante integrazione della
centrale termica, e soprattutto sull’impianto di climatizzazione, per
garantire da un lato il benessere dei visitatori, dall’altro la corretta
conservazione dei reperti organici, dei libri della biblioteca e per
evitare il deterioramento delle finiture interne.
38
Per quanto riguarda l’impianto elettrico bisogna fare un discorso
particolare, in quanto, pur realizzato posteriormente al restauro del
Berchet, è stato nel tempo oggetto di continue integrazioni e modificazioni. Inoltre esso si presentava a norma per l’epoca in cui
tali modifiche venivano realizzate, ma non nei periodi successivi.
L’impianto è stato quindi modificato, anche per renderlo a norma,
mediante la realizzazione di interventi che non fossero sottotraccia
in quanto in questo modo si garantisce di non intervenire in maniera intrusiva sulle tamponature.
4.2.4. L’esecuzione dell’intervento
Dal progetto di massima è disceso il progetto esecutivo, e, sulla
base di quest’ultimo è stato eseguito l’intervento. Il Fondaco dei
Turchi è stato riaperto l’8 marzo 2010 conservando la sua destinazione d’uso museale.
Fondaco dei Turchi
Comparazione fra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
5. Conclusioni
5.1. Analisi critica
Al quarto capitolo dei “Il Fondaco dei Turchi in Venezia”, il Berchet
così motiva la necessità di vincere le inerzie che si oppongono alla
volontà di eseguire il restauro:
“Spesso hanno il nome di saggi, e il volgo ne applaude gli arcani
concetti, coloro i quali allibiscono alla sola idea di riparare un danno, animi gretti, cui nessun civile pensiero ha mai confortato la vita;
altri invece non rifuggono da checchessia purché l’arca si impingui,
e lo ingegno da nobili ispirazioni da Dio loro concesso sprecano in
avari raggiri, invano da nomi onesti coperti”.
Bisogna ora intendere in che termini il Berchet definisce il restauro.
Per far questo riassumiamo in breve il percorso mentale che egli
ha effettuato per giungere alla conclusione di poter intervenire sulla
fabbrica nel modo giudicato da lui opportuno.
Egli è partito dalla necessità di dover riedificare un edificio definito
distrutto: “Ardua cosa ella è, il voler riedificare, sia colle parole, sia
coi disegni, un edificio distrutto, quando non se ne abbia la pianta,
o non sussistano vestigi”. Per cui per il Berchet si tratta di intervento di riedificazione, con la finalità di restituire alla fabbrica la sua
identità originaria, non valorizzando quindi il concetto di rovina, e
legittimando in tal modo un intervento di restauro molto “spinto”. A
lui basta un disegno del ‘500 assai approssimativo in quanto colui
che lo ha rappresentato era mosso da intenti di tipo urbanistico,
non solo per comprendere lo stato dei luoghi originario, ma soprattutto per ristabilire le esatte proporzioni tra le parti da riedificare (le
pseudo torri).
Il Berchet concentra la sua attenzione sulla facciata sul Canal
Grande, ovverossia sul percorso più importante che taglia il Sestiere di Santa Croce, mostrando meno interesse sugli altri fronti, e
della facciata ripropone la monumentalità da lui ritenuta originaria;
si concentra sugli aspetti decorativi, e poi suggerisce la destinazione d’uso della fabbrica.
Il Vassallo invece effettua un intervento totalmente diverso, in
quanto realizza un intervento minimo, concentrato sugli aspetti
funzionali, attingendo però ad una grande quantità di materiale documentale.
Potremmo, nel caso del Vassallo, valutare l’intervento di restauro
nei termini di una semplice rifunzionalizzazione degli spazi, cui
va aggiunta la concentrazione in uno stretto lasso di tempo di tutti
quegli interventi di tipo manutentivo che non sono stati effettuati nei
decenni precedenti.
Egli inoltre, a testimonianza della sua delicatezza nell’intervenire
sul Fondaco, sostiene: “deve essere sempre chiaro che di fronte
al progettista non vi è l’Architettura, ma sempre e solo singole architetture da analizzare e valutare nella loro individualità. Nel no-
stro caso vi è il Fondaco dei Turchi nella sua attuale condizione
materiale e con la sua storia, poste in luce dalle indagini svolte fino
a questo punto; un lavoro che ha messo in rilievo alcuni elementi
da approfondire in relazione alle esigenze del restauro che stiamo
progettando”.
5.2. Inquadramento nell’ambito della
teoria del restauro
Nel caso del Berchet si è trattato quindi di un intervento concentrato sulla riproposizione di valori estetici in linea con la corrente
del restauro stilistico, di cui è peraltro uno dei massimi esponenti,
mentre per quanto riguarda il Vassallo siamo nel caso del restauro
critico: per quest’ultimo ogni architettura diventa un caso a sé.
39
Fondaco dei Turchi
Comparazione fra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
5. Biografia di eugenio vassallo
Eugenio Vassallo (1949), Ordinario
di restauro architettonico presso l’Università IUAV di Venezia, laureato
in Architettura (I975), Specializzato
in Restauro (1979), Architetto presso
la Soprintendenza ai Beni Architettonici di Venezia (1980-1988), insegna
all’Università dal 1998.
Ha coordinato ricerche nazionali ed
internazionali nel campo del restauro
architettonico. Ha pubblicato articoli e saggi su volumi e riviste italiane e straniere su questioni di metodo e momenti di storia del restauro. Ha vinto numerosi concorsi nazionali ed internazionali per il
restauro di beni architettonici, progettando e dirigendo poi i lavori.
Tra le pubblicazioni: Riflessioni sugli orizzonti del restauro in Europa, 2002; Armando Dillon Le contraddizioni sono speranze, 2004;
Ruskin, Viollet-le-Duc y Venecia, 2004; I segni del tempo. Restauro, Architettura, architetture, 2004; Cavallino – Treporti. Progetti per
un’idea di parco, 2006; Progetto, realizzazione, durata e restauro
della struttura in calcestruzzo armato della volta della Basilica palladiana di Vicenza, 2008; Victor Hugo, Eugène Viollet-le-Duc, Notre-Dame de Paris, 2008; Storici e restauro, 2011; Il restauro della
Basilica palladiana di Vicenza (2007-2012), 2012.
Diversi suoi progetti e realizzazioni sono stati pubblicati: il Fondaco
dei Turchi a Venezia (Torino, 1996), il Pio loco delle Penitenti a
Venezia (Milano, 1999), la nuova Accademia di belle arti a Venezia (Venezia, 2001; Venezia, 2007), l’ex pescheria di riva Nazario
Sauro a Trieste (Milano, 2002; Trieste, 2006), la villa Contarini a
Piazzola sul Brenta (Venezia, 2004; Torino, 2011); Cà Loredan (Firenze, 2008; Torino, 2013).
41
Fondaco dei Turchi
Comparazione fra i restari effettuati dall’Arch. federico Berchet e dal Prof. Arch. Eugenio Vassallo
7. Bibliografia
7.1. bibliografia specifica
7.1.1. Testi cartacei di riferimento
- AGOSTINO SAGREDO, FEDERICO BERCHET, Il Fondaco
dei Turchi in Venezia: Studi storici ed Artistici di Agostino
Sagredo e Federico Berchet, Nabu Press. Copia anastatica
di: AGOSTINO SAGREDO, FEDERICO BERCHET, 1860, Il
Fondaco dei Turchi, Civelli
- GIOVANNI CARBONARA,
Architettonico, UTET
1996,
Trattato
di
Restauro
7.1.2. Siti internet parti testuali
da Wikipedia: è stata estratta la parte rigurdante:
- Capitolo 1: Lo stato attuale dei luoghi, paragrafo 1.2.3.;
- Capitolo 2: Il contesto storico-urbanistico, eccetto il paragrafo 2.2;
- Capitolo 1, paragrafo 1.1.: http://gritti.provincia.venezia.it/cittadinanza_europea/il_fondaco_dei_turchi.htm
AAAAAAAAKVU/8MQUfDsHeGg/s1600/Venezia+-.jpg
Fig.9:http://venicexplorer.net/venezia/avi/maps/movies_santa_
croce.jpg
Fig10:http://i34.tinypic.com/nogi9f.jpg
Fig.11:http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/e/
ef/Venezia_SC_PONTE_DEL_MEGIO_20111019.jpg/1024px-Venezia_SC_PONTE_DEL_MEGIO_20111019.jpg
Fig.13: http://www.kollerauktionen.ch/images/Auktion/A152_
w224/Highres/3062_1.jpg
Fig.14:http://www.mereweather.net/Turchi600.JPG
Fig.15:http://venicecroatia.umwblogs.org/files/2013/10/veneziafondacodeiturchiki3.jpg
Tutte le altre figure, comprese quelle degli allegati, sonostate
estratte da:
Giovanni Carbonara, Trattato di Restauro Architettonico, UTET
- Capitolo 1, paragrafo 1.2.2. :http://wwwcdf.pd.infn.it/dorigo/EDILIZIA.html da Wladimiro Dorigo
- Capitolo 1, paragrafo 1.3.: http://www2.vaporettoarte.com/index.
php/it/cosa-offre/23-pagine-sito/cosa-offre/partner-e-strutture/fondazione-musei-civici-venezia/75-museo-di-storia-naturale#descrizione
- Capitolo 1, paragrafo 1.3.1.3.: http://msn.visitmuve.it/wp-content/
uploads/2013/01/Riapertura-Museo-di-Storia-Naturale-di-Venezia-2010.pdf
7.1.3. Siti internet immagini
Fig.1:http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/8/80/Fon-
daco_dei_Turchi.jpg
Fig.2:Immagine aerea Bing Maps
Fig.3:Immagine Google Earth
Fig.4:http://www.bambiniavenezia.it/wp-content/uploads/2013/05/
Museo%20SN%202-1368020029.jpg
Fig.5:http://4.bp.blogspot.com/-npSgBHijk3E/Tx8icUpPpZI/AAAAAAAAC10/M10xO1b2bWQ/s640/Venezia+Palazzo+Ducale+nel+XII+secolo.JPG
Fig.6: Wikipedia
Fig.7: http://www.ilgiornaledellarchitettura.com/immagini/
IMG20100524172554512_900_700.jpeg
Fig.8:http://2.bp.blogspot.com/-YC81njVUpFc/UBmoXozYkYI/
43
Allegati grafici
Stato dei luoghi anteriore al progetto di Federico Berchet
Bernardino Maccaruzzi
Fondaco dei Turchi
Pianta piano terra
(1768)
Federico Berchet
Giuseppe Bianco
Fondaco dei Turchi
Pianta piano terra prima dei
lavori
(1858)
Bernardino Maccaruzzi
Fondaco dei Turchi
Pianta piano secondo
(1768)
Federico Berchet
Giuseppe Bianco
Fondaco dei Turchi
Pianta piano primo prima dei
lavori
(1858)
Federico Berchet
Giuseppe Bianco
Fondaco dei Turchi
Pianta piano secondo prima
dei lavori
(1858)
progetto di Federico Berchet
Federico Berchet
Fondaco dei Turchi
Progetto del restauro
Pianta piano primo
Federico Berchet
Fondaco dei Turchi
Progetto del restauro
Pianta piano secondo
Federico Berchet
Fondaco dei Turchi
Progetto del restauro
Pianta copertura
Federico Berchet
Fondaco dei Turchi
Progetto del restauro Facciata sul Canal
Grande
Federico Berchet
Fondaco dei Turchi
Progetto del restauro
Pianta e sezione dei
corpi laterali
Federico Berchet
Fondaco dei Turchi
Progetto del restauro
Particolari costruttivi
Fondaco dei Turchi
Progetto del restauro
Facciata sul Canal Grande
Grafico per la certificazione
dei lavori
Federico Berchet
Fondaco dei Turchi
Progetto del restauro
Particolari del vano scala
Rilievo di Eugenio Vassallo
Eugenio Vassallo
Fondaco dei Turchi
Rilievo quotato
Pianta piano terra
Eugenio Vassallo
Fondaco dei Turchi
Rilievo quotato
Pianta piano ammezzato
Eugenio Vassallo
Fondaco dei Turchi
Rilievo quotato
Pianta piano primo
Eugenio Vassallo
Fondaco dei Turchi
Rilievo quotato
Pianta piano secondo
Eugenio Vassallo
Fondaco dei Turchi
Rilievo
Prospetto sul Canal Grande
Eugenio Vassallo
Fondaco dei Turchi
Rilievo
Facciata sulla salizzada
Eugenio Vassallo
Fondaco dei Turchi
Rilievo corte interna
Facciata sud
Eugenio Vassallo
Fondaco dei Turchi
Rilievo
Facciata sul Rio del Megio
Eugenio Vassallo
Fondaco dei Turchi
Rilievo corte interna
Facciata est
Eugenio Vassallo
Fondaco dei Turchi
Rilievo
Sezioni
Progetto di Eugenio Vassallo
Eugenio Vassallo
Fondaco dei Turchi
Progetto di restauro
Pianta piano terra
Eugenio Vassallo
Fondaco dei Turchi
Progetto di restauro
Pianta piano ammezzato
Eugenio Vassallo
Fondaco dei Turchi
Progetto di restauro
Pianta piano primo
Eugenio Vassallo
Fondaco dei Turchi
Progetto di restauro
Pianta piano secondo
Eugenio Vassallo
Fondaco dei Turchi
Progetto di restauro
Sezioni
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