Olismo o individualismo in Marx? Sull`ultimo libro di Ernesto

Olismo o individualismo in Marx? Sull’ultimo libro di Ernesto
Screpanti, Marx dalla totalità alla moltitudine (1841-1843)
di Luca Basso
Nei testi fra il 1841 e il 1843 Marx comincia a elaborare una forma molto sofisticata di
individualismo, definibile come “istituzionale”. A torto, perciò, gli si continua ad attribuire
un’adesione al paradigma olistico ed hegeliano. Questa è la consapevolezza raggiunta nella sua
ricerca critica da Ernesto Screpanti, il quale si viene così avvicinando ad alcune delle più
sollecitanti traiettorie teoriche del post-althusserismo.
In passato, anche sulla base di un “cortocircuito” fra valutazione del marxismo e critica
dell’esperienza storica del socialismo reale, troppo spesso si è interpretato il senso complessivo del
discorso marxiano all’insegna di una sorta di olismo, a scapito del riconoscimento delle capacità e
delle facoltà individuali. Dall’altro lato, in particolare negli anni ’80, il marxismo analitico (Elster,
Roemer…) ha fortemente valorizzato l’approccio dell’individualismo metodologico – seppur
mitigato da politiche di redistribuzione sociale –, sottolineandone una potenziale compatibilità con
la prospettiva delineata da Marx, e nello stesso tempo mettendo in luce, di quest’ultima, una serie di
limiti e di possibili “cadute” olistiche. L’impostazione del marxismo analitico si rivela compatibile,
per molti versi, con una pratica “riformista”, volta ad attutire le diseguaglianze prodotte dal sistema
capitalistico, ma senza mettere in discussione in modo radicale quest’ultimo: così viene fortemente
ridotto, se non annullato, l’elemento della lotta di classe, e quindi il carattere politicamente
dirompente dell’orizzonte marxiano. Il libro di Ernesto Screpanti, Marx dalla totalità alla
moltitudine (1841-1843) (Petite Plaisance, Pistoia 2013), presenta, in primo luogo, il merito di
sottoporre a critica qualsiasi interpretazione olistica del percorso marxiano, senza però con questo
aderire a una visione che in qualche modo legittimi l’individualismo capitalistico, per quanto
mitigato da una serie di misure sociali. A differenza che nei teorici del marxismo analitico, non ci si
trova di fronte a un marxismo senza comunismo: il termine “comunismo” non viene bandito dal
ragionamento, ma piuttosto rideclinato secondo una piegatura libertaria, come emergeva anche da
un suo precedente lavoro, Comunismo libertario. Marx, Engels e l’economia politica della
liberazione (il manifestolibri, Roma 2007, trad. ingl., Palgrave Macmillan, Basingstoke 2007). In
secondo luogo, l’aspetto interessante del libro è fornito dal fatto che tale critica all’olismo viene
calata in un’analisi specifica di una fase del percorso marxiano, dal 1841 al 1843, che non è stata
sufficientemente approfondita dagli interpreti: qui iniziano a emergere alcuni elementi significativi,
che, seppur in modo non lineare, risulteranno gravidi di sviluppi ulteriori.
Prima di spiegare in che senso, secondo Screpanti, l’itinerario marxiano si contraddistingua,
anche se con contraddizioni e ambiguità interne, per una forma di individualismo, e non di olismo,
occorre chiarire in che modo vengano declinate le categorie in questione: “L’olismo ontologico è
basato su un assioma secondo cui esistono agenti collettivi emergenti rispetto ai loro componenti
individuali, tali cioè che il loro agire non è determinato interamente dall’agire dei componenti
individuali e dalle relazioni tra essi esistenti. Questo assioma può essere trasposto in un postulato di
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olismo metodologico, secondo il quale per spiegare l’azione di un agente collettivo non è sufficiente
conoscere i comportamenti e le relazioni dei suoi componenti” (p. 155). Contrapposto all’approccio
olistico, si trova “un postulato di individualismo metodologico, il quale asserisce che per conoscere
il comportamento di un ente collettivo è sufficiente conoscere il comportamento dei suoi
componenti individuali e le relazioni tra essi esistenti […] La definizione della sufficienza piuttosto
che della necessità della riduzione individualistica serve per formulare una definizione generale […]
la rilevanza del postulato d’individualismo metodologico si coglie proprio nell’ambito
dell’ontologia. Infatti esso nega validità al postulato di olismo metodologico […]” (pp. 156-157). Si
rivela necessario precisare che la modalità di individualismo che qui viene delineata non è
l’individualismo “possessivo” moderno, e meno che mai l’individualismo sotteso al neoliberalismo
odierno. In termini generali, il riferimento non è certo a un individuo isolato, a un individuo-atomo,
svincolato dalle condizioni, dalle relazioni e dai contesti in cui opera. Non a caso, viene adoperata
al riguardo la categoria di individualismo istituzionale: “Un tipo particolare di individualismo
metodologico è denominato individualismo istituzionale. Asserisce che i comportamenti individuali
di un aggregato sociale devono essere studiati con riferimento alle istituzioni storicamente
determinate in cui si trovano immersi […] L’individualismo istituzionale […] nega che i
componenti di un ente collettivo possano essere identificati negli individui astratti a cui rinvia gran
parte del pensiero contrattualista e utilitarista“ (pp. 159-160). Secondo Screpanti tale teorizzazione
dell’individualismo istituzionale non costituisce una sorta di “terza via” fra individualismo e
olismo: comunque sia, si distanzia in modo netto da ogni modalità liberale di individualismo e
presenta caratteristiche peculiari, a tal punto da renderlo compatibile, in una sua accezione
machiavellicamente “tumultuaria”, con l’elemento del comunismo marxiano. Ma occorre esaminare
come questa impostazione generale venga calata in un’analisi specifica dei primi testi marxiani.
Il libro è incentrato sui testi dal 1841 al 1843, con particolare rilievo agli scritti inediti
rispetto a quelli editi, e con particolare interesse per gli estratti da testi e autori classici della storia
della filosofia. Sulla base di questa interpretazione interna delle prime opere marxiane, si articola in
sei capitoli (e in due appendici), in cui estremamente rilevante risulta il “corpo a corpo” con
Leibniz, Spinoza, Rousseau, Machiavelli (oltre che, in misura minore, con Montesquieu, Hume e
Hamilton), ai quali Marx ha dedicato specifici estratti. Screpanti sottolinea, da un lato, che
l’attraversamento dei testi dei filosofi indicati si rivela cruciale per la comprensione del percorso
marxiano successivo, e, dall’altro, che ci si trova di fronte a una trascrizione, seppur “orientata”, di
opere, e non a un’elaborazione compiuta. “E’ proprio questo il periodo in cui si compie la
conversione dall’idealismo e dal democraticismo radicale al materialismo e al comunismo […] il
passaggio di Marx al comunismo alla fine del 1843 rimarrebbe un perfetto mistero se non si tenesse
conto dei Quaderni di Kreuznach […] i Quaderni di Kreuznach e la Kritik del 1843 rimarrebbero a
loro volta un perfetto mistero se non si tenesse conto dei Quaderni di Berlino, con cui inizia il
percorso di ricerca che a quegli scritti approda” (p. 6). Nel secondo dopoguerra un forte stimolo alla
valorizzazione delle opere giovanili marxiane è stato rappresentato dalla riflessione di Galvano
Della Volpe, che ha colto nuclei teorici molto rilevanti, e che nello stesso tempo ha interpretato tali
testi in modo acritico, concependoli sic et simpliciter come una compiuta prefigurazione del Marx
“maturo”. Una sorta di contraltare rispetto a tale valorizzazione del giovane Marx è fornita dalla
tematizzazione di Louis Althusser, fortemente critica nei confronti dell’umanismo e del (presunto o
reale) essenzialismo di tale concezione. Secondo Screpanti, la “rottura epistemologica” marxiana si
sarebbe verificata prima del 1844-1845: il presente libro si propone proprio di far emergere la
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vitalità, seppur con ambivalenze, degli scritti marxiani antecedenti al 1844, sulla base di
un’instabilità interna, di un’oscillazione “tra romanticismo e illuminismo, tra idealismo e scienza”
(p. 12). Questo approccio permette di mettere in discussione, o perlomeno di problematizzare la
questione, per così dire, dei “due” Marx, del “giovane” Marx e del Marx “maturo”: infatti, nella
storia del marxismo troppo frequentemente si è insistito sulla valorizzazione o del “giovane” Marx
o del Marx “maturo”, operando contrapposizioni discutibili sul piano filologico e sulla base di
opzioni teorico-politiche oggi per lo più datate. Inoltre, anche soffermandosi sul cosiddetto
“giovane” Marx, occorre rilevare che non ci si trova di fronte a un corpus perfettamente compatto e
sistematicamente delineato: all’interno del ragionamento esistono tensioni contrastanti, non sempre
risolte in modo chiaro, e quindi anche ambiguità. Ma queste ultime non vengono a configurare un
compiuto organicismo, al contrario di quanto spesso è stato sottolineato.
Tra i Quaderni di Berlino, significativo è quello dedicato a Leibniz, di cui vengono
valorizzati in primis il metodo scientifico e la concezione dell’individualità. Per quanto concerne
quest’ultima, “l’individualità in quanto singolarità irriducibile costituisce il fondamento ontologico
della realtà sociale […]” (p. 18): “Togliendo Dio dal discorso di Leibniz, Marx approda a una
ontologia sociale per la quale gli agenti individuali sono condizionati dalle relazioni sociali e dalle
azioni e reazioni reciproche […] Ciò accade perché gli individui sono incapaci di rappresentarsi
l’universo se non a partire da punti di vista particolari e parziali” (p. 27). Secondo Screpanti è in
questi termini che comincia a prendere corpo la concezione marxiana del soggetto umano quale
‘uomo sociale’. Sempre all’interno dei Quaderni di Berlino, particolarmente interessanti sono gli
estratti dal Trattato teologico-politico: si tratta di “una ricostruzione intenzionata della teoria
politica spinoziana” (p. 31). Il centro dell’interesse marxiano consiste nella trattazione della
democrazia, che costituisce una sorta di prefigurazione del comunismo. Seppur con una serie di
difficoltà interne, il Marx lettore di Spinoza tenta di dare vita a una concezione realistica della
democrazia: “[Marx] tende a vedere nella democrazia, intesa come autogoverno razionale della
moltitudine, una possibilità storica reale, anzi, quasi una necessità dello sviluppo storico” (pp. 3334). Qui viene introdotto il concetto di moltitudine, presente anche nel titolo del libro, nella sua
irriducibilità a popolo compatto e omogeneo, a totalità. Alla base di tale “democrazia” della
moltitudine stanno soggetti individuali. Tale visione non si configura quindi come negazione
dell’individualismo: “Un processo politico realmente democratico deve essere fondato su un
postulato d’individualismo etico, mentre una teoria libertaria della democrazia e della rivoluzione
deve essere costruita nel rispetto del postulato d’individualismo metodologico. Soggetti ultimi dei
processi politici sono gli individui concreti […]” (pp. 35-36). L’attraversamento dei testi leibniziani
e spinoziani, seppur sulla base di percorsi differenziati e complessi, ha permesso di far emergere
con sempre maggior forza il ruolo degli individui, che nel caso di Spinoza vengono a formare una
moltitudine insorgente.
Si rivela però necessario esaminare gli elementi idealistici, secondo Screpanti con la loro
problematicità, in particolare attraverso la mediazione di Bruno Bauer e di Ludwig Feuerbach. In
realtà Screpanti opera una precisa differenziazione fra le due influenze indicate: “Tutti gli studi
degli anni 1838-1841, dalla tesi di laurea ai Quaderni di Berlino sono svolti sotto l’egida della
filosofia dell’autocoscienza di Bruno Bauer […]” (p. 41). Dal 1843, e ancor più nel 1844, la figura
di riferimento diventa Feuerbach: ciò si configura come “una condizione di regresso verso posizioni
essenzialiste e olistiche“ (p. 44). Lo stesso concetto di Gattung, presente nella Critica della filosofia
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hegeliana del diritto pubblico ma con una funzione non decisiva, col passare del tempo, e in
particolare nel 1844 diventa cruciale, e la sua rilevanza si attenua fortemente solo con le Tesi su
Feuerbach e soprattutto con L’ideologia tedesca. In ogni caso, nel periodo indicato rimane
un’”ombra” hegeliana, con la sua ambivalenza: “[…] Marx stesso ricade talora nell’olismo. Lo fa
ipostatizzando a sua volta un ente collettivo come il popolo […] L’influenza hegeliana sulla
formazione della componente olistica del pensiero di Marx è piuttosto forte, ed è disastrosa. Ciò
nondimeno un’influenza hegeliana si fa sentire anche sulla sua presa di distanza dall’individualismo
astratto del contrattualismo liberale, e in questo caso è benefica” (p. 50). Infatti, nell’intera
produzione marxiana costante è la critica, con la sua chiara ascendenza hegeliana, al
contrattualismo: si pensi al passo folgorante sulle “Robinsonaden” contenuto nella Einleitung del
’57. Ma tale approccio non implica la presenza di una posizione organicistica e anti-individualistica:
d’altronde, come dimostra la teorizzazione marxiana successiva, dall’Ideologia tedesca ai
Grundrisse, centrale è il riferimento alla libera individualità, possibile solo a partire dai presupposti
forniti dal sistema capitalistico. Il richiamo all’aristotelico zoon politikon deve quindi essere inteso
nei suoi giusti confini: “La distanza tra Aristotele e Marx nella definizione della socialità umana è
notevole: lì abbiamo l’idea di una natura umana che è essenzialmente socievole […], qui
l’antinaturalistica definizione di una plurale soggettività sociale come realtà empirica storicamente
situata […]” (p. 53). E’ importante rimarcare la “carica” antinaturalistica del discorso marxiano, e
quindi la sua irriducibilità non a ogni antropologia, ma a ogni antropologia astratta, essenzialistica
(pur esistendo ambiguità in tal senso, soprattutto nei primi testi).
E’ a partire dalle considerazioni svolte, che mettono in luce la permanenza di moduli
idealistici e insieme l’affacciarsi di elementi che vanno in una direzione diversa, che occorre
interpretare un testo come la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, “fondamentale
per la costruzione della teoria politica del comunismo” (p. 58): “Marx usa la critica individualista
all’olismo ontologico di Hegel per decostruire la sua concezione dello Stato come realtà che si
autolegittima spiritualmente […]“ (pp. 64-65). Marx non si limita a polemizzare contro l’“olismo
ontologico di Hegel”, ma articola una posizione individualistica, radicata però nella concretezza
delle sfere sociali e politiche. Al riguardo è necessario riprendere la differenziazione
precedentemente compiuta fra individualismo metodologico e individualismo istituzionale.
Quest’ultimo permette di cogliere il richiamo agli individui all’interno dei contesti e dei rapporti
specifici in cui si trovano ad operare: “L’individualismo metodologico di Marx assume qui
chiaramente la forma di un individualismo istituzionale, e gli serve per mostrare le modalità con cui
i soggetti concreti della storia, cioè gli individui empirici che compongono una certa società,
arrivano a lottare per costituirsi in comunità politica autogovernata […] Questa ‘formazione’ della
costituzione e dello Stato, in quanto espressione della volontà dei cittadini, è per Marx un processo
rivoluzionario; non un presupposto formale della democrazia ma la realizzazione pratica, entro una
precisa situazione storica, di un movimento in cui si esprime la volontà politica del popolo […]”
(pp. 67-68). Ci si trova però di fronte a una modalità del tutto peculiare di individualismo
istituzionale, che prevede non solo il radicamento nelle condizioni materiali ma anche la
destrutturazione di esse, sulla base di un rapporto “esplosivo” fra teoria e prassi, come emergeva già
dalle Tesi su Feuerbach, con il rilievo sulla valenza rivoluzionaria della filosofia. All’interno di
questo dispositivo teorico “inaudito”, l’elemento della democrazia viene articolato in termini
dinamici, e sulla base di un continuo, “agitatorio” richiamo alla Rivoluzione francese, modello di
tutte le rivoluzioni. Nella Kritik la “vera democrazia” viene intesa come democrazia reale piuttosto
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che solo formale, in direzione di un’”estinzione” dello Stato. A testimonianza della forte
connessione tra la democrazia, così delineata, e ciò che successivamente verrà indicato con
“comunismo”, Screpanti sottolinea che “Marx non abbandonerà mai questa teoria. Nell’opera
politica più importante della maturità, La guerra civile in Francia, non farà altro che articolarla e
approfondirla come studio di un reale processo rivoluzionario di costruzione della democrazia
comunista“ (p. 74).
Ai fini dell’approfondimento del rapporto, sotteso alla prospettiva qui articolata, fra
dimensione individuale e dimensione collettiva, significativo è il riferimento agli estratti marxiani,
anche se si tratta solo di una trascrizione, selezionata, di testi. Tra i Quaderni di Kreuznach
particolarmente rilevante è quello relativo a Rousseau: “Ci si accorgerà che, nel lavoro di copia-eincolla, i tagli sono significativi quanto i plagi e che, come fa con Spinoza, Marx cerca di costruire
un suo proprio discorso modificando i connettivi logici di quello di Rousseau. Ci si renderà conto
però che c’è una grande differenza fra gli appunti su Spinoza e quelli su Rousseau: mentre col
filosofo olandese Marx costruisce un discorso personale che è diverso ma sostanzialmente non
divergente dalla fonte, con lo svizzero viene alla luce un rapporto più complesso che è nello stesso
tempo di assimilazione e di critica” (p. 85). Da vari punti di vista, decisamente critica è la posizione
marxiana nei confronti di Rousseau. Appare necessario rimarcare questo aspetto, in quanto sia in
Francia sia in Italia (in particolare, con Della Volpe e Colletti) spesso si è operata una forte
connessione, ai limiti dell’identificazione, fra i due filosofi in questione. D’altronde, al di là di altri
elementi (basti pensare, ad esempio, alla giustificazione rousseuaiana della proprietà privata nel
Contratto sociale, da Marx ovviamente criticata), emerge un punto cruciale su cui Marx si
distanzia, vale a dire l’organicismo rousseauiano, l’assorbimento individuale nella comunità. In
questo senso, se si vuole sostenere la tesi del Marx individualista, seppur con tutte le precisazioni
del caso, Rousseau non può che costituire un referente polemico. Nonostante ciò, ci si trova di
fronte a un atteggiamento ambivalente nei confronti di Rousseau: “Da una parte Marx sviluppa una
critica esplicita a Hegel e una implicita a Rousseau per la loro tendenza a definire l’essere sociale in
termini olistici […] Dall’altra, nello studio dei processi che portano all’instaurazione della ‘vera
democrazia’ e nella spiegazione dello stesso significato della democrazia, Marx tende a identificare
in un ente collettivo, che sia il Popolo o il Genere Umano, il Soggetto capace di dar vita e senso alla
comunità. Proprio nella teoria della ‘vera democrazia’ si può cogliere al meglio la schizofrenia
filosofica di Marx” (pp. 123-125). In ogni caso, seppur con oscillazioni, viene riarticolata la nozione
di volontà generale: “[…] Marx […] tende a far coincidere la volontà generale con la ‘volontà di
tutti’: è generale perché tutti hanno contribuito alla sua formazione, non perché è intrinseca alla
natura del bene comune” (p. 95). Se Rousseau attua una forte divaricazione fra volontà generale e
volontà di tutti, Marx invece cerca di far coincidere i due elementi. Come Screpanti mette in luce
anche nella prima delle due appendici, “Da Rousseau a Hegel”, pur assumendo alcuni elementi
rousseauiani, Marx concepisce la relazione fra il soggetto individuale e il soggetto collettivo in
termini sostanzialmente differenti rispetto a Rousseau. Ritorna qui l’idea di un collettivo non come
totalità, ma come moltitudine di singolarità nella loro differenziazione. A partire dalle coordinate
indicate viene articolato l’elemento del comunismo: “E’ un’idea a cui Marx terrà fermo per il resto
della vita: che il comunismo è un’organizzazione sociale che esalta lo sviluppo delle forze
produttive estendendo la cooperazione e l’organizzazione del lavoro, e con ciò espande le libertà
individuali” (p. 97). Un “filo rosso” dell’intera produzione marxiana, dai primi agli ultimi scritti, è
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costituito dall’idea secondo cui il comunismo non si configura come negazione delle singolarità, ma
al contrario come loro realizzazione.
Nello stesso tempo, però, Marx riprende un aspetto cruciale del discorso rousseuaiano: “Ciò
che Rousseau cerca di dire è che i delegati del popolo […] non sono i depositari di una volontà a cui
il popolo ha rinunciato con la delega, sono solo dei mandatari dei cittadini. Su quest’idea Marx lo
segue in pieno […] In seguito approfondirà l’idea che il vincolo di mandato, per essere efficace,
deve essere associato a un diritto di revoca“ (pp. 99-101). In Marx ci si trova di fronte alla critica
alla rappresentanza e, conseguentemente, alla delineazione di una sorta di mandato imperativo, con
diritto di revoca, come emerge in modo icastico negli scritti sulla Comune. D’altronde, già nella
Kritik erano presenti elementi di democrazia radicale, anche se con un “rischio” olistico molto forte.
Ma, in conclusione, “il Quaderno Rousseau segna un passo avanti rispetto alla Critica della
filosofia hegeliana del diritto pubblico. Sebbene sembri permanere qualche residuo di olismo etico
anche qui, ora Marx mostra di aver capito che il popolo non è quel tutto mistico esaltato da
Rousseau […] La tendenza a ridurre la volontà generale alla volontà di tutti è il segno di quanto ora
Marx sia andato avanti nel riconoscimento del popolo come moltitudine priva di sostanza etica. Il
passo definitivo lo farà mettendosi a lezione da Machiavelli” (p. 103). Ritorna qui il tentativo di
declinare la dimensione collettiva non sulla base di una sorta di misticismo olistico, ma a partire
dall’esigenza della realizzazione delle singolarità nella loro irriducibilità a uno schema
onnicomprensivo. In questo senso risulta cruciale il concetto di moltitudine, con le sue ascendenze
spinoziane e machiavelliane, in quanto permette di tenere aperto, in termini dinamici e anche
conflittuali, il rapporto fra dimensione individuale e dimensione collettiva.
Si arriva così al Quaderno di Kreuznach dedicato a Machiavelli, più scarno di quelli
precedentemente esaminati. In primo luogo centrale è il riferimento a Machiavelli in merito
all’antropologia: “Intorno al problema della definizione della natura umana c’è una forte affinità tra
la concezione realista di Machiavelli e quella di Marx anti-hegeliano […] è solo con la lettura di
Machiavelli che viene fatto un salto decisivo oltre l’idealismo umanista […]” (p. 106). Si assiste
alla destrutturazione di ogni idea astratta di natura umana, e invece a un’indagine specifica di
soggetti concreti, nel loro radicamento in una situazione concreta. D’altronde, successivamente,
nell’Ideologia tedesca si insiste continuamente sull’elemento della determinazione specifica per
connotare la dimensione dell’individualità. E, anche nell’articolare la questione del rapporto fra
soggetto individuale e soggetto collettivo, il richiamo al segretario fiorentino si rivela decisivo: in
Machiavelli non emerge un’idea compatta, olistica di popolo, dal momento che quest’ultimo viene
concepito come “un insieme di agenti, individuali e sociali” (p. 106). Tale considerazione sul
carattere articolato del popolo non presenta alcuna connotazione irenica: ci si trova di fronte a una
“disunione”, a una lacerazione (ad esempio, fra i “Grandi” e il popolo), con la produttività politica
di questo elemento. Inoltre Marx assume la centralità machiavelliana del conflitto, seppur sulla base
di una dislocazione rispetto a Machiavelli, nel senso che sempre più rilevante diventa la sfera
economica. In ogni caso, Marx, più in generale a livello di metodo, assimila da Machiavelli (e
anche da Montesquieu) un approccio materialista e relativista alle questioni etiche. Screpanti
polemizza contro l’idea, presente in vari esponenti del marxismo analitico, di un impianto “morale”
della critica al capitalismo: al contrario, valorizza, di Machiavelli, l’analisi disincantata della
religione, in quanto instrumentum regni, e, ancor di più, dello Stato, di cui viene rifiutata ogni
fondazione teologica ed etica. In ogni caso, come ha rimarcato con forza Louis Althusser in
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Machiavelli e noi, il riferimento cruciale, per Machiavelli, è alla “verità effettuale della cosa” nella
sua singolarità e non sulla base di schemi generalizzanti. Machiavelli permette a Marx di pervenire
a “una concezione non idealista della prassi, una concezione per cui la prassi è vista non come la
realizzazione del Concetto nell’azione del Soggetto della storia, bensì come l’azione di particolari
soggetti concreti che usano la teoria per definire e realizzare i propri interessi materiali” (p. 115).
Seppur sulla base di differenze significative (ad esempio, in Machiavelli manca l’elemento della
rivoluzione come abolizione delle classi), la lettura marxiana dei Discorsi sopra la prima deca di
Tito Livio rappresenta una sorta di coronamento del percorso di ricerca iniziato nel 1841, e, anche
nei testi successivi, Hobbes e Spinoza vengono ricondotti a Machiavelli a partire dall’idea secondo
cui il potere si configura come fondamento del diritto. Anche se il marxismo italiano (basti pensare,
ad esempio, a Gramsci e a Labriola) ha insistito sul rapporto Marx-Machiavelli, “nessun filosofo ha
colto tutta l’estensione dell’affinità di pensiero tra Marx e Machiavelli”, e la rilevanza di tale
elemento per la comprensione della “rottura epistemologica” marxiana (p. 121).
Sulla base del percorso indicato, anche attraverso un’analisi minuziosa degli estratti,
Screpanti arriva alla seguente conclusione, con il titolo di “Dr. Marx e Mr. Karl”: “[…] esistono due
Marx. C’è un Dr. Marx dotato di un’anima idealista, in cui prevale un’impostazione di olismo
ontologico e una visione deterministica della storia, e un Mr. Karl con un’anima realista, che adotta
un metodo d’individualismo istituzionale e un approccio scientifico all’indagine sociale. La ricerca
del Moro oscilla continuamente e non arriverà mai a una ‘rottura epistemologica’ definitiva, anche
se non c’è dubbio che gli scritti del 1845-46 marcano un passaggio cruciale […] Ma quella rottura è
stata preceduta da profonde incrinature emerse nel 1841 e nel 1843” (p. 128). Questo approccio
possiede il merito di valorizzare le opere precedenti al 1845-1846, ma facendo riferimento a testi
meno celebrati e meno conosciuti rispetto a La questione ebraica, Per la critica della filosofia del
diritto di Hegel. Introduzione e ai Manoscritti economico-filosofici del 1844, e meno “marcati” dal
modello feuerbachiano, sulla cui rilevanza spesso si è insistito in modo eccessivo
nell’interpretazione della fase indicata. Il richiamo a Feuerbach permette di problematizzare il tema,
fortemente connesso a quello della presunta dicotomia fra il “giovane” Marx e il Marx “maturo”,
dell’umanismo e dell’antiumanismo. Tale contrapposizione, che ha trovato una ragion d’essere in
particolare negli anni Sessanta e Settanta, nello scenario odierno si rivela improduttiva: se si
vogliono cogliere le potenzialità dei soggetti concreti, non si tratta di ipostatizzare né l’approccio
umanistico, con il suo “rischio” essenzialistico (come in Feuerbach), né quello antiumanistico, che
incontra grandi difficoltà nell’articolazione teorica dell’elemento della soggettività.
In ogni caso, lo scopo complessivo del libro di Screpanti, ribadito anche nella seconda
appendice, “Individualismo e olismo”, consiste nel mettere in discussione quell’olismo ontologico
che è presente anche in alcune impostazioni hegelo-marxiste. Al riguardo appare adeguata la
categoria di individualismo istituzionale: non si tratta di “un compromesso o una via di mezzo tra
olismo e individualismo: è una forma realistica d’individualismo in cui le relazioni che collegano
gli agenti possono essere definite in termini di strutture organizzative, istituzioni normative e
abitudini comportamentali. Ebbene questa concezione era stata intuita da Marx già nel 1841 e
imbastita nel 1843. Gli individui sono studiati in quanto uomini concreti influenzati dalle relazioni
[…] in cui si trovano immersi […]” (pp. 160-161). All’interno di tale scenario possono venir
ammessi solamente elementi intersoggettivi, che risentono dei comportamenti individuali e delle
interazioni sociali, e che comunque trovano alla propria base situazioni concrete. Arrivati a questa
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acquisizione, il riferimento finale è alla trattazione di Althusser: rispetto ad essa, Screpanti, pur
condividendo la critica all’essenzialismo, rileva alcuni aspetti problematici, in particolare in merito
”all’illegittimo disconoscimento del ruolo della soggettività nei processi politici” (p. 170). Occorre
evitare sia l’individualismo astratto, sia l’”olismo del logos della struttura sociale” (presente anche
in Althusser), in cui gli individui vengono ridotti a funzioni. Emerge una “visione della storia come
processo aperto risultante dall’azione autoliberatoria dei soggetti concreti” (p. 171). Tale
concezione individualistica presenta però caratteristiche peculiari, del tutto differenti non solo
dall’individualismo liberale ma anche da un individualismo come quello sotteso al cosiddetto
marxismo analitico: pur non configurandosi come una “terza via” fra individualismo e olismo,
erode qualsiasi idea astratta di individualità, in qualche modo funzionale allo scenario capitalistico.
Sarebbe interessante confrontare tale accezione di individualismo istituzionale con un
approccio come quello di Etienne Balibar, fondato sull’idea secondo cui l’intero itinerario marxiano
si configuri come tentativo di destrutturare la contrapposizione fra individualismo e olismo, dando
vita a una sorta di ”ontologia della relazione”. Non a caso, in una celebre Tesi su Feuerbach, si fa
riferimento non a un olistico “Ganze”, a un Tutto, ma a un ensemble dei rapporti sociali. Inoltre,
come emerge con forza anche da un passo dei Grundrisse, la società consiste prima di relazioni di
individui, che di individui. “Né la ‘monade’ di Hobbes e di Bentham, né il ‘grande essere’ di
Augusto Comte […] Non ciò che è idealmente ‘in’ ogni individuo (come una forma o una
sostanza), o ciò che servirebbe, dall’esterno, a classificarlo, ma ciò che esiste tra gli individui, per le
loro molteplici interazioni” (E. Balibar, La filosofia di Marx, trad. it. il manifestolibri, Roma 1994,
p. 36). “Transindividuale, infatti, è prima di tutto questa reciprocità che si instaura tra l’individuo e
il collettivo nel movimento dell’insurrezione liberatrice ed egualitaria” (ivi, p. 129). La prospettiva
di Balibar, rispetto all’interpretazione di Screpanti, attribuisce un maggior peso alla dimensione
della relazione, e intende in modo diverso l’individualismo, legando quest’ultimo unicamente alla
sua accezione liberale. Nonostante tali differenze, emerge un elemento comune, ovvero la tensione
verso la valorizzazione delle singolarità nella loro diversificazione, non in distonia con la
dimensione collettiva, concepita a partire dalla pratica politica. Riarticolare quel “sogno di una
cosa” che è il comunismo marxiano, significa attraversare la reciprocità instabile fra l’’individuale’
e il ‘collettivo’, sulla base di coordinate che non possono essere definite una volta per tutte e che
sono continuamente aperte alla rettifica del proprio percorso.
Luca Basso è Ricercatore di Filosofia politica presso l’Università di Padova. È autore di molti
articoli e di tre monografie: Individuo e comunità nella filosofia politica di Leibniz (Rubbettino,
2005), Socialità e isolamento: la singolarità in Marx (Carocci, 2008; trad. inglese Brill, 2012), e
Agire in comune. Antropologia e politica nell’ultimo Marx (Ombre Corte, 2012).
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