Dedico questo lavoro a me stesso quando, con un piccolo sforzo, ho superato la
pigrizia e mi sono poi trovato contento.
Ringrazio anche le tante persone, care o insopportabili, generose e meschine,
simpatiche o antipatiche, dal cui incontro è nata una spinta per un impegno e risultati
migliori.
Mando invece un grande bacio, pieno di riconoscenza, alle care amiche ed agli amici
sinceri, per tutte le volte ed i momenti in cui ho avuto il privilegio di perder tempo in
loro compagnia.
1
Rivolgo anche un ringraziamento sentito alla correlatrice di questo lavoro prof. ssa
Marzia Barbera ed alla disponiblità del correlatore Dott. Fabio Ravelli.
2
“Il corpo di un atleta e l’anima di un saggio: ecco ciò che occorre per essere felice.”
Voltaire
Indice
• Introduzione
1. Capitolo Primo
1.1. Lo Sport: prima forma e fonte di cultura nella storia
dell’umanità……………………………………………....pag. 21
1.2. Lo Sport e l’autonomia dell’ordinamento sportivo…pag. 24
1.3. I soggetti dell’ordinamento sportivo…………….…..pag. 28
1.4. Gli atleti………………………………………….……..pag. 33
1.5. Il CONI……………………………….………………...pag. 38
1.5.1. Il CONI: struttura…………………………..……..pag. 41
1.6. Le federazioni sportive nazionali: natura e
funzioni…………………………………………………...pag. 43
1.6.1. Le federazioni: riconoscimento e
affiliazione………………………………………..…..pag. 49
1.7. Gli enti di promozione sportiva……….....................pag. 52
1.8. Le discipline associate…………………………….....pag. 54
1.9. Lo stato giuridico dei calciatori e il ruolo dei
procuratori………………………………........................pag. 56
3
1.10. Altre figure dell’ordinamento sportivo: tecnici sportivi e
ufficiali di gara……………………………………...…….pag. 61
2. Capitolo Secondo
2.1. La disciplina dell’attività sportiva: quadro storico
normativo………………………………………….…...…pag. 65
2.2. Lavoro e sport nella costituzione………………...….pag. 80
2.3. Le fonti del diritto sportivo……………………….…..pag. 87
2.4. Le fonti del diritto del lavoro sportivo……………...pag. 96
3. Capitolo Terzo
3.1. I vincoli derivanti dall’atto-tesseramento………….pag. 100
3.2. I doveri dell’atleta: il vincolo sportivo, i principi dello sport
e le funzioni del CONI………………………………....pag. 108
3.3. Il vincolo dei professionisti e dei dilettanti………...pag. 113
4. Capitolo Quarto
4.1. Il rapporto di lavoro sportivo come rapporto di lavoro
speciale………………………………………...............pag. 118
4.2. La natura del rapporto di lavoro sportivo...............pag. 120
4.3. Cenni: il rapporto di lavoro dello sportivo
dilettante....................................................................pag.
127
5. Capitolo Quinto
4
5.1. Le parti del contratto di lavoro sportivo……..…….pag. 130
5.2. La costituzione del rapporto di lavoro sportivo..…pag. 138
5.3. Gli elementi essenziali del contratto: l’accordo e la
forma…………………………………………………….pag. 141
5.4. Le cause di invalidità e la nullità del contratto di lavoro
sportivo……………………………………………….…pag. 144
5.5. Gli obblighi di diligenza ed obbedienza del lavoratore
sportivo………………………………………………….pag. 146
5.5.1. L’obbligo di fedeltà………………………………pag. 150
5.6. I poteri del datore di lavoro: il potere direttivo, di controllo
e disciplinare……………………………………………pag. 153
5.7. Il diritto del lavoratore sportivo alla prestazione dell’attività
lavorativa………………………………………………..pag. 158
5.8. L’orario di lavoro, i riposi e le ferie………………...pag. 162
5.9. La retribuzione e il trattamento di fine rapporto….pag. 166
5.10. Gli obblighi del datore di lavoro: la tutela delle condizioni
di lavoro e della salute……………………………….. pag. 170
5.11. Le vicende nel rapporto di lavoro sportive
5.11.1.
La sospensione……………………………pag. 174
5.11.2.
L’abolizione del vincolo sportivo………....pag. 177
5.11.3.
La cessione del contratto…………..…….pag. 180
5
5.11.4.
La risoluzione unilaterale del contratto di lavoro a
tempo indeterminato……………………………….pag. 181
5.11.5.
Il recesso ante tempus dal contratto di lavoro a
tempo determinato…………………………………pag. 184
6. Capitolo Sesto
6.1. L’Unione Europea e la libera circolazione dei lavoratori: le
sentenze delle corti di giustizia in materia di
sportiva......................................................................pag.
187
6.2. La sentenza Bosman ed i suoi effetti: le conseguenze
nell’ordinamento statale e nell’ordinamento
sportivo……………………………………………….....pag. 190
6.3. La condizione giuridica degli atleti extracomunitari
nell’ordinamento sportivo……………………...………pag. 197
• Conclusioni
• Bibliografia Essenziale
6
7
INTRODUZIONE
"Speciali ricerche, realizzate nei diversi laboratori del mondo, hanno
convincentemente dimostrato che non
esistono attività lavorative che, per
quanto riguarda il loro effetto allenante, possono essere paragonate ai carichi
di allenamento e di gara tipici dello sport moderno. Neppure un lavoro fisico
pesante svolto in condizioni climatiche difficili è in grado di produrre
nell'organismo trasformazioni di adattamento pari a quelle che si osservano
negli atleti di elevata qualificazione. Lo stesso si può dire anche delle molte ore
di lavoro quotidiano di un tagliaboschi ai tropici, di braccianti agricoli che
lavorano in condizione di altitudine di 3000-4000 m, di uno sherpa himalayano
o di un conducente di risciò nei Paesi asiatici. Per quanto riguarda le
caratteristiche
delle
trasformazioni
adattative
del
loro
sistema
cardiocircolatorio e respiratorio, nessuno di coloro che praticano un'attività
lavorativa di questo tipo, può essere paragonato ai corridori di fondo, ai ciclisti
su strada, agli sciatori di resistenza (Holmann, Hettinger, 1980).
La spiegazione è semplice: l'intensità del lavoro quotidiano più pesante
che esista, svolto per molte ore al giorno, anche in condizioni dell'ambiente
esterno molto difficili (clima caldo, alta quota) è notevolmente inferiore rispetto
all'intensità del lavoro di allenamento, mentre le condizioni estreme, tipiche
8
dell'attività di gara, non trovano analogie né nell'attività lavorativa né in altri
tipi di attività umana, se si escludono i casi isolati nei quali l'uomo deve lottare
per la sopravvivenza"(Platonov).
Le conclusioni che il prof. Vladimir Nikolaevic Platonov trae riguardo agli
effetti e le trasformazioni che il "lavoro sportivo"comporta a livello fisiologico
nel corpo dell'atleta moderno, possono senza timori di smentita, essere estese a
tutta la sfera dello sviluppo della personalità dello sportivo professionista.
Oggetto del presente lavoro, sarà infatti valutare quale sia la ricaduta sul
piano giuridico di una realtà dalle molteplici implicazioni e che inquadra le
situazioni spesso eterogenee identificate sotto il nome di lavoro sportivo.
Il presente studio vuole identificare quale sia il comun denominatore che
lega i soggetti che scelgono, per la realizzazione di sé, la strada della carriera
sportiva e soprattutto quale sia la tutela giuslavoristica loro offerta.
In particolare si vuol cercare di stabilire in che misura questo particolare
rapporto di lavoro debba essere considerato speciale ed in quale misura possa
invece essere assimilato, anche in relazione alla regolamentazione normativa,
agli schemi previsti per il lavoratore comune.
La progressiva dilatazione delle carriere nello sport da una parte, la
maggior precarietà del lavoro in generale dall’altra, hanno forse per certi aspetti
avvicinato questa speciale area del mondo del lavoro a quella comune, più di
quanto non accadesse in passato.
Un’analisi di tipo giuridico su una qualsiasi realtà, non può comunque
prescindere da una corrispondente analisi di tipo sostanziale o, per lo meno,
presuppone che siano indicati quali degli aspetti di un fenomeno verranno presi
in considerazione.
9
È quindi necessario definire nell’ambito di lavoro e sport, concetti che in
realtà comprendono situazioni molto ampie e diversificate, quali siano le
manifestazioni e la sfera di problematiche da considerare utili ai fini del
presente lavoro.
Nel corso del ventesimo secolo si è assistito infatti ad una difficilmente
prevedibile evoluzione delle competizioni, dei materiali e delle tecniche
d'allenamento, del sistema di selezione di valutazione e di preparazione degli
atleti, del livello di qualificazione degli allenatori nonché del supporto
scientifico-metodologico ed oggi anche psicologico orientato all' ottenimento
della migliore prestazione sportiva.
Tutto ciò ha comportato, per ragioni facilmente intuibili, una radicale
trasformazione del ruolo stesso che lo sport occupa nell’esistenza di quei
soggetti in grado di raggiungere livelli di eccellenza
nelle discipline
contrassegnate da un elevato grado di competitività.
In particolare, dal secondo dopo guerra in poi, si e assistito alla ricerca
imperativa del risultato agonistico attraverso conseguenti programmi di
addestramento dalle richieste severissime quando non disumane, secondo
peculiarità differenti nel blocco occidentale-capitalista piuttosto che in quello
filo sovietico, ricercando obiettivi a volte contrapposti e naufragando in derive
spesso simili.
Anche dove si vogliano escludere le aberrazioni causate e susseguenti alle
pratiche
illecite prodotte dalla triste quanto fervida fantasia di una
“medicina”dello sport priva di scrupoli, resta da rilevare che oggi, varcato da un
certo livello in poi il segno dello sport per diletto, una dimensione ricreativa di
questo resiste solo nell’origine semantica del termine.
10
Motore ed al contempo volano, causa ed effetto di questa evoluzione, sono
stati la continua crescita di interesse mediatico e le conseguenti sempre
maggiori ricadute economiche gravitanti attorno al fenomeno sportivo.
Tutto ciò ha fatto del lavoro sportivo moderno una delle attività lavorative
che più di altre coinvolge i suoi soggetti nella quasi totale integralità delle
manifestazioni esistenziali.
La contropartita di una situazione di agonismo così esacerbata è costituita,
per la piccola élite di atleti in grado di dotarsi dei mezzi tecnici richiesti dallo
sport di alto livello, oltre che dall’espressione di sé e del proprio talento (finalità
autoteliche sempre presenti nello sport ed auspicabilmente in tutte le attività
lavorative specie in una Repubblica fondata sul lavoro e che enuncia fra i
principi fondamentali la piena realizzazione della persona), da gratificazioni
economiche spesso importanti e qualche volta precluse anche alla fantasia del
lavoratore comune.
Capita infatti che lo “sportivo di successo”, in seguito ad un importante
risultato, venga ad assumere ad un tratto un aspetto non dissimile da quello di
ogni altro lavoratore dello spettacolo, prestando la sua immagine alla macchina
mediatica del racconto sportivo, creatura elefantiaca che si nutre in rapida
successione delle vicende sportive da lei stessa alimentate.
Lo sport ad ogni modo, attività che proprio a sua volta vede nella
soggezione alle regole uno dei primari elementi di elevazione e distinzione dalla
sua matrice originaria di gioco, come ognuna delle altre attività della vita
associata, ha bisogno, sin dalle forme più antiche ed elementari di
organizzazione, dell’emanazione di un complesso di regole.
11
Regole che diventano indispensabili e devono essere tanto più articolate
quanto il fenomeno sportivo sia più sviluppato sul piano sociale e rilevante su
quello economico.
Il lavoro, a maggior ragione, a sua volta si è dotato di un complesso di
norme che definiscono il rapporto fra datore di lavoro e lavoratore e, più in
generale, norme attraverso le quali il legislatore sceglie quali interessi far
prevalere fra quelli in gioco, spesso conflittuali.
Questo complesso di norme, presto raggiunta una sua autonomia
sistematica all’interno dell’ordinamento giuridico, ha preso il nome di diritto del
lavoro.
La prospettiva di analisi in cui deve essere inquadrato il diritto sportivo,
risulta essere in particolare, quella che colloca i soggetti protagonisti del
rapporto di lavoro sportivo all’interno dell’ambito dell’ordinamento sportivo.
L’orientamento della dottrina, ormai superate le tesi meno recenti che
escludevano la stessa giuridicità dell’ordinamento sportivo riconducendo tutto il
fenomeno ad un sistema di giochi in cui i competitori sarebbero stati chiamati
soltanto a rispettare le regole tecniche improntate al principio del fair play,
afferma oggi senza grandi dubbi
e significative contestazioni, la piena
giuridicità dell’ordinamento sportivo, sancendo così l’antica quanto autorevole
dottrina proposta da Walter Cesarini Sforza. 1
L’ordinamento sportivo risulta quindi caratterizzato dalla plurisoggettività
in quanto costituito da tutti i soggetti che vi operano (atleti, associazioni,
società, federazioni, ecc.), dalla organizzazione, intesa come complesso di
strutture nazionali ed internazionali create per favorire la diffusione e la pratica
12
sportiva e dalla potestà normativa in grado di emanare le norme necessarie a
regolamentare ogni evento rilevante all’interno del suo ambito di operatività.
Occorre subito precisare come non tutte le espressioni di organizzazione
di attività sportiva assumano sul piano giuridico una rilevanza tale da poter e
dover configurare l’instaurazione di un rapporto di lavoro.
Una volta escluse, per ovvie ragioni, tutte le numerose a buon diritto
diffuse situazioni che conservano nel momento ludico e ricreativo piuttosto che
nella semplice ricerca del benessere l’unico significato della pratica sportiva, è
necessario stabilire una linea di demarcazione fra sport agonistico-dilettantistico
e sport professionistico.
Nella definizione di atleta professionista o dilettante, espressioni dal
significato polisenso, si sono spese pagine che, con argomentazioni diverse,
hanno focalizzato l’attenzione su differenti aspetti del problema.
Dilettantismo e professionismo, nel corso del ventesimo secolo sono
diventati anche di volta in volta bandiere ideologiche prestate alle più diverse
strumentalizzazioni di carattere molto spesso extrasportivo.
Messe
da
parte
le
considerazioni
sulle
deviazioni
politico-
propagandistiche che, spinte da diverse finalità, hanno colorato i due termini di
svariate accezioni
spesso orientate a fini utilitaristici, va rilevato come la
discriminazione fra i due termini porti tuttavia con sé, da molto tempo, anche
conseguenze di ordine pratico.
Già all’indomani dei Giochi Olimpici di Roma 1960, Harold Abrahams,
splendido vincitore dei 100 metri nei Giochi di Parigi del 1924 e più tardi
presidente della federazione inglese di Atletica Leggera offriva
1
queste
CESARINI SFORZA W., La teoria degli ordinamenti giuridici e il diritto sportivo, in Foro it., 1933, I.
13
riflessioni riguardo la questione:“Dal momento che i partecipanti alle
Olimpiadi moderne devono sottoporsi ad un genere di preparazione che nella
maggior parte dei casi non può essere superato da un professionista, c’è chi
suggerisce che sarebbe molto più onesto abbandonare ogni pretesa di
dilettantismo, abolire il termine “dilettante” e spalancare le porte dei Giochi
Olimpici al professionismo.
Io sono tra quelli che ritengono la definizione di dilettante ormai
definitivamente superata e senza senso. Non credo che però la soluzione si
debba ricercare nell’abbandono di ogni restrizione nella qualifica dei
partecipanti. Il guaio è che per molte persone la definizione di dilettante è
considerata sacra. Questa gente, a quanto sembra, non ha mai indagato
sull’origine e sulla storia del termine, per cui non sa che con gli anni la
definizione ha cambiato considerevolmente significato. Il termine dilettante è
diventato una di quelle parole che producono una grande emozione ogni volta
che vengono usate .[…]In sostanza, il compito fondamentale dello sport
professionale è il divertimento dello spettatore. Il professionista vende la sua
abilità a chi è disposto a comprarla, cioè agli spettatori. Ora, le moderne
competizioni non professionali di alta classe suscitano tra il pubblico tanto
interesse, da rendere l’importanza del divertimento molto maggiore che non
sessant’anni fa, quando furono ripristinati i Giochi Olimpici. E, per
conseguenza, il livello richiesto, per chi riesce ad andare nelle finali di una
gara olimpica, per non parlare di chi la vince, è talmente elevato, che
necessariamente l’allenamento deve occupare una parte sempre maggiore della
vita di chi s’appresta a divenir campione. Questa è una realtà che nessun mare
1381.
14
di lacrime di tutti coloro che continuano a piangere per avere delle gare
internazionali di dilettanti possono cambiare.
Sarebbe molto meglio accettare i fatti così come sono e rivedere i nostri
regolamenti sul “dilettantismo,” in modo da escludere per il competitore ogni
attività che possa distruggere ciò che è veramente fondamentale per la
sopravvivenza di uno sport non professionale.
Io cancellerei, ad esempio, la parola “dilettante”dal regolamento.[…] La
cosiddetta definizione universale di “dilettante”se riferita alle gare in se stesse,
è del tutto immaginaria e perfino ignorata da coloro che sono stati scelti.”
La piattaforma normativa che in Italia ha inquadrato la fattispecie del
rapporto di lavoro dell'atleta professionista con la società d'appartenenza
prevalentemente nell'ambito del lavoro subordinato, è quella fornita dalla legge
23 marzo 1981 n.91(norme in materia di rapporti tra società e sportivi
professionisti).
La legge n.91 segna il passaggio, per il rapporto di lavoro professionistico,
dall’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale alla sistemazione normativa,
definendo anche alcuni aspetti quali la qualificazione dell’attività dello sportivo
nella sfera del rapporto subordinato e fornisce anche un criterio normativo
proprio per la definizione di professionista.
Il presente lavoro ha come obiettivo quello di analizzare le peculiarità di
un rapporto di lavoro caratterizzato da diversi elementi di specialità, regolati in
larga misura in via definitiva dalla suddetta legge che, da ormai venticinque
anni, si è sostituita a interventi episodici del legislatore e della magistratura che
storicamente hanno avuto il merito di aver dato impulso al legislatore.
15
Lo studio, necessariamente, dovrà focalizzare la propria attenzione, per lo
meno in prima battuta, sulle questioni insorte attorno al gioco del calcio.
L’Italia, come è noto, fra i paesi civili, è quello che forse ha preso più a
cuore le vicende legate al gioco del pallone
Tale preminenza dello sport nazionale sul piano sociale, comunicativo e
quindi economico ha comportato uno speculare privilegio nell’attenzione della
giurisprudenza e del legislatore.
Le vicende relative ai rapporti fra le stelle del pallone ed i grandi club,
costituiscono oggi la nuova forma di spettacolo del calcio-mercato con i suoi
scoop, veri o presunti.
In questo modo, le discussioni relative anche alle implicazioni
caratterizzanti i suggestivi contratti dei campioni, sono entrate, per lo meno sul
piano lessicale, al bar dello sport.
Senza tralasciare la realtà dello sport di vertice, si analizzeranno tutte
quelle situazioni, statisticamente più rilevanti, caratterizzate da cifre
probabilmente meno impressionanti ma da problematiche non meno attuali ed
interessanti.
In secondo battuta, interesse del presente studio, sarà quello di porre
l’attenzione su come le realtà dei cosiddetti ”altri sport”, che già prima
dell’entrata in vigore della legge n.91 ammettevano l’esercizio dell’attività
agonistica in forma professionistica, abbiano reagito all’entrata in vigore di una
norma disegnata secondo le esigenze e le problematiche createsi in seno al
mondo del calcio, pianeta vasto e preminente nel panorama sportivo italiano,
caratterizzato da proprie singolari peculiarità.
16
In un secondo momento, l’ambizione sarà di cercare quelle situazioni in
cui l’esercizio della pratica sportiva a livello professionale, risulta, se non sul
piano
formale almeno su quello sostanziale, assimilabile alle fattispecie
delineate con riguardo allo sport professionistico.
Lo scopo dell’indagine, in questo caso, sarà quello di individuare in che
misura ed a quali condizioni, queste situazioni possano rientrare nella normativa
e soprattutto godere delle tutele elaborate dal legislatore per il lavoratore
sportivo.
Il riferimento alle pronunce giurisprudenziali, sarà il più puntuale
possibile, al fine di attualizzare e rendere fruibili i contenuti relativi alle
tematiche trattate.
17
18
Capitolo Primo
1.1. Lo Sport: prima forma e fonte di cultura nella
storia dell’umanità
L’uomo, nel panorama del regno animato, è un atleta piuttosto modesto.
Lo è sempre stato.
Anche i nostri antenati, seppur cresciuti in un contesto totalmente differente da
quello delle nostre società ipocinetiche, potevano vantare espressioni prestative
fisiche abbastanza mediocri se confrontate con quelle del resto dei mammiferi
che popolavano e popolano il pianeta.
Perfino gli attuali limiti raggiunti dagli atleti di elevata qualificazione, ottenuti
attraverso l’esasperazione delle metodiche di selezione e della preparazione,che
oggi hanno permesso di conseguire risultati inimmaginabili e plausibilmente
mai prima avvicinati dalla specie umana, appaiono ben poca cosa se rapportati
ai records del mondo animale.
Anche il campione sportivo è infatti, oggi come nell’antichità, un frutto,
l’espressione della facoltà che più di ogni altra ha contraddistinto la specie
umana, l’intelletto.
Il Campione, conquista fondamentale nella storia dell’evoluzione umana,
nasce nel preciso momento in cui l’uomo, presa coscienza della sua intelligenza
che lo rende superiore agli altri animali, si accorge che il suo balzo è più lungo,
19
la sua corsa è più veloce e che il suo lancio che arriva più lontano di quello dei
compagni cacciatori gli permette di abbattere una preda animale.
Il Campione non è altro che un’elaborazione mentale, è l’uomo stesso che
prende coscienza di sé, è il primate superiore che, diversamente dalla scimmia,
nello specchio, vede nella sua immagine riflessa, se stesso.
Diventando poi cacciatore di gruppo, ad un adattamento biologico innato,
l’uomo aggiunge gradatamente una forma di
comportamento appreso: con
l’organizzazione e la programmazione della caccia comincia in sostanza a
crearsi, creare e comunicare cultura.
Lo sport è così al contempo rappresentazione peculiare e veicolo
necessario della crescita dell’individuo e dell’umanità.
Successivamente l’uomo da cacciatore diventa agricoltore, da nomade
diventa stanziale e si organizza nel villaggio.
Le esigenze di sviluppo psicomotorio non diventano per questo meno
cogenti e la filosofia del movimento offre a riguardo una serie di importanti
risposte.
Anassagora 2 , filosofo greco, già nel V° secolo a.C. giunge ad
un’intuizione fondamentale di carattere
pre-paleontologico, oggi confortata
dagli studi compiuti dalla scienza moderna : “l’uso delle mani ha portato
l’uomo a distinguersi dagli altri animali e a sviluppare il cervello e di
conseguenza l’intelligenza”.
Un centinaio di anni più tardi, Aristotele, nel suo celebre tentativo di
riorganizzare il sistema filosofico, obiettò a riguardo che:”l’uomo ha le mani
perché è il più intelligente degli animali”.
2
CAPIZZI A., I presocratici, La nuova Italia, 1972.
20
Quale che sia la posizione corretta, problema filosofico quanto mai
affascinante che esula però dai nostri fini, non resta che constatare come l’uomo
abbia acquisito a patrimonio il più alto livello di intelligenza tra tutti gli esseri
viventi e contemporaneamente la maggiore capacità manuale.
Risulta invece decisamente meno problematico rilevare quanto le due
diverse abilità siano collegate da un legame di relazione biunivoca.
Le teorie evoluzionistiche, successivamente si sono persino spinte oltre,
ponendo a correlazione delle acquisizioni psichiche man mano susseguitesi,
corrispondenti modificazioni somatiche.
Quel che è certo è che con lo sport l’uomo conosce se stesso in un
contesto di relazione con gli altri.
L’attività fisica, costituisce già un momento importantissimo ed
irrinunciabile di presa di coscienza di sé e di sviluppo per l’individuo.
Lo sport innestandosi su questa ne costituisce un’ ulteriore evoluzione facendo
acquisire al fenomeno una dimensione sociale.
Rispetto a quanto è utile all’analisi di uno studio che muove dalle basi di
una scienza sociale come il diritto, lo sport si differenzia dalla mera attività
fisica, proprio in relazione all’ impatto che questo fenomeno ha sulla società.
Il vero elemento discriminante, il nocciolo che permette all’esperienza
sportiva di assumere una sua giuridicità è proprio costituito dall' approvazione
sociale: dalla primitiva affermazione del campione come immagine di probabile
successo e preminenza nella lotta alla sopravvivenza fino alle più sofisticate
analisi del medesimo fenomeno attraverso i più moderni contratti di lavoro
sportivo.
21
1.2. Lo Sport e l’autonomia dell’ordinamento sportivo
Al pari di ogni fenomeno sociale, lo sport ha bisogno di dotarsi di un
complesso di norme.
Una questione non priva di contrasti, è stata la discussione all’interno
della dottrina sul valore e sul significato di queste norme. In particolare se
questo insieme di norme possa o meno essere considerato originario di un
ordinamento giuridico autonomo che prende il nome di ordinamento sportivo.
La soluzione affermativa, che costituisce un approdo di non facile
raggiungimento, si manifesta come la risultante di un processo dottrinale che si
è evoluto nel tempo e durante il quale anche la percezione del concetto di
ordinamento ha subito sensibili mutamenti.
Per gli autori dell’inizio del secolo scorso, che prediligevano
un’impostazione più legata ad un modello di matrice privatistica, gli statuti ed
i regolamenti associativi erano individuati come espressioni di atti natura
convenzionale.
In questo modo escludevano lo Stato dal fenomeno sportivo, che veniva
relegato a fenomeno di carattere solo privato. Coerente con questo tipo di
impostazione è il primo intervento dottrinale organico in materia di diritto dello
sport,che vede la luce nel 1933 ad opera di Cesarini Sforza 3 .
Prodromici a questo tipo di approdi dottrinali anche nell’ambito del diritto
dello sport, erano stati i precedenti studi compiuti da Santi Romano che,
3
Vedi nota n 1.
22
elaborati in una prospettiva molto più ampia e generale, permettevano una
lettura diversa del fenomeno ordinamentale.4
Muovendo da una presupposta nozione organicistica del diritto nella
quale la norma diviene valore aggiunto in un’interrelazione di comandi e libertà
che sono precedenti ad essa e derivano dall’istituzionalizzazione di un gruppo,
la prospettiva romaniana vede l’ordinamento come”un’entità che si muove in
parte secondo norme, ma, soprattutto, muove, quasi come pedine in uno
scacchiere, le norme medesime, che rappresentano piuttosto l’oggetto e anche
il mezzo della sua attività, che non l’elemento della sua struttura”.
Esclusa in questo modo la dicotomia assoluta posta tra privato e pubblico,
vengono a coabitare e collaborare in ogni realtà sociale vari ordinamenti
relazionati fra di loro ma dei quali lo Stato appare come il referente originario
in quanto detentore della potestà punitiva.
Fra i vantaggi offerti da una ricostruzione di natura pubblicistica come
questa, oltre alla possibilità di armonizzare in un disegno più ampio le eventuali
frizioni dinamiche fra norme, uno dei più evidenti è quello costituito dalla
possibilità di comprendere e valorizzare ambiti di autonomia all’interno della
struttura statuale.
La teoria del pluralismo degli ordinamenti giuridici raggiunge la sua
massima espressione negli interventi di Massimo Severo Giannini che,
assumendo come punto di partenza gli assunti romaniani, opera un’analisi
completa del concetto di ordinamento individuandolo come composto da tre
4
ROMANO S., L’ordinamento giuridico, Pisa, 1918, p. 48.
23
elementi essenziali rappresentati dalla plurisoggettività, dalla normazione e
dalla organizazione. 5
Giannini inserisce lo sport nella species degli “ordinamenti diffusi”, per
aderire ai quali é sufficiente un atto di volontà da parte del soggetto, non
essendo richiesto alcun atto necessario dell’organizzazione bastando invece il
mero dato di fatto della pratica sportiva agonistica.
Più problematica è invece la possibilità di inserire il settore sportivo nella
species
degli
ordinamenti
“sezionali”
categoria
anche
questa
frutto
dell’elaborazione di Giannini.
Secondo l’autore questi sarebbero gli ordinamenti che formano un gruppo
sezionale”.
Al vertice di questi ordinamenti giuridici di settore si trova un pubblico
potere che su questi ha una facoltà dispositiva alla quale i soggetti sottoposti
devono conformarsi, pena l’irrogazione di sanzioni.
Giannini, che portava come l’esempio più compiuto di sezionalità quello
rappresentato dall’ordinamento del credito, non ha mai applicato tale categoria
all’ordinamento sportivo.
Cosa che invece ha provato a fare successivamente Luiso per il quale
“l’organizzazione CONI-Federazioni sportive è assai simile a quella di un
ordinamento sezionale, da cui, però, si differenzia per alcune caratteristiche
proprie” 6 .
Le principali differenze, sarebbero invece costituite dalla mancanza “di
una base economica identificabile”, dalla presenza di un ente pubblico
ausiliario al vertice invece di un organo statale o di un ente pubblico
5
GIANNINI M.S. , Prime osservazioni sugli ordinamenti sportivi, in Riv. Dir. Sport. , 1 e ss.
24
strumentale e, soprattutto, dal fatto che l’ordinamento sportivo non controlla
tutta l’attività che ne costituisce la base.
Il concetto di sezionalità, seppur inadatto a descrivere perfettamente la
struttura del settore sportivo, appare molto utile in quanto introduce nella teoria
ordinamentale l’analisi dei rapporti tra potere normativo e potere statale.
Attualmente la prospettiva ordinamentale, seppur non accettata in maniera
acritica 7 viene adottata dalla dottrina prevalente, superate quelle ipotesi che
riducono le norme del diritto sportivo a regole di fair play.
Non si può certo dubitare della giuridicità del fenomeno sportivo, che è
regola già nella determinazione finalizzata ad un obbiettivo agonistico di un
gesto tecnico.
Allo stesso modo non è possibile disconoscerne la qualifica di
ordinamento giuridico che gli deriva dalla presenza di una pluralità di soggetti
investiti da compiti diversi, differente disciplina giuridica ma fini comuni,
organizzati in maniera funzionale a questi obiettivi, in un corpus di norme
funzionali e condivise, con un sistema di legiferazione e giurisdizione
autonomi.
Esiste quindi un ordinamento giuridico settoriale (nel senso che trova un
limite nella materia stessa dell’azione che lo contraddistingue), subordinato
all’autorità sovrana dello Stato territoriale, unico titolare della potestà punitiva.
Tale ordinamento subordinato è al contempo anche originario poiché
supportato da una struttura internazionale che prescinde dalla territorialità dei
singoli stati.
6
LUISO F.P., La giustizia sportiva, Milano, 1975, p. 204.
25
1.3. I soggetti dell’ordinamento sportivo
Un’analisi sulla realtà dell’ordinamento sportivo, non può prescindere
dall’identificazione di quelli che sono i soggetti che lo compongono.
L’art. 2 della
legge n. 91 circoscrive
l’ ambito di applicazione
definendo gli sportivi professionisti quali:”…gli atleti, gli allenatori, i direttori
tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a
titolo oneroso con carattere di continuità delle discipline regolate dal CONI e
che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali…”.
La norma, con
la sua formulazione, indica le specifiche figure
professionali in numero chiuso inducendo a ritenere che l’elencazione abbia
carattere tassativo, non estendibile ad altre categorie.
Inoltre la norma
specificamente richiede, per i soggetti indicati, che questi conseguano la
qualificazione rilasciata dalle federazioni d’appartenenza.
È alle federazioni stesse, che la norma rinvia per la loro definizione e
configurazione e sembrerebbe
non potersi
corrispondenti
per
qualificazioni
prescindere dalla tipicità delle
comprendere
soggetti
esprimenti
professionalità diverse da quelle elencate
I soggetti indicati dall’art. 2 sono infatti caratterizzati
dall’elemento
comune costituito dal concorso diretto della loro attività al conseguimento della
loro attività, anche mediante il miglioramento ed il perfezionamento della
prestazione agonistica.
7
Di Nella L. , Il fenomeno sportivo nell’unitarietà e sistematicità dell’ordinamento giuridico, in Riv
.Dir. Sport., 1999, 25 e ss.
26
Altre figure professionali, pur potendo essere legate con la società da un
rapporto di natura subordinata piuttosto che autonoma, risultano invece estranee
alla qualificazione di lavoro sportivo, poiché esercitano competenze non
strettamente connesse all’attività agonistica.
Non sono quindi lavoratori sportivi per esempio i medici, i massaggiatori,
gli impiegati o gli incaricati di mansioni amministrative o organizzative di
servizi ausiliari.
Tali rapporti sono assoggettati al diritto comune.
Già l’art. 34, 4° co., del D.P.R. 2 agosto 1974, n. 530, poi riprodotto
dall’art 35, 4° co., del D.P.R. 28 marzo 1986, n.157, prevedeva che l’attività
dell’atleta professionista fosse disciplinata da norme regolamentari particolari
emanate dalla federazione competente per l’identificazione dei soggetti in
seguito indicati dall’art 2.
Occorre quindi far riferimento alle disposizioni relative alle qualificazioni
previste dalle singole federazioni che, a loro volta, presuppongono la
sussistenza di prestabilite situazioni di fatto e di requisiti per ottenerle.
Ad esempio le Norme Organizzative Interne della F.I.G.C. (Federazione
italiana giuoco calcio), ripetendo la formula dell’art 2, qualificano come
professionisti quei calciatori che “esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso
con carattere di continuità, tesserati per società associate alla Lega Nazionale
Professionisti o nella Lega Professionisti Serie C”.
Il calciatore professionista è quindi chi pratica il gioco del calcio
essendone retribuito, e cioè colui che lo pratica come lavoro primario.
Nell’ambito dell’ordinamento sportivo agiscono numerosi soggetti.
27
Il funzionamento del mondo dello sport è assicurato dalla presenza e
dall’opera di diverse figure professionali tra le quali, in posizione preminente
spicca quella degli atleti.
Lo status di atleta si acquista nel momento in cui, chi pratica uno sport,
entra a far parte dell’ordinamento sportivo.
Il momento fondamentale che permette allo sportivo l’acquisizione di
questo status è costituito dal tesseramento o cartellinamento e cioè
dall’iscrizione presso la federazione dello sport praticato, effettuata
direttamente dal soggetto interessato oppure attraverso un’associazione sportiva
alla quale sia iscritto.
Il tesseramento, configura perciò un atto formale dal quale non si può
prescindere per ottenere la qualificazione di atleta e grazie al quale si
ottengono, l’imputazione dei risultati, l’inserimento nelle graduatorie e, più in
generale, che fa divenire titolari di una serie di rapporti giuridici nei confronti
degli altri soggetti dell’ordinamento sportivo.8
Da questo momento, oltretutto, l’atleta assume l’obbligo di praticare lo
sport prescelto osservando i principi, le norme e le consuetudini sportive così
come previsto dall’art. 31 dello statuto del CONI.
Nell’ambito della categoria esaminata, assume fondamentale importanza
la distinzione tra la qualifica di atleta professionista o dilettante.
8
Sulla natura giuridica del tesseramento degli atti come atto amministrativo, espressione di potestà
pubblicistica della federazione , con conseguente riconoscimento della giurisdizione del giudice
amministrativo anche con riferimento agli eventuali atti di revoca dello stesso: Cass. S.U., 9 maggio
1986, p. 192; T.a.r. Lazio, Sez. III, 11 agosto 1986, n. 2746, in Riv. Dir. Sport., 1987, p.689; Pret.
Modena, 10 febbraio 1987, in Nuova Giur. Civ Comm., 1987, I p. 721; in Cons. Stato, 1998, I, 1808,
Cons. Stato, 30 settembre 1995 n. 1050, in Foro it., 1996, III, 275. In dottrina: I. MARANI TORO e A.
MARANI TORO, Gli ordinamenti sportivi.
28
Soltanto per i primi infatti, lo svolgimento della attività sportiva
costituisce oggetto di rapporto di lavoro dal quale deriva, tra gli altri diritti e ed
obblighi, il diritto alla retribuzione.
Situazione differente è invece quella dei dilettanti, ovvero di quegli atleti
che svolgono attività sportiva per divertimento o svago, svincolati da obblighi
contrattuali e, in linea generale, senza retribuzione né incentivi di sorta.
A tal proposito occorre tuttavia ricordare come ormai da tempo anche gli
atleti dilettanti ricevano rimborsi spese, borse di studio, premi che garantiscono
un trattamento economico in certi casi simile a quello dei compensi degli atleti
professionisti, tale da permetter loro di dedicarsi a pieno all’esercizio ed alla
preparazione atletica. 9
Quanto alla distinzione tra atleti professionisti e dilettanti, la stessa è
rimessa alle rispettive federazioni, che vi provvedono con propri regolamenti e
con l’osservanza dei criteri che, a questo fine, son dettati dal Consiglio del
CONI (art. 5, 2° comma lett. D del decreto legislativo n. 242/1999).
La stessa legge n. 91/1981 ad ogni modo, concorre a tale distinzione
dettando, ai fini della sua applicazione, una definizione di atleta professionista.
L’atleta professionista ai sensi della legge n. 91 infatti è colui che viene
identificato come tale ad opera della federazione e, la cui prestazione sportiva,
venga resa con i caratteri della onerosità e della continuità, in favore di una
società costituita sotto forma di società per azioni o a responsabilità limitata.
Sempre la legge n. 91, stabilisce che la prestazione a titolo oneroso
dell’atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato, regolato dalle
9
Sulla compatibilità con la qualifica di dilettanti della corresponsione di compensi monetari si veda
Trib. Milano, 3 Aprile 1989, in Foro it. , I, 2951.
29
norme contenute nella stessa legge, fatte salve le eccezioni previste nel suo art.
3.
Oltre agli atleti, una particolare rilevanza è quella attribuita alle figure di
allenatori, dei preparatori atletici e dei direttori tecnico-sportivi, che la suddetta
legge fa rientrare nell’ambito del professionismo sportivo, rendendoli
destinatari delle norme in essa contenute.
Sono allenatori quei soggetti che, in base alle norme di ciascuna
federazione, svolgono compiti di selezione, allenamento ed istruzione degli
atleti mentre i preparatori atletici provvedono più semplicemente alla cura della
formazione atletica dello sportivo.
Più difficile appare invece l’individuazione dei direttori tecnico-sportivi.
Infatti, se vengono definite in questo modo quelle figure che in qualche modo
partecipano alle funzioni proprie degli allenatori e dei preparatori atletici, non
sussisterebbe alcun dubbio nel ritenerli destinatari della legge n. 91/1981. Se,
viceversa, il termine serve ad individuare i dirigenti delle federazioni e delle
società ed associazioni sportive che, a vari livelli, collaborano per lo sviluppo
dello sport, mettendo a disposizione la loro esperienza e competenza tecnica,
dovrà escludersi l’applicazione nei loro confronti della legge n. 91/1981.
Sebbene, quelle sopra brevemente richiamate, siano le uniche figure cui si
riferisce la legge ai fini della qualificazione del professionismo sportivo, queste
non sono di certo le sole esistenti nell’ambito dell’ordinamento sportivo.
Oltretutto
occorre ricordare l’importanza che, in tale ordinamento,
assumono le figure degli arbitri e degli ufficiali di gara, il cui ruolo,
regolamentato dall’art. 33 dello statuto del CONI, è fondamentale al fine di
30
garantire il regolare svolgimento delle competizioni e la certificazione dei
risultati ottenuti. 10
1.4. Gli atleti
Le atlete e gli atleti rimangono ovviamente i veri protagonisti dell’intero
sistema sportivo.
La diversificazione delle pratiche sportive e delle diverse motivazioni che
spingono il singolo atleta però, portano ad una situazione nella quale spesso
appare difficoltoso trovare una definizione di atleta corrispondente e funzionale
a tutti gli approcci cui porta la complessità dell' attuale realtà sportiva.
La dottrina a riguardo ha coniato diverse definizioni d’atleta, distinguendo
fra coloro che praticano “agonismo occasionale” e che vengono considerati
atleti secondo il senso etimologico del termine per il solo fatto del gareggiare e
chi invece si impegna in una forma di “ agonismo programmatico”.
Questi ultimi
sono coloro che praticano un esercizio per tentare di
riuscire a vincere e, ad ogni modo, per consentire la compilazione della
graduatoria dei valori atletici con l’obiettivo di ottenerne il continuo
miglioramento. 11
10
Sulla configurabilità degli arbitri quali pubblici ufficiali si sono scontrate due differenti posizioni che
han visto prevalere quella negativa che esclude tale qualificazione in ragione della rilevanza
strettamente privatistica dei conflitti che sono chiamati a comporre: AA. VV., Diritto sportivo, p. 91;
M.SANINO, Diritto sportivo, p. 61.
11
MARANI TORO I., MARANI TORO A., Gli ordinamenti sportivi, Giuffrè, Milano, 1977.
31
Più recentemente si è parlato degli atleti come delle “persone che
effettivamente praticano l’attività sportiva” 12 prescindendo dal riferimento alla
partecipazione ad una gara o all’inclusione in una graduatoria, e come coloro
che, nel praticare una determinata disciplina sportiva hanno “quale finalità
quella di misurarsi con gli altri partecipanti in un contesto disciplinato al fine di
vincere tali competizioni e rientrare all’interno di una graduatoria di valori
tecnici”. 13 Tali definizioni, nella loro rappresentazione di realtà fra loro
eterogenee son la testimonianza di una situazione che vede accomunati ai
grandi campioni dello sport coloro che scelgono di praticare nel proprio tempo
libero una disciplina o un’attività sportiva.
Il D.Lgs. 242/1999 ha introdotto la presenza degli atleti e dei tecnici nel
Consiglio nazionale e nella Giunta nazionale del CONI ed ha previsto per tali
soggetti l’esercizio dell’elettorato attivo e passivo. In seguito il D. Lgs. 15/2004
ha confermato tale presenza, introducendo delle modifiche che sono state
ampiamente richiamate nella trattazione relativa al Consiglio nazionale del
CONI.
Riguardo alla definizione di atleta, lo statuto dell’ente, circoscrive lo
status di atleta a “coloro che hanno partecipato entro gli otto anni precedenti la
data delle elezioni, ai giochi olimpici, ovvero ai campionati mondiali o europei,
ovvero ai massimi livelli di competizione internazionale e nazionale” (art. 33,
comma 2 Statuto CONI, 2004). In questo modo è previsto un requisito che
considera eleggibili anche gli atleti non più in attività, seppure con un limite di
12
DONATI D., La disciplina giuridica delle attività motorie: i profili organizzativi, in “Attività motorie
e attività sportive: problematiche giuridiche”, Cedam, Padova, 2002, pp. 25-64.
13
SANINO M., Diritto sportivo, Cedam, Padova 2002.
32
tempo dalla cessazione dell’attività che ad ogni modo deve essere stata svolta
ad altissimo livello.
Elemento fondamentale per acquisire la qualifica di atleta è costituito dal
tesseramento, che è un atto formale di adesione compiuto “presso le società e le
associazioni sportive riconosciute, tranne i casi particolari in cui sia consentito
il tesseramento individuale alle Federazioni sportive nazionali, alle Discipline
sportive a associate e agli enti di promozione sportiva”(art. 30, comma 1,
Statuto CONI, 2004).
Attraverso il tesseramento l’atleta diverrebbe titolare di una serie di
obblighi e diritti. 14
Fra questi, sulla base di quanto previsto dallo Statuto del 23 marzo 2004, “
gli atleti sono soggetti dell’ordinamento sportivo e devono esercitare con lealtà
le loro attività, osservando i principi, le norme e le consuetudini sportive”(art.
30, comma 2), ferma restando la soggezione di questi alle norme ed agli
indirizzi del CIO, del CONI e delle federazioni internazionale e nazionale di
appartenenza.
Inoltre, lo Statuto del CONI prevede che Atlete ed Atleti selezionati per le
rappresentative nazionali siano tenuti a rispondere alle convocazioni e, in tali
occasioni, devono mettersi a disposizione delle rispettive Federazioni sportive
nazionali o Discipline sportive associate (art 30, comma 4).
Da quanto sino ad ora rilevato, la realtà sportiva attuale si presenta
parecchio diversificata. Per questo motivo gli atleti possono essere differenziati
sulla base di diversi parametri, la gran parte dei quali hanno rilevanza solo ai
14
Per Marani Toro I. e A. ,in particolare, con il tesseramento l’atleta “diventa titolare di u fascio di
rapporti giuridici che creano reciproci diritti ed obblighi nei confronti degli altri atleti,
dell’associazione sportiva, della Federazione nazionale ed internazionale.
33
fini della partecipazione alle gare sportive , dalla divisione per disciplina a
quella per sesso, età, nazionalità.
La classificazione più significativa ad ogni modo, rilevante sia sul piano
dell’ordinamento sportivo sia su quello dell’ordinamento giuridico, è quella che
divide gli atleti in relazione al tipo di attività sportiva praticata tra sportivi
dilettanti e sportivi professionisti.
L’art. 2 della legge n. 91/1981 demanda alle Federazioni sportive
nazionali, l’individuazione delle attività esercitate a titolo oneroso con il
carattere del professionismo.
Alla base delle suddette scelte federali, gli atleti professionisti sono quindi
presenti nel calcio, dalla serie A alla C2, nella serie A della pallacanestro; nel
ciclismo; nel pugilato; nel golf; nel motociclismo.
Come già visto, la legge n. 91 definisce gli sportivi professionisti
specificando inoltre che la prestazione sportiva dell’atleta, prestata con
continuità e a titolo oneroso, e che, all’interno di successivamente analizzati
parametri qualitativi e quantitativi, debba essere oggetto di un contratto di
lavoro subordinato.
La definizione di sport dilettantistico, al contrario, è ricavabile in via
residuale, considerando come tali tutte le attività non professionistiche.
In questo modo sarebbero da considerare come atleti dilettanti tutti coloro
che non erogano una prestazione a titolo oneroso, ai sensi della L. n. 91/1981.
Anche una parte di questi atleti però, ed in particolare quelli che
raggiungono nella loro pratica sportiva dei livelli di eccellenza, raggiungono un
grado di specializzazione tale per cui risulta indispensabile dedicare una larga
parte del proprio tempo alla disciplina praticata. Per questo motivo diviene
34
indispensabile per questi ricavare dalla disciplina praticata la fonte per il
proprio sostentamento.
Questo, ad esempio, è il caso degli atleti che fanno parte dei gruppi
sportivi delle Forze armate, delle Forze di polizia e del corpo nazionale dei
vigili del fuoco.
La dottrina a tal proposito è giunta così ad individuare tre categorie di
atleti: i dilettanti, economicamente autosufficienti, i semi professionisti, solo in
parte mantenuti dall’ordinamento, ed i professionisti, integralmente mantenuti
dall’ordinamento. 15
Vanno poi ricordate le pronunce della nozione di Corte di Giustizia
europea che hanno asserito come la nozione di lavoratore sia da applicarsi a chi
effettua una propria prestazione lavorativa in condizione di subordinazione e
dietro il pagamento di un corrispettivo. 16
Per chiudere il discorso relativo agli atleti bisogna richiamare l’istituzione
da parte del CONI, in ottemperanza a quanto disposto dalla Carta Olimpica, ha
costituito presso l’ente la Commissione nazionale atleti, la cui composizione e il
relativo funzionamento sono disciplinati dal Consiglio nazionale (art. 30,
comma 5, Statuto CONI, 2004). Questa è composta da un rappresentante per
ciascuna Commissione federale atleti e da tre delle Discipline sportive
associate.
Tale Commissione ha funzione consultiva, con il compito di contribuire
alla diffusione dei valori olimpici e di formulare proposte, suggerimenti e
pareri agli organi del CONI con particolare riferimento alle questioni relative
agli atleti.
15
SANINO M., Diritto sportivo, Cedam, Padova 2002.
35
1.5. Il CONI
Dopo un periodo di sostanziale stabilità, la disciplina complessiva dei
soggetti che operano nel mondo dello sport ha ricevuto, negli ultimi anni, molte
incisive modifiche, in certi casi anche di segno discordante.
I processi di riforma hanno innanzi tutto interessato il CONI, di seguito, le
Federazioni sportive nazionali.
Occorre inoltre rilevare come tali interventi, testimonianza di un settore
in fibrillazione, non siano al momento risolti e che il fenomeno normativo non
sembra essersi concluso.
È invece possibile affermare che il vero e proprio baricentro del
movimento sportivo nazionale sia costituito dall’ente pubblico nazionale CONI,
intorno al quale si muove, secondo una costruzione satellitare, il mondo delle
Federazioni sportive e delle Discipline sportive associate oltre a quello degli
Enti di promozione sportiva.
All’apice delle numerose organizzazioni collettive attraverso le quali si
provvede alla strutturazione ed allo svolgimento dell’attività sportiva
gerarchicamente
regolate in un’ideale struttura organizzativa dalla forma
piramidale, va quindi posto il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI).
L’organo di vertice dell’ordinamento sportivo nazionale, è entrato a far
parte dell’ordinamento statale con legge 6 febbraio 1942 n. 426 che, nel
disciplinarlo, l’ha riconosciuto come ente dotato di personalità giuridica,
preposto alla cura, alla organizzazione ed allo sviluppo dello sport.
16
Corte di Giustizia europea 66/85, Lawrie-Blum, in Raccolta, 1986 pp. 2121 ss.; sentenza 11 aprile
2000, cause riunite C-51/96 e C-191/97 in Il lavoro nella Giurisprudenza 3/2001, pp. 236 ss.
36
Tale ente peraltro, ha subito una profonda riorganizzazione operata dal
decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242 e dei successivi d.l. 8 luglio 2002, n.
138 convertito in legge 8 agosto 2002, n. 178 e dal d.l. 8 gennaio 2004, n. 15
che hanno di volta in volta introdotto importanti novità rispetto alla legge
istitutiva n. 426 del 1942. 17
Per prima cosa le riforme hanno avuto il significato di contenere in forma
esplicita il riconoscimento dell’appartenenza del Coni all’ordinamento sportivo
internazionale, ai cui principi è tenuto al uniformarsi.
Inoltre sono state specificate le diverse funzioni che lo stesso ente è
chiamato ad assolvere nella sua duplice veste di ente dell’ordinamento sportivo
e dell’ordinamento statuale.
Il decreto legislativo n. 242/1999 prevedendo che il Coni si conformi ai
principi dettati dall’ordinamento sportivo internazionale, pone questo in
relazione con il Comitato Olimpico Internazionale(CIO) , vincolando in questo
modo l’ente nazionale ad operare in armonia con le deliberazioni e con gli
indirizzi posti in essere dal soggetto sopranazionale.
L’appartenenza del comitato nazionale a quello internazionale viene poi
ribadita nell’art. 4 dello Statuto in cui si chiama il Coni alla salvaguardia della
propria autonomia da ingerenze di natura politica, religiosa ed economica, in
conformità ai principi fissati nella Carta Olimpica.
Il CIO, con le federazioni sportive internazionali, costituisce un
organismo a dimensioine sovranazionale che, in armonia con i principi espressi
17
Di interesse generale appare la novità in merito alla politica di contrasto al fenomeno del doping, per
la cui prevenzione il Coni opererà d’intesa anche con la Commissione per la vigilanza ed il controllo
sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive, istituita ai sensi dell’articolo 3, della legge
14 dicembre 2000, n. 376.
37
nella Carta Olimpica, detta norme vincolanti per tutti coloro che praticano lo
stesso sport nei diversi Paesi che ad esso aderiscono.
Tale organizzazione, istituita in seguito al Congresso internazionale degli
sport atletici del 1894 ed in seguito alla emanazione della Carta Olimpica, vero
e proprio statuto dell’ordinamento sportivo internazionale, è composta dai vari
rappresentanti degli Stati membri ed ha come compito principale quello di
organizzare i giochi olimpici, sovrintendendo al loro svolgimento.
Allo stesso modo, le federazioni sportive internazionali fanno capo quelle
corrispondenti nazionali, organizzate secondo una struttura federativa di tipo
privato, esercitando una propria attività normativa attraverso la promulgazione
di statuti, regolamenti e codici sportivi vincolanti per le federazioni nazionali
aderenti. 18
Nel fissare il principio di autonomia del CONI, il decreto legislativo n.
242/1999, richiama esplicitamente i principi dell’ordinamento sportivo
internazionale fissati dal CIO. Tali principi si pongono, da un lato, come criteri
direttivi dell’attività del CONI, dall’altro lato come dei limiti che lo stesso
ordinamento statale si impegna a non superare nel dettare la disciplina del
CONI quale ente pubblico.
Il decreto legislativo n. 242/1999 stabilisce all’art. 2 che il CONI cura
l’adozione di misure di prevenzione e repressione dell’uso di sostanze che
alterano le naturali prestazioni fisiche degli atleti nelle attività sportive.
Lo Statuto del CONI, a sua volta, nel fissarne le funzioni, prevede che
nell’ambito dell’ordinamento sportivo il Comitato Olimpico è chiamato a
18
F. X. PONS RAFOLS, Il comitato olimpico internazionale e i Giochi olimpici: aspetti di diritto
internazionale, in Riv. dir. sport., 1995, p. 255.
38
dettare i principi per la lotta dello sport contro l’esclusione, le disuguaglianze,
il razzismo, la xenofobia ed ogni forma di violenza.
Altresì il CONI stabilisce i principi finalizzati a conciliare la dimensione
economica dello sport con la sue inalienabili prerogative popolari, sociali
educative e culturali.
Sempre in tale ambito è chiamato a fissare i principi per assicurare che
ogni giovane atleta formato da federazioni, società o associazioni sportive ai
fini di alta competizione riceva una formazione educativa o professionale
complementare alla sua formazione sportiva , nonché a garantire i giusti
procedimenti per la soluzione delle controversie come previsto dall’art. 2 dello
Statuto.
Per quanto riguarda la veste di ente appartenente all’ordinamento statale, è
stabilito che il CONI
è un ente dotato di personalità giuridica di diritto
pubblico, assoggettato alla vigilanza da parte del Ministero per i beni e le
attività culturali (art. 1, decreto legislativo n. 242/1999).
In tale ruolo in particolare, il CONI presiede all’organizzazione delle
attività sportive sul territorio nazionale.
11.5.1. Il CONI: struttura
Non è possibile affermare con assoluta certezza che il legislatore del
1942 abbia voluto affidare l’intero ambito sportivo al comitato nazionale,
affidandogli il ruolo di vero e proprio monopolista sia del settore
professionistico sia di quello dilettantistico.
39
Occorre invece rilevare come l’intera successiva evoluzione normativa si
sia mossa di fatto in questa direzione.
Nella consapevolezza di questa posizione dominante, sia il Legislatore sia
il Comitato, nell’ambito dei suoi poteri normativi, hanno peraltro tentato di non
costituire un freno allo sviluppo sportivo ma, al contrario, di costituirne uno
stimolo.
Due elementi normativi hanno permesso quest' impostazione.
Innanzitutto l’organizzazione strutturale del CONI che è suddivisa in
organizzazione centrale e periferica.
Quest’ultima, costituita a sua volta in comitati regionali, provinciali e
fiduciari locali, ha permesso una ramificazione capillare sul territorio nazionale
che ha contribuito ad un’adeguata diffusione, promozione e controllo
dell’attività sportiva.
In secondo luogo è stato importante il riconoscimento da parte del CONI
di una serie articolata di realtà sociali in ambito ricreativo e dilettantistico che
ha visto la propria espressione principalmente attraverso l’opera degli enti di
promozione sportiva.
Per quanto concerne la sua struttura interna, gli organi del Coni sono
stabiliti dall’art. 3 del sopra citato decreto n. 242/1999 e sono:
a)
il consiglio nazionale;
b)
la giunta nazionale;
c)
il presidente;
d)
il segretario generale;
e)
il comitato nazionale per lo sport per tutti;
f)
il collegio dei revisori dei conti.
40
Tutti gli organi durano in carica quattro anni ed il decreto legislativo
provvede a regolare poteri, funzioni ed organizzazione di ogni organo del
CONI.
Appare significativo precisare che le Federazioni sportive nazionali non
sono più citate tra gli organi del Comitato.
1.6. Le federazioni sportive nazionali: natura e
funzioni
La natura giuridica delle Federazioni sportive nazionali è stata oggetto,
nel corso degli anni di numerose discussioni.
Quel che comunque appare innegabile, è sostenere che le Federazioni
rivestano una rilevanza di primissimo piano nell’ambito dell’ordinamento
sportivo in quanto istituti di fatto preposti all' organizzazione ed allo
svolgimento materiali delle singole discipline sportive.
Uno dei problemi che più di altri ha catalizzato l’interesse di dottrina e
giurisprudenza è stato quello sorto riguardo alla definizione della natura
pubblica piuttosto che privata da doversi attribuire a tali entità.
A tal proposito, le conclusioni sulla questione per un lungo periodo, sono
giunte a risultati spesso diverse quando non addirittura opposte, raggiungendo
solo negli ultimi anni una soluzione di compromesso che, se da un lato sembra
risolvere la questione dal punto di vista scientifico e dottrinale, dall’altro lascia
irrisolti moltissimi problemi pratici.
41
La recente riforma apportata dal decreto Melandri, ancora troppo giovane
e che necessita del vaglio della prova pratica, sembra poter in tal senso risolvere
parecchi problemi non trovando tuttavia adeguate soluzioni per altri.
È invece possibile e probabilmente utile ripercorrere quali siano stati i
termini del dibattito che han portato alla attuale normativa.
Fino alla attuale riforma normativa, gran parte della dottrina sosteneva la
natura pubblica delle federazioni sportive nazionali.
Le argomentazioni che sostenevano le tesi di questi autori
19
partivano, in
particolare, dal rilevare lo stretto legame funzionale ed organizzativo
intercorrente fra federazioni e CONI.
Un ulteriore elemento che veniva considerato era quanto previsto dalla
legge istitutiva del CONI che nell’art. 5 primo comma definisce le federazioni
quali propri organi. CONI e federazioni, oltretutto, sono teleologicamente
accomunati, hanno potere di affiliazione e possiedono strutture analoghe e
talvolta coincidenti.
Sempre in favore della tesi pubblicistica, è stato autorevolmente sostenuto
che, in base alla legge n. 91/1981, alle federazioni era riconosciuta una potestà
regolamentare molto ampia e vincolante anche sotto il profilo della
giurisdizione ordinaria almeno civile che, di fatto, si poteva legittimare solo
trattandosi di ente di natura pubblicistica.
19
Così a tal proposito FERRARO M.: “La natura pubblicistica o privatistica del vincolo non è che
l’ultimo anello di due catene che partono entrambe da un problema centrale che è quello della natura
giuridica delle Federazioni sportive[…] dei problemi così individuat: natua delle Federazioni sportive,
natura dei regolamenti federali, natura della giustizia sportiva e natura del tesserament, il primo
risulta antecedente, anzi preliminare agli altri”
42
Al
contrario,
i
sostenitori
della
tesi
privatistica,
muovevano
principalmente dal sottolineare l’autonomia e l’indipendenza delle federazioni
rispetto al Comitato e di conseguenza riconoscevano una soggettività delle
federazioni distinta e separata da quella centrale.
Questa posizione non faticava a trovare supporto in numerose disposizioni
di legge che effettivamente si muovevano in tal senso. Fra queste anche la
stessa legge n. 91/1981 che, senza dubbio, ne ha sottolineato l’autonomia
tecnica, organizzativa e di gestione, riconoscendo alle federazioni poteri
talvolta autonomi o quanto meno distinti da quelli attribuiti al Comitato
nazionale.
La questione sulla definizione della natura delle federazioni in senso
pubblico piuttosto che privato non ha valore soltanto su di un piano
eminentemente teorico ma comporta importanti risvolti sul piano concreto della
vita dell’intero settore sportivo.
Una delle principali ricadute che tale definizione comporta è quella, di
certo di importanza tutt’altro che marginale, relativa all' individuazione del
giudice competente in materia di controversie tra federazioni e terzi e che ha
visto optare a favore del giudice amministrativo in luogo di quello ordinario.
Altro significativo precipitato che sussegue alla scelta di una, piuttosto
che dell’altra opzione, è quello in ordine all’efficacia giuridica extrasportiva dei
regolamenti e delle singole discipline sportive. Infatti, ne è diretta conseguenza,
l’incidenza sotto il profilo della eventuale responsabilità civile per danni causati
da atleti nell’ambito di gare o prove sportive, siano queste professionistiche o
dilettantistiche.
43
Del resto anche la giurisprudenza spesso ha oscillato sulle diverse
posizioni. 20
Fondamentale è stata la posizione sostenuta dalla Corte di Cassazione con
le sentenze a Sezioni unite 9 maggio 1991 n. 5181 e 9 maggio 1986 nn. 3091
e 3092.
Con queste la cassazione ha sostenuto la tesi della “natura mista” delle
federazioni sportive nazionali che li individua come enti aventi natura sia
pubblica che privata.
In effetti le federazioni talvolta agiscono come organi del CONI ed in
quel caso assumono
la
natura pubblica, mentre in altri casi operano più
semplicemente come associazioni private.
In alcune occasioni le federazioni svolgono la propria attività su delega
del CONI e perseguendo le medesime finalità, altre volte invece svolgono
funzioni autonome e separate dal Comitato nazionale conservando in tale
ambito la piena autonomia e capacità.
In questo modo, l’affermazione della tesi della “natura mista”,
sostanzialmente accettata dalla gran parte della dottrina , risolve la questione
dal punto di vista teorico e speculativo.
D’altro canto però, proprio tale impostazione, apre la strada ad una serie
di problematiche di carattere pratico. In effetti l’analisi di talune manifestazioni
di volontà o dei singoli atti diviene più delicata, richiedendo di volta in volta
un’indagine più attenta allo scopo di definire se trattasi di atto amministrativo
piuttosto che di atto privato.
20
Cass., sez. I, 9 luglio 1999, in Mass. Cass., 1999, I, 2432. In tale sentenza è ritenuto non pubblico un
rapporto di lavoro con la Federazione, poiché l’articolo 3 della legge n. 138/92 aveva inquadrato nei
ruoli del CONI solamente il personale in servizio al 31 dicembre 1990 e perché le Federazioni non
hanno la possibilità di bandire concorsi per creare ex novo posti di pubblico impiego.
44
In termini pratici, le federazioni verranno ad assumere la qualifica
pubblica ogni volta che perseguiranno, nel compimento delle proprie funzioni,
le finalità istituzionali del CONI ed allo stesso modo tutte le volte che agiranno
per la tutela e la regolamentazione di interessi pubblici.
Al contrario manterranno la qualifica di natura privatistica nello
svolgimento delle funzioni in cui queste conservano la propria piena autonomia
e rimanendo di fatto, nell’ambito della regolamentazione di interessi privati.
A titolo esemplificativo, dovrà essere considerata di natura pubblica una
norma
introdotta in un regolamento sportivo ed in generale tutto quanto
rientrante nelle già sopra menzionate competenze pubbliche attribuite al CONI.
Ad ogni modo la questione ha dovuto confrontarsi con la riforma attuata
con il d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242. .A tal proposito, l’art. 15 comma secondo
prevede che le”federazioni sportive nazionali hanno natura di associazione con
personalità giuridica di diritto privato. Esse non perseguono fini di lucro e
sono disciplinate per quanto non espressamente previsto dal presente decreto,
dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo”.
Il comma 4 del medesimo articolo 15 inoltre precisa
riconoscimento della personalità giuridica
che”il
diritto privato alle nuove
federazioni sportive nazionali è concesso a norma dell’art. 12 c.c., previo
riconoscimento dei fini sportivi da parte del consiglio nazionale”.
Tali affermazioni sembrerebbero poter lasciare il campo libero da ogni
dubbio e far propendere la questione a favore dei sostenitori della tesi
privatistica.
Questione invece che non trova una soluzione definitiva alla luce di altre
norme, basti in tal senso ricordare sempre l’art. 15 stesso che, al primo comma
45
dispone che:“le federazioni sportive nazionali svolgono l’attività sportiva in
armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO e del CONI, anche in
considerazione della valenza pubblicistica di specifici aspetti di tale attività.”
La soluzione preferibile sembra quindi quella che attribuisce una natura
di carattere misto a questi organismi che però, innegabilmente, fra le proprie
funzioni, svolgono alcune attività caratterizzate da una valenza pubblica.
La lettura dello statuto del CONI porta sostanzialmente alle medesime
conclusioni.
Innanzi tutto là dove, all’art. 20 comma primo dello statuto del comitato
nazionale, si legge che”le federazioni sono associazioni senza fini di lucro, con
personalità giuridica di diritto privato” .
Ed ancora nel comma 4 in cui precisa che queste “svolgono l’attività
sportiva e le relative attività di promozione in armonia con le deliberazioni e
gli indirizzi del CIO e del CONI anche in considerazione della rilevanza
pubblicistica di specifici aspetti di tale attività. Nell’ambito dell’ordinamento
sportivo, alle Federazioni sportive nazionali è riconosciuta l’autonomia
tecnica, organizzativa e di gestione, sotto la vigilanza del CONI”. Vale poi la
pena ricordare che nel suo art. 23 lo statuto demanda al Consiglio nazionale il
compito di emanare indirizzi in ordine “ai profili pubblicistici dell’attività delle
Federazioni sportive nazionali con particolare riferimento all’affiliazione, al
riconoscimento e ai controlli sulle società e sulle associazioni sportive , ai
tesseramenti, alla tutela sanitaria, assicurativa e previdenziale degli atleti, alla
prevenzione e repressione del doping, nonché alla formazione dei quadri e dei
tecnici e all’impiego del personale”.
46
In conclusione appare corretto affermare che le federazioni abbiano in via
principale natura privata e che, in questo caso, assumano la definizione formale
di associazioni mentre, in via eccezionale e sussidiaria, svolgano le proprie
funzione in relazione ad attività e finalità pubbliche.
11.6.1. Le federazioni: riconoscimento e
affiliazione
Le federazioni nazionali e le singole associazioni sportive entrano a far
parte anche ufficialmente del complesso di disposizioni di leggi, regolamenti ed
altre fonti giuridiche attraverso le procedure comunemente note con i termini di
riconoscimento ed affiliazione .
Peraltro tale legame non costituisce un obbligo ma piuttosto un onere nel
senso che in linea generale è possibile svolgere un’attività di promozione
sportiva anche al di fuori del sistema pubblico.
Certo, la mancata affiliazione di un ente sportivo alla federazione
nazionale comporta evidenti conseguenze in ordine alla omologazione di eventi
e gare sportive
ed inoltre
non consente
loro di accedere ad importanti
vantaggi di carattere fiscale.
Tali enti infatti, trovano nella disciplina fiscale assai vantaggiosa rispetto
a quella accordata agli altri enti non commerciali ordinari, uno degli stimoli più
efficaci verso l’affiliazione tramite l’ottenimento del riconoscimento.
47
Questa disciplina tributaria vantaggiosa, sia sul piano sostanziale oltre
che su quello formale, è riconosciuta in virtù di una maggiore attività di
controllo pubblica esercitata nei confronti di tali enti.
Questo in un contesto che vede un sistema dalla spiccata impronta
pubblicistica, comporta che l’affiliazione sia un elemento essenziale per gli enti
sportivi introducendo l’evento sportivo, sia pubblico che professionistico, in un
sistema condiviso e comunitario.
Sempre il più volte citato art. 15 d. lgs. 23 luglio 1999, n.242 al comma 3
stabilisce che il riconoscimento delle federazioni nazionali ai fini sportivi è
competenza del consiglio nazionale del CONI.
Gli artt. 21 e 22 dello statuto del CONI regolano invece l’ordinamento
delle federazioni ed i requisiti sia formali sia sostanziali necessari per ottenere
il riconoscimento.
Ad esempio, si richiede che
gli statuti
siano conformi al principio
democratico e che la partecipazione alla attività sportiva sia resa fruibile a tutti
in condizione di uguaglianza e pari opportunità.
Come è noto invece, la normativa che disciplina l’affiliazione delle
società sportive resta regolata dall’art. 10 della legge 23 marzo 1981, n. 91,
fermo il fatto che tale legge si riferisce esclusivamente al settore
professionistico lasciando così un vuoto legislativo per quanto attiene al mondo
dilettantistico.
Abbiamo già avuto modo di ricordare che , l’art. 23 dello statuto rimanda
al Consiglio nazionale del CONI per l’emanazione di indirizzi generali che
informino le singole federazioni nelle procedure delle relative affiliazioni.
48
Occorre a tal proposito rilevare la
diversa valenza che l’atto della
affiliazione assume nello sport professionistico rispetto alla realtà dello sport
dilettantistico: solo per i professionisti infatti tale riconoscimento comporta
importanti conseguenze di carattere civilistico.
Sostanzialmente inoltre, le cosiddette società sportive dilettantistiche (più
correttamente associazioni sportive), non godono di una propria individuazione
autonoma , ma vengono piuttosto qualificate in base alla mancanza dei caratteri
che invece contraddistinguono le realtà professionistiche.
Appare utile ricordare, a questo proposito, che tali organismi hanno
l’obbligo di assumere la forma di enti senza scopo di lucro e cioè, secondo la
definizione fiscale che li contraddistingue, di enti non commerciali.
Va inoltre rilevato che, attenendo tanto il tesseramento quanto
l’affiliazione alla funzione pubblica delle federazioni nazionali, le situazioni
soggettive di cui si tratta sono da includersi nella sfera dei diritti soggettivi
piuttosto che in quella di semplici interessi legittimi.
L’ultima riforma legislativa, sembra d’altra parte confermare tale
impostazione che vede tra l’altro l’ordinamento ed il riconoscimento delle
società e delle associazioni sportive regolati dall’art. 29 dello statuto del CONI.
Innanzitutto si stabilisce il criterio che prevede che, salve le eccezioni
previste dall’ordinamento ed i casi di deroga autorizzati dallo stesso Consiglio
nazionale, queste non devono ad ogni modo avere scopo di lucro e devono
avere statuti e regolamenti interni ispirati al principio democratico e di pari
opportunità.
È il secondo comma del succitato art. 29 che prevede il riconoscimento o
da parte dello stesso CONI o attraverso la delega concessa alle singole
49
federazioni sportive nazionali o alle discipline associate ovvero agli enti di
promozione sportiva.
Sempre l’art. 29, nel comma 4 recita che”sono soggetti dell’ordinamento
sportivo e devono esercitare con lealtà sportiva le loro attività, osservando i
principi , le norme e le consuetudini sportive, nonché salvaguardando la
funzione popolare, educativa, sociale e culturale dello sport”.
1.7.
Gli enti di promozione sportiva
È invece nell’art. 26 dello statuto che trovano definizione gli enti di
promozione sportiva che vengono individuati come”le associazioni a livello
nazionale che hanno per fine istituzionale la promozione e l’organizzazione di
attività fisico-sportive con finalità ricreative e formative e che svolgono le loro
funzioni nel rispetto dei principi, delle regole e delle competenze del CONI,
delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline associate”.
Questi enti nascono per lo più con finalità non agonistiche ma piuttosto
ricreative e con finalità più genericamente di carattere sociale.
L’ordinamento, in
un’ottica che considera anche queste finalità
meritevoli di tutela, ha teso nel tempo, ed in particolare a partire dal 1986, a
riconoscere tali realtà, in virtù anche dell’impatto sociale e per certi aspetti
“politico” che consegue al sostegno delle attività promosse da questi organismi.
Va infatti riconosciuto che le associazioni sportive, specie nel passato ed
in un contesto di generale minor diffusione della pratica sportiva, abbiano
50
svolto un’importante opera nella direzione della propaganda e della promozione
dell’attività dilettantistica quando non più semplicemente ludica o ricreativa .
Il riconoscimento di tali enti, rimandato dall’art. 27 dello statuto al
Consiglio nazionale del CONI è subordinato alla presenza
di determinati
requisiti e cioè:
a)
essere costituiti nella forma di associazione, riconosciuta o meno ai
sensi degli articoli del codice civile;
b)
essere dotati di statuto conforme al codice;
c)
avere presenza organizzata in almeno 15 regioni e 70 province;
d)
avere società o associazioni affiliate in numero non inferiore a 1000
con almeno 100000 iscritti;
e)
avere svolto attività da almeno 3 anni.
Sono questi parametri di carattere prevalentemente quantitativo, dal
momento che vengono già dati per scontati l’ovvia sottoposizione al rispetto
delle disposizioni di legge ai principi generali dell’ordinamento.
Una volta presa coscienza della rilevanza del fenomeno e della sua
generale utilità pubblica si è quindi optato per una sua regolamentazione,
quanto meno parziale, anche sul piano del suo profilo giuridico.
Pare utile accennare a questo riguardo che anche la disciplina tributaria
riconosce questi enti meritevoli di tutela.
Infatti, limitandoci ad un’osservazione che non vada al di là dei fini di
questo studio, occorre
sottolineare come per parecchie associazioni
dilettantistiche , circoli e gruppi sportivi, l’affiliazione all’ente di promozione
sportiva sia il primo fondamentale passo che li introduce all’interno di un
51
inquadramento dottrinale assai ampio, che provoca alcuni effetti immediati, se
non altro di natura fiscale.
Al fine di evitare fraintendimenti, vale però subito la pena precisare a
scanso di equivoci che l’atto di riconoscimento concesso da parte del Comitato
nazionale non qualifica in alcun modo tali enti né tanto meno come pubblici
né in alcun modo come enti dalla natura limitatamente pubblica.
Piuttosto, il riconoscimento ha l’importante funzione di introdurre questi
organismi all’interno dell’ambito dell’ordinamento sportivo generale.
Tale atto, senza incidere sulla qualifica dei soggetti in possesso delle
condizioni necessarie per il suo ottenimento, risulta quindi semplicemente
sottoposto ad un previo controllo generale di rispondenza ai requisiti sopra
elencati nell’ottica delle finalità prevista dall’ordinamento generale ed in
particolare dall’ordinamento sportivo.
1.8. Le discipline associate
Anche le discipline associate han fatto da qualche tempo il loro ingresso
nell’ambito dell’ordinamento attraverso le modalità e le procedure adottate dal
Comitato nazionale per il loro riconoscimento.
Queste, altro non sono che organizzazioni sportive che svolgono attività
distinte e separate da quelle propriamente svolte dalla federazioni sportive
nazionali ma che, in virtù della loro diffusione e rilevanza sul territorio
nazionale, accedono comunque al riconoscimento da parte del CONI godendo
conseguentemente di una peculiare considerazione.
52
Si tratta di una posizione di contiguità rispetto alle federazioni che vede le
discipline associate collocate appena un gradino sotto queste.
L’art. 24 dello statuto fissa anche in questo caso i requisiti necessari
affinché il Consiglio nazionale possa riconoscere tali discipline.
Tali requisiti sono:
a)
devono svolgere sul territorio nazionale attività sportiva;
b)
devono vantare tradizione sportiva e consistenza quantitativa del movimento
sportivo;
c)
devono avere ordinamento ispirato a principi di democrazia e partecipazione
d)
non devono avere scopo di lucro.
Alle discipline sportive associate, ai loro affiliati e tesserati sono applicate
, quando compatibili, tutte le norme dello statuto del CONI valide per le
federazioni nazionali.
Le discipline associate possono quindi vantare un regime di forte anche se
non perfetta equiparazione rispetto a quello che caratterizza le federazioni che
si riferisce a realtà caratterizzate da una serie di nuove e particolari discipline
che stanno emergendo sotto il profilo sociale e che, a fianco di alcune
caratteristiche
proprie dello
sport presentano talvolta anche una marcata
impronta ludica e ricreativa.
53
1.9. Lo stato giuridico dei calciatori e il ruolo dei
procuratori
La condizione giuridica del calciatore, sportivo professionista di assoluta
preminenza nell’ambito del mercato del lavoro sportivo nazionale,ha avuto
modo di essere oggetto di specifici approfondimenti dottrinali e normativi.
La normativa vigente, coerentemente con quanto accade con gli altri
professionisti,sembrerebbe
inquadrarli fuor d’ogni dubbio come lavoratori
subordinati.
Tuttavia tale situazione è stata giudicata da alcuni commentatori come
non perfettamente conforme ad una realtà economica che, per lo meno da un
determinato livello in poi, gode di ingaggi e rapporti contrattuali decisamente
difformi ed inimmaginabili rispetto a quelli
propri del rapporto di lavoro
subordinato, avvicinando la figura dei calciatori al ruolo che rivestono le stelle
dello spettacolo.
Non sono mancate in questo senso le spinte centrifughe volte a
raggiungere una configurazione che sul piano legale equiparasse i calciatori ai
lavoratori autonomi, né quelle volte ad individuarne una specifica collocazione,
una sorta di tertium genus fra rapporto di lavoro dipendente e autonomo.
Peraltro, queste posizioni, hanno sempre trovato valide argomentazioni
critiche da parte di coloro che hanno sottolineato come altri fattori, differenti da
quello della retribuzione, si inseriscano pienamente nel quadro delle
caratteristiche proprie del rapporto di lavoro subordinato.
Il calciatore, risulta infatti essere inserito strutturalmente nell’azienda, con
la quale s’instaura un rapporto di tipo marcatamente gerarchico e che lo vede
54
vincolato rispetto ad orari di lavoro ed a una retribuzione pressoché fissi o, ad
ogni modo, rigidamente determinati.
In coerenza con questa impostazione anche l’Associazione italiana agenti
di calciatori e società.
Secondo l’associazione dei cosiddetti “procuratori” dei calciatori infatti,
un’eventuale modifica del rapporto di lavoro determinerebbe, oltre a tutto, in
particolare per quanto riguarda le categorie inferiori e la realtà calcistica del
Sud, un affievolimento della tutela della stabilità del rapporto di lavoro che
comporterebbe una grave penalizzazione dei calciatori più deboli.
Dalla Lega professionisti di Serie C invece, sono giunti solleciti affinché
anche nel settore sportivo venga introdotta la possibilità di stipulare contratti di
apprendistato.
Tutti questi temi, risultano, per certi versi, legati alla figura emergente
degli agenti di calciatori.
L’attività di tali agenti deriva da un regolamento FIFA che detta i principi
di carattere generale, da cui discendono poi i regolamenti nazionali.
A tal proposito, nel 1990 è stato istituito l’albo degli Agenti e dei
Procuratori sportivi, cui si accede previo superamento di una prova abilitante
presso la FIGC, secondo le regole dettate dalla FIFA.
Negli anni il potere dei procuratori è cresciuto al di là di ogni controllo
tanto che i più noti nelle cronache da Bar dello Sport , sono giunti ad apparire
come una sorta di veri e propri “padroni” quando non “arbitri” del calcio
nazionale.
Ad ogni modo, i compensi dei procuratori variano dall’uno al cinque per
cento del compenso lordo riconosciuto al calciatore. I procuratori rivendicano il
55
diritto di essere rappresentati nel Consiglio federale o nei consigli di lega per
avere un interlocutore istituzionale.
La diffusione di tale figura professionale, peraltro ammessa limitatamente
al settore professionistico, sarebbe giustificata dalla presenza di un alto numero
di giocatori professionisti “fungibili” che troverebbero difficoltà altrimenti nello
spuntare ingaggi favorevoli.
Il fenomeno, come si ricordava ha subito una notevole espansione negli
ultimi anni, cui però non è corrisposta una puntuale definizione di normative e
controlli specifici.
Oggi la situazione appare infatti fuori controllo, vedendo su di un totale di
circa 3.400 calciatori professionisti, un numero di circa 440 agenti affiancati,
fra l’altro da altri abusivi per i quali non è possibile fornire una stima. 21
La FIGC, preso atto della particolare rilevanza acquisita da questa figura
prepotentemente inserita nell’universo calcistico ha da ultimo provveduto a
regolamentarne l’attività controllandone la correttezza dei comportamenti
mediante appositi regolamenti.
Il più recente “regolamento per l’esercizio dell’attività di agente di
calciatori” ha introdotto alcune significative novità rispetto a quanto previsto
dai precedenti.
Secondo la normativa federale è agente di calciatori colui che, avendone
ricevuto l’incarico, e risultato in possesso di tutti i requisiti previsti dal
medesimo regolamento, cura e promuove i rapporti tra il calciatore e la società,
in vista della stipula di un contratto di prestazione sportiva e presta opera di
consulenza a favore del calciatore nelle trattative dirette alla stipula dello stesso,
21
Fonti forniti dall’associazione dei procuratori dei calciatori.
56
assistendolo nella attività volta alla definizione, alla durata, al compenso ed ad
ogni altra pattuizione.
L’attività svolta dall’agente in favore della società, può riguardare uno o
più affari determinati ed essere rivolta a favorire il tesseramento o la cessione di
contratti di calciatori.
Si prevede inoltre che il contratto stipulato tramite l’assistenza dell’agente
contenga anche il nome e la sottoscrizione dello stesso22
e che eventuali
controversie insorte vengano deferite ad una camera arbitrale appositamente
costituita.
Quale sia effettivamente il ruolo del procuratore sportivo risulta
comunque un problema di non facile soluzione.
Nessuna delle figure contrattuali tipiche previste dall’ordinamento
giuridico statale sembra infatti configurarsi come idonea a ricomprendere
compiutamente la figura dell’agente di calciatori che appare oscillare tra il
mediatore, l’agente, il mandatario ed il professionista con incarico di
consulenza ed assistenza contrattuale. 23
22
La FIGC ha predisposto un apposito elenco speciale dei Procuratori sportivi ed ha adottato un
regolamento conforme a quanto previsto dal regolamento FIFA per gli “agents des joueurs” .Tuttavia
le attuali regole relative all’accesso a detta professione sono state ritenute eccessivamente restrittive
della concorrenza dal Commissario europeo che ne ha contestato fra l’altro i presupposti del sistema
che li ha organizzati in una sorta di ordine professionale.
23
MENNEA P., Il procuratore sportivo di calcio e le figure giuridiche ad esso assimilabili, in Impresa,
1995, p. 283.
57
1.10.Altre figure dell’ordinamento sportivo: tecnici
sportivi e ufficiali di gara
Anche i tecnici sportivi e gli ufficiali di gara fanno parte dell’ordinamento
sportivo.
In particolare i primi che, al pari degli atleti, hanno ricevuto a seguito del
decreto legislativo 242/1999, così come modificato da decreto legislativo
15/2004,il diritto di elettorato attivo e passivo per gli organi del CONI, per le
Federazioni sportive nazionali e le discipline associate.
Con questa denominazione di tecnici sportivi si ricomprendono gli
allenatori, gli istruttori, i preparatori ed in generale tutti coloro che sono
impegnati nella preparazione degli atleti e delle squadre o nell’avviamento allo
sport dei praticanti.
Tali soggetti sono disciplinati dall’art. 31 dello Statuto del CONI, che li
prevede inquadrati presso le società sportive o le associazioni riconosciute, o ad
ogni modo all’interno dei quadri tecnici federali.
Per svolgere la propria attività infatti, anche nel caso sia di natura
dilettantistica, i tecnici han bisogno di essere in possesso dei requisiti tecnici
professionali che vengono attestati dalla Federazione di appartenenza.
Anche i tecnici, al pari degli atleti, a seconda del rapporto che li lega alla
società o associazione sportiva di appartenenza possono essere distinti in tecnici
professionisti e dilettanti.
Proprio il problema della formazione degli operatori sportivi e della
possibilità di accedere alle professioni dello sport è stato al centro
dell’iniziativa comunitaria sul versante della libera circolazione.
58
Infatti, in relazione ad una professione particolare come quella del
maestro di sci, già regolamentata dalla legge n. 81/1991 e da specifiche
normative regionali, la Commissione europea ha
avviato un processo di
confronto tra gli Stati membri che ha portato a porre le basi per
l’armonizzazione dei percorsi formativi.24
I tecnici sono soggetti dell’ordinamento sportivo che hanno l’obbligo di
osservare i principi, le norme e le consuetudini sportive, con il dovere di
esercitare le proprie attività con lealtà sportiva.
In questo senso, un’importante attenzione in considerazione a questi
aspetti è quanto previsto dall’art. 31 dello Statuto del CONI, in relazione alla
funzione sociale, culturale ed educativa attribuita ai tecnici e soprattutto per
coloro che sono impegnati nell’avviamento allo sport delle giovani generazioni.
L’ordinamento sportivo, consapevole dell’importanza e della delicatezza
dell’attività svolta dai tecnici sportivi, ha previsto l’esercizio di nuovi diritti e
apposite facilitazioni fiscali (art. 90, L. 289/2002), ma anche una conseguente
particolare responsabilizzazione nei confronti di
fenomeni generativi dello
sport quali il doping (L. 376/2000).
La categoria degli ufficiali di gara ricomprende al suo interno figure
eterogenee a seconda della disciplina sportiva all’interno della quale esercitano
la propria attività.
Denominatore comune rispetto a tutte le tipologie degli ufficiali di gara è
il fatto che “partecipano allo svolgimento delle manifestazioni sportive per
assicurarne la regolarità” secondo quanto previsto dall’art. 32 dello Statuto del
CONI così come riformato nel 2004.
24
Conferenza nazionale sullo sport, 2000, p.496.
59
Lo svolgimento di funzioni diverse da parte degli ufficiali di gara deriva
invece dalle diverse esigenze che discipline differenti richiedono.
Negli sport di squadra infatti, il compito dell’arbitro è di verificare il
rispetto da parte dei giocatori dei regolamenti tecnici delle singole discipline e
un comportamento coerente con i principi di lealtà sportiva.
In altri sport invece, su tutti l’atletica leggera, gli ufficiali di gara hanno la
funzione di “certificare” i tempi e le misure ottenute dagli atleti per assicurarne
la regolarità.
Altre discipline, come tuffi e ginnastica, prevedono che sia l’ufficiale di
gara, rivestendo la funzione di giudice, a determinare direttamente, attraverso
valutazioni espresse tramite una votazione, le classifiche della gara.
Il pugilato prevede la possibilità che l’arbitro, solo o coadiuvato da altri
giudici, svolga la duplice funzione di consentire la regolarità dell’incontro
svolgendo contestualmente anche la funzione di giudice con la possibilità di
determinazione del risultato dell’incontro.
Lo statuto del CONI al comma secondo dell’art. 32, prevede la possibilità,
oltre che per le Federazioni sportive nazionali, anche per le Discipline sportive
associate e per gli enti di promozione sportiva, di formare, riconoscere e
garantire gruppi di ufficiali di gara.
Ufficiali che devono sempre garantire l’osservanza dei principi di terzietà,
imparzialità ed indipendenza di giudizio.
Una questione che è stata più volte sollevata, specie in relazione alla
figura dell’arbitro di calcio, è quella relativa alla opportunità di prevedere per
questi lo status di professionista.
60
In realtà gli ufficiali di gara prestano sempre la propria attività a titolo
gratuito pur percependo spesso rimorsi spese a d in alcuni casi indennità.
La giurisprudenza a riguardo è intervenuta a sottolineare la gratuità e la
natura associativa dell’attività di “ausiliario sportivo”. 25
In particolare, ciò che si afferma in relazione alla figura degli arbitri di
calcio, è che “si tratta di ausiliari sportivi sicché la loro attività è finalizzata
esclusivamente al fine di collaborare per il raggiungimento di un risultato, vale
a dire il regolare svolgimento dell’attività degli atleti”. Ed ancora, per quanto
concerne il dato economico si rileva che “la categoria degli arbitri la sua
attività in via gratuita, essendo previsti solo rimborsi spese ed eventualmente
indennità”.
25
Trib. Roma, sent. n. 8712 del 3 Aprile 2003.
61
62
Capitolo Secondo
2.1. La disciplina dell’attività sportiva: quadro storico
normativo
È nel primo quarto del secolo scorso che nasce l’esigenza per i giuristi di
un’analisi sistematica del fenomeno sportivo, in modo da fronteggiare le nuove
problematiche che man mano andavano delineandosi.
Negli anni cinquanta si registra la comparsa della voce nei repertori della
giurisprudenza ed è sempre in questo periodo che si assiste alla nascita di una
rivista giuridica specializzata interamente dedicata alla materia 26 .
Oggi, l’esistenza di un diritto dello sport, è affermazione assolutamente
pacifica e priva di contestazioni.
Le caratteristiche peculiari di questa branca speciale del diritto sono: la
“globalità” poiché attrae nella sua sfera d’interesse ogni tipo di attività ad esso
pertinente; l’“interdisciplinarità” dal momento che confluiscono in esso i
contributi dagli studiosi di altre discipline giuridiche di volta in volta evocati;
l’“eterogeneità delle fonti” giacché si occupa sia degli aspetti endoassociativi
oltre che, ovviamente, di quelli disciplinati direttamente attraverso le leggi dello
Stato. 27
Sotto tale ultimo profilo si può rilevare che concorrono a regolare i fatti
dello sport: a) norme comunitarie applicabili
26
che entrano direttamente
MARANI TORO I. , Gli ordinamenti sportivi, Giuffrè, Milano, 1977, pag. 5.
63
nell’ordinamento giuridico italiano. Ad esempio l’art. 2 del Trattato di Roma
per il quale, lo sport, seppur non espressamente disciplinato, rientra nel diritto
comunitario in quanto attività economica; b) leggi statali e regionali di
produzione specifica; c) leggi statali e regionali comunque applicabili; d) norme
ordinamentali transnazionali; e) norme ordinamentali nazionali.
A livello operativo, la prima scelta che impone un sistema di fonti di
questo tipo e quella se avvalersi o no del metodo pluralistico.
Il quadro ora delineato è il frutto di un’evoluzione assai contrastata,
tutt’altro che lineare e che ha visto per un lungo periodo il fenomeno sportivo
sottovalutato dal punto di vista della scienza del diritto.
I contributi dottrinali inoltre, spesso sono stati disorganici e frammentari
e gli interventi della magistratura infelici. Emblematico a tal proposito fu l’iter
che portò alla promulgazione della legge n.91/1981 sul professionismo sportivo.
Il 4 luglio 1978, il pretore Costagliola, a seguito di un esposto dell’allora
presidente Campana dell’Associazione Italiana Calciatori, blocca a Milano il
calcio-mercato.
Il provvedimento del pretore, frutto di un’erronea interpretazione sulle
norme che regolavano il trasferimento degli sportivi professionisti era anche il
sintomo di un vuoto legislativo in materia di sport professionistico.
L’intervento pretorile, per quanto improvvido e che vide anche
l’intervento dei carabinieri che fecero irruzione nei saloni dell’albergo milanese
Leonardo da Vinci, allora sede delle contrattazioni, ebbe però il merito di porre
l’attenzione sulla necessità di approntare una normativa dedicata al lavoro
sportivo.
27
In riferimento a questa classificazione : COCCIA M., DE SILVESTRI A., FORLENZA O., FUMAGALLI L.,
64
Il pretore Costigliola infatti, ritenendo che il lavoro del calciatore fosse in
ogni suo aspetto riconducibile ad un rapporto di lavoro subordinato, ne aveva
applicato la normativa, rilevando delle possibili irregolarità nelle norme che
vietavano l’intervento di mediatori nelle pratiche attinenti al trasferimento dei
calciatori.
Esattamente una settimana dopo, l’allora sottosegretario alla Presidenza del
Consiglio del Governo Andreotti, onorevole Evangelisti, si fece promotore di
una riunione dei ministri competenti al fine di studiare il problema.
Da quel momento serviranno oltre due anni di consultazioni e riunioni prima di
arrivare all’emanazione di una legge che definiva finalmente lo status giuridico
dello sportivo professionista.
È comunque possibile, nel ripercorrere la storia del diritto dello sport che
vede nella legge n.91 la sua pietra miliare, seppur con le cautele e i limiti che
impongono le periodizzazioni e le schematizzazioni in genere, distinguere tre
fasi di sviluppo della normativa.
Queste vicende sono in larga parte riconducibili alle problematiche insorte
attorno al mondo del calcio: il fenomeno sportivo più rilevante sotto il profilo
economico oltre che sotto quello sociale nel nostro Paese.
La prima fase si colloca tra la legge istitutiva del CONI ed appunto la
legge n.91/1981 sul professionismo sportivo.
In questa fase è possibile rilevare il disinteresse da parte dello Stato per le
istituzioni sportive, il monopolio di fatto della giustizia interna e, quale
principio informatore dell’intero periodo, sottolineare una concezione idealistica
e romantica dello sport di evidente derivazione olimpica.
MUSUMARRA L., SELLI L., Diritto dello Sport, Le Monnier , Firenze, 2004, p. 5.
65
Lo Stato, dall’emanazione della legge istitutiva del CONI, avvenuta nel
1942 e che ha dovuto attendere 22 anni per avere un suo decreto di attuazione,
ha lasciato, fino alla legge sul professionismo sportivo, le federazioni
praticamente abbandonate a se stesse in una situazione simile ad una sostanziale
deregulation.
Questa situazione ha finito così per legittimare il monopolio fattuale della
giustizia endoassociativa.
Emblematica a riguardo l’affermazione di un giurista come Dini che, negli
anni Settanta, arrivava ad affermare che l’autodichia delle varie federazioni si
sarebbe basata su un’ipotesi di diritto pubblico negativo, costituita dal
disinteresse dei pubblici poteri. 28
Lo sport in questa fase appare come “un impulso generoso e liberissimo”,
come uno “sforzo lussuoso che si profonde a piene mani senza speranza di
ricompensa alcuna” 29 .
Viste simili premesse, veniva considerato soltanto lo sport dilettantistico,
mentre quello professionistico appariva come una forma anomala ed impura
quando addirittura non era percepito come un’indesiderata manifestazione
degenerativa.
All’epoca, una presunta intrinseca incompatibilità fra ogni forma di sport
ed economicismo (così a riguardo Avery Brundage allora presidente del CIO:
“Sport is sport, business are business”), ha comportato una messa al bando del
professionismo e la conseguente rigida applicazione delle regole olimpiche in
tema di ammissione o di esclusione dai Giochi.
28
DINI P., Le basi dell’autonomia normativa nel diritto sportivo, in “Rivista di diritto sportivo”, 1975,
pp. 229-237.
29
ORTEGA Y GASSEM, Il tema del nostro tempo, tra. It. ,Milano 1964.
66
Inoltre, ad atleti e società era proibito fare “disdicevole commercio della
loro immagine”.
Il diritto stesso, in questa prima fase, fatica a trovare una sua precisa
collocazione nel contesto delle organizzazioni sportive.
In questo periodo circolano le tesi sul pluralismo giuridico avanzate da
Cesarini Sforza, che, seppur recepite da alcuni autori come Giannini 30 , negli
anni Quaranta, appaiono per parte importante della dottrina come quella
sostenuta da Carnelutti 31 come una “sorta di infatuazione” che Calamandrei
ancora nel 1965 considera “destinata a regnare nel puro olimpo della teoria”
Da un punto di vista più generale, non limitato solamente al diritto dello
sport, già Santi Romano, in precedenza, aveva permesso una lettura del
fenomeno ordinamentale nella sua celeberrima opera “L’ordinamento
giuridico” nella quale questo veniva definito come “un’entità che si muove in
parte secondo norme, ma, soprattutto, muove, quasi come pedine in uno
scacchiere le norme medesime, che rappresentano piuttosto l’oggetto e anche il
mezzo della sua attività, che non l’elemento della sua struttura” 32 .
Il diritto applicato risultava comunque distante e molto più arroccato su di
un atteggiamento di tipo conservatore rispetto a quelle che erano le nuove
proposte della dottrina.
Negli anni Sessanta, infatti, trovavano ancora spazio le soluzioni che
proponevano la totale intrinseca incompatibilità fra sport e diritto e
consideravano il diritto sportivo composto da norme che nulla hanno a che fare
30
GIANNINI M.S., Prime osservazioni intorno agli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. Dir. Sportivo,
1949, pag. 10-28.
31
CARNELUTTI F, Figura giuridica dell’arbitro sportivo, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 1953, pag. 11.
32
ROMANO S., L’ordinamento giuridico, Pisa, 1918, p.48.
67
con il diritto comune. Le norme applicabili al diritto sarebbero infatti quelle del
puro e semplice fair play.
In realtà, una situazione di questo tipo, era dovuta al fatto che lo sparuto
gruppo di giuristi che aveva trattato la materia, proveniva per lo più da contesti
vicini agli ambienti federali ed aveva per questo affrontato le problematiche in
maniera difensiva con l’obiettivo di conservarne l’autonomia 33 .
Si voleva prima di tutto, legittimare l’esistenza di istituti cardine di
giustizia interna.
Primo fra tutti quello della responsabilità oggettiva che, non in linea con
le leggi dello Stato, veniva di continuo messo in discussione.
Le prime fughe dalla giustizia endoassociativa, iniziarono negli anni
Settanta, quando questa cominciò ad apparire inadeguata rispetto alle
conflittualità insorte intorno al mondo del calcio in cui confluivano sempre
maggiori interessi d’ordine economico e lavoristico.
I giuristi, in questo momento, iniziano a dover analizzare la materia con
maggior rigore scientifico, almeno riguardo a quei settori di volta in volta
interessati dai singoli casi concreti sollevati.
Il diritto sportivo a questo punto non poteva più limitarsi allo studio delle
norme relative a quelle provenienti dalle proprie istituzioni ma, senza poter
prescindere dal riferimento normativo costituito dalla Legge n. 426/1942
istitutiva del CONI , risultava definitivamente sottoposto all’osservanza dei
principi costituzionali e delle norme ordinarie comunque applicabili.
33
MIRTO P., L’organizzazione sportiva italiana.Autonomia e specialità del diritto sportivo, in “Riv.
dir. sport.” , 1959, pp. 6-69.
68
Nel 1975 Luiso pubblica la prima opera espressamente dedicata alla
giustizia sportiva che segna un momento decisivo per il progresso scientifico
della materia e per la sua fondazione in chiave moderna.
Il passaggio ad una successiva fase, alle soglie degli anni Ottanta, si deve
alla già citata vicenda che aveva portato nell’estate del 1978 al blocco del
calcio-mercato.
Un provvedimento del tutto infelice che ebbe, come già ricordato, tuttavia
il merito di far maturare, nella classe politica, il convincimento di doversi porre
in maniera attiva nei confronti di un settore della vita economica e sociale che in
quel momento era quanto mai affamato di certezze giuridiche.
Questa seconda fase può convenzionalmente avere come data di
riferimento il 1981, anno di emanazione della legge sul professionismo sportivo.
In questo modo il legislatore, facendo seguito ad un decreto tampone
adottato tre anni prima, usciva dall’impasse creato dal provvedimento pretorile
succitato.
La nuova legge appariva così orientata a confermare sul piano normativo
una dimensione di fatto di realismo economico.
In questo modo si superavano le ipocrisie e la retorica sportiva che si
rifiutava di vedere, in un mondo come quello del calcio professionistico dei
primi anni ottanta, anche una grossa occasione di guadagno per gli imprenditori
e gli sportivi che ne facevano parte. Trovava in questo modo riscontro anche sul
piano normativo, una situazione che riconosceva nelle società calcistiche delle
importanti finalità economiche legate in maniera inscindibile e biunivoca a
quelle più prettamente sportive.
69
Lo sport a questo punto emergeva a livello di ordinamento generale e
sarebbe da lì in poi stato oggetto di successive e periodiche attenzioni da parte
del legislatore.
Usciva così da una situazione che lo faceva apparire come una sorta di
“recinto magico” (Zauli 1962) che vedeva il suo ingresso precluso al diritto. 34
Oltretutto, l’entrata in vigore della nuova normativa, provocava la presa di
coscienza di altri diritti costituzionalmente garantiti ma fino allora compressi,
aprendo la via a nuovi motivi di ricorso ai giudici dello Stato.
Questi diritti erano quelli di associazione, di impresa e, non ultimo, di
adire le vie legali.
A quel punto, aperta la porta del “recinto magico” e chiusa la fase
dell’esclusività della giustizia endoassociativa, si doveva registrare la presenza
di due sistemi giudiziali e prendere atto dei reciproci contrasti e dell’intolleranza
esistente fra gli stessi.
Il momento più grave che questo conflitto fu nelle pretese destabilizzanti
di sconvolgere i risultati conseguiti sul campo, di riscrivere i calendari delle
gare ed imporre persino il turno degli arbitri e che trovarono l’avallo sia della
magistratura civile, adita con successo ex art. 700 C.P.C., sia di quella
amministrativa sia adottò decisioni analoghe in sede sospensiva.
In questo periodo come si è detto venne definitivamente sdoganato
l’economicismo.
Anzi, la legge n. 91/1981, legittimava espressamente l’esistenza di società
sportive e di lavoratori sportivi professionisti, permettendo così ad
34
ZAULI B. , Essenza del diritto sportivo, in “Rivista di diritto sportivo”, 1962, pp. 229-239.
70
imprenditoria e mondo sportivo di poter coniugare le proprie complementari
esigenze.
Le esigenze maggiori in questo senso, erano avvertite anche allora dalle
società calcistiche che in quel periodo (ed oggi niente di nuovo sotto il sole),
presentavano bilanci prossimi al collasso, ieri come oggi, frutto di gestioni
dissennate nella ricerca spasmodica e qualche volta megalomane dell’eccellenza
tecnica.
Appare facile comprendere come queste, e dietro di loro gli atleti spinti
dalle associazioni di categoria come l’Associazione Nazionale Calciatori,
spingessero per aprirsi ad operazioni di sponsorizzazione e merchandising.
Un ulteriore conferma nel senso di un mondo dello sport ormai profit
oriented si può ricavare anche nell’evoluzione del titolo richiesto per la
partecipazione degli atleti alle Olimpiadi, fino al 1978 esclusivamente riservate
agli sportivi dilettanti.
Da quel momento in poi infatti, prima attraverso il grimaldello dei
rimborsi spese, successivamente tramite l’opportuna modifica della regola 26
della Carta Olimpica, si assistette al rientro di quegli sport miliardari una volta
esclusi quali il calcio, il tennis ed il basket.
L’attuale Carta Olimpica, in vigore dal 12 novembre 1999, impedisce
solamente che la partecipazione all’evento olimpico possa essere subordinata a
qualsiasi forma di remunerazione pecuniaria.
In questo modo, solo in quel contesto, viene escluso che le prestazioni
atletiche assumano, in quell’occasione, un carattere professionale, aprendo in
pratica la via a tutta la schiera di atleti professionisti con l’unica eccezione del
pugilato, ad oggi ancora aperto ai soli dilettanti.
71
L’attenzione del giurista, in questa seconda fase, risulta attratta dalle
questioni di interpretazione poste dalla legge sul professionismo sportivo,
modellata sulle esigenze del professionismo calcistico e caratterizzata da un
travagliato iter formativo.
Uno dei momenti più significativi del dibattere dottrinale era in quel
momento relativo alla determinazione della natura del rapporto di lavoro
sportivo.
La legge n. 91/1981 conclude la discussione ribaltando la posizione
iniziale rispetto alla questione e, non senza provocare scalpore, stabilendo la
natura subordinata del rapporto di lavoro sportivo.
L’attenzione, come era inevitabile, si spostò ben presto su di un tema
destinato a divenire centrale: quello delle “due giustizie”, fra l’altro
continuamente alimentato dai periodici interventi della magistratura fra cui
anche quella penale.
È proprio la magistratura penale, in occasione degli scandali provocati dal
calcio scommesse, instaurando altrettanti procedimenti sull’erroneo presupposto
che, in quel caso, l’illecito sportivo integrasse anche quello penale, ad offrire al
legislatore l’ulteriore spunto per l’emanazione della legge n. 401/1989.
Questa legge infatti, oltre a contemplare misure per la repressione delle
condotte violente negli stadi, previde espressamente il reato di frode sportiva.
La terza fase relativa all’evoluzione, nel nostro Paese, si apre nel 1995, a
seguito della celeberrima sentenza Bosman. 35
Bosman, giocatore di serie B belga, si trovò, alla scadenza del rapporto
contrattuale con la sua società di appartenenza, limitato nella sua libertà di
72
circolazione: lo spostamento ad un’altra società era reso infatti più difficile in
forza di un’indennità (il parametro) che la nuova società avrebbe dovuto
corrispondere per il trasferimento; inoltre, la disciplina nazionale poneva limiti
al tesseramento di cittadini comunitari ed extracomunitari.
Connotati di questa fase sono la nuova dimensione di “sovranazionalità” e
la definitiva affermazione del carattere della “piena imprenditorialità”. Il
concetto di sovranazionalità è stato oggetto dello studio da parte del diritto del
lavoro che ne individua due variabili globali ed una variabile sub globale.
La prima variabile globale è detta autoreferenziale e si riferisce ai codici
di condotta che le grandi imprese multinazionali adottano ed impongono ai
propri fornitori.
Caratteristica di questo insieme di regole è di essere un ordinamento
privato o “private governance”che, sul piano sostanziale tende a smentire
l’assunto che prevede che i diritti esisterebbero solo ove vi sia lo Stato.
Al contrario, secondo questa impostazione, anche i diritti dei lavoratori
dipenderebbero dal mercato, a prescindere dal fatto che l’ottica di sviluppo sia
quella della funzionalizzazione del lavoro in favore del mercato o viceversa
tenda alla umanizzazione del mercato nell’interesse del lavoratore.
La seconda variabile globale è quella dei core labor standards, frutto delle
riflessioni e dell’impulso dato dall’OIL, dai vertici delle Nazioni Unite ed altri
organismi internazionali quali l’OCSE.
Presupposto dei core labor standards è l’idea che sia possibile individuare
un nucleo fondamentale di regole a tutela di un insieme di principi e diritti
incontestabili poiché universalmente riconosciuti.
35
Sent. Corte di Giustizia europea, 15 dicembre 1995, caso Bosman, causa C-415/93 in Riv. dir. Sport
73
Questi sono: il diritto a non essere discriminati nel lavoro, la libertà di
associazione, la libertà di associazione e di contrattazione collettiva, la tutela del
lavoro forzato, la proibizione dello sfruttamento del lavoro minorile. Questi
diritti inoltre, in quanto configurabili quali diritti umani, devono trovare tutela
ed attuazione a prescindere dal diverso grado di prosperità e sviluppo del
mercato dei vari paesi.
La variabile subglobale è invece quella della integrazione europea ed ha
in comune con le altre che, anche in questo caso, l’ordinamento comunitario si
presenta come una forma di governo senza stato. La peculiarità di questa
variabile è invece quella di discendere dalla più articolata strutturazione
dell’ordinamento comunitario, che si differenzia da un semplice sistema
giuridico di diritto internazionale per assumere invece tratti più marcati di
costituzionalità. 36
Sempre riguardo alla sovranazionalità, occorre precisare che la Corte di
Giustizia, già da tempo aveva affermato la soggezione delle istituzioni sportive
al Trattato di Roma ogni qual volta le loro attività presentassero risvolti di
carattere economico.
Solo con la decisione provocata dal calciatore belga però, le istituzioni
sportive, sperimentarono come non fosse possibile farsi scudo di un’inesistente
sporting exception ed in questo modo sottrarsi alla forza imperativa del diritto
comunitario.
1996, pp. 541 ss.
36
Per un’analisi più approfondita sui concetti di sovranazionalità e le sue variabili: BARBERA M., Dopo
Amsterdam, I nuovi confini del diritto sociale comunitario, Promodis, Brescia, 2000, pp 23-44.
74
Anzi, il diritto comunitario, da quel momento in poi, avrebbe inciso
sempre in maggior misura all’interno delle istituzioni sportive, come è
dimostrato dalle successive pronunce intervenute in tema di controversie
sportive dai risvolti sovranazionali.
Per quanto invece attiene al profilo della “piena imprenditorialità”
riconosciuta
alle
società
sportive,
occorre
precisare
che
alla
data
dell’emanazione della sentenza Bosman, le nostre società professionistiche, da
tempo marketing oriented, guardavano al modello che aveva già consentito alle
società inglesi di realizzare in modo pieno ed incondizionato la propria
imprenditorialità.
Queste infatti ricorrevano all’azionariato popolare, alla quotazione in
borsa, somigliando in tutto e per tutto a vere e proprie holdings con interessi
diversificati nei più svariati settori del mercato.
Occasione per eliminare il divieto dello scopo di lucro, fu in Italia proprio
quell’offerta dalla sentenza Bosman che imponeva la modifica della legge n.
91/1981, nella parte in cui prevedeva l’istituto oramai illegittimo del cosiddetto
parametro.
A questo punto “l’industria” dello sport professionistico non aveva più
ostacoli per essere assimilata a quella dell’entertainment ed, in particolare, a
quella delle performing arts industries.
Ciò che segna questa terza fase in modo più significativo, è l’intervento da
parte del Legislatore che, con due provvedimenti normativi ha avvicinato
l’ordinamento sportivo a quello statale, facendoli muovere dalle precedenti
posizioni di intransigenza caratterizzate dall’arroccamento difensivo di quello
75
sportivo e dall’auotolimitazione statuale in tema di azionabilità delle pretese
endoassociative.
Il D.Lgs. Melandri n. 242/1999, abrogante la precedente legge n.
426/1942 e l’art. 14 della legge n. 91/1981, costituisce ora, dopo le modifiche
apportate dal D. Lgs. n. 15/04, il nuovo referente dell’intero movimento
sportivo nazionale.
Il legislatore delegato, con questo provvedimento, ha voluto contemperare
le peculiari esigenze di autodichia delle federazioni sportive, con l’irrinunciabile
sovranità dello Stato.
Viene, con queste finalità, consegnato al CONI, ente inserito nel contesto
sovranazionale dello sport e dotato di elevata potestà statutaria, il compito di
svolgere una funzione di custode e di regolatore dei valori di entrambi gli
ordinamenti. Ruolo che da parte sua il CONI ha accettato di buon grado,
restando così in sintonia con quanto previsto dal suo statuto che, nell’art. 1
autodefinisce l’ente “autorità”.
Il CONI infatti, ha subito riconosciuto il principio del giusto procedimento
nelle controversie endoassociative (art. 2 n. 8) , prevedendo al proprio interno la
Camera di Conciliazione e Arbitrato (artt. 12 e 22 n. 3) che, provvista
dell’indispensabile requisito della “terzietà”, del quale difettano invece le
commissioni federali, si pone oggi come strumento alternativo, quindi
preclusivo alla giustizia dello Stato.
Le Federazioni sportive, dal canto loro, si sono impegnate ad eliminare
discrasie con l’ordinamento generale, come confermato dalle dichiarazioni di
intenti contenute all’interno dei propri statuti ove si afferma che si vogliono
intrattenere “rapporti di leale collaborare con le autorità pubbliche” (art.2/2
76
FIGC) e di essere intenzionate ad operare nel “rispetto dei principi
costituzionali” (art. 1/1 FIP).
Tale collaborazione risulta poi rinfrancata dalle modifiche apportate ad
istituti come il vincolo a tempo indeterminato degli atleti dilettanti, che
contenevano elementi sicuramente incompatibili con le leggi dello Stato.
Con riferimento più specifico alle problematiche giustiziali, sembrava
potesse essere percorsa la strada del contemperamento che avrebbe trovato
garanzia nella totale attrazione delle Federazioni sportive nell’orbita privatistica
sotto la guida e l’indirizzo del CONI.
A determinare l’insindacabilità esterna delle istanze endoassociative non
sarebbero state infatti velleitarie ambizioni di incondizionata autoesenzione, ma
questa avrebbe dovuto essere il frutto di una precisa scelta del Legislatore e del
Costituente stesso.
Tale libertà di azione sarebbe quindi stata concessa nella misura in cui
questi offrono diretta tutela delle manifestazioni dell’autonomia collettiva senza
porsi in contrasto con altri principi costituzionali o specifiche norme di legge.
Tuttavia, questa prospettiva dovette arenarsi a causa dell’ambiguità della
disciplina complessiva relativa alle Federazioni sportive, la recalcitranza da
parte di larga parte della dottrina ad abbandonare schemi che non prevedessero
la
doppia
natura
delle
giustizie
e,
principalmente,
la
visione
“panamministrativistica” dei Tar aditi successivamente all’entrata in vigore del
decreto Melandri.
Questa situazione poneva le premesse per l’emanazione del D.L. 19
agosto 2003 n. 220 convertito con modifiche dalla legge 17 ottobre 2003 n. 280.
77
Come si legge nella relativa relazione d’accompagnamento, il Governo
avvertì la necessità di ricorrere alla decretazione d’urgenza per far fronte ad una
situazione di contenziosi aperti e con l’obiettivo di razionalizzare i rapporti fra
ordinamento sportivo ed ordinamento generale in termini di giustizia sportiva
chiarendo inoltre quali fra questi rapporti debbano essere considerati
giuridicamente rilevanti.
Tutto ciò ha impresso un’accelerazione al trend del contemperamento,
fenomeno che appare oggi irreversibile.
2.2. Lavoro e sport nella costituzione
Con una scelta molto chiara e definita, il Legislatore costituente sancisce
all’art. 1, aprendo i principi fondamentali, che “L’Italia è una Repubblica
democratica fondata sul lavoro”.
Una statuizione di questo tipo, non sembra lasciare spazio a dubbi
sull’importanza attribuita dalla Costituzione al Lavoro che risulta essere anzi un
elemento irrinunciabile ed informatore dell’intera esperienza repubblicana.
Infatti, la Carta fondamentale, vuole anche in quest’ ambito, esprimere il
mutato quadro di valori di cui vuole essere espressione e segnare anche in
questo campo il distacco che la separa dall’esperienza fascista.
Le regole relative al diritto sindacale, segnano un momento significativo
nella manifestazione di questo cambiamento.
La legge 3 aprile 1926, n. 563 aveva segnato emblematicamente,
svuotando di fatto la libertà sindacale, il passaggio allo stato totalitario.
78
Così, all’art. 39, la Costituzione repubblicana segna il ripristino della
libertà sindacale 37 e, con l’art. 40, si spinge oltre riconoscendo allo sciopero il
valore di vero e proprio diritto soggettivo.
In questo modo il costituente, compiendo un balzo in avanti rispetto a
quanto rappresentato dal quadro normativo prefascista, poneva le basi
normative necessarie al più ampio dispiegamento dell’autonomia negoziale nei
rapporti di lavoro.
Un’attenzione particolare, oltre che nei principi fondamentali, è dedicata
al lavoro nelle norme del Titolo III della parte prima, dedicato ai rapporti
economici.
Mentre i riferimenti contenuti negli artt. 1 e 35 sono da considerarsi
generici ed indeterminati, altre norme della Carta sanciscono diritti sociali
specificamente riconosciuti ai lavoratori subordinati.
A riguardo occorre ricordare l’art. 36 che enuncia il diritto ad una
retribuzione sufficiente, al riposo settimanale ed alle ferie retribuite e l’art. 37
che stabilisce il diritto alla parità per lavoratrici e minori.
Il diritto stesso al lavoro inoltre, è enunciato, all’art. 4, quale diritto sociale
garantito nella misura in cui la Repubblica s’impegna a promuovere le
condizioni che ne rendano effettivo l’esercizio attraverso una politica
economica orientata all’obiettivo della piena occupazione.38
Di rilievo significativo per il diritto del lavoro sono il principio di
eguaglianza dell’art. 3, mutuato dalla tradizione liberale ed operante sia sul
piano formale, al primo comma, che su quello sostanziale, nel secondo comma,
là dove ammette l’esistenza di ostacoli di ordine economico e sociale che
37
Sull’art. 39 della Costituzione e sulle ragioni della sua mancata attuazione: PERA G., Problemi
79
occorre rimuovere per consentire “l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” .
L’art. 41 inoltre, contiene il riconoscimento della libertà di iniziativa
economica privata, limitando tale diritto stabilendo che questa “non può
svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla
sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana”.
La Costituzione italiana invece, per lo meno nel suo testo originario, non
si rivolge direttamente al fenomeno sportivo, né per riconoscere i soggetti che
operano in quest’ ambito, né per indicare quali siano le competenze in materia
attribuite agli Enti pubblici territoriali contemplati nell’art. 114 della
Costituzione stessa.
Solo attraverso la revisione costituzionale attuata dalla legge cost. 18
Ottobre 2001, n. 3, ha fatto ingresso un importante riferimento allo sport.
All’art. 117, comma terzo, nell’ambito della definizione delle materie da
doversi attribuire alla legislazione concorrente, nel quadro più complessivo
dell’attribuzione della potestà legislativa, s’inserisce l’“ordinamento sportivo”.
La legislazione concorrente, non è altro che un’attribuzione complessa di
potestà legislativa, là dove è previsto che sia affidata alle Regioni la potestà
legislativa di dettaglio ed allo Stato il compito della “determinazione dei
principi fondamentali della materia.
Da quanto visto sembrerebbe potersi concludere che la Costituzione
preveda ora l’esistenza di una materia definita “ordinamento sportivo” e che ne
attribuisca la competenza a soggetti pubblici, lo Stato e le Regioni, riservando al
costituzionali del diritto sindacale italiano, Milano, 1960, p . 43.
38
Biagi M., Istituzioni di diritto del lavoro, Giuffrè, Milano, 2001, pp. 18-21.
80
primo il compito di definirne i principi fondamentali ed alle seconde quello
della specificazione ed attuazione della concreta e definita disciplina.
Il problema è in realtà più complesso.
Per la sua soluzione infatti, occorre non dimenticare la realtà
sopranazionale del fenomeno dello sport e della sua organizzazione, sia le
evoluzioni interpretative che recentemente hanno coinvolto la lettura dell’art.
117 Cost 39 .(A questo riguardo sentenza Corte Costituzionale 1 ottobre 2003 n.
303 in Dir.e Giust. 2003, f. 37, p. 58).
Senza dubbio tuttavia, è possibile affermare che la Costituzione non
contiene riferimenti diretti al fenomeno sportivo ma che sia altrettanto vero
poter affermare che lo sport, per sue caratteristiche e finalità, costituisce oggetto
di considerazione e disciplina indiretta da parte di alcune disposizioni
costituzionali.
Distaccandosi dal fenomeno dell’inquadramento del fenomeno sportivo
dalla prospettiva che lo vede come fenomeno organizzato in un “ordinamento
sportivo”, possono essere facilmente richiamate una pluralità di disposizioni
costituzionali facilmente applicabili al fenomeno sportivo.
In particolare giova ricordare:
a) l’art. 2 Cost., in base al quale “la Repubblica riconosce e garantisce i
diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove
svolge la sua personalità”;
b) l’art. 18 Cost., secondo il quale nel primo comma “i cittadini hanno
diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono
vietati ai singoli dalla legge penale”, con i limiti del divieto delle associazioni
81
segrete e di quelle che perseguono finalità politiche attraverso associazioni di
carattere militare;
c) l’art. 32 Cost., che al primo comma afferma che “la Repubblica tutela
la salute, come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della
collettività”.
Ognuna delle disposizioni citate può essere applicata in misura diversa
allo sport, inteso sia come pratica da svolgersi come singolo, sia insieme ad altri
soggetti, al fine di migliorare la propria salute psicofisica sia come valida forma
di relazione all’interno della collettività.
Appare evidente come, la possibilità di riferire le disposizioni
costituzionali sopraccitate al fenomeno sportivo, sia in larga misura correlata
alla definizione stessa che del termine sport si voglia considerare.40
Una definizione accettabile, senza perderci nella ricerca di una definizione
che presenta problematiche molto complesse, è, per lo meno in riferimento
all’epoca contemporanea, quella che definisce lo sport l’insieme di tutti quei
giochi che sono organizzati secondo un sistema di regole che ne stabilisce
precisamente le modalità di svolgimento; che prevedono l’impiego di abilità e
competenze sia fisiche che intellettuali; che sono contraddistinte dal carattere
competitivo.
Così, dal concetto di sport, sono esclusi sia i giochi completamente
“ludici”, che, pur presentando anch’essi un’attività fisica ed intellettuale, sono
39
A questo riguardo sentenza Corte Costituzionale 1 ottobre 2003 n.
303 in Dir.e Giust. 2003, f. 37, p. 58.
40
ROVERSI A. , Sport (voce), in “Enciclopedia delle scienze sociali”, Istituto della
Enciclopedia italiana, Roma, 1998, pp. 303-311.
82
praticati come fini a se stessi, sia le attività che rientrano nelle semplici attività
motorie.
È necessario però opporre a questa definizione che pone l’accento sul
carattere competitivo dello sport, lo specifico dettato normativo dell’art. 1, legge
14 dicembre 2000 n. 376 che individua la finalità dell’attività sportiva nella
“promozione della salute individuale e collettiva”.
Partendo da questa definizione di sport, bisogna rilevare di come lo sport
come organizzazione, sia di base che complessa, sia come fenomeno sociale,
rientrino nelle previsioni generali degli artt. 2 e 18 della Costituzione.
Risulterebbe infatti come una negazione della stessa essenza dello sport
non ritenere quest’ultimo un elemento fondamentale nella manifestazione e
nello sviluppo della personalità umana ed al contempo non rilevare come spesso
sia uno strumento per il mantenimento della propria salute psicofisica.
In questo senso basti a titolo di esempio considerare se, ai sensi dell’art 2
della Costituzione, si potesse ritenere legittima una norma di produzione
pubblica che vieti la pratica sportiva anche soltanto a livello individuale.
Risulta evidente che in questo caso occorrerebbe propendere per
l’illegittimità, vista la manifesta assurdità di una norma tesa a precludere la
possibilità di praticare l’esercizio fisico coordinato e indirizzato verso precise
finalità, attività che costituisce di per sé un diritto inviolabile dell’uomo. 41
L’attività sportiva tuttavia, non in tutti i casi costituisce un’attività
solitaria dell’individuo.
Anzi capita in molti casi che quest’ultimo la svolga in gruppo, spesso
proprio in conseguenza delle modalità di svolgimento dello sport praticato che,
83
anche in uno sport in uno sport cosiddetto individuale, l’attività del singolo
richieda la contestualizzazione ed il coordinamento con altre persone.
Un esempio può essere costituito dalle discipline di corsa nelle gare
dell’atletica leggera, dove il confronto attraverso la gara fra atleti che svolgono
la medesima attività, costituisce mezzo di stimolo permettendo il miglioramento
delle singole prestazioni individuali.
La possibilità di inserire la pratica della attività sportiva tra quelle
manifestazioni che contribuiscono a formare la categoria dei diritti inviolabili
dell’uomo, comporta la preesistenza del diritto alla pratica sportiva rispetto alla
attribuzione statale.
In effetti come osserva Di Giovine, la Costituzione riconosce tali diritti,
espressione che conferma la natura immanente di tale categoria rispetto a
qualsiasi attribuzione statale. 42
In particolare la ricomprensione della pratica sportiva tra i diritti
inviolabili dell’uomo si riferisce:
- alla pratica sportiva svolta singolarmente;
-alla pratica sportiva intesa come fenomeno che interessa una pluralità di
individui non organizzati in una formazione sociale ma accomunati proprio dal
fatto di svolgere la stessa attività;
-alla pratica sportiva svolta in organizzazioni sociali strutturate.
L’articolo costituzionale cui lo sport può far riferimento riguardo alla sua
dimensione sociale ed alle sue consequenziali forme di organizzazione è l’art.
18, relativo alla libertà di associazione.
41
In maniera sintetica può ricordarsi che, secondo Di Giovine 1998, p. 10, “usando il verbo
“riconoscere”, la Costituzione vuole evidentemente intendere che non è la Repubblica ad attribuire i
diritti inviolabili, ma che questi già esistono indipendentemente da ogni attribuzione statale.
84
Rispetto a quanto brevemente osservato, si può ritenere che lavoro e sport
godano di una convincente tutela fornita loro dalla Carta fondamentale del
nostro ordinamento.
In maniera più generale poi, risulta corretto rilevare che lavoro e sport,
presentano tutele tanto più incisive ed irrinunciabili poiché fenomeni
che
coinvolgono l’individuo nelle manifestazioni più profonde della propria
personalità.
2.3. Le fonti del diritto sportivo
Il diritto del lavoro, e così il diritto del lavoro sportivo, faticano, ad ogni
modo, a trovare una loro precisa collocazione all’interno della classica
bipartizione sistematica fra diritto pubblico e diritto privato. 43
Questo è costituito, infatti, in maniera generale dall’insieme di norme che
regolano il rapporto di lavoro.
Tale rapporto infatti, in accordo con una tradizione volta a considerare il
lavoratore come il contraente debole, non era ritenuto suscettibile di compiuta
tutela qualora fosse affidato ad una regolamentazione esclusivamente pattizia.
L’impianto normativo che caratterizza il diritto del lavoro risulta di natura
tendenzialmente privatistica su cui però s’innestano norme di carattere
42
DI GIOVINE A. , Art. 2: Diritti inviolabili e doveri inderogabili, in AA.VV. ” Stato della
Costituzione”, Il Saggiatore, Milano, 1998, pp. 9-12.
43
Perone G., Lineamenti di diritto del lavoro. Evoluzione e ripartizione della materia, tipologie
lavorative e fonti, Torino, 1999.
85
pubblicistico, tese a garantire il soddisfacimento di interessi di più ampia
portata.
Il
diritto
del
lavoro
appare
quindi
estremamente
eterogeneo,
ricomprendendo norme di diritto privato, volte a disciplinare il rapporto di
lavoro in sé considerato e norme di diritto pubblico prevalenti essenzialmente
nella parte del diritto del lavoro che prende il nome di legislazione sociale.
Sono inoltre sempre ricomprese sotto la denominazione di diritto del
lavoro le norme di diritto interno ed internazionale, di diritto sostanziale,
processuale di diritto costituzionale, amministrativo, penale e tributario.
Devono poi essere incluse all’interno di quest’ ambito norme dei contratti
collettivi che regolano il c.d. diritto sindacale e che, pur non appartenenti al
diritto statale, vincolano alla loro osservanza i soggetti rappresentati dai
sindacati.
Prescindendo dall’obiettivo di inquadrare quello del lavoro in una o in
un’altra branca del diritto, sembra invece utile evidenziarne la specialità, in
ragione della unitarietà dei principi che ispirano l’intero sistema giuslavoristico.
Come già visto, la Costituzione italiana, quale legge fondamentale dello
Stato posta al vertice della gerarchia delle fonti del diritto, dedica particolare
attenzione al lavoro nella sua accezione che lo vede come attività concorrente al
progresso materiale e spirituale della società.
In particolare si è già avuto modo di ricordare l’impegno del costituente in
favore di un’energica tutela dei diritti dei lavoratori, in special modo di quelli
subordinati, impegnando la Repubblica a “ rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei
cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
86
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica economica e
sociale del Paese (art. 3, 2°comma Cost.)
Occorre invece qui richiamare quanto disposto dall’art. 35, 2°comma
secondo cui la Repubblica “ promuove e favorisce gli accordi e le
organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro”.
Attraverso quest’ articolo, assumono una grande importanza le norme di
diritto internazionale del lavoro di origine pattizia che provengono dalle
organizzazioni internazionali autorizzate ad emanare atti vincolanti per gli Stati
membri e da accordi internazionali stipulati con Stati esteri, particolarmente in
materia di emigrazione e di sicurezza sociale.
Tali norme entrano a far parte dell’ordinamento giuridico italiano
attraverso delle leggi ordinarie del Parlamento che, recependone il contenuto, le
collocano al livello di fonte primaria.
La più importante organizzazione internazionale, fonte di produzione
giuslavoristica, è costituita dalla Organizzazione Internazionale del Lavoro
(OIL), istituita nel 1919 con il trattato di Versailles e con l’intento dichiarato di
elevare le condizioni materiali ed intellettuali dei lavoratori di tutti i paesi
aderenti.
Il suo fine istituzionale, anche oggi, resta sempre quello di svolgere
un’attività promozionale nei confronti delle legislazioni nazionali, attraverso
l’emanazione di convenzioni (più vincolanti e caratterizzate da una maggior
efficacia giuridica) e di raccomandazioni.
Altra organizzazione internazionale che opera come fonte di diritto del
lavoro è il Consiglio d’Europa, nato nel 1949 con lo scopo di garantire la
87
formazione e la promozione di ideali comuni della preminenza del diritto e del
rispetto del diritto e del rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali.
Nell’ambito che ci riguarda il Consiglio d’Europa ha emanato , nel 1961,
la Carta Sociale Europea, ratificata in Italia con legge 3 luglio 1965, n. 969,
nella quale vengono ribaditi i diritti alla costituzione e alla partecipazione ai
sindacati , alla contrattazione collettiva, all’esercizio dello sciopero, ecc.
Assumono poi particolare importanza, nel diritto del lavoro e così le anche
nel diritto del lavoro sportivo, le fonti comunitarie quali il Trattato istitutivo
della Comunità Europea, i suoi regolamenti, le direttive, le decisioni e le
raccomandazioni, che, sia pur lentamente ma in modo sempre più incisivo,
hanno influenzato l’evoluzione delle legislazioni nazionali dei paesi membri.
I paesi della comunità, dal canto loro, favorendo l’armonizzazione tra le
proprie legislazioni, contribuiscono alla promozione ed al miglioramento delle
condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori (art. 117, 1°comma del Trattato di
Roma). 44
Trattati e regolamenti comunitari costituiscono fonti sovranazionali che,
nella gerarchia delle fonti di produzione del diritto, si pongono in posizione
immediatamente subordinata rispetto alla costituzione collocandosi però in una
superiore rispetto alla legge ordinaria dello Stato.
Il giudice nazionale infatti, è tenuto a disapplicare le norme interne
qualora queste risultino in contrasto con le norme comunitarie sopra indicate.
A differenza dei trattati e dei regolamenti, le direttive della Comunità
Europea non sono immediatamente recepimento del loro contenuto.
44
GALANTINO L., Lineamenti di diritto comunitario del lavoro, Torino, 2003.
88
Infine, il trattato istitutivo della CE indica,tra le fonti dell’ordinamento
comunitario anche le decisioni, le raccomandazioni ed i pareri, la dove le prime
sono vincolanti per i propri destinatari mentre raccomandazioni e pareri non
hanno valore vincolante.
Peraltro, gli interventi della Corte di Giustizia Europea, attraverso la sua
incessante opera di interpretazione delle norme comunitarie e l’emanazione di
sentenze che riguardano la conformità delle normative 45 nazionali ai principi
comunitari, favoriscono la formazione di un diritto del lavoro comunitario.
È utile ricordare a tal proposito, che tanto la Corte di Giustizia Europea
quanto la Corte Costituzionale, hanno riconosciuto che, quando le direttive
contengono disposizioni incondizionate e sufficientemente precise, sono
immediatamente applicabili e prevalgono sulle norme interne che i giudici
devono disapplicare.
In questi casi però la loro efficacia è solo verticale, nel senso che la loro
applicazione è invocabile dai singoli solo nei confronti dello Stato e non anche
degli altri cittadini.
Riferendoci nuovamente al diritto interno, si osserva di come il lavoro
trova ampia regolamentazione nella legge ordinaria, sebbene attraverso una
legislazione speciale spesso caotica e frammentaria, che nel tempo è andata
dilatandosi arrivando a coprire quasi per intero la disciplina del lavoro
subordinato che oggi trova nel codice civile una regolamentazione solo
marginale.
45
GAJA G. Introduzione al diritto comunitario, Laterza, Bari 2002.
89
Va invece riconosciuto come, nel sistema delle fonti del diritto del lavoro,
una maggiore rilevanza rispetto a quella comunemente riconosciuta, sia da
attribuirsi agli usi normativi.
La norma di riferimento, a tal proposito, è costituita dall’art. 2078 del
codice civile, che ammette l’applicazione degli usi in mancanza di leggi e di un
contratto collettivo e che stabilisce che “ gli usi più favorevoli ai prestatori di
lavoro prevalgono sulle norme dispositive di legge”.
Questa possibilità costituisce una deroga al rigido principio della gerarchia
delle fonti secondo cui le fonti di grado inferiore non possono porsi in contrasto
con quelle di grado superiore a pena di illegittimità.
Il principio che permette una deroga di questo tipo è quello generale del
favor prestatori, secondo cui, quando più norme sono in conflitto fra di loro
prevedendo regole diverse in una stessa materia, deve applicarsi la disposizione
più favorevole anche se di grado gerarchico inferiore.
Da ciò deriva che le norme di legge prevalgono sugli usi meno favorevoli
ai lavoratori; le norme di legge imperative prevalgono sugli usi anche se questi
sono più favorevoli; le norme di legge dispositive cedono di fronte agli usi più
favorevoli ai lavoratori.
Nel diritto del lavoro, accanto agli usi normativi, assumono funzione
normativa anche gli usi aziendali, quelle prassi pacificamente e costantemente
seguite in azienda.
Completano l’analisi delle fonti del diritto del lavoro le c.d. fonti
contrattuali, costituite in particolare dai contratti collettivi stipulati fra le
organizzazioni sindacali dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro allo scopo di
90
determinare il contenuto del rapporto di lavoro e di disciplinarne lo
svolgimento.
La possibilità per i sindacati di stipulare contratti collettivi vincolanti per
tutti gli appartenenti alle categorie interessate, è prevista dall’art. 39 della
Costituzione, con una norma che ne subordina l’efficacia generalizzata alla
registrazione ed al conseguente acquisto della personalità giuridica da parte dei
sindacati.
Per motivi storici e politici però, i sindacati in Italia non
sono mai
divenuti organizzazioni registrate ed operano quindi alla stregua di mere
associazioni di fatto, con la conseguenza che i contratti collettivi da questi
stipulati risultano vincolanti sono per i soggetti che ne fanno parte.
Tuttavia, una serie di fattori ha favorito una forte tendenza espansiva
dell’efficacia del contratto collettivo di diritto comune, anche al di fuori
dell’ambito dei soggetti iscritti al sindacato.
L’attività sportiva, nella sua configurazione di attività lavorativa, gode
dell’applicazione di tutti i principi e delle norme costituzionali in materia di
lavoro oltre che di tutte quelle norme che garantiscono la libertà di espressione
dell’individuo sia come singolo sia nelle diverse formazioni sociali.
In questo modo, seppure in maniera implicita dal momento che manca
ogni riferimento allo sport, è riconosciuto ad ogni cittadino la libertà ed il diritto
di esercitare attività sportiva ai diversi livelli previsti e disciplinati
dall’ordinamento sportivo.
L’elevazione ad interesse pubblico della diffusione e dell’incremento della
attività sportiva su tutto il territorio nazionale ha poi portato il nostro legislatore
ad introdurre, con legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 31 un esplicito
91
riferimento allo sport nell’art. 117 Cost., riconoscendo potestà legislativa alle
regioni in “ materia di ordinamento sportivo”.
Questa competenza attribuita alle regioni, riferita alla “ materia ” sportiva,
non travalica gli ambiti di autonomia legislativamente affermati e riconosciuti
all’ordinamento sportivo italiano in tema di giustizia sportiva, in quanto
articolazione del Comitato Olimpico Internazionale.
È da ritenersi invece, che la competenza alla “materia sportiva” che debba
essere riferita alla regione, sia quella che le vede in collaborazione con gli enti
territoriali, con le articolazioni locali del Coni e con gli altri enti pubblici al fine
ottenere la migliore e più efficiente realizzazione dell’interesse pubblico alla
diffusione della pratica sportiva.
A livello legislativo, il lavoro sportivo subordinato professionistico, vede
la sua specifica disciplina nella legge n. 91/1981 e, laddove non espressamente
escluse, è regolato dalle altre norme dettate per il lavoro subordinato in
generale.
È necessario quindi, nell’interpretare la disciplina normativa, operare un
raccordo fra la parte speciale e quella generale, in modo da inserire in maniera
adeguata il provvedimento legislativo nel contesto dell’ordinamento statale.
Risulta poi di importanza fondamentale, il ruolo che la succitata legge n.
91/1981 attribuisce agli accordi collettivi cui la stessa legge demanda il compito
di predisposizione della concreta disciplina del rapporto di lavoro sportivo
professionistico.
La necessità di adeguamento della disciplina del lavoro sportivo ai principi
comunitari in materia generale di lavoro si è inoltre inevitabilmente estesa anche
92
ai lavoratori sportivi ed a questa situazione hanno fatto seguito le sempre più
frequenti pronunce della Corte di Giustizia Europea. 46
Questa, chiamata più volte a decidere in ordine al rispetto da parte di
norme dell’ordinamento sportivo dei principi comunitari di non discriminazione
e di libera circolazione dei lavoratori nei paesi CEE 47 ha affermato, sin dal
1974, che nella definizione di lavoratore rientra anche chi pratica uno sport, se
tale attività riveste il carattere di una prestazione di lavoro subordinato o di una
prestazione di servizi retribuita, con conseguente applicazione degli artt. 48-51
o 59-66 del Trattato ed eliminazione, ai sensi dell’art.7 del medesimo Trattato,
di ogni discriminazione basata sulla nazionalità. 48
La sentenza della Corte di Giustizia del 15 dicembre 1995, nota come
sentenza “ Bosman”, ha posto in questo senso le basi per una riforma radicale
dell’intero sistema del lavoro sportivo.
L’azione conformatrice svolta dalla Corte di Giustizia Europea delle
normative sportive interne ed internazionali ai principi comunitari suddetti, non
si è arrestata di fronte alle ritrosie manifestatesi in ordine alla piena e spontanea
applicazione dei principi contenuti nella sentenza Bosman che, per le
implicazioni che comportano, vanno ben al di là delle specifiche questioni
sottoposte alla interpretazione della Corte.
In recenti pronunce infatti, la Corte di Giustizia ha avuto modo di
affermare che l’applicazione delle norme del Trattato in tema di non
46
DE CRISTOFARO M., Legge 23 Marzo 1981 n. 91. Norme in materia di rapporti tra società e sportivi
professionisti, in Nuove leggi civ. comm., 1982, p. 580.
47
DANIELE L., Il diritto materiale della comunità europea, Giuffrè, Milano 2000.
48
VIDIRI G., La libera circolazione dei calciatori nei paesi della C.E.E. ed il blocco “calcistico” delle
frontiere, in Giur. It., 1989, IV, p. 66; Contra, sul presupposto che nel settore calcistico prevalga il
valore calcistico su quello economico: Trabucchi A., Sport e lavoro lucrativo . Partecipazione alle
gare e requisito della cittadinanza in uno dei paesi della Comunità Europea, in Riv. dir. Civ., 1974, II,
P.622.
93
discriminazione, non possono trovare limiti nelle distinzioni formali operate a
livello nazionale tra sportivi professionisti e dilettanti, dovendosi accertare caso
per caso la reale natura dell’attività svolta dallo sportivo.
In questo modo la Corte conclude nel senso della applicabilità delle norme
in favore di chi, formalmente dilettante, percepisca dei compensi tali da
connotare la fattispecie in termini economici.
2.4. Le fonti del diritto del lavoro sportivo
All’attività sportiva, configurata come attività lavorativa, è assicurata
l’applicazione di tutti quei principi e norme costituzionali sopra richiamate in
tema di diritto del lavoro.
In questo modo, unitamente ad altre norme di rango , l’ordinamento
s’impegna a garantire la libertà di espressione della personalità di ciascun
individuo, sia come singolo che nelle diverse formazioni sociali, riconoscendo
ad ogni cittadino la libertà ed il diritto di esercitare attività sportiva ai diversi
livelli previsti e disciplinati dall’ordinamento sportivo.49
49
A livello comunitario, il Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea, non contemplava
norme dedicate in maniera esplicita allo sport. Successivamente, con l’Atto Unico Europeo del 1987, si
è evidenziato il ruolo dello sport sia a livello economico che sociale. Nel 1990 inoltre, si registra
l’istituzione del Forum Europeo dello sport con funzioni consultive cui fa seguito, nel 1992, la Carta
Europea dello Sport, primo atto normativo di fonte comunitaria in materia di sport. Tuttavia è con il
Trattato di Amsterdam del 1997 che si riconosce a livello europeo l’importanza dello sport. In
particolare è nella dichiarazione n. 29 sullo sport allegata all’atto finale della conferenza che ha
adottato il testo del Trattato, che si sottolinea la rilevanza dello sport come strumento che forgia le
identità ravvicina le persone.
Sempre nella dichiarazione n. 29 poi, si invitano gli organi della UE a prestare ascolto alle associazioni
sportive laddove trattino questioni importanti in materia di sport, con particolare attenzione allo sport
dilettantistico. Per quanto riguarda la configurazione dello sport a livello organizzativo, risulta
fondamentale il documento di consultazione elaborato dalla Direzione Generale X intitolato “il modello
europeo di sport”, posto a base della Relazione di Helsinki sullo sport, presentata alla riunione del
Consiglio Europeo tenutasi ad Helsinki il 10-11 dicembre 1999. Più recentemente, nella conferenza
intergovernativa tenutasi a Nizza il 7-9 dicembre 2000 si è affermato il principio secondo il quale
all’ordinamento sportivo deve essere riconosciuta autonomia organizzativa per mezzo di adeguate
94
Inoltre, vale ricordare come l’elevazione ad interesse pubblico della
diffusione e dell’incremento dell’attività sportiva su tutto il territorio nazionale
abbia portato il legislatore ad introdurre, con legge costituzionale del 18 ottobre
2001, n. 31, un esplicito riferimento allo sport nell’art. 117 Cost., riconoscendo
in questo modo potestà legislativa alle regioni in “materia di ordinamento
sportivo”.
La potestà regionale in quest’ ambito, non deve essere interpretata in senso
confliggente all’autonomia dell’ordinamento sportivo, confermata dal
legislatore anche dall’art. 1 della legge n. 280/2003 in tema di giustizia sportiva.
Il lavoro subordinato professionistico, trova la sua disciplina legislativa
specifica nella legge n. 91/1981 e, dove non siano incompatibili o
espressamente escluse, in tutte le altre norme generali dettate per il lavoro
subordinato.
Questa situazione, chiama l’interprete ad un’attenta opera di raccordo della
disciplina speciale con quella generale, che tenga conto delle peculiarità del
rapporto di lavoro disciplinato permettendo al contempo di inserire in modo
adeguato il provvedimento legislativo nel contesto dell’ordinamento statale,
considerato in una prospettiva dinamica. 50
La legge n. 91 riconosce inoltre un ruolo fondamentale agli accordi
collettivi, cui la stessa demanda il compito di predisposizione concreta del
rapporto di lavoro sportivo professionistico.
strutture associative tra le quali le federazioni mantengono il loro ruolo centrale. Sullo sport
nell’Unione Europea : PESCANTE M. , L’Atto Unico Europeo e lo sport, Relazione al convegno L’atto
Unico Europeo e lo sport, Roma, 24 novembre 1989; ANDREU J. La Comunità Europea e lo sport, a
cura della Commissione delle comunità europeegenerali con comunicazione del 19 settembre 1991, in
Riv. dir. Sport., 1992, p. 630; BERNINI G., Lo sport ed il diritto comunitario dopo Maastricht: profili
generali in Riv. dir. Sport., 1993, p. 653. Più in generale: BARBERA M. Dopo Amsterdam, I nuovi
confini del diritto sociale comunitario, Promodis, Brescia, 2000.
50
DE CRISTOFARO M., Legge 23 Marzo 1981 n. 91. Norme in materia di rapporti tra società e sportivi
professionisti, in Nuove leggi civ. comm., 1982, p. 580.
95
96
97
Capitolo Terzo
3.1. I vincoli derivanti dall’atto-tesseramento
Le tesi che la dottrina ha proposto riguardo alla qualificazione giuridica
dell’atto-tesseramento, muovono da posizioni che muovono dall’individuazione
dell’atto come di natura “privatistica”, ad analisi che propendono invece per
una visione “pubblicistica”.
La natura privata dell’atto è sostenuta da chi considera nell’atto del
tesseramento la qualifica di atto di autonomia contrattuale, posto in essere nel
rispetto della libertà che spetta ad ogni cittadino, in una condizione di parità fra
i contraenti.
La tesi “pubblicistica” invece, peraltro prevalente in giurisprudenza, si
basa sulla “subordinazione” del soggetto nei confronti dei regolamenti sportivi
emanati dalle federazioni, potestà loro attribuita in quanto organi in senso
proprio dell’ente pubblico CONI.
Secondo i sostenitori di questa tesi,
esisterebbero all’interno dell’ordinamento sportivo, veri e propri rapporti di
supremazia e sottoposizione, cui il soggetto è ammesso solo previo un
provvedimento autoritativo. Questa concezione, che però non tiene conto della
natura mista dell’ordinamento sportivo, ha il suo vero punto di forza nella
irriconducibilità alla autonomia contrattuale dei rapporti tra corpi sociali ed
affiliati, in quanto espressione di un rapporto di supremazia e sottoposizione. 51
Limitandoci a questi cenni sulla natura dell’atto del tesseramento, analisi
di non particolare rilevanza ai nostri obiettivi, appare invece più utile
considerare quali siano gli effetti che quest’ atto comporta in concreto.
98
Dal tesseramento innanzi tutto derivano una pluralità di effetti, scindibili
in due grandi categorie: i rapporti tra soggetto e Federazione e il legame tra
atleta e società, mediante il cosiddetto “vincolo”. 52
Il tesseramento è un atto pluriqualificato, nel senso che dall’atto
medesimo discendono una pluralità di effetti. Per pluriqualificazione s’intende
quel fenomeno che si verifica quando un medesimo fatto ha come conseguenza
molteplici effetti, cioè quando uno stesso comportamento sia oggetto della
qualificazione di più norme facenti parte dello stesso sistema, sia quando norme
che qualificano quell’atto o quel fatto appartengono a sistemi giuridici diversi. 53
Con il tesseramento infatti l’atleta, acquisisce uno status che lo inserisce
all’interno dell’ordinamento sportivo nazionale.
L’atto-tesseramento costituisce un atto giuridico consensuale volontario,
attraverso il quale il soggetto esprime la volontà di immettersi in un
ordinamento esistente.
Al contempo, la Federazione, che è ente associativo, con lo stesso atto
esprime la volontà di immettere il soggetto nella propria organizzazione.
In origine, il tesseramento, esisteva solo come atto intercorrente fra
associazione sportiva e atleta e poneva in essere un legame che integrava la
fattispecie del normale rapporto associativo che vedeva il suo fondamento nel
comune interesse non patrimoniale fra le parti.
In un secondo momento, dopo la formazione delle Federazioni sportive, la
rete dei rapporti, pur sempre legata alla medesima logica associativa, si fece più
51
RAMAT S., Arbitrati e giurisdizioni sportive, in Foro pad., 1954, III,, p. 107.
Per la prima distinzione tra le due categorie, PASQUALIN C., Intervento al I convegno di diritto
sportivo: “Giustizia sportiva e giustizia ordinaria”, in Riv. dir. sport., 1980, p. 286.
53
Per una nozione di pluriqualificazione SANTI ROMANO, cit., p. 141.
52
99
complessa vedendo sorgere la distinzione fra i due rapporti in relazione alle
diverse funzioni riconosciute alle Federazioni ed alle società sportive. 54
L’assetto sportivo, nel tempo, è cambiato profondamente, di pari passo
con i mutamenti che hanno coinvolto la società civile.
Le Federazioni, in particolare, hanno subito un’evoluzione che le ha viste
mutare prospettiva , soprattutto a causa dell’avvento del professionismo, che ha
imposto un ripensamento dei rapporti, non solo economici, fra persone fisiche e
società sportive. Le Federazioni in questo modo, son divenute, non ” più
espressione degli iscritti-persone fisiche, ma espressione solo delle società
sportive” 55 .
Il mutamento è avvertibile, oltre che nell’ambito del professionismo anche
in quello dello sport dilettantistico.
Il tesseramento, ad ogni modo, si manifesta come un atto creativo di un
duplice legame che, da una parte deriva dalla nascita in capo al soggetto dello
status di atleta, dall’altra che è frutto della “istituzionalizzazione” del legame
pregresso che intercorre tra atleta e società sportiva affiliata, tramite la quale
l’atleta è messo nelle condizioni di poter partecipare alle competizioni
organizzate sia in ambito nazionale sia internazionale.
54
“Il vincolo non era altro che il rapporto associativo che intercorreva fra il singolo giocatore e la
propria associazione, mentre il tesseramento era l’atto che istituiva il rapporto fra il singolo e la
Federazione”, C. Pasqualin, cit., p. 290.
55
Per quanto riguarda la trasformazione del rapporto associativo sportivo, vale la pena riportare
questo passo dottrinale:” un tempo le società calcistiche erano associazioni sportive costituite, al pari di
ogni altra, per la pratica calcistica atletico-agonistica dei propri membri; ed i pubblici spettacoli
calcistici, da esse organizzati, potevano essere considerati alla stregua di un’attività economica
strumentale, rivolta a procurare all’associazione i mezzi necessari per il potenziamento di quella che
era la loro non economica attività principale. Il rapporto tra attività principale e attività strumentale si è
poi invertito, per effetto della popolarità che il gioco del calcio, concepito come spettacolo, ha assunto
nell’epoca presente e della divisione del pubblico in contrapposte schiere di sostenitori dei colori
cittadini o di antagonistiche fazioni cittadine delle diverse squadre. Oggetto principale
dell’associazione calcistica è divenuto quello di allestire con il ricorso di atleti professionisti estranei al
rapporto associativo ( o in ogni caso non obbligati alle proprie prestazioni in base a tale rapporto) una
squadra di calcio mediante la quale offrire lo spettacolo delle competizioni calcistiche; oggetto
100
L’atto-tesseramento è regolato da norme interne alle Federazioni e, pur
essendo atto costitutivo di uno status concesso da un ente ad un singolo e pur
coinvolgendo quindi direttamente due
parti, questo risulta essere un atto
trilaterale. Questo si compie tra Federazione e atleta per il tramite di
un’associazione sportiva: è reso cioè possibile dalla stipula di un contratto tra
l’atleta e la società, che poi provvede a tesserarlo presso la Federazione. La
società sportiva, che deve essere a sua volta affiliata alla Federazione, può
essere chiamata in causa sia come “tramite”dell’atto, sia come parte
direttamente coinvolta nella stipula di questo.
A conferma di ciò è anche quanto è previsto dalle norme di diritto positivo
che regolano la vita delle Federazioni: “ la richiesta di tesseramento deve essere
formulata con l’indicazione dei dati anagrafici dell’atleta e munita di firma
dello stesso atleta nonché della firma del Presidente della Società”, art. 11 n. 2
regolamento FIDAL (Federazione italiana di atletica leggera). Il Comitato
Regionale o Provinciale deve porre solo la “vidimazione” sulla richiesta di
tesseramento, che l’atleta può ottenere “in favore di una società affiliata”, art.
11 n. R.O. FIDAL. Il Presidente di società è chiamato a controfirmare il
modulo, evidenziando così la natura preminente del rapporto tra essa e l’atleta.
Le eccezioni al principio di trilateralità dell’atto-trasferimento sono
disciplinate dallo statuto del CONI nella parte in cui prevede “casi particolari in
cui sia consentito il tesseramento individuale alle Federazioni Sportive
Nazionali e alle Discipline associate “, art. 31, n. 1, riferendosi, evidentemente,
a situazioni peculiari, limitate a sports con minor possibilità economiche e ad
atleti di rilievo nazionale.
accessorio è l’eventuale attività strumentale rispetto alla precedente di reclutamento e di formazione
101
Ciò che in conclusione caratterizza l’atto tesseramento nella concreta
realtà è:
a) Sottoscrizione di moduli già predisposti dalla Federazione;
b) Annualità dell’atto, che deve essere rinnovato regolarmente, mentre il
vincolo “sociale”, o vincolo “associativo”, a seconda della terminologia
adottata, ha durata tendenzialmente più lunga.
c) Sottoposizione a termini di scadenza ben precisi, connessi all’inizio
della stagione agonistica. Termini che possono essere più elastici e persino non
previsti, per gli atleti minorenni, in virtù di un favor alla loro partecipazione
alle attività federali.
Di fatto, essenziale perché lo sportivo possa fregiarsi dello status di
atleta, è che questi partecipi al circuito delle competizioni.
d) L’intervento, come firmataria o come inoltrante, della società sportiva
di appartenenza dell’atleta. L’atto di tesseramento, al di fuori delle eccezioni già
ricordate, è perciò trilaterale.
e) L’intervento del genitore, di entrambi, o di chi esercita la patria potestà,
nel caso di atleta minorenne. Per il tesseramento del minore sono previste varie
modalità, dal momento che non esiste una norma di raccordo tra le Federazioni.
Per quanto riguarda la formalità dell’atto non c’è differenza tra il tesseramento,
o cartellinamento, di un dilettante e quello di un professionista. La differenza è
invece nei diversi presupposti che sono alla base degli atti. Infatti, “il rapporto
di prestazione da professionista, con il conseguente tesseramento, si costituisce
mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un contratto tra il calciatore
e la società”, art. 28 NOIF (Norme organizzative interne federali della FIGC).
delle nuove leve di calciatori” GALGANO F., cit., pp. 89-90.
102
Presupposto per il tesseramento del professionista è, perciò, la stipula di
un contratto di lavoro, e non di associazione, con una società sportiva. Nel
mondo del calcio è perciò essenziale, al fine di poter tesserare un professionista,
il deposito in Lega del contratto.
Una volta individuato nel tesseramento sportivo un contratto associativo
“aperto”, appare necessario determinare quali siano le siano le norme del codice
civile atte a disciplinare gli effetti di tale contratto.
Innanzi tutto, dal momento che le Federazioni risultano associazioni di
diritto privato, non sembra possa trovar dubbi l’applicazione dell’art. 16 del
codice civile nella parte in cui prevede: “l’atto costitutivo e lo statuto (devono)
anche determinare, quando trattasi di associazioni, i diritti e gli obblighi degli
associati e le condizioni della loro ammissione”. Le Federazioni risultano
quindi, attraverso i propri statuti costitutivi, chiamate a determinare quali sono
le maggiori caratterizzazioni giuridiche dello status ottenuto per mezzo del
tesseramento.
Una definizione di massima dello status derivante dal tesseramento, è
però ottenibile richiamando un ulteriore riferimento normativo e cioè l’art. 35
del d.p.r. 157/1986, recante la disposizione di attuazione della legge istitutiva
del CONI (n. 426/1942). 56
Secondo tale norma “gli atleti sono inquadrati presso le società ,
associazioni ed enti sportivi riconosciuti. L’atleta partecipa alle gare autorizzate
sotto l’osservanza dei principi, dei regolamenti, degli usi e della lealtà sportiva.
L’atleta non professionista deve praticare lo sport in conformità alle regole del
56
“Da tale norma - l’unica a carattere generale – si ricavano due principi fondamentali: 1) che gli atleti
sono “inquadrati” presso società sportive riconosciute dal CONI 2) che partecipano alle gare
autorizzate osservando i regolamenti e i principi dell’ordinamento sportivo”, TORTORA M., IZZO C.G.,
GHIA L., cit., p. 11.
103
CIO e della competente Federazione internazionale. L’attività dell’atleta
professionista è disciplinata da norme regolamentari particolari emanate dalla
Federazione competente e secondo i principi dettati dalla rispettiva Federazione
internazionale”.
Questa norma ha l’effetto di stabilire quale sia la posizione dell’atleta che,
rispetto al contesto ordinamentale sportivo appare inserito in una struttura
associativa sportiva che gli permette la partecipazione alle gare ufficiali.
La presenza di un doppio contratto adesivo fa sì che
l’atto di
tesseramento possa essere inteso sia come quello da cui scaturisce la
limitazione della libertà contrattuale, sia come l’atto dal quale discende il
secondo effetto, che prende sempre il nome di vincolo, della sottoposizione del
singolo ai doveri
imposti per il fatto di entrare a far parte dell’ordinamento
sportivo e, di conseguenza, alla giustizia sportiva.
Il “vincolo” sorto attraverso l’atto formale di tesseramento, per cui l’atleta
è associato alla Federazione sportiva, in questo modo si sovrappone e quasi
s’identifica con il legame associativo privato tra atleta ed associazione, la cui
durata è stabilita da una norma regolamentare. Risulta quindi auspicabile, sul
piano logico oltre che su quello terminologico, stabilire una distinzione fra il
vincolo”sportivo” ed il vincolo “associativo”: una cosa è infatti il tesseramento
ed altra invece è il vincolo che lega il giocatore alla singola associazione
sportiva.
Tale distinzione risulta chiaramente più significativa si propende per la
tesi pubblicistica ed una visione strettamente gerarchica dell’ordinamento
sportivo.
104
Quel che in ogni caso appare utile ricordare è la concreta ed indiscutibile
presenza di due legami, uno dei quali è di natura pubblicistica, poiché
susseguente alla assunzione di uno status che ha funzione di cittadinanza
nell’ordinamento derivato. 57 Per vincolo “sportivo” si deve intendere l’effetto
del tesseramento che determina la nascita, in capo al singolo, delle limitazioni
connesse all’assunzione dello status di atleta, fra cui la subordinazione agli atti
regolamentari delle Federazioni. Per vincolo “associativo” invece, è da
intendersi il legame che per un periodo più o meno lungo intercorre fra il
singolo ed un’associazione sportiva affiliata alla Federazione che ha il diritto di
utilizzare in via esclusiva l’atleta. Questo vincolo sorge da una norma
regolamentare alla cui base sta però il precedente e necessario rapporto
associativo tra i due soggetti, che è regolato interamente dalla generale dottrina
dell’associazionismo.
Il punto di incontro fra i due vincoli è proprio rappresentato dalla norma,
comune a tutti i regolamenti organici federali, che prevede un’indissolubilità
temporanea o perpetua del legame intercorrente tra associazione sportiva e
singolo atleta agonista. Una norma federale che determina la durata e la
configurazione del vincolo associativo.
Peraltro, bisogna ricordare, come la legge n. 91/1981 abbia abolito il
vincolo associativo per lo sport professionistico, per il quale fa fede la durata
del contratto depositato in Federazione. Il problema specifico riguarda quindi il
solo sport dilettantistico. La presenza di una norma regolamentare fa sì che, con
57
In tal senso Bianchi d’Urso F., Vidiri G., cit., 9. Il problema in questione, seppur possa sembrare
astrattamente inconciliabile con la asserita natura giuridica di diritto privato del tesseramento, in realtà
è questione del tutto anomala rispetto al problema della qualificazione giuridica del tesseramento stesso
nell’ordinamento statale; infatti è indubbia la funzione di “assunzione della cittadinanza” che viene ad
avere tale atto rispetto alla organizzazione interna dell’ordinamento sportivo, con tutte le conseguenze
del caso.
105
il termine” vincolo sportivo”, spesso s’intenda proprio il rapporto tra società
sportiva e atleta.
Esistono, ad ogni modo, due rapporti associativi, uno con la Federazione ,
la cui indiscutibile posizione di preminenza, si sostanzia nel vincolo sportivo
che subordina l’atleta alla normativa interna federale, ed uno con la società di
appartenenza la cui posizione di preminenza , in questo caso invece discutibile,
deriva da una norma federale e dai regolamenti interni, che limitano la
possibilità di recesso dal rapporto da parte dell’atleta.
3.2.
I doveri dell’atleta: il vincolo sportivo, i principi dello
sport e le funzioni del CONI
Con il tesseramento alla Federazione, acquisendo lo status di Atleta, lo
sportivo diventa soggetto di un ordinamento giuridico autonomo.
In questo senso e secondo una prospettiva limitata, l’acquisizione dello
status di Atleta, è paragonabile all’acquisto della cittadinanza. 58
La qualificazione di Atleta, determina l’acquisizione di tutta una serie di
posizioni giuridiche consistenti in diritti e doveri, la prima delle quali è il diritto
ad essere trattato in modo equivalente agli altri soggetti dell’ordinamento.
Lo sport, inteso come fenomeno giuridico, è regolato da propri principi
fondanti che, continuando il parallelismo con l’assetto giuridico statuale,
possono esser detti costituzionali.
58
In tal senso, Bianchi d’Urso F., Vidiri G., cit., 9.
106
Lo sportivo appartenente
a quest’ ordinamento è perciò tenuto ad
osservare tali norme informatrici.
L’art. 31 n. 2 dello statuto del CONI è la prima norma che
gerarchicamente individua il “ vincolo sportivo”, inteso come “sottoposizione
alle norme che governano le singole Federazioni, e conseguentemente alla
giustizia nelle sue diverse forme” e prevede che: “Gli atleti sono soggetti
dell’ordinamento sportivo e devono esercitare con lealtà sportiva, osservando i
principi, le norme e le consuetudini sportive”.
Le norme cui il soggetto si vincola, sono però quelle della Federazione cui
il soggetto è tesserato.
È invece il legame tra Federazioni e CONI, che determina il passaggio dei
principi e delle funzioni dell’ente pubblico nell’operato delle Federazioni.
Il passaggio dei principi ispiratori avviene attraverso la conformazione
normativa ad un ente gerarchicamente sovraordinato da parte di un ente
subordinato.
Punto essenziale del vincolo sportivo, è la soggezione del tesserato, non
solo al diritto dello sport scritto ed anche alle sue norme
ed alle sue
consuetudini, ma anche ai principi, meglio identificati come “lealtà sportiva”,
che devono informare tutta l’attività del consociato.
Allo stesso modo, l’art. 35 del d.p.r. 157/1986, al comma 3 dispone che
“l’atleta partecipa alle gare autorizzate sotto l’osservanza dei principi, dei
regolamenti, degli usi e della lealtà sportiva”. Per questo motivo infatti e con
queste premesse, il riferimento alla filosofia sportiva della correttezza è
107
individuato, in ogni codice di giustizia delle Federazioni, come prima e più
grave infrazione sportiva. 59
La lealtà sportiva, si sostanzia in un dovere di correttezza, onestà e
rettitudine ed è alla base della cosiddetta “etica sportiva”, premessa di un sano
spirito di competitività che permette che le gare si svolgano senza trucchi e nel
massimo rispetto dell’avversario e del risultato ufficiale.
Ulteriore effetto del tesseramento è la nascita, in capo all’atleta, di un
obbligo di comportamento derivante dalla specificità culturale e sociale dello
sport, la cui sostanza, non essendo specificata positivamente, deve essere
dedotta dai principi sportivi protetti dall’ordinamento. 60
Per analizzare con precisione quali siano i principi cardine che informano
l’ordinamento sportivo, appare necessario affrontare lo studio delle funzioni del
CONI e dei suoi rapporti con le Federazioni.
I compiti e le funzioni del CONI sono “ a carattere tendenzialmente
generale, in ragione della sua natura di soggetto esponenziale dell’ordinamento,
e si rinvengono in tutto il reticolo normativo che disciplina l’ordinamento
stesso” 61 .
59
Per esempio, art. 1 n. 2 giustizia FIDAL, “tutti i soggetti della FIDAL sono tenuti al rispetto delle
norme dello statuto e dei regolamenti federali; in particolare alle norme di lealtà, correttezza e
disciplina che costituiscono i principi fondamentali dello sport”. In questo senso anche l’art 1 n. 1 del
Codice di Giustizia FIGC, “coloro che sono tenuti all’osservanza delle norme federali devono
comportarsi secondo i principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile
all’attività sportiva.”
60
La lealtà sportiva opera come una sorta di Generalklausel, “atta a reprimere comportamenti degli
associati che non possono farsi rientrare tra quelli espressamente vietati”, Caprioli R., cit., 127. Difatti
la casistica delle decisioni federali ci induce a dare un’interpretazione estensiva dell’ambito di
rilevanza dei principi stessi, non solo perché passibili di determinare una condanna anche in mancanza
di un’espressa previsione di comportamento illecito, ma anche perché validi nel momento di
competizione o di preparazione ad una gara, e in ogni attività che sia rilevante per la vita sportiva
dell’atleta; così che integra la violazione dei doveri di lealtà, correttezza e disciplina anche una critica
eccessivamente accesa a mezzo di stampa, cfr. decisione Comm. Giud. Naz. FIDAL n. 19/1999 del
23/2/1999, in MONTAGNA A., IALENTI M.,IOFFREDI V., La giustizia sportiva tra sanzioni e finalità
educative, Roma, 2000.
61
Ferrara R., Voce CONI, in Digesto delle discipline pubblicistiche, IV, Torino, 1987, p. 176.
108
Il CONI, come
peraltro si è già avuto modo di rilevare, persegue
“l’organizzazione ed il potenziamento dello sport nazionale e l’indirizzo di esso
verso il perfezionamento atletico” 62 e per far ciò si avvale di una serie di potestà
organizzative.
Nell’art. 2 del suo statuto “Funzioni di disciplina e regolazione”, il coni
delinea ed al contempo disciplina una sorta di embrionale traccia costituzionale
del mondo sportivo.
In particolare viene statuito che:
1)
Il CONI presiede all’organizzazione delle attività sportive sul territorio
nazionale.
2)
Il CONI detta i principi fondamentali per la disciplina delle attività sportive
e per la tutela della salute degli atleti, anche al fine di garantire il regolare e
corretto svolgimento delle gare, delle competizioni e dei campionati.
3)
Il CONI detta i principi per promuovere la massima diffusione della pratica
sportiva in ogni fascia di età e di popolazione, con particolare riferimento allo
sport giovanile ferme le competenze delle Regioni in materia.
4)
Il CONI, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, detta principi per la lotta
dello sport contro l’esclusione, le disuguaglianze, il razzismo, la xenofobia e
ogni forma di violenza.
5)
Il CONI, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, detta principi per
conciliare la dimensione economica dello sport con la sua inalienabile
dimensione popolare, sociale, educativa e culturale.
6)
Il CONI, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, detta principi per
assicurare che ogni giovane atleta formato da Federazioni, società o
62
Art. 2 Legge n. 426/1942. Altri testi normativi in materia di funzioni del CONI sono il d.P.R. n.
109
associazioni sportive ai fini di alta competizione riceva una formazione
educativa o professionale complementare alla sua formazione sportiva-.
7)
Il CONI detta principi per prevenire e reprimere l’uso di sostanze o metodi
che alterino le naturali prestazioni fisiche degli atleti nelle attività agonisticosportive.
8)
Il CONI garantisce giusti procedimenti per la soluzione delle controversie
nell’ordinamento sportivo.
Una funzione di tal genere, di indirizzo e di coordinamento dello sport
italiano, come si è visto è esercitata dal Comitato nazionale in misura
prevalente attraverso l’opera delle Federazioni.
Gli atleti infatti, formalmente non sono associati al CONI, realizzandosi
con esso un legame di tipo mediato.
In questo senso il CONI è, secondo la definizione data da Morbidelli,
“ente federativo verticale, poiché ricomprende enti che non hanno delimitazioni
territoriali di competenza che sono costituiti dalle federazioni.
157/1986, il d.P.R. n. 530/1974 ed in parte la stessa Legge n. 91/1981 il d.lgs n. 242/1999 oltre che il
110
3.3.
Il vincolo dei professionisti e dei dilettanti
Come visto, l’atleta è parte di due distinti rapporti: uno che s’instaura con
la società di appartenenza e l’altro che lo vede in relazione alla federazione
sportiva di appartenenza.
Il primo ha natura lavoristica, nel caso di sportivo professionista, o
associativa qualora ci si trovi di fronte ad un’atleta dilettante.
Il secondo invece ha origine attraverso un atto formale che conferisce
all’atleta lo status di tesserato e quindi, come si è avuto modo di considerare,
che lo rende il centro di imputazione di una serie situazioni soggettive sia attive
che passive nell’ambito del proprio contesto endoassociativo. 63
Risulta evidente però che qualunque valutazione operata dall’ordinamento
federale non possa mai pregiudicare quelle eventualmente diverse operate
dall’ordinamento statale.
Questo, a maggior e più ampia ragione nel caso in cui la materia attenga a
diritti costituzionalmente garantiti, come , a titolo esemplificativo nel caso
dell’istituto del vincolo.
La legge n. 91/1981 ne è una conferma nella parte in cui, nell’affermare la
natura lavoristica delle prestazioni sportive, ha eliminato le limitazioni alla
libertà contrattuale dell’atleta professionista, commisurandole alla durata del
rapporto, per un periodo non superiore a 5 anni. 64
Una definitiva svolta per gli atleti professionisti, si è avuta in seguito agli
effetti derivati dall’impatto sull’ordinamento sportivo avuto dalla sentenza
recente d. lg 8 gennaio 2004 n.15.
63
A riguardo De Silvestri 2000, pp. 520 . ss.;
64
Art. 5 legge n. 91/1981.
111
Bosman. che a livello internazionale ha eliminato il parametro che costituiva
un chiaro ostacolo alla libera circolazione
del calciatore-lavoratore
professionista.
La problematica del vincolo , si è riproposta poi con gli atleti dilettanti e
con l’atleta minorenne .
In particolare si è riproposta con i calciatori soggetti ad un vincolo a
tempo indeterminato, nonostante l’art. 1. della legge n. 91/1981 preveda che la
libertà dell’esercizio della attività sportiva, svolto sia in forma professionistica
che dilettantistica.
La mancanza di un intervento da parte del legislatore ha suscitato ampie e
motivate critiche da parte della dottrina, motivate soprattutto dal fatto che lo
sport dilettantistico viene praticato nell’’ambito delle formazioni sociali aventi
la finalità di favorire lo sviluppo della personalità dell’individuo, nel rispetto
dei suoi diritti come quelli costituzionalmente garantiti individuati dagli artt. 2 e
18 Cost., di associarsi o non associarsi nella più piena libertà.
Fra gli altri, un problema rilevante, è quello costituito dal vincolo sportivo
stipulato dagli atleti minori d’età per un periodo indeterminato o ad ogni modo
non ragionevole,che viene imposto dalla clausole regolamentari ed associative
delle federazioni sportive.
Questo vincolo, cui l’atleta si sottopone con la propria sottoscrizione del
“cartellino” è stato ritenuto nullo ex art. 1418c.c-Cause di nullità del contratto.,
poiché considerato in contrasto con le norme imperative e di ordine pubblico. 65
In questo contesto s’innestano anche le
pronunce giurisprudenziali
relative agli artt. 24 e 36 del codice civile, che regolano rispettivamente il
65
Su questo punto Moro 2002, pp. 9 ss.;RUOTOLO 1998, pp. 408 ss.;DE CRISTOFARO 1989, pp. 96 ss.
112
recesso ed esclusione degli associati ed ordinamento ed amministrazione delle
associazioni non riconosciute.
L’autorità giudiziaria, svolgendo un significativo controllo sui rapporti
derivanti dagli accordi fra atleta dilettante e la società di appartenenza, ha auto
modo di riscontrare numerose situazioni contrastanti con le norme codicistiche
ed i dettati costituzionali, dichiarando nulle le frequenti clausole vessatorie
rilevate.
Questo è quanto si leggeva nella relazione accompagnatoria al decaduto
progetto di legge Ballaman n. 4633 del 10 marzo 1998 in tema di
regolamentazione del vincolo sportivo :“il rapporto tra associazioni sportive ed
atleti giovani oppure dilettanti è assolutamente illiberale”.
E a tal proposito si precisava che dovevano “ritenersi nulle quelle clausole
regolamentari (che hanno valore regolamentare) che prevedano l’assunzione del
vincolo sportivo a tempo determinato e che negano il diritto di recesso ad
nutum dal rapporto associativo previsto invece per i professionisti”lasciando in
questo modo “gli amatori ed i giovani che non riescono ad essere dei talenti
ancora in balia di spregiudicati dirigenti che ne mercanteggiano i cartellini”.
Il fine prioritario è quello infatti di evitare “che le norme collettivistiche
dei regolamenti sul vincolo sportivo, che avevano creato degli autentici gulag in
cui molti giocatori vivevano lo sport in cattività, inducendoli a restare inattivi o,
in molti casi a lasciare la pratica agonistica”, prevalgano sul “ diritto allo sport
dell’atleta dilettante”.
Una conferma in questo senso viene anche dal diritto comunitario dal
momento che, sin dal 1975, nella Carta Europea dello sport per tutti, è stato
affermato il principio che “ciascuno ha diritto a praticare sport “.
113
Inoltre, la libertà di associazione, come è proclamata dall’art. 11 della
Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali , derivante “dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati
membri, fa parte dei diritti fondamentali che, secondo la giurisprudenza della
Corte peraltro riaffermata nel preambolo nell’Atto unico europeo e dall’art. F n.
2 del Trattato sull’Unione europea, sono oggetto di tutela nell’ordinamento
giuridico comunitario”. 66
66
Si veda in riferimento a tal proposito il punto 79 della sentenza Bosman.
114
115
Capitolo Quarto
4.1.
Il rapporto di lavoro sportivo come rapporto di
lavoro speciale
Il rapporto di lavoro sportivo rientra nell’ambito di quelle particolari
forme di lavoro che si fanno rientrare nel tradizionale ambito dei cosiddetti
rapporti di lavoro speciali. 67
In quanto rapporto di lavoro speciale, anche il rapporto di lavoro sportivo
si caratterizza per il fatto di essere sottoposto ad una disciplina normativa
differente rispetto a quella generale prevista nel libro V del codice civile artt.
2082 c.c-Imprenditore e 2221 c.c.-Fallimento e concordato preventivo e relativa
al rapporto di lavoro subordinato nell’impresa.
Allo stesso modo si discosta da quanto previsto negli artt. da 2222 a 2238
in relazione alla disciplina del lavoro autonomo.
In linea generale, la peculiarità dei singoli rapporti di lavoro classificabili
come speciali, può essere ritrovata nell’osservanza di disposizioni costituzionali
(ad esempio in materia di assunzione che prevede il concorso per i pubblici
dipendenti), mentre altre volte l’elemento distintivo è individuato dalla
particolarità dell’ambiente in cui si pone in essere la prestazione lavorativa (è il
116
caso questo del lavoro domestico), nella necessità di una regolamentazione
specifica a tutela dell’utenza e della scurezza dei trasporti (si pensi al lavoro dei
marittimi o della gente dell’aria), nella peculiare natura dell’impresa
commerciale in cui s’inserisce il rapporto (ad esempio i giornalisti della carta
stampata, della radio e della televisione), piuttosto che nel caratteristico mezzo
di trasporto in relazione al quale si articola il lavoro ed insomma in ogni caso in
cui il legislatore abbia individuato l’impresa in un significato diverso da quello
inteso nel senso comune.
La fattispecie del lavoro subordinato compiuto dagli atleti professionisti
alle dipendenze delle società sportive, integra una delle tipologie lavorative la
cui specialità deriva dall’essere svolto ai margini del lavoro dell’impresa e che
in certi casi accomuna gli sportivi professionisti, per alcuni aspetti ad un altro
rapporto di lavoro speciale che è quello proprio dei lavoratori dello spettacolo.
La specialità del rapporto di lavoro sportivo, che parzialmente lo vede
deviare dal rapporto codicistico generale di lavoro, deve essere sempre posta in
relazione al problema della sua compatibilità con l’applicabilità della disciplina
del rapporto di lavoro ordinario.
67
Questa denominazione si deve a due lavoristi che ne parlano in relazione ai contratti che ne
costituiscono la fonte , De Litala, Contratti speciali di lavoro, Torino, 1958, pp. 175 ss. e Mazzoni,
Manuale di diritto del lavoro, Milano, 1969, pp385 e 460 ss.
117
4.2. La natura del rapporto di lavoro sportivo
La legge n. 91/1981, all’art. 3, riferendosi alla prestazione sportiva
dell’atleta, escludendo quindi le prestazioni lavorative degli altri sportivi
professionisti, stabilisce che, “la prestazione a titolo oneroso dell’atleta
costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato regolato dalle norme
contenute nella presente legge”. Questo significa che il legislatore ha inteso
introdurre, per la sola figura dell’atleta, una presunzione di subordinazione.
In questo senso si è optato per differenziare gli atleti dagli altri lavoratori
sportivi professionisti, i quali la subordinazione va accertata in concreto dal
giudice con riguardo ai criteri all’uopo forniti dal diritto del lavoro. 68
L’attività sportiva resa dall’atleta professionista in maniera continuativa
ed onerosa, con l’ulteriore requisito che la vuole svolta in favore di una società
di capitali, sarà quindi automaticamente considerata di natura subordinata , con
applicazione delle norme della legge n. 91.
La legge, tuttavia, non esclude che l’attività dell’atleta professionista
possa rivestire i caratteri della prestazione di lavoro autonomo, ma, in accordo
con la prima ricordata presunzione di subordinazione, indica esplicitamente le
ipotesi in cui la prestazione a titolo oneroso dell’atleta non integri il caso di un
rapporto di lavoro subordinato ma piuttosto di natura autonoma.
68
Sul punto Cass., 28 dicembre 1996, n. 11540, in G.iust. civ. Mass., p. 1799, secondo cui ” la L.23
marzo 1981 n. 91, in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti, detta regole per la
qualificazione del rapporto di lavoro dell’atleta professionista, stabilendo all’art. 3 i presupposti della
fattispecie in cui la prestazione pattuita a titolo oneroso costituisce oggetto di contratto di lavoro
subordinato. Diverso discorso è invece quello relativo alle altre figure di lavoratori sportivi
contemplate nell’art. 2 e cioè allenatori, direttori tecnico sportivi e preparatori atletici.
118
È il secondo comma dell’art. 3 infatti che prevede l’autonomia del
rapporto di lavoro ove ricorra almeno uno dei seguenti requisiti:
a) l’attività sia svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o
di più manifestazioni collegate fra loro in un breve periodo;
b) l’atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la
frequenza delle sedute di preparazione o allenamento;
c) la prestazione oggetto del contratto, pur di carattere continuativo, non
ecceda le otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta
giorni ogni anno. 69
La prima ipotesi richiamata non sembra poter suscitare grossi problemi
interpretativi,
poiché
l’impegno
assunto
in
riferimento
ad
un’unica
manifestazione, piuttosto che in più manifestazioni tra loro collegate in un
breve arco di tempo, difetta di quei requisiti di inserimento nella struttura
organizzativa predisposta dal datore di lavoro e di eterodirezione della
prestazione
individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza come dati
caratteristici della subordinazione.
Anche in mancanza di una previsione esplicita
infatti, l’impegno di
risultato assunto in tale senso, unito al difetto di continuità della prestazione,
non avrebbe resa possibile una connotazione di altro genere di un simile
rapporto di lavoro.
La Suprema Corte 70 in rapporto a tali previsioni ha affermato e
successivamente ribadito più volte la natura di lavoro autonomo della
69
Alcune perplessità in proposito sono state sollevate da PERSIANI M. , Legge 23 marzo 1981 n. 91, p.
569 il quale ritiene che le ipotesi indicate dalla norma non configurino casi di lavoro autonomo ma
piuttosto di lavoro subordinato sottratte per ragioni di opportunità alla relativa disciplina, facendo in
questo modo salva la possibilità anche per queste fattispecie di verificare in concreto, attraverso i criteri
elaborati dal diritto comune, la ricorrenza di ipotesi di vero e proprio lavoro subordinato.
119
prestazione atletica in favore della squadra nazionale, non ritenendo
configurabile in tale ipotesi una situazione di distacco o comando dalla società
di appartenenza, escludendo in questo modo il venir meno della natura
lavorativa della prestazione lavorativa resa in tale contesto.
A tal proposito è utile ricordare l’obbligo imposto dai regolamenti
sportivi, alla società sportiva di appartenenza, di mettere a disposizione i propri
giocatori per la formazione della rappresentativa nazionale.
In riferimento al requisito richiesto all’art. 3 lett. b), relativo alla
mancanza di un obbligo contrattuale di partecipare a sedute di allenamento e
sedute di preparazione che implicherebbe la ricorrenza di un lavoro autonomo
senza che venga ammessa la possibilità di una prova contraria, non appare
condivisibile la tesi secondo cui, la semplice carenza del dato formale
impositivo del suddetto obbligo, non potrebbe altresì impedire la qualificazione
di un rapporto di subordinazione laddove in concreto risulti un vincolo a
frequentare le sedute di allenamento.
Risulta infatti sempre applicabile, anche nell’ambito del rapporto di
lavoro sportivo, il principio consolidato nell’ambito della generalità dei rapporti
di lavoro, secondo cui, ciò che rileva ai fini della loro qualificazione è quella
che risulta nella sostanza del concreto atteggiarsi dello svolgimento della
prestazione.
70
Cass., 14 giugno 1999, n. 5866, in Foro it., Rep. 1999, voce Sport, n. 50; Cass., 20 aprile 1990, n.
3303, in Dir. lav.,1992, II, p.14 con nota di V. CIANCHI, Problemi di qualificazione della prestazione
atletica degli” azzurri” il quale propende per l’inquadramento di tale prestazione nella prestazione di
lavoro gratuito cui si accompagnano compensi configurabili come mere liberalità da parte delle
federazioni;
SANDULLI P., Autonomia collettiva e diritto sportivo, in Dir.lav., 1988, p. 287, ritiene invece che la
prestazione dei c.d. nazionali sia da considerare come di natura subordinata con comando presso le
federazioni.
120
Considerazioni del tutto simili, valgono anche per quanto riguarda
l’ipotesi di cui alla lett. c), laddove il legislatore ha voluto fissare una soglia
quantitativa minima della prestazione lavorativa al di sotto della quale ha
escluso la necessità di garantire all’atleta la tutela tipica del lavoratore
subordinato.
Un’ulteriore serie di questioni in tema di qualificazione delle prestazioni
sportive, sorge nell’ambito della distinzione fra sport di squadra e sport
individuali.
Risulta chiaramente più facile rilevare i caratteri della subordinazione
negli sport di squadra piuttosto che in quelli individuali che molto spesso
permettono all’atleta una gestione più autonoma delle fasi di allenamento, della
preparazione atletica nonché di quella fondamentale della competizione
agonistica. 71
Questa distinzione tuttavia non può essere comunque fatta assurgere a
regola generale.
Bisogna sottolineare innanzitutto, come talvolta risulti persino difficile
distinguere con certezza se uno sport sia individuale o di squadra. Inoltre,
bisogna anche considerare come non in tutti gli sport che possono riconoscersi
come individuali, l’atleta professionista si ponga sempre quale vero
imprenditore delle proprie risorse psicofisiche.
È possibile affermare con certezza quindi, che anche l’atleta che pratichi
uno sport individuale possa trovarsi in una situazione di dipendenza nei
confronti di un altro soggetto, persona fisica o società sportiva in grado di
esercitare nei suoi confronti poteri di carattere direttivo e disciplinare.
121
Da quanto sino ad ora detto, appare corretto concludere, che il rapporto di
lavoro sportivo subordinato presenti caratteri di specialità rispetto agli altri
comuni rapporti di lavoro dipendente.
Il rapporto di lavoro sportivo infatti integra una di quelle fattispecie che
la dottrina giuslavoristica definisce speciali indicando in questo modo quei
rapporti che, in ragione della specifica posizione del datore di lavoro o della
peculiare natura dell’attività svolta, qual è in questo caso, richiedono una
disciplina per certi aspetti differenziata rispetto a quella generale dettata per il
rapporto di lavoro nell’impresa, prevedendo un conseguente adattamento del
modello generale di tutela della specificità del rapporto.
Per questi motivi è sorta l’esigenza per il legislatore di adeguare il
modello della tutela apprestato in via generale per i lavoratori dipendenti alle
condizioni specifiche caratterizzanti la posizione nel mercato del lavoro di
determinate categorie di lavoratori.
Pare al contrario più difficoltoso collocare questi rapporti lavorativi nella
categoria degli atipici.
Infatti di atipicità non può parlarsi né in riferimento del contratto che lo
regola, dal momento che non si tratta di un contratto non previsto
dall’ordinamento giuridico, né alla luce della nozione più strettamente
giuslavoristica che considera atipici quei rapporti per i quali si ritiene di dover
garantire, per quanto è possibile, a tutti prestatori di lavoro, gli stessi diritti e le
stesse prerogative di cui godono i titolari di un rapporto di lavoro a tempo pieno
ed indeterminato anche se qualora difettino di tali requisiti in quanto rapporti a
tempo parziale o a tempo determinato.
71
In Brasile la legge esclude dal suo ambito di applicazione gli sport individuali come boxe, tennis,
122
A sottolineare la specialità del rapporto di lavoro sportivo, concorre anche
il fatto che la fattispecie del lavoro subordinato disegnata dal legislatore per lo
sport, non rientra esattamente nei contorni che generalmente identificano la
subordinazione dei prestatori di lavoro e che viene identificata come
eterodirezione.
La subordinazione degli atleti sportivi professionisti, non si risolve
soltanto nella soggezione alle direttive emanate dal datore di lavoro ed al suo
controllo.
I requisiti di tale subordinazione hanno infatti riguardo ad altri e forse più
importanti caratteri della prestazione con riferimento in particolare alle sue
cadenze temporali che non risultano decisive in casi differenti almeno per
quanto riguarda la qualificazione del rapporto come subordinato.
Si può dunque affermare che la subordinazione nel lavoro sportivo, da un
lato ha richiesto la predisposizione di strumenti per la sua rilevazione che
applicano un criterio che supera le regole ordinarie previste per l’individuazione
della fattispecie del lavoro subordinato e che fino ad ora non ha trovato impiego
neppure in campi limitrofi quale quello costituito dai lavoratori dello spettacolo.
Appare necessario rilevare come d’altro lato, non si possa non notare
come la qualificazione di subordinazione spesso mal si adatta riguardo alla
situazione dei grandi campioni dello sport, che risultano molto lontani, in virtù
degli importanti compensi percepiti, da quella situazione di inferiorità e
debolezza che spesso informa e giustifica la speciale tutela apprestata al
lavoratore subordinato.
golf, ritenendo il relativo rapporto di natura autonoma. In altri paesi fra i quali il Messico invece, non si
fa differenza fra sport di squadra e sport individuali: H.H. BARBAGELATA , Derechos, cit., p. 13.
123
Proprio in accordo con quest’ultima considerazione, la stessa legge n.
91/1981 non ha trovato valide ragioni per estendere agli sportivi professionisti
ogni specie di istituto giuridico, evitando così di porre in essere
un’indiscriminata estensione delle tutele e della normativa lavoristico anche a
fattispecie che non ne giustificano l’invocabilità.
Ad esempio i lavoratori sportivi non godono della tutela contro il
licenziamento individuale, nonché di quelle contenute negli artt. 4-Impianti
audiovisivi, 5-Accertamenti sanitari, 13-Visite personali di controllo, 33Collocamento, 34-Richieste nominative di manodopera, dello statuto dei
lavoratori. Sempre nella stessa ottica, ma in relazione ad aspetti differenti, la
normativa in esame ha invece dettato una sua disciplina peculiare.
In questo senso si può ricordare quanto predisposto in relazione alla
validità dei contratti individuali, che è condizionata alla approvazione della
federazione sportiva, o la possibilità di cessione dei contratti individuali tra due
società prima della scadenza del termine fissato.
La specialità del rapporto, se implica la presenza di una disciplina
autonoma, non esclude l’intervento sussidiario della disciplina generale.
Appare quindi condivisibile la tesi di quella dottrina secondo la quale
l’applicazione della legge n. 91/1981 al lavoro sportivo subordinato non esclude
l’applicabilità allo stesso di ogni norma di carattere generale non ricompressa
nella legge stessa ma con essa compatibile.
124
4.3.
Cenni: il rapporto di lavoro dello sportivo dilettante
La legge n. 91/1981 si rivolge come si è avuto modo di sottolineare,
esclusivamente all’ambito dello sport professionistico.
Questo però non significa che, gli atleti che svolgono la loro attività
sportiva nell’ambito di discipline non qualificate dalle rispettive federazioni
come sport
professionistici, debbano rimanere privi di tutela qualora svolgano la loro
attività con i caratteri della continuità e della onerosità. 72
Risulta evidente infatti come praticare un’attività sportiva per diletto o
per puro spirito ricreativo non possa mai configurare un’attività lavorativa.
Discorso differente è invece quello da farsi in relazione a chi, pur non
professionista ai sensi della disciplina federale, svolga in concreto l’attività
sportiva con i caratteri attribuibili allo svolgimento di una vera e propria attività
lavorativa, assumendo nei confronti delle organizzazioni di appartenenza
impegni ed obblighi non dissimili a quelli del professionista e, ricevendo in
relazione all’attività svolta, un corrispettivo economico.
Per i rapporti in questione infatti, pur non trovando applicazione la
normativa dettata dalla legge n. 91/1981, possono
trovare applicazione le
norme di diritto comune ed in particolare, nei casi in cui ricorrano i requisiti di
cui all’art. 2094 c.c. troverà spazio la normativa generale prevista per ogni
rapporto di lavoro subordinato.
72
Riguardo al lavoro sportivo dilettantistico: REALMONTE F., L’atleta professionista e l’atleta
dilettante, cit., p. 373; MARTINELLI G., Lavoro autonomo e subordinato nell’attività dilettantistica, cit.,
p. 13.
125
Nondimeno sono applicabili per questi rapporti le norme interne e
comunitarie che impediscano
il verificarsi di alcuna discriminazione tra
lavoratori in ragione della diversa nazionalità. 73
Questa situazione, per molti versi, fornisce una situazione migliore
all’atleta dilettante rispetto alla tutela accordata allo sportivo professionista.
Infatti, secondo questa impostazione, l’atleta dilettante che svolga la sua
attività con i caratteri della continuità e della onerosità, risulta poter godere in
maniera piena di tutte quelle tutele fornite dalla normativa al lavoratore
dipendente comune, senza incorrere in tutte quelle limitazioni poste alla loro
applicazione proprio dalla legge n. 91.
73
Sul divieto di discriminazione rispetto agli atleti professionisti rispetto agli atleti formalmente
dilettanti e riguardo alla conseguente applicazione delle norme del Trattato CE anche ad atleti
comunitari solo formalmente dilettanti ma sostanzialmente professionisti in ragione della retribuzione
percepita: Corte Giust., 11 Aprile 2000, cause riunite C-51/96 e C-191/97, (caso Deliege) in Foro it.,
Rep. 2000, voce Unione Europea, n. 911.A riguardo: ADAMI G., Attività sportiva amatoriale secondo il
diritto comunitario: in Il lavoro nella giur., 2001, n. 3, p. 236.
126
127
Capitolo Quinto
5.1. Le parti del contratto di lavoro sportivo
Anche il rapporto di lavoro sportivo trae origine da un contratto,
analogamente a quanto accade per ogni altro rapporto di lavoro subordinato.
Sembra infatti possibile escludere dubbi ragionevoli circa l’origine
contrattuale del rapporto di lavoro subordinato.
Appare però utile ricordare alcune teorie, comunque minoritarie in
dottrina, che propendevano per un’origine acontrattuale in virtù del modesto
rilievo di cui gode l’autonomia privata in materia di lavoro, ed in relazione a
quanto
disposto dell’art. 2126c.c.-Prestazione di fatto con violazione di
legge. 74
In effetti, contravvenendo ai principi generali previsti in materia di
invalidità contrattuale, l’art. 2126 c.c. riconosce produttivo di effetti il contratto
di lavoro nullo o annullato , in relazione al periodo in cui il rapporto ha avuto
esecuzione.
Tuttavia, pur dovendo essere rilevate alcune peculiarità che differenziano
il contratto di lavoro dalle regole previste in generale in materia contrattuale,
non sembra potersi dubitare che, base della costituzione e dello svolgimento del
rapporto di lavoro in generale e di quello degli sportivi professionisti in
particolare, sia pur sempre l’accordo e cioè il momento dell’incontro delle
volontà di datore di lavoro e lavoratore.
128
Anzi, con maggior precisione, in riferimento al contratto di lavoro degli
sportivi professionisti, è possibile definire questo come: contratto tipico, a titolo
oneroso, consensuale, ad effetti obbligatori e formale.
La forma scritta costituisce un’eccezione rispetto agli altri contratti di
lavoro subordinati, tendenzialmente a forma libera.
L’art. 2 della legge 91/1981,già più volte richiamato, individua fra le parti
del contratto di lavoro sportivo, nella veste di lavoratori, gli sportivi
professionisti.
La capacità di lavoro è riconosciuta agli sportivi professionisti come in
generale a qualsiasi lavoratore a coloro che abbiano assolto l’obbligo scolastico
ed abbiano compiuto il quindicesimo anno di età.
Un’eccezione in questo senso è prevista da quanto disposto dall’art. 6 de
decreto legislativo 4 agosto 1999 n. 345, che consente che la Direzione
provinciale del lavoro autorizzi, previo assenso scritto dei titolari della potestà
parentale, l’impiego dei minori in attività culturali, artistiche, sportive o
pubblicitarie e nell’area dello spettacolo purchè non pregiudichino la sicurezza,
l’integrità psico-fisica e lo sviluppo dei minori, nonché l’assolvimento
dell’obbligo scolastico. 75
Da quest’ articolo discende che, seppur subordinata all’assenso dei
genitori, che la capacità giuridica a prestare attività lavorativa in ambito
sportivo, non sia preclusa ai minori di 15 anni
74
Tra i sostenitori della tesi acontrattualistica possono esser ricordati: SCOGNAMIGLIO R., Diritto del
lavoro, Napoli, 2000, p. 10; MAZZONI G., L’azione sindacale e lo” statuto dei lavoratori”, Milano,
1974, p. 313; TORRENTE A., I rapporti di lavoro, Milano, 1966, p. 89.
75
A tal proposito si ricorda la tesi di VALLEBONA A., Istituzioni di diritto del lavoro, vol. II, Rapporto
di lavoro, cit., p. 198, che ritiene che per il minore di anni diciotto il contratto debba essere stipulato dal
rappresentante legale. La riconosciuta capacità giuridica al lavoro prima del raggiungimento della
maggiore età infatti non sembra assolutamente dover implicare anche la capacità di valutare
consapevolmente l’opportunità di obbligarsi o meno al lavoro.
129
Alla conclusione del relativo contratto dovrà provvedere il genitore cui
spetterà anche la sottoscrizione degli eventuali contratti di utilizzazione
dell’immagine del minore ai fini pubblicitari ai sensi dell’art. 320, 1° comma
c.c.-Rappresentanza e amministrazione. 76
Per quanto riguarda invece il datore di lavoro,in ordine alla capacità
giuridica e di agire, la legge prevede l’applicabilità delle norme generali.
Quel che invece bisogna rilevare, è la cosiddetta spersonalizzazione del
datore di lavoro e cioè quel fenomeno per cui la proposta o l’accettazione
provenienti da un imprenditore restano ferme anche in caso di morte o di
sopravvenuta incapacità prima della conclusione del contratto.
Nel caso del trasferimento di azienda poi, il rapporto di lavoro continua
con l’acquirente ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.
Una questione di rilievo, resa interessante anche in virtù degli sviluppi
normativi che l’hanno interessata, è costituita dalla disciplina relativa a quali
siano i soggetti in grado di assumere la veste di datore di lavoro di un atleta
professionista.
Bisogna ricordare a tal proposito la mutata disciplina normativa che si è
avuta in seguito alla sentenza Bosman, che ha comportato la modifica della
legge n. 91/1981 attraverso la legge 18 novembre 1996, n. 485.
La formulazione originaria dell’art. 10 legge n.91/1981, prevedeva la
possibilità di stipulare contratti con atleti professionisti solo per le società
costituite nella forma di società di capitali o di società a responsabilità limitata,
previa però la preventiva affiliazione ad una delle federazioni sportive nazionali
riconosciute dal CONI.
76
Martinelli G.-Rogolini M., Il minore nello sport: problemi di rappresentanza e amministrazione, in
130
Sempre lo stesso articolo escludeva lo scopo di lucro e di conseguenza, la
possibilità della distribuzione degli utili che sarebbero dovuti essere
interamente reinvestiti al fine del perseguimento dei fini sportivi.
Del resto, coerentemente con un’impostazione di questo tipo, la stessa
legge, nel suo art. 13, comma secondo, escludeva anche che i soci, in caso di
liquidazione della società, potessero ricevere una quota superiore a quella
costituita dal valore nominale delle partecipazioni possedute.
Un’importante azione di controllo sulla propria gestione esercitata dalle
federazioni di appartenenza nei confronti delle società, che traeva la sua
motivazione normativa questa volta dall’art. 12 della legge n.91/1981,
sottoponeva queste ultime alla sottoposizione alla ingerenza federale nel caso di
esposizioni finanziarie, acquisto o vendita di beni di beni e immobili ed in
generale in tutti gli atti di straordinaria amministrazione.
Era una disciplina caratterizzata da un elevato grado di specialità
soprattutto
nella
parte
in
cui
consentiva
l’operatività,
all’interno
dell’ordinamento giuridico statale, di società di capitali prive del fine di lucro,
un
elemento
considerato
indispensabile
allo
svolgimento
dell’attività
economica in forma societaria anche dall’art. 2247 c.c. Contratto di società. 77
La normativa, risultava allo stesso modo peculiare, anche nella parte in
cui condizionava la costituzione delle società sportive alla previa affiliazione ad
una federazione, sottoponendo queste a penetranti controlli da parte delle
Riv. dir. sport. , 1997, p. 690.
77
A tal proposito: VOLPE PUTZOLO G., Una legge per lo sport? Società e federazioni sportive, in Foro
it., 1981, V, pp. 308. All’indomani dell’introduzione normativa l’autore rileva subito un’anomalia della
legge n. 91/1981che consente l’utilizzo dello strumento societario per fini extraeconomici.
131
federazioni di appartenenza cui era attribuita perfino la possibilità di decretarne
la messa in stato di liquidazione. 78
Questa disciplina, era frutto di un’impostazione che ostinatamente tentava
di valorizzare, quanto meno a livello di previsione legislativa, la vocazione
ideale e ludica dello sport rispetto agli interessi economico-finanziari dallo
stesso coinvolti.
Tale assetto normativo però, mai esente da critiche, è stato però travolta
dagli effetti, in seguito meglio approfonditi, della già citata sentenza Bosman.
Si rese a quel punto necessaria una modifica normativa che avesse a
riguardo le norme riguardanti le società sportive, tenendo conto della
circostanza che l’abolizione dell’indennità di preparazione che ne sarebbe
conseguita, avrebbe comportato
il venir meno del principale canale di
finanziamento delle società, con inevitabili gravi ricadute anche sul piano degli
assetti di bilancio. 79
Risultato dell’intervento del legislatore fu la legge 18 novembre 1996, n.
586 che, dopo aver previsto l’abolizione dell’indennità di preparazione (anche
se come vedremo in seguito con un eccezione nel caso di primo contratto
professionistico sotto forma di indennità di preparazione da versare alla
associazione dilettantistica di prima appartenenza),
ha apportato novità
rilevanti rispetto alle precedenti previsioni normative in tema di società
78
Sempre VOLPE PUTZOLO G. in: Una legge per lo sport?, cit., p. 312, sottolinea come la ratio della
legge in materia di controlli trovasse giustificazione nella esigenza di tutela del credito nei confronti di
organismi sportivi che, pur dotati di scopi sociali di natura extraeconomica, coinvolgevano importanti
interessi finanziari ed economici.
79
FORTE N., I bilanci delle società sportive dopo la sentenza Bosman, in Riv. dir. sport., 1997, p.183.
132
sportive, sia nell’ambito delle finalità perseguite dalle società sportive, sia
riguardo ai controlli cui queste risultano assoggettate. 80
Per quanto attiene al primo aspetto la legge, modificando il testo dell’art
10 della legge n. 91/1981, ha stabilito che l’atto costitutivo delle società
sportive debba prevedere che una quota parte degli utili, comunque non
inferiore al 10%, venga destinata alle scuole giovanili di addestramento e
formazione tecnico-sportiva, e che la società possa svolgere esclusivamente
attività sportive ed attività ad e queste connesse o strumentali.
Anche le società di capitali sportive professionistiche acquisiscono lo
scopo di lucro come del resto tutte le altre società per azioni o a responsabilità
limitata, fatta salva la previsione della destinazione di una quota di parte degli
utili in favore di scuole giovanili.
L’introduzione della finalità lucrativa, ha per effetto l’ingresso di tutte le
norme previste in generale per le società per questa finalità che sono quindi da
ritenere allo stesso modo applicabili alle società sportive professionistiche.
I soci delle società sportive professionistiche, per effetto della legge n.
586 del 1996 hanno diritto alla distribuzione degli utili, possono alienare le
azioni ed esercitare i loro diritti di carattere amministrativo.
A loro volta le società acquisiscono la possibilità di reperire notevoli
flussi finanziari, emettendo non solo azioni ordinarie ma anche speciali,
divengono soggette alle norme relative alle modifiche del capitale sociale ed
assoggettabili alle procedure concorsuali e di conseguenza anche al fallimento.
L’oggetto sociale continua a prevedere che le società sportive possano
svolgere soltanto attività sportive o attività a queste connesse e strumentali.
80
Vedi VIDIRI G. , Profili societari ed ordinamentali delle recenti modifiche alla legge 23 marzo 1981
133
Con l’espressione attività connesse vanno intese quelle complementari
all’attività principale, nel senso che si sviluppano ai margini di quella sportiva
quali, ad esempio, la vendita di gadget, mentre con attività strumentali ci si
riferisce a quelle che in qualche misura lo sviluppo dell’attività sportiva, ad
esempio la gestione degli impianti sportivi.
In altre parole si riconosce alle società sportive la possibilità di sfruttare
tutte le occasioni di guadagno offerte dallo svolgimento dell’attività sportiva
professionistica.
Sempre in quest’ ottica di sensibile attenuazione del carattere di specialità
riconosciuto alle società sportive, il legislatore del 1996 ha mutato il regime dei
controlli ridimensionando il ruolo prima preminente esercitato dalle
federazioni.
L’attuale art. 12, modificando in maniera integrale il previgente testo,
prevede che le società sportive di cui all’art. 10, legge n. 91/1981, al fine di
consentire il regolare svolgimento dei campionati sportivi, siano sottoposte ad
una verifica dell’equilibrio finanziario esercitato da parte delle federazioni, su
delega del CONI.
Le federazioni, in questo senso, sempre sotto la vigilanza del CONI,
possono fissare dei criteri preventivi di riferimento ai fini della possibilità di
ammissione delle società sportive ai campionati.
Il giudice amministrativo potrà disattendere tali criteri solo in caso di loro
manifesta irrazionalità o di palese errore sul piano dei presupposti e della
applicazione. 81
n. 91, in Riv. dir sport., 1997 p. 3.
81
In tal senso in riferimento ai criteri fissati dalla FIGC in relazione alla solidità economico finanziaria
dello società calcistiche: Cons. Stato, 7 maggio 2001, n. 2564, in Cons. Stato, 2001,I, p. 1084.
134
Le federazioni dunque perdono il loro potere di controllo sui singoli atti di
gestione intesi come le scelte operative di volta in volta effettuate dagli
amministratori, ma effettuano piuttosto un controllo finale sulla gestione, quale
risulta dall’esame dei bilanci, con la sola finalità perseguibile di consentire il
regolare svolgimento dei campionati.
L’art. 13 della legge n. 91/1981 riconosce invece espressamente alle
federazioni sportive nazionali il potere di denuncia all’autorità giudiziaria ex
art. 2409 codice civile, in caso di sospetti di gravi irregolarità nell’adempimento
dei doveri da parte degli amministratori e sindaci, dei quali ultimi, anche in
deroga all’art. 2488 codice civile, è prevista obbligatoriamente, per le società
sportive professionistiche costituite sotto forma di s.r.l., la nomina del relativo
collegio in ottemperanza dell’art. 10, comma primo, legge n. 91/1981.
Coesistono quindi due forme di controllo: quello rilevante ai fini sportivi
ed affidato alle federazioni, destinato a garantire il regolare inizio e svolgimento
dei campionati ed un secondo esterno all’ordinamento sportivo, finalizzato ad
una corretta gestione della società a tutela anche di soci e creditori, svolto in
questo caso dal tribunale ai sensi dell’art. 2409 del codice civile.
Quel che si può considerare evidente, è in sintesi una sostanziale
attrazione delle società sportive professionistiche verso la disciplina generale
comune a tutte le società di capitali.
135
5.2. La costituzione del rapporto di lavoro sportivo
La legge n. 91/1981, all’epoca della sua entrata in vigore, stabiliva una
prima importante deviazione rispetto alle regole generali vigenti in materia di
assunzione al lavoro.
Infatti, è l’art. 4 della legge sul professionismo sportivo a stabilire che la
costituzione del rapporto avviene mediante assunzione diretta, escludendo così
la possibilità di applicazione degli artt. 33 e 34 relativi alle norme sul
collocamento della legge 20 maggio 1970, nota anche come statuto dei
lavoratori.
All’epoca della sua emanazione, tale disposizione costituiva una vistosa
deroga al principio generale in materia di diritto del lavoro, secondo cui, il
mercato del lavoro dovrebbe svolgersi sotto il controllo pubblico, al fine di
evitare discriminazioni nell’accesso al lavoro ed abusi a danno dei lavoratori.
Per evitare tali abusi, il metodo generale, era quello della c.d. chiamata
numerica inoltrata agli uffici pubblici nelle cui liste di collocamento i soggetti
da avviare erano obbligati ad iscriversi ai sensi della legge 29 aprile 1949, n.
264 così come modificata dalla legge 10 febbraio 1961, n. 264.
Oggi, al termine di un processo che ha visto prima la liberalizzazione del
sistema delle assunzioni (decreto legislativo n. 297/2002) e successivamente la
sburocratizzazione dei processi di incontro tra domanda ed offerta in materia di
lavoro a seguito del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 noto come
“legge Biagi”, la disposizione del suddetto art. 4 ha perso quella carica
fortemente innovativa che la caratterizzava.
136
In effetti, già il legislatore del 1981, avvertiva l’intrinseca incompatibilità
intercorrente fra il carattere ”impersonale” del sistema pubblico di collocamento
all’epoca vigente ed una prestazione come quella sportiva, influenzata
strettamente dalla personalità del giocatore nello sforzo compiuto dalle società
sportive di perseguire l’ obiettivo di eccellenza nelle competizioni.
Se quanto disposto dall’art. 4 in ordine alla modalità di assunzione diretta
dello sportivo professionista non lascia adito a dubbi, questo non è accaduto
invece per quanto concerne il problema della ammissibilità o meno di forme di
mediazione nella conclusione del contratto, argomento che è stato fonte di
confronti e dibattiti da parte di giurisprudenza e dottrina. 82
Chi escludeva la possibilità di forme di mediazione nel mercato del lavoro
sportivo , poneva l’attenzione sulla necessità di evitare che si verificassero
forme di sfruttamento dello sportivo in cerca di occupazione, auspicando la
creazione di un’agenzia di collocamento per iniziativa delle rappresentanze
delle categorie interessate. 83
Altra parte della dottrina invece, evidenziava come né la lettera né la ratio
della legge n. 91/ 1981 potesse portare ad escludere l’ammissibilità di forme di
mediazione nella conclusione del contratto di lavoro sportivo.
A maggior ragione, tale impostazione sarebbe stata avvalorata dal fatto
che l’art. 4, prevedendo la totale inapplicabilità delle norme sul collocamento,
82
Cass., 24 settembre 1994, n. 7856, in Nuova giur .civ. comm, 1995, I, p. 1174, ha ritenuto che
l’inosservanza di norme federali che stabiliscono la mancanza di lucro nelle società sportive e la
mancanza di profitto nello svolgimento della attività sportiva da parte dell’atleta non professionista,
non incidono sulla validità del contratto di mediazione concluso per il trasferimento di un calciatore
dilettante da una società sportiva ad un’altra, in quanto intercorso tra soggetti estranei all’ordinamento
sportivo, come tali non vincolati all’osservanza di dette norme; sicchè i negozi posti in essere da dette
parti ancorché aventi attinenza nell’attività sportiva restano disciplinati soltanto dalle regole civilistiche
che ne regolano il contenuto e gli effetti.
83
VIDIRI G., Il contratto di lavoro sportivo, in Mass. Giur. Lav., 2001, p. 981.
137
rendeva non invocabile la norma ostativa all’esercizio della mediazione anche
se gratuito.
Il legislatore, con il decreto legislativo n.276/2003, sembra aver trovato
una soluzione rispetto a tale questione, avendo prevista l’istituzione di un
apposito albo delle agenzie per il lavoro che, una volta dotate dei requisiti
espressamente previsti dal medesimo decreto, svolgano attività finalizzate alla
somministrazione, alla ricerca ed alla selezione del personale, di supporto alla
ricollocazione professionale ed appunto, alla intermediazione secondo quanto
previsto dall’art. 4 del decreto.
Al comma terzo del successivo art. 6, si autorizzano allo svolgimento di
attività di intermediazione, le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di
lavoro comparativamente più rappresentative che siano firmatarie di contratti
collettivi nazionali di lavoro.
Con quest’ultima soluzione si offre una soluzione al mondo dello sport
professionistico che da tempo auspicava la formazione e lo sviluppo di un
associazionismo di tipo sindacale.
138
5.3. Gli elementi essenziali del contratto: l’accordo e la
forma
Il consenso tra le parti, sta alla base del rapporto di lavoro sportivo che,
come si è avuto modo di sottolineare trae la sua origine da un contratto, seppur
caratterizzato da particolari peculiarità.
La formazione dell’accordo contrattuale, nel caso del rapporto di lavoro
sportivo, si discosta dallo schema classico impostato in termini di scambio tra
proposta ed accettazione.
Spesso infatti tale contratto appare sbilanciato in favore del datore di
lavoro, la parte contrattualmente più forte, vedendo limitate le possibilità del
lavoratore alla possibilità o meno di fornire la propria semplice adesione.
L’esigenza di tutela della parte debole fa pertanto sì, che all’interno del
rapporto di lavoro subordinato, il consenso delle parti finisca per avere ad
oggetto non il contenuto del contratto ma, piuttosto, la stipulazione dello stesso,
alle condizioni determinate a livello collettivo, rispetto alle quali risulterebbero
ammissibili solo clausole di trattamento di miglior favore per il lavoratore.
Analoghe limitazioni alla libertà di contrattuale di determinazione del
contenuto dell’accordo si riscontrano con riferimento al contratto di lavoro
sportivo, per il quale l’art. 4, 1°comma , legge n. 91/1981 ha previsto
espressamente che il contratto, tra sportivo e società destinataria delle
prestazioni, sia stipulato sulla base di quello tipo, predisposto in maniera
conforme all’accordo stipulato ogni tre anni dalla federazione sportiva
nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessate.
139
Inoltre, nel caso di rapporto di lavoro sportivo, è la legge stessa concorre
alla determinazione del contenuto del contratto.
Da un lato infatti la legge esclude che possano essere inserite nel contratto
clausole di non concorrenza o limitative della libertà professionale per il
periodo successivo alla risoluzione, ai sensi di quanto disposto dall’art. 4
comma sesto della legge sul professionismo sportivo.
Dall’altro, al comma quarto del medesimo articolo, prevede l’obbligo per
l’atleta di uniformarsi alle decisioni tecniche ed alle prescrizioni impartite allo
scopo di raggiungere i fini agonistici prefissati.
Appare di facile comprensione, ma comune utile ricordare, come la
necessitata conformazione del contratto individuale al contratto tipo, non
esclude la possibilità, soprattutto per quanto riguarda i settori ad elevata
rilevanza economica e per gli atleti più quotati e famosi che godono di
trattamenti economici ben superiori a quelli minimi, di rimettere alla piena
autonomia contrattuale molteplici aspetti connessi allo svolgimento dell’attività.
In questa prospettiva emerge la figura del procuratore sportivo, cui gli
atleti e le società si rivolgono a tutela dei propri interessi. 84
Il rapporto giuridico che configura tale rapporto, come si è visto, si
modella sul contratto di mandato e vede l’agente di calciatori come una figura
cui affidarsi per essere assistiti nella conclusione del contratto di lavoro e nella
tutela dei diritti che ne derivano.
La forma scritta ad substantiam imposta per il contratto di lavoro
sportivo, costituisce la logica conseguenza rispetto alla previsione di un
contratto-tipo cui conformare il contenuto del contratto individuale ed alla
140
necessità di consentire un controllo sul rispetto delle norme di legge che
impongono o escludono la presenza di determinate clausole contrattuali.
Questo costituisce un’eccezione rispetto quanto previsto per il contratto di
lavoro subordinato in generale.
La forma scritta ad substantiam infatti, è richiesta solamente per il patto
di prova ai sensi dell’art. 2096 c.c.-Assunzione in prova, per il contratto a
termine secondo quanto previsto dall’art. 1 comma secondo del decreto
legislativo n. 368/2001, per il contratto di somministrazione ex art. 21 del
decreto legislativo n. 276/2003, per il contratto di formazione e lavoro
regolamentato dalla legge n. 451/1994 e per quello di arruolamento marittimo
che la prevede nell’art. 328 del codice navale.
Questa, che nei suddetti particolari casi costituisce un’eccezione, nel
contratto di lavoro sportivo assurge a vera e propria regola cogente con la
previsione, nel caso di mancato rispetto, della sanzione della nullità.
Nel contratto di lavoro sportivo, il requisito della forma scritta è previsto
non soltanto a tutela del lavoratore, ma anche per realizzare la possibilità di una
comparazione e valutare di conseguenza la conformità, del contratto
individuale, rispetto a quanto previsto negli accordi tra federazione ed i
rappresentanti delle categorie interessate.
Allo scopo di perseguire il medesimo fine, l’art. 4 della legge n. 91/1981,
prescrive l’obbligo del deposito del contratto presso la federazione nazionale
sportiva per l’approvazione.
Tale deposito ha altresì l’obiettivo e la funzione di consentire alle
federazioni il controllo sulle esposizioni finanziarie delle società previsto
84
MENNEA P., Il procuratore sportivo di calcio e le figure giuridiche ad esso assimilabili, in Impresa,
141
dall’art. 12 legge n.91/1981, assicurando in questo modo una
più rapida
risoluzione delle controversie fra società e sportivi. 85
In conclusione, conviene rilevare come la costituzione del contratto
individuale di lavori si sostanzi in una fattispecie complessa a formazione
progressiva.
Questa si articola in una serie di fasi successive preordinate che sono la
redazione di un contratto scritto conforme al contratto-tipo, il suo deposito
presso le rispettive federazioni e la sua conseguente approvazione da parte delle
stesse, concorrendo così al perfezionamento della fattispecie stessa ed alla
produzione degli effetti voluti dalle parti.
5.4.
Le cause di invalidità e la nullità del contratto di
lavoro sportivo
Come ogni altro contratto, così quello di lavoro sportivo, seppur concluso
ed efficace può non presentare tutti i requisiti necessari a garantirne la piena
validità.
Può infatti accadere che sia carente di uno degli elementi essenziali voluti
dalla legge e cioè, oltre che della forma e dell’accordo, che sia sprovvisto dei
requisiti della causa e dell’oggetto.
1995, p. 283.
85
VIDIRI G., Forma del contratto di lavoro tra società ed atleti professionisti e controllo della
federazione sportiva nazionale, in Riv. dir. sport., 1999, p.540.
142
Altresì può essere afflitto da un vizio della volontà venendosi in tal modo
a determinare un’ipotesi di nullità qualora il vizio sia esterno o di annullabilità
ex art. 1425 c.c. nel caso in cui la volontà risulti viziata da dolo, violenza
morale o errore.
Risulta abbastanza evidente che nel caso di contratto di lavoro i vizi della
volontà dovuti a violenza o a dolo risultano statisticamente poco rilevanti.
Molto più rilevante è invece il caso dell’errore assunto che le attitudini
professionali del prestatore di lavoro costituiscono di certo un elemento
determinante ai fini della conclusione del contratto.
D’altra parte, le qualità personali e professionali del lavoratore e così del
lavoratore sportivo, hanno modo di rilevarsi proprio nel momento
dell’esecuzione stessa delle prestazioni.
Difficilmente quindi la loro mancanza verificata in concreto, verrà dedotta
come motivo di annullamento del contratto per errore ma si tradurrà in un a
causa di recesso del rapporto.
Questo assume una peculiare rilevanza nel caso di rapporto di lavoro
sportivo
in cui le controprestazioni di famosi campioni o di tecnici
pluridecorati non andranno mai imputate a sintomo di errore sulle qualità
professionali degli stessi potendosi ad ogni modo configurarsi come causa di
recesso del rapporto.
In riferimento alle ipotesi di nullità del contratto, giova ricordare come
queste possano ricorrere, oltre per la carenza di un elemento essenziale dello
stesso, anche in caso di violazione a norme imperative.
143
5.5.
Gli obblighi di diligenza ed obbedienza del
lavoratore sportivo
Il contratto di lavoro subordinato, dal momento della propria stipulazione,
comporta la nascita in capo al lavoratore dell’obbligazione di prestare la propria
attività lavorativa personalmente, secondo la diligenza richiesta dalla
prestazione dovuta, in accordo con l’interesse dell’impresa e mai in contrasto
con quello superiore della produzione nazionale.
A livello di regolamentazione generale è l’art. 2104 del codice civile ad
individuare i criteri tipizzanti il lavoro subordinato nell’obbligo della diligenza
e dell’obbedienza, nel cui rispetto deve essere svolta l’attività lavorativa
subordinata in genere e, nello specifico, anche quella dello sportivo
professionista.
Diligenza ed obbedienza, non individuano obblighi accessori alla
prestazione lavorativa ma piuttosto ne specificano il contenuto caratterizzandosi
come elementi che ne caratterizzano le modalità di esecuzione.
In relazione all’elemento della diligenza, il primo comma dell’art. 2104,
imponendo al lavoratore subordinato di adempiere alle proprie prestazioni
adoperando la diligenza richiesta dal tipo di mansioni che gli sono state
affidate, si configura null’altro che come una specificazione dell’art. 1176 del
codice
civile
relativo
al
generale
principio
di
diligenza
richiesto
nell’adempimento delle obbligazioni.
L’adempimento, ad ogni modo, deve essere diligente anche in rapporto
allo specifico interesse che l’impresa si prefigge di raggiungere organizzando
l’opera dei propri dipendenti posto che il perseguimento del superiore interesse
144
nazionale, parametro necessario dell’ideologia corporativa, non costituisce più
un limite cogente.
Lo sportivo professionista quindi, in applicazione con quanto disposto
dall’art. 2104 in materia di diligenza, ha il dovere di parametrare la propria
diligenza non secondo una visione individualista ma in una prospettiva che
tenga conto delle aspettative e
dei risultati che l’azienda si prefigge di
raggiungere avvalendosi della sua opera.
Completa il contenuto dell’obbligo della diligenza quello della cura degli
strumenti di lavoro forniti dal datore di lavoro in una relazione che vede
realizzarsi fra i due soggetti una corrispondenza biunivoca nell’onere di
quest’ultimo di mettere a disposizione l’occorrente per lo svolgimento del
lavoro.
I calciatori professionisti, ad esempio, secondo l’art. 14 dell’accordo
collettivo per i calciatori professionisti, devono costudire con diligenza gli
indumenti e i materiali sportivi forniti dalla società impegnandosi a rifondere il
valore degli stessi se smarriti o deteriorati per loro colpa.
In questo senso anche l’accordo collettivo dei giocatori di pallacanestro. 86
Il secondo comma dell’art 2104 fa invece riferimento al secondo requisito
caratterizzante la subordinazione e cioè quello della obbedienza.
L’obbligo di obbedienza assume il suo significato in relazione
all’inserimento del lavoratore all’interno della impresa organizzata e diretta da
un datore di lavoro posto in una posizione gerarchicamente superiore rispetto a
quella dei suoi dipendenti.
86
Accordo collettivo GIBA, parte seconda-abbigliamento.
145
Quest’ organizzazione gerarchica, si configura come funzionale rispetto
ad una direzione dell’impresa che vede la necessità dell’emanazione di
disposizioni ed ordini coordinati in vista del risultato cui è finalizzata la sua
attività.
Con riferimento più specifico al lavoro sportivo, l’art. 4, quarto comma,
legge n. 91/1981 ha ritenuto che tale obbligo avesse bisogno di un’espressa
specificazione prevedendo a tal fine il necessario inserimento nel contratto
individuale di una clausola contenente l’obbligo dello sportivo di rispettare le
istruzioni tecniche e le prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi
agonistici. 87
Tale clausola, a dire il vero, tende a riferirsi unicamente a quegli atleti
che praticano discipline le cui prestazioni sono sottoposte alla direzione di
allenatori e direttori tecnico-sportivi. 88
Attraverso tale previsione, il legislatore ha inteso sottolineare la natura
subordinata del lavoro sportivo, ribadendo che, in virtù di un’impostazione
spiccatamente gerarchica, l’atleta sia sempre
tenuto ad attenersi alle
prescrizioni impartitegli anche qualora queste non siano condivise.
Tutto ciò assume particolare rilevanza nei giochi di squadra, dove, più
importante dell’abilità personale del singolo solista, risulta essere l’armoniosa
orchestrazione di un efficiente gioco di squadra.
A tal fine si prevede che l’atleta debba osservare anche le prescrizioni non
strettamente attinenti alla semplice esecuzione della prestazione.
Si ritiene infatti che in capo all’atleta sia da imputare anche l’obbligo di
attenersi ad uno stile di vita sobrio e funzionale all’attività si sportivo, seppur
87
VALLEBONA A., Istituzioni di diritto del lavoro, Il rapporto di lavoro, Torino, p. 465.
146
questo
sia
legato
da
una
relazione
solo
indiretta
all’obiettivo
dell’ottimizzazione dei risultati da perseguire.
L’art. 12 dell’accordo collettivo per i calciatori professionisti prevede
però a tal riguardo che tutte le prescrizioni relative a questa sfera più personale
della vita del calciatore, siano legittime e vincolanti solo quando giustificate da
esigenze proprie dell’attività umana, fermo il limite mai oltrepassabile del
rispetto della dignità umana.
Dello stesso tenore anche l’accordo collettivo per i giocatori di
pallacanestro che in più, entrando nello specifico in uno degli ambiti più
significativi della condizione umana e ciò quello dell’alimentazione, stabilisce
l’obbligo degli atleti di seguire il regime dietetico stabilito (forse da intendersi
più correttamente concordato con) dai medici della società.
L’art. 13 dell’accordo collettivo calciatori professionisti prevede, tra gli
obblighi dello sportivo professionista e come in precedenza visto tratto
caratterizzante la natura subordinata di tale rapporto di lavoro ma in questa sede
anche specificazione del dovere di obbedienza, quello di partecipare agli
allenamenti nelle ore e nei luoghi fissati dalla società oltre che, ovviamente,
quello di partecipare alle gare ufficiali ed amichevoli.
Altri obblighi sono quelli di indossare in determinate occasioni
l’abbigliamento fornito dalla società ed in generale quello di osservare tutti gli
obblighi integrativi previsti dagli accordi collettivi.
Da parte loro le società, in forza delle diverse disposizioni dei relativi
accordi collettivi, hanno l’obbligo,come corrispettivo
dei sopra descritti
obblighi in capo agli atleti, di curare la migliore efficienza sportiva, fornendo
88
DE CRISTOFARO M., Problemi attuali di diritto sportivo, in Dir. Lav., 1989, I,.p.597
147
attrezzature idonee alla preparazione atletica, mettendo a disposizione un
ambiente consono alla dignità professionale dello sportivo consentendogli la
miglior partecipazione agli allenamenti e, di conseguenza la più efficace
preparazione. 89
5.5.1.L’obbligo di fedeltà
L’art. 2105 c.c.- Obbligo di fedeltà vieta al lavoratore di trattare affari per
conto proprio o di terzi in concorrenza con l’imprenditore nonché di divulgare
notizie attinenti all’organizzazione ed ai metodi di produzione dell’impresa o di
farne uso in maniera tale da poter recare ad essa pregiudizio.
I diversi accordi collettivi disciplinano tale obbligo anche per gli sportivi
professionisti.
In quest’ ambito, l’accordo collettivo per gli atleti della pallacanestro 90
attua un richiamo molto più preciso rispetto ai contenuti di questo obbligo
rispetto a quanto non accada per i calciatori.
89
Anche la legislazione brasiliana presenta disposizioni simili per quanto riguarda il problema dei
doveri degli sportivi e delle società: H.H. BARBAGELATA, Derechos del Deportista, in Derecho
Laboral, n. 205 Montevideo, 2002;
90
Parte seconda- doveri generali dell’atleta. Per un confronto su questo punto art. 12 dell’accordo
collettivo dei calciatori.
148
Per esempio si sottolinea in maniera esplicita che l’atleta è tenuto al più
stretto riserbo sugli aspetti, sia tecnici sia generali, legati alla vita della squadra
e della società.
Appare chiaro come questi obblighi siano effetto diretto della
subordinazione che fa conseguire per il lavoratore l’obbligo di non agire
ponendosi in conflitto di interessi rispetto agli obiettivi dell’impresa di cui fa
parte.
In particolar modo per il lavoro sportivo, questo configura un obbligo
fondamentale
che impedisce ad un soggetto già legato ad una società, di
compiere contemporaneamente la propria attività anche in favore di altre
società.
Tale divieto non include invece gli impegni per la selezione della squadra
nazionale: gli atleti chiamati a farne parte al contrario infatti hanno l’obbligo di
rispondere positivamente alle convocazioni 91 .
La convocazione nelle rappresentative nazionali ha sempre rappresentato
un traguardo ambito dagli atleti e motivo di prestigio per le società di
appartenenza.
Tuttavia, specie nel calcio e per le grandi società la cui rosa è molto
spesso costituita prevalentemente da atleti “nazionali”sia italiani che stranieri,
capita che non sempre la convocazione sia vista con favore, nel timore che
quest’ ulteriore impegno possa comportare uno scadimento nella forma dei
propri campioni.
L’obbligo di fedeltà, ad ogni modo, specie in alcuni accordi collettivi
come quello dei calciatori 92 va ben oltre il semplice limite della concorrenza,
149
prevedendo invece un più ampio divieto, comprendendo ogni caso di
svolgimento di attività lavorativa o imprenditoriale incompatibile con l’attività
agonistico-sportiva, salva esplicita e preventiva autorizzazione della società di
appartenenza.
Questo è il caso, ad esempio, dei contratti di pubblicità e di
sponsorizzazione che possono essere stipulati dai singoli atleti solo se non
configgenti e d autorizzati dalla società di appartenenza.
Ciò che non trova invece applicazione nei confronti degli sportivi
professionisti, è la norma stabilita dall’art. 2125c.c. secondo cui è possibile la
stipulazione di un patto di non concorrenza per il periodo successivo alla
cessazione del rapporto.
Tale esclusione rispetto alla previsione generale, è motivata dalla
peculiarità
del
lavoro
sportivo,
caratterizzato
da
elementi
di
forte
concorrenzialità rispetto ai quali ogni previsione restrittiva non trova
giustificazione. 93
Quel che trova piena applicazione e appare infatti un limite significativo
nel contratto di lavoro sportivo è quello rappresentato dall’obbligo di non
divulgare notizie o farne uso in modo di arrecare pregiudizio alla società.
Anche in questo senso ma più in generale, occorre ricordare come
l’obbligo di fedeltà si spinga ad ogni modo oltre rispetto alla previsione di cui
all’art. 2105 nella misura in cui si ricollega al dovere di comportarsi secondo
correttezza e buona fede, al fine di salvaguardare il rapporto fiduciario che
s’instaura fra lavoratore e datore di lavoro.
91
CIANCHI V. Problema di qualificazione della prestazione atletica degli” azzurri”, in Dir.Lav., 1992,
II, p.14.
92
Art. 11.
150
Nel lavoro sportivo la fedeltà in questo modo intesa sembra poter
assumere una rilevanza peculiare in relazione ai principi di lealtà e correttezza
che restano i cardini fondamentali della pratica sportiva ed al cui rispetto fanno
richiamo tutti gli accordi collettivi.
Al contempo, gettando lo sguardo ben oltre i limiti del rapporto tra società
e sportivo, un atteggiamento adeguato rispetto ai principi di correttezza,
professionalità e lealtà, oltre ad apparire in pieno accordo con i principi propri
dell’ordinamento sportivo, concorre a veicolare un’immagine dello sport inteso
come attività improntata a valori sociali ed etici che, a ben vedere, costituiscono
lo scopo e la premessa stessi di tale attività
5.6. I poteri del datore di lavoro: il potere direttivo, di
controllo e disciplinare
La condizione di soggezione del lavoratore subordinato comporta le
corrispondenti situazioni giuridiche attive del datore di lavoro rappresentate dai
poteri direttivo, di controllo e disciplinare.
Prima specificazione del potere direttivo del datore di lavoro è la scelta
di determinare il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa.
I professionisti dello sport sono tenuti a svolgere le prestazioni nei luoghi
indicati dalle società di appartenenza per quanto riguarda gli allenamenti e di
93
D’HARMANT FRANCOIS A., Note sulla disciplina giuridica del rapporto di lavoro sportivo, in Mass.
giur. Lav., 1982, p. 856.
151
partecipare alle competizioni nel luogo risultante dal calendario degli incontri
fissato all’inizio di ogni stagione sportiva. 94
Non si applica invece agli sportivi professionisti la norma contenuta
nell’art. 2103 c.c., secondo la quale soltanto comprovate esigenze tecniche,
produttive ed organizzative rendono legittimo il trasferimento del lavoratore da
un’unità produttiva all’altra.
Come è noto invece, gli sportivi sono soggetti alle trasferte, sottostando
alla possibilità di dover rendere la prestazione in luoghi sempre diversi, in Italia
come all’estero. 95
Il potere direttivo va inoltre inteso come la possibilità di organizzare in
modo globale l’attività svolta nell’impresa che si esprime attraverso
l’emanazione di disposizioni che permettono all’imprenditore di determinare e
conformare la condotta del lavoratore con l’obiettivo di perseguire i risultati
prefissati.
I caratteri ed i limiti di un potere di carattere generale come quello
direttivo, vanno ricavati dal combinato disposto di alcune norme del codice
civile dalle quali trae il proprio fondamento normativo.
In
particolare
queste
norme
sono
l’art
2086
c.c
secondo
cui”l’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i
suoi collaboratori”, l’art. 2094 c.c. che stabilisce che il prestatore di lavoro
subordinato si obbliga a prestare la propria attività nell’impresa “alle
dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore” e l’art. 2104 che prevede
che debba osservare “le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del
94
Accordo collettivo dei giocatori di pallacanestro, parte seconda-Doveri generali dell’atleta.
Così art. 13 accordo collettivo dei calciatori e nello stesso senso Parte seconda-Trasferte dell’accordo
per i giocatori di pallacanestro.
95
152
lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali
gerarchicamente dipende”.
Il datore di lavoro, che ne è il
titolare, esercita il
potere direttivo
attraverso la piramide gerarchica del suo personale.
In concreto tale potere si manifesta come la possibilità di specificare il
contenuto, le modalità, i tempi, ed il luogo della prestazione dovuta dal
lavoratore in attuazione dell’obbligazione assunta.
Poteri complementari a tale attività, sono quelli di controllare l’esecuzione
della prestazione lavorativa e di dettarne le regole necessarie ad un ordinato
svolgimento.
Tali principi trovano integrale applicazione nel lavoro sportivo in cui il
potere direttivo di cui dispone la società, trova di riflesso la sua legittimazione
nell’obbligo posto in capo allo sportivo di attenersi alle istruzioni tecniche ed
alle disposizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici.
In analogia con quanto avviene nella generalità di rapporti di lavoro
subordinato, anche in ambito sportivo il lavoratore non è tenuto all’osservanza
di ordini illegittimi o che si traducano nell’esposizione a pericoli per la propria
salute o incolumità fisica.
Nel lavoro sportivo, in forza dell’apporto che sul piano economico in certi
casi appare determinante, potrebbe configurarsi un’ipotesi di ingerenza da
parte degli sponsor sulla condotta dello sportivo.
In questo caso, un eventuale conflitto con i poteri direttivi del datore di
lavoro va risolto in favore di questo perché violazione del dovere di fedeltà.
153
Il potere di dettare disposizioni e di pretenderne l’osservanza implica
anche quello di controllare che gli ordini impartiti vengano effettivamente
rispettati.
La legge n. 300, 20 maggio 1970, limita nel concreto le ampie facoltà
concesse al datore di lavoro dal codice civile.
Tale legge, nota anche come il cosiddetto Statuto dei lavoratori, vieta
espressamente determinate forme di controllo, in quanto ritenute estranee al
potere organizzativo e giudicate lesive della libertà e dignità del lavoratore
mentre regolamenta le modalità ritenute lecite, in modo da ritenerle funzionali
al controllo sull’adempimento degli obblighi contrattuali.
Di tali norme alcune sono certamente applicabili al lavoro sportivo mentre
altre sono esplicitamente escluse dalla legge sul professionismo sportivo.
Senza dubbio compatibili con il rapporto di lavoro sportivo sono le
disposizioni di cui agli artt. 2-Guardie giurate, 3-Personale di vigilanza, 6Visite personali di controllo e 8-Divieto di indagini sulle opinioni.
La legge n. 91/1981 invece, esclude in maniera esplicita l’applicazione
degli artt. 4-Impianti audiovisivi e 5-Accertamenti sanitari dello Statuto dei
lavoratori.
L’applicazione dell’art. 4 si spiega con l’esigenza di dare pubblicità agli
eventi sportivi, consentendone la visione a distanza.
Analogamente si esclude l’applicazione dell’art. 5 della legge n. 300/1970
che vieta accertamenti sanitari da parte del datore di lavoro sull’idoneità e
sull’infermità per malattia o infortuni del lavoratore , se non attraverso il ricorso
ad organismi pubblici.
154
La ragione di tale norma è quella di tutelare la salute dei lavoratori contro
eventuali abusi che potrebbero derivare da controlli effettuati da medici di
fiducia dei datori di lavoro.
Nel mondo dello sport tale norma risulta inapplicabile dal momento che la
tutela della salute fisica degli atleti richiede un costante monitoraggio non
riscontrabile in altri settori lavorativi e non sufficientemente assicurata dalle
disposizioni dell’art. 5.
Il potere disciplinare del datore di lavoro è regolato nel codice civile
nell’art. 2106 mentre i limiti di tale potere sono definiti dall’art.7 dello Statuto
dei lavoratori. La legge sul professionismo sportivo ne fa salva l’applicazione in
rapporto agli sportivi professionisti in relazione alle sanzioni inflitte dalle
società sportive per violazioni agli obblighi contrattualmente assunti dal
lavoratore.
Al contrario, l’art. 4 della stessa legge, nel comma 9 stabilisce che l’art. 7
della legge n. 300/1970, non si applica alle sanzioni disciplinari irrogate dalle
federazioni sportive nazionali. In questo modo sono escluse da tale potere le
sanzioni di natura tecnica e non disciplinare, applicate dalle federazioni in
conseguenza di illeciti di tipo sportivo e non contrattuale.
La disciplina in materia di sanzioni disciplinari applicate dalle società
datrici di lavoro risulta rigorosa e sottopone l’esercizio del relativo potere a
numerosi vincoli di natura procedurale e sostanziale.
Inoltre la previsione del comma 6 dell’art. 7 della legge n. 300/1970 va
coordinata con quanto previsto in ordine alla devoluzione delle controversie
riguardo all’applicazione delle sanzioni disciplinari ad un collegio arbitrale, in
155
accordo con la possibilità riconosciuta dalla legge n. 91/1981 di inserimento nel
contratto individuale di una clausola compromissoria.
5.7.
Il diritto del lavoratore sportivo alla prestazione
dell’attività lavorativa
Lo svolgimento dell’attività lavorativa, oltre a costituire un obbligo, si
configura anche come diritto tutelato dall’ordinamento giuridico poiché
attraverso questo l’individuo trova un veicolo di realizzazione e di espressione
della propria personalità. 96
Tanto più questo discorso si adatta al lavoro sportivo, attività che oltre ai
requisiti dell’impegno e della dedizione propri di qualunque attività lavorativa
richiede quelli del talento, e requisiti psicofisici tali da configurarsi quasi come
vera e propria vocazione al professionismo sportivo.
In termini generali si rileva come la sottoutilizzazione o la mancata
utilizzazione della prestazione, qualora costringa il lavoratore subordinato a
rimanere inattivo, rappresenti motivo di risarcimento del danno inteso, sia come
danno alla professionalità, depauperata a causa del mancato esercizio delle
mansioni, che come danno alla personalità ed alla salute del lavoratore, da
potersi ricomprendere genericamente nel danno biologico.
Fuori ogni dubbio è possibile riconoscere un diritto allo svolgimento della
attività lavorativa in favore dello sportivo professionista in virtù della sua
96
Sul diritto dei danni da dequalificazione spettante al lavoratore subordinato, anche sotto il profilo del
danno biologico: Cass., 2 gennaio 2002, n.10, Foro it., Rep. 2002, voce Lavoro (rapporto), n. 4; Cass.,
14 novembre 2001, 14199, in Foro it., Rep. 2001, voce Lavoro (rapporto), n.751;
156
esigenza di essere messo in grado di rendere la propria prestazione partecipando
agli allenamenti ed ai ritiri oltre ad ogni tra iniziativa che la società di
appartenenza in vista dello svolgimento delle competizioni.
Lo specifico oggetto della prestazione cui ogni singolo atleta si obbliga
contrattualmente, rimane pur sempre quello di partecipare alle singole gare.
97
Molto più nello sport che in altre attività lavorative, risulta evidente un
chiaro interesse dell’atleta nel rendere la prestazione dal momento che, solo in
questo modo lo sportivo può mettere in luce la propria abilità ed acquistare di
conseguenze un maggiore valore sul mercato.
L’unico limite rispetto cui è anteposto questo interesse è rappresentato
dalle esigenze di ordine tecnico effettuate da chi provvede alla scelta degli atleti
da schierare nelle competizioni tenendo conto di valutazioni basate sulle
capacità tecniche e le attitudini tattiche e professionali dei singoli atleti in
relazione a ciascuno specifico tipo di gara.
In mancanza di tali ragioni un’inattività prolungata e soprattutto
ingiustificata si può quindi porre come causa giustificante una richiesta di
risarcimento fino ad arrivare ad integrare anche la domanda di risoluzione del
contratto.
Un diritto al lavoro, inteso come possibilità di partecipazione alle gare,
risulta più accentuato nel caso degli sport individuali in ragione della ancora
più elevata personalizzazione della prestazione .
L’art. 4 della legge n. 91/1981 esclude invece esplicitamente
l’applicazione dell’art. 2103 c.c. che, come modificato dall’art. 13 dello Statuto
97
A favore del riconoscimento di un oggettivo interesse dello sportivo all’esecuzione del suo lavoro
SANTORO-PASSARELLI F., Nozioni di diritto del lavoro, Napoli, 1983, p. 180; contra DURANTI D.,
L’attività sportiva, cit., p. 718, il quale esclude, invece, che esista un diritto dell’atleta a partecipare alle
gare;
157
dei lavoratori, esclude che il datore di lavoro possa unilateralmente assegnare al
lavoratore mansioni diverse da quelle di assunzione al fine di soddisfare
esigenze aziendali.
L’art. 2103 c.c.secondo la sua nuova formulazione, stabilisce la sanzione
della nullità rispetto agli eventuali patti contrari alla regola per cui il prestatore
di lavoro debba essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a
quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente
acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte senza
alcuna diminuzione della retribuzione.
Nel caso di assegnazione a mansioni superiore, la previsione codicistica è
che il lavoratore abbia diritto al
trattamento economico corrispondente
all’attività svolta e che l’assegnazione stessa divenga definitiva ove la
medesima non abbia avuto luogo in sostituzione di un lavoratore assente con
diritto alla conservazione del posto di lavoro e per un periodo fissato dai
contratti collettivi che non deve mai ad ogni modo eccedere i tre mesi.
E’ quindi possibile adibire un lavoratore a mansioni diverse rispetto a
quelle previste dal contratto di lavoro ma solo ove queste siano equivalenti o
superiori a quelle precedentemente svolte, integrando in tal caso, qualora si
superi un determinato periodo di tempo, il diritto ad un corrispondente più
elevato trattamento sotto il profilo economico.
Il lavoro sportivo ne risulta escluso dal momento che risulta difficile
ritrovare all’interno della realtà organizzativa del lavoro dello sport
fattispecie delineate in relazione a questa previsione normativa.
158
le
Non è infatti possibile stabilire delle gerarchie analoghe a quelle delle
categorie professionali rispetto ai ruoli pur differenti assegnati agli atleti degli
sport di squadra.
Negli sport di individuali, ribadita peraltro la totale irrilevanza sul piano
pratico di tale speculazione, risulta difficile anche in astratto ipotizzare un
problema di adibizione a mansioni nello sport.
Un ragionamento in questo senso potrebbe forse limitarsi a figure
residuali del mondo dello sport quali quelle rappresentate dal “gregario” nel
ciclismo e quella dello sparring patner nel pugilato, figura certo di confine fra
l’atleta vero e proprio ed il preparatore tecnico ma ad ogni modo centro di
imputazione di situazioni giuridiche attive a differenza del per molti aspetti
omologo strumento della preparazione pugilistica rappresentato dal sacco da
boxe.
Tuttavia, la generalizzata esclusione dell’applicazione dell’art. 2103 c.c.
nel lavoro sportivo sembra lasciare agli accordi collettivi la regolamentazione
degli effetti connessi alla adibizione a mansioni differenti rispetto a quelle
contrattuali.
Resta salva, nel caso di adibizione a mansioni inferiori e meno qualificanti
la possibilità di richiedere la risoluzione del contratto oltre che il risarcimento
del danno.
159
5.8. L’orario di lavoro, i riposi e le ferie
Uno degli aspetti più rilevanti in relazione all’organizzazione di qualsiasi
rapporto di lavoro è quello relativo alla regolamentazione della durata della
prestazione lavorative e dei conseguenti e necessari riposi.
Sul punto interviene la Costituzione nel suo art. 36 stabilendo la riserva di
legge per quanto riguarda la durata massima della giornata lavorativa e
statuendo che in ogni caso il lavoratore ha diritto al riposo settimanale, a ferie
annuali retribuite escludendo la possibilità di rinunciarvi.
Per quel che riguarda l’orario di lavoro già il codice civile aveva rimesso
alla legge il compito di stabilire la durata massima giornaliera e settimanale
della prestazione lavorativa nell’art. 2107 c.c.- Orario di lavoro nonchè i limiti
entro i quali consentire il ricorso al lavoro straordinario e notturno con quanto
previsto dall’art. 2108 c.c.- Lavoro straordinario e notturno.
La legge 24 giugno 1997, n. 196, ha riformato quanto previsto dal r.d. 6
dicembre 1923, n. 2657, riducendo l’orario normale massimo di lavoro a 40 ore
settimanali, con la conseguenza che la disciplina sul lavoro straordinario si
applica già a partire dalla quarantunesima ora di lavoro in poi e non più a partire
dalla quarantanovesima.
La legge stessa, impone poi di riferire l’orario di lavoro alla durata media
delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore ad un anno,
consentendo così alla contrattazione collettiva di prevedere una certa flessibilità
delle prestazioni lavorative in ragione delle fluttuazioni del mercato.
Successivamente, con decreto legislativo 26 novembre 1999, n. 532, è
stato riformato anche il lavoro notturno.
160
La riforma ha previsto che l’introduzione del lavoro notturno fosse
preceduta da una consultazione sindacale
e che allo stesso fossero
prioritariamente destinati lavoratori che ne facessero richiesta, previa verifica
della loro idoneità fisica a prestare tale tipo di attività.
Il decreto legislativo dell’8 aprile 2003 n. 66, emanato in attuazione delle
direttive CE n. 93/104 e n. 2000/34 ha ripreso e sostanzialmente ribadito tali
principi in materia di orario di lavoro ed in materia di lavoro notturno. 98
Anche in questo caso, la disciplina delineata per il lavoratore comune mal
si attaglia alle esigenze del lavoratore sportivo, la cui attività non può essere
delimitata nelle sue modalità di svolgimento in orari rigidamente stabiliti.
Lo stesso criterio temporale, rispetto alla durata della prestazione
lavorativa richiesta all’atleta professionista, mal si adatta e risulta in concreto
poco significativo nelle molteplici differenti discipline delle competizioni
sportive.
La stessa legge esclude dall’ambito della sua applicabilità il lavoratore
sportivo.
Innanzi tutto perché dal suo ambito di operatività sono esclusi dirigenti e
quadri che costituiscono le categorie in cui rientra la maggior parte degli
sportivi professionisti differenti dagli atleti.
In seconda battuta perché tale disciplina non ricomprende
le attività
cosiddette discontinue, categoria questa che ricomprende fra gli altri gli artisti
ed i lavoratori dello spettacolo ed all’interno della quale sembra possano farsi
98
La nuova direttiva CE n. 2003/88/CE, GUCE, 18 novembre 2003 , n. L. 299, p. 9 in materia di
organizzazione dell’orario di lavoro ha abrogato le precedenti. In particolare questa prevede un riposo
di almeno 11 ore consecutive ogni 24 ore, cui si somma un riposo settimanale di 24 ore ogni 7 giorni,
una pausa per lavori giornalieri superiori alle 6 ore, l’orario settimanale di 48 ore compreso lo
straordinario e la durata minima delle ferie stabilita in 4 settimane.
161
rientrare le figure di atleti, allenatori ed in generale tutti quei soggetti coinvolti a
vario titolo nello svolgimento delle competizioni.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, attraverso la circolare n.
5/27451/70 ha ad ogni modo stabilito che, anche per il lavoro discontinuo si
baderà a non eccedere i limiti delle 48 ore settimanali avendo in questo caso
come periodo di riferimento il quadrimestre o quello previsto dal CCNL.
Trova invece piena applicazione anche nel lavoro sportivo, l’esclusione
dal lavoro notturno prevista a tutela della lavoratrice madre.
Tale esclusione è prevista a partire dall’accertamento dello stato di
gravidanza e si perpetua fino al raggiungimento del primo anno di età.
Per i minori, a tal proposito è stabilito il divieto di prestare la propria
attività lavorativa oltre le 24.
I riposi e le ferie rappresentano un momento imprescindibile di ogni
attività lavorativa e tanto più assumono significato nell’ambito del lavoro
sportivo dal momento che, in questo contesto, costituiscono non solo un diritto
ma anche un momento della preparazione agonistica.
L’art. 2109 c.c.-Periodo di riposo, è stato sostituito dall’art. 9 del recente
decreto legislativo n. 66/2003 che nel suo comma primo riconosce
esplicitamente al lavoratore il diritto di un giorno di riposo settimanale
normalmente coincidente con la domenica.
Il comma 2 dello stesso articolo prevede comunque la possibilità, per
esigenze tecniche d’impresa o ragioni di pubblica utilità, di usufruire di un
giorno differente dalla domenica.
Tale esigenza, sotto gli occhi di tutti nel settimanale susseguirsi delle
giornate del campionato di calcio, è giustificata da ragioni organizzative dal
162
momento che, in numerosi sport, le competizioni si concentrano soprattutto
nella domenica.
L’art. 2109 c.c. e l’art. 10 del decreto legislativo n. 66/2003 prevedono il
riconoscimento al lavoratore subordinato di un diritto alle festività
infrasettimanali ed un periodo annuale di ferie , stabilito dalla legge o dai
contratti collettivi da godere in un arco temporale continuativo scelto
dall’imprenditore tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del
prestatore di lavoro.
L’accordo collettivo per i calciatori, comma 1 art. 22, prevede che il
riposo sia goduto entro i primi due giorni della settimana mentre quello dei
giocatori di pallacanestro 99 prevede che l’atleta abbia diritto ad un riposo
infrasettimanale da effettuarsi di norma il lunedì, salvi in ogni caso gli impegni
infrasettimanali e quelli delle Coppe internazionali e della Nazionale.
Per quanto riguarda invece le ferie annuali, la durata prevista dall’accordo
collettivo per i calciatori è stabilita in un periodo annuale di 4 settimane ,
comprensivo dei giorni festivi e dei riposi settimanali.100
In maniera non diversa rispetto a quanto previsto per tutti i lavoratori
subordinati, sono concessi ulteriori giorni di esonero in occasione del
matrimonio che per i calciatori ammontano ad almeno 5 giorni di congedo
retribuito.
Allo stesso modo risulta applicabile agli sportivi professionisti l’art 10
dello Statuto dei lavoratori relativo agli sportivi lavoratori.
A tal proposito, in accordo con le auspicabili aspirazioni culturali da
riconoscere agli atleti, il contratto collettivo dei calciatori, nel suo art. 10,
99
Accordo collettivo per i giocatori di pallacanestro: Parte seconda-Riposi.
163
demanda alla federazione, d’intesa con l’associazione calciatori, l’indicazione
delle condizioni cui debbono adeguarsi le società, in modo compatibile con le
esigenze dell’attività sportiva, per agevolare la frequenza dei corsi e la
preparazione agli esami dei calciatori che intendano proseguire gli studi o
conseguire una qualificazione professionale.
5.9. La retribuzione ed il trattamento di fine rapporto
La stipulazione del contratto di lavoro subordinato comporta l’insorgere
di due obbligazioni corrispettive principali in capo a ciascuna delle due parti:
l’obbligo del lavoratore a di rendere la prestazione e quello del datore di lavoro
di corrispondere la retribuzione.
La retribuzione del lavoratore assume una peculiare importanza
nell’ambito delle obbligazioni rispetto ai normali contratti a prestazioni
sinallagmatiche .
La funzione che questa riveste è infatti quella di costituire il mezzo
attraverso il quale la grande maggioranza degli individui provvede a soddisfare
i bisogni di vita propri e di quelli della propria famiglia.
Tale imprescindibile rilevanza sociale, che trova tutela costituzionale
nell’art. 36,
impone di superare i canoni della obbligatorietà, della
corrispettività, della continuità e della determinatezza ma di affiancare per la
100
Accordo per i calciatori, art. 22 comma 2.
164
retribuzione anche quelli della proporzionalità e sufficienza rispetto alle
esigenze di vita del lavoratore.
Proporzionalità va intesa nel senso che la retribuzione deve tenere conto
della quantità del lavoro prestato e dell’impegno profuso in relazione alla durata
della prestazione, della qualità delle mansioni svolte e considerata in relazione
alla specializzazione richiesta ed alla responsabilità che ne consegue.
La sufficienza si configura invece come un criterio quantitativo
imponendo una misura minima di retribuzione che possa garantire non solo al
lavoratore ma anche alla sua famiglia un'esistenza dignitosa.
I principi costituzionali relativi alla retribuzione trovano applicazione
anche nell’ambito del lavoro sportivo, ricordando a scanso di equivoci che al
pari di ogni altra categoria di lavoratori anche per quelli sportivi esiste la
necessità di tutela dei livelli minimi salariali oltre a quella di una puntuale e
regolare erogazione della distribuzione.
La ben nota condizione dei campioni degli sport professionistici che
godono di compensi elevatissimi costituisce infatti pur sempre un’eccezione
statisticamente poco rilevante rispetto alla realtà degli atleti che svolgono la
propria
attività
ai
livelli
anche
immediatamente
inferiori
a
quelli
dell’eccellenza.
Per gli sportivi meglio pagati, sembrerebbe profilarsi l’esigenza opposta e
sport cioè quella di fissare dei tetti massimi di remunerazione al fine di evitare
che il continuo lievitare dei costi travolga l’intero sistema sportivo.101
L’introduzione di un tale provvedimento, prescindendo anche dalla sua
dubbia efficacia, si scontrerebbe ad ogni modo con la normativa antitrust.
165
Con riferimento al lavoro al lavoro sportivo d’altra parte non può porsi un
problema di violazione dei minimi retributivi per effetto di una pattuizione
individuale non consona ai principi costituzionali della sufficienza e della
proporzionalità della retribuzione.
I contratti individuali sono infatti condizionati, pena la loro invalidità, alla
conformità con lo schema previsto per il contratto-tipo, che a sua volta
recepisce, anche in materia di retribuzione, quanto stabilito dall’accordo
collettivo.
Benché non sia dato riscontrare un sistema di determinazione della
retribuzione analogo a quello previsto per i comuni lavoratori subordinati,
anche per il lavoro sportivo professionistico la determinazione della
retribuzione è affidata agli accordi collettivi.
La struttura della retribuzione come noto è complessa,.
Comprende infatti oltre alla retribuzione base, che coincide con quella
minima fissata in relazione alla qualifica ed alla unità di misura sulla quale
viene calcolata la prestazione di lavoro, le maggiorazioni (per il lavoro
straordinario, notturno o festivo) ed anche i vari e molteplici elementi accessori.
Fra questi ultimi in particolare rientrano gli elementi accessori
superminimi (individuali o collettivi), la tredicesima e quattordicesima
mensilità ed i premi di produzione.
Non di rado, la contrattazione prevede accanto a queste voci altri
emolumenti sempre di carattere retributivo.
101
COSTA F. , Peculiarità del rapporto di giocatori professionisti, in Dir. lav., 1988, I, p. 317. Per
l’autore l’eccessiva lievitazione dei compensi dei calciatori si porrebbe come incompatibile con la
qualificazione di lavoro subordinato.
166
Dall’esame di quanto previsto negli accordi relativi ai calciatori ed ai
giocatori di pallacanestro 102 , risulta un diverso criterio di corresponsione della
retribuzione il cui importo è ragguagliato all’anno
ed è costituitola un
compenso annuo lordo che assorbe ogni altro emolumento, indennità o assegno
cui l’atleta potrebbe aver diritto a titolo di permessi, gare notturne, ritiro o altro.
Alla retribuzione fissa si sommano gli eventuali premi collettivi ed
individuali aventi anch’essi natura retributiva e rispettivamente relativi al
rendimento della squadra piuttosto che del singolo atleta.
Devono inoltre ritenersi facenti parte della retribuzione anche le quote di
partecipazione all'eventuali iniziative promo-pubblicitarie della società, mentre
tale ricomprensione è da escludere per gli importi che i singoli atleti
percepiscono n forza di contratti di sfruttamento della propria immagine al di
fuori della trasmissione della gara.
In tale ultimo caso emerge infatti la doppia configurazione dell’atleta
professionista che agisce nella veste non di prestatore di lavoro subordinato,
ma di imprenditore per ciò che attiene allo sfruttamento commerciale della
propria immagine.
Tra i diritti di natura patrimoniale spettanti ai lavoratori subordinati va
ricompreso il trattamento di fine rapporto, riconosciuto ai sensi dell’art. 2120
c.c.-Disciplina del trattamento di fine rapporto in proporzione dell’anzianità di
servizio.
L’ammontare del TFR viene calcolato sommando per ciascun anno di
servizio una quota pari ed ad ogni modo mai superiore all’importo della
retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13, 5.
102
Accordo per i calciatori artt 6,7,8;Accordo per i giocatori di pallacanestro -Parte prima: Retribuzione
167
La retribuzione annua, è calcolata comprensiva delle somme percepite e
dell’equivalente delle prestazioni in natura corrisposte in dipendenza del
rapporto di lavoro a titolo non occasionale e con esclusione di quanto
corrisposto a titolo di rimborso spese.
Tale somma in questo modo calcolata viene incrementata al 31 dicembre
di ogni anno con l’applicazione di un tasso costituito dall’1,5 % in misura fissa
e dal 75 % dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di
operai ed impiegati accertati dall’Istat.
Il TFR spetta anche agli sportivi professionisti il cui diritto non può venir
meno per l’eventuale applicazione dell’art. 4 , 7° comma, legge n.91/1981 ,
secondo il quale le federazioni sportive nazionali possono prevedere la
costituzione di un fondo gestito da rappresentanti delle società e degli sportivi
per la corresponsione della indennità di anzianità a termine dell’attività sportiva
a norma dell’art. 2123 c.c..
La costituzione di tale fondo è ad ogni modo facoltativa e non deve essere
in pregiudizio del diritto dello sportivo professionista alla corresponsione del
TFR.
5.10. Gli obblighi del datore di lavoro: la tutela delle
condizioni di lavoro e della salute
L’art.
2087cc-Tutela
delle
condizioni
di
lavoro,
statuisce
che
l’imprenditore sia tenuto ad adottare, nell’esercizio dell’impresa quelle misure
minima-Parte seconda: Retribuzione,.
168
che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e lo stato della tecnica,
sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore
di lavoro.
Questa norma, rappresenta il momento centrale dell’intero sistema di
sicurezza nei luoghi di lavoro, imponendo al datore di lavoro di adottare le
misure di sicurezza richieste dalla legge nei singoli specifici settori produttivi,
nonché quelle che secondo l’esperienza, le nuove conoscenze tecnologiche e la
particolare organizzazione del lavoro sono necessarie a garantire la completa
tutela del lavoratore..
All’interno della cornice approntata dall’art. 2087 c.c., il decreto
legislativo n. 626/1994 , modificato prima dal decreto legislativo n. 242/1996, e
dal recente n. 195/2003, ne costituisce una specificazione.
La normativa vigente, impone all’imprenditore un limite al suo potere
organizzativo che non deve essere mai configgente con la tutela della salute
costituzionalmente garantita negli artt. 32 e 41, con l’obiettivo di perseguire la
piena sicurezza del lavoratore che deve vedere costantemente aggiornate le
misure di prevenzione che gli vengono apprestate,
Nel lavoro sportivo l’art. 2087 c.c. assume un ruolo decisivo dal momento
che in questo settore manca una legislazione dedicata, salvo quanto disposto
dall’art. 7 della legge n. 91/1981 in merito alla tutela sanitaria degli sportivi
professionisti.
In attuazione della norma codicistica, le società sono tenute ad adottare
tutte le misure necessarie ad eliminare ogni fattore di rischio legato ai luoghi
169
della prestazione sportiva in ogni caso in cui questi siano direttamente gestiti
dalle stesse. 103
E’ quindi la società a dover garantire che, i campi degli allenamenti, le
attrezzature messe a disposizione per lo svolgimento delle prestazioni sportive,
i locali gestiti dalle società stesse presentino caratteristiche tali da prevenire il
rischio di infortuni salvaguardando in questo modo l’integrità fisica dello
sportivo.
La società risponderà a tal proposito contrattualmente, ai sensi di quanto
disposto dall’art. 2087 c.c., dei danni accorsi in capo ad uno sportivo,ogni volta
che siano riscontrabili delle lacune nelle misure protettive che si sarebbero
dovute o avrebbero potuto essere poste a tutela dell’atleta, siano queste previste
da disposizioni legislative e regolamentari piuttosto che semplicemente
suggerite dall’esperienza e dalle conoscenze tecniche in materia di sport.
Per quanto riguarda invece gli eventuali danni subiti dallo sportivo in
occasione di competizioni svolte al di fuori dei luoghi gestiti direttamente dalla
società datrice di lavoro, graverà sui gestori di tali impianti e sugli organizzatori
delle gare una responsabilità di natura acontrattuale. 104
Ciò che non fa carico, invece, alla società datrice di lavoro, in ragione
della normale alea che viene accettata soprattutto da chi gareggia in determinati
tipi di sport, è la responsabilità per i danni derivanti da incidenti di gara.
Le conseguenze lesive dell’integrità psicofisica della persona, subite a
motivo della pericolosità dell’attività svolta, non danno luogo ad obbligazioni
risarcitorie a carico della società se opera la cosiddetta scriminante sportiva.
103
BIANCHI D’URSO F.-VIDIRI G., La nuova disciplina del lavoro sportivo, in Riv. Dir. Spor., 1982, p.
31.
104
PONZANELLI G.-BUSNELLI F.D, ,Rischio sportivo e responsabilità civile, in Resp. Civ. e prev., 1984,
p. 283.
170
Questa è riconosciuta in ogni caso in cui s’incorre in danni ricompresi
nell’alea normale dell’attività praticata , perché occorsi nel rispetto delle regole
dettate dall’ordinamento sportivo e ad ogni modo rientranti nel cosiddetto
rischio sportivo, accettato da parte dei praticanti l’attività sportiva.
Se invece il danno riscontrato subito dall’atleta, anche in occasione di
scontri e situazioni considerati inevitabili rispetto alla disciplina che viene
praticata, è imputabile a carenze nei necessari accertamenti sanitari piuttosto
che ad errori del medico sportivo che han portato a schierare nelle competizioni
atleti non in perfetta efficienza fisica, riemerge la responsabilità della società
ex art. 2087 c.c..
L’art. 7 della legge n. 91/1981, dispone che l’attività venga effettuata
sotto controlli medici, secondo norme stabilite dalle federazioni sportive
nazionali ed approvate con decreto del Ministero della Sanità.
In base al citato articolo è prevista l’istituzione di una scheda sanitaria per
ciascuno sportivo professionista, il cui aggiornamento deve avvenire con
periodicità almeno semestrale e che deve contenere gli accertamenti clinici e
diagnostici fissati con decreto dal Ministro della Sanità.
La scheda sanitaria è istituita, aggiornata e custodita a cura della società
sportiva sulla quale gravano i relativi oneri economici.
In perfetta corrispondenza, tali obblighi, sono invece a carico degli atleti
quando questi rivestano la posizione di lavoratori autonomi ai sensi dell’art. 3
della legge n. 91/1981.
L’istituzione
e
l’aggiornamento
sanitario
costituiscono
inoltre,
condizione per l’autorizzazione da parte delle singole federazioni allo
svolgimento delle attività degli sportivi professionisti.
171
L’obiettivo che il legislatore ha inteso perseguire con tali disposizioni, è
stato quello di garantire un costante monitoraggio dello stato di salute dello
sportivo, la cui perfetta efficienza fisica deve sussistere nel momento dell’avvio
dell’attività sportiva e permanere durante l’intero periodo di svolgimento della
stessa.
5.11. Le vicende nel rapporto di lavoro sportivo
5.11.1 La sospensione
Nel rapporto di lavoro sportivo, in maniera non diversa da quanto accade
in tutti gli altri contratti di durata, può capitare che si verifichino situazioni che
impediscano lo svolgimento del rapporto di lavoro.
Tali situazioni possono essere distinte in accadimenti che riguardino o
particolari esigenze aziendali, piuttosto che eventi relativi alla persona del
lavoratore.
Nel primo caso, va rilevato come alle società sportive, a differenza di
quanto non accada negli altri ambiti del mondo del lavoro, non si applica
l’istituto della cassa integrazione guadagni.
Non esistono differenze rispetto alla normativa generale, per quanto
riguarda invece le cause che interessano il lavoratore e che si riconducono nella
maggior parte dei casi al verificarsi di un infortunio, una malattia e per le
sportive la gravidanza ed il puerperio.
172
Tutte queste situazioni sono regolamentate, in linea generale dall’art.
2110- Infortunio, malattia gravidanza, puerperio, e, secondo espresso rinvio
dell’articolo in questione dalle leggi speciali e dalla contrattazione collettiva.
Da previsione codicistica, esclusi i casi in cui la legge non preveda già
forme alternative di assistenza
e previdenza, in questi casi son dovute al
prestatore di lavoro la retribuzione o un indennità nella misura e per il tempo
determinati dalle leggi speciali, dagli usi o anche secondo equità ed il computo
di tale periodo di assenza nell’anzianità di servizio. 105
Tale disciplina, di carattere garantista e favorevole al lavoratore, trova dei
limiti nella durata di tali garanzie che, evidentemente non possono avere durata
illimitata.
Lo stesso codice, dà datore di lavoro, ha infatti il diritto di recedere dal
contratto a norma dell’art. 2118 – Recesso dal contratto a tempo indeterminato,
ove sia decorso il periodo stabilito dalla legge, dagli usi o secondo equità.
Tale periodo di infortunio o
malattia, prende il nome di periodo di
comporto che risulta regolamentato più che dalla legge dai vari contratto
collettivi che in questo senso presentano un’elasticità che meglio si adatta alle
diverse fattispecie prevedendo periodi diversi a seconda dell’anzianità di
servizio e delle categorie aziendali.
L’accordo collettivo dei calciatori ad esempio, prevede che in tale periodo
al calciatore vadano riconosciuti i compensi stabiliti dal proprio contratto fino
alla sua scadenza.
105
In Brasile la legge n. 9.615/98 presenta soluzioni analoghe distinguendo però fra cause di
sospensione e cause di interruzione che, a differenza delle ipotesi del nostro art. 2110 C.C., sono quelle
che fanno venir meno l’obbligo della retribuzione escludendo tale periodo dal computo dell’anzianità
di servizio come nel coso di una malattia superiore a 15 gg. ZAINAGHI D. S., Nova legislaçao
Desportiva, Aspectos Trabalhistas, Sao Paulo, 2002, p. 38.
173
Solo nel caso in cui il periodo di inabilità dell’atleta superi i sei mesi, la
società ha la facoltà di chiedere, con ricorso arbitrale, la risoluzione del
contratto o di ridurre alla metà i compensi dell’atleta fino al perdurare della
situazione o al termine di scadenza del contratto.
Tale disciplina non si applica nel caso in cui la malattia o l’infortunio
dipendano da colpa grave del calciatore: in questa situazione la società ha infatti
la possibilità di risolvere il contratto o di ridurre i compensi a titolo di sanzione
disciplinare.
Gli articoli 18 e 19 dell’accordo collettivo di calciatori, prevedono infine
che se l’infortunio sia tale da pregiudicare definitivamente la possibilità per
l’atleta di svolgere l’attività agonistica, la società abbia il diritto di risolvere
immediatamente il contratto.
In questo senso anche l’accordo dei giocatori di pallacanestro che però
concede ai propri atleti un periodo di comporto superiore fissato in 9 mesi. 106
L’impossibilità sopravvenuta dell’atleta a fornire la propria prestazione
può derivare anche da una sanzione disciplinare.
In questo caso la società ha la possibilità di proporre al collegio arbitrale
una riduzione dello stipendio per il periodo di squalifica. 107
106
107
Accordo collettivo dei giocatori di pallacanestro, Parte seconda – punto 16.
Accordo collettivo per i calciator art. 15 lettera D.
174
5.11.2.
L’abolizione del vincolo sportivo
Il vincolo sportivo è abolito dalla legge n. 91/1981 che, a riguardo,
introduce il principio della libertà dello svolgimento dell’attività sportiva e la
previsione di libera recedibilità dal rapporto di lavoro. 108
Il vincolo, istituto tipico dell’ordinamento sportivo, prevedeva come visto
in precedenza che l’atleta rinunciasse alla propria libertà contrattuale, affidando
di fatto le proprie sorti alla società che lo aveva ingaggiato, rendendola in
questo modo capace di disporne il trasferimento ad altro sodalizio sportivo ,
anche senza il suo consenso , vedendo esclusa per l’atleta la possibilità di
sottrarsi al provvedimento adottato.
Tralasciando in quest’ ambito considerazioni già richiamate sulla natura
del vincolo, appare opportuno rilevare come si sia assistito ad un’evoluzione
che
partiva da una situazione in cui l’atleta veniva considerato come un
oggetto che veniva comprato e venduto sul mercato.
L’atleta, privato di fatto della facoltà di esercitare il recesso unilaterale
dalla società di appartenenza perché gravato in questo caso dall’applicazione di
sanzioni disciplinari da parte dell’ordinamento sportivo, vedeva in ogni caso
frustrata la possibilità di esercitare la propria attività in una diversa società dalla
previsione di un’indennità di trasferimento da versare alla società di
provenienza.
108
FRATTAROLO V. , L’ordinamento sportivo nella giurisprudenza, Milano, 1995, p.332. Ritiene tale
abolizione riferita ai soli atleti e non anche alle altre figure di sportivi professionisti, ponendosi soltanto
per i primi un problema di regolamentazione del regime dei trasferimenti.
175
L’abolizione di tale vincolo non fu immediata e contestuale all’entrata in
vigore della legge N. 91/1981 che ne prevedeva invece eliminazione spalmata
in maniera graduale nell’arco di cinque anni, secondo modalità e parametri
stabiliti dalle federazioni nazionali approvati dal CONI , tenendo conto dell’età
dell’atleta, alla durata ed al contenuto patrimoniale
del rapporto con le
società. 109
L’abolizione del vincolo, comportava per le società un contraccolpo non
indifferente temperato, oltre che dalle modalità della sua eliminazione , dalla
istituzione prevista dalla stessa legge sul professionismo sportivo di un
‘indennità di preparazione e promozione regolamentata dalle diverse norme
federali.
Questo era quanto previsto dall’art. 6, comma primo della legge N.
91/1981: “Cessato, comunque, un rapporto contrattuale l’atleta professionista
è libero di stipulare un nuovo contratto. In tal caso le federazioni sportive
nazionali possono stabilire il versamento da parte della società firmataria del
nuovo contratto di un’indennità di preparazione e di promozione dell’atleta
professionista, da determinare secondo coefficienti e parametri fissati dalla
stessa federazione in relazione alla natura e alle esigenze dei singoli sport.”
Il successivo quarto comma stabiliva invece che detta indennità dovesse
essere reinvestita nel perseguimento di fini sportivi. 110
Anche questa indennità risulta un istituto tipico del rapporto di lavoro
sportivo, che non trova omologhi negli altri rapporti di lavoro e che trova
giustificazione nel fatto che il trasferimento di un giocatore da una squadra ad
109
Legge N. 91/1981 art. 16 – Disposizioni transitorie e finali.
In tema di indennità di preparazione e promozione: Trib. Pisa , 21 marzo 1997, in Giust. civ., 1997,
p. 513 con nota di LAMBO L., Società calcistica retrocessala campionato di eccellenza regionale e
indennità per preparazione e promozione.
110
176
un'altra comporta, oltre ad un impoverimento tecnico da parte della squadra
cedente un corrispondente identico rafforzamento della squadra cessionaria
spesso immediata concorrente.
Su tale assetto normativo, la già citata ed in seguito meglio approfondita
sentenza Bosman sancì l’incompatibilità con l’art. 48 del Trattato CE di quelle
norme emanate da associazioni sportive in base alle quali un calciatore
professionista cittadino di uno Stato membro, alla scadenza di un contratto che
lo vincola ad una società, possa essere ingaggiato da una società di un altro
Stato membro solo se questi abbia corrisposto alla società di provenienza
un’indennità di trasferimento. 111
Come meglio si vedrà in seguito, una conseguenza di questa pronuncia è,
a livello normativo all’interno dell’ordinamento italiano, la legge 18 novembre
1996, n. 586, la quale ha modificato il già citato art. 6 limitandosi a prevedere
che, nell’ipotesi di primo contratto, venga stabilito dalle federazioni sportive
nazionali il versamento di un premio di addestramento e formazione tecnica da
versare in favore della società o associazione sportiva presso la quale l’atleta ha
svolto la propria formazione giovanile o dilettantistica.
111
Effetto della sentenza Bosman non è l’incompatibilità con il Trattato di tutte le indennità di
trasferimento, promozione o formazione ma di quelle che conseguono al trasferimento di giocatori tra
squadre appartenenti a Stati membri pretese alla scadenza del contratto con la squadra di provenienza ,
che coinvolgono un calciatore professionista. FOGLIA R., Tesseramento dei calciatori e libera
circolazione nella Comunità europea, in Dir. lav., 1988, I, p. 304.
177
5.11.3.
La cessione del contratto
La legge N. 91/1981 sul professionismo sportivo, ammette nel comma
primo dell’art. 5, la successione di contratti a temine fra le stesse parti ma
prevede anche che tale termine risolutivo non possa essere mai superiore a
cinque anni.
Il comma 2 dello stesso articolo ritiene invece ammissibile la cessione del
contratto da una società ad un ‘altra prima della scadenza del termine risolutivo
ma subordina tale evenienza al consenso delle parti ed all’osservazione delle
norme fissate dalle federazioni sportive nazionali.112
Questa, che costituisce un’applicazione dell’art. 1406 c.c. materia di
cessione del contratto, 113 è una fattispecie che prevede che il cedente sostituisca
a sé un terzo cessionario nel rapporto derivante dal contratto con la
conseguenza che quest’ultimo assume rispetto al ceduto la medesima posizione
del cedente, ferma la possibilità per ceduto e cessionario di introdurre nuove
modifiche in tale rapporto.
Bisogna quindi rilevare la possibilità, previo il consenso dello sportivo
professionista, che questi svolga la propria attività alle dipendenze di altra
società anche prima che sia scaduto il termine previsto nel contratto.
112
Cass., 5 gennaio 1994, n. 75, in Giust. civ., 1994, I, p. 1230:”Con riguardo al contratto di cessione
di un calciatore, l’inosservanza di prescrizioni tassative dettate dal regolamento della federazione
italiana gioco calcio, se non costituisce ragione di nullità per violazione di legge, a norma dell’art.
1418 c.c., tenut conto che la potestà regolamentare conferita all’ordinamento sportivo, ai sensi
dell’art. 5 della legge 16 febbraio 1942 n. 426, si riferisce all’ambito amministrativo interno e non a
quello di rapporti intersoggettivi privati , determina l’inoperatività e l’invalidità del contratto
medesimo, in relazione al disposto del 2°comma dell’art 1322 c.c, atteso che esso, ancorché
astrattamente lecito per l’ordinamento statuale come negozio atipico (prima dell’entrata in vigore
della legge sul professionismo sportivo) resta in concreto inidoneo a realizzare un interesse meritevole
di tutela, non potendo attuare, per la violazione delle suddette regole, alcuna funzione nel campo
dell’attività sportiva, riconosciuta dall’ordinamento dello Stato.”
113
VIDIRI G., Il contratto di lavoro sportivo, in Mass. giur. Lav., 2001, p. 993.
178
Tale trasferimento può altresì essere definitivo piuttosto che temporaneo,
prevedendosi in quest’ultimo caso il reinserimento nella compagine sportiva di
provenienza.
Non sembra possa contestarsi in questi casi di successione, nonostante
manchi un’espressa previsione normativa, la necessità della forma scritta dalla
quale non si può prescindere anche per consentire i necessari controlli.114
5.11.4.
La risoluzione unilaterale del contratto di lavoro
a tempo indeterminato
Una degli aspetti in cui più chiaramente si manifesta il favor lavoratoris
che l’impostazione della legislazione giuslavristica italiana concede al soggetto
che tradizionalmente
considera più debole e quindi bisognoso di tutela, è
costituito da una serie di limitazioni poste alla libera recedibilità concessa al
datore di lavoro.
Allo stesso modo costituiscono la corrispondente espressione di tale
atteggiamento garantista, gli appositi strumenti approntati dal legislatore a
favore del lavoratore illegittimamente licenziato.
Innanzitutto, a partire 1966, con l’entrata in vigore della legge n. 604
successivamente oggetto di estensione delle sua applicazioni ad opera della
legge n. 108/1990, la regola generale prevede che il datore di lavoro non possa
licenziare liberamente.
114
VIDIRI G., Il contratto, cit., p. 993.
179
La legittimità del recesso datoriale è infatti subordinata alla ricorrenza o di
una giusta causa o di un giustificato motivo.
Non appare privo di utilità ricordare che, con giusta causa s’intende il
verificarsi di un evento che incide in modo irrimediabile sul rapporto di fiducia
tra le parti e che il giustificato motivo di licenziamento si configura o come un
grave inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore o con il
verificarsi di serie esigenze aziendali attinenti quindi
all’organizzazione
dell’attività produttiva.
Inoltre, è stata prevista la cosiddetta tutela reale accordata a quei
lavoratori dipendenti che prestano la propria attività il favore di datori che
superano determinate soglie dimensionali e che permettono la reintegrazione
nel posto di lavoro in caso di licenziamento dichiarato illegittimo in sede
giudiziale. 115
A scanso di ogni equivoco giova precisare che la complessa ed articolata
tutela accordata dal legislatore nei confronti del lavoratore subordinato in
generale, non trova invece applicazione a tutela del lavoratore sportivo.
L’applicabilità dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e degli artt.
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, della legge 15 luglio 1966, n. 604 è infatti esplicitamente
esclusa dall’art. 4, ottavo comma della legge sul professionismo sportivo.
Il rapporto di lavoro sportivo, si configura infatti come una di quelle
residuali ipotesi nelle quali, anche qualora tale rapporto venga costituito a
tempo indeterminato, è operante il cosiddetto recessum ad nutum, che non
richiede giustificazione alcuna e la cui disciplina à contenuta negli artt. 2118-
115
Il riferimento normativo è rappresentato qui dal celebre art. 18, legge n. 300/1970.
180
Recesso del contratto a tempo indeterminato e 2119- Recesso per giusta causa
c.c. .
Quanto disposto dall’art. 2118 c.c., disciplina il recesso nel contratto a
tempo indeterminato prevedendo che la possibilità di recesso accordata
a
ciascun contraente sia subordinata o ad un determinato periodo di preavviso o
alla corresponsione dell’equivalente importo che sarebbe spettato per il periodo
di preavviso.
L’art. 2119 esclude invece l’obbligo di tale periodo di preavviso nel caso
di recesso per giusta causa salvo che non sia il lavoratore a dare le dimissioni
per giusta causa, situazione che comporta per il datore di lavoro il dovere di
corrispondere l’indennità di mancato preavviso.
Il rapporto di lavoro sportivo, come sopra ricordato, vede la
disapplicazione delle suddette norme mal adattandosi ad un settore competitivo
come quello dello sport una disciplina che sostanzialmente vede limitate le
ipotesi di licenziamento a situazioni di inadempimento contrattuale.
Non solo da un punto di vista delle società sportive ma anche nell’ottica
degli atleti sarebbe infatti
fortemente limitante una condizione di scarsa
mobilità contrattuale in ogni caso i cui tale situazione determini un ostacolo alla
migliore resa della prestazione sportiva.
Diverso è il discorso che deve farsi sull’applicabilità al rapporto di lavoro
sportivo rispetto a quanto previsto dall’art. 15 della legge n. 300/1970 e dell’art.
4 della legge n. 604/1906.
Tali norme infatti sono volte ad impedire il licenziamento discriminatorio
e cioè quello determinato da ragioni ideologiche, religiose, politiche, sindacali,
razziali, linguistiche e di sesso.
181
Tali norme sono invocabili a buon diritto anche dallo sportivo
professionista che gode, come ogni altro lavoratore, della tutela reale prevista
per tale tipo di licenziamento dall’art. 3, legge n. 108/1990.
5.11.5.
Il recesso ante tempus dal contratto di lavoro a
tempo determinato
Da quanto detto sinora, non risulta difficile comprendere come nel mondo
del lavoro sportivo le ipotesi
riscontrabili concretamente siano quelle di
recesso unilaterale o di risoluzione consensuale, dal contratto a tempo
determinato.
Nel caso di recesso unilaterale, la ricorrenza di una giusta causa, va
accertata in concreto, non essendo possibile tipizzarne tutte le fattispecie. 116
Non è ad ogni modo impossibile richiamare a titolo esemplificativo le
fattispecie che più comunemente possono configurarsi come giusta causa di
recesso dal contratto.
Nel caso degli sport di squadra sembra legittimo ritenere che costituisca
giusta causa di recesso, la reiterata esclusione dalla “rosa” dei giocatori da
schierare nelle partite ufficiali, traducendosi in una lesione del diritto alla
prestazione sportiva , con conseguente compromissione della sua immagine
professionale dell’atleta oltre che limite al mantenimento delle sue capacità
tecniche ed agonistiche.
182
In altri casi è l’accordo collettivo che indica ipotesi di giusta causa di
recesso.
L’accordo dei calciatori ne individua alcuni negli artt. 15, 16 e 17.
Costituisce ad esempio una giusta causa di risoluzione del contratto la
protratta morosità della società oltre determinati limiti temporali.
In ogni caso, sia il calciatore sia la società hanno l’obbligo di risoluzione
del contratto nel caso di violazione di obblighi contrattuali reciprocamente
assunti, con l’ulteriore previsione, a vantaggio dell’atleta, del diritto di ottenere
il risarcimento del danno in misura non inferiore del 30 % del compenso annuo
lordo 117 .
Diversa invece l’ipotesi in cui manchi una giusta causa configurandosi
questa volta un licenziamento illegittimo che ha come conseguenza il sorgere
dell’obbligo di risarcimento da parte della parte inadempiente.
Nel caso in cui a recedere senza giusta causa sia la società sportiva ,
questa sarà tenuta, ai sensi dell’art. 1223- Risarcimento del danno c.c. ,a
corrispondere al lavoratore l’intera retribuzione che questi avrebbe dovuto
percepire se il rapporto non fosse stato risolto in maniera anticipata.
Unico limite è in questa situazione, la possibilità per la società di detrarre
da questa somma quanto il lavoratore abbia percepito o quanto avrebbe potuto
percepire da una nuova occupazione che questi abbia effettivamente trovato o
che avrebbe potuto trovare usando l’ordinaria diligenza.
116
DURANTI D., La attività sportiva, cit., p. 718; BIANCHI D’URSO F.-VIDIRI G., La nuova disciplina,
cit., p. 24.
117
In tema delle differenti ipotesi di inadempimento contrattuale previste dall’accordo collettivo dei
calciatori: DE SILVESTRI A., Il contenzioso tra pari ordinati, cit p. 558.
183
Allo stesso modo anche lo sportivo professionista sarà tenuto a versare un
risarcimento alla società di appartenenza nel caso di recesso ante tempus dal
contratto senza giusta causa.
Appare però molto più difficoltoso in questo caso provare quali siano gli
effettivi danni subiti dalla società per cui la via meglio percorribile sembra
essere quella di una determinazione convenzionale del danno da risarcire con
l’introduzione di rimedi civilistici come la previsione di una clausola penale ex
art. 1382 c.c. o di una multa penitenziale secondo quanto previsto dal comma 3
dell’art. 1373 c.c.-Recesso unilaterale.
Sono questi casi che nella pratica appaiono statisticamente poco rilevanti
dal momento che il recesso unilaterale da parte dello sportivo risulta essere
fortemente
scoraggiato
dalla
presenza
di
pesanti
sanzioni
previste
dall’ordinamento sportivo la più grave delle quali è il rifiuto da parte della
federazione del tesseramento presso una nuova società.
184
Capitolo Sesto
6.1. L’Unione Europea e la libera circolazione dei
lavoratori: le sentenze delle corti di giustizia in
materia di sportiva
Il Trattato CE, pone la libertà di circolazione delle persone come una delle
quattro libertà fondamentali delle persone accanto alla libertà di circolazione
delle merci, dei servizi e dei capitali.
Queste quattro libertà sono funzionali alla creazione di un mercato interno
definibile come “spazio senza frontiere”.
L’art.12 del Trattato di Amsterdam (prima art. 6 del Trattato CE), vieta
“ogni discriminazione effettuata sulla base della nazionalità”. Questa regola di
carattere generale viene specificata da tre disposizioni: l’art. 39 (prima art. 48),
relativo all’abolizione di qualsiasi discriminazione nell’impiego, nella
retribuzione ed in altre condizioni di lavoro; il diritto di rispondere ad offerte di
lavoro effettive, di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati
membri; di prendere dimora in uno degli stati membri al fine di svolgervi
attività di lavoro; di rimanere sul territorio di uno Stato membro dopo aver
occupato un impiego. L’art. 43, (prima art.52) che tutela il diritto del lavoratore
autonomo di stabilirsi in un altro stato membro per esercitare un’attività
economica. L’art. 49 (vecchio art.59) che assicura la libertà nella prestazione
dei servizi.
185
Le sentenze Walrave 118 del 1974 e Donà 119 costituiscono i primi esempi di
intervento comunitario in materia di sport, per quanto riguarda i principi sopra
richiamati.
In riferimento alla sentenza Walrave i giudici lussemburghesi si sono
pronunciati in via pregiudiziale ex art. 177 del Trattato CE (oggi art. 234) in
relazione ad un rilievo di un Tribunale olandese che chiedeva se fosse
compatibile con il diritto comunitario una disposizione dell’UCI (Unione
Ciclisti Internazionale) che prevedeva che nelle gare ciclistiche degli stayers
(una particolare disciplina nella quale gli atleti corrono dietro a delle
motociclette) “a partire dal 1973 l’allenatore dovrà avere la stessa nazionalità
del corridore”.
La seconda disposizione invece, riguardava l’incompatibilità con il diritto
comunitario, di alcune disposizioni del regolamento della FIGC in virtù delle
quali potevano essere tesserati e schierati in campo soltanto un numero limitato
di giocatori non italiani cittadini di Stati membri.
In entrambe le sentenze la Corte affermava che: a)L’attività sportiva è
disciplinata dal diritto comunitario qualora sia configurabile come attività
economica ai sensi dell’art. 2 del Trattato; non ricorre invece l’assoggettabilità
alle norme comunitarie se la disciplina discriminatoria si basa esclusivamente su
criteri tecnico-sportivi oppure su motivi non economici, come, ad esempio, nel
caso di incontri tra le rappresentative nazionali di due Stati membri; b) il divieto
della discriminazione a motivo della cittadinanza vale per tutte le prestazioni di
lavoro o servizi, indipendentemente dal rapporto giuridico dal quale traggono
118
119
CORTE DI GIUSTIZIA 12 DICEMBRE 1974, CAUSA 36/74, in Foro it. , 1975, c. 81.
Corte di Giustizia 14 luglio 1976, causa 13/76, in Foro it., 1976, c. 361.
186
origine; c) il divieto di discriminazione riguarda non solo gli atti dell’autorità
pubblica, ma anche quelli posti in essere dalle associazioni private.
La Corte di Giustizia, con queste due sentenze, colse l’occasione di
estendere i principi del diritto comunitario ad un settore come quello sportivo
che, seppur non esplicitamente disciplinato dal Trattato di Roma, ha acquisito
rilevanza in quanto configurabile come attività economica ai sensi dell’art.2 del
Trattato.
L’orientamento della Corte ha trovato in questo ambito molteplici
reazioni, talvolta di segno contrastante.
Un indirizzo, a dire il vero minoritario, voleva lo sport sottratto
all’osservanza della normativa europea e sottolineava come nelle competizioni
il significato sportivo fosse pur sempre preminente su quello economico.
I più, invece, sostenevano che lo sport professionistico fosse
perfettamente assoggettabile alla disciplina del diritto comunitario. Questa
impostazione maggioritaria, partiva dalla considerazione che la rilevanza
economica del rapporto di lavoro sportivo sia un dato obiettivo rilevante dal
quale consegue l’applicazione dell’art. 2 del Trattato. 120
Storicamente va comunque notato come i rapporti fra l’ordinamento
sportivo e l’ordinamento comunitario, in virtù delle particolari caratteristiche
del primo fra le quali il cosiddetto vincolo di giustizia sportiva, abbiano per
numerosi anni visto l’ordinamento comunitario soccombente.
120
Atti della conferenza Nazionale sullo sport, 2000, pp. 365 ss.
187
6.2. La sentenza Bosman ed i suoi effetti: le
conseguenze nell’ordinamento statale e
nell’ordinamento sportivo
Come si è molto rapidamente ricordato in precedenza, l’ordinamento
comunitario, è prepotentemente entrato negli ordinamenti giuridici sportivi
degli Stati membri attraverso il ciclone suscitato dal noto caso Bosman. 121
La questione che porta alla importantissima sentenza del 15 dicembre
1995, viene sottoposta alla Corte di Giustizia europea dalla Corte di Appello di
Liegi, che si rivolge al giudice comunitario mediante lo strumento del rinvio
pregiudiziale.
La vicenda oramai famosa, vede Bosman, giocatore di calcio della serie B
belga, proporre dinanzi alla corte di Liegi una questione legata alla difficoltà di
trasferimento dello stesso da una società all’altra.
Vale la pena ricordare il caso nella sua fattispecie cui già si è fatto cenno
nel capitolo secondo.
Bosman, giocatore di serie B belga, si trovò, alla scadenza del rapporto
contrattuale con la sua società di appartenenza, limitato nella sua libertà di
circolazione: lo spostamento ad un’altra società era reso infatti più difficile in
forza di un’indennità (il parametro) che la nuova società avrebbe dovuto
corrispondere per il trasferimento; inoltre, la disciplina nazionale poneva limiti
al tesseramento di cittadini comunitari ed extracomunitari.
Il giudice comunitario statuì che:
121
Causa C-415/93, in Riv. dir. Sport., 1996, pp. 541 ss.
188
a)
l’art. 48 del Trattato CE osta all’applicazione di norme emanate da
associazioni (nazionali, sopranazionali e/o internazionali) ai sensi delle quali un
calciatore professionista cittadino di uno Stato membro, alla scadenza di un
contratto che lo vincoli ad una società, possa essere ingaggiato da una società di
un altro Stato membro previo versamento alla società di una qualsivoglia
indennità, sia questa di trasferimento, di formazione o di promozione;
b)
L’art. 48 del Trattato CE osta all’applicazione di norme emanate da
associazioni sportive, secondo le quali, nelle competizioni dalle stesse
organizzate, le società calcistiche possano schierare solo un numero limitato di
calciatori professionisti cittadini di altri Stati membri.
La Corte di Giustizia in questo modo ha ottenuto risultati che gli Stati
membri spesso non hanno ottenuto da soli e cioè la sottomissione delle autorità
sportive potendo così fare applicazione dell’art 48 del Trattato CE in tema di
libera circolazione delle persone, ritenendo incompatibili con il diritto
comunitario una serie di vincoli invece previsti dal diritto statuale interno.
L’UEFA, confederazione della Fédération internationalede football
association, meglio nota come FIFA, nel corso del processo ha sostenuto come
l’autorità comunitaria abbia sempre rispettato l’autonomia dell’attività sportiva
nella quale sarebbe molto difficili operare una scissione fra aspetti sportivi ed
economici.
Una pronuncia della Corte di
gioco del calcio.
189
discussione l’intera organizzazione del
Ne consegue che “anche se l’art. 48 del Trattato dovesse applicarsi ai
calciatori professionisti, sarebbe necessario attenersi a criteri di elasticità in
considerazione della specificità di tale attività sportiva” 122 .
Da parte sua, il Governo tedesco, richiamando l’autonomia e la libertà di
associazione di cui godono le Federazioni sportive sulla base del diritto
nazionale, è giunto alla conclusione che “secondo il principio di sussidiarietà,
considerato come principio generale, l’intervento delle autorità pubbliche e, in
particolare , della Comunità nella materia considerata, deve essere limitato allo
stretto necessario”. 123
La Corte di Giustizia, respingendo tali argomenti, replicava alla UEFA
come già nel caso Donà, più volte richiamato nella sentenza Bosman, i giudici
avessero stabilito che le norme sulla libera circolazione non ostano a normative
o prassi restrittive giustificate da motivi non economici, anche se la restrizione
della sfera di applicazione di tali norme deve restare entro i limiti del suo
oggetto specifico e “non può essere invocata per escludere un’intera attività
sportiva dalla sfera di applicazione del Trattato” 124 .
In questo modo, il principio di autonomia dell’ordinamento sportivo,
veniva riconsiderato secondo una visione diversa da quella che prevedeva la
totale impermeabilità nei confronti dell’ordinamento generale.
La Corte, replicando al governo tedesco riguardo all’estensione del
principio di sussidiarietà, ribadiva che questo “ non può avere l’effetto che
l’autonomia di cui godono le associazioni private per adottare normative
sportive limiti l’esercizio dei diritti conferiti ai privati dal Trattato”125 .
122
Punto 71.
Punto 72.
124
Punto 76.
125
Punto 81.
123
190
Bisogna ricordare, che l’ordinamento europeo si colloca in una posizione
di sovraordinazione gerarchica rispetto all’ordinamento dello Stato membro.
Le norme statali, di qualunque grado esse siano, sono pertanto destinate a
soccombere nei confronti delle norme previste nel trattato, in un regolamento
comunitario, in una direttiva self-executing.
In questa prospettiva, il principio di libera circolazione dei lavoratori di
cui all’art. 48 del Trattato CE, unitamente ai principi di libertà di circolazione
delle merci, di servizi e dei capitali, ugualmente garantiti dal Trattato,
costituisce un asse portante della stessa nozione di mercato comune e in quanto
tale “non tollera attenuazioni o eccezioni”. 126
D’altra parte, la presenza del giudice comunitario o nazionale, appare
sempre più irrinunciabile, come rilevato fra gli altri da Clarich, in un mondo
come quello delle Federazioni sportive che vede sempre più fittamente
intrecciati gli interessi sportivi a quelli economici.
La sentenza Bosman, come subito ricordato, è stata resa in via
pregiudiziale ai sensi dell’allora art. 177 del Trattato, ora art.234.
Con essa la Corte, interpreta l’art 48 del Trattato e, come questo, risulta
direttamente vincolante anche per i giudici nazionali, prevalendo sulle norme
statuali eventualmente contrastanti.
L’importanza della sentenza Bosman, travalica quindi i semplici diretti
interessi delle parti in giudizio ma, al contrario, la sua forza reale, è quella
costituita dal
potere di vincolare i vari giudici nazionali nel verso
dell’interpretazione del Trattato nel senso previsto dalla Corte Europea.
126
A tal proposito : Clarich 1996, pp. 393 ss.; Bastianon 1996, p. 3; Faini 1996, p. 102; Orlandi 1996,
p. 619; Van Miert 1996, pp. 5 ss.
191
L’estensione dell’ambito di applicazione della sentenza inoltre, non si
limita al gruppo degli Stati membri ma, in virtù dell’Accordo sullo Spazio
Economico Europeo, si estende ai Paesi ad esso aderenti.
Un’altra prospettiva di analisi sull’estensione dell’efficacia della sentenza,
è invece quella relativa all’ambito delle discipline sportive che da questa
vengono coinvolte.
La corte a tal proposito, nel confermare che le norme comunitarie sulla
libera circolazione delle persone e dei servizi non ostano a normative o a prassi
giustificate da motivi non economici, chiarisce che intende circoscrivere i
principi enunciati nella sentenza al solo sport professionistico o tutt’al più
semiprofessionistico.
La sentenza pertanto è applicabile solo a quegli sportivi che svolgono un
lavoro sportivo subordinato o che effettuano prestazioni di servizio retribuite.
Bisogna infatti ricordare che l’attività sportiva è disciplinata dal diritto
comunitario solo “in quanto configurabile come attività economica ai sensi
dell’art. 2 del Trattato”. 127
La dottrina e fra questi Vidiri, ha poi sostenuto come rilevante ai fini della
tutela dell’art. 48 del Trattato non sia la qualificazione formale di sportivo
professionista, ma si debba guardare alla situazione sostanziale che di fatto vede
impegnato il lavoratore sportivo.
In questo modo l’applicabilità dell’art. 48 è da intendersi come
potenzialmente estendibile a tutte le discipline sportive.
127
Cfr. punto 73.
192
In giurisprudenza, una delle prime sentenze successive a quello che ha
preso poi il nome di “ciclone Bosman”, è stata quella pronunciata dalla
Commissione di Appello della FIGC il 26 ottobre 1996.
In conformità con l’interpretazione data dalla Corte di Giustizia, la
Commissione di Appello affermava che”avendo la Corte di Giustizia ravvisato
il contrasto tra le disposizioni che prevedono il pagamento dell’indennità di
preparazione e promozione e l’art. 48 del Trattato, le predette disposizioni non
possono più trovare applicazione nello Stato italiano.[…]Dalla data della
sentenza è inibita l’applicazione delle disposizioni di cui trattasi, la cui
inapplicabilità ha portata generale ed erga omnes” 128 .
In riferimento al caso di un giocatore di pallamano svedese, un giudice
ordinario svedese giunse ad una pronuncia altrettanto significativa:
l’applicazione delle disposizioni comunitarie relative alla libera circolazione
dei lavoratori richiede, come unico elemento, l’esistenza per l’appunto di un
rapporto di lavoro,o della volontà di stabilire un simile rapporto[…]; il fatto
che la normativa federale qualifichi la pallamano come attività dilettantistica
non può avere alcuna influenza nel caso di specie, atteso che i criteri distintivi
vigenti nel settore dello sport non rivestono alcun valore all’interno
dell’ordinamento giuridico statale né possono vincolare i relativi organi
giurisdizionali.
Queste conclusioni appaiono in linea con i principi affermati dalla Corte
lussemburghese già tempo prima del caso Bosman 129 e tra l’altro riconfermati
nella pronuncia del caso Deliége in cui la corte ha rilevato che:
128
In Riv. dir. Sport., 1997, pp. 983 ss.
Fra i tanti Corte Giust. 23 marzo 1982, Levin, causa 53/81, in Raccolta 1982, pp. 1035 ss.; 3 luglio
1986, Lawrie-Blum, causa 66/85, in Raccolta 1986, pp. 2121 ss.
129
193
la semplice circostanza che un’associazione o federazione sportiva qualifichi
unilateralmente come dilettanti gli atleti che ne fanno parte non è di per sé tale
da escludere che questi ultimi esercitino attività economiche ai sensi dell’art.2
del Trattato. Tuttavia, le attività esercitate devono essere reali ed effettive e non
talmente ridotte da potersi definire puramente marginali ed accessorie. 130
La sentenza Bosman ha avuto conseguenze anche sul piano del diritto interno.
Fra i suoi effetti anche il D.L. 20 settembre 1996 n. 485 convertito poi nella L.
18 novembre 1996 n. 586 e balzato agli onori della cronaca come cosiddetto
Decreto Bosman o Decreto “spalma perdite”.
Il legislatore italiano, ha avuto così modo di ridisegnare la disciplina dei
trasferimenti dei calciatori professionisti, tenendo conto, oltre che della
sentenza, anche delle indicazioni dottrinali che l’hanno seguita.
Con la legge n. 586/1996, che modifica l’art. 6 della legge n. 81/1981, il
legislatore ha eliminato “l’indennità di preparazione e promozione” con
riferimento ad ogni tipo di trasferimento di atleta professionista, compresi quelli
che si verificano tra società di uno stesso Stato membro o quelli che
coinvolgono cittadini di paesi terzi.
Riguardo a questi ultimi, la legge italiana va oltre quanto statuito dalla
Corte Europea, comprendendo anche gli stranieri, formalmente esclusi invece
dalla Bosman, che concerne solo i cittadini comunitari.
Tuttavia il novellato art. 6 della legge n. 91/1981, prevede un nuovo
“premio di addestramento e formazione tecnica”, riconosciuto solo in caso di
stipula del primo contratto professionistico e solo a favore della società o
130
Corte di Giustizia, 11 aprile 2000, cit.
194
dell’associazione sportiva presso la quale l’atleta ha svolto la sua ultima attività
dilettantistica o giovanile.
Il legislatore quindi, ammette una residua operatività del premio,
suscitando dubbi in dottrina, e fra questi Vidiri, sulla legittimità di questo
premio.
Inoltre la legge n. 586/1996, introduceva nel novellato art 16 della legge
n. 91/1981, una serie di disposizioni sui bilanci delle società sportive
professionistiche, in base alle quali le società poterono eliminare dall’attivo
dello stato patrimoniale i crediti maturati per le indennità di preparazione, senza
dover evidenziare la sopravvenienza passiva iscrivendo però nell’attivo del
bilancio un’ulteriore posta a carattere pluriennale da ammortizzare nell’arco di
tre anni.
In questo modo si era cercato di ovviare agli effetti negativi derivati
dall’abrogazione dell’indennità di trasferimento.
Un’altra importante novità introdotta con il “decreto Bosman” inoltre, è
l’introduzione dello scopo di lucro, fine una volta precluso agli statuti delle
società sportive.
6.3.
La condizione giuridica degli atleti extracomunitari
nell’ordinamento sportivo
Il D. Lgs. 25 Luglio 1998, n. 286 rubricato come “Testo Unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero”, nel suo art. 44 come modificato dalla legge 30
195
luglio2002, n.189, costituisce il riferimento normativo di numerosi ricorsi di
fronte al giudice ordinario in materia di azioni civili contro la discriminazione
fondata sulla nazionalità.
Tale disposizione prevede che “quando il comportamento di un privato o
della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi
razziali, etnici, nazionali o religiosi, il giudice può, su istanza di parte, ordinare
la cessazione del comportamento pregiudizievole ed adottare ogni altro
provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della
discriminazione”.
Fra i numerosi, tre casi accomunati da una vasta eco nel mondo del diritto
sportivo e da fattispecie analoghe a quelle che hanno condotto, per effetto della
giurisprudenza comunitaria, alla rimozione di ogni limite al numero di giocatori
tesserabili e schierabili in campo, meritano di essere menzionati i casi Ekong,
Sheppard ed Hernandez Paz.
Occorre subito precisare come, in ogni caso, i parametri di riferimento
della normativa nazionale siano differenti da quelli che informano le
disposizioni contenute nel Trattato.
A livello comunitario si afferma infatti il principio della libera
circolazione dei lavoratori e si vietano intese restrittive della libertà di
concorrenza.
A livello nazionale invece si vietano discriminazioni fondate sulla razza o
sulla nazionalità ma, contestualmente, si salvaguarda il potere affidato alle
autorità pubbliche di limitare gli ingressi di lavoratori stranieri attraverso una
programmazione dei relativi flussi.
196
Il 27 settembre 2000, il calciatore nigeriano Ekong, sulla base della
speciale azione civile contro la discriminazione conveniva in giudizio la società
Reggiana e la FIGC per il comportamento discriminatorio consistente nel
diniego di tesseramento, con la conseguente impossibilità di svolgere l’attività
di calciatore, pur avendo stipulato un regolare contratto di lavoro con l’A. C.
Reggiana S.p.A..
Il diniego di tesseramento si basava su quanto disposto dall’art. 40, 7 co.,
NOIF, che consente alle società calcistiche di serie A e B il tesseramento di
calciatori extracomunitari fino ad un massimo rispettivamente di cinque e di
uno.
La medesima facoltà invece non era concessa alle società di serie C, qual
era appunto la A.C. Reggiana.
Il giudice, con ordinanza del 2 Novembre 2000, accogliendo le ragioni
sostenute
dal
calciatore
nel
suo
ricorso,
dichiarava
incidentalmente
l’illegittimità della norma in quanto in contrasto con l’art. 43 del D.Lgs n.
286/1998 in tema di divieto di ogni forma discriminatoria in relazione a motivi
razziali, etnici, nazionali e religiosi.
In questo modo al calciatore Ekong veniva riconosciuto il diritto di
ottenere dalla FIGC il tesseramento quale calciatore professionista.
Nello specifico con il provvedimento si sottolineava come “l’autonomia
dell’ordinamento sportivo non può significare impermeabilità totale rispetto
all’ordinamento statuale ove, come nel caso di specie, il soggetto legittimato in
via esclusiva ad abilitare all’esercizio del gioco del calcio (in questo caso la
Federazione italiana giuoco calcio) impedisca tale facoltà solo sulla base di un
ingiustificato elemento di differenziazione”.
197
Per questo motivo, l’onere della richiesta di autorizzazione alla
Federazione sportiva di appartenenza richiesto ai lavoratori extracomunitari,
risulta in contrasto con le norme imperative statuali cui l’ordinamento sportivo
non può derogare.
In relazione a quest’ argomento già in precedenza la giurisprudenza
transnazionale aveva affermato che :
“sebbene esista, e sia persino auspicabile, una stretta relazione tra le
federazioni sportive internazionali e quelle nazionali, e le norme delle prime
possano bensì costituire un modello per le seconde, le norme degli organismi
sportivi internazionali non costituiscono una fonte di diritto, potendo gli
organismi sportivi nazionali adeguarsi a tali norme solo nei limiti in cui sono
compatibili con l’ordinamento giuridico nazionale” 131 .
198
• Conclusioni
Per quanto visto, il contratto di lavoro sportivo s’innesta su un rapporto di lavoro
caratterizzato dalla pluralità dei soggetti coinvolti e dalla eterogeneità delle fattispecie
che va a regolamentare.
Il lavoro dello sportivo, nelle sue molteplici manifestazioni, è caratterizzato nella sua
specialità proprio dalla peculiarità stessa dell’attività in cui si concretizza.
Nell’immaginario collettivo, lo sportivo non è assimilato al lavoratore.
L’immagine dell’atleta è ancora legata ai principi del valore, della gratuità, della
passione, della tensione verso un traguardo, del sacrificio ed agli ideali estetici della
bellezza del gesto che il più delle volte accompagna tali attività.
Idealmente, secondo il filosofo Ortega Y Gasset lo sport “è uno sforzo liberissimo che
non nasce da un’imposizione, ma rappresenta un impulso liberissimo e generoso
della potenza vitale, uno sforzo lussuoso che si profonde a piene mani senza speranza
di ricompensa” per cui non sarebbe possibile “sottometterlo all’unità di peso e
misura, che regola l’usuale remunerazione del lavoro”.
Concretamente invece, lo sport, nelle sue molteplici manifestazioni, risulta anche
figlio del suo tempo e prodotto di quella società del profitto che non esita a servirsene
per il raggiungimento dei suoi traguardi non sempre ideali.
Capita così che lo sportivo possa spogliarsi di quell’aura di misticismo che, spesso
non senza retorica, ne tratteggia un’immagine nobile ed eroica.
Vestiti quindi i panni, forse solo apparentemente più umili di lavoratore
“dell’industria dello sport”, l’atleta, si cala di buon grado nel concreto di una realtà
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Trib. Prima ist. n 23 di Barcellona, 18 novembre 1991; Corte d’Appello prov., 23 marzo 1992 in Riv
Dir Sport 1992, pp. 392 ss.
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che ne riconosce i diritti, offrendogli tutele non dissimili a quelle accordate al
lavoratore comune.
In effetti, lavoro ed attività sportiva sono due fenomeni strettamente collegati.
Infatti nelle moderne società, è il lavoro che con la sua organizzazione permette, da un
certo grado di benessere in poi, lo sviluppo e la pratica di quelle attività, fra cui lo
sport, non strettamente necessarie alla sopravvivenza.
Lo sport, per certi versi però, risulta perfino antecedente al lavoro, se s’intende come
sportivo in senso lato, il cacciatore che si misura con la caccia nella lotta per la
sopravvivenza.
A ben vedere, entrambe le situazioni non fanno altro che rappresentare due facce
differenti della stessa medaglia, il cui il trade union è rappresentato dal
riconoscimento sociale che viene attestato tali attività.
In questo senso, il riconoscimento sul piano lavorativo delle diverse e più svariate
capacità quali quelle sportive, anche quando non strettamente collegate ad un’utilità
contingente, se da un lato segna in maniera ogni giorno più evidente l’approdo ad
una società del lavoro sempre più moderna, per altri versi non fa altro che tradurre in
tutela giuridica quel sentimento di ammirazione che da sempre l’umanità rivolge ai
propri campioni.
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“Vieni anche tu, ospite padre, e in gara cimentati, se eccelli in qualcuna:
hai l’aria di saperne dei giochi.
E certo non c’è gloria maggiore per l’uomo”. Ma Eurialo sfidando l’accorto Odisseo, disse:
”Va, straniero tu non mi sembri un uomo capace nelle gare, come tante ce né fra i mortali”.[…]
Morde l’animo la parola: e tu m’hai irritato, parlando disse Odisseo e, avvolto come era nel manto,
slanciandosi, afferrò un disco, lo roteò e lo scagliò via dalla mano gagliarda.
Fischiò la pietra e si abbassarono a terra i Feaci dai lunghi remi, navigatori famosi, all’impeto di
quella pietra; che passò il segno di tutti, volando rapida via dalla mano;
ne segnò il termine Atena”. (Odissea libro VIII vv.145 n°185)
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