Aggregati familiari e Costituzione (*)

Aggregati familiari e Costituzione (*)
Roberto Di Maria
Professore associato di Diritto costituzionale, Università degli Studi di Enna “Kore”
SOMMARIO: 1. Premessa metodologica - 2. La nozione di “famiglia” elaborata dalla
Assemblea costituente (cenni) - 3. La “famiglia costituzionale”. La famiglia come «società
naturale fondata sul matrimonio»: brevi note sulla ermeneutica giusnaturalista... - 3.1. ...e
giuspositivista - 4. Il dialogo fra Corte costituzionale e giudici comuni: la (parziale) estensio ne della tutela familiare anche alla convivenza more uxorio - 5. Linguaggio costituzionale
ed esperienza sociale: i limiti di legittimità alla normativizzazione delle “unioni omosessua li” - 6. Una sintesi: fra ipotesi di riforma, opinioni dottrinali ed indirizzi giurisprudenziali, la
(presunta) diarchia Stato-U.E.
1. Premessa metodologica
Dalla parallela analisi tanto della giurisprudenza, di legittimità e di merito, quanto della dottrina - sì come sviluppatesi, in Italia, fin dalla entrata in vigore della Costituzione repubblicana pare potersi identificare un filo conduttore essenziale nella disciplina giuridica in materia di diritto di famiglia: la primaria esigenza di assicurare la tutela dei diritti soggettivi dei diversi componenti dell’aggregato familiare. Ed invero - sia che tale tutela fosse stabilita dal Giudice, intanto in
via pretoria, sia che fosse invece conseguenza di un intervento, ex professo, del Legislatore - la
garanzia «delle persone e dei loro diritti» sembra in effetti costituire l’obiettivo attorno al quale si
articola tutto il complesso sistema normativo che regola i rapporti, lato sensu, “familiari” 1.
Nel premesso indirizzo ermeneutico può ritenersi sintetizzato, dunque, il c.d. “principio personalistico” in ragione del quale - giusto il raccordo (implicito) ricorrente fra gli artt. 2
e 29 Cost. - si è ammessa l’inclusione della «famiglia» nelle «formazioni sociali» nell’ambi(*) Il presente contributo è destinato al volume AA.VV., Le relazioni familiari non matrimoniali, a cura di F.
Romeo.
1 L’espressione fra virgolette è ripresa da Corte cost., sent. 494/2002, punto n. 6.1 del considerato in diritto,
a commento della quale si segnala C. M. BIANCA, La Corte costituzionale ha rimosso il divieto di indagini
sulla paternità e maternità di cui all’art. 278, 1° comma, c.c. (ma i figli irriconoscibili rimangono), in Giur. cost.,
2002, p. 4068 ss.. Riguardo al più generale tema del riconoscimento di forme di tutela anche nell’ambito delle
relazioni familiari meramente “fattuali” si rinvia - prima di approfondire il tema, infra § 4 - a SCHLESINGER,
L’unità della famiglia, in Studi sassaresi. Famiglia e società sarda, II, Milano, 1971; SANTORO PASSARELLI, Matrimonio e famiglia, in Saggi diritto civile, Napoli, 1965; SANDULLI, Art. 29 Cost., in Cian - Oppo Trabucchi (a cura di), Commentario alla Costituzione, Padova, 1992.
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to delle quali sono riconosciuti e garantiti i «diritti inviolabili dell’uomo», funzionali proprio a
consentire il pieno svolgimento della «personalità» individuale; sotto questo profilo, infatti,
in dottrina è stato vieppiù affermato che «l’intera serie delle disposizioni costituzionali sulla
famiglia, dal suo riconoscimento alla definizione dei rapporti fra coniugi [...] e tra genitori e
figli [...] deve essere interpretata in armonia con la direttiva di cui all’art. 2 Cost.» 2.
Tale ricostruzione sussegue, tuttavia, ad un ininterrotto dialogo nonché ad un serrato
confronto non soltanto fra giurisprudenza e dottrina - peraltro, non soltanto di matrice giuridica - bensì anche fra giudici comuni e Corte costituzionale, specialmente in ordine al “valore” (giuridico) da attribuire al riconoscimento costituzionale della famiglia ed alla conseguente definizione dei relativi limiti imposti al Legislatore; in tal senso, anzi, la cautela con la quale
(soprattutto) il Giudice delle leggi si è sempre espresso sulle questioni concernenti la regolamentazione normativa delle relazioni familiari parrebbe essere, invero, la concreta traduzione della complessità semantica implicata dalla definizione costituzionale di “famiglia”:
«società naturale fondata sul matrimonio». E tuttavia tale complessità può essere a sua volta
considerata - si ritiene - l’epifenomeno di una questione problematica più generale, ovvero
la configurazione della famiglia come “aggregato sociale” riconducibile o ad un modello unitario o - pur nella «unitarietà della denominazione» - espressivo di «realtà diverse, sotto il
profilo sociale, e, conseguentemente, diversamente qualificate dall’ordinamento» 3.
Non sembra potersi eludere del tutto, in tal senso, la vexata quaestio attinente alla asserita limitazione del riconoscimento costituzionale - e della correlativa garanzia e tutela - al solo
modello familiare che sia formalmente rispecchiato dalla summenzionata locuzione; nonché alla
(conseguente e coerente) determinazione dei vincoli imposti, in materia, al Legislatore 4. E però,
2 Letteralmente BERGONZINI, Art. 29 Cost., in Bartole e Bin, Commentario breve alla Costituzione, Padova,
2008, p. 304. In termini ancor più marcati, in Tratt. Zatti, vol. I, Milano, p. 22, si legge: «è ormai questo [quello personalistico, ndr.] il principio costitutivo della famiglia: il reciproco rispetto della personalità e il reciproco, positivo
sostegno a sviluppare e svolgere la personalità, sono i cardini giuridici del rapporto tra i membri della famiglia».
3 Il virgolettato è tratto da GIACOBBE, Famiglia: molteplicità di modelli o unità categoriale?, in Dir. fam. e
pers., 2006, p. 1219. In particolare l’Autore specifica come il suddetto binomio sia il frutto di «due distinti orientamenti»: uno «ancorato alla tradizione, soprattutto, del Mondo occidentale» che «perviene alla riaffermazione della unitarietà del modello di famiglia [...] come società naturale fondata sul matrimonio»; un altro che
assume invece «come determinante il dato che proviene dalla società civile» e delinea quindi «una molteplicità di modelli tutti riconducibili alla generale ed omnicomprensiva categoria di famiglia».
4 Piuttosto netta appare, sul punto, l’opinione di Giacobbe, per il quale «essendo il modello familiare ancorato - sotto il profilo strettamente giuridico - alla attuazione di una società naturale fondata sul matrimonio, quella diversa aggregazione [“un modello di vita familiare alternativo a quello tradizionale”, ndr.] potrà produrre
effetti giuridici di altra natura, ma non potrà certamente acquisire la qualificazione giuridica di famiglia», arrivando così ad affermare come si debba eliminare «l’equivoco secondo cui dalla considerazione sociologica
che comporta la astratta possibilità di configurare diverse tipologie di famiglia, possa poi pervenirsi, a
Costituzione invariata, alla definizione di un modello di famiglia che non sia compatibile con la scelta effettua ta dal Costituente»; cfr. ibidem, p. 1221 ss.. La letteratura in materia è peraltro copiosa; si rinvia infra - soprattutto §3.1 e 3.2 - per ulteriori e più puntuali riferimenti.
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tale indagine deve altresì muovere dalla obiettiva constatazione della progressiva “inclusione
sociale” di forme alternative - oltre a quella costituzionalmente determinata - di convivenza “familiare” e, dunque, dalla valutazione della ratio sottesa alla (eventuale) estensione di forme di tutela “equivalente” anche ai membri di simili aggregati; il che appare rilevante, vieppiù, in un quadro di tutela sovranazionale - e specialmente, europea - dei “diritti fondamentali” 5.
Per tal motivo, nel presente lavoro s’è intanto ritenuto di ridurre - e dunque analizzare - sotto l’unica definizione “unione di fatto” qualunque forma di convivenza (etero ed omosessuale) che si svolga al di fuori del vincolo coniugale; e ciò sia per mantenersi fedeli alla
intitolazione del lavoro stesso, sia per evitare (potenziali) interferenze con gli ulteriori contributi ivi raccolti.
A fortiori, si è poi scelto di ricostruire i confini (giuridici) di tali “aggregati” mediante la
identificazione delle specifiche forme di tutela dei diritti riconosciute, dall’ordinamento giuridico italiano, ai membri dei medesimi; e ciò, invece, al fine di valorizzare - ben aldilà di
opzioni meramente dogmatiche - il summenzionato “principio personalistico” e rassegnare,
pertanto, un quadro sistematico rigorosamente ancorato alla evoluzione giuridica del fenomeno in oggetto.
2. La nozione di “famiglia” elaborata dalla Assemblea costituente (cenni)
Il co. 1 dell’art. 29 Cost. recita: «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come
società naturale fondata sul matrimonio»; a tale norma “di principio” devono aggiungersi, poi,
le previsioni di cui ai successivi artt. 30 e 31 che - con specifico riferimento, rispettivamente,
sia alla condizione dei “figli di famiglia” sia alla determinazione di «misure economiche e altre
provvidenze» 6 - contribuiscono a definire il quadro costituzionale in materia di “famiglia”.
È stato giustamente osservato in dottrina - ed è comunque percepibile già dal tenore
delle premesse disposizioni - come il «tono della Costituzione italiana» sia, in materia,
alquanto «unico» rispetto a quello adottato nelle altre Costituzioni contemporanee; e ciò
5 Sotto questo profilo ed in (parziale) controtendenza alle considerazioni di G. Giacobbe - così come supra sintetizzate - si veda TOMMASINI, I rapporti personali nella famiglia, in Dir. fam. e pers., 2006, p. 681 ss., per il
quale «cambia l’idea di famiglia fondata sul matrimonio [e] la giurisprudenza ricollega l’unione non formalizzata ad un’idea “naturale di famiglia”, secondo lo stesso significato in cui la formula costituzionale fa riferimento
alla società naturale»; ed anzi, i valori «normativizzati sul piano della Costituzione europea [...] inaugurano una
nuova fase del diritto di famiglia, informata alla rivalutazione del singolo al suo interno e nei confronti dei terzi».
6 Cfr. «è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio.
Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai
figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia
legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità» (art. 30 Cost.); «la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo
gli istituti necessari a tale scopo» (art. 31 Cost.).
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proprio in ragione dell’impegno, ivi assunto, a «garantire, a sostenere e a promuovere la
famiglia» considerata essa stessa, dunque, autonomo «soggetto dei diritti», indipendentemente dai singoli individui che la compongono 7.
Rinviando alle conclusioni (cfr. infra, §6) alcune considerazioni in merito allo speciale
“interesse” mostrato dai Costituenti italiani per l’istituzione familiare, deve intanto rammentarsi come l’iter costituzionale seguito per la definitiva approvazione del succitato testo si
sia articolato nelle seguenti tappe: I Sottocommissione (dal 30 ottobre al 15 novembre
1946); Commissione dei Settantacinque (15 gennaio 1947); Assemblea plenaria (dal 15 al
23 aprile 1947). Lungo l’arco di tale iter, i principali temi di confronto fra l’area di orientamento cattolico, da un lato, e la componente laico-marxista, dall’altro, hanno variamente
riguardato: la definizione (sociale) e la tutela della condizione economica della famiglia; l’eguaglianza dei coniugi e la (eventuale) indissolubilità del matrimonio; la tutela della maternità ed, in specie, il riconoscimento della sua funzione sociale; i diritti della prole, nonché
l’eguaglianza tra figli illegittimi e legittimi 8.
È proprio dal mutuo riconoscimento delle contrapposte istanze ideologiche e culturali
- sottese ai premessi temi - che ha avuto origine, infine, l’attuale formula costituzionale.
Per quanto sintetica, la locuzione utilizzata per definire la “famiglia” appare infatti
densa di significati di natura storica, sociologica, religiosa e - finanche - antropologica, in
relazione ai quali l’interpretazione giuridica sembra essere consequenziale, se non addirittura “servente”; è in tal senso, pertanto, che la menzionata disposizione può essere ritenuta una delle più evidenti testimonianze della natura intrinsecamente “compromissoria” della
Costituzione repubblicana se - come rilevato in dottrina - la relativa formulazione è, invero,
il frutto di un processo «condotto per minimi comuni denominatori delle diverse posizioni»
espresse in Assemblea costituente 9.
In effetti, la conclusiva adesione alla definizione «società naturale» può essere considerata come direttamente conseguente al (condiviso) bisogno di testimoniare la «preesistenza
della famiglia rispetto allo Stato», sì da evidenziare al (futuro) Legislatore «il rapporto di coordinamento tra ordinamento familiare e norme di fonte statale» ed indicargli, altresì, «il limite
7 Cfr. CARTABIA, La famiglia come protagonista della sussidiarietà e la Costituzione italiana, in AA.VV.,
Famiglia e Di.co: una mutazione antropologica?, in Quaderni della sussidiarietà, 2007, p. 59.
8 Per una rassegna dei relativi resoconti, si rinvia al sito www.archivio.camera.it.
9 Letteralmente ZOPPINI e CAGGIA, Art. 29, in Bifulco - Celotto - Olivetti (a cura di), Commentario alla
Costituzione, Vol. I, Torino, 2006, p. 602. In specie, gli Autori indicano nei seguenti, i temi in relazione alla
determinazione dei quali l’Assemblea fu maggiormente impegnata: la definizione di famiglia ed il rapporto fra
l’ordinamento «interno» della stessa e quello giuridico statale; la garanzia dell’istituto matrimoniale e della sua
indissolubilità; la posizione del principio di eguaglianza alla base del vincolo coniugale ed il suo contemperamento con l’unità familiare.
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del suo intervento» 10; in tal senso, dunque, pare quanto mai appropriata l’intuizione dottrinale per cui «nella Costituzione [...] la famiglia rileva non come istituzione posta a fondamento
dei rapporti economici della società, secondo quella concezione di matrice liberale che ispirava il codice civile, né in funzione dei preminenti interessi dello Stato-apparato, ma essenzialmente, secondo la sua realtà originaria, come comunità naturale costituita dall’unione tra un
uomo e una donna, con assunzione di reciproci diritti e doveri mediante il matrimonio, ove si
sviluppa la persona umana in un contesto di reciproca solidarietà tra più generazioni» 11.
Deve però rilevarsi come la premessa espressione sia stata oggetto, altresì, di specifiche «obiezioni di carattere tecnico-giuridico» basate, in specie, sull’accostamento fra «due
entità distinte e diverse» (i.e. la famiglia «entità naturale» e la famiglia «oggetto di diritto»)
nonché sul riconoscimento alla medesima del «carattere giuridico», cui sarebbe inevitabilmente conseguita la perdita del relativo «stato di naturalità» 12.
È in tal senso evidente, allora, come nella (asserita) contraddizione fra la dimensione
spontaneamente sociale e quella artificiosamente giuridica della famiglia pare essersi riprodotta una diatriba di ordine dogmatico, ovvero la classica diarchia giusnaturalismo-giuspositivismo; e tuttavia tali orientamenti, pur assiologicamente divergenti, sembrano comunque
essere stati ricondotti ad unità, in ragione della superiore esigenza - espressa in Assemblea
costituente ed unanimemente rimarcata in dottrina - di evitare, in chiave positivista, «che
un’effimera maggioranza parlamentare, e, peggio, un decreto del potere esecutivo [potessero] scardinare l’istituzione fondamentale della società, che è la famiglia» nonché dall’ulteriore tentativo, in chiave invece naturalistica, di stabilirne «un concetto di immanenza
attraverso il tempo e la storia» 13.
10 Cfr. ibidem, p. 603. Si rinvia ivi, note 7-10, anche per i puntuali riferimenti alle sedute tanto della
Sottocommissione, quanto della Assemblea plenaria. Sul punto cfr. CAVANA, La famiglia nella Costituzione
italiana, in Dir. fam. e pers., 2007, p. 902 ss., il quale riferisce come, all’inizio del dibattito in Assemblea,
Orlando avesse presentato un ordine del giorno «in cui si proponeva la cancellazione degli articoli dedicati
alla famiglia e l’eventuale inserimento di una parte del loro contenuto all’interno di un Preambolo della Carta»
e come «dopo un acceso dibattito, la maggioranza, in cui confluirono i Costituenti cattolici e le Sinistre, [avesse respinto] l’o.d.g.» manifestando così la propria volontà «di inserire la famiglia tra le istituzioni cardine del
nuovo assetto costituzionale, anche nella prospettiva della difficile ricostruzione del tessuto economico e
sociale del Paese, sottolineandone la specifica rilevanza sociale e valoriale».
11 Letteralmente ibidem, p. 902.
12 I virgolettati sono tratti da BERGONZINI, op. cit., p. 302 s. In dottrina, dello stesso tenore le critiche di BIN,
La famiglia alla radice di un ossimoro, in Sudium Iuris, 2000, p. 1066 ss..
13 Letteralmente sempre BERGONZINI, op. cit., p. 303; ugualmente ZOPPINI e CAGGIA, op. cit., p. 603. Sul
punto i menzionati Autori richiamano, altresì, le osservazioni di LAMARQUE, voce Famiglia (dir. cost.), in
Cassese (a cura di), Diz. Dir. pubbl., vol. III, Milano, 2006, p. 2420 ss. Rispetto alla denunciata reductio ad
unum - in particolare, fra formula costituzionale (i.e. diritto naturale) e dettato legislativo (i.e. diritto positivo) paiono di speciale interesse le considerazioni sviluppate da LIPARI, Riflessioni sul matrimonio a trent’anni
dalla riforma del diritto di famiglia, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2005, p. 715 ss..
5
Al fine di comprendere le ragioni sottese sia al superamento delle accennate perplessità sia alla conseguente consacrazione della unitaria definizione costituzionale di
“famiglia”, pare dunque indispensabile sviluppare una (breve) digressione sulla ermeneutica - tanto giusnaturalista, quanto giuspositivista - della relativa nozione, così come
elaborata in sede di interpretazione costituzionale; ciò anche al fine di giustificare l’ulteriore specificazione contenuta nella esaminanda disposizione - ovverosia «fondata
sul matrimonio» - nonché di comprenderne il significato ed il conseguente (eventuale)
“valore vincolante”.
3. La “famiglia costituzionale”. La famiglia come «società naturale fondata sul
matrimonio»: brevi note sulla ermeneutica giusnaturalista...
È un dato costantemente riscontrato in letteratura, che il profilo giusnaturalistico
della definizione costituzionale di “famiglia” sia immediatamente ricavabile dal dato
testuale, laddove si precisa che i «diritti della famiglia» sono oggetto di mero riconosci mento - e non già di attribuzione - da parte della Repubblica: ed infatti «l’uso del verbo
“riconoscere” [...] rimanda a quella visione dell’anteriorità sociale [...] della famiglia
rispetto allo Stato» altresì ricorrente ogniqualvolta in Costituzione s’è inteso «rimarcare l’esistenza di situazioni, rapporti e realtà primarie che precedono la Repubblica
[ovvero] insieme delle articolazioni istituzionali in cui si esprime la comunità politica [...]
sorta di presupposto pre-politico in cui si traduce una visione antropologica di carattere relazionale, in cui, cioè, la persona è colta nel suo naturale svilupparsi e crescere in
quel naturale luogo di affetti e di relazioni solidali» 14; l’evidenziato “primato” (antropologico) della famiglia avrebbe poi trovato coerente e logica conferma - secondo una,
largamente condivisa, opinione dottrinale - nella «matrice meta-giuridica» della formula utilizzata per definirla, la quale «richiamando il concetto di natura [...] rifletteva un’idea di famiglia teorizzata ed accolta nella tradizione giusnaturalista, sia di matrice religiosa che razionalista [...] protesa, in modo molto innovativo per l’epoca, all’aff e r m a z i one di nuovi rapporti familiari informati al principio di eguaglianza tra i coniugi» 15.
Tale suggestiva dimensione “naturalistica” (apparentemente) propugnata nel Testo
costituzionale sembra ulteriormente corroborata, poi, dall’assenza di una corrispondente e
formale definizione civilistica di “famiglia”, asseritamente determinata non già da «mera
casualità o dimenticanza del legislatore, ma [...] da una precisa scelta [ovvero] rinunciare a
definire “un istituto che è pregiuridico, che è sorto prima che il concetto di diritto si isolasse
14 Con l’usuale chiarezza CAVANA, op. cit., p. 902.
15 Ibidem.
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da altri concetti affini, un istituto che [il Codice civile] non può dominare, del quale può soltanto regolare certi aspetti”» 16.
Pare pertanto di potersi affermare, con ragionevole sicurezza, come l’ermeneutica
giusnaturalista abbia elaborato ed inteso affermare il concetto di “priorità” (ontologica) della
famiglia rispetto all’ordinamento giuridico, sì compendiando nella nozione costituzionale di
“famiglia” - i.e. «società naturale» - il principio (antropologico) cristallizzato nel noto binomio
ubi societas ibi ius, ovvero la natura “derivata” del diritto rispetto alle relazioni interpersonali, finanche di matrice familiare.
In ragione di quanto rilevato, quindi, il contributo giusnaturalista alla interpretazione
della rammentata formula costituzionale può essere sintetizzato nei seguenti termini: «la
famiglia è individuata come una comunità “naturale”, ossia dotata di una propria peculiare
fisionomia di carattere meta-giuridico, radicata in una ben determinata concezione antropologica della persona e in una secolare tradizione storico-giuridica, e, come tale, sottratta al
potere condizionante del legislatore, tenuto a rispettarne l’intima natura» 17.
Sotto questo profilo, pertanto, il richiamo tanto all’istituto matrimoniale «come suo fonda mento normativo» quanto al principio di “eguaglianza morale e giuridica dei coniugi” (cfr. art. 29
Cost., co. 2) avrebbe avuto lo scopo di consentire il futuro intervento del Legislatore soltanto «al
fine di introdurre all’interno di tale struttura originaria (o “archetipo”), e nel rispetto dei suoi caratteri essenziali, quei necessari adattamenti resi necessari dalla tutela dei diritti individuali [...] e
dall’evoluzione sociale e culturale del Paese» 18; ed a conferma di ciò, peraltro, la (diffusa) opinione dottrinale che ritiene proprio l’espressa menzione del “matrimonio” costituire, invero, un
vincolo esplicito opposto al Legislatore ordinario per «non consentire altri modelli familiari» 19,
ovvero per escludere «sia il riconoscimento della famiglia naturale da cui sorgono vincoli analoghi a quelli che derivano dal matrimonio, ma di natura diversa, sia, ed a maggior ragione, di unioni o famiglie improntate a schemi diversi da quelli del matrimonio, sia infine l’ammissibilità nell’ordinamento giuridico di tipi di matrimonio diversi dal matrimonio previsto dalla Costituzione» 20.
16 In tal senso PROSPERI, La famiglia nell’ordinamento giuridico, in Dir. fam. e pers., 2008, p. 790 ss. (corsivo aggiunto). L’Autore cita, incidentalmente, la nota immagine della famiglia «come un’isola che il mare del
diritto può lambire soltanto, essendo la sua intima essenza metagiuridica» di JEMOLO, La famiglia e il dirit to, in Ann. Sem. Giur. Univ. Catania, 3, 1949, p. 38 ss..
17 Cfr. CAVANA, op. cit., p. 904.
18 Ibidem (corsivo aggiunto).
19 Cfr. PROSPERI, op. cit., p. 791.
20 Cfr. PULEO, Concetto di famiglia e rilevanza della famiglia naturale, in Riv. dir. civ., 1979, I, p. 380 ss.. Alla
su richiamata corrente d’opinione devono essere iscritti, altresì, GRASSETTI, I principi costituzionali relativi
al diritto di famiglia, in Calamandrei e Levi (a cura di), Commentario sistematico alla Costituzione italiana,
Roma, 1950; STELLA RICHTER, Aspetti civilistici del concubinato, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1965, p. 1123
ss.; DE CUPIS, Il concubinato nel diritto privato, in Foro pad., 1961, p. 1975 ss.; TRABUCCHI, Morte della
famiglia o famiglia senza famiglia?, in Riv. dir. civ., 1988, I, p. 19 ss..
7
In ultima analisi, dunque, la ricostruzione del sistema normativo familiare - sì come
elaborata da tale parte della dottrina - parrebbe escludere in limine la «equiparazione» tra
la «formazione sociale famiglia quale risulta definita dalla Costituzione» ed i diversi modelli di «aggregazione sociale», pur se univocamente basati «su quella che romanisticamente
potrebbe definirsi affectio maritalis» 21; il che però, per espressa ammissione del medesimo
indirizzo dottrinale, non escluderebbe altresì la «legittimazione legislativa» delle premesse
«aggregazioni intersoggettive» - in specie, mediante «strumenti di diritto privato, definiti nell’ambito delle categorie, tipizzate o meno del codice civile» - finalizzata al conseguimento
di effetti giuridici «determinati» e funzionali alla tutela di «interessi» di ordine sia individuale, sia collettivo 22.
Ed è dunque in tal senso che - in materia di “diritto (costituzionale) di famiglia” ermeneutica giusnaturalista e giuspositivista sembrano comunque complementari,
aldilà della (apparente) diarchia fra dimensione pubblicistica e privatistica della relativa disciplina normativa.
3.1. ... e giuspositivista
È invece dalla perdurante assenza, nella legislazione ordinaria, di una generale definizione di “famiglia” e “matrimonio” che dovrebbe dedursi - secondo l’opinione espressa da
altra parte della dottrina - la rilevanza per l’ordinamento giuridico, piuttosto che della “famiglia” in sé, soltanto della posizione assunta dai singoli individui nell’ambito dei diversi rapporti familiari, oggetto di specifica regolamentazione 23; il che suggerirebbe vieppiù la sostituzione, ovvero l’aggiornamento, della già richiamata immagine della famiglia come «un’isola» (Jemolo, 1949; cfr. ivi, nota 14) con la più attuale rappresentazione della medesima
alla stregua di un «arcipelago», proprio in ragione della evoluzione del “diritto di famiglia”
nel senso dei “diritti dei familiari” 24.
Invero, nella prospettiva giuspositivista, il concetto di “famiglia” pare perdere il «carattere di unitarietà e compattezza» che contrassegna la formula costituzionale; e ciò proprio
per effetto del progressivo riconoscimento di svariate forme di tutela giuridica che - pur spe-
21 In tal senso G. GIACOBBE, op. cit., p. 1220.
22 Ibidem. Sul punto l’Autore richiama il pensiero di Jemolo, per il quale «l’ordinamento può lambire la realtà
familiare, ma non può inserirsi in essa».
23 In particolare v. PINO, Il diritto di famiglia, Padova, 1977, p. 14 ss.; analogamente ROPPO, Il giudice nel
conflitto coniugale. La famiglia tra autonomia e interventi pubblici, Bologna, 1981, p. 67 ss..
24 L’immagine della “famiglia-arcipelago” è di BUSNELLI, La famiglia e l’arcipelago familiare, in Scalisi (a cura
di), Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia, Milano, 2004, p. 521 ss.. Sulla ricorrente “pluralità” dei
modelli familiari v. anche SCALISI, La “famiglia” e le “famiglie”, in AA.VV., La riforma del diritto di famiglia 10
anni dopo. Bilanci e prospettive, Padova, 1986, p. 274 ss..
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cificamente elaborate ed indirizzate nei confronti della «persona umana, valore di vertice
dell’intero ordinamento» - inevitabilmente si estendono ed influenzano anche le interrelazioni sociali (i.e. «unioni non fondate sul matrimonio») di cui tali soggetti si rendono protagonisti 25. Alla luce di tale evoluzione, si arriva dunque ad affermare che «le regole di prote zione dei diritti fondamentali non trovano ostacolo nell’ambito della famiglia, ma entrano a
pieno titolo a permeare la vita familiare» e che «nella configurazione personalistica del
sistema che si manifesta nella tutela di nuovi e tradizionali diritti vanno reinterpretati e rivisitati i contenuti dei rapporti personali» 26.
È dunque nel rispetto del già menzionato “principio personalistico” (cfr. supra, §1) che
la famiglia «come formazione sociale» assume rilevanza normativa, perlomeno secondo la
premessa interpretazione della definizione costituzionale: «il gruppo non è idoneo a spiegare in se stesso la ragione del suo esistere, ma il suo esistere rileva se caratterizzato funzionalmente nei confronti dell’individuo» e tale rilevanza «non è dovuta ad astratti o presunti valori immanenti alla famiglia in sé considerata [...] ma al suo porsi quale strumento di
tutela dell’individuo, e in ragione del suo essere per l’individuo luogo privilegiato e necessario alla sua realizzazione fisica, psichica e sociale» 27.
La critica giuspositivista alla concezione giusnaturalista della “famiglia” - «dotata di
diritti innati, anteriori e superiori a qualsiasi legge positiva [e dunque] destinata a realizzarsi in modo autonomo e prioritario rispetto allo Stato e all’ordinamento giuridico [che] avrebbe il solo compito di attribuirle il carattere della giuridicità e di riconoscerne i diritti, disponendone la tutela» 28 - si esprime allora, principalmente, nel rifiuto di un modello di famiglia
«precostituito, che lo Stato deve [ovvero dovrebbe, ndr.] rispettare»; in specie, l’ordinamento non dovrebbe privilegiare o selezionare «una specifica forma o uno specifico contenuto
del rapporto familiare» bensì soltanto garantire «il rispetto di un’esigenza personalistica»
ovvero assicurare «il diritto della famiglia a pretendere dallo Stato il compimento di tutti que25 Cfr. TOMMASINI, op. cit., p. 682.
26 Ibidem.
27 Cfr. SCALISI, La famiglia nella cultura del nostro tempo, in Dir. fam. e pers., 2002, p. 701 ss.. Più in particolare l’Autore osserva: «le formazioni sociali si identificano quali strumenti necessari ad un pieno ed integrale sviluppo della persona umana: necessari perché l’uomo per realizzare il suo essere non può fare a meno
del rapporto con gli altri, dell’interazione sociale». Nello stesso senso si vedano, altresì, PERLINGIERI, La
personalità umana nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1972, p. 145 ss.; BARBERA, Principi fondamentali. Artt.
1-12, in Branca e Pizzorusso (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna-Roma, 1975, p. 92 ss.; CRISAFULLI, Individuo e società nella Costituzione italiana, in Dir. lav., 1951, I, p. 76 ss.; PROSPERI, La fami glia non fondata sul matrimonio, Napoli, 1980; VISMARA, L’unità della famiglia nella storia del diritto in Italia,
in Studi et documenta historiae et iuris, 1956, p. 265 ss. In altri termini «l’uomo non è per la famiglia ma la
famiglia è per l’uomo»: SCALISI, La “famiglia” e le “famiglie”, in Studi catanzaresi in onore di A. Falzea, Napoli,
1987, p. 431 ss..
28 Cfr. JEMOLO, La famiglia e il diritto, cit., p. 38.
9
gli interventi necessari per rendere possibile ed effettivo al singolo il suo realizzarsi come
persona all’interno della struttura familiare» 29.
Tale orientamento ermeneutico risulta efficacemente compendiato, dunque, nella
seguente ed autorevole sintesi dottrinale: la “famiglia” è «un nucleo di persone che condividono un reciproco impegno di cure e di affetto, di attenzione e di solidarietà, determinato dal
costume e dal modo di vivere proprio della società, che acquista rilievo diverso e autonomo
rispetto a tutte le altre forme associative presenti nella società, e a cui l’ordine giuridico affi da compiti educativi, oltre che di mantenimento, dei propri membri, nonché una funzione
socializzante che consenta la realizzazione e la promozione della persona umana» 30.
Appare così evidente come la dimensione strettamente giuridica della “famiglia” sia
deducibile, in effetti, proprio dalla speciale attenzione che la Costituzione riserva alle «formazioni sociali» in quanto «strumento di realizzazione» dei «valori essenziali della persona»; e pertanto, nell’ermeneutica giuspositivista, la formula di cui al citato art. 29 esprime
un «rapporto di implicazione, o di equivalenza sostanziale, fra “i diritti della famiglia” e “i
diritti dei membri della famiglia”» 31.
In ordine alle superiori considerazioni, dunque, la diarchia giusnaturalismo-giuspositivismo sembrerebbe appuntarsi sulla misura - ovvero sulla ammissibilità - dell’intervento del
Legislatore nei confronti della “famiglia” e, di conseguenza, sul possibile condizionamento
della sua «esistenza giuridica»: ed infatti «secondo un primo orientamento di pensiero [...]
lo Stato [...] riconoscerebbe come struttura giuridica piena solo la famiglia legittima, cioè la
famiglia fondata sul matrimonio» laddove, secondo un altro orientamento, «a segnare la
rilevanza della famiglia non può che essere il proposito di due persone di sesso diverso di
realizzare una comunanza di intenti e di interessi che attui una piena comunione di vita
materiale e spirituale tra gli stessi [sicché] la tutela costituzionale accordata alla famiglia
legittima non è di tipo esclusivo, dovendosi estendere a tutte quelle formazioni sociali a
carattere familiare che mostrano concretamente di costituire utili strumenti di tutela e realizzazione dei valori della personalità dei suoi membri» 32.
29 Cfr. SCALISI, La famiglia nella cultura, cit., p. 702. Sul punto si veda anche PULEO, op. cit., p. 385 (corsivi aggiunti).
30 Cfr. SCALISI, La famiglia nella cultura, cit., p. 703 (corsivi aggiunti).
31 P. BARCELLONA, voce Famiglia (dir. civ.), in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 779 ss..
32 SCALISI, La famiglia nella cultura, cit., p. 705 (corsivo aggiunto); sui menzionati orientamenti si vedano,
da un lato, TRABUCCHI, Natura, legge, famiglia, in Riv. dir. civ., 1977, I, p. 1 s.; ID., E così, la famiglia con serva ancora un suo valore nell’ordine civile!, in Riv. dir. civ., 1980, p. 234 ss.; GRASSETTI, Famiglia (dir.
priv.), in Nov. Dig. it., VII, Torino, 1961, p. 50 ss.; d’altro lato, ROPPO, La famiglia senza matrimonio. Diritto e
non-diritto nella fenomenologia delle libere unioni, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1980, p. 28 ss..
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Sotto questo profilo, il fulcro attorno cui ruota l’ermeneutica costituzionale della famiglia pare allora essere costituito dall’endiadi «fondata sul matrimonio» ovvero sul valore che
a tale istituto è stato riconosciuto, rispetto alla struttura (giuridica) della famiglia medesima.
4. Il dialogo fra Corte costituzionale e giudici comuni: la (parziale) estensione
della tutela familiare anche alla convivenza more uxorio
Rispetto alla enucleazione della nozione costituzionale di “famiglia”, gli indirizzi culturali di matrice sia giusnaturalista sia giuspositivista sembrano trovare la propria sintesi
(semantica) nell’univoco richiamo - contenuto nell’art. 29 - tanto alla dimensione sociale
quanto a quella ordinamentale: «società naturale fondata sul matrimonio»; la “priorità”
naturalistica della “formazione sociale” familiare sarebbe giuridicamente mediata ed istituzionalizzata, infatti, dalla sua “immissione” nell’ordinamento statale per il tramite dell’istituto matrimoniale.
È probabilmente questa la ragione per cui s’è ritenuto, storicamente, che nella
citata disposizione il Costituente avesse espresso una «una precisa scelta preferenziale, in ragione anche delle maggior garanzie di certezza e stabilità del vincolo coniugale, per la famiglia legittima, attribuendo a tale nucleo una posizione di preminenza o
preferenza rispetto ad altre forme del convivere avente natura familiare» 33; ed infatti come ulteriormente affermato da autorevole dottrina - «comunità ed unioni extramatrimoniali sono istituti, mentre il matrimonio, pur contestato e ridimensionato e percorso
da inquietudini, rimane l’istituzione» 34.
È sotto questo profilo, quindi, che s’è posto il problema della possibile tutela - ovvero della matrice costituzionale della tutela - a favore delle relazioni para-familiari, esorbitanti i confini dell’istituto matrimoniale; e, sul punto, più delle speculazioni dottrinali e dell’iniziativa legislativa, appare invero determinante il contributo offerto dalla giurisprudenza, frutto del costante dialogo fra Corte costituzionale e giudici comuni. Ed in effetti, ben
prima della introduzione della c.d. “legge sul divorzio” (l. 898/1970) e della complessiva
riforma del diritto di famiglia (l. 151/1975) l’ordinamento giuridico italiano aveva conosciuto alcune forme di tutela della c.d. “convivenza more uxorio”; tuttavia - proprio in applicazione del già menzionato “principio personalistico” - si trattava, essenzialmente, di provvedimenti normativi e giurisdizionali finalizzati a garantire l’estensione ed il godimento di
33 Letteralmente SCALISI, La famiglia nella cultura, cit., p. 710 (corsivi aggiunti). Nello stesso senso cfr. LOMBARDI, La famiglia nell’ordinamento italiano, in Iustitia, 1965, p. 3 ss..
34 Cfr. RESCIGNO, Il diritto di famiglia a un ventennio dalla riforma, in Riv. dir. civ., 1998, I, p. 117 (corsivo
aggiunto). Si veda anche SCHLESINGER, op. cit..
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alcuni diritti soggettivi ai membri delle suddette forme di consorzio para-familiare, limitatamente a specifici rapporti di diritto privato 35.
Le relative garanzie costituivano, pertanto, rimedi contingenti approntati o in sede giudiziaria - spesso frutto dei primi casi di “applicazione diretta” delle norme costituzionali da
parte dei giudici ordinari - o in leggi speciali, destinati a tutelare situazioni giuridiche soggettive a titolo soltanto individuale - piuttosto che in funzione del vincolo para-coniugale,
nell’ambito del quale fosse stata dedotta la fattispecie (ritenuta) meritevole di tutela giuridica - e comunque scaturiti da rationes tra loro «così eterogenee [...] da non poters[ene]
dedurre un quadro sistematico di principi» 36.
L’evidente «attivismo» dei giudici comuni nel sollevare questioni di legittimità costituzionale finalizzate all’estensione della relativa tutela dal singolo “individuo” al “consorzio
para-familiare” si basava, essenzialmente, sulle disposizioni di cui all’art. 2 Cost.: la (più
ampia) garanzia assicurata ai «diritti inviolabili dell’uomo [anche] nelle formazioni sociali
ove si svolge la sua personalità» poteva infatti consentire ai giudici di valutare - nell’ambito delle diverse fattispecie sottoposte alla loro cognizione - se ed in che misura l’applicazione delle norme attributive di diritti alla c.d. “famiglia legittima” potesse essere allargata
anche ai conviventi; ciò, in particolare, mediante la decodificazione della ratio e della natura delle norme stesse, se cioè orientate alla tutela degli elementi solamente formali o non
anche sostanziali della fattispecie in esame 37.
35 Ad esempio in materia di locazione cfr. Trib. Firenze, 13 febbraio 1950; Pret. Pordenone, 7 dicembre
1950. Peraltro, nel rispetto del medesimo principio, a tali provvedimenti si sarebbe poi aggiunto il progressivo emendamento dell’ordinamento giuridico italiano da tutte le disposizioni che ancora tradivano - in qualche misura - un differente, ed irragionevolmente discriminatorio, trattamento fra i coniugi: in materia di adulterio, di mantenimento della moglie a carico del marito, di (non) utilizzo del cognome maritale da parte della
moglie separata, di (divieto di) donazione fra coniugi (cfr. rispettivamente Corte cost., sentt. 147/1969, 128
e 133/1970, 91/1973).
36 In tal senso PIGNATELLI, La convivenza «senza matrimonio» nella giurisprudenza costituzionale, in
Calvieri (a cura di), Divieto di discriminazione e giurisprudenza costituzionale, Torino, 2006, p. 182 e ss., che
parla infatti di risposte «rapsodiche» al «problema della rilevanza giuridica della convivenza “senza matrimonio”»; tra i suddetti provvedimenti normativi l’Autore rammenta, in particolare, la l. 354/1975 (art. 30) che riconosce al detenuto il permesso per assentarsi dal carcere per prestare assistenza al proprio convivente; la l.
91/1999 (art. 3) che stabilisce l’obbligo di informazioni, sulle opportunità terapeutiche per le persone in attesa di trapianto, al coniuge non separato e al convivente more uxorio; la l. 53/2000 (art. 49) che riconosce al
convivente stabile - come risultante da certificazione anagrafica - la facoltà di assentarsi dal lavoro in caso di
decesso dell’altro o per la necessità di assistere il partner infermo; la l. 149/2001, che ha assimilato alla convivenza post-matrimoniale il periodo durante il quale i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio, ai fini del riconoscimento dell’idoneità all’adozione (cfr. DOGLIOTTI, Famiglia di
fatto, in Dig. disc. priv., VIII, Torino, 1992, p. 193 ss.). Sul punto si veda anche BESSONE, Commento all’art.
29 Cost., in Branca e Pizzorusso (a cura di), cit., pp. 1-8.
37 In dottrina cfr. C. M. BIANCA, Diritto civile, II, La famiglia e le successioni, Milano, 1989, e P. BARCELLONA, op. cit.; in giurisprudenza cfr., per tutte, Corte cost., SENT. 404/1988. L’espressione «attivismo» riferita ai
giudici comuni è di PIGNATELLI, op. cit., p. 183.
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È stato allora a fronte di tale escamotage interpretativo, che è sorto un conflitto giurisdizionale (o meglio, un processo dialettico) fra “emersione del fatto” - i.e. l’esistenza sul piano
sociale di modelli diversi dalla famiglia matrimoniale - e “giudizio di valore” - i.e. il riconoscimento di una tutela giuridica - in quanto l’estensione delle garanzie già assicurate al modello
“tradizionale” di famiglia alle ulteriori forme di convivenza para-familiare avrebbe comunque
presupposto la compatibilità fra i suddetti modelli, perlomeno in ordine alla identificazione di
alcuni requisiti minimi e tipici 38; ed è proprio in ordine alla concreta definizione di tali requisiti
- i.e. la spontanea convivenza, la solidarietà reciproca, il mutuo sostegno economico, etc. che deve ritenersi determinante il contributo offerto dalla giurisprudenza costituzionale.
Come evidenziato da attenta dottrina, la Consulta ha dovuto prevalentemente rispondere a richieste di pronunce additive, formulate dai giudici a quibus «per le omissioni di
quelle norme che tutelano i conviventi accanto ai coniugi» limitando la propria funzione di
supplenza, tuttavia, alla sola ricostruzione di un «quadro coerente di principi» e ribadendo
invece, costantemente, gli «appelli al legislatore» 39.
Nell’ambito della premessa operazione ermeneutica pare possibile isolare - in rapida sintesi - tre differenti gruppi di pronunce, ordinate rispetto alla “categoria” o “tipologia” di diritti tutelati: al primo gruppo appartengono le sentenze finalizzate a rimuovere gli impedimenti alla forma-
38 Come già sostenuto altrove - cfr. DI MARIA, Corte costituzionale e famiglia: brevi note ricostruttive e spun ti critici, in www.norma.dbi.it. - l’intrinseco rischio emergente dalla valutazione di tali elementi di fatto è il «premettere alla applicazione delle norme di diritto ed alla estensione della conseguente tutela giuridica un sistema di valori in base alla gerarchia dei quali interpretare le medesime norme». Per tal motivo la dottrina e la
giurisprudenza, univocamente, hanno adottato un approccio ermeneutico per cui la nozione “giuridica” di famiglia è un “prodotto storico-sociale”, sì interpretando come «indice di delegittimazione sociale l’eventuale contraddizione fra modello legale paradigmatico e modello concreto»; la verifica della summenzionata compatibilità si attua, pertanto, mediante la ricomprensione dei rapporti interpersonali entro i confini del paradigma
legale, alcuni degli elementi tipici del quale siano comunque presenti nei medesimi. Sul punto CAGGIA e
ZOPPINI, op. cit., p. 608.
39 Da qui la «natura “omogenea”» della struttura del giudizio costituzionale, ma anche una «logica di giudizio» che deriva da evidenti «vuoti normativi di regolamentazione ancor prima che di tutela del fenomeno della
convivenza “senza matrimonio”» (letteralmente PIGNATELLI, op. cit., p. 185, che cita Corte cost., sent.
6/1977: «de iure condendo la normale presenza di quegli interessi non dovrebbe rimanere senza una tutela
per le dette situazioni omesse ed in particolare per quella che ricorre nella specie. E sarebbe, quindi, compito del legislatore di valutare, per detti interessi, l’importanza e la diffusione»).Vuoti normativi - sostiene sempre l’Autore - «accentuati da una raccomandazione del Parlamento europeo (16 marzo 2000) che “chiede agli
Stati” di “garantire” alle “coppie non spostate e alle coppie dello stesso sesso parità di diritti rispetto alle coppie e alle famiglie tradizionali, in particolare in materia di legislazione fiscale, regime patrimoniale e diritti
sociali”» (in merito cfr. CALÒ, Dalla famiglia di fatto al piccolo matrimonio: un diritto comunitario della fami glia?, in Contr. e impr., 2000, p. 676 ss.) nonché «dalla scelta politica di molti Stati europei di adottare una
disciplina normativa per le forme di convivenza al di fuori dell’istituzione matrimoniale (in merito cfr. ASPREA,
La famiglia di fatto, Milano, 2003; CARICATO, La legge tedesca sulle convivenze “registrate”, in Familia,
2002, p. 501 ss.; PICCALUGA, Famiglia di fatto e contratto: il pacte civil de solidaritè, in Contr. e impr., 2002,
p. 115 ss.; WASMUTH, La convivenza registrata tra persone dello stesso sesso in Germania e l’orientamen to giurisprudenziale della Corte costituzionale tedesca, in Familia, 2003, p. 503 ss.).
13
zione di nuclei familiari - i.e. l’eliminazione dell’originario divieto di donazioni fra coniugi; l’estensione al padre del diritto alla astensione dal lavoro già attribuito alle lavoratrici madri, laddove
fosse venuta a mancare l’assistenza di quest’ultima; la rimozione della norma che imponeva di
non avere prole per l’assunzione di certi impieghi o incarichi pubblici 40 - al secondo gruppo appartengono, invece, le sentenze dirette a tutelare i figli nati fuori del matrimonio - i.e. l’ammissione del
concorso tra figli naturali ed ascendenti legittimi nella successione del genitore, in mancanza di
figli legittimi e del coniuge; l’estensione della successione legittima a fratelli e sorelle naturali riconosciuti, in mancanza di altri successibili; la legittimità dell’istituto della “legittimazione giudiziaria”
del figlio naturale concepito in costanza di matrimonio, da colui che sia unito in matrimonio con
altra persona
41
- ed al terzo gruppo appartengono, infine, proprio le sentenze con cui la Corte
costituzionale si pronunciava in merito alla distinzione fra famiglia legittima e convivenza di fatto.
E però - rispetto alle “aperture” rinvenibili nei primi due gruppi di pronunce, apparentemente
espressione di una tendenza “evolutiva” della ermeneutica costituzionale relativa ai rapporti
(para)familiari - dal terzo gruppo di pronunce può ricavarsi un orientamento, invece, piuttosto “chiuso” e pressoché costante della Corte costituzionale, per la quale il rapporto coniugale implica una
serie di potenzialità che comunque non si esauriscono nel mero “dato materiale” della convivenza
accompagnato dall’affectio, pur verificabile anche nel rapporto more uxorio: in specie i diritti ed i
doveri «inerenti al matrimonio» si caratterizzerebbero «per la certezza e la disciplina legale del rapporto su cui si fondano» cui indi conseguirebbe «la non omogeneità delle due situazioni» 42.
40 Cfr. Corte cost., sentt. 91/1974; 1/1987; 374 e 369/1989; 187, 250 e 332/2000. Minimo comune denominatore dell’indirizzo giurisprudenziale sotteso a tali pronunce era la riaffermazione dei valori costituzionali che
informano i rapporti familiari: il principio di eguaglianza dei coniugi, ribadito non soltanto in termini negativi ovvero come divieto di discriminazioni - ma altresì in termini positivi - ovvero come difesa della “specificità
femminile” - funzionale a garantire alla donna di conciliare le cure familiari con quelle del lavoro; la costituzione di un valido vincolo familiare mediante l’inibizione di iniziative fraudolente, preordinate alla sola realizzazione di meri vantaggi economici; il diritto alla libertà di contrarre matrimonio quomodolibet e la connessa tutela della sfera privata e familiare.
41 Cfr. Corte cost., sentt. 50/1974, 97/1979 e 184/1989. In tali pronunce si esprimeva il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, orientata ad eliminare - compatibilmente con i diritti della famiglia “legittima” - posizioni giuridicamente (e socialmente) deteriori dei figli illegittimi, consentendo loro di acquisire l’eredità lasciata da un fratello o da una sorella naturale - sempre che unico sia il genitore - in mancanza di
parenti legittimi impedendo, in tal modo, che i beni ereditari pervenissero allo Stato e riconoscendo, così, valore giuridico a vincoli di sangue pur non consacrati in un vero e proprio rapporto di parentela.
42 Parafrasando Corte cost., sentt. 59/1988; 310/1989; 2 e 166/1998; 352/2000; rispettivamente in tema di
diritto a subentrare (in caso di cessazione della convivenza) nell’assegnazione dell’alloggio appartenente
all’edilizia residenziale pubblica, di assegnazione della casa in relazione all’art. 155 c.c., di non punibilità dei
fatti previsti dal titolo XIII del libro II c.p., commessi in danno del convivente more uxorio. In specie, tanto la
Corte costituzionale (cfr. sent. 372/1994) quanto la Corte di Cassazione (cfr. sent. n. 2988/1994) affermavano, parallelamente, come famiglia “in senso stretto” fosse soltanto quella tradotta nel matrimonio, definendo
invece le tipologie alternative come “parafamiliari” «dovendo così dedursi che nel nostro ordinamento non
possa parlarsi di famiglie ma più semplicemente di famiglia (quella fondata sul matrimonio) e di formazioni
che a quella somigliano soltanto (parafamiliari)»; in tal senso sempre PIGNATELLI, op. cit., p. 189.
14
In tal senso pare confermata, dunque, l’asserzione per cui il riconoscimento di
tutele - già patrimonio della famiglia “legittima” - anche oltre i rapporti strettamente inerenti la medesima, sia stata invero la conseguenza (diretta) della enucleazione del
richiamato “principio personalistico”, ossia della attribuzione dei relativi diritti in capo ad
individui, soggetti di diritto, uti singuli e non invece - se non indirettamente, ex art. 2
Cost. - nella loro qualità di membri, altresì, di una “formazione sociale”. E da ciò un’ulteriore considerazione, ovvero che - rispetto al summenzionato conflitto fra “emersione
del fatto” e “giudizi di valore” - assume rilievo semantico decisivo la formula utilizzata
nel Testo costituzionale (cfr. artt. 29 e 31) la quale sembrerebbe giustificare e legittimare, almeno apparentemente, un trattamento differenziato fra unioni “coniugali” e “di
fatto”, proprio in ragione del diverso “riconoscimento” che ricevono dall’ordinamento
giuridico tali “formazioni sociali” 43: l’una - la famiglia fondata sul matrimonio - oggetto
di una tutela specifica; l’altra - la famiglia non fondata sul matrimonio - oggetto invece
di una t u t e l a soltanto riflessa, in quanto d e r i v a t a dalla fondamentale esigenza di garantire lo “svolgimento della personalità” individuale dei suoi componenti.
Volendo sintetizzare, sul punto, si può affermare - parafrasando la già menzionata dottrina - che la valorizzazione (giurisprudenziale) dell’art. 2 Cost. consente di individuare «un
livello “minimo” di tutela, limitato ai diritti inviolabili, assai distante da quel livello “massimo”
(premiale), prodotto del combinato disposto degli art. 29 e 31 Cost.»; ovverosia «un livello
di tutela “leggero” che risponde alla volontà autonomista della coppia di sottrarsi alla disciplina più invasiva del codice civile» 44.
È dunque il linguaggio costituzionale - ovverosia la scelta originariamente operata dai
Costituenti, in sede di drafting (cfr. supra, §2) - che pare rappresentare, ex se, ostacolo
insormontabile ad una equiparazione delle due premesse tipologie di unioni, dovendosi
invece ancora ritenere l’istituto matrimoniale effettivo presupposto di discriminazione (giuridica) fra tali fenomeni sociali: come affermato, infatti, da autorevole dottrina «il collegamento fra famiglia naturale e matrimonio sta a indicare che i redattori dell’art. 29 Cost. non
distinguevano tra aggregato naturale e vincolo giuridico matrimoniale, e che non pensavano affatto che “vi potessero essere modelli “naturali” di famiglia alternativi a quelli ricondu-
43 Sul punto cfr. Corte cost., ord. 204/2003, nella quale si ribadisce che «la convivenza more uxorio, basata
sulla affectio quotidiana, liberamente ed in ogni istante revocabile, presenta caratteristiche così profondamente diverse dal rapporto coniugale da impedire l’automatica assimilazione delle due situazioni al fine di desumerne l’esigenza costituzionale di una parificazione di trattamento».
44 Cfr. PIGNATELLI, op. cit., p. 190 L’Autore cita Corte cost., SENTT. 237/1986 ed 8/1996, nelle quali si precisa appunto come «tenendo distinta l’una dall’altra forma di vita comune tra uomo e donna, si rende possi bile riconoscere ad entrambe la loro propria specifica dignità».
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cibili al matrimonio civile” come suo fondamento» 45; in altri termini - pur non potendosi
negare la rilevanza giuridica della convivenza more uxorio «almeno in tutti i casi in cui la
convivenza stessa e la relativa struttura associativa presentino i caratteri di una stabile e
seria comunione di vita materiale e spirituale realizzata» - la costante giurisprudenza costituzionale, modellata sulla formulazione letterale dell’art. 29 Cost., pare confermare l’orientamento dottrinale per il quale «comunità ed unioni extramatrimoniali sono istituti, mentre il
matrimonio, pur contestato e ridimensionato e percorso da inquietudini, rimane l’istituzione»
sì ribadendo, altresì, la «precisa scelta preferenziale» per la famiglia legittima rispetto alle
altre forme del convivere aventi natura familiare, basata proprio sulle «maggior garanzie di
certezza e stabilità» offerte dal vincolo coniugale 46.
In ragione di tale, consolidato, indirizzo interpretativo - nonché in assenza di una
effettiva prospettiva di riforma, in via legislativa o pretoria - il dibattito, tanto dottrinale quanto politico, si è dunque progressivamente spostato su un differente piano ermeneutico: l’ammissibilità (costituzionale) di unioni coniugali diverse da quella eterosessuale ovvero, in particolare, la possibilità di comprendere - entro l’univoca e formale definizione (civilistica) di
“matrimonio” - anche le coppie omosessuali; con la conseguente estensione alle medesime, quindi, delle garanzie specificamente previste per la famiglia “legittima” 47.
45 Letteralmente BORDONALI, Il matrimonio tra conservazione, evoluzione e fughe in avanti, in Dir. fam. e
pers., 2011, p. 559; al medesimo contributo si rinvia, altresì, per una sintetica - quanto efficace - ricostruzione storica dell’istituto matrimoniale (cfr. p. 569-571) e della sua immissione nell’ordinamento giuridico italiano
(cfr. p. 558-561). Da segnalare, ivi, anche le citazioni di RUGGERI, Idee sulla famiglia e teoria (e strategia)
della Costituzione, in www.forumcostituzionale.it.
46 Cfr. SCALISI, La famiglia nella cultura, cit., p. 705, che cita anche RESCIGNO, Il diritto di famiglia a un venten nio dalla riforma, in Riv. dir. civ., 1998, I, p. 117 ss., BARILE, La famiglia di fatto. Osservazioni di un costituzionali sta, in Atti del Convegno di Pontremoli, 27-30 maggio 1976, su La famiglia di fatto, p. 51 s.. Quanto alla rilevanza
delle c.d. “libere unioni” si segnala, in giurisprudenza, Corte cost., sent. 6/1977 e 404/1988, a commento delle quali
si veda SEGRETO, Il convivente more uxorio nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Dir. fam. e pers.,
1989, p. 823 ss.. Sempre in dottrina si vedano anche PROSPERI, La famiglia non fondata sul matrimonio, Napoli,
1980; F. GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983; D’ANGELO, La famiglia di fatto, in Cian Oppo - Trabucchi (a cura di), Commentario al diritto italiano della famiglia, Padova, 1993, vol. IV, t. I, p. 757 ss.; DE
LUCA, La famiglia non coniugale. Gli orientamenti della giurisprudenza, Padova, 1996.
47 Ed invero, proprio nel merito della interpretazione dell’art. 29 Cost., la Consulta ha (perentoriamente) affermato sia che il «significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica, perché
non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì
di procedere ad un’interpretazione creativa» sia che «per formazione sociale [ex art. 2 Cost., ndr.] deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico» (cfr. Corte cost., sent.
138/2010, n. 8 del considerato in diritto) e che spetta al Parlamento, di conseguenza, individuare discrezionalmente le forme di garanzia e riconoscimento per le unioni “di fatto”, restando riservata alla Corte stessa la
sola possibilità d’intervenire, semmai, a tutela di specifiche situazioni. A commento della sentenza - su cui
comunque si tornerà, funditus, infra, § 5 - si segnalano, ex multis, PEZZINI, Il matrimonio same sex si potrà
fare. La qualificazione della discrezionalità del legislatore nella sent. n. 138 del 2010 della Corte costituziona 16
5. Linguaggio costituzionale ed esperienza sociale: i limiti di legittimità alla normativizzazione delle “unioni omosessuali”
Se il rassegnato confronto fra giusnaturalismo e giuspositivismo - sviluppatosi lungo il
crinale che, nel comune ambito delle scienze umane, separa il diritto dalla sociologia e dalla
antropologia - pareva aver trovato una sintesi nella enucleazione del “matrimonio” quale
presupposto per la legittimazione costituzionale della dicotomia fra famiglia “legittima” e
famiglia “di fatto” - e ciò proprio perché il matrimonio stesso è considerato, contemporaneamente, sia “fenomeno sociale” sia “istituto giuridico” 48 - un conflitto sembra essersi riacutizzato, invece, rispetto ai diversi connotati strutturali eventualmente attribuibili, ai sensi della
Costituzione, all’istituto medesimo: ed infatti, la nuova frontiera della interpretazione “evolutiva” dell’art. 29 Cost. ha riguardato - ed invero, ancora riguarda - la pretesa assimilazione (giuridica) fra coppie etero ed omosessuali; ovvero il riconoscimento, nell’ordinamento
giuridico italiano, o della possibilità di contrarre matrimonio anche per due individui dello
stesso sesso o, quantomeno, del riconoscimento alle coppie c.d. “same sex” delle stesse
forme di tutela già patrimonio delle coppie “di fatto” eterosessuali.
Sotto questo profilo deve notarsi, innanzitutto, come alla base della premessa assimilazione vi sia la deduzione di una (presunta) irragionevole discriminazione ancora presente nel sistema costituzionale e codicistico italiano, il quale - in asserita violazione sia del
principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) sia della tutela dei diritti inviolabili dell’uomo «nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità» (art. 2 Cost.) - non consente alle coppie
omosessuali di ricorrere alla disciplina giuridica prevista per l’istituto matrimoniale e, quindi, di giovarsi delle relative garanzie; posto, infatti, che «il diritto di sposarsi configura un
diritto fondamentale della persona [...] sia nella sua accezione positiva di libertà di contrar re matrimonio con la persona prescelta [...] sia in quella negativa di libertà di non sposarsi
e di convivere senza formalizzare l’unione», tale possibilità di scelta dovrebbe rappresentare, appunto, un «momento essenziale di espressione della dignità umana [...] garantito a
tutti, senza discriminazioni derivanti dal sesso o dalle condizioni personali [e] sulla quale lo
Stato non può interferire»; pertanto una «norma che esclude o comunque non consente alle
persone omosessuali di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso [non ha] alcule, in Giur. cost., 2010, p. 2715 ss.; ROMBOLI, Il diritto «consentito» al matrimonio ed il diritto «garantito» alla
vita familiare per le coppie omosessuali in una pronuncia in cui la Corte dice «troppo» e «troppo poco», in
Giur. cost., 2010, p. 1629 ss.; DAL CANTO, Le coppie omosessuali davanti alla Corte costituzionale: dalla
“aspirazione” al matrimonio al “diritto” alla convivenza, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.
48 Sintesi mirabilmente espressa - si ritiene - da Jemolo, che intende appunto il matrimonio come «vincolo
monogamico di due persone di sesso diverso, riconosciuto dal diritto statale come fonte di diritti e di obbligazioni non solo tra coloro che lo contraggono, ma pure tra i coniugi e i figli che nascano dalla loro unione» (cfr.
JEMOLO, Matrimonio, Torino, 1961, p. 6).
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na giustificazione razionale» ed anzi «la parità di diritti per i cittadini omosessuali potrà dirsi
realizzata soltanto se sarà loro consentito di scegliere di regolare la propria vita e i propri
rapporti giuridici e patrimoniali optando fra le stesse alternative [...] a disposizione dei citta dini transessuali ed eterosessuali» 49.
Appare evidente come una simile interpretazione (e contestazione) sistematica degli
artt. 2, 3 e 29 Cost. presupponga sia il «riconoscimento da parte del diritto positivo della
preesistenza ed autonomia della famiglia, in quanto comunità originaria» sia la considerazione del matrimonio quale «dato pregiuridico», e richieda altresì la necessaria individuazione di «un criterio oggettivo, presente all’interno della Costituzione, per selezionare il
modello o i modelli [di famiglia] rilevanti» di cui «valore principale fondante» sia pur sempre
«il rispetto della dignità della persona». È proprio in ossequio a tale valore, che si è ritenuto allora di poter sostenere l’illegittimità di un quadro normativo nel quale si esclude «la possibilità di fondare una famiglia in ragione di un criterio come quello dell’orientamento sessuale [...] che, come quello della razza, della nazionalità, dell’origine etnica, non fa parte
delle scelte individuali, ma è dato inerente, connaturato, congenito» 50.
Per vero non possono non rinvenirsi, nelle suddette argomentazioni, perlomeno alcune tracce dello stesso orientamento di matrice giusnaturalista che - come riferito supra, §3.1
e 4 - ha costituto il fondamento giuridico-culturale della estensione delle tutele, originariamente approntate dall’ordinamento giuridico a favore della famiglia legittima, anche alla
convivenza more uxorio. Ed infatti deve notarsi che, in sede giurisdizionale, i parametri
costituzionali dedotti per sollecitare una interpretazione “estensiva” della formula di cui
all’art. 29 Cost. - nonché delle relative garanzie - sono stati sempre gli stessi (i.e. gli artt. 2
e 3 Cost.) e che, in sede legislativa, le più recenti proposte di riforma hanno contemplato
«diritti e doveri dei conviventi [che] non si discostano, se non su un piano quantitativo, da
quelli delle coppie coniugate»; il quid novi contenuto in tali proposte è stato, semmai, proprio la «natura dei due partners, che possono essere [...] di diverso sesso» nonché - conseguentemente - lo scopo delle medesime, ovvero istituire «un patto non dissimile al matrimonio» che consenta anche alle coppie omosessuali «di accedere ad una posizione molto
simile a quella dei coniugi» 51.
49 Parafrasando Trib. Ferrara, ord. 14/12/2009, da cui è poi scaturita la fondamentale pronuncia della Corte
cost., ORD. 4/2011, di cui si tratterà infra.
50 Ut supra.
51 Cfr. VIOLINI, Coppie di fatto: un disegno di legge incostituzionale?, in AA.VV., Famiglia e Di.co, cit., p. 56
a commento del d.d.l. sui «Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi» (c.d. “Di.co”) licenziato dal
Consiglio dei ministri nella seduta dell’8 febbraio 2007.
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Nonostante la costante attenzione dell’opinione pubblica - e quindi il periodico riproporsi, nel dibattito politico e parlamentare, del tema de quo - «il fenomeno delle unioni omosessuali si colloca, a tutt’oggi, in Italia nell’area del giuridicamente indifferente», oggetto di una
perdurante «inerzia del legislatore, che ha contraddistinto Governi di differente indirizzo politico» 52; e tuttavia tale inerzia non ha impedito alla Corte costituzionale di intervenire ed incidere, significativamente, nel summenzionato dibattito - alimentando e stimolando, peraltro,
un vivace confronto all’interno delle scienze umane e sociali - sì riproponendo lo stesso binomio ermeneutico giurisprudenza-dottrina, che aveva già contribuito a delineare il quadro dei
diritti e dei doveri (giuridicamente) rilevanti per le “coppie di fatto” (cfr. s u p r a, §4).
Innanzitutto, sotto il profilo terminologico, dev’essere notato come la Consulta abbia
prevalentemente utilizzato la nozione “classica” di «famiglia di fatto» o di «convivenza more
uxorio» senza ulteriori specificazioni, e che soltanto in poche e circostanziate ipotesi abbia
inteso, invece, delimitare tale nozione - esplicitandone la natura eterosessuale - mediante
il ricorso a circonlocuzioni quali «altra forma di vita comune tra uomo e donna» o «legame
con un altro soggetto di sesso diverso» o ancora «convivenza stabile e duratura, con o
senza figli, tra un uomo e una donna che si comportano come se fossero marito e moglie»;
a ciò si aggiunga, poi, come nella citata nozione di “famiglia di fatto” la Corte abbia comun-
52 In questi termini MASTROMARTINO, Il matrimonio conteso: le unioni omosessuali in una eclettica
pronuncia della Corte costituzionale italiana, in Dir. fam. e pers., 2011, p. 43 ss. Sul punto cfr. anche
MAZZOTTA, Le relazioni omosessuali in Italia, in Nuova giur. civ. comm., 2004, p. 164 ss.; FERRANDO,
Il matrimonio gay: il testimone passa alla Consulta, in Resp. civ. e prev., 2009, p. 1905 ss.. Non è possibile dilungarsi, in questa sede, sulla liturgia di testi di riforma elaborati dai partiti e dalle varie associazioni operanti nella società civile (estemporaneamente tradotti in progetti di legge presentati, discussi ed,
invariabilmente, arenatisi in Parlamento) né, tantomeno, sulle ragioni socio-politiche sottese a tale
improduttività - per le quali si rinvia, a consuntivo, a SESTA, Verso nuove trasformazioni del diritto di
famiglia italiano?, in Familia, 2003, p. 123 ss. - se non sintetizzare il paradigmatico iter parlamentare del
d.d.l. sui “Di.co”: approvato dal Consiglio dei ministri in data 8 febbraio 2007; presentato per l’approvazione dapprima in Senato ed affiancato, in Commissione Giustizia, da un testo che ne modificava, tra
l’altro, la denominazione in “C.U.S.”, i.e. Contratto di Unione Solidale; fissato il calendario per presentazione degli emendamenti - entro il 12 novembre - e delle votazioni - entro la fine dello stesso mese - per
e ffetto dell’interruzione dei lavori parlamentari, causata dello scioglimento anticipato della Camere, il
disegno non è stato poi più esaminato dal Parlamento neo-eletto (più dettagliatamente, sul punto,
PIGNATELLI, I DICO tra resistenze culturali e bisogni costituzionali, in Quest. giust., 2007, p. 249 ss.).
Pare però utile menzionare, a latere di quelle parlamentari, le iniziative di alcuni Comuni che hanno istituito il c.d. “registro delle unioni civili” - riguardante tutte le coppie di fatto, indifferentemente etero ed
omosessuali - con lo scopo di «certificare pubblicamente una condizione soggettiva, giuridicamente rilevante, ma che non determina la creazione di un nuovo stato giuridico» e di assolvere «a due funzioni:
quella probatoria della relazione personale di convivenza e quella della estensione alle convivenze di
tutti i procedimenti, benefici ed opportunità di varia natura riconosciuti alle coppie sposate e assimilate,
nei limiti delle competenze comunali»; in tal senso si esprime COCUCCIO, Convivenza e famiglia di
fatto: problematiche e prospettive, in Dir. fam. e pers., 2009, p. 908 ss. (tra i molti Comuni citati
dall’Autore, si elencano di seguito i maggiori: Arezzo, Bologna, Empoli, Ferrara, Firenze, Perugia, Pisa,
Roma, Bolzano, Savona).
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que ricompreso, espressamente, anche l’unione omosessuale, intesa come «stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia» 53.
Il che sembrerebbe dimostrare, intanto, come la Consulta non distingua - sul piano
giuridico-sostanziale - le coppie di fatto “eterosessuali” ed “omosessuali” ed ammetta invece, come unica discriminazione costituzionalmente “fondata”, quella fra “famiglia legittima”
e “di fatto”.
Da ciò si può ulteriormente inferire il ricorso al medesimo orientamento giurisprudenziale già assunto in materia di convivenza more uxorio, ovverosia l’eventuale riconoscimento dei diritti a titolo solamente individuale e non anche nell’ambito della relativa “formazione sociale”, la cui formale tutela «necessariamente [postulerebbe] una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia» 54; sotto questo profilo, anzi, la Corte stessa - escludendo esplicitamente che un eventuale «riconoscimento giuridico» dell’unione omosessuale e dei «connessi diritti e doveri» debba ineluttabilmente realizzarsi «attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio»
- ha stabilito che spetta, espressamente ed in via esclusiva, «all’organo legislativo la valutazione di opportunità circa il tipo di regime giuridico» eventualmente funzionale a garantire il predetto riconoscimento: «dall’affiancamento al matrimonio di una nuova forma di unione civile aperta anche alle coppie omosessuali, all’introduzione di un nuovo tipo di unione
civile sostanzialmente identico al matrimonio [...] riservato alle coppie omosessuali [...] all’estensione, infine, del matrimonio alle unioni tra persone dello stesso sesso» 55.
In tal senso è il ricorso al summenzionato “principio personalistico”, quale parametro
ermeneutico delle argomentazioni utilizzate dalla Corte costituzionale, che - si ritiene - può
consentire di motivare affermazioni giuridicamente apodittiche se non, addirittura, contraddittorie. Come infatti rilevato giustamente in dottrina «assai ambigua è [...] la formula con
53 In tal senso DOGLIOTTI, op. cit., p. 189, il quale rispettivamente cita CORTE COST., SENTT. 6/1977 e
8/1996. Altre definizioni in ROPPO e BENEDETTI, voce Famiglia di fatto, in Enc. giur., Roma, 1999, p. 570
ss.; SGROI, La famiglia di fatto, in Cassano (a cura di), Manuale del nuovo diritto di famiglia, Piacenza, 2002,
p. 272 ss.; BUSNELLI e SANTILLI, La famiglia di fatto, in AA.VV., Commentario al diritto italiano della fami glia, Padova, 1993, p. 757 ss.; FRANCESCHELLI, I rapporti di fatto, Milano, 1984. Da ultimo cfr. anche le
espressioni utilizzate in Corte cost., sent. 138/2010.
54 Per l’appunto dei “componenti” della coppia e non già della coppia “in sé”; sul punto cfr., ancora una volta,
PIGNATELLI, La convivenza «senza matrimonio», cit., p. 190. I virgolettati sono tratti da CORTE COST.,
SENT. 138/2010.
55 Cfr. MASTROMARTINO, op. cit., p. 50; l’Autore cita i casi, rispettivamente, della Francia (l. 944/1999, introduttiva del “Patto Civile di Solidarietà”), della Danimarca, della Germania (l. 372/1989, introduttiva della “convivenza registrata”), del Regno Unito (con l’approvazione, nel 2004, del Civil Partnership Act), della Svezia,
dell’Olanda, del Belgio, della Spagna, del Portogallo ed infine dell’Islanda (tutti provvedimenti legislativi
comunque compresi fra il 2000 ed il 2010).
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cui la Corte rimanda, per la predisposizione di un riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali, alla discrezionalità dell’organo legislativo», da un lato, lasciando «indeterminati il
quando e il quomodo dell’intervento del legislatore» - se non con un generico riferimento a
tempi, modi e limiti «stabiliti dalla legge» - e, d’altro lato, vincolando comunque il medesimo alla introduzione di «una qualche forma di tutela delle unioni omosessuali a garanzia di
un diritto qualificato [...] come “fondamentale”» pur confermando che «le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio» 56.
E tuttavia dalla (apparente) empasse prodotta, per un verso, dalla devoluzione alla
esclusiva responsabilità del Legislatore - e dunque della politica - della individuazione di una
risoluzione normativa al “nodo sociale” della regolamentazione giuridica delle unioni omosessuali e, per altro verso, dalla contestuale individuazione di un limite però “di merito” alla premessa discrezionalità - consistente nella infungibilità fra tali unioni e quelle eterosessuali, nonché nella conseguente inapplicabilità dell’istituto matrimoniale - pare potersi uscire abbandonando proprio la prospettiva di una “tutela di coppia” valorizzando, invece, la garanzia “individuale” dei diritti; ovverosia - parafrasando autorevole dottrina - considerando le coppie omosessuali certamente come «formazioni sociali» che, sebbene «non possono accedere al
matrimonio», devono tuttavia essere oggetto di «tutele giuridiche specifiche e proprie [...] in
ragione di questo riconosciuto rapporto con la Costituzione» 57; ciò anche al fine di salvaguardare l’integrità dell’art. 3 Cost. a fronte di una (apparente) discriminazione asseritamente
determinata, nell’ambito dell’ordinamento costituzionale italiano, da «una regola volta ad
escludere una classe di individui dall’accesso a un diritto fondamentale» 58.
È dunque nella prospettiva del già menzionato “principio personalistico” - declinato
nell’ambito del rapporto di coppia (cfr. supra, §1) - che sembra potersi coniugare l’obiettiva
esigenza di assicurare «altre forme possibili di tutela delle coppie di fatto [...] riconducibili
sotto la copertura costituzionale dell’art. 2 Cost.» con la perentoria affermazione (giurisprudenziale) della “disomogeneità” fra coppie eterosessuali ed omosessuali, nonché della loro
consequenziale “incomparabilità” ed “irriducibilità” ad un unico assetto normativo 59. Una
56 Ibidem, p. 51. In termini ugualmente critici cfr. CROCE, Diritti fondamentali programmatici, limiti all’inter pretazione evolutiva e finalità procreativa del matrimonio: dalla Corte un deciso stop al matrimonio omoses suale, in www.forumcostituzionale.it, e GATTUSO, La Corte Costituzionale sul matrimonio tra persone dello
stesso sesso, in Fam. e dir., 2010, p. 653.
57 Ovverosia con l’art. 2 Cost. I virgolettati sono tratti, rispettivamente, da ROMBOLI, Per la Corte costituzio nale le coppie omosessuali sono formazioni sociali che non possono accedere al matrimonio, in Foro it., I,
2010, 1367-1372, e da BORDONALI, op. cit., p. 573.
58 In tal senso MASTROMARTINO, op. cit., p. 52; il riferimento è agli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 bis,
156 bis del Codice civile «nella parte in cui, sistematicamente interpretati, non consentono che le persone di
orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso» (cfr. Corte cost.,
sent. 138/2010, n. 1 del ritenuto in fatto).
59 In tal senso sempre BORDONALI, op. cit., p. 557, con riferimento a Corte cost., ORD. 4/2011.
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soluzione compromissoria che, da un lato, assevera il massimo interesse dell’ordinamento
- ovverosia garantire il pieno sviluppo della personalità dell’individuo ed a tutelare i suoi
diritti, estendendo «la tutela costituzionale accordata alla famiglia legittima [...] a tutte quelle formazioni sociali a carattere familiare che mostrano concretamente di costituire utili strumenti di tutela e realizzazione dei valori della personalità dei suoi membri» - ma, d’altro lato,
non può invero fugare i (persistenti) dubbi sulla ammissibilità costituzionale del matrimonio
fra individui dello stesso sesso 60.
Sotto questo profilo, pertanto, il presunto “monito” recentemente rivolto dalla
Corte costituzionale al Legislatore fra le righe della sentenza 138 del 2010 - quasi
testualmente ripreso, poi, nell’ordinanza 4 del 2011 - sembra risolversi, quanto all’an,
nella doverosità dell’intervento di riforma od integrazione della disciplina codicistica;
quanto al quomodo, invece, nel solo limite della non estensibilità dell’istituto matrimoniale alle coppie “same sex” e della sua eventuale surroga con «altre forme di unioni
civili, già definite di tutela “leggera”» 61.
Rispetto a tale indirizzo v’è semmai da stabilire se ed in che misura sussista, per il
Legislatore italiano, un ulteriore monito - se non, addirittura, un vincolo - derivante dall’ordinamento europeo.
6. Una sintesi: fra ipotesi di riforma, opinioni dottrinali ed indirizzi giurisprudenziali, la (presunta) diarchia Stato-U.E.
Senza entrare nel merito di questioni trattate aliunde, pare infine possibile svolgere
alcune considerazioni di sintesi in merito alla sovrapposizione fra speculazioni dottrinali ed
60 Virgolettato tratto da SCALISI, La famiglia nella cultura, cit., p. 706.
61 I b i d e m; l’Autore parla espressamente di “monito” richiamando, sul punto, anche MELANI, Il matrimonio
omosessuale, dopo la pronuncia della Corte costituzionale: la questione resta aperta, in www.forumcostituzio nale.it. Ed in effetti, proprio in sede di lettura ed interpretazione della sentenza medesima, la dottrina si è scissa tra chi ha ritenuto che «la Corte abbia voluto tenere distinti i rapporti affettivi tra persone dello stesso sesso
e di sesso diverso, così giustificando il diverso trattamento che ne deriva, sia sotto il profilo formale - essendo
differenti le norme costituzionali di copertura della disciplina dei rapporti - sia sotto l’aspetto sostanziale - dovendo essere almeno parzialmente diverse le classi dei diritti e dei doveri attribuiti alle coppie» e chi, invece, ha
ritenuto che «la Corte nulla ha affermato in proposito, non potendosi riscontrare in motivazione alcun elemento espressamente diretto a vincolare il legislatore, né un’argomentazione esplicitamente volta a giustificare la
ragionevolezza della disparità di trattamento riservata alle due diverse relazioni di coppia». Ampiamente maggioritario risulta tuttavia il primo orientamento, nell’ambito del quale si segnalano PIGNATELLI, Dubbi di legitti mità costituzionale sul matrimonio “eterosessuale”: profili processuali e sostanziali, in www.forumcostituziona le.it, DAL CANTO, La Corte costituzionale e il matrimonio omosessuale, in Foro it., 2010, I, p. 1369 ss., CAPOTOSTI, Matrimonio tra persone dello stesso sesso: infondatezza versus inammissibilità nella sentenza n. 138
del 2010, in Quad. cost., 2/2010, p. 361 ss; per il secondo orientamento si rinvia, invece, a GATTUSO, La Corte
Costituzionale sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, cit., p. 651 e ss..
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indirizzi giurisprudenziali in materia di “diritto di famiglia”, anche in relazione alle ipotesi di
riforma del medesimo eventualmente indotte dall’ordinamento comunitario.
Come acutamente rilevato in dottrina, la legislazione «frastagliata e inorganica» che
ha caratterizzato il diritto di famiglia italiano ha determinato «una vera e propria sovrapposizione a fonti tecnico-legislative di fonti “dottrinali” e “giurisdizionali”» secondo un processo assimilabile a quello che connota, tipicamente, gli ordinamenti di common law; e ciò
«con tutte le gravi conseguenze che questo comporta in termini di certezza del diritto, oltre
che di armoniosità del sistema» 62.
Come s’è però fin qui sostenuto, rispetto a tale disomogeneità, minimo comune denominatore pare essere, appunto, il costante ricorso (giurisprudenziale) al “principio personalistico” quale espediente per garantire una tutela “aggregata” a diritti riconosciuti, invece,
individualmente; ed invero, il medesimo orientamento sembra attualmente potersi riconoscere anche in ambito europeo, laddove «la tutela dei rapporti familiari è fondamentalmente riferita [...] alle posizioni individuali caratterizzate da rapporti sentimentali, affettivi, sessuali, di reciproca dedizione e mutuo aiuto senza alcun riferimento alla garanzia del grup po in quanto tale» 63.
Reductio ad unum della summenzionata (apparente) disorganicità del sistema europeo di garanzia dei diritti “familiari” è, dunque, proprio quella «linea di tendenza dell’intero
ordinamento comunitario» - sì come espressa dalla giurisprudenza CEDU - scevra di qualsiasi «tentativo definitorio» di principio e finalizzata, invece, alla tutela dei singoli “membri”
di ciascun aggregato sociale (familiare o parafamiliare) «inteso genericamente [...] come
luogo in cui quelle posizioni possono risultare protette o compromesse» 64.
In tal senso non pare di potersi individuare, allora, una sostanziale “diarchia” fra l’ordinamento europeo e (la evoluzione seguita da) l’ordinamento interno, in materia di disciplina dei rapporti familiari; né riscontrare alcuna sovrapposizione - o potenziale antinomia fra fonti nazionali e sovranazionali; piuttosto - dalla lettura coordinata delle disposizioni
62 Sul punto cfr. S. ROSSI, La famiglia di fatto nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in www.forum costituzionale.it; nello stesso senso, cfr. CASSANO, Manuale del nuovo diritto di famiglia, Piacenza, 2003.
Peraltro LIPARI, Riflessioni su famiglia e sistema comunitario, in Familia, 2006, p. 1 ss., rileva come anche il
c.d. “processo di comunitarizzazione” del diritto di famiglia sembri caratterizzato dalla stessa disorganicità, considerato che «il diritto comunitario della famiglia» è stato prevalentemente plasmato attraverso «numerosi [...]
interventi indiretti, cioè in settori di competenza comunitaria [ma] formalmente estranei al diritto di famiglia».
63 Virgolettato tratto ibidem, p. 8 (corsivi aggiunti).
64 Cfr. sempre ibidem. Ciò nell’ottica, perlomeno in origine, dell’inquadramento della relativa tutela (sociale,
economica e giuridica) nell’ambito del mercato comunitario, ovverosia della massima garanzia della mobilità
dei lavoratori eventualmente perseguibile anche mediante «una più agevole circolazione del loro status familiare»; ma in seguito, anche nella più ampia prospettiva della formazione del “diritto di famiglia europeo” (in
tal senso ZOPPINI e CAGGIA, op. cit., p. 619 s.). La definizione della c.d. “linea di tendenza” dell’ordinamento comunitario, in materia di diritto di famiglia, è di BERGONZINI, op. cit., p. 311.
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costituzionali con gli artt. 8 e 12 CEDU, nonché con gli artt. 7 e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (cfr. artt. II-67 e 69 del Trattato che adotta una Costituzione
per l’Europa) - sono due i dati che significativamente emergono dalle disposizioni europee
e che pare necessario, pertanto, segnalare: in primis, la distinzione fra un diritto al rispetto
ed alla tutela della “vita familiare”, da un lato, ed un diverso ed autonomo diritto “al matrimonio” o “a sposarsi”, d’altro lato; in secundis, l’esplicito rinvio alle «leggi nazionali» per la
regolamentazione del summenzionato “diritto al matrimonio” 65.
In relazione al primo dei suddetti dati deve notarsi - parafrasando autorevole dottrina
- come la distinzione ed autonoma qualificazione dei summenzionati diritti ponga «su piani
del tutto paralleli la tutela dell’atto [i.e. il matrimonio] e quella del rapporto [i.e. la relazione
familiare]» ed evidenzi altresì come «la garanzia del secondo non discenda dalla esistenza del primo»; da ciò potendosi ulteriormente dedurre, quindi, come «le tutele soggettive
discendenti dalle modalità di svolgimento di un rapporto di tipo coniugale [non] possano
dipendere dalla struttura formale di un atto costitutivo individuato secondo il paradigma di
un modello storicamente consolidato» 66.
In relazione al secondo dato rileva, invece, la vexata quaestio dell’incidenza del diritto europeo su quello nazionale, ovvero la asserita vincolatività - per il Legislatore italiano delle risoluzioni adottate dalle Istituzioni comunitarie. Sotto questo profilo, le summenzionate disposizioni sembrano invero contenere un effettivo richiamo ai Legislatori nazionali, ed
alla relativa responsabilità politica, al fine di disporre un sistema normativo volto ad assicurare il massimo godimento del diritto a contrarre matrimonio; ma pare altresì di potersi affermare che - proprio in ragione dell’espresso rinvio alla responsabilità “nazionale” - nessun
vincolo “di merito”, ovvero “sui contenuti” di tale sistema, possa ascriversi alle raccomandazioni europee; più che di un vincolo, pare opportuno parlare semmai di un “monito” (cfr.
supra, §5) di tipo metodologico: «si raccomanda [...] agli Stati europei di riconoscere le rela-
65 Quanto alla CEDU, ai sensi dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) «ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. Non può esservi
ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla
legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute
o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui»; ai sensi dell’art. 12 (diritto al matrimonio) «uomini e donne in età adatta hanno diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l’esercizio di tale diritto». Quanto alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 7
(rispetto della vita privata e della vita familiare) «ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e
familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni»; ai sensi dell’art. 9 (diritto di sposarsi e di costituire una famiglia) «il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi
nazionali che ne disciplinano l’esercizio».
66 Cfr. LIPARI, Riflessioni sul matrimonio a trent’anni dalla riforma, cit., p. 720 (corsivi aggiunti).
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zioni non matrimoniali - sia tra persone dello stesso sesso sia di sesso diverso - e di connettervi gli stessi diritti del rapporto discendente da un matrimonio» 67.
Coagulando le indicazioni ricavabili dai premessi dati, può dunque smentirsi tanto l’idea
di una attuale “diarchia” U.E.-Stato in materia di diritto di famiglia, quanto quella di un vincolo
“sostanziale” derivante dalla disposizioni europee alla disciplina normativa italiana sia sulle c.d.
“coppie di fatto” sia, più specificamente, sul c.d. “matrimonio omosessuale”. Ed anzi - proprio in
considerazione dell’evidente sganciamento fra la tutela di tali diritti (soggettivi) esplicati nell’ambito del rapporto di coppia e la formalizzazione o istituzionalizzazione del rapporto stesso - si
ritiene piuttosto di poter individuare, anche a livello europeo, l’affermazione del più volte citato
“principio personalistico”, il cui unico limite consisterebbe invero nell’evitare una “restrizione” o
“riduzione” dei suddetti diritti «in modo da o fino al punto di intaccarne la sostanza stessa» 68.
In tal senso, la risposta agli interrogativi fin qui sollevati a proposito della tutela giuridica delle coppie di fatto, etero ed omosessuali (cfr. supra, §4 e 5), pare essere perfettamente sintetizzata nelle considerazioni di chi, in dottrina, ha riconosciuto proprio nell’art. 2
Cost. - ovverosia nella tutela (indiretta) delle “formazioni sociali”, finalizzata alla garanzia
dei diritti fondamentali individuali - il presupposto in base al quale «il legislatore è tenuto ad
approntare tutele giuridiche specifiche e proprie» a favore di tali “aggregati familiari” pur
senza «lasciare che istituti esistenti e bene individuati vengano snaturati dall’inclusione di
un rapporto dalla Corte definito come non omologabile» 69.
I confini entro cui il Legislatore italiano potrebbe - e dovrebbe - muoversi sono pertanto ancora tracciati dalle disposizioni costituzionali, sì come decodificate dalla giurisprudenza della Corte, prima e più che dalla normativa - e correlativa giurisprudenza - europea; né
pare di potersi registrare, sul punto, un effettivo afflato di revisione costituzionale e di conseguente riforma della menzionata piattaforma normativa 70.
67 Letteralmente ibidem, con riferimento alle risoluzioni del Parlamento europeo del 8 febbraio 1994 e del 16
marzo 2000; a queste si aggiungano, poi, la raccomandazione 2003/12/CE - nella quale, in particolare, si
esorta l’Unione «a iscrivere nell’agenda politica il reciproco riconoscimento delle relazioni non matrimoniali
anche se tra persone dello stesso sesso ed elaborare proposte concrete sul punto» - la direttiva del Consiglio
dell’U.E. 2003/86/CE, in materia di ricongiungimento familiare, ed il regolamento del Consiglio d’Europa
2201/2003, in materia di riconoscimento di provvedimenti matrimoniali e di potestà genitoriale. In argomento
BERGONZINI, op. cit., p. 311, nonché ZOPPINI e CAGGIA, op. cit., p. 620.
68 Cfr. LONG, La Convezione europea dei diritti dell’uomo e il diritto italiano della famiglia, in Tratt. Zatti,
Milano, 2006, p. 18; sul punto anche REPETTO, Il matrimonio omosessuale al vaglio della Corte di
Strasburgo, ovvero: la negazione “virtuosa” di un diritto, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.
69 Cfr. BORDONALI, op. cit., p. 573. Il riferimento espresso dell’Autore è alle coppie omosessuali; tuttavia il
ragionamento pare estensibile anche alle “coppie di fatto” tout court.
70 Come giustamente osservano da ZOPPINI e CAGGIA, op. cit., p. 621, le diverse ipotesi di riforma del testo
dell’art. 29 Cost. non hanno infatti mai riguardato direttamente il co. 1; il che dimostra altresì come non si sia mai
inteso intaccare, in effetti, l’assunto della natura “legittima” della sola famiglia “fondata sul matrimonio”.
25
È evidente che qualunque iniziativa di riforma in materia di diritto di famiglia sarà
comunque destinata a scontare «le dinamiche tipicamente conflittuali della realtà sociale
sottostante» di cui proprio la famiglia costituisce «cellula germinale» ed in cui si riproducono, pertanto, «le tensioni sprigionate quotidianamente nel contesto civile» 71; purtuttavia fra
chi sostiene che «l’etnocentrismo della cultura giuridica [fondato sull’] esclusività e perennità della famiglia fondata sul matrimonio dovrebbe cedere il passo ad una cultura del pluralismo ed a una “ideologia della neutralità”» e chi avverte però, in tal senso, il rischio di
«facili scorciatoie, che [...] costituiscono, piuttosto, delle strade senza sbocco» deve notarsi, conclusivamente, come il processo di stratificazione normativa che ha finora garantito la
tutela dei diritti soggettivi rilevanti nell’ambito dei diversi “aggregati familiari” - mediante l’implementazione giurisprudenziale del “principio personalistico”, soltanto estemporaneamente tradotto in disposizioni di legge - dovrebbe infine risolversi nel riconoscimento, de iure
condito, sia di standard di protezione riferibili a ciascuna «unione di stampo familiare», sia
di un «adeguato honor sociale» e correlativa tutela alla coppia costituita, invece, «in modo
diverso e proprio» 72.
71 V. CASSANO, Evoluzione sociale e regime normativo della famiglia. Brevi cenni per le riforme del terzo
millennio, in Dir. fam. e pers., 2001, p. 1160.
72 Di “ideologia della neutralità” e di tutela di tutte le “unioni di stampo familiare” parla S. ROSSI, cit., richiamando le considerazioni svolte da BUSNELLI, La famiglia e l’arcipelago familiare, cit., p. 280; del rischio di
“facili scorciatoie” e della conseguente esigenza di garantire adeguato “honor sociale” e tutela alle coppie
“proprie” parla, invece, BORDONALI, op. cit., p. 573 ss..
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