albino - Dipartimento di Tecnica e Gestione dei Sistemi Industriali

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Nuove modalità di creazione e diffusione della conoscenza
nei distretti industriali
Albino V. e Schiuma G.
DAPIT, Università della Basilicata
Via della Tecnica 3, 85100 Potenza, Italy
Tel.:(39) 971 474651, Fax: (39) 971 57104, E-mail:[email protected]
Abstract
Negli ultimi anni i distretti industriali (DI) sono stati chiamati a confrontarsi con un contesto competitivo
sempre più complesso caratterizzato da una crescente turbolenza e rapidità di cambiamento. In tale nuovo
contesto il modello distrettuale sembra presentare alcuni limiti di efficienza ed in alcuni casi anche di
efficacia. In particolare, la tradizionale capacità innovativa diffusa (CID) sembra non essere più sufficiente a
sostenere l’acquisizione di differenziali competitivi. Per i DI si rendono necessari nuovi processi di gestione
dell’innovazione basati su rinnovate modalità di creazione e diffusione delle conoscenze. In tal senso di
fondamentale importanza è il ruolo rivestito dall’affermazione nei DI di alcune imprese in posizione di
leadership. Queste alla ricerca di un miglioramento delle proprie performance modificano le dinamiche
cognitive dei DI.
Nel lavoro si presenta un’analisi delle dinamiche cognitive dei DI. Si analizzano dapprima le modalità di
creazione e diffusione delle conoscenze nelle aree sistema integrate, evidenziando come queste siano
caratterizzate prevalentemente da conoscenze di natura tacita. Successivamente dopo aver presentato le
principali tendenze evolutive in atto nei DI, focalizzando l’attenzione sulle imprese leader, si analizzano le
nuove modalità di generazione e diffusione delle conoscenze. In particolare, l’attenzione è posta sul ruolo
assunto dai processi di codifica delle conoscenze tecnico-operative distrettuali.
1. Introduzione
Il distretto industriale (DI) si è affermato nel panorama economico-produttivo italiano
come un modello di sviluppo industriale di successo. Nato come realtà produttiva con
vocazione localistica, si trova oggi a pianificare i relativi processi di sviluppo secondo
logiche di internazionalizzazione, in un contesto competitivo sempre più complesso,
caratterizzato da una crescente turbolenza e rapidità di cambiamento. Le cause di tale
complessità sono da ricercarsi in differenti fattori quali: la globalizzazione dei mercati, con
un aumento della pressione competitiva ad opera sia di grandi imprese operanti in paesi
industrializzati sia di piccole imprese operanti in paesi ad economia emergente; i continui
mutamenti socio-culturali incorsi nelle società, manifestantesi attraverso la domanda di
nuovi prodotti e servizi sempre più personalizzati e con elevati standard qualitativi; ed i
fenomeni di instabilità politico-finaziaria sempre più fonte di vantaggi e svantaggi
competitivi.
In tale nuovo contesto la competitività del modello produttivo distrettuale sembra
presentare alcuni limiti di efficienza ed in alcuni casi anche di efficacia. Infatti, come
1
evidenziato da recenti indagini, numerosi DI mostrano uno stato di crisi dovuto a cause
strutturali e/o contingenti (Gandolfi, 1998).
Alcuni limiti alla competitività dei DI sono da ricercarsi in quegli stessi fattori che li
caratterizzano e spesso ne hanno decretato il successo. In particolare, la logica di
innovazione basata su un processo incrementale e discontinuo sembra non essere più
sufficiente a sostenere l’acquisizione di differenziali competitivi sul mercato. La dinamicità
del cambiamento richiede la sostituzione di un approccio strategico di tipo reattivo ed
adattativo con uno di natura proattiva basato su una logica di innovazione di tipo continuo,
che sappia conciliare una dinamica incrementale con una di tipo radicale. Occorre quindi
che i DI sviluppino capacità di arricchimento dei loro prodotti con quote crescenti di
informazioni e con gli avanzamenti scientifico-tecnologici prodotti dall’ambiente esterno al
distretto (Anastasia e Corò, 1996; Gandolfi, 1998), che consentano globalmente di
aumentare il valore aggiunto incorporato nei prodotti.
Per i DI si rende così necessario sviluppare nuove strategie competitive. In tal senso
determinante appare il ruolo della conoscenza. Questa, come risorsa diffusa nel territorio e
posseduta dalle singole imprese, ha tradizionalmente rappresentato un fattore strategico di
successo del modello produttivo distrettuale (Albino et al., 1998b; Becattini e Rullani,
1993; Schiuma 1998b). Infatti, sebbene siano state diverse le determinanti dello sviluppo
dei DI, quali: a) lo sviluppo di economie di agglomerazione in un’area locale con la
formazione di uno specifico contesto socio-culturale localizzato (Becattini, 1987; Brusco,
1989; Camagni, 1989); b) il fenomeno della specializzazione flessibile e la formazione di
un’intensa attività di networking tra le imprese di piccola e media dimensione (Piore e
Sabel, 1984; Lipparini, 1995; Saba, 1995); c) lo sviluppo di una capacità innovativa diffusa
(Bellandi, 1989); d) la capacità di operare sui mercati internazionali (Albino et al., 1998c;
Gottardi, 1997); alla base dell’insieme di tali fattori è sempre possibile riscontrare un
utilizzo e valorizzazione di specifiche conoscenze individuali e relazionali.
Pertanto la conoscenza rappresenta, nel contempo, un fattore e una risorsa strategica per
analizzare e pianificare la competitività del modello distrettuale. Quindi grande rilevanza
riveste l’analisi delle modalità della sua creazione e diffusione nelle aree distrettuali,
evidenziando i caratteri che, nell’attuale contesto competitivo, i processi di gestione della
conoscenza vanno assumendo. Infatti, a fronte di un’evoluzione strutturale dei DI dalla
configurazione canonica di area sistema integrata a nuove configurazioni caratterizzate
dall’affermazione di attori con funzioni di coordinamento, le modalità di creazione e
diffusione della conoscenza appaiono modificate.
Dopo un processo di formazione di tipo “estensivo”, con una crescita spesso rapida di
piccole e medie imprese, nei DI si è andato affermando un modello di sviluppo di tipo
“intensivo” (Unioncamere, 1995). L’aspetto più rilevante di tale processo è l’affermazione
di alcune imprese con posizione di leadership. Queste, alla ricerca di una miglioramento
delle proprie performance, tendono a sviluppare ed internalizzare competenze commerciali
e/o produttive di alto profilo (Gandolfi, 1998) e ad attuare un governo del processo
evolutivo dei DI, alterandone le peculiarità strutturali e cognitive. In particolare, le imprese
leader agiscono in modo da controllare la supply chain, modificando le relazioni con i
fornitori e sviluppando network di imprese governati in modo gerarchico anche attraverso
la formazione di gruppi. Così alla ricerca di un miglioramento delle proprie performace, le
imprese leader modificano sia le relazioni inter-organizzative sia i confini del distretto.
2
Inoltre, alla ricerca di nuove e più efficienti capacità innovative cambiano le peculiarità
cognitive dell’area sistema attraverso l’adozione di nuove politiche di gestione della
conoscenza basate su rinnovate modalità di creazione e diffusione della conoscenza.
Complessivamente ciò che sembra emergere è un graduale processo di identificazione
dei DI con le imprese leader in esso operanti come vertici strategico-decisionali.
Questo lavoro, collocandosi nel più ampio dibattito sulle possibilità ed i limiti del
modello distrettuale, intende proporre un’interpretazione in chiave cognitiva del processo
evolutivo dei DI. In particolare, mediante uno studio delle dinamiche cognitive distrettuali
si intende argomentare che l’evoluzione dei DI, con l’affermazione di alcune imprese in
posizione di leadership, è accompagnata da una profonda modifica delle modalità di
creazione e diffusione della conoscenza che lasciano intuire una graduale transizione verso
nuove configurazioni produttive solo in parte con i caratteri del tradizionale modello
produttivo distrettuale.
2. Il distretto industriale come spazio cognitivo
Per analizzare le caratteristiche dei DI sono stati proposti differenti modelli
interpretativi. In particolare, le proprietà dei processi produttivi sono state analizzate
impiegando il modello della specializzazione flessibile (Piore e Sabel, 1984), secondo cui la
decomponibilità del processo produttivo in fasi di lavorazioni e la specializzazione di un
gran numero di differenti imprese nell’esecuzione di ciascuna fase produttiva, ha conferito
al modello distrettuale elasticità e flessibilità produttiva1, rendendolo capace di rispondere
rapidamente ed efficacemente alle variazioni della domanda del mercato. Al fine poi di
analizzare le peculiari dinamiche inter-organizzative dei DI, al modello della
specializzazione flessibile si è affiancata la metafora interpretativa del network (Antonelli,
1987; Camagni 1989; Lomi, 1991; Lorenzoni, 1987; Vaccà, 1986). Questa ha consentito di
analizzare sia le caratteristiche delle relazioni che si instaurano tra le differenti imprese
distrettuali, sia la natura dei processi di negoziazione che regolamentano l’allocazione interorganizzativa delle risorse produttive. Infine, per evidenziare la natura socio-culturale dei
DI, cioè la profonda integrazione esistente tra la realtà produttiva ed il tessuto sociale
dell’area locale nella quale si realizza l’agglomerazione di un sistema di piccole e medie
imprese, sono state adottate le schematizzazioni concettuali di “distretto marshalliano”
(Marshall, 1920), di “atmosfera distrettuale” (Becattini, 1987; 1989; Bellandi, 1982;
Brusco, 1989) e di “milieu innovateur” (Camagni, 1989; 1991; Maillat et al., 1995).
L’insieme di tali modelli è stato differentemente impiegato, dalla letteratura afferente
all’economia regionale, per interpretare il successo del DI. E’ interessante osservare che,
dall’analisi di tale letteratura, è possibile rilevare una variabile comune soggiacente a
ciascun modello e variamente impiegata per analizzare le differenti peculiarità del DI. Si
tratta della risorsa conoscenza. Questa ha infatti rappresentato una delle principali
L’elasticità e la flessibilità produttiva sono state le variabili tradizionalmente impiegate per denotare le
capacità di adattabilità alla domanda di mercato del DI. In particolare per elasticità è da intendersi la capacità
delle imprese distrettuali di variare i propri volumi di produzione mantenendo pressoché invariato il costo
unitario di produzione. Invece la flessibilità rappresenta la capacità di adattarsi alle richieste del mercato in
termini di nuovi e differenziati prodotti (Gandolfi, 1998).
1
3
determinanti del successo competitivo del modello distrettuale e mutuando l’interpretazione
di conoscenza fornita da Rullani (1994), essa ha costituito la “forza produttiva” su cui si è
basata la crescita del sistema distrettuale.
L’analisi dello sviluppo dei DI mostra come alla base della loro origine sia sempre
possibile individuare la formazione e diffusione, a livello locale, di saperi pratici sui quali si
sono innescati circoli virtuosi di diffusione imprenditoriale (Anastasia e Corò, 1996). In
particolare, di fondamentale importanza è stata generalmente la disponibilità in un spazio
geografico circoscritto di un patrimonio storico di conoscenze artigianali e socio-culturali,
che hanno costituito la base per lo sviluppo di competenze produttive specialistiche e di
un’atmosfera distrettuale imprenditoriale2.
La presenza di un substrato cognitivo di natura artigianale combinato con lo sviluppo di
un sistema produttivo frammentato e specializzato ha permesso la creazione di un
patrimonio di conoscenze tecnico-operative specialistiche su cui l’innesto di una spiccata
creatività degli individui ha determinato rilevanti capacità innovative che hanno contribuito
alla vitalità economico-produttiva dei DI.
Per evidenziare la natura cognitiva del DI, Becattini e Rullani (1993) propongono
un’efficace metafora interpretativa schematizzando il modello distrettuale come un
“laboratorio cognitivo”, cioè come uno spazio socio-geografico in cui si generano ed
accumulano esperienze produttive, organizzative e di vita.
La metafora interpretativa del laboratorio cognitivo consente di analizzare il processo
produttivo dei DI come un “processo produttivo completo” (Becattini e Rullani, 1993):
produrre nei DI non significa meramente convertire fattori in input in prodotti finiti o
output, secondo fissati procedimenti tecnici, ma significa anche e soprattutto “riprodurre
l’organismo produttivo”. Quindi il DI non solo è un modello produttivo in cui si
trasformano fattori produttivi per ottenere prodotti, ma soprattutto è uno spazio cognitivo in
cui si elaborano informazioni e si generano conoscenze tecniche, cultura e valori sociali.
L’interpretazione del DI come laboratorio cognitivo conferisce alle dinamiche cognitive
che in esso si sviluppano, nella forma di processi di creazione e diffusione delle
conoscenze, grande rilevanza, riconoscendole come il principale e fondamentale “motore”
produttivo del sistema. Per una loro comprensione si rende necessario osservare che la
natura localizzata del modello distrettuale3 consente di distinguere due ambiti cognitivi di
Ad esempio il DI di Modena, specializzata nel settore meccanico, deve la sua formazione ad un’estesa
presenza di piccoli laboratori artigianali formatesi a seguito del fallimento degli insediamenti industriali, nella
stessa area, per la fabbricazione di trattori ad opera della Fiat. Tale fallimento indusse molti operai
specializzati ad avviare attività artigianali che hanno costituito la base cognitiva per il successivo sviluppo del
distretto (Saba, 1995). Un altro interessante esempio è fornito dal DI del mobile della Brianza. L’innesco del
suo sviluppo dev’essere ricercato ai primi del ‘900 quando la costruzione delle abitazioni dei borghesi
milanesi e della villa reale di Monza portò numerosi artigiani mobilieri francesi a trasferirsi nell’area
geografica in cui oggi insiste il distretto della Brianza (CERTeT, 1995).
3
La natura localizzata del modello produttivo distrettuale è una delle principali caratteristiche poste in
evidenzia dalle differenti definizioni di DI riscontrabili in letteratura. Beccatini (1989) definisce il DI come
un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla co-presenza attiva, in un’area territoriale circoscritta,
naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e di una popolazione di imprese
industriali. Una definizione più operativa, che ancora rimarca l’aspetto locale, è quella di Onida (1992) che
definisce il DI come un’agglomerazione territoriale di produttori specializzati e tra loro integrati lungo intere
filiere produttive. Infine, Nuti (1992) definisce il DI come un insieme di imprese caratterizzate da dimensione
2
4
riferimento per i DI, uno di natura “interna”, coincidente con il patrimonio cognitivo
dell’area distrettuale, e l’altro di natura “esterna”, corrispondente con l’insieme delle
conoscenze globalmente rinvenibili nell’ambiente esterno al DI nella forma sia di
“conoscenze pubbliche”, quali le conoscenze scientifico-tecnologiche, sia di “conoscenze
private”, legate al know-how di imprese operanti al di fuori del distretto.
Ne consegue che l’insieme delle dinamiche cognitive dei DI possono assumere due
configurazioni di riferimento, una di natura interna al distretto “dinamiche cognitive
interne”, legata alle capacità locali del sistema distrettuale di generare e diffondere
conoscenze, talvolta anche attraverso l’acquisizione di informazioni dall’ambiente esterno
che sono poi sottoposte ad un’elaborazione interna, e l’altra di natura esterna al distretto
“dinamiche cognitive esterne”, connessa alla capacità del distretto di acquisire conoscenze
dall’esterno o di generarle attraverso un intenso relazionamento con sistemi cognitivi
esterni al sistema locale.
In ogni caso i processi di creazione e diffusione delle conoscenze dei DI sono
strettamente legati alle caratteristiche degli attori in essi operanti. Adottando un approccio
basato sul modello esplicativo del network è possibile analizzare le dinamiche cognitive
distrettuali attraverso due dimensioni di riferimento: gli attori e le relazioni che li
connettono (Lipparini, 1995; Lipparini e Lorenzoni, 1996). Riguardo agli attori sembra
possibile individuare, in forma aggregata, tre principali tipologie di riferimento: le imprese
distrettuali, cioè l’insieme delle unità con funzioni produttive e/o commerciali operanti
nell’area locale, il tessuto sociale distrettuale, costituito dagli individui e dalle famiglie
residenti nell’area locale, e, infine, le istituzioni operanti nel distretto, quali ad esempio le
amministrazioni locali e le associazioni di categoria. Ciascuno di questi costituisce un
attore attivo nello sviluppo e sostegno delle dinamiche cognitive distrettuali.
Nel seguito l’attenzione sarà posta principalmente sulle azioni e le caratteristiche
cognitive delle imprese distrettuali, che costituiscono i principali attori delle dinamiche
cognitivo-produttive distrettuali. Il tessuto sociale e le istituzioni, pur con le dovute
specificità, saranno trattati come un unico attore aggregato definito sistema sociale del
distretto.
3. Dinamiche cognitive nelle aree sistema integrate
Nei DI canonici, cioè quelli caratterizzati da una configurazione strutturale del tipo area
sistema integrata, le dinamiche cognitive appaiono prevalentemente come il risultato di due
fenomeni: l’azione delle imprese distrettuali e la formazione di reti interpersonali centrate
sulle imprese, ma estese al di fuori dei confini organizzativi con un coinvolgimento diretto
di tutto il sistema sociale.
Particolarmente importante è il ruolo rivestito dalle imprese distrettuali nello sviluppo
dei processi di creazione delle conoscenze. Questi possono essere ricondotti a due
principali classi di apprendimento, da un lato i processi di “apprendimento individuale”
e da specializzazione produttiva per lo più simili, che operano in aree geografiche ben delimitate, coincidenti
con il territorio di uno o più comuni, e che realizzano tra loro forme differenti di collaborazione.
5
relativi alla dimensione della singola impresa4 e dall’altro lato i processi di “apprendimento
relazionale” afferenti alle dinamiche relazionali delle imprese distrettuali.
Alla classe dei processi di “apprendimento individuale” appartengono tutti quei processi
di creazione delle conoscenze basati sui risultati delle dinamiche esperienziali degli
individui operanti nell’impresa e direttamente coinvolti nei processi produttivi5. Tali
processi si esplicano prevalentemente attraverso due dinamiche operative: dinamiche di
tipo trial and error che assumono essenzialmente la forma di meccanismi di learning by
doing e learning by using e dinamiche di relazionamento sociale basate su processi di
interazione face-to-face tra gli individui all’interno del contesto organizzativo che
assumono la forma di meccanismi di internal learning by socializing, con uno scambio di
esperienze tecnico-operative e di “visioni del mondo”.
Di grande importanza nello sviluppo delle dinamiche di apprendimento individuale per
le imprese distrettuali è il ruolo rivestito dagli imprenditori, con i quali l’impresa si
identifica. Questi oltre ad attivare il processo di apprendimento dell’impresa6, influenzano
con la loro capacità di giudizio, generalmente basata su uno specifico sapere tecnico, il
processo evolutivo dell’impresa stessa, determinandone una crescita cognitiva di tipo pathdependent.
L’apprendimento relazionale si presenta invece strettamente legato alla natura delle
relazioni instaurate dalle singole imprese distrettuali. E’ possibile distinguere tre principali
tipologie di relazioni che coinvolgono le imprese nei DI: a) relazioni inter-impresa; b)
relazioni con il sistema sociale; c) relazioni con l’ambiente esterno al distretto.
Alla prima tipologia di relazioni appartengono tutti quei fenomeni di networking interimpresa che si instaurano nei DI in virtù della decomposizione del processo produttivo in
fasi operative con una conseguente specializzazione di cluster di imprese nelle relative fasi.
Il fenomeno della specializzazione di fase alimenta sia le dinamiche di apprendimento
individuale sia quelle dell’apprendimento relazionale. Infatti la specializzazione determina
da un lato, attraverso l’esecuzione ripetuta nel tempo di pratiche tecnico-produttive, lo
sviluppo di competenze focalizzate che si identificano con le core competencies
Coerentemente all’approccio cognitivo si assume che la singola impresa distrettuale sia assimilabile ad un
“sistema cognitivo”, cioè ad un “organismo” la cui natura distintiva risiede nella capacità di generare ed
accumulare conoscenze. Quindi l’impresa, in quanto sistema cognitivo, è interpretata come un organismo in
grado di apprendere, di trasferire, di codificare e di memorizzare conoscenze, strutturandole ed
incorporandole in specifici hardware - le tecnologie, i sistemi tecnici ed ogni altro supporto materiale che
incorpori conoscenza -, nelle capabilities delle persone, nelle routines organizzative e complessivamente nelle
“competenze” dell’impresa stessa. Quindi tutte le componenti caratteristiche dell’impresa, l’insieme dei
tangible e intangible assets, sono concepite come “contenitori” e “veicoli” di conoscenza (Krogh e Vicari,
1992; Schiuma, 1997; Vicari, 1991).
5
Tale osservazione trova conferma nei principali studi sulla Learning Organization secondo cui
un’organizzazione apprende in primo luogo attraverso gli individui che le compongono (Huber, 1990; Garvin,
1993; Kim, 1993). Ciò equivale ad affermare coerentemente alla schematizzazione di impresa come sistema
cognitivo che gli individui costituiscono le “cellule nervose” del sistema impresa.
6
Nell’analisi delle differenti forme di apprendimento organizzativo, Huber (1990) definisce tale forma di
apprendimento come “apprendimento congenito”, riconoscendo in esso il processo di generazione delle
conoscenze che si realizza al momento della costituzione di un’impresa, quando le conoscenze degli
imprenditori si fondano con quelle acquisite durante il processo di formazione dell’impresa. Nel caso delle
imprese distrettuali tale processo di apprendimento assume grande importanza poiché generalmente non solo
la costituzione, ma anche l’agire delle imprese si fonda sulle conoscenze operative dell’imprenditore.
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dell’impresa e quindi si traduce nell’attivazione di meccanismi di learning by specializing.
Dall’altro lato la specializzazione di fase comporta una complementarietà di differenti
competenze specialistiche che alimenta un’intensa attività di relazionamento, con un
elevato numero e frequenza di rapporti tra le imprese cui fa riscontro uno scambio di
esperienze e problematiche operative, che si traduce in una cross fertilization con la
generazione di nuove conoscenze. L’arricchimento cognitivo reciproco delle imprese è
giustificabile anche alla luce dello “spessore” delle relazioni inter-impresa, nelle quali cioè
si sommano molteplici aspetti tecnici, economici, di mercato e personali (Hakansson,
1987). Inoltre l’intensa attività di networking tra le imprese fa sì che queste sviluppino
elevate capacità relazionali che consentono di ridurre i costi di coordinamento inter-impresa
nell’area sistema integrata, grazie ad una condivisione di codici comportamentali e di
interpretazione che riducono l’incertezza e l’ambiguità degli scambi informativo-cognitivi
connessi alla relazione inter-impresa (Albino et al., 1999). Tale capacità delle imprese
distrettuali può essere interpretata come il risultato di un processo di apprendimento
relazionale complessivamente denotabile come learning by inter-firm relationship.
Per denotare il fenomeno dell’integrazione del sistema produttivo distrettuale con il
sistema sociale si sono impiegate in letteratura prevalentemente due metafore interpretative,
quella dell’atmosfera distrettuale e quella di milieu innovateur (Becattini, 1989; Bellandi,
1989; Camagni, 1989; 1991; Brusco, 1989). Queste appaiono utili per rappresentare
l’insieme delle complesse relazioni che si instaurano tra le imprese distrettuali e il sistema
sociale dell’area locale. La formazione di queste relazioni determina la formazione di uno
“spazio relazionale-cognitivo” distrettuale che si traduce nello sviluppo di processi di
learning by localizing o collective learning (Lipparini e Lorenzoni, 1996). Le imprese
distrettuali si trovano ad operare in un ambiente economico caratterizzato dalla presenza di
molteplici relazioni sociali, prevalentemente di natura informale, che trovano il loro
fondamento sulla diffusione di reti interpersonali estese a livello di area sistema che
garantiscono globalmente la circolazione di conoscenze alimentando processi di
apprendimento collettivi e la formazione di un ambiente innovativo (Boari et al., 1989;
Maillat et al., 1995). Nell’ambito dei processi di collective learning possono annoverarsi
anche i processi di learning by imitation o local benchmarking, sebbene questi presentino
specifiche peculiarità. Tali processi di apprendimento hanno in particolare rappresentato
una delle principali spinte interne alla crescita estensiva dei DI. Infatti l’attivazione di
processi di emulazione ha determinato la crescita di un spesso tessuto imprenditoriale
animato, nel contempo, da uno spirito di cooperazione e competizione.
Per quanto attiene, invece, alle relazioni instaurate dalle imprese distrettuali con
l’ambiente esterno è importante osservare che per le aree sistema integrate queste
presentano principalmente un carattere di natura commerciale. In particolare, recuperando
le categorie di agenti proposte da Lombardi (1994) per analizzare le caratteristiche
informative dei DI7, è possibile affermare che le relazioni con l’ambiente esterno per i DI
canonici, si presentano prevalentemente nella forma di acquisizioni di informazioni di
Nell’analisi dell’evoluzione del DI come sistema informativo Lombardi (1994) propone cinque categorie di
agenti: gli “imprenditori terminali”, che costituiscono l’interfaccia tra il mercato ed il sistema locale; i
“contoterzisti”, che rappresentano le unità produttive monofase specializzate; i “lavoratori dipendenti”, tutti
gli individui che operano nelle imprese e si caratterizzano per una forte attaccamento al lavoro; i “lavoratori a
domicilio” e le “istituzioni”.
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7
mercato e che tali relazioni sono gestite da un insieme di imprese terminali che convertono
i segnali percepiti dal mercato in ordini per le unità produttive interne al distretto. Le
interazioni con l’ambiente esterno delle imprese distrettuali si presentano prevalentemente
limitate alle raccolta delle informazioni di mercato, contemplando limitati scambi di
conoscenza tecnico-operative nella forma, ad esempio, di tecnologie produttive. E’, inoltre,
importante rilevare che i flussi informativi commerciali appaiono improntati ad una logica
adattativa rispetto alle variabili esogene. Quindi nelle interazioni con l’ambiente esterno
all’area sistema le imprese presentano una capacità di individuare i segnali della domanda
dei mercati e di rispondervi in maniera flessibile, ma mancano di una capacità di creare in
modo sistematico nuovi spazi di operatività sui mercati di sbocco. Ne consegue, dal punto
di vista cognitivo, che le imprese distrettuali mostrano una capacità di apprendimento
basata essenzialmente su meccanismi che è possibile definire di tipo learning by external
adapting.
In Figura 1 si presentano in forma schematica i principali meccanismi di apprendimento
caratterizzanti le aree sistema integrate.
Ambito cognitivo
esterno
Learning by doing
Learning by using
Learning by specializing
Learning by socializing
Impresa
distrettuale
Collective learning
Learning by localizing
Local benchmarking
Learning by external
adapting
Learning by inter-firm
relationships
Apprendimento
Individuale
Apprendimento
relazionale
Sistema sociale
distrettuale
Impresa
distrettuale
Apprendimento
Individuale
Ambito cognitivo
interno
Figura 1. Meccanismi di apprendimento nelle aree sistema integrate.
L’insieme dei meccanismi di apprendimento analizzati appaiono fortemente legati al
contesto in cui si sviluppano. Ne consegue che le conoscenze da essi generate si presentano
di tipo “contestuale”, cioè strettamente legate all’ambiente socio-produttivo di generazione.
Inoltre il carattere essenzialmente esperienziale e cumulativo delle differenti forme di
apprendimento determina la produzione di conoscenze di natura essenzialmente tacita
8
(Polanyi, 1962; 1966), cioè radicate nell’azione dei singoli individui e nelle dinamiche
relazionali che li connettono e trasferibili esclusivamente attraverso processi di
socializzazione. In particolare, le conoscenze generate dai processi di apprendimento
individuale possono essere classificate in personal-embodied knowledge o individual skills
e in routines organizzative. Le prime sono il risultato di un processo di accumulazione, a
livello di singoli individui operanti nelle imprese, di conoscenze empiriche sviluppate
attraverso l’esercizio ripetuto di pratiche lavorative specializzate. Si tratta quindi di
conoscenze che, in quanto connesse ad una specifica fase del ciclo produttivo del distretto,
si presentano di natura specializzata (specialized knowledge) oltre che tacita. Le routines
organizzative, invece, costituiscono un insieme di conoscenze organizzative di natura
interpersonale, frutto di un intenso processo di interazione face-to-face a livello intraorganizzativo tra gli individui operati nel sistema impresa. Queste conoscenze si presentano
nella forma di regole e procedure non formalizzate, di valori socio-economici organizzativi
e di rapporti di fiducia e stima reciproca tra gli individui, che conferiscono al sistema
organizzativo nel loro insieme superiori capacità di efficienza dinamica.
Le conoscenze generate attraverso l’apprendimento relazionale possono essere
fondamentalmente ricondotte a due forme di riferimento: le routines inter-organizzative ed
i valori socio-culturali locali (local socio-cultural values).
Le routines inter-organizzative corrispondono all’insieme delle conoscenze relazionali
sviluppate dalle imprese distrettuali nei processi di networking. Si presentano nella forma
di conoscenze tacite radicate nelle abilità delle imprese distrettuali di rapportarsi con altre
imprese in modo flessibile. Sono il risultato di processi di socializzazione inter-impresa,
manifestantesi nella forma di interazioni dirette sia tra gli imprenditori sia tra gli operatori
delle differenti imprese integrate lungo la filiera produttiva distrettuale. I valori socioculturali locali, invece, coinvolgono un’elevata varietà di aspetti connessi alle
caratteristiche psicologiche e sociologiche del sistema sociale del DI. Appaiono come il
risultato di un’espansione delle reti personali, caratterizzanti le singole imprese distrettuali,
al di fuori dei confini organizzativi per coinvolgere tutto il sistema sociale dell’area locale.
Si presentano come schemi di valutazione e di “interpretazione del mondo” posseduti e
condivisi dagli individui insediati nell’area distrettuale. Quindi contemplano la formazione
di visioni comuni o beliefs, lo sviluppo di un comune background culturale e politico, la
condivisione di codici di comportamento, di stili di vita e di un’ “etica del lavoro”.
Quest’ultima, in particolare, è stata riconosciuta da molti autori come un’importante chiave
di lettura del successo del modello distrettuale (Anastasia e Corò, 1996; Saba, 1995). Infatti
la diffusione di una visione del lavoro non solo come mezzo strumentale di sopravvivenza,
ma soprattutto come fonte di riconoscimento ed identità sociale consente di spiegare sia
l’elevata produttività delle imprese distrettuali sia lo sviluppo estensivo di piccole imprese8.
8
Il valore del lavoro per gli individui operanti nelle imprese distrettuali si traduce in una forte motivazione e
coinvolgimento nel processo produttivo, che contribuisce anche ad alimentare uno spirito imprenditoriale. A
tal proposito Brusco (1994) afferma che il DI “ha il vantaggio di aver almeno in qualche misura risolto quel
problema che molte imprese grandi non riescono a risolvere: il problema di coinvolgere i lavoratori e tutto il
popolo della produzione nel processo produttivo, di sollecitare la partecipazione degli operai e dei tecnici, di
aggredire i mercati mondiali con prodotti che sono figli non solo delle mani, ma della testa e del cuore di chi
li ha prodotti” (p. 73). Sull’importanza del valore del “lavoro” come determinante competitiva si è soffermato
9
Complessivamente le conoscenze generate nei DI, siano esse il risultato di un
apprendimento di tipo individuale o relazionale, si presentano strettamente ed
inscindibilmente legate alla popolazione di imprese e al tessuto sociale operante nell’area
distrettuale. Ciò determina che ogni DI si caratterizza per uno specifico patrimonio
cognitivo di natura idiosincratica rispetto allo spazio socio-geografico di generazione9.
Nella Tabella 1 si sintetizzano le caratteristiche delle dinamiche cognitive di creazione
delle conoscenze caratterizzanti i DI canonici, evidenziando la forma e la natura
prevalentemente presentate dalle conoscenze.
Classi di
apprendimento
nei DI
Meccanismi di
apprendimento
Apprendimento
individuale
Learning by doing
Learning by using
Learning by specializing
Local learning by
socializing
Apprendimento
relazionale
Learning by inter-firm
relationships
Collective learning
Learning by localizing
Local benchmarking
Forme delle
Conoscenze generate
Natura
della
conoscenza
Tacita
Personal-embodied knowledge
Specialized knowledge
Contestuale
Organization values
Idiosincratica
Organisation routines
Inter-organization routines
Local socio-cultural values
Tacita
Contestuale
Idiosincratica
Tabella 1. Caratteristiche delle dinamiche cognitive di creazione
delle conoscenze nelle aree sistema integrate.
Le conoscenze caratterizzanti le aree sistema integrate, di natura prevalentemente tacita,
possono essere scambiate esclusivamente attraverso processi di socializzazione (Nonaka,
1991; 1994). Tale precisazione costituisce un’importante chiave di lettura delle dinamiche
cognitive di diffusione delle conoscenze nei DI canonici. In particolare, per analizzare i
processi di diffusione delle conoscenze nelle aree sistema integrate occorre distinguere due
livelli di analisi di riferimento, uno relativo alla singola impresa distrettuale e l’altro
relativo all’intera area sistema. Al primo livello, quello della singola impresa distrettuale, la
anche Porter (1990) evidenziando come questo costituisca uno dei fattori ambientali su cui si fonda il
vantaggio competitivo.
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Tale considerazione pone l’accento sull’unicità del DI. Infatti sebbene siano stati individuati un insieme di
fattori comuni di base per una caratterizzazione del DI come modello produttivo, questo presenta sempre in
ogni realtà socio-economica in cui si sviluppa delle specifiche peculiarità legate prevalentemente alle
dinamiche cognitive che in esso si sviluppano. Ciò equivale ad affermare, coerentemente ad un approccio
autopoietico (Krogh e Vicari, 1992; Vicari, 1991), che il DI come laboratorio cognitivo si presenta di natura
autoreferenziale, cioè come un sistema cognitivo unico ed irripetibile nelle sue specificità.
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diffusione delle conoscenze è basata su due principali meccanismi di socializzazione:
l’apprendistato, per il trasferimento delle conoscenze tecnico-operative individuali, e le reti
interpersonali intra-organizzative, per il trasferimento delle routines e dei valori socioculturali organizzativi. Invece al secondo, quello dell’intero distretto, la diffusione della
conoscenza nel distretto è basata su tre fondamentali meccanismi di socializzazione: la
mobilità del personale inter-impresa, che garantisce la diffusione del sapere pratico e di
best-practice operative sviluppate a livello di singola impresa, le reti interpersonali sovraorganizzative, che facilitano i contatti personali tra individui operanti in imprese differenti
alimentando uno scambio informale di informazioni, e l’elevata variabilità delle relazioni
inter-impresa nella definizione del ciclo produttivo, in accordo al modello della
specializzazione flessibile, che porta differenti imprese ad interagire tra loro con una
conseguente condivisione e scambio di esperienze operative.
L’insieme delle osservazioni svolte in merito ai meccanismi di creazione e diffusione
delle conoscenze nelle aree sistema integrate, consentono di trarre alcune conclusioni sulle
dinamiche cognitive dei DI canonici. La prima riflessione è che il DI si presenta
essenzialmente come uno spazio cognitivo chiuso, infatti è caratterizzato, da un lato, dal
punto di vista delle dinamiche cognitive esterne da interazioni con l’ambiente basate
esclusivamente su scambi informativi di natura commerciale, limitati per altro
generalmente ai soli flussi informativi sulle richieste e specificità dei mercati di sbocco;
dall’altro, è caratterizzato dal punto di vista delle dinamiche cognitive interne, dalla
formazione di circoli virtuosi di creazione e diffusione delle conoscenze di natura tacita e
contestuale, alimentati dall’azione di una molteplicità di imprese specializzate ed integrate
e da un’intensa attività di networking sia tra le imprese sia tra gli individui in esse operanti.
La seconda osservazione, strettamente legata alla prima, è che il carattere chiuso del DI e le
sue peculiari dinamiche cognitive interne hanno generato capacità innovative endogene
all’area distrettuale, che hanno rappresentato la principale fonte del vantaggio competitivo
di tale modello economico-produttivo. Tali capacità innovative per la loro natura distribuita
e diffusa nell’area sono state denotate in letteratura (Bellandi, 1989) complessivamente
come capacità innovativa diffusa (CID) e riconosciute come una forma sostitutiva, a livello
di sistema, della tradizionale funzione di R&S delle grandi imprese. E’ importante
osservare però che la natura dei processi di generazione delle conoscenze alla base della
CID, legati alla creatività di singoli individui esperti e ad intensi processi di networking,
genera importanti risultati innovativi ma di natura essenzialmente incrementale e
asistemica. Questo può contribuire a spiegare come mai i DI canonici abbiano mostrato
un’elevata capacità competitiva fino a quando il contesto competitivo, in cui hanno operato,
è stato tendenzialmente statico e l’apprendimento adattativo, caratterizzato da un
comportamento di tipo “stimolo-risposta” (McGill et al., 1992) e basato su una CID, cioè su
un processo di miglioramento incrementale dei prodotti, dei servizi, delle tecnologie e delle
azioni di marketing, è stato sufficiente per acquisire differenziali competitivi.
Negli ultimi anni il contesto competitivo con cui i DI sono chiamati a confrontarsi ha
subito profondi mutamenti con un’erosione del vantaggio competitivo delle aree
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distrettuali10. Tra i principali fenomeni di tale cambiamento si possono annoverare: a)
l’aumentata dinamicità del cambiamento dei mercati; b) il progressivo aumento della
pressione competitiva delle imprese ed in particolare di quelle operanti nei paesi ad
economia emergente, che oltre a poter contare su una tradizionale competitività di costo
stanno progressivamente sviluppando competenze tecnico-operative con un conseguente
miglioramento della qualità dei prodotti11; c) il mutamento delle condizioni congiunturali
dei mercati in cui i DI operano quali, ad esempio, le crisi economiche di alcuni tradizionali
paesi importatori dei prodotti distrettuali e l’aumento del costo del lavoro.
A fronte di tali cambiamenti, l’area sistema integrata presenta dei limiti di efficienza e
talvolta anche di efficacia che rendono necessarie alcune ristrutturazioni organizzativoproduttive ed inter-organizzative volte, ad esempio, ad aumentare il valore aggiunto dei
prodotti, a potenziare le capacità di competizione sui fattori “non di prezzo” e ad anticipare
strategicamente la domanda per fronteggiare l’elevata dinamicità dei mercati internazionali
(Lombardi, 1994; Gottardi, 1997). Ciò che complessivamente sembra emergere è la
necessità di migliorare le capacità innovative del modello distrettuale. Alla tradizionale
CID vanno affiancate nuove modalità gestionali dei processi di innovazione meno casuali
ed incrementali, ma più sistematici e continui, frutto di azioni pianificate. Ed è proprio alla
ricerca di un miglioramento delle capacità innovative che possono essere interpretati i
recenti processi evolutivi strutturali in atto in molti DI.
4. Evoluzione del distretto industriale
Nell’ultimo decennio numerosi studi teorico-empirici hanno evidenziato come i DI siano
caratterizzati da intensi processi di trasformazione (Nuti, 1992; Gandolfi, 1998;
Unioncamere, 1995).
La tendenza che sembra emergere, nei DI più dinamici, è il passaggio da forme
strutturali a coordinamento distribuito, caratterizzate da un “comportamento intelligente”
delle singole imprese distrettuali che, in un contesto competitivo quasi statico, si è tradotto
in un’efficacia ed efficienza di sistema, a forme con centri di coordinamento, nel qual caso
alcuni attori dotati di superiori capacità decisionali coordinano e gestiscono le azioni delle
imprese distrettuali ristrutturandone i network inter-impresa ed attuano un governo delle
I più recenti dati forniti dall’osservatorio congiunto Montedison-Università Cattolica di Milano sull’analisi
dell’export dei 100 principali poli produttivi provinciali specializzati, mostrano una preoccupante flessione
generalizzata dell’export distrettuale in quasi tutti i settori merceologici di riferimento.
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Ciò è stato possibile principalmente al processo di delocalizzazione di alcune unità produttive distrettuali le
quali alla ricerca o di nuove occasioni di mercato o di una maggiore competitività sui costi ha determinato un
trasferimento sia di tecnologie produttive, generalmente di bassa complessità e quindi facilmente imitabili e
riproducibili, sia di know-how operativo attraverso processi di apprendistato della forza lavoro locale. Un
esempio di tale fenomeno è l’accresciuta competitività dei paesi asiatici nella produzione dei mobili imbottiti.
Il processo di delocalizzazione di alcune imprese dal distretto industriale di Matera verso paesi a basso costo
della manodopera e in prossimità di potenziali mercati di sbocco ha attivato la formazione di pericolosi circoli
di creazione delle conoscenze in aree esterne al distretto. La conseguenza di tale fenomeno è la comparsa sul
mercato di mobili imbottiti provenienti dai paesi asiatici, che sebbene ancora di qualità inferiore ai prodotti
distrettuali, mostrano una buona competitività di costo e margini per un miglioramento qualitativo supportato
dalla fuga di know-how.
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dinamiche distrettuali.
La natura di questi attori può assumere differenti connotati nelle diverse aree distrettuali.
Tuttavia sembrano potersi individuare tre principali fenomeni di riferimento:
a) l’affermazione di attori con funzioni di meta-management;
b) lo sviluppo di processi di bipolarizzazione delle imprese distrettuali;
c) la crescita di imprese leader.
L’affermazione di alcuni attori con funzioni di meta-management nelle aree sistema
integrate coincide fondamentalmente con un rafforzamento del ruolo delle associazioni di
categoria delle imprese distrettuali. Queste si organizzano in modo tale da offrire, da un
lato, servizi per l’innovazione alle piccole e medie imprese dell’area locale e, dall’altro, per
coordinare l’azione produttiva delle imprese distrettuali, attivando e gestendo processi di
cooperazione inter-impresa ed inter-industria sia all’interno del distretto che con l’ambiente
esterno al distretto. Tali attori, inoltre, tendono a svolgere un’importante funzione di
intermediazione commerciale tra il distretto e il suo ambiente esterno, attraverso un
monitoraggio dei mercati di sbocco, l’esplorazione di nuovi potenziali mercati e lo sviluppo
di azioni di promozione e di marketing dei prodotti. Complessivamente ciò che sembra
emergere è che tali attori attuano politiche di gestione delle dinamiche cognitive distrettuali
ed in particolare di quelle di natura esterna. Gli attori con funzioni di meta-management
tendono infatti prevalentemente a collocarsi come interfacce tra l’ambiente esterno e quello
interno del DI, supportando sia il rafforzamento delle competenze commerciali del DI,
attraverso lo sviluppo di capacità strategiche proattive, sia l’acquisizione di conoscenze
scientifico-tecnologiche ed organizzativo-gestionali, attraverso la fornitura di servizi per
l’innovazione12.
L’altro fenomeno che sta caratterizzando alcuni DI è lo sviluppo di processi di
bipolarizzazione delle imprese distrettuali, con una divisione delle imprese in due classi di
riferimento: da un lato poche imprese guida specializzate essenzialmente nelle funzioni
commerciali e dall’altro un insieme di imprese anche di media e grande dimensione
Un caso di studio di riferimento di attore di meta-management è rappresentato dall’Unione Industriali della
Provincia di Varese (UNIVA) (Albertini, 1998). Questa ha sviluppato un insieme di iniziative volte a
supportare le dinamiche cognitive dei DI operanti nella provincia di Varese. Tali iniziative comprendono la
costituzione di strutture dedicate alla fornitura di servizi amministrativi, manageriali, produttivi e di R&S.
Come esempi di riferimento di iniziative promosse dall’UNIVA si possono annoverare: la formazione di un
Centro Tessile Cotoniero e dell’Abbigliamento per la fornitura di servizi nell’area distrettuale dell’ “Asse del
Sempione”, specializzata nel settore del tessile abbigliamento; l’istituzione dell’Università LIUC (Libero
Istituto Universitario Carlo Cattaneo) con la missione di promuovere la cultura manageriale nell’area e
preparare personale specializzato per le imprese dell’area locale; la costituzione, assieme ad altre associazioni,
del Polo Scientifico Tecnologico Lombardo per lo sviluppo ed il trasferimento di conoscenze scentificotecnologiche alle piccole e medie imprese; ed altre iniziative volte a fornire servizi per la formazione e
l’addestramento, per la tutela dell’ambiente e della salute, sulle problematiche finanziarie, ecc.. Si tratta
complessivamente di azioni finalizzate alla fornitura di servizi per l’innovazione, interpretabili come “vettori
di conoscenza” (Schiuma, 1997) volti ad implementare un trasferimento di conoscenze per supportare i
processi innovativi delle imprese distrettuali. Quindi, l’UNIVA costituisce attualmente nei DI che gravitano
nella provincia di Varese un attore che stimola e coordina le dinamiche cognitive distrettuali promuovendo lo
sviluppo e l’adozione di innovazioni globali che conferiscano capacità competitive dinamiche alle imprese
distrettuali.
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focalizzate sulle funzioni produttive.
Il processo di bipolarizzazione delle imprese nei DI non è un fenomeno nuovo. Infatti
già alcune aree sistema integrate sono caratterizzate dalla presenza nel distretto di alcune
imprese capaci di stabilire rapporti con i mercati di sbocco – le imprese terminali – e di una
miriade di piccole e medie imprese impegnate nel processo produttivo. Tuttavia, nei DI alla
ricerca di un’efficienza dinamica per fronteggiare i mutamenti del contesto competitivo,
tale fenomeno evolve. Si assiste all’affermazione da un lato di poche imprese in grado non
solo di instaurare un rapporto con i mercati di sbocco, ma soprattutto di sviluppare politiche
di strategia commerciale e dall’altro di molte imprese focalizzate sul processo produttivo ed
in grado di introdurre innovazioni tecnologiche (Gandolfi, 1998). E’ importante rilevare
che il processo di bipolarizzazione determina un rinnovamento delle relazioni interimpresa. Infatti si assiste all’affermazione di alcune imprese guida focalizzate o sulle
competenze commerciali o su quelle produttive attorno alle quali si attivano dei processi di
gerarchizzazione. Questi si presentano essenzialmente di natura interna, cioè basati
prevalentemente su un’internalizzazione di fasi tecnologiche, per le imprese guida
focalizzate sulle competenze produttive e di tipo esterno, cioè basati sulla formazione di
gruppi più o meno formalizzati, per le imprese guida centrate sulle funzioni commerciali
(Unioncamere, 1995). Dal punto di vista cognitivo l’affermazione di alcune imprese guida
con una relativa crescita dimensionale si traduce in un maggior investimento
nell’acquisizione e sviluppo di conoscenze con un conseguente miglioramento delle
dinamiche cognitive interne ed esterne all’area distrettuale13.
Un fenomeno evolutivo affine a quello della bipolarizzazione è rappresentato dalla
crescita nel DI di alcune imprese leader. In tal caso però invece di una divisione delle
competenze cui fa riscontro una divisione di imprese, si assiste all’affermazione di alcune
imprese che accentrano e controllano le competenze produttive e commerciali.
La crescita, nelle aree sistema, di alcune imprese in posizione di leadership è
accompagnata da una ristrutturazione dei network di imprese ad esse connesse (Albino et
al, 1998) e dall’affermazione di rinnovate modalità di gestione delle dinamiche cognitive
distrettuali. Queste imprese infatti, alla ricerca di una maggiore competitività tendono a
sviluppare superiori capacità di interazione con l'ambiente esterno e ad imporsi come centri
di coordinamento e di integrazione delle unità produttive operanti nel DI. Attuano processi
di trasformazione del network di imprese ad esse connesse, operando sia sulle singole
imprese, alle quali si richiede una sempre maggiore qualificazione gestionale e produttiva,
sia sulla natura delle dinamiche relazionali interne ed esterne al distretto. Sviluppano inoltre
nuove modalità di gestione dell’innovazione al fine di acquisire una maggiore efficienza
dinamica e migliorare non solo la capacità adattativa di prevedere e rispondere ai
cambiamenti dell'ambiente, ma soprattutto di sviluppare abilità proattive di generazione del
cambiamento stesso (Mariotti, 1989).
Tra i processi evolutivi in atto nei DI quello che appare più esplicativo dal punto di vista
delle dinamiche cognitive è quello della crescita ed affermazione di imprese leader con le
Un altro analogo caso di studio è rappresentato dall’area distrettuale comasca anch’essa specializzata nel
settore tessile. In questa si riscontra la presenza di alcune imprese – i converter – che percepiscono e/o
anticipano le richieste del mercato sulle nuove collezioni di tessuti e le trasferiscono in ordini di produzione
ad una miriade di piccoli produttori (disegnatori, foto-incisori, tinto-stampatori e tessitori) disseminati sul
territorio.
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quali si identifica il successo dei DI. Così nel seguito si analizza l’insieme delle azioni di
gestione della conoscenza che le imprese leader tendono ad attivare, nella ricerca di un
miglioramento delle proprie performance, e l’impatto che queste azioni hanno sulle
dinamiche cognitive distrettuali.
5. Nuove dinamiche cognitive nei distretti industriali: il ruolo dell’impresa leader
Il processo di crescita delle imprese leader nei DI presenta essenzialmente i connotati di
un fenomeno di gerarchizzazione. Questo può essere interpretato come il risultato di una
crescita per “linee interne”, cioè basata su un processo di espansione di tipo interno
dell’impresa leader realizzato attraverso investimenti diretti di ampliamento e/o attraverso
processi di fusione ed acquisizione, o per “linee esterne”, nel qual caso l’impresa leader
tende a focalizzarsi sulle proprie core competencies e ad aumentare da un lato i legami di
partnership, attraverso alleanze e accordi con quelle imprese che possiedono competenze
strategiche complementari e dall’altro ad esternalizzare quelle attività meno strategiche e
più operative (Albino et al, 1998a).
Grazie alla relativa dimensione e posizione all’interno dei DI, le imprese leader
assumono un ruolo di governo delle dinamiche cognitive interne ed esterne al distretto.
Queste infatti si posizionano rispetto all’ambiente esterno come attori di interfaccia
gestendo sia le interazioni commerciali sia l’acquisizione di specifiche conoscenze di
origine esterna, di carattere prevalentemente codificato, da combinare con le conoscenze
preesistenti nel distretto. Invece, rispetto all’area locale, le imprese leader si affermano
come attori di coordinamento interno orientando le modalità di sviluppo e di diffusione
delle conoscenze tecnico-operative caratterizzanti il sistema locale.
Così le dinamiche cognitive distrettuali tendono a coincidere con quelle delle imprese
leader. Queste, oltre a ristrutturare i network di imprese ad esse connessi, attuano,
nell’intento di migliorare le proprie performance, alcune specifiche azioni volte a governare
lo sviluppo e gestione dei processi innovativi. In particolare, modificano i propri
meccanismi di apprendimento, sia quelli di natura individuale che di tipo relazionale.
L’obiettivo principale appare quello di aumentare le quote di valore aggiunto incorporate
nei prodotti attraverso sia un miglioramento dello sviluppo e diffusione delle conoscenze
pratiche distrettuali, che permette un miglioramento della produttività quali-quantitativa, sia
attraverso l’introduzione dei risultati del progresso scientifico-tecnologico sviluppato
nell’ambiente esterno al distretto.
A livello di apprendimento individuale l’aspetto che appare più interessante è il ricorso a
processi di codifica delle conoscenze organizzative più strategiche che si traduce in una
modifica delle dinamiche cognitive interne dell’impresa. Da meccanismi di apprendimento
basati quasi esclusivamente sulla produzione e diffusione all’interno del sistema
organizzativo di conoscenze di natura tacita si passa a dinamiche cognitive caratterizzate da
una continua interazione tra conoscenze di natura tacita e conoscenze di tipo codificato, in
accordo al modello della knowledge-creating company14 di Nonaka e Takeuchi (1995). Ciò
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Si tratta di un modello di interpretazione delle dinamiche di learning organization. Esso considera la
conoscenza a livello organizzativo come il risultato di un processo ricorsivo, a spirale, in cui si realizza una
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è realizzato attraverso l’implementazione di progetti di codifica delle conoscenze
organizzative ed, in particolare, delle conoscenze pratiche radicate, nella forma di bestpractice operative, negli individui e nelle loro relazioni. Le finalità specifiche di tali
progetti possono essere differenti, ma fondamentalmente riconducibili all’esigenza delle
imprese leader di rendere le conoscenze tecnico-operative su cui si basa la loro capacità
produttiva più accessibili, impiegabili, trasferibili e combinabili con altre conoscenze di
tipo codificato prodotte sia internamente che esternamente all’area distrettuale.
L’attivazione dei processi di codifica delle conoscenze consente alle imprese leader di
aumentare le proprie capacità innovative sostenendo da un lato il miglioramento
dell’efficienza dei processi di creazione e di diffusione interna delle conoscenze e dall’altro
l’aumento delle capacità di assorbimento delle conoscenze scientifico-tecnologiche ed
organizzativo-gestionali disponibili nell’ambiente esterno al distretto.
In particolare gli investimenti in processi di codifica delle best-practice produttive,
acquisite dai singoli individui attraverso lunghi processi di apprendimento esperienziale e
da loro possedute nella forma di conoscenze tacite, consente di poterle più facilmente
trasferire ad un più ampio numero di individui con un conseguente aumento sia della
produttività organizzativa15 che delle potenzialità innovative del sistema impresa. Riguardo
a quest’ultimo aspetto va osservato che la conoscenza codificata, nella forma di un
opportuno artefatto cognitivo (descrizioni in linguaggio naturale, elaborati grafici,
rappresentazione per processi, modelli in scala, ecc.), costituisce una più efficace base di
confronto tra gli individui, con la medesima specializzazione o con differenti
specializzazioni tecnico-operative, che facilita la generazione di nuova conoscenza. Inoltre
la più facile diffusione delle conoscenze ne aumenta il numero delle loro possibili
interpretazioni, da parte dei differenti individui operanti nell’organizzazione, con un
aumento della ricchezza generativa del sistema cognitivo impresa.
Tuttavia l’aspetto più rilevante dell’aumento delle capacità innovative delle imprese
leader conseguito attraverso l’implementazione di progetti di codifica è che questi
definiscono le condizioni operative per una razionalizzazione dei processi produttivi e
soprattutto per l’introduzione di tecnologie industriali manifatturiere e di progettazione.
Infatti, come evidenziato dalla teoria della creazione della conoscenza di Nonaka e
Takeuchi (1995), la condizione necessaria affinché conoscenze differenti possano essere
combinate sinergicamente è che queste siano in forma codificata. Ciò implica che la
continua combinazione tra elementi “taciti” ed “espliciti/codificati”. Si concretizza in quattro fasi che
corrispondono ad altrettanti modelli, quello della “socializzazione”, nel quale si realizza la trasmissione di
conoscenze tacite, quello della “conversione”, nel quale le conoscenze tacite sono sottoposte ad una codifica
attraverso un processo a tre stadi, e cioè quello della metafora, dell’analogia e del modello o algoritmo di
codifica, quello della “combinazione”, nel quale le conoscenze in forma esplicita vengono diffuse attraverso i
modi istituzionali dell’impresa, e infine quello dell’“assorbimento” nel quale si realizza l’introiezione
individuale delle conoscenze codificate che ritornano così ad essere tacite (Nonaka e Takeuchi, 1995).
15
Una best-practice può essere interpretata, con riferimento ad un dato compito tecnico-operativo, come il
miglior modo di svolgimento dell’attività connessa al raggiungimento del compito in esame. Ovviamente la
best-practice può riguardare differenti aspetti prestazionali dell’attività quali, ad esempio, la velocità e/o la
qualità di esecuzione. Per una definita prestazione l’individuazione e codifica della best-practice posseduta da
pochi individui consente un suo più facile trasferimento a tutti gli individui che a livello organizzativo sono
coinvolti nell’attività in esame. Ciò naturalmente consente un miglioramento dell’efficienza complessiva del
sistema.
16
possibilità di introdurre e diffondere nell’impresa l’insieme delle conoscenze scientificotecnologiche reperibili in forma codificata nell’ambiente esterno al DI richiede una codifica
delle conoscenze tecnico-operative distrettuali.
Quindi il processo di codifica delle conoscenze tecnico-operativo distrettuali costituisce
una leva strategica attraverso cui le imprese leader attuano una transizione da una logica
basata sulla sola CID, ispirata essenzialmente all’implementazione di processi di
socializzazione e quindi legata ad una diffusione ed incremento di conoscenza tacita, ad una
basata sull’implementazione di innovazioni radicali e continue più rispondenti all’attuale
contesto competitivo.
L’implementazione dei progetti di codifica delle conoscenze determinano la comparsa,
rispetto alle aree sistema integrate, di due nuovi processi di apprendimento di natura
individuale delle imprese leader. Si tratta del meccanismo di learning by R&D e di learning
by combining. Il primo corrisponde ad un processo di creazione di conoscenze basato sulla
tradizionale attività di ricerca e sviluppo riscontrabile nelle grandi imprese. Infatti la
crescita dimensionale e finanziaria delle imprese leader generalmente consente loro di
creare un’unità di R&S interna con una funzione di sperimentazione e ricerca di soluzioni
tecnologiche basate essenzialmente su conoscenze codificate. Il secondo, invece, coincide
con il processo di creazione di nuove conoscenze conseguente ad una combinazione e/o ad
un assorbimento delle conoscenze codificate prodotte all’interno del sistema organizzativo.
La ricerca di una maggiore competitività da parte delle imprese leader determina un
rinnovamento delle relative dinamiche relazionali sia all’esterno che all’interno del DI, che
si traduce in un mutamento dei processi di apprendimento relazionale.
Rispetto all’ambiente esterno le imprese leader attuano politiche strategiche volte: a) a
migliorare le interazioni con i mercati, sviluppando competenze commerciali, anche
attraverso l’acquisizione di servizi esterni, che consentano l’implementazione di strategie
commerciali di natura proattiva oltre che reattiva, basate su azioni di promozione e
marketing dei prodotti16, di ricerche di mercato e di un potenziamento e miglioramento
della rete di distribuzione e vendita17; b) ad acquisire le conoscenze scientificotecnologiche ed organizzativo-gestionali disponibili nella forma di brevetti e di tecnologie;
c) a creare rapporti di partnership con altre imprese e/o centri di R&S esterni al distretto ma
detentori di know-how strategico per lo sviluppo congiunto di innovazioni di prodotto e/o di
processo. Quindi l’impresa leader, riconoscendo nell’ambiente esterno al distretto un
ambito cognitivo di grande ricchezza, crea un insieme di relazioni con esso per acquisire
nuovi patrimoni di conoscenza ed arricchire il valore aggiunto dei prodotti distrettuali.
Complessivamente tali dinamiche di relazionamento con l’ambiente definiscono un
Un’importante caso di riferimento è rappresentato dalle azioni di marketing intraprese negli ultimi anni
dalle imprese leader Luxottica, Safilo, Marcolin e Del Rigo, operanti nel distretto dell’occhialeria di Belluno,
che per fronteggiare un mercato ormai maturo qual è quello dell’occhiale stanno acquisendo i marchi di
grandi stilisti per aumentare la propria competitività ed aumentare i propri portafogli clienti.
17
Particolarmente significative sono le iniziative intraprese dalle imprese leader di alcuni DI di sviluppare una
rete di vendita in franchising così da migliorare l’interfaccia con il mercato attraverso anche l’offerta di
servizi aggiuntivi al prodotto. Un caso di riferimento è quello della Natuzzi, la principale delle imprese leader
operanti nel DI del mobile imbottito di Matera, la quale ha una propria rete di vendita in franchising, la
Divani&Divani attraverso la quale oltre a rapportarsi direttamente al mercato offre anche, insieme alla vendita
dei divani, servizi di progettazione degli interni.
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processo di apprendimento relazionale che per la sua natura proattiva e per la sua elevata
intensità può essere denotato come meccanismo di learning by interacting.
All’interno del DI, invece, le imprese leader instaurano relazioni con le imprese
distrettuali sulla base di rapporti di gerarchia per linee interne o per linee esterne. L’aspetto
cognitivo più interessante di tali relazioni è che queste appaiono improntate su un maggior
scambio di conoscenze codificate. Queste infatti consentono alle imprese leader di
migliorare le proprie capacità di coordinamento con le imprese ad esse relazionate,
attraverso una più chiara definizione dei compiti produttivi e del loro controllo, e mediante
un aumento sia del flusso di informazioni scambiate sia della velocità di trasferimento delle
conoscenze. Ciò determina un cambiamento delle dinamiche cognitive interne alle imprese
distrettuali, che sono chiamate dall’impresa leader con cui si relazionano ad effettuare
investimenti in codifica delle proprie conoscenze organizzativo-produttive. Tuttavia tali
processi di codifica si presentano poco strutturati e fondamentalmente basati sulle
indicazioni fornite dalle imprese leader che richiedono, in particolare, ai propri fornitori una
certificazione di qualità e l’adozione di tecnologie produttive ed informativi. Lo scambio e
condivisione di conoscenze codificate nelle relazioni tra l’impresa leader e le sue imprese
distrettuali riduce l’importanza dei meccanismi di learning by inter-firm relationship,
poiché le relazioni tendono ad essere basate su meccanismi di coordinamento strutturato
piuttosto che contingenti come nel caso delle dinamiche relazionali inter-impresa nelle aree
sistema integrate. Tende così ad affermarsi nei DI un nuovo meccanismo di apprendimento
relazionale basato sulla capacità delle imprese distrettuali e dell’impresa leader loro
coordinatrice di sviluppare nuove conoscenze, di codificarle e combinarle sinergicamente18.
Si tratta quindi di un meccanismo identificabile come learning by combining in customersupplier relationship per denotare come la generazione di nuove conoscenze sia
essenzialmente basata su un’integrazione di conoscenze codificate.
Il processo di codifica delle conoscenze da parte delle imprese leader determina una loro
più facile imitabilità. Così al fine di proteggersi nei confronti dei concorrenti ed in
particolare di quelli operanti nella medesima area locale, le imprese leader attuano un
controllo dei processi di diffusione delle conoscenze. A tale scopo il numero delle imprese
distrettuali relazionate all’impresa leader è ridotto così da diminuire il numero dei possibili
canali di trasmissione delle conoscenze e alle imprese relazionate si richiedono rapporti di
esclusività (Albino et al, 1998c). Agli operatori interni all’impresa leader si richiede invece
di non diffondere importanti conoscenze organizzative, attraverso sia la creazione di una
cultura di impresa di protezione del know-how organizzativo nei confronti dei concorrenti
E’ importante precisare che le modalità operative di sviluppo delle innovazioni sono strettamente legate alla
natura dell’innovazione stessa che si intende sviluppare. Sulla base dell’analisi delle modalità cognitive di
generazione dell’innovazione in un sistema di imprese integrate nella produzione di un dato prodotto, si
possono distinguere due tipologie fondamentali di riferimento: le innovazioni autonome e quelle sistemiche.
Le prime sono quelle innovazioni che possono essere sviluppate autonomamente dalle singole imprese ed
essere poi assemblate nel prodotto. In tal caso lo sviluppo della singola innovazione può basarsi su
conoscenze tacite ma il risultato finale dev’essere codificato ed in particolare devono essere codificate le
conoscenze di interfaccia tra l’impresa sviluppatrice e le altre imprese che integreranno tale innovazione con
il risultato del loro processo produttivo. Le innovazioni sistemiche invece richiedono un’integrazione
complementare di competenze diverse. In tal caso per superare i problemi connessi all’ambiguità e
all’incertezza è necessario che gli sviluppatori operino congiuntamente sulla base di conoscenze tacite.
18
18
sia ricorrendo ad opportune forme contrattuali19.
Ne consegue che in quei DI in cui insistono più imprese leader si assiste
tendenzialmente alla formazione di network centrati e chiusi, dal punto di vista dei flussi
cognitivi, rispetto al contesto imprenditoriale distrettuale, network che possono tradursi in
forze disgreganti del distretto. Infatti la mancanza dei circoli virtuosi di diffusione delle
conoscenze tecnico-operative può determinare un’asfissia del tessuto imprenditoriale delle
piccole imprese le quali spesso possono solo contare su un ripiegamento di nicchia. Inoltre
gli investimenti in tecnologie ad opera delle imprese leader creano barriere all’imitazione
delle conoscenze con un conseguente contenimento dei processi di formazione di nuove
imprese. Quindi l’affermazione di imprese leader complessivamente determina
un’alterazione delle peculiarità dei DI canonici. Inoltre i processi di codifica delle
conoscenze e la conseguente introduzione di tecnologie produttive può determinare una
riduzione dell’importanza del legame tra sistema produttivo e contesto territoriale locale.
Tuttavia, a tal proposito, è da ritenere che le economie esterne continueranno a costituire, e
con un’importanza sempre maggiore, la motivazione per le imprese leader a rimanere
localizzate nell’area distrettuale. Infatti la localizzazione è fonte di un vantaggio
competitivo per la possibilità di poter sfruttare positivi effetti delle esternalità economiche
frutto dell’agglomerazione e localizzazione territoriale di un tessuto produttivo, sociale ed
istituzionale. In tal senso grande importanza rivestiranno le funzioni connesse all’area
locale quali le infrastrutture, l’eredità culturale, il linguaggio, l’identità progettuale
collettiva e anche, sebbene in forme diverse rispetto alle aree sistema integrate, la cultura
imprenditoriale diffusa.
Tra i fattori di localizzazione produttiva che continueranno a costituire una determinante
per la creazione di economie esterne è da annoverarsi lo sviluppo all’interno dei DI ed in
particolare di quelli di matrice monoprodotto, di un settore produttore delle tecnologie
specifiche al funzionamento dei cicli produttivi svolti nel distretto. Infatti la presenza di
imprese impegnate nella produzione e sviluppo di tecnologie necessarie all’esecuzione
delle attività produttive caratterizzanti l’area locale consente la creazione di economie di
divisione del lavoro innovativo (Arora e Gambardella, 1994).
L’importanza delle esternalità economiche di localizzazione sono provate anche dagli
investimenti effettuati dalle imprese leader volti ad alimentare quei processi formativi
socio-culturali e professionali che consentano di mantenere attiva una base comune di
conoscenza e di valori che sostengano l’identità del tessuto sociale e delle imprese ed il
senso di appartenenza al contesto locale. In tale ottica vanno inquadrate quelle iniziative
volte a creare, ad esempio, dei musei sulle tecnologie di settore, l’organizzazione di
manifestazioni culturali, la creazione di scuole professionali e la formazione di rapporti di
collaborazione con le istituzioni locali.
6. Conclusioni
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Ad esempio la Natuzzi per proteggersi nei confronti dei meccanismi di mobilità del personale specializzato
ha introdotto una particolare forma contrattuale che impedisce ai propri operatori di lasciare l’azienda per
trasferirsi in altre imprese operanti nel settore del mobile imbottito, senza un preavviso di almeno un anno
durante il quale gli operatori pur percependo lo stipendio sono allontanati dai loro incarichi lavorativi.
19
Nell’attuale contesto competitivo, i DI sono chiamati a confrontarsi con un mercato
estremamente dinamico ed incerto. Sotto la spinta della crescente competizione stanno
perdendo i loro tradizionali connotati strutturali e cognitivi assumendo nuove caratteristiche
condizionate dall’affermazione di attori con funzioni di coordinamento.
Dal punto di vista cognitivo l’aspetto più rilevante dei DI canonici è rappresentato dalla
natura delle conoscenze generate e diffuse nel contesto locale. Queste infatti si presentano
essenzialmente di natura tacita, cioè radicate nelle azioni degli individui e nelle loro
dinamiche di socializzazione. Lo sviluppo e diffusione di tali conoscenze ha originato
all’interno dei DI una capacità innovativa diffusa che ha sostituito, a livello di sistema, la
tradizionale funzione di R&S delle grandi imprese.
Benché la CID abbia rappresentato uno dei principali motori del processo di sviluppo
delle aree sistema, nell’attuale contesto competitivo essa presenta alcuni limiti. Si tratta
infatti di un processo di tipo non sistemico, difficilmente prevedibile, che produce
innovazioni in modo discreto e di natura fondamentalmente incrementale.
Nell’attuale contesto competitivo si richiede ai DI capacità innovative ed azioni
strategiche proattive conseguibili solamente attraverso un rinnovamento delle modalità di
sviluppo delle innovazioni. Ed è proprio alla ricerca di un miglioramento delle capacità
innovative che possono essere interpretati gli aspetti cognitivo-relazionali dei recenti
processi evolutivi caratterizzanti molti DI.
Il fenomeno che appare più interessante di tali processi evolutivi è rappresentato
dall’affermazione di alcune imprese in posizione di leadership nel distretto. Queste, alla
ricerca di un miglioramento delle proprie performance, da un lato ristrutturano i network di
imprese ad esse connesse e dall’altro attuano una modifica delle proprie dinamiche
cognitive.
La posizione assunta dalle imprese leader nei DI fa sì che le loro azioni si traducano in
una profonda modifica delle dinamiche cognitive distrettuali. L’aspetto più importante delle
azioni intraprese dalle imprese leader appare l’attivazione di processi di codifica delle
conoscenze tecnico-operative al fine sia di migliorare l’efficienza dei processi di creazione
e diffusione delle conoscenze sia di consentire l’acquisizione delle conoscenze scientificotecnologiche ed organizzativo-gestionali reperibili nell’ambiente esterno al distretto. Ciò
consente alle imprese leader di gestire i processi innovativi rendendoli più sistematici e
continui.
L’azione delle imprese leader nelle aree sistema modifica profondamente le condizioni
fondanti il processo di circolazione delle conoscenze. L’aumento degli investimenti in
tecnologie e la formazione di network gerarchizzati creano barriere alla diffusione delle
conoscenze. Inoltre l’impresa leader, soprattutto quando impegnata nella codifica delle
proprie conoscenze operative ed operante in un contesto locale competitivo, tende ad
attuare meccanismi di protezione del proprio know-how più facilmente trasferibile e
replicabile in quanto codificato.
Di fronte ai processi evolutivi che stanno caratterizzando le aree sistema, si pongono
alcuni interrogativi sul futuro dei DI. In particolare, si rende necessario comprendere se le
azioni delle imprese leader, alterando i tradizionali equilibri cognitivo-relazionali delle aree
sistema, possano decretare la fine del modello distrettuale o una sua ristrutturazione alla
ricerca di configurazioni dinamicamente più efficienti.
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Si ritiene che un ruolo di grande importanza sarà giocato dalle economie esterne che
potranno fortemente motivare le imprese leader a rimanere localizzate nell’area distrettuale.
Infatti la localizzazione continuerà ad essere fonte di vantaggio competitivo se poterà
sfruttare i positivi effetti delle esternalità economiche dovute all’agglomerazione e
localizzazione territoriale di un tessuto produttivo, sociale ed istituzionale.
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