la condizione giuridica degli sportivi stranieri

Anno II Pubblicazione numero 2 2006 GiustiziaSportiva.it Rivista Giuridica Direzione e Fondatori Enrico Crocetti Bernardi Antonino de Silvestri Enrico Lubrano Paolo Moro Jacopo Tognon Comitato di Redazione Giuseppe Agostini Alessia Bellomo Marco Mazzucato Emanuele Paolucci Michela Pigato Jacopo Tognon Direttore Responsabile Mario Liccardo _____________________________________________________________ Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ottobre 2004 al numero 1902 del Registro Stampa ‐ Periodico quadrimestrale ‐ 1
INDICE DEL FASCICOLO 2°
PARTE PRIMA
DOTTRINA
ANTONINO DE SILVESTRI, Lo sport nelle costituzioni italiana ed europea
pag. 4
LINA MUSUMARRA, La condizione giuridica degli sportivi stranieri
pag.35
PIETRO PAOLO MENNEA, La FIFA non può imporre le sue norme agli
pag .44
stati sovrani
ALESSIO PISCINI, L’illecito sportivo (o meglio, la frode sportiva): analisi
pag.49
critica di una fattispecie disciplinare all’esito dell’ennesimo scandalo agostano nel
mondo del calcio
ERNESTO RUSSO, L’ordinamento sportivo e la giustizia sportiva
pag.64
PARTE SECONDA
GIURISPRUDENZA
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA’ EUROPEE, sentenza
pag.114
18 luglio 2006 : causa C-519/04P
TRIBUNALE DI UDINE , 16 gennaio 2006 – Giudice Grisaffi – Avv. S.L –S.A.
pag.130
TRIBUNALE DI MAGLIE , ordinanza 12 maggio 2006 – G.D. dott.ssa
pag.143
Portaluri
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PARTE PRIMA
DOTTRINA
SOMMARIO:
ANTONINO DE SILVESTRI, Lo sport nelle costituzioni italiana ed europea
pag. 4
LINA MUSUMARRA, La condizione giuridica degli sportivi stranieri
pag.35
PIETRO PAOLO MENNEA, La FIFA non può imporre le sue norme agli
pag .44
stati sovrani
ALESSIO PISCINI, L’illecito sportivo (o meglio, la frode sportiva): analisi
pag.49
critica di una fattispecie disciplinare all’esito dell’ennesimo scandalo agostano nel
mondo del calcio
ERNESTO RUSSO, L’ordinamento sportivo e la giustizia sportiva
pag.64
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Lo sport nelle costituzioni…
LO SPORT NELLE COSTITUZIONI ITALIANA ED EUROPEA
di Antonino De Silvestri (*)
SOMMARIO:
1. - La naturale trasversalità dello sport e la sua necessaria rilevanza costituzionale e
comunitaria.
2. - L’esplicita previsione dello sport nella Costituzione Europea e le altre norme di rilevanza
implicita.
3. - La rilevanza costituzionale dello sport in Italia.
4.- Il sopravvenuto riconoscimento costituzionale e la nozione di ordinamento sportivo
nazionale.
5. - I molteplici dubbi di costituzionalità della legge n. 280/2003.
6. - I riflessi di costituzionalità della dicotomia professionismo-dilettantismo.
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Lo sport nelle costituzioni…
1. - La naturale trasversalità dello sport e la sua necessaria rilevanza costituzionale e
comunitaria.
Abbandonata Abbandonata definitivamente ogni pretesa di trarre proficue indicazioni da nozioni
omnicomprensive e totalizzanti, occorre muovere dalla premessa, per la comprensione della
materia, che per gli ordinamenti generali, quali gli Stati e la stessa Unione Europea, il concetto di
sport non coincide affatto con quello ufficializzato in ragione del suo inserimento nel più ampio
contesto associativo- istituzionale finalizzato all’agonismo programmatico illimitato facente capo, a
livello apicale, al CIO e alle FSI per poi ramificarsi, tramite i singoli CNO e le FSN ad essi collegati
(queste ultime anche a livello continentale), sull’intero territorio mondiale.
Poiché non esiste, né si vede come potrebbe, alcun obbligo per i singoli e per i gruppi sociali di
tesserarsi e di affiliarsi con una qualche federazione nazionale per soddisfare i propri bisogni
esistenziali con le svariate forme di attività motorie lo sport si presenta, perciò, sia allo stato diffuso,
sia in quello organizzato intorno ad altre entità associative diverse da quelle olimpiche e federali,
anche come espressione del fondamentale diritto al libero sviluppo della propria personalità, oltre
che come concreto esercizio del diritto sociale alla salute, inteso nella sua più generale accezione di
aspirazione al benessere psicofisico.
Il concetto di sport per tutti, altrimenti detto sociale, nato nella seconda metà del Novecento
quando, superata la depressione socio- economica del dopoguerra, si è potuto sviluppare il dibattito
sul tempo libero e sui compiti del Welfare State, ha trovato progressiva e definitiva consacrazione
proprio in ambito comunitario.
Nella prima Carta europea dello sport per tutti del 1976, si è infatti riconosciuto a ciascuno
l’indiscriminato diritto a praticare qualsiasi forma di attività sportiva, da quelle più altamente
competitive a quelle meramente ricreative, e nella Relazione di Helsinki sullo sport del 1999, nel
proporsene un modello europeo, ne sono state ampiamente sottolineate le funzioni che esso svolge
nei settori sociale, culturale, sanitario ed educativo (amplius, sui vari concetti di sport, in DE
SILVESTRI 2004, pp. 1-4).
La realtà è che lo sport, nella sua accezione più ampia, quella cioè che interessa gli ordinamenti
statuali e superstatuali, coinvolge valori fondamentali che non possono non godere della massima
tutela a livello di Grundnorm.
Tale naturale trasversalità dello sport, intesa come attitudine ad essere ricompreso, in ragione
della molteplicità e della intensità dei valori di cui è portatore, tra le essenziali funzioni di garanzia
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Lo sport nelle costituzioni…
statuale, legittima perciò l’affermazione della sua indiscutibile e sicura rilevanza costituzionale, pur
in assenza di riferimenti espliciti, in ciascuno Stato dell’Unione
Molte Carte costituzionali europee, specie quelle più recenti, contengono invero specifiche
disposizioni riservate allo sport, definendolo e regolandolo variamente, tutte comunque facendolo
rientrare, a vario titolo, tra i compiti dello Stato e facendone comunque oggetto, a livello
individuale, di una situazione giuridica fondamentale: è il caso di quella greca del 9 giugno 1975, di
quella portoghese del 2 aprile 1976 e di quella spagnola del 29 dicembre 1947.
Appare però di tutta evidenza, anche in difetto di una costituzionalizzazione esplicita (è il caso,
come vedremo, di quella italiana del 1948 nonché, tra le più recenti, di quella svedese del 1975, di
quella olandese del 1983 e di quella belga del 1994) come non possa comunque negarsi, anche nelle
Carte fondamentali in cui il termine non è affatto menzionato, una costituzionalizzazione implicita
dello sport in ragione, appunto, della sua menzionata trasversalità.
I risvolti operativi di una siffatta, necessaria costituzionalizzazione variano, ovviamente, da
Stato a Stato, essendo il portato di numerose variabili quali lo specifico contenuto delle differenti
Carte fondamentali, l’esistenza o meno di norme primarie sullo sport (generali e/o di settore), le
modalità di controllo (centralizzato o diffuso) della legalità costituzionale, la natura (pubblica,
privata, mista) delle relative organizzazioni sportive nonché, da ultimo, la regolamentazione in
concreto da queste adottate, sia a livello sostanziale che procedimentale.
Anche se personalmente posso pronunciarmi solo sulla mia nazione, ho però motivo per ritenere
che anche negli altri Stati membri non sia stata ancora completamente esplorata la potenzialità
espansiva delle singole disposizioni costituzionali, né valutato l’impatto di queste sulle rispettive
legislazioni, oltre che, in via mediata, sulle rispettive organizzazioni sportive.
Anche nei Trattati comunitari, benché non espressamente contemplato, lo sport ha assunto e
continua ad assumere, in ragione della sua evidenziata trasversalità, un’assai evidente rilevanza
implicita che lo ha portato, da un lato, ad essere oggetto di una specifica attività di indirizzo politico
e, dall’altro, a divenire materia di contenzioso innanzi alla Corte di Giustizia.
Il primo profilo si è concretato in una serie di comunicazioni, di risoluzioni e di dichiarazioni,
che in questa sede sarebbe fuor d’opera ricordare (ma sulle quali vedi comunque, con relativa
bibliografia, SELLI 2004, pp. 29 ss.) le quali, con cadenza sempre crescente, a decorrere soprattutto
dagli inizi degli anni Novanta, ne hanno variamente colto e sviluppato i diversi aspetti economico,
sociale, sanitario, culturale, educativo, oltre che ovviamente di cooperazione, sino a dar vita ad un
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Lo sport nelle costituzioni…
modello europeo di sport (DI NELLA 2000, pp. 54 s.s.) che ha largamente influenzato ed orientato
le legislazioni nazionali dei singoli Stati membri.
Gli interventi della Corte di Giustizia, tutti largamente noti agli specialisti (sui quali vedi,
comunque, MUSUMARRA 2004, pp. 165 ss.), si sono svolti sulla base dei precetti del Trattato
relativi ai divieti di non discriminazione in base alla nazionalità (art. 7) e alla libertà di circolazione
dei lavoratori (art. 48) e le relative pronunce, in particolare la Bosman, oltre ad aver fatto maturare
ben presto tra gli studiosi degli Stati membri la consapevolezza che le organizzazioni sportive, a
prescindere dalla loro natura, non possono non uniformare le relative regolamentazioni ai principi
vigenti del diritto comunitario (BERNINI 1993, p. 654), e ad aver cagionato ulteriori prese di
posizione della Commissione al fine di estenderne gli effetti ad aspetti non espressamente
ricompresi nei relativi giudicati, hanno offerto ai giudici nazionali di ciascuno Stato lo spunto per
applicare i principi affermati anche a livello interno, sul presupposto della necessaria integrazione
tra fonti comunitarie e fonti nazionali (sul punto vedi, ancora, MUSUMARRA 2004, op. loco. citt.).
2. - L’esplicita previsione dello sport nella Costituzione Europea e le altre norme di
rilevanza implicita.
Non solo non può dunque destare sorpresa alcuna, ma costituisce anzi il naturale sbocco della
specifica, progressiva e sempre più incisiva attività comunitaria la circostanza che lo sport abbia ora
trovato una sua espressa collocazione nella Costituzione europea, approvata nella città che ci ospita
il 29 ottobre 2004, e ratificata in Italia con la legge 7 aprile 2005 n. 57.
Prevede innanzi tutto la Costituzione, , che “l’Unione può condurre azioni di sostegno, di
coordinamento o di complemento”, e nell’individuare in concreto i relativi settori di tali azioni
“nella loro finalità europea”, menziona espressamente “istruzione, formazione professionale,
gioventù e sport ” accomunati, tra gli altri, agli ulteriori settori dell’ “industria”, della “tutela e
miglioramento della salute umana” e della “cultura”, avendo infine cura di precisare che eventuali
“atti giuridicamente obbligatori” adottati in tal senso “non possono comportare un’armonizzazione
delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri” (Parte I, Titolo III, art. 16 nn. 1, 2
e 3)
Nella sedes materiae, specificamente dedicata al settore di intervento in cui è ricompresso lo
sport, afferma poi solennemente che “l’Unione contribuisce alla promozione delle sfide europee
dello sport, tenuto conto delle sue specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua
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Lo sport nelle costituzioni…
funzione sociale e istruttiva” e che la sua azione è intesa, in particolare, “a sviluppare la dimensione
europea dello sport promuovendo l’imparzialità e l’apertura nelle competizioni sportive e la
cooperazione tra gli organismi responsabili dello sport e proteggendo l’integrità fisica e morale
degli sportivi, in particolare dei giovani sportivi” (Parte III, Titolo II, Cap. V, Sez. 4, art. III – 282,
nn. 1 e 2 lett. g) .
Siamo tutti consapevoli che il “Trattato che istituisce la Costituzione europea” è un traguardo
ma anche un punto di partenza e che, pertanto, com’è stato icasticamente osservato, quest’ultima è
reale e illusoria al tempo stesso (MASTRONARDI 2004, pp. 10 ss.).
E deve anche aggiungersi come la data di entrata in vigore del 1° novembre 2006 sia ormai
divenuta una chimera dovendo farsi per l’avvenire riferimento, con tutte le incognite che l’attuale
momento suggerisce, al “primo giorno del secondo mese successivo all’avvenuto deposito dello
strumento di ratifica da parte dello Stato firmatario che procederà per ultimo a tale formalità” (art.
IV - 447 – Parte IV).
Se dunque appartengono al futuro le questioni operative circa il ruolo da assegnare alla
Costituzione europea nei confronti delle altre fonti comunitarie e di quelle degli Stati membri, è
comunque innegabile che il suo testo si presti tuttavia a numerose considerazioni che rivestono
senz’altro carattere di attualità.
Ciò, innanzi tutto, perché le norme specifiche da essa dettate in tema di sport sono chiaramente
indicative delle linee di tendenza dell’azione comunitaria, e sotto tale profilo un ruolo di primo
piano spetta alla questione sottostante all’inserimento, nel testo definitivo dell’art. III – 282, del
riferimento alla sua specificità.
La questione della sporting exception, che dovrebbe fungere da grimaldello contro la rigida
applicazione della disciplina comunitaria per imporre limiti eventualmente anche in tema di diritti
fondamentali, è molto sentita in Italia (amplius in VIGORITI 2001, pp. 624 ss., e COCCIA NIZZO
1998, pp. 337 ss.) la quale, unitamente ad altri Stati, anche per le pressioni della propria federazione
calcistica, ne ha fatto un cavallo di battaglia sin dall’emanazione della sentenza Bosman, tanto da
ottenere, durante il proprio semestre di presidenza, l’aggiunta dell’inciso non previsto
nell’originaria formulazione.
La querelle è sicuramente destinata ad ulteriori sviluppi, perché se nella “Dichiarazione relativa
alle caratteristiche specifiche dello sport e alle sue funzioni sociali in Europa di cui tener conto
nell’attuazione delle politiche comuni”, allegata alle conclusioni della Presidenza del Consiglio di
Nizza del dicembre del 2000, è contenuta l’affermazione che sono le “funzioni sociali, educative e
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Lo sport nelle costituzioni…
culturali” a costituire la “specificità” dello sport, senza perciò riferimento alcuno a contenuti
d’ordine economico, nelle Conclusioni Vertice dello stesso Consiglio c’è invece un’apertura in tal
senso, in quanto nelle stesse si osserva che, a differenza di quanto avviene sul piano strettamente
imprenditoriale, lo sport arreca vantaggi, anche economici, solo se tra i concorrenti non esiste un
divario eccessivo tale da rendere prevedibile e scontato l’esito di una gara.
E’ certo, in ogni caso, che mai la sporting exception potrà tradursi in sporting exemption, e cioè
in velleitaria pretesa di sottrarsi alla vigenza delle norme comunitarie e degli Stati membri, potendo
al più solo porsi come fattore di mitigazione da accertarsi con grande prudenza caso per caso,
soprattutto per ragioni socio-culturali o meramente sportive, e comunque in termini ragionevoli e
rigorosamente proporzionali allo scopo perseguito, della generale disciplina comunitaria (amplius,
anche per la relativa casistica, in VIGORITI 2001, p. 625).
Appare poi di tutta evidenza come mai il Trattato istitutivo della Costituzione europea potrebbe
comunque aspirare ad un ruolo simile a quello delle Costituzioni degli Stati membri.
L’Unione Europea costituisce, infatti, a differenza degli Stati che la compongono,
un’ordinamento aperto, che ha bisogno comunque della collaborazione continua di questi ultimi, e
segnatamente dei loro giudici, che rivestono ed assumeranno sempre di più un ruolo centrale ai fini
dell’applicazione del diritto comunitario.
Deve infatti ritenersi ius receptum, più volte ribadito sia dalla Corte di Giustizia che dalla Corte
Costituzionale, che ove dovesse insorgere un contrasto tra la normativa comunitaria e quella
nazionale, spetta al Giudice di ciascuno Stato, ove non intenda avvalersi dell’istituto del rinvio
pregiudiziale, dare la prevalenza alla prima in danno della seconda disapplicando la legge che,
formalmente rimarrà comunque in vigore a differenza di quella eventualmente dichiarata
incostituzionale, destinata a perdere efficacia erga omnes e retroattivamente.
Solo in caso di fonte comunitaria contrastante con i principi fondamentali della nostra
costituzione, i giudici nazionali dovrebbero astenersi dal disapplicare la norma interna, e
sospendendo il processo in corso, rimettere invece gli atti alla Corte Costituzionale la quale, com’è
noto, si è al proposito ricavata una residuale nicchia di sindacato (c.d. teoria dei controlimiti), sino
ad oggi virtuale, in conformità, del resto all’art. 53 della Carta di Nizza (ora art. II – 113 del Trattato
Costituzionale), secondo cui nessuna disposizione di questa può essere interpretata come limitativa
o lesiva dei diritti protetti dalle Costituzioni nazionali.
Occorre poi segnalare come l’intera Parte II del testo di Costituzione Europea, relativa alla
“Carta dei diritti fondamentali dell’Unione” riproduca in larga parte i principi già sanciti dalla
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Lo sport nelle costituzioni…
Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani del 1950 (ratificata in Italia con legge del 1955) i
quali, a loro volta sono stati trasfusi nella Carta dei diritti fondamentali approvata nel dicembre del
2000 a Nizza.
E’ perciò possibile, a questo punto, trarre delle prime conclusioni.
Con le disposizioni del Trattato costituzionale specificamente dedicato allo sport l’Unione ha
mostrato, innanzi tutto, di volersi definitivamente ispirare ad una convenzione ampia e
omnicomprensiva del fenomeno sportivo, cristallizzando così il trend che caratterizza da tempo la
politica comunitaria (amplius, con espresso richiamo ai documenti più significativi, in SELLI 2004,
pp. 54 ss.).
Con le stesse l’Unione ha altresì mostrato di voler ulteriormente perseguire il modello europeo
di sport, già delineato nella “Relazione di Helsinki sullo sport”, fondato sulla sinergica compresenza
dell’azione pubblica e di quella privata e caratterizzato dall’essere preordinato allo svolgimento di
rilevanti funzioni sociali, oltre che da connotazioni democratiche e solidaristiche (amplius in DI
NELLA 2000, pp. 57 ss).
Occorre poi considerare che la Parte II della Costituzione, riproduttiva peraltro di principi già
approvati, contiene norme, quali quelle relative alle libertà di riunione e di associazione (art. II –
12), delle arti e delle scienze (art. II – 13), d’impresa (art. II – 16), ai diritti all’istruzione (art. II –
14), al lavoro (art. II – 15), di negoziazione e di azioni collettive (art. II – 28), di sicurezza e
assistenza sociale (art. II – 34), ad un ricorso effettivo ed a un giudice imparziale (art. II – 47)
nonché, da ultimo, al principio di non discriminazione (art. II – 21).
Ne deriva che l’Unione ha già creato, e ancor più mira a rafforzare, un sistema diffuso, articolato
e differenziato di tutela, multilevel ma incentrato sulla sensibilità al diritto comunitario dei giudici
degli Stati membri, che in ragione della sua elasticità, appare sulla carta particolarmente efficace, in
quanto tale da coprire tutte le possibili lesioni ai valori di cui lo sport è portatore a seconda degli
aspetti con cui si presenta.
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Lo sport nelle costituzioni…
3. - La rilevanza costituzionale dello sport in Italia.
Anche se tra i costituenti non era mancato chi ne aveva proposto il riconoscimento esplicito, è
noto che la Costituzione italiana, nel suo testo originario, non si occupa di sport sotto nessun
profilo.
Solo con la revisione operata dalla legge costituzionale del 18 Ottobre 2001 n. 3 è stato inserito
un importante riferimento al concetto in quanto l’attuale art. 117 comma terzo, nel definire – nel
quadro più complessivo della ripartizione della potestà legislativa – le materie attribuite alla
legislazione concorrente delle Regioni, inserisce tra queste ultime “l’ordinamento sportivo”, su cui
ci soffermeremo nel paragrafo che segue..
Non è mancato in dottrina chi ha giustificato la mancata costituzionalizzazione espressa con il
generale atteggiamento di ripudio per tutto ciò che comunque richiamasse o apparisse in continuità
con l’ordinamento previgente e lo sport, notoriamente, era stato esaltato dall’ideologia fascista
come strumento di formazione della gioventù per la valorizzazione della razza ed il rafforzamento
sul piano bellico dello Stato (SANNONER 1994, pp. 12-13).
Né chi, sopravvalutando forse le capacità speculative specifiche dei costituendi, non è dato
sapere fino a che punto consapevoli, all’epoca, delle possibilità di applicare allo sport le teorie
ordinamentali del diritto, ha ritenuto di poter spiegare il mancato richiamo con il carattere originario
dell’ordinamento sportivo, i cui rapporti con lo Stato non si sarebbero voluti vincolare in norme
rigide di carattere costituzionale (BONADONNA 1965, pp. 193 ss).
Altri, forse più realisticamente, hanno osservato che nel clima di generale indigenza, anche
materiale, in cui versava l’Italia nell’immediato dopoguerra, lo sport non aveva ancora assunto, agli
occhi del costituente, quella rilevanza economico-sociale che l’avrebbe in seguito fortemente
caratterizzato (LUISO 1975, p. 25 nota 4).
Quali che siano le ragioni, è comunque innegabile che gli autori che si sono occupati di diritto
dello sport hanno preso generale e progressiva coscienza che questo, in ragione dei valori di cui era
portatore, non poteva non ricadere nella sfera di previsione di numerosi precetti costituzionali, che
occorreva pertanto ricostruire sistematicamente.
L’implicita rilevanza costituzionale dello sport ha però assunto significati diversi nel corso degli
anni, in relazione al vario atteggiarsi dei pubblici poteri nei suoi confronti,
(amplius, sulla
periodizzazione dello sport con riguardo ai differenti contesti legislativo-ordinamentali, in DE
SILVESTRI 2004, pp. 5 ss.).
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Lo sport nelle costituzioni…
Sino all’entrata in vigore della legge n. 91/1981, e cioè sino a quando lo Stato, dopo aver
emanato la legge istitutiva del CONI n. 426/1942, si è sostanzialmente disinteressato della vita delle
organizzazioni federali, lasciandole praticamente abbandonate a se stesse in una sorta di
deregulation, l’affermazione di rilevanza costituzionale dell’attività sportiva (erano citati,
immancabilmente, l’art. 32 sul diritto alla salute nonché, dai più accorti, gli artt. 4 e 35, 9, 33, 34,
rispettivamente sulla tutela del lavoro, della cultura, dell’arte e dell’insegnamento scolastico)
appariva in realtà priva di riscontri operativi.
In quel periodo storico, in cui peraltro non era ancora ben chiaro il valore precettivo delle norme
costituzionali, riguardate soprattutto come insieme di principi programmatici, orientativi cioè
dell’azione dei pubblici poteri, tale generica affermazione di rilevanza poteva, al più, legittimare la
proposizione che la pratica sportiva costituiva oggetto di “una situazione soggettiva
costituzionalmente raccomandata” al legislatore sprovvista, come tale, di qualsiasi garanzia
giuridica ove la raccomandazione di legiferare non fosse stata (come all’epoca non lo fu) accolta
(AMATO 1966, I, 1, c 913).
Il quadro giuridico è però completamente mutato quando, a decorrere dal 1981, dalla fase del
disinteresse si è passati a quella dell’interesse, ed il legislatore ha preso quindi a legiferare con
cadenza sempre crescente, trasformando le situazioni disciplinate da raccomandate in garantite sino
a cagionare, così, l’emersione (è la felice espressione contenuta nel titolo di un saggio dell’epoca di
LANDOLFI, 1982, p. 36) dell’ordinamento sportivo in quello statuale.
L’effetto più immediato e appariscente di quel mutamento di quadro, prontamente registrato in
termini di spropositato aumento del contenzioso (dettagli specifici, quanto al decennio
immediatamente successivo all’emanazione della legge, in DE SILVESTRI 1992, pp. 283 ss.) fu la
nascita del conflitto tra le “due giustizie”, essendo apparso subito evidente l’insostenibilità della
velleitaria pretesa, da parte delle istituzioni sportive, di precludere con il vincolo di giustizia il
ricorso ai giudici dello Stato a fronte del generalissimo, inviolabile e irrinunciabile diritto di
azionabilità di ogni situazione giuridica protetta sancito dagli artt. 24 e 113 della Costituzione.
E se gli anni Ottanta furono caratterizzati, in chiave costituzionale, dai riscontri che i
professionisti sportivi godevano, per effetto della legge n. 91/1981, dell’imperativa e irrinunciabile
tutela che la Carta fondamentale offriva loro (artt. 1, 4, 35, 38, 40), che le società sportive
professionistiche, quali datrici di lavoro, esercitavano attività d’impresa come tale garantita dall’art.
41 oltre che da quello, più in generale, che qualsiasi tesserato o affiliata poteva comunque adire la
magistratura per far valere le proprie ragioni, a decorrere dagli anni Novanta si è invece assistito ad
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Lo sport nelle costituzioni…
un progressivo spostamento di attenzione dalle problematiche del professionismo a quelle del
dilettantismo.
Si è così proceduto ad una rilettura, in chiave sportiva, degli artt. 2 e 18 della Costituzione per
rilevare come le aspettative del dilettante trovassero ampia tutela
nel primo, riconoscendo e
garantendo la Repubblica i “diritti inviolabili dell’uomo” anche “nelle formazioni sociali ove si
svolge la sua personalità”, per evidenziare, ancora, come le organizzazioni sportive fossero il
portato del “diritto dei cittadini di associarsi liberamente” sancito dal secondo per interrogarsi,
infine, sulla legittimità degli assetti regolamentari delle federazioni non professionistiche, che quasi
indistintamente prevedevano l’istituto del vincolo a tempo indeterminato.
L’emersione dell’ordinamento sportivo a livello statuale, che ha avuto come tappe fondamentali
la già segnalata legge n. 91/1981 sul lavoro professionistico, la penalizzazione della frode sportiva
(legge n. 401/1989), gli aggiornamenti della Legge n. 91 conseguenti alla sentenza Bosman (legge
n. 586/1996) e la disciplina del doping (legge n. 376/2000), si incentra attualmente, oltre che sulla
già citata legge di revisione dell’art. 117 della Costituzione, sui due decreti legislativi meglio noti
come Melandri (n. 242/1999) e Pescante (n. 15/2004), dal nome dei ministri proponenti i quali, a
differenza della precedente legge n. 426/1942, qualificano e disciplinano le strutture portanti dello
sport nazionale, nonché sulla legge n. 280/2003, intervenuta addirittura in tema di giurisdizione, al
dichiarato scopo di individuare, isolandole, le pretese sportive statualmente rilevanti e di fissarne le
modalità di tutela.
I riflessi d’ordine operativo dell’avvenuta costituzionalizzazione dello sport alla luce della
ormai copiosa produzione legislativa, sono di tutta evidenza, considerato in particolare il carattere
rigido della nostra Carta fondamentale, che non consente al legislatore ordinario di degiuridificare,
di negare cioè giuridica rilevanza a situazioni che si incentrano su valori che trovano in essa
esplicita o implicita tutela.
E lo sport, come si è già osservato, brulica di valori di tal fatta.
In quello professionistico emerge in primo piano il diritto al lavoro, ed a questo fa da pendant
l’altro di iniziativa economica delle società, specie dopo l’emanazione della legge n. 586/1996 che,
legittimandole a perseguire lo scopo di lucro, ha fatto conseguire loro la piena imprenditorialità, né
è da meno lo sport dilettantistico, incentrato sui valori inviolabili della persona e sui diritti
fondamentali (DE SILVESTRI 2004, pp. 111e 112).
Problemi particolarissimi, dei quali dirò subito dopo, pone poi la legge n. 280/2003, che avendo
affrontato direttamente il delicatissimo tema della giustiziabilità delle pretese dei tesserati e delle
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Lo sport nelle costituzioni…
affiliate, ha fatto entrare nello sport principi costituzionali, quali quelli in tema di giurisdizione, che
non tollerano compressioni o condizionamenti di sorta, sia sotto il profilo dell’effettività e
dell’irrinunciabilità della tutela che in ordine all’inviolabilità del diritto alla difesa (artt. 24 e 113).
Ciò anche, quanto a quest ultimo, alla luce del novellato art. 111 sul giusto processo le cui regole,
peraltro, sono affidate alla legge, e non alla Giunta del CONI e la cui osservanza, anche innanzi ai
giudici sportivi, non può comunque essere sottratta alla magistratura (BASILE 2005 p. 287).
Sotto tale ultimo profilo può in questa sede solo essere enunciato, meritando ulteriori
approfondimenti, il problema della conformità o meno con il predetto art. 111 dell’attuale indirizzo
interpretativo degli organi di giustizia della FIGC, quale risulta dai provvedimenti adottati
nell’estate del 2004 (amplius, in particolare, sul C.U. 7/C, relativo alla riunione della C.A.F. del 78-9 settembre 2004).
Se infatti l’art. 2 comma 3 della legge n. 401/1982 espressamente prevede che “gli organi della
disciplina sportiva, ai fini della propria competenza funzionale, possano chiedere copia degli atti del
procedimento penale “è pur vero che, successivamente, il CONI ha adottato nel proprio Statuto, al
quale devono uniformarsi quelli delle singole FSN, il principio del “giusto procedimento
prevedendo al tempo stesso, tra i Principi fondamentali contestualmente approvati (n. 27, relativo
alla giustizia sportiva), che le stesse federazioni devono adeguarsi “per quanto non espressamente
previsto, ai principi del diritto processuale penale” oltre che ai Principi di Giustizia, compre4so il
terzo che richiama, ancora, all’osservanza dei dettami della Costituzione e del diritto processuale
penale.
Appare infatti sicuramente discutibile – anche alla luce dell’art. 8 della Convenzione europea
dei diritti dell’uomo e dall’interpretazione di questo operata dalla Corte di Giustizia in tema di
ingerenza dell’autorità nella vita privata per il tramite di intercettazioni delle comunicazioni –
l’orientamento, a cui si sono ispirati gli organi giudicanti della FIGC anche nel corso di quest’ estate
(CAF, riunione del 5-6- agosto 2005, procedimento per illecito sportivo relativo alla partita GenoaVenezia dell’11 giugno 2005), che considera acquisibili al procedimento sportivo, ed utilizzabili
anche a fini di prova, i verbali e i brogliacci delle intercettazioni telefoniche disposte nel
procedimento penale da cui provengono.
Una siffatta lettura della legge n. 401/1989 non sembra infatti conforme al precetto
costituzionale di cui all’art. 15, che consente la violazione della corrispondenza e di ogni altra
forma di comunicazione soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria, né in particolare all’art.
270 cpp, che nel bilanciamento con l’interesse pubblico a reprimere i reati, specie se
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Lo sport nelle costituzioni…
particolarmente gravi, consente l’utilizzazione delle intercettazioni in altri procedimenti solo se le
stesse appaiono appunto indispensabili per l’accertamento di delitti che prevedono l’arresto il
flagranza.
4.- Il sopravvenuto riconoscimento costituzionale e la nozione di ordinamento sportivo
nazionale.
Se prima della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione operata con la Legge
costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 quest’ultima non prevedeva alcun riferimento diretto allo sport,
la circostanza che l’art. 117 comma terzo inserisca l’ “ordinamento sportivo” tra le materie per le
quali la disciplina legislativa e quella regolamentare è attribuita alle Regioni, fermo restando
l’esercizio della potestà legislativa dello Stato volta all’individuazione dei principi fondamentali
della materia, non deve essere affatto sopravvalutata.
E’ stata infatti la stessa Corte Costituzionale, con la sentenza 1 ottobre 2003 n. 303, a
chiarire come tale norma debba essere letta in combinato disposto con quella successiva dell’art.
118, relativa alla distribuzione delle funzioni amministrative, che possono essere affidate, con
correlata potestà legislativa, a soggetti diversi dagli enti locali, sulla base dei principi di
sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, ove un qualche livello di governo appaia inadeguato
alle finalità perseguite.
E poiché già in precedenza, ai sensi del d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, le competenze
amministrative in materia sportiva, prima solo dello Stato, erano state trasferite alle Regioni e ai
Comuni, ferme restando le attribuzioni del CONI per l’organizzazione delle attività agonistiche si
comprende, a cagione dell’evidente inadeguatezza degli enti locali a perseguire le finalità assegnate
al predetto ente pubblico dal decreto Melandri-Pescante, come l’assetto delle funzioni
amministrative in materia di sport non abbia in realtà subito modifica alcuna. Con la conseguenza
che restano affidate allo Stato (ovvero al suo ente pubblico CONI) sia le funzioni amministrative
che quelle legislative in tema di sport agonistico inserito nei circuiti federali ed olimpici, residuando
agli Enti locali le funzioni in tema di promozione di sport socialricreativo e scolastico, oltre che di
realizzazione dei relativi impianti (amplius in FORLENZA 2004, pp 24 ss e BOTTARI 2002, pp. 21
ss).
Deve dunque escludersi che il concetto di ordinamento sportivo come menzionato dall’art. 117
della Costituzione possa essere inteso come sovrano, ovvero separato nel senso di impenetrabile,
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Lo sport nelle costituzioni…
anche perché non è certo dal legislatore costituzionale che si potevano attendere conferme
sull’esistenza, all’interno di quello statuale, di un ordinamento autolegittimante (amplius, sulle
implicazioni della nozione di ordinamento “derivato”, in MODUGNO 1993, PP. 333-334).
Se dunque non sembra in discussione che l’espressione debba essere più riduttivamente
interpretata, ai fini indicati, come sinonimo di materia sportiva (in analoga prospettiva FORLENZA
2004, p. 26, secondo cui il riformatore plus dixit quam voluit), il suo impiego non è comunque
potuto passare inosservato in dottrina, che ne ha anzi approfittato per interrogarsi sulla possibilità di
considerare ancora quello sportivo un ordinamento “superiorem non recagnoscens”, o comunque
totalmente autonomo nella sua organizzazione (FORLENZA 2004, pp. 27-29; PICOZZA 2004, pp.
2 ss).
Il tema, assolutamente centrale per gli specialisti e sul quale, com’è noto, sono stati versati
fiumi di inchiostro, è sicuramente destinato ad arricchirsi di ulteriori contributi, anche perché è
radicalmente cambiato il contesto legislativo-ordinamentale in cui lo sport attualmente si colloca.
Viviamo un’epoca di sempre e più generalizzata globalizzazione che coinvolge, sia
territorialmente che dal punto di vista dei contenuti, anche il mondo dello sport (DE LISE 2004, pp.
104-105), per il quale non sembra esservi più spazio per l’elaborazione di regole del tutto
autonome.
Da una iniziale situazione di deregulation e di monopolio di fatto della giustizia
endoassociativa, tipica degli anni Sessanta e Settanta si è passati, a decorrere dagli anni Ottanta, per
effetto di specifici interventi legislativi di settore, ad una fase di aperto conflitto tra le due giustizie
per giungere infine, alle soglie del Duemila, con l’entrata in vigore del decreto Melandri e,
successivamente, della legge n. 280/2003 in tema di riparto tra pretese meramente sportive e pretese
statualmente giustiziabili, all’ormai irreversibile trend del contemperamento (DE SILVESTRI 2004,
pp. 10-11).
I canoni della separatezza e dell’arroccamento su posizioni di reciproca intransigenza hanno
ceduto il posto a quello dell’integrazione (PICOZZA 2004, pp. 9-10) tra l’irrinunciabile sovranità
dello Stato e le peculiarissime esigenze di autodisciplina dello sport ufficializzato in ragione del suo
inserimento in un più ampio contesto sopranazionale, ed è sempre più evidente il favor legislativo
per l’estensione del ricorso all’istituto arbitrale (NAPOLITANO 2005, p. 104), ammissibile in tema
di contenzioso sportivo ancorché coinvolgente interessi legittimi (è questa, infatti, la condivisibile
lettura dell’art. 3, comma 1 della legge 280/2003, nell’inciso in cui fa salve tutte le clausole
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Lo sport nelle costituzioni…
compromissorie, data recentissimamente dal TAR Lazio, Sezione Terza Ter, sentenza n. 4362 del 21
aprile-3 giugno 2005, Savona Calcio 1907 srl c/ F.I.G.C. e altri).
E’ giunto forse il momento per ritenere che la teoria ordinamentale, fondata sulla
considerazione dell’ordinamento sportivo come conchiuso e autosufficiente, dotato ex se di una
propria giuridicità e di una normazione esclusiva, che pure ha svolto un ruolo meritorio in chiave
euristica, sia nella fase storica, in cui lo stesso diritto stentava a trovare una sua precisa collocazione
nel contesto delle organizzazioni sportive, che in quella successiva, al fine di preservare queste
dall’eccessiva invadenza della magistratura dello Stato (amplius in DE SILVESTRI 1993, pp. 370
ss), abbia ormai esaurito la sua funzione (sugli specifici problemi di metodo collegati all’adozione
della teoria ordinamentale in materia sportiva vedi LUISO 1975, specie pp. 391 ss).
Tale teoria, del resto, poteva essere ed è stata proficuamente utilizzata per render conto dei
conflitti normativi tra le istituzioni sportive e lo Stato solo ed esclusivamente dal punto di vista delle
prime, posto che, per l’ordinamento generale, risulta del tutto indifferente la circostanza che le
stesse si considerino unilateralmente un ordinamento superiorem non recognocens, spettando ad
esso, in modo sovrano, le modalità di disciplina di una qualsivoglia struttura a prescindere dalla
natura ordinamentale che questa, eventualmente e unilateralmente, si attribuisca (ulteriori spunti,
più in generale, in LUISO 1993, pp. 229 ss).
Nello specifico, può pertanto senz’altro affermarsi che se altro ordinamento esiste all’interno
di quello generale, come si evince dalla locuzione di cui all’art. 117 che non può certo essere
ignorata, non si tratta sicuramente di un ordinamento che la Costituzione ha voluto o potuto
sottrarre alla sovranità statuale, avendolo in concreto affidato alla potestà legislativa ed
amministrativa di soggetti pubblici ed incentrato, altresì, sull’ente pubblico CONI quale
“confederazione delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate” (art. 1
dlgs n. 15/2004).
E’ comunque la dimensione associativa delle diverse organizzazioni a permeare di sé
l’ordinamento sportivo, ed il permanere in capo al CONI della personalità giuridica di diritto
pubblico, secondo lo schema degli ordinamenti (derivati) di settore, ormai largamente consolidato e
del tutto applicabile anche a quello sportivo (in tal senso PICOZZA 2004, pp. 6-7, al quale si rinvia
per ulteriori considerazioni sul punto), non comporta (rectius: non dovrebbe comportare) particolari
difficoltà a livello di trattamento).
Il nuovo Statuto del CONI, deputato all’individuazione delle specifiche tipologie di attività
con valenza pubblicistica, non solo ha trasformato queste in un numerus clausus, come tale
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Lo sport nelle costituzioni…
insuscettibile di espansione giurisprudenziale, ma ha avuto anche modo di precisare espressamente,
all’art. 22 comma 2, che “la valenza pubblicistica dell’attività non modifica l’ordinario regime di
diritto privato dei singoli atti e delle situazioni giuridiche soggettive connesse” (DE SILVESTRI
2004, pp. 102 ss).
I procedimenti disciplinari sportivi, che per dettato legislativo avvengono all’interno di
persone giuridiche private non possono, allora che essere finalizzati all’irrogazione di pene private
da parte di private autorità, come devono essere considerati i relativi organi di giustizia (amplius in
ALVISI 2000, pp. 346 ss), contrariamente peraltro a quanto mostrano di credere gli stessi
componenti della C.A.F. della F.I.G.C., che incredibilmente assegnano agli stessi “natura di
procedimento amministrativo” (C.U. n. 7/C 2004-2005, P. 54/7), dimenticando persino che taluni di
essi, a partire dal presidente, sono alti magistrati della Repubblica ai quali, come tali, è precluso
l’esercizio di funzioni amministrative.
Le stesse “norme sportive” costituiscono, a ben vedere, clausole del negozio associativo che
hanno dato origine alle federazioni e le continuano a regolare, né vale a far venir meno tale
indubbio contesto negoziale, con i conseguenti risvolti applicativi, la circostanza che queste siano
ricomprese in un ordinamento di settore facente capo al CONI analogamente a quanto avviene, del
resto, per le banche e le compagnie assicuratrici che hanno come referente apicale, rispettivamente,
la Banca d’Italia e l’ISVAP.
Non è dato comprendere, pertanto, perché il giudice statuale non potrebbe conoscere
“direttamente le norme interne associative se non previa la rituale impugnazione del provvedimento
applicativo che ne abbia fatto applicazione” (in tali termini Tar Lazio, Sezione Terza Ter, sentenza
5-31 maggio 2005 n. 4284, Brindisi Calcio srl c/ Coni e altri). Una siffatta affermazione si fonda
infatti sull’inesistente (e contraddetta legislativamente) qualificazione di tutte le pretese sportive in
termini di interesse legittimo e trascura, oltre tutto, la circostanza che lesioni sicuramente relative a
diritti soggettivi sono prive di tutela endoassociativa (per un recente caso di impugnativa diretta di
norme statutarie vedi C.C.A. CONI, Mens Sana Basket Siena Srl e Nuova Pallacanestro Pavia Srl c/
FIP, lodo del 18.03.2005).
La realtà è che, se già l’interpretazione in chiave pubblicistica del decreto Melandri aveva
creato notevoli problemi a livello operativo la legge n. 280/2003, emanata per risolverli, ne ha
provocati ulteriori e se possibili più gravi, attribuendo al giudice amministrativo, come si vedrà in
seguito, seppur in sede di giurisdizione esclusiva, ipotesi di contenzioso tra soggetti che non sono
estranei tra loro, ma che controvertono sulla corretta esecuzione del contratto associativo da cui
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Lo sport nelle costituzioni…
sono legati (NAPOLITANO 2004, p. 1161) e nei quali, di regola, non vi è traccia di Pubbliche
Amministrazioni e di provvedimenti amministrativi né, tantomeno, di interessi legittimi.
5. - I molteplici dubbi di costituzionalità della legge n. 280/2003.
La progressiva emersione dell’ordinamento sportivo in quello statuale, iniziata con la legge n.
91/1981, ha subito un’ulteriore, diversa e decisiva spinta verso l’alto
a seguito dell’emanazione
della legge n. 280/2003 incentrata, com’è noto, sulla riserva di talune ipotesi di contenzioso alla
giustizia sportiva, sulla attribuzione al giudice ordinario delle controversie sui rapporti patrimoniali
tra società e tesserati e sulla devoluzione delle altre alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo.
Il decreto legge 19 Agosto 2003 n. 220, adottato al dichiarato scopo di consentire il regolare
inizio dei campionati di calcio 2003-2004, è stato immediatamente bollato di incostituzionalità da
tutti i suoi primi commentatori.
Al di là dell’estensione ai processi in corso della sospensione ope legis delle misure cautelari
medio tempore adottate, apparsa in contrasto con gli artt. 104 e 111, che non consentono al
legislatore di modificare atti giurisdizionali, oltre che con i già citati artt. 24 e 113, e
dell’attribuzione al CONI e alla FIGC del potere di adottare extra ordinem i provvedimenti più
opportuni per assicurare l’avvio dei campionati (leggi: ammissione della Fiorentina al campionato
di serie B), giudicata irrispettosa dei canoni di buon andamento e imparzialità prescritti dall’art. 97
notazioni, queste,
che attualmente rivestono peraltro solo un valore storico (sulle quali vedi
comunque, con la relativa bibliografia, DE SILVESTRI 2004, pp. 107 ss.), era stata la riserva a
favore della giustizia sportiva a suscitare le maggiori e concordi perplessità.
Non si era infatti reso conto, il Governo, che le quattro ipotesi di riserva in favore della
giustizia sportiva esaurivano in concreto praticamente tutte le possibilità di contenzioso e che,
pertanto, con l’originaria formulazione dell’art. 2, aveva finito con il dar vita ad un giudice speciale,
per giunta non statuale, in palese contrasto con l’art. 102 comma 2 della Costituzione (MANZI
2003, pp. 141-142).
Nemmeno la riduzione da quattro a due delle ipotesi di riserva, operata in sede di
conversione, si è mostrata però in grado di tranquillizzare gli analisti.
Si è infatti subito osservato che se la generica previsione della lettera a) dell’art. 2 della
legge n. 280/2003 può prestarsi ad una interpretazione aperta, eventualmente utilizzabile in favore
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Lo sport nelle costituzioni…
della costituzionalità, non foss’altro per la presenza dell’inciso limitativo “al fine di garantire il
corretto svolgimento delle attività sportive”, che sembra ricondurre nell’alveo del contenzioso
meramente tecnico le ipotesi di riserva in favore della giustizia sportiva, altrettanto non si è potuto
sostenere per la successiva lettera b), il cui inequivoco e omnicomprensivo tenore letterale non
consente opzioni ermeneutiche di sorta.
E’ stato perciò agevole prevedere che, per evitare altrimenti sicure declaratorie di
incostituzionalità dell’art. 2 della legge, che pretende di esentare dalla giurisdizione statuale
sanzioni disciplinari quali le radiazione, la revoca dell’affiliazione e la retrocessione dal settore
professionistico, sarebbe stato necessario ricorrere alla norma base dell’art. 1, che fa comunque
“salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche
soggettive connesse”, finendosi però, in tal caso, con lo svuotare la previsione di ogni contenuto,
lasciando in completa balia dell’’interpretazione suppletiva la questione dell’individuazione in
concreto delle sanzioni statualmente irrilevanti (DE SILVESTRI 2004, pp 111e 118-119).
E’ così è in realtà accaduto, avendo il T.A.R. Lazio, in due distinte ordinanze, (Sezione Terza
Ter, nn. 4332/2004 e 2244/2005), sospeso l’esecuzione delle sanzioni disciplinari impugnate,
pecuniaria la prima, e consistente la seconda nell’irrogazione di una multa e di tre punti di
penalizzazione alla società oltre che nell’interdizione di un anno a carico del legale rappresentante
di questa (amplius in LUBRANO 2005, pp 5 ss) con la conseguenza che, attualmente, non è dato in
alcun modo sapere quali sanzioni risultino davvero riservate alla giustizia sportiva.
Alla legge n. 280/2003, vera palestra per esercitazioni in tal senso, sono state avanzate
ulteriori censure di incostituzionalità anche relativamente alle prescrizioni del successivo art. 3.
Si è osservato, infatti, come potrebbe contrastare con il principio di effettività della tutela
giurisdizionale sancito dall’art. 24 la circostanza che la predetta norma, prescrivendo il previo
esaurimento dei gradi di giustizia sportiva (non soggetti peraltro a termini di durata) imponga, in
sostanza, un ricorso posticipato al giudice avverso atti che, ancorché interni all’ordinamento
sportivo, producono comunque i loro effetti lesivi perché immediatamente esecutivi ed il T.A.R.
Lazio, innanzi al quale l’eccezione è stata in concreto sollevata (Sezione Terza Ter del 17.03.2005,
Cosenza Calcio c/ FIGC e altri; ma vedi però, in senso opposto, della stessa Sezione, la recentissima
sentenza n. 4362 del 21/4-3/6 2005, Savona Calcio c/ FIGC e altri), pur negandone la necessaria
rilevanza ai fini del decidere, ha incidentalmente dato atto che essa presenta comunque indiscutibili
aspetti di problematicità.
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Lo sport nelle costituzioni…
Dubbi di legittimità costituzionale sono stati avanzati alla pregiudiziale sportiva anche sul
versante del giudice ordinario, e segnatamente quello specializzato del lavoro.
L’arbitrato irrituale sportivo, quale disciplinato dall’art. 412 ter cpc, è infatti consentito
dall’art. 5, comma 1 della legge n. 533/1973 “purchè senza pregiudizio per la facoltà di adire
l’autorità giudiziaria ordinaria”, e ciò in considerazione del precetto costituzionale, sancito dall’art.
102, che fissa il principio del monopolio statuale della giurisdizione.
In tale ottica deve pertanto riguardarsi l’affermazione secondo cui la previsione dell’art. 3
della legge n. 280/2003, imponendo agli sportivi professionisti di ricorrere ai Collegi previsti dalle
rispettive federazioni, avrebbe finito con il realizzare un sistema di arbitrato obbligatorio, la cui
illegittimità costituzionale è stata peraltro già sancita in passato dalla Corte Costituzionale (così
PESSI 2004, pp. 33-34).
Occorre però considerare come lo stesso art. 3 faccia peraltro salve le clausole
compromissorie che, come tali, valgono a connotare di legittimità la volontaria opzione alternativa
in favore dell’arbitrato, anche se non può nemmeno tralasciarsi di osservare come, in realtà, la
sottoscrizione di tale clausole da parte degli sportivi professionisti, non sia propriamente libera, ma
imposta dall’art. 4 comma 1 della legge n. 91/1981, che prescrive la necessaria conformità del
contratto individuale di lavoro al contratto tipo, che la impone a pena di nullità anche nei confronti
del lavoratore sportivo non aderente ad alcuna organizzazione sindacale, in particolare a quella che
lo ha concordato in sede di contrattazione collettiva (sull’illegittimità costituzionale ex se dell’art. 4
comma 1, nella parte in cui vincola all’osservazione dell’accordo anche i non iscritti al sindacato,
vedi TOGNON 2005, p. 8; per ulteriori spunti di carattere più generale sull’impossibilità di ogni
“volontà autoritativa” di porsi come legittima fonte dell’arbitrato, vedi la recentissima Corte
Costituzionale, sentenza 08.06.2005 n. 221).
E’ in ogni caso la stessa scelta legislativa di fondo, incentrata sulla devoluzione alla
giurisdizione esclusiva del T.A.R. di tutte le controversie sportive (fatta eccezione per quelle di
natura patrimoniale tra società e tesserati, spettanti al giudice civile) a destare più a monte forti
sospetti, (personalmente ritengo certezze) di illegittimità costituzionale.
La comprensione della materia richiede il richiamo ai già illustrati principi costitutivi
dell’ordinamento sportivo nazionale, con particolare riguardo alla natura associativa privata delle
FSN e delle DSA, alla dimensione endoassociativa del contenzioso tra queste ed i propri tesserati,
(relativo cioè alla corretta esecuzione o meno del contratto associativo), e alla circostanza che le
stesse, senza snaturarsi, ma solo quali organi indiretti dell’ente pubblico CONI, in due sole
DOTTRINA
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Lo sport nelle costituzioni…
circostanze (indicate dagli artt. 10 e 12 della legge n. 91/1981), pongono in essere atti di natura
provvedimentale.
Con uno storico intervento, destinato sicuramente a lasciare il segno nell’individuazione
delle “particolari materie” oggetto di possibile giurisdizione esclusiva secondo il disposto dell’art.
103 Cost. i giudici della Consulta, facendo proprie le argomentazioni delle ordinanze di rimessione
del Tribunale di Roma, (le controversie innanzi al quale erano caratterizzate tutte da una spiccata
connotazione privatistica, e talune di esse concernevano senz’altro diritti soggettivi di natura
patrimoniale), ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 33 comma 1 del dlgs n. 80/1998 come sostituito
dall’art. 7, lettera a della legge n. 205/2000 nella parte in cui prevede la devoluzione alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di tutte le controversie in materia di pubblici
servizi (amplius, tra gli altri, in GAROFOLI, VIRGA e SAITTA, 2004).
Hanno in quella sede osservato i giudici della Corte:
a) come il legislatore ordinario, ai fini di cui sopra, incontri un limite quanto mai severo e
stringente nella natura delle situazioni soggettive, che devono essere connotate dalla circostanza
“che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al
cittadino davanti al giudice amministrativo”;
b) come non sia affatto sufficiente la mera partecipazione della P.A. al giudizio perché si
radichi la giurisdizione del giudice amministrativo, che verrebbe in tal caso ad assumere le
sembianze di giudice della e non nella amministrazione, con palese violazione degli artt. 25 e
102/2° Cost.;
c) come sia del tutto irrilevante, ai fini della devoluzione al giudice amministrativo, il
generico coinvolgimento nella controversia di un pubblico interesse, quale quello che è naturaliter
presente nel settore dei pubblici servizi ovvero, si può aggiungere, nei limiti già indicati, in quello
sportivo.
Se si rapportano tali precetti interpretativi con la struttura dell’ordinamento sportivo
nazionale quale disegnato dai decreti Melandri e Pescante e dal regolatore statutario CONI non può
non rilevarsi, allora, come sia praticamente già scritta la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 3
della legge n. 280/2003, nella parte in cui prevede la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo di controversie di privati, quali i tesserati e le affiliate, contro un altro soggetto
privato (le FSN e le DSA) al quale i primi sono associati.
Non si comprende, del resto, perché dovrebbero essere sottratte al giudice naturale dei
diritti, questioni in cui (fatta eccezione per quelle di cui agli artt. 10 comma 8 e 12 della legge n.
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Lo sport nelle costituzioni…
91/1981) non vi è traccia alcuna né di interessi legittimi, né tanto meno, di pubbliche
amministrazioni (in analoga prospettiva, seppur in termini meno netti, vedi BASILE 2005, p. 288).
La realtà è che la dottrina amministrativistica che si è occupata di sport e la stessa
giurisprudenza amministrativa, alimentandosi e supportandosi a vicenda, non hanno voluto prendere
atto delle precise scelte di fondo operate dal legislatore, ostinandosi a ricostruire in termini
pubblicistici situazioni e vicende di contenzioso ormai definitivamente collocate nell’ambito del
diritto dei privati.
In una sorta di domino impazzito, la circostanza che il giudice amministrativo si sia
attribuito un’inesistente potestas indicandi in ordine all’arcinoto caso Catania su fatti giustiziali
endoassociativi nei quali non era possibile ravvisare nemmeno l’ombra di una potestà
amministrativa (amplius, sia per la cronologia degli eventi che per le valutazioni di merito, in
GIACOMARDO 2003, p I ss) ha indotto il Governo ad un affrettato decreto, che il Parlamento ha
poco più che rattoppato in sede di conversione in una materia, quale la giurisdizione, che avrebbe
dovuto imporre, piuttosto che soluzioni di emergenza, ben più meditate riflessioni, oltre che
ponderate verifiche di sistema (DE SILVESTRI 2004, p. 106).
L’entrata in vigore della legge ha poi provocato una ulteriore escalation dell’effetto domino,
sia a livello di dottrina che di giurisprudenza.
La prima, con singolare inversione metodologica, ha ritenuto di poter inferire l’esistenza di
interessi legittimi della presenza del giudice amministrativo per effetto della (illegittima)
devoluzione alla sua giurisdizione esclusiva delle controversie sportive (in analoga prospettiva
TASSONE 2005, p. 291), sino a predicare addirittura la natura di fonte di diritto secondaria degli
statuti e dei regolamenti delle federazioni sportive (le regole del calcio sarebbero dunque atti
normativi della Repubblica: così LUBRANO 2005, nn. 3 e 4).
Il Consiglio di Stato, da parte sua, con l’inaspettata sentenza n. 5025/2004 (favorevolmente
annotata da LUBRANO 2004 e accolta, invece, in termini largamente dubitativi da NAPOLITANO
2004, pp. 1157 ss; per un significativo, promettente revirement vedi, però, TAR LAZIO, Sezione
Terza Ter, sentenza del 17.03.2005, Cosenza Calcio c/ FIGC e altri, nonché, recentissimamente,
della stessa Sezione, la sentenza n. 4362 del 21/4 – 3/6 2005, Savona Calcio c/ FIGC e altri) ha
ritenuto di poter stravolgere la natura del procedimento innanzi alla Camera di Conciliazione e
Arbitrato del CONI, assegnando sostanziale natura di provvedimento amministrativo al relativo
lodo pur in difetto di un soggetto pubblico a cui riferirlo (non certo il CONI: vedi l’art. 19/5° del
relativo regolamento, che ne afferma l’imputabilità “esclusivamente al collegio arbitrale o
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23
Lo sport nelle costituzioni…
all’arbitro unico”, aggiungendo che “in nessun caso … il lodo può essere considerato atto della
Camera o del CONI”).
Occorre piuttosto aggiungere, a riprova della difficoltà di inserimento nel preesistente
sistema della legge n. 280/2003, come appaia veramente difficile il coordinamento, affrontato dai
giudici amministrativi nei provvedimenti sopra citati,
tra l’altro conclusivo della procedura
camerale, quale che sia la sua natura, e la sua impugnazione in sede giurisdizionale, che non sembra
in effetti possibile negare, e la devoluzione, legislativa di ogni contenzioso alla giurisdizione
esclusiva del TAR
Accogliendo la tesi della natura di lodo, rituale secondo il precedente regolamento, irrituale
secondo l’attuale, si tratta infatti di vedere se le regole processuali ordinarie, che prevederebbero ora
la competenza del Tribunale nei soli casi previsti dalla legge ( art. 1429 c.c. e ss: errore, violenza,
dolo) debbano cedere il passo alla disciplina specifica, anche se a livello di teoria generale non sono
stati affatto sciolti i dubbi interpretativi della legge 21 luglio 2000, n. 205, che come è noto ha
aperto all’istituto arbitrale in tema di diritti soggettivi rientranti nella giurisdizione del giudice
amministrativo, con particolare riguardo al giudice competente (TAR o Consiglio di Stato) e
all’estensione della disciplina ai lodi irritali (Amplius, su tali problematiche, in NAPOLITANO
2004, p. 30).
In attesa di un intervento della Consulta, ormai espressamente auspicato (BASILE 2005, p.
287), che a fronte dell’espressa privatizzazione delle federazioni, valga a riequilibrare il sistema
contro l’attuale e invasivo coinvolgimento del giudice amministrativo, non può non notarsi, da
ultimo come il legislatore, con la legge n. 280/2003, non solo abbia travalicato i limiti previsti dalla
nostra Carta Costituzionale per la giurisdizione esclusiva, ma abbia comunque ritenuto di poter
distribuire le controversie sportive, senza definire con esattezza i limiti della riserva in favore della
giustizia endoassociativa.
L’estrema vaghezza delle norme dettate in materia ed il clima di assoluta incertezza in cui
attualmente versano, indistintamente, dirigenti federali, affiliate e tesserati, oltre a cozzare con il
declamato principio di autonomia e le notorie esigenze di celerità dei contenziosi sportivi, finisce,
con il contrastare, in modo ancor più pregnante, con lo stesso precetto costituzionale che riconosce
a ciascun cittadino, anche a quello che opera nello sport, l’inviolabile diritto di conoscere quale sia
il suo giudice naturale precostituito per legge (art. 25).
DOTTRINA
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Lo sport nelle costituzioni…
6. - I riflessi di costituzionalità della dicotomia professionismo-dilettantismo.
Anche se nella nostra legislazione la figura del dilettante non si trova affatto menzionata se non,
recentemente, solo a fini meramente fiscali, per ricomprendere le indennità di trasferta, i rimborsi
forfetari, i premi ed i compensi agli sportivi dilettanti nell’ambito dei “redditi diversi”, con
conseguente esclusione dalla contribuzione INPS e INAIL, alla stessa sono riconducibili irrisolti
problemi di trattamento che coinvolgono valori direttamente tutelati dalla Costituzione.
La dicotomia professionista-dilettante è sorta nella seconda metà dell’Ottocento, quando in
Inghilterra ebbero origine le moderne discipline sportive.
All’epoca gli atleti assunsero la posizione di dilettanti, sia perché le attività praticate erano
per loro natura inutilitaristiche e sia perché, appartenendo a classi socialmente agiate, non avevano
affatto bisogno di lavorare e di ricavare un reddito sostitutivo dallo sport.
Da quel momento la qualifica di dilettante fu imposta quale requisito per l’ammissione alle
gare nel rispetto del principio della par condicio dei partecipanti e, idealizzata e sublimata, fu
recepita quale fattore costituivo ed imprescindibile della dottrina olimpica, fondata sulla
incompatibilità tra homo ludens e homo faber.
Il quadro cominciò a mutare negli anni Settanta, a fronte di un professionismo sempre
crescente e, soprattutto, dalla presa di coscienza, da parte del mondo dello sport, di poter sfruttare a
fini economici, grazie ai media, il relativo e immenso serbatoio di popolarità.
shamateurism,
L’ipocrisia dello
consistente nel chiudere un occhio verso le sempre più frequenti sovvenzioni
mascherate sotto forma di rimborso spese, cedette così il posto all’esplicita riammissione alle
Olimpiadi di discipline squisitamente professionistiche una volta sdegnosamente espulse e,
successivamente, alla diretta gestione dei proventi dello spettacolo olimpico.
Attualmente il Comitato Olimpico Internazionale dispone di Top Olimpic Programes,
consistenti in giganteschi schemi di marketing internazionale gestiti integralmente da una apposita
società svizzera, negozia direttamente i compensi per la concessione dell’esclusiva televisiva e ha
promosso la creazione di trust funds per il controllo dei guadagni degli atleti sotto la supervisione
delle Federazioni Internazionali, che hanno fattivamente concorso nello sviluppo del sistema sino
ad assumere esse stesse il ruolo di veri cartelli (NAFZIGER 1996, pp. 224 ss.).
Il termine dilettante nella Carta Olimpica oggi non esiste più, ed attualmente la Regola 45 si
limita a rimandare, per l’ammissione degli atleti ai giochi, alle prescrizioni delle corrispondenti
Federazioni Internazionali, mentre la norma di attuazione della medesima si limita solo ad
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25
Lo sport nelle costituzioni…
affermare, invero sterilmente, che l’iscrizione e la partecipazione dei concorrenti non devono essere
condizionate da considerazioni finanziarie, e che agli stessi è fatto divieto di pubblicizzare nomi e
immagini … per il solo fatto che il relativo sfruttamento se lo è riservato il CIO.
Avendo la dicotomia assolto alla funzione storica di consentire la selezione degli atleti
olimpici, ci si sarebbe coerentemente dovuto attendere l’abolizione della stessa anche all’interno
delle FSI (in tal senso si è in effetti determinata la FIBA) oltre che la presa d’atto, da parte degli
Stati che hanno disciplinato le prestazioni sportive, sia del progressivo svuotamento di contenuti
dello status di dilettante, giustamente e icasticamente definito un “relitto del sistema” (TOGNON
2002, p. 670), e sia della circostanza che l’economicismo costituisce ormai un aspetto integrante
dello sport, tanto da legittimare l’affermazione che quando esso si manifesta come spettacolo–
business gli atleti non possono non essere lavoratori, e quindi in tal senso professionisti
(CROCETTI BERNARDI 2003, pp. 757-758).
Già attualmente, del resto, lo status formale di dilettante non offre alcun parametro per
risolvere questioni operative al di là dell’ambito meramente endoassociativo.
A livello comunitario, infatti, nella motivazione della sentenza Deliege, non a caso definita
la Bosman dei dilettanti, la Corte di Giustizia, nel sottolineare apertamente l’inutilità della qualifica
attribuitasi unilateralmente da una federazione a scapito dell’approfondimento della natura
dell’attività svolta in concreto dall’atleta, ha espressamente affermato come gli amateurs possano
invocare l’applicazione del Trattato ove prestino servizi che permettono di organizzare spettacoli,
anche se non pagati dalle società che ne beneficiano, mentre a livello nazionale il Tribunale di
Pescara, nell’esaminare la posizione di un pallanuotista, ha testualmente affermato che “la
distinzione tra professionismo e dilettantismo si mostra priva di ogni rilievo, non comprendendosi
per quale via potrebbe mai legittimarsi una discriminazione del dilettante” (ulteriori dettagli, per
entrambe le pronunce, in TOGNON 2003, pp. 668 e 672 e AGNINO 2002, cc. 900 e 902).
Anche l’appartenenza al settore dilettantistico delle società che fruiscono delle prestazioni
degli atleti è, del resto, inidonea a consentire più penetranti valutazioni sostanziali, sia in ambito
comunitario che interno.
Sotto il primo profilo, devono infatti considerarsi senz’altro imprese in senso tecnico, ai
sensi dell’attuale art. 48 del Trattato, le società sportive che, indipendentemente dalla forma
giuridica assunta nei Paesi di appartenenza, organizzano spettacoli sportivi a pagamento, negoziano
diritti televisivi e fanno operazioni di sponsorizzazione e di merchandising (VIGORITI 2001, p.
625).
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Lo sport nelle costituzioni…
A livello interno non sono peraltro rari i casi in cui società sportive, costituite in forma di
associazioni non riconosciute, sono state
assoggettate a fallimento, nonostante militassero in
campionati non professionistici, sulla scorta della ovvia considerazione che, a quei fini, ciò che
conta è l’oggettiva imprenditorialità, la circostanza cioè che le stesse esercitino, abitualmente e
sistematicamente, attività di organizzazione, allestimento e attuazione di spettacoli sportivi
(FORMICA 1993, pp. 798 ss., ove sono riportati numerosi precedenti in termini), ed analogamente
non può che argomentarsi quanto alle società sportive di capitali senza scopo di lucro di recente
costituzione.
Le problematiche del dilettante che lavora evocano il fenomeno, noto con i diversi nomi di
professionismo di fatto, di dilettantismo retributivo e di professionismo marron che non riguarda
solo il nostro Paese, posto che, anche in ambito comunitario, è nota la figura dello shamateur e
dello scheinamateur (amplius in LOMBARDI 2002, pp. 103 s.s.).
In Italia è stata proprio la legge n. 91/1981, emanata per far emergere e disciplinare gli
aspetti lavoristici delle prestazioni sportive, ad offrire lo spunto per la nascita di analoghe questioni
anche per i dilettanti, posto che essa, com’è arcinoto, non ha affatto disciplinato il lavoro sportivo
nella sua interezza, ma solo quello che si svolge nell’ambito delle federazioni sportive
autoqualificatesi professionistiche e cioè, secondo la originaria delibera del Consiglio Nazionale del
CONI del 2 maggio 1988, la Federazione Ciclistica Italiana (FCI), la Federazione Italiana Golf
(FIG), la Federazione Motociclistica Italiana (FMI), la Federazione Pugilistica Italiana (FPI) a cui si
è aggiunta, a decorrere dal 30 giugno 1994, la Federazione Italiana Pallacanestro (FIP).
La legge è perciò apparsa, ben presto, iniqua e discriminante nella misura in cui sottraeva
alla sua sfera di applicazione tutti di casi di professionismo di fatto, assoggettando così a diversa
disciplina rapporti di lavoro che avrebbero viceversa meritato un identico trattamento per essere
contraddistinti da analogo contenuto (VIDIRI 1993, p. 210), tanto da suggerire l’impraticabile
forzatura, a fronte dell’insuperabile dato testuale, di estenderne l’applicazione anche a questi
(REALMONTE 1997, pp.. 376-377).
La questione si è riproposta all’attenzione della dottrina specialistica nell’ultimo
quinquennio quando, a fronte della crescente popolarità di talune discipline sportive e dello
spropositato aumento delle remunerazioni, non si è potuto non notare come atleti appartenenti a
diverse federazioni prive di settore professionistico (es: i pallavolisti rispetto ai cestisti), ovvero a
diversi settori della medesima federazione (es: i calciatori dei Campionati Nazionali Dilettanti
rispetto a quelli di C/2), fruiscano di trattamenti diversi pur offrendo, nell’ambito di discipline
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Lo sport nelle costituzioni…
sportive svolte egualmente sotto l’egida del CONI, prestazioni assolutamente identiche (DE
SILVESTRI 2002, pp. 37 ss; CROCETTI BERNARDI 2003, pp. 757 ss.; TOGNON 2005, pp. 910).
Si comprende, perciò, come anche di recente siano stati riproposti dubbi di legittimità
costituzionale della legge n. 91/1981 “in ordine alla disparità di trattamento” tra professionisti
ufficializzati e professionisti di fatto (PESSI 2004, p. 36).
La tematica è in realtà assai più complessa, perché, da un lato, la limitata sfera di
applicazione della legge n. 91/1981 allo speciale lavoro sportivo ufficializzato non può precludere
la possibilità di ricorrere comunque al generale schema codicistico del lavoro subordinato ai sensi
degli articoli 2094 cc e seguenti e perché, dall’altro, l’alternativa tra le due tutele è rimessa al
Consiglio Nazionale del CONI, come prescritto dall’art. 2 della legge n. 91/1981 e attualmente
ribadito dall’art. 5, lettera a) del decreto Melandri-Pescante (sul punto vedi, ora, il n. 23 dei Principi
informatori, approvati dal CONI il 23 marzo 2004, che legittima ciascuna FSN all’istituzione di un
settore professionistico se ammesso dalla rispettiva Federazione internazionale).
A prescindere dalla circostanza che, allo stato, il CONI risulta sostanzialmente
inottemperante al compito affidatogli, non avendo mai emanato direttive generali specifiche e
vincolanti che consentirebbero, almeno, di razionalizzare il sistema, attualmente in balia del
gradimento delle singole federazioni (CROCETTI BERNARDI 2004, pp. 136-137), è più a monte
che è possibile avanzare dubbi di conformità ai valori costituzionali dell’attuale quadro legislativo.
La disciplina speciale del professionismo ufficializzato e quella generale codicistica
presentano, infatti, tutt’altro che trascurabili differenze (si pensi, tra l’altro, alle numerose deroghe
stabilite dai commi 8 e 9 dell’art. 4 della legge n. 91/1981, al particolare trattamento pensionistico
ed assistenziale, ovvero alla possibilità, negata ai professionisti di fatto, di ricorrere all’arbitrato di
cui all’art. 412 cpc) e non sembra perciò possibile, a fronte di analoghe prestazioni lavorative, che
la scelta del modello legislativo di tutela e la conseguente disparità di trattamento sia rimessa
all’organo di un ente pubblico o, peggio ancora, come avviene ora, all’autodeterminazione di
soggetti privati quali le federazioni.
Evidenti problemi di conformità ai valori costituzionali del lavoro pongono perciò i pur
apprezzabili tentativi operati da talune federazioni, in particolare la F.I.G.C., di fronteggiare le non
più tollerabili discrasie tra la posizione formale dei dilettanti che lavorano, incentrata sulla gratuità
delle prestazioni e quella reale, caratterizzata dalle dazioni in nero di forti somme di danaro (DE
SILVESTRI 2002, pp. 45 ss).
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Lo sport nelle costituzioni…
La Corte Costituzionale, con due sentenze assai note agli specialisti (amplius, per le relative
problematiche, in D’ANTONA 1995, pp. 63 ss e SCOGNAMIGLIO 2001, pp. 95 ss), ha infatti
chiarito come lo stesso legislatore incontri precisi limiti alla propria discrezionalità nel disciplinare
la materia lavoristica, non essendogli consentito di modificare la reale e oggettiva natura di un
rapporto di lavoro assegnandogli un diverso nomen iuris.
Se dunque allo stesso legislatore è preclusa la scappatoia di quella che è stata definita la
“fuga dal diritto del lavoro”, e cioè la fuoriuscita dall’area della legislazione protettiva del lavoro
subordinato (ICHINO 1989, PP. 231 SS), non si vede come riconoscere alle federazioni-persone
giuridiche private la possibilità di scegliere il tipo contrattuale elusivo del diritto del lavoro, le quali
potranno pertanto fare affidamento, quanto alla tenuta di assetti quale quello adottato dalla FIGC,
solo sullo spontaneo allineamento degli interessati.
La singolarità del professionista di fatto, schizofrenica figura continuamente divisa tra il
modello formale impostogli dalle federazioni e quello reale ancorato all’effettività delle prestazioni
lavoristiche, è ulteriormente accentuata da un’ulteriore anomalia, questa tutta italiana, quella del
vincolo a tempo indeterminato degli sportivi dilettanti a cui si sono sino a poco tempo fa ispirate la
pluralità delle FSN.
Stando ai regolamenti federali, il dilettante che lavora non solo non sarebbe un lavoratore
subordinato, ma dovrebbe ritenersi vincolato a (oggi tendenzialmente) vita con il suo (effettivo)
datore di lavoro, la società di appartenenza, alla quale sarebbe (ed è) invece concesso di “tagliarlo”
a suo piacimento.
Al di là della giustiziabilità statuale di siffatte posizioni innanzi al Tribunale specializzato
del lavoro, che in presenza di necessari presupposti non potrebbe non assecondare le istanze del
professionista di fatto volte ad ottenere il riconoscimento della reale natura lavoristica del rapporto e
la sua eventuale risoluzione, è l’istituto del vincolo a vita, ovvero irragionevolmente lungo, ad
essere comunque in discussione perché lesivo dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione
(sulla recente riforma della F.I.G.C., che ha limitato il termine al venticinquesimo anno di età, e
sull’intera problematica, amplius in DE SILVESTRI 2002, pp. 31 ss.).
Se il vincolo dei professionisti, compresi quelli di fatto, è di natura lavoristica, quello dei
dilettanti è invece di natura associativa, tale da evocare la tutela della persona che la Costituzione,
nella prima parte, pone al centro della società nella sua duplice dimensione di essere individuale e
di essere sociale (artt. 2, 3 e 18).
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29
Lo sport nelle costituzioni…
Non può, pertanto, non essere garantito a tutti coloro che praticano lo sport per migliorare il
proprio stato psico-fisico e per arricchire la propria personalità, il diritto di associarsi e di
dissociarsi liberamente dalle società sportive a suo tempo prescelte (per le specifiche problematiche
dei minori vedi, nel dettaglio, MORO 2002, pp. 9 ss), in conformità del resto al disposto dell’art. 1
della legge n. 91/1981 che proclama libero l’esercizio dell’attività sportiva, sia dilettantistica che
professionistica.
Con la conseguenza che la ricomprensione dell’attività sportiva dilettantistica tra i diritti di
libertà personale, come tali indisponibili ed irrinunciabili, dovrebbe essere considerata come limite
funzionale d’ordine costituzionale alla libertà organizzativa delle FSN e della DSA e come ostacolo,
quindi, al dispiegarsi del loro potere autodisciplinare di adottare istituti vessatori che quei diritti
finiscono con il comprimere.
E con la conseguenza, ancora, che potrebbero fondatamente
impugnarsi di nullità tutte le clausole associative che prevedono il vincolo a vita ai sensi dell’art.
1322 c.c. perché contrastanti con norme imperative codicistiche (art. 24 cc), oltre che con le libertà
individuali costituzionalmente garantite anche a seguito dell’emanazione dell’art. 1 della legge n.
91/1981 (ulteriori dettagli, relativamente alla soluzione “compromissoria” adottata dalla F.I.G.C. a
decorrere dalla stagione sportiva 2002-2003 in DE SILVESTRI 2002, pp. 42 ss).
Anche se il menzionato trend del contemperamento dovrebbe per l’avvenire ridurre la
forbice tra normativa statuale come integrata da quella comunitaria e precetti autodisciplinari delle
organizzazioni sportive, restano ancora numerosi i casi in cui questi appaiono ancora in netto
contrasto con i valori garantiti dalla Costituzione.
(*) Avvocato del Foro di Vicenza
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Lo sport nelle costituzioni…
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DOTTRINA
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La condizione giuridica…
LA CONDIZIONE GIURIDICA DEGLI SPORTIVI STRANIERI
di
Lina Musumarra (*)
SOMMARIO:
1. - Premessa.
2. - Dal caso Ekong al caso Khazari: il principio di non discriminazione e l’autonomia
dell’ordinamento sportivo.
3. - La tutela dei vivai e il principio di non discriminazione.
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La condizione giuridica…
1. – Premessa.
Il problema dei diritti degli sportivi stranieri, e della loro efficacia nell’ambito dell’ordinamento
sportivo, si è posto all’attenzione della dottrina già da diversi anni, a partire dal noto caso Ekong,
del novembre 2000, ai casi, più recenti, Simutenkov e Khazari 1. Essi presentano evidenti analogie
con le vicende che, per effetto della giurisprudenza comunitaria, a partire dalla sentenza Bosman del
dicembre 1995, hanno condotto alla rimozione di ogni limite al numero di giocatori comunitari
tesserabili e schierabili in campo2.
Sono, però, diversi i parametri di riferimento, trattandosi, in un caso, delle disposizioni
contenute nel Trattato comunitario, le quali affermano il principio della libera circolazione dei
lavoratori e vietano intese restrittive della libertà di concorrenza; nell’altro, di normative nazionali
ed internazionali, che vietano discriminazioni fondate sulla razza e sulla nazionalità, ma
contestualmente salvaguardano e disciplinano il potere delle autorità pubbliche di limitare gli
ingressi di lavoratori stranieri attraverso una programmazione dei relativi flussi. In ogni caso, il tipo
di rapporto giuridico generatore delle prestazioni è irrilevante, posto che il principio di non
discriminazione ha portata generale, valendo per tutte le prestazioni di lavoro o di servizi, senza
potersi accordare rilevanza alla qualifica, prettamente formale, di professionista3.
Come è noto, l’art. 282 della Costituzione europea (rectius, del Trattato che adotta una
Costituzione per l’Europa), firmata a Roma il 29 ottobre 2004 dai venticinque Stati membri
dell’Unione europea, ma non ancora in vigore, attribuisce per la prima volta allo sport un
riconoscimento di rilevanza costituzionale, evidenziando, in particolare, le sue specificità, la sua
dimensione sociale ed educativa, come peraltro già affermato nella Dichiarazione del Consiglio
europeo di Nizza del dicembre 2000.
L’azione dell’Unione è intesa a sviluppare la dimensione europea dello sport, sia attraverso una
politica di sostegno, coordinamento o di complemento, sia tramite un’importante azione
regolamentare nei settori oggetto di una specifica competenza comunitaria e che hanno comunque
rilevanza anche in materia di sport, come, appunto, gli aspetti connessi alle libertà fondamentali,
soprattutto la libera circolazione delle persone e dei servizi.
1
G. GLIATTA, La sentenza Simutenko: una applicazione dell’effetto Bosman agli accordi di partenariato della comunità, in
Giustiziasportiva.it, n. 1, 2006, 11; AA.VV., Diritto dello Sport, Firenze, 2004; F. AGNINO, Statuti sportivi discriminatori ed attività
sportiva: quale futuro?, in Foro it., 2002, 896-912.
2
AA.VV., Lo sport e il diritto. Profili istituzionali e regolamentazione giuridica, Napoli, 2004.
3
L. MUSUMARRA, La qualificazione degli sportivi professionisti e dilettanti nella giurisprudenza comunitaria, in RDES, fasc. n. 2,
2005, 39-44.
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La condizione giuridica…
Sin dagli anni Settanta la Corte di giustizia europea ha affermato che l’attività sportiva, nel
momento in cui può essere configurata anche come attività economica, viene ad essere disciplinata
dal diritto comunitario4. Se questa è l’unica condizione richiesta dai giudici comunitari perché lo
sport sia assoggettato al diritto comunitario, il fatto che il caso Bosman riguardasse uno sportivo
qualificato, dagli ordinamenti sportivi e statali, come professionista, non può certo essere sufficiente
per giustificare la tesi secondo cui lo sport dilettantistico sarebbe automaticamente sottratto ai
principi sanciti dal Trattato di Roma e dal diritto derivato.
La nozione di lavoratore sportivo deve essere quindi ricostruita prescindendo dalle definizioni
contenute nei vari diritti nazionali (per l’Italia, la l. n. 91/1981), e comunque in modo non
restrittivo. Secondo la Corte di Lussemburgo, come affermato anche in tempi più recenti5, la
condizione necessaria e sufficiente perché un soggetto possa essere considerato un lavoratore, ai
sensi e per gli effetti dell’art. 39 del Trattato CE, è che tale persona svolga, per un certo periodo di
tempo, in favore di un’altra persona e sotto la direzione di quest’ultima, delle prestazioni in cambio
delle quali percepisce una remunerazione (il cd. professionista di fatto o dilettante retribuito).
Ciò che conta è che dette attività siano reali ed effettive, ovvero non così insignificanti da
risultare puramente marginali ed accessorie, a nulla rilevando il fatto che l’attività in questione sia
svolta a tempo pieno o part-time, durante tutto l’anno o soltanto per alcuni mesi.
Si impone, quindi, la necessità di contemperare e conciliare, nell’ambito del difficile rapporto
tra ordinamenti – comunitario, sportivo e statale – la dimensione volontaristica, educativa e
culturale, connessa con le esigenze tecniche dell’attività sportiva, finalizzate ad assicurare il fair
play e le pari opportunità nelle competizioni, con quella professionistica ed economica del cd. sportbusiness.
L’esigenza di salvaguardare l’autonomia dello sport non può infatti prevalere, in ogni caso, su
quella di rispettare i principi comunitari in tema di libera circolazione dei lavoratori. Occorre evitare
la cd. immunità sportiva (sporting exception) e operare invece un giusto bilanciamento tra finalità
meramente sportive e finalità economiche, rispettando i principi fondamentali dei cittadini e quindi
degli sportivi nei settori in cui operano6.
4
Corte di Giustizia, causa 36/74 (Walrave), in Racc., 1974, 1405; Corte di Giustizia, causa 13/76 (Donà), in Racc., 1976, 1333.
Corte di Giustizia, causa 53/81 (Levin), in Racc., 1982, 1035; Corte di Giustizia, causa C-51/96 e C-191/97 (Deliège), in Racc.,
2000, I-2549; Corte di Giustizia, causa C-176/96 (Lehtonen), in Racc., 2000, I-2681; Corte di Giustizia, causa C-109/04
(Kranemann), in Racc., 2005, I-2421; Tribunale di Primo Grado, causa T-313/02 (Meca-Medina), in Racc., 2004, II-03291;
Tribunale di Primo Grado, causa T-193/02 (Piau), in Racc., 2005, II-209.
6
Corte di Giustizia, causa C-519/04 P (Meca-Medina, Majcen), in Com. Stampa n. 65/06
5
DOTTRINA
37
La condizione giuridica…
2. - Dal caso Ekong al caso Khazari: il principio di non discriminazione e l’autonomia
dell’ordinamento sportivo.
In questo contesto si pone la problematica del trattamento spettante agli sportivi stranieri, siano
essi professionisti o dilettanti, secondo la nozione di lavoratore comunitario elaborata dai giudici di
Lussemburgo.
In linea generale, il trattamento e l’eventuale equiparazione dei lavoratori provenienti da Paesi
Terzi è una prerogativa dei singoli Stati Membri che possono dettare autonomamente le disposizioni
legislative volte a disciplinare l’ingresso ed il soggiorno dei suddetti lavoratori nel proprio territorio.
In base alla legislazione interna sono state, infatti, definite numerose controversie, a partire dal noto
caso Ekong7, nonchè sulla legittimità dell’art. 40, co. 7 delle Norme Organizzative Interne della
FIGC con una decisione della Corte Federale, risalente al 4 maggio 2001, la quale ha liberalizzato
l’impiego in campo dei calciatori extracomunitari regolarmente tesserati dai club italiani8.
L’art. 44 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (<<Testo Unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero>>), noto come decreto TurcoNapolitano, modificato dalla l. 30 luglio 2002, n. 189, dispone che <<quando il comportamento di
un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici,
nazionali o religiosi, il giudice può, su istanza di parte, ordinare la cessazione del comportamento
pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze a rimuovere gli
effetti della discriminazione>>.
Sulla base della speciale azione civile contro la discriminazione prevista dalla legge in parola, il
27 settembre 2000 il calciatore nigeriano Ekong conveniva in giudizio la FIGC per il
comportamento discriminatorio consistente nel diniego di tesseramento, con la conseguente
impossibilità di svolgere l’attività di calciatore, pur avendo stipulato un regolare contratto di lavoro
con una società di calcio di serie C.
Tale diniego si basava sull’art. 40, 7 co., NOIF, sopra richiamato, il quale, nel consentire alle
società di serie A e B il tesseramento di calciatori extracomunitari nella misura massima,
rispettivamente, di cinque e uno, non attribuiva la medesima facoltà alle squadre di serie C.
Con ordinanza del 2 novembre 2000, il giudice del Tribunale di Reggio Emilia dichiarava,
incidentalmente, l’illegittimità della predetta norma perché in contrasto con il d.lgs n. 286/98,
7
8
Tribunale di Reggio Emilia, ord. 2 novembre 2000, in Foro it, Rep. 2000, Sport, 39.
Corte Federale F.I.G.C., 4 maggio 2001, in Foro it., 2001.
DOTTRINA
38
La condizione giuridica…
evidenziando, in particolare, che <<l’autonomia dell’ordinamento sportivo non può significare
impermeabilità totale rispetto all’ordinamento statuale, ove, come nel caso di specie, il soggetto
legittimato in via esclusiva ad abilitare all’esercizio del gioco del calcio (id est la FIGC) impedisca
tale facoltà solo sulla base di un ingiustificato (rectius, vietato) elemento di differenziazione>>,
come quello - l’autorizzazione della Federazione sportiva di provenienza – richiesto ai lavoratori
sportivi stranieri.
Parimenti, il Tribunale di Teramo, con riguardo al diniego di tesseramento, da parte della FIP,
del giocatore di basket americano Sheppard, militante in una società di serie A/1, ha dichiarato,
dapprima, con ordinanza del 4 dicembre 2000, tale comportamento quale atto discriminatorio per
motivi di nazionalità, in relazione alla l. n. 286/98; per gli stessi motivi, con successiva ordinanza
del 30 marzo 2001, ha dichiarato altresì l’illegittimità della delibera della federazione con la quale si
negava alla società sportiva la possibilità di schierare in campo contemporaneamente più di due
giocatori stranieri.
Nel caso Hernandez Paz, giocatore spagnolo di pallanuoto, al quale era stata preclusa la
possibilità di essere tesserato da una squadra del massimo campionato, poichè già dotata di tre
giocatori non italiani, il Tribunale di Pescara, con ordinanza del 18 ottobre 2001 (riformata in sede
di reclamo, con motivazioni assolutamente opinabili), pur occupandosi di un atleta qualificato
formalmente quale dilettante (secondo il giudice, <<il tenore volutamente ‘universale’ scelto dal
legislatore consente di ritenere che ogni attività di rilievo sociale costituisca oggetto di protezione, e
non soltanto quella che rivesta un preminente significato economico-professionale>>), dichiarava
l’illegittimità di tale divieto imposto dalla FIN, attesa la violazione del principio di ordine pubblico
di non discriminazione, di immediato rilievo costituzionale.
Sempre nell’ambito di uno sport qualificato come dilettantistico, ovvero la pallavolo (si tratta
del noto caso dei giocatori della nazionale di pallavolo cubana, Gato e Dennis, e quello, sempre di
atleti cubani, Rivero, Mayeta e Borges) i giudici ordinari sono intervenuti per dichiarare la
sussistenza di un comportamento discriminatorio e lesivo del diritto al lavoro, sottolineando, in
particolare, che le norme contenute nel d.lgs. n. 286/98 non legittimano alcuna discriminazione del
dilettante9.
Ritornando al mondo del calcio, questa volta praticato da un minore (Amine Khazari, cittadino
marocchino), il Tribunale di Bolzano, con ordinanza del 24 febbraio 2004, ha dichiarato che il
mancato tesseramento, quale calciatore giovane di serie, da parte della FIGC e della Lega
9
L. MUSUMARRA, Il rapporto di lavoro sportivo, in AA.VV., Diritto dello Sport, cit., 181-185.
DOTTRINA
39
La condizione giuridica…
Professionisti Serie C, <<trova reale ed unico fondamento>>, come per il caso Ekong, nel disposto
dell’art. 40, co. 7 delle NOIF e non direttamente nel dettato normativo dell’art. 27, co. 5 del d.lgs. n.
286/98, che si limita a prescrivere la possibilità, in ambito sportivo, di fissare annualmente criteri
generali per il tesseramento di sportivi stranieri.
Il minore è quindi stato escluso solo in ragione della nazionalità, determinandosi, in tal modo,
una condotta discriminatoria, che ha avuto l’effetto di compromettere l’esercizio di una libertà
fondamentale in campo economico.
Secondo il giudice, <<né la specialità e l’autonomia dell’ordinamento sportivo possono essere
invocati quali esimenti di tale condotta discriminatoria in quanto l’ordinamento sportivo non può
derogare a fondamentali principi di ordine pubblico internazionale, quali desumibili dalla
Costituzione e dagli accordi internazionali in materie attinenti alla libertà, uguaglianza, rispetto
delle origini nazionali>>.
Al fine di porre un freno al contenzioso insorto è intervenuto il legislatore con la l. n. 189/2002
(meglio conosciuta come Bossi-Fini), adottando misure idonee per razionalizzare i rapporti tra
l’ordinamento sportivo e l’ordinamento giuridico statale, attraverso modificazioni e correttivi del
d.lgs. n. 286/98. In particolare, l’art. 27, comma 5-bis del predetto decreto, nel testo novellato, ha
stabilito che <<con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, su proposta del Comitato
olimpico nazionale italiano (CONI), sentiti i Ministri dell’interno e del lavoro e delle politiche
sociali, è determinato il limite massimo annuale d’ingresso degli sportivi stranieri che svolgono
attività sportiva a titolo professionistico o comunque retribuita, da ripartire tra le federazioni
sportive nazionali.
Tale ripartizione è effettuata dal CONI con delibera da sottoporre all’approvazione del Ministro
vigilante. Con la stessa delibera sono stabiliti i criteri generali di assegnazione e di tesseramento per
ogni stagione agonistica anche al fine di assicurare la tutela dei vivai giovanili>>.
Si deve rilevare che il legislatore, nell’adottare il meccanismo del cd. contingentamento degli
atleti stranieri, ha attribuito rilevanza giuridica non solo alla figura dello sportivo professionista, ma
anche a quegli atleti che svolgono attività sportiva comunque <<retribuita>>, pervendo, quindi, al
riconoscimento, come lavoratore sportivo, anche dello sportivo (straniero) dilettante.
Al contrario, per i motivi già evidenziati, per l’atleta italiano, formalmente qualificato come
dilettante, ma in realtà retribuito, non può affermarsi lo stesso principio.
Tale volontà viene ribadita dal legislatore nel successivo D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334, con il
quale è stato emanato il nuovo regolamento, in tema di immigrazione, recante modifiche ed
DOTTRINA
40
La condizione giuridica…
integrazioni al precedente, il n. 394 del 31 agosto 1999. In particolare, l’art. 37, commi 16, 17 e 18,
contiene la disciplina degli ingressi degli sportivi stranieri (comunicata dal CONI con la circolare
del 19 giugno 2006, n. 2024), che svolgono le relative prestazioni sportive come professionisti o
dilettanti, nella forma del lavoro subordinato o autonomo, con espressa esclusione dei tecnici
(allenatori e preparatori atletici) dall’applicazione delle quote di ingresso assegnate a ciascuna
federazione sportiva.
La disposizione in esame e le successive deliberazioni emanate dal CONI, che stabiliscono le
quote di ingresso complessive annuali per gli sportivi stranieri, avendo, tra le altre, quale finalità,
espressamente enunciata, quella della tutela dei vivai giovanili, ha determinato, sotto questo profilo,
nella sua applicazione, l’insorgere di alcune questioni di particolare rilevanza.
3. - La tutela dei vivai e il principio di non discriminazione.
La tematica in esame è stata oggetto di approfondite analisi soprattutto in seguito alla
deliberazione assunta dal CONI nel luglio 2004, con la quale si invitavano, da una parte, le
federazioni sportive a presentare proposte e progetti dettagliati relativi alla promozione e tutela dei
vivai giovanili, dall’altra, si imponeva alle stesse, a partire dalla stagione 2006/2007, di iscrivere,
tra i giocatori a referto, almeno la metà di atleti italiani10.
In particolare, la FIP, nell’attuare tale disposizione, attraverso le deliberazioni adottate
nell’ottobre 2005, con le quali si è imposto alle società partecipanti al campionato nazionale
professionistico di serie A di iscrivere al referto di gara, per la stagione sportiva 2006/2007, e per
quelle 2007/2008 e 2008/2009, un numero minimo di atleti considerati <<italiani>>, dava corso ad
una lunga ‘querelle’ con la Lega Pallacanestro di Serie A, sfociata anche in una azione giudiziaria.
La riserva prescritta a favore degli atleti professionisti italiani, ovvero di quelli restrittivamente
considerati tali (cd. formati in Italia), è stata ritenuta in contrasto con le disposizioni del Trattato
dell’Unione europea, come interpretate dai giudici comunitari sin dagli anni Settanta, inerenti la
libertà di circolazione, di stabilimento, la cittadinanza comunitaria, nonché il divieto di
discriminazioni basate sulla cittadinanza.
Stabilire, infatti, un limite alla possibilità di utilizzo degli atleti comunitari o prescrivere una
presenza minima di atleti nazionali, conduce all’identico risultato di rendere più difficoltoso, e
10
G. GUERCILENA, Stranieri a norma CONI, in Sole 24 ore sport, gennaio 2006, 5
DOTTRINA
41
La condizione giuridica…
comunque limitato, l’accesso all’attività economica dei primi, che vengono in tal modo discriminati
in ragione della nazionalità, nonché di creare condizioni indebitamente favorevoli per i secondi.
Siffatta forma di discriminazione cd. indiretta è stata oggetto, tra l’altro, di interventi da parte
della Corte di Giustizia europea, la quale ha sempre ritenuto essere in contrasto con il Trattato
l’istituzione della cd. riserva indiana, in ogni settore di attività, soprattutto quello economico, in
favore dei cittadini italiani11.
Gli stessi principi vengono affermati anche in relazione allo status degli atleti professionisti
provenienti dai Paesi aderenti allo <<Spazio Economico Europeo>> (SEE), ovvero da Stati terzi
che abbiano però stipulato con la Comunità accordi di associazione o di partenariato e
cooperazione. E’ noto, infatti, che i lavoratori provenienti da tali Paesi non possono essere oggetto
di discriminazione, in ragione della loro nazionalità e in rapporto ai cittadini degli Stati membri, per
quanto concerne le condizioni di accesso al lavoro, di retribuzione o di licenziamento.
La giurisprudenza comunitaria è sempre stata assolutamente univoca al riguardo, in
applicazione dell’art. 300 (ex 228), paragrafo 7, del Trattato, laddove sancisce che gli Accordi
internazionali <<generali>> e gli Accordi di associazione conclusi a norma del Trattato stesso
<<sono vincolanti per le istituzioni della Comunità e per gli Stati membri>>.
Dagli Accordi di associazione conclusi dall’Unione europea con Polonia e Repubblica Slovacca,
oggi membri dell’<<Europa dei 25>>, hanno tratto origine i casi Malaja12 e Kolpak13, i quali hanno
avuto una soluzione analoga al caso più recente affrontato dai giudici comunitari, quello del
calciatore Simutenkov, per il quale si fa riferimento ad un Accordo di partenariato e cooperazione
concluso con la Russia14.
Secondo i giudici, le disposizioni contenute nei predetti Accordi, in tema di divieto di
discriminazione in base alla nazionalità, devono essere interpretate nel senso di rendere illegittima
l’applicazione ad atleti professionisti (ma, si ritiene, anche al dilettante retribuito o professionista di
fatto), originari di uno Stato terzo che non sia parte dell’accordo SEE, regolarmente impiegati
presso una società sportiva con sede in uno Stato membro, di una norma dettata da una federazione
sportiva dello stesso Stato, la quale limita (rispetto ai cittadini comunitari) la loro possibilità di
partecipare a determinati incontri sportivi, organizzati su scala nazionale.
11
Corte di Giustizia, causa C-172/98 (Belgio), in Racc., 1999, I-3999; Corte di Giustizia, causa C-62/96 (Grecia), in Racc., 1997, I6725; Corte di Giustizia, causa C-37/93 (Belgio), in Racc., 1993, I-6295.
12
Corte Amministrativa d’Appello di Nancy (Francia), 3 febbraio 2000, in Riv. dir. sport., 2000, 325.
13
Corte di Giustizia, causa C-438/00 (Kolpak), in Guida al diritto, 20/2003, 111.
14
Corte di Giustizia, causa C-265/03 (Simutenkov), in Guida al diritto comunitario e internazionale, 3/2005, 66.
DOTTRINA
42
La condizione giuridica…
L’accordo, come affermato nel caso Simutenkov, per poter essere direttamente applicabile nei
confronti dell’ordinamento sportivo, deve contenere obblighi chiari, precisi e non condizionati
all’emanazione di norme interne15.
Gli effetti delle sentenze si estendono, naturalmente, a tutti gli sport e a tutti gli Stati che hanno
stipulato accordi similari con l’Unione europea, determinando, come sancito dalla Corte di
giustizia, la possibilità per l’atleta di far valere il principio di parità di trattamento dinanzi
all’autorità
giudiziaria
ordinaria
nazionale,
affinché
questa
disapplichi
le
disposizioni
discriminatorie.
La portata erga omnes delle decisioni della Corte, come correttamente rilevato16, determina,
altresì, la possibilità di applicare i principi ivi contenuti anche ad altri lavoratori, non solo a quelli
legati al mondo dello sport, per lo svolgimento di una attività lavorativa a condizioni analoghe ai
comunitari.
(*) Avvocato del Foro di Roma , Docente di Diritto dello Sport
15
16
GLIATTA, La sentenza Simutenko: una applicazione dell’effetto Bosman agli accordi di partenariato della Comunità, cit., 21.
M. CASTELLANETA, In caso di accordo con uno Stato terzo la Corte fa scattare l’effetto Bosman, in Dir. com. int., n. 3, 2005, 72.
DOTTRINA
43
La FIFA non può imporre le sue norme…
LA FIFA NON PUO’ IMPORRE LE SUE NORME
AGLI STATI SOVRANI
di Pietro Paolo Mennea (*)
La FIFA ha inviato una lettera alla FIGC, nella quale sostiene che l’Italia calcistica potrà
essere estromessa dalla sua organizzazione e, di conseguenza, potrebbe essere esclusa da tutte le
manifestazioni sportive internazionali, se verrà dato seguito presso le sedi della giustizia ordinaria,
all’azione intrapresa dalla Juventus, con l’applicazione di dure sanzioni a carico di quest’ultima.
Ci si chiede se la minaccia della FIFA, potrà trovare applicazione. Molti giuristi in merito
nutrono dubbi, e, pertanto indichiamo solo alcune delle ragioni che suscitano tali perplessità.
Innanzi tutto, la FIFA, in base a quanto previsto dai propri statuti, è un’associazione senza fine
di lucro di tipo composito; essa è infatti, dotata di una struttura federativa con personalità giuridica
di diritto privato, sottoposta alle leggi dello stato ove si trova la sua sede legale, che nel caso
specifico è la Svizzera. Infatti, in base alla normativa svizzera, nel 2005 la FIFA ha pagato solo
933.000. franchi svizzeri di imposte, a fronte di ricavi per 559,36 milioni di euro.
Questo ente, in base alla natura giuridica (ente non profit) non dovrebbe svolgere attività di tipo
economico, ma col passare degli anni i propri interessi sono cambiati, fino a trasformarsi in attività
di natura economica, tanto che la giurisprudenza comunitaria, ha formalmente riconosciuto la natura
economica della loro attività, relativa all’organizzazione di manifestazioni sportive ed ha
considerato le Federazioni sportive internazionali delle imprese, in applicazione dell’art. 85 del
Trattato europeo (la stipula dei contratti, attraverso i quali l’ente concede in esclusiva la
trasmissione televisiva dei mondiali, rappresenta un’attività economica rilevantissima; il
reclutamento degli sponsor ufficiali che versano nella cassa dell’ente ingenti somme di denaro, ne è
un esempio).
La FIFA, ha già rinnovato i contratti con gli sponsor, che porteranno nelle proprie casse la
somma di 1,5 miliardi di euro, mentre per la vendita dei diritti televisivi e per il marketing dei
prossimi mondiali, si prevede un realizzo di una somma molto vicina a 2 miliardi di euro.
DOTTRINA
44
La FIFA non può imporre le sue norme…
Nel 2005, questo ente, disponeva di una liquidità di cassa quasi di 650 milioni di franchi svizzeri
e per non essere soggetto alla fluttuazione del cambio , ha deciso che dal 2007, adotterà la
contabilità in dollari; in questo modo guadagnerà altri 70 milioni di franchi svizzeri, conseguente ad
un aumento del tasso di cambio tra il dollaro USA e il franco svizzero.
In pratica questa associazione, gestisce il più grande business sportivo al mondo, che riesce
perfino a superare gli introiti, non indifferenti, derivanti dalla gestione delle Olimpiadi, e lo riesce a
fare con un’organizzazione che impiega circa 250 dipendenti, il cui onere gravante sull’ente, è di
31,76 milioni di euro all’anno, con un costo medio di stipendio pro capite di 126.500 franchi
svizzeri.
Una piccola parte dei ricavi è destinata alle federazioni sportive nazionali, sotto forma di
contributi relativi ai vari eventi (73 milioni di franchi svizzeri) e 65 milioni di euro circa è stato
destinato al comitato organizzatore degli ultimi mondiali. Il grosso dei ricavi, si perde in
“frivolezze”.
E’ emerso che ogni componente del Comitato esecutivo (composto da 25 membri) riceve
100.000 dollari di stipendio annui a cui vanno aggiunte la diaria, le spese di viaggio e benefit vari.
Lo stesso presidente della FIFA, S. Blatter, ad una specifica richiesta non ha mai voluto rivelare
quanto guadagna di stipendio annuo; si sa solo che per ogni giorno di trasferta riceve una diaria di
500 dollari, e vi sono anni in cui Blatter risulta essere stato in trasferta anche 150 giorni l’anno. Non
ha mai voluto rivelare anche quali fossero i benefit di cui godeva, e ci si chiede, infine, se quando
lascerà l’incarico di presidente, gli sarà assegnata una sostanziosa liquidazione.
Per molti la FIFA è una vera e propria holding finanziaria, e, pertanto, ci si chiede a che titolo
può imporre e richiedere la disapplicazione di una legge (n.280/03) promulgata da uno stato
sovrano qual è l’Italia, accampando la pretesa che un ente associativo privato, quale esso è , possa
condizionare le leggi dello Stato, ignorando e mettendo in discussione la sua sovranità.
In merito a questa vicenda, va ricordato che le leggi impongono o vietano un comportamento
perché tale è l’interesse della collettività; se la FIFA chiedesse la loro disapplicazione, ciò
affermerebbe l’esistenza di un interesse superiore a quello dello Stato.
Andrebbe ricordato a Blatter che attraverso la sovranità uno Stato promulga le proprie leggi e le
proprie regole; questo è un principio ordinatore delle relazioni internazionali da circa quattrocento
anni.
Oggi il fondamento della sovranità dello Stato viene messo in discussione da un organismo
associativo di diritto privato, e se le intimidazioni della FIFA, dovessero aver seguito, si creerà un
DOTTRINA
45
La FIFA non può imporre le sue norme…
grave precedente, in conseguenza del quale, la sovranità, non sarà considerata più inviolabile e di
pertinenza esclusiva dello Stato.
Questo potrebbe rappresentare l’inizio di una fase in cui gli Stati dovranno condividere il potere
con potenti associazioni aventi forti interessi economici (come la FIFA).
Vi sono stati dei casi in cui la FIFA ha sospeso da ogni attività paesi come la Grecia,
Azerbaigian, Guatemala e Kenia, “ a causa delle ingerenze del mondo politico nelle rispettiva
federazioni, poiché la FIFA ha ritenuto violato il principio dell’autonomia dello sport”.
Questi casi, hanno fatto molto discutere, in particolare quello della sospensione della Grecia,
poiché il Parlamento greco aveva promulgato una legge, che consentiva
l’intervento di un
organismo terzo (quello giudiziario) nelle << questioni riguardanti il calcio, facendo venire meno la
separazione tra sport e politica >> .
L’ingerenza politica è ben diversa da una iniziativa di un parlamento di uno stato sovrano che
promulga le proprie leggi: la Grecia, così come gli altri stati menzionati, modificando le proprie
leggi secondo i voleri della FIFA, non ha fatto altro che dimostrare di essere un Paese di serie B.
Sono noti gli scandali che hanno colpito la FIFA, e per citarne solo alcuni ricordo la bancarotta
della ISL (Agenzia che deteneva i diritti di marketing e televisivi dei mondiali di calcio) e nella
storia recente dell’ultimo mondiale un membro della FIFA, venne scoperto a vendere i biglietti di
Germania 2006.
La FIFA rappresenta un ente in cui è poco applicato il principio di democrazia interna, in base al
quale chi lo desidera, può avere la possibilità di partecipare al governo dell’ente; basta pensare che
in più di cento anni di vita di questa associazione, ci sono stati appena cinque presidenti: Robert
Guerin (sino al 1921), Jules Rimet (sino al 1954), Stanley Rous (sino al 1974), Joao Havelange
(sino al 1998), e Sepp Blatter attualmente in carica, non si sa fino a quando, visto che ha deciso di
riproporre la sua candidatura.
Insomma ogni presidenza è durata mediamente dai 20 ai 25 anni.
In merito al ricorso al TAR della Juventus e degli ex dirigenti Moggi e Giraudo, nessuno vuole
dubitare dell’autonomia dell’ordinamento sportivo (da non confondere con l’autonomia del CONI,
che è un ente pubblico), l’organizzazione sportiva dispone degli elementi per dotarsi di un proprio
ordinamento (plurisoggettività, organizzazione, normazione), ma bisogna precisare, che non esiste
un unico ordinamento sportivo mondiale; nella fattispecie essendo le problematiche trattate relative
al calcio, sarà l’ordinamento facente capo alla FIFA a prevalere sugli altri ordinamenti sportivi.
Infatti, quando invece si svolgono i Giochi Olimpici, sono le norme e gli atti del CIO a prevalere su
DOTTRINA
46
La FIFA non può imporre le sue norme…
quelli delle federazioni sportive internazionali; ciò sta a significare che le federazioni non perdono il
potere di autodeterminarsi; quando, invece, oggetto del contenzioso, sono diritti tutelati dalla
Costituzione o da norme primarie, (leggi di uno stato come la 280/03), sono quest’ultime a
prevalere su tutte, e questi diritti non possono essere confinati dall’indifferenza giuridica o tutelati
da norme secondarie (le norme delle federazioni).
Nel caso riguardante Moggi e Giraudo, l’ordinanza del Tribunale (TAR) ha rilevato che il
principio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, <<non appare operante nel caso in cui la
sanzione non esaurisce la sua incidenza nell’ambito strettamente sportivo ma rifluisce
nell’ordinamento generale dello Stato>>.
Il decreto legge n.280/03, una volta esauriti tutti i gradi di giudizio sportivi, riconosce il
Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, competente per lo sport e, pertanto, può entrare nel
merito delle problematiche ed ha piena giurisdizione.
Il 18 luglio 2006 la Corte di giustizia europea ha emesso la sentenza tra Meca-Medina e
Majcen / Commissione Europea, che ha affermato il principio in base al quale i regolamenti e le
norme sportive, nonchè le sanzioni che devono essere inflitte a chi le viola, ricadono nel campo di
applicazione del diritto comunitario, e, pertanto, devono essere proporzionate agli obiettivi che uno
sportivo o un ente collettivo (club) si prefiggono.
Gli organismi sportivi nazionali ed internazionali dal 18 luglio 2006, farebbero bene a
considerare questo principio giurisprudenziale, poiché le eventuali pronunce emesse dai tribunali
sportivi o eventuali regolamenti che prevedono sanzioni troppo severe, potrebbero essere invalidate
dalle decisioni emesse da un tribunale ordinario.
Infatti, il diritto comunitario (alla concorrenza, alla libera circolazione) ha effetto diretto, e può
essere invocato direttamente dai cittadini o dagli enti collettivi (club) dinanzi ai tribunali nazionali
che hanno il dovere di farlo rispettare.
La FIFA ha il compito di organizzare i campionati mondiali di calcio e di assicurare il controllo
tecnico dell’evento, e poiché a queste competizioni partecipano squadre nazionali che rappresentano
una nazione, non si comprende come i vari Stati non abbiano ancora provveduto a mettere su
un’organizzazione snella, con qualche decina di dipendenti, che sia in grado di organizzare
direttamente i campionati mondiali di calcio, ponendo termine al monopolio dell’organizzazione di
questi eventi, affidato ad enti come la FIFA. Gli ingenti ricavi, derivanti dalla gestione di queste
manifestazioni sportive potrebbe essere destinato dai vari Stati allo sport dilettantistico nazionale,
DOTTRINA
47
La FIFA non può imporre le sue norme…
invece oggi questi introiti finiscono nelle capienti tasche di dirigenti come: Blatter, Jack Warner, J.
Grondona, R. Texiera ecc. ecc.
(*) Avvocato del Foro di Roma, Docente di legislazione Europea delle Attività Motorie e Sportive
presso l’Università degli Studi G. D’Annunzio di Chieti.
DOTTRINA
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L’illecito sportivo…
L’ ILLECITO SPORTIVO ( O MEGLIO LA FRODE SPORTIVA):
ANALISI CRITICA DI UNA FATTISPECIE DISCIPLINARE
ALL’ESITO DELL’ENNESIMO SCANDALO AGOSTIANO NEL
MONDO DEL CALCIO
di Alessio Piscini (*)
SOMMARIO:
1. - Alcuni necessari chiarimenti introduttivi in ordine all’autonomia dell’ordinamento
sportivo, nonché alla metodologia e alla terminologia adottate .
2. - La condotta sanzionata in sede sportiva: il controverso rapporto tra i famigerati art. 1 e
6 del codice di giustizia sportiva della F.I.G.C. a confronto con le analoghe disposizioni delle
altre Federazioni e con il reato di cui all’art. 1, legge n. 401 del 13/12/1989.
3. - La frode sportiva come illecito di attentato, ovvero di pura condotta a consumazione
anticipata.
4.- Le decisioni delle corti di giustizia sportiva della F.I.G.C. dello scorso agosto: dalle
condotte alle norme.
5. - Conclusioni: principi e limiti di un sistema probatorio sui generis
DOTTRINA
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L’illecito sportivo…
1. – Alcuni necessari chiarimenti introduttivi in ordine all’autonomia dell’ordinamento
sportivo, nonché alla metodologia e alla terminologia adottate .
Il presente lavoro si propone di leggere criticamente (inteso, quest’ultimo avverbio, in senso
squisitamente metodologico) le decisioni della giurisprudenza sportiva che si sono susseguite nel
tempestoso mese di agosto, in modo, però, da evitare una mera attività glossatoria.
Difatti, parrebbe affatto insoddisfacente limitare alla lettura commentata dei testi, frutto
dell’elaborazione giuridica delle corti, una vicenda che si è giocata “a tutto campo”, tra terreno di
giuoco sportivo, solerti procure della Repubblica, aule di giustizia sportiva, sedi della F.I.G.C. e del
C.O.N.I., e, finanche, parlamento e ministeri.
Inoltre, e soprattutto, si ritiene che sia necessario, per un attento operatore del diritto sportivo
(categoria quest’ultima in crescita esponenziale), contestualizzare e comprendere le decisioni
all’interno dell’intero panorama ordinamentale.
In altre parole, di sicuro interesse non sono soltanto le singole risoluzioni adottate dalle Corti
sportive circa la fondatezza delle accuse mosse dalla procura federale della F.I.G.C., e circa le
eccezioni processuali e sostanziali sollevate dalle difese, quanto, soprattutto, l’armonia (ovvero, la
disarmonia) con cui queste decisioni, incidenti in profondità sul torneo maggiormente seguito ed
economicamente rilevante del paese, si vanno ad inserire all’interno dell’ordinamento settoriale
facente capo al C.O.N.I., e, vieppiù, in che modo queste, operando come “precedenti”, possano
influenzare tutto il movimento organizzato, dai pochi professionisti ai molti dilettanti.
Nell’analizzare qualsiasi vicenda giuridico-sportiva, regola di buona educazione, rispettata da
ogni teorico coscienzioso, è prender le mosse dall’abusato principio dell’autonomia
dell’ordinamento sportivo. Difatti, da tempo dottrina e giurisprudenza considerano il fenomeno
sportivo, con riferimento all’ottica giuridica, come un vero e proprio ordinamento di settore,
configurantesi come originario ed extrastatuale1, al quale le singole Federazioni nazionali
aderiscono, riconoscendo la superiorità gerarchica sia delle istituzioni sportive internazionali sia
1
Quali atti costitutivi di un “settore” autonomo di operatività debbono leggersi gli statuti e le carte regolamentari del
C.I.O. e delle Federazioni Internazionali: sul punto, A. Quaranta, Rapporti fra ordinamento sportivo e ordinamento
statuale, in Riv. penale dell’economia, 1995, 240. D’altro canto, secondo la classica teoria della pluralità di ordinamenti,
nello sport sono rinvenibili tutti gli elementi essenziali per la costituzione di un ordinamento, e cioè: plurisoggettività.
normazione e organizzazione; così, M.S. Giannini, Prime osservazioni sugli ordinamenti sportivi, in Riv. dir. sportivo,
1949, 1 e ss.
DOTTRINA
50
L’illecito sportivo…
dell’organo apicale dello sport italiano, il C.O.N.I., che pure è un ente pubblico2. Tale ordinamento,
coinvolgente tutti gli affiliati e associati alle Federazioni, pur intersecando il preminente
ordinamento statale (unico legittimato democraticamente all’uso della forza) stante la
corrispondenza univoca dei soggetti interessati, aspira ad una piena “autarchia”3, priva di
interferenze esterne.
Tale aspirazione, per non restare formula vuota e potersi concretizzare, porta con sé, quale
inevitabile corollario, l’autodichia, gestita da vari organi giurisdizionali (variamente connotati e
competenti: giudici di gara, giudici sportivi, commissioni giudicanti, corti federali, collegi arbitrali).
In questo “microcosmo” processuale, assume valenza preminente il c.d. “vincolo di giustizia”,
ovverosia l’obbligo che ogni associato alla Federazione ha di rivolgersi esclusivamente alle apposite
istituzioni endoassociative per la tutela dei propri diritti, pena una grave violazione, sanzionabile
disciplinarmente4.
Tuttavia, lo Stato non si lascia facilmente “espropriare” di un così vasto ambito: perciò, al fine
di chiarire i limiti di competenza di ciascun ordinamento, pur senza riuscirci, è intervenuto mediante
lo strumento legislativo (legge n. 230 del 17 ottobre 2003). Nel testo di legge, una volta
riconosciuta in modo espresso l’autonomia dell’ordinamento sportivo (art. 1), viene riservata alla
competenza di quest’ultima la disciplina sulle questioni circa l’osservanza e l’applicazione delle
norme regolamentari, organizzative e statutarie, al fine di garantire “il corretto svolgimento delle
attività sportive”, nonché “i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare” (art. 2). Ovverosia, lo
Stato, espressamente dichiarandolo, non intende interferire più in alcun modo nella gestione tecnica
e organizzativa delle gare5, e neppure sulle eventuali e successive sanzioni disciplinari conseguenti.
Tale è un primo punto fermo: il teorico disinteresse dello Stato per ciò che riguarda
l’organizzazione e la disciplina dell’agonismo programmatico. Disinteresse che, però, appare più
come pia intenzione che come realtà di fatto6.
2
A titolo esemplificativo, l’art. 2 dello Statuto F.I.G.C. recita: “la F.I.G.C. svolge le proprie funzioni in armonia con le
deliberazioni e gli indirizzi della F.I.F.A., dell’U.E.F.A., del C.I.O. e del C.O.N.I., in piena autonomia tecnica,
organizzativa e di gestione.”
3
In senso filosofico, di autosufficienza per se stesso.
4
Ovviamente, tale divieto non può contrastare efficacemente la tutela di interessi o diritti preminenti sanciti dalla
Costituzione ovvero ritenuti fondamentali dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo: si veda, in proposito, G.
Bernini, Introduzione a La giustizia sportiva e arbitrato, Milano, 2006, XVI.
5
Come accaduto in passato: celeberrimo è il c.d. “caso-Catania” dell’estate 2003, quando vari T.A.R., seguendo
l’esempio del T.A.R. Sicilia-Catania, intervennero pesantemente sulla composizione sportiva dei campionati: sul punto,
Coccia, De Silvestri, Forlenza, Fumagalli, Musumarra, Selli, Diritto dello sport, Firenze, 2004, 106, e G. Bernini, cit.,
XVII.
6
Il ricorso al T.A.R. promosso negli ultimi giorni di agosto 2006 dalla Juventus, sulla scorta di analoghi tentativi
intrapresi da altre società negli anni precedenti, in opposizione alle sentenze degli organi giurisdizionali federali, seppur
DOTTRINA
51
L’illecito sportivo…
In una simile cornice si inseriscono le accuse, rivolte dalla procura federale ad alcuni tra i
massimi dirigenti della F.I.G.C. (presidente, un vicepresidente e i massimi vertici del settore
arbitrale) e ad alcuni tra i legali rappresentanti di numerosi clubs, di aver tramato per “alterare” il
risultato sportivo di alcune gare, ovvero dell’intero campionato di serie A nella stagione sportiva
2004/2005. Ai deferiti, difatti, viene contestato, in primo luogo, il mancato rispetto del risultato
sportivo e del “gesto tecnico”, ovverosia di quel complesso di abilità, talento, sacrificio e fortuna
che è “l’attività sportiva” eseguita secondo i dettami delle Federazioni e secondo il principio
fondamentale del movimento, la c.d. “sportività”7.
Il senso dello sport (e dell’ordinamento che giuridicamente lo costituisce) ruota attorno
quest’ultimo principio (e, lessicalmente, a quest’ultima definizione): non a caso, Generalklausel
dell’ordinamento sportivo è il rispetto assoluto, richiesto ad ogni soggetto, dei c.d. principi di
“correttezza, lealtà e probità” (in una parola, sportività), di cui, ad esempio, all’art. 1, comma 1,
codice di giustizia sportiva della F.I.G.C. (d’ora in poi, in breve, C.G.S.)8.
Ed allora il cerchio si chiude: l’ordinamento sportivo, sovrano e competente in materia di
correttezza e regolarità delle gare, si cura in via preminente di tutelare la lealtà delle competizioni e
la probità dei suoi partecipanti. Per questo, la giustizia endoassociativa è rivolta soprattutto alla
repressione dei comportamenti “anti-sportivi” di qualsiasi natura, spesso neppure analiticamente
dettagliati, ma semplicemente ricondotti nella violazione dei succitati principi fondamentali.
Come ovvio, il più grave comportamento del genere è tenuto da chi, con la frode, la corruzione
o l’inganno, tenta di alterare il risultato di una competizione, ovvero tenta di farla svolgere con
rapporti di forza (sportiva) non conformi ai valori tecnici.
Per tale violazione è opportuno non seguire la denominazione del C.G.S., che la denomina
“illecito sportivo”. Questa definizione è troppo generica e si adatta a qualsiasi violazione sanzionata
in via disciplinare. Piuttosto, più corretta e precisa è la rubrica “frode sportiva”, che ben si attaglia
alla condotta sopra descritta, cui elemento essenziale è la produzione, illegittima e mediante
inganno, di un “indebito vantaggio”, in modo del tutto analogo alle previsioni di “frode” inserite nel
codice penale (artt. 356, 374 e 514, a titolo esemplificativo).
ritirato alla data del 31 agosto 2006, è prova della fragilità della costruzione, così come l’esistenza, in seguito meglio
analizzata, di una legge (n. 401 del 1989), “a tutela della correttezza nello svolgimento delle manifestazioni sportive”.
7
“sportività” secondo molti dizionari significa “spirito sportivo” (De Mauro Paravia, Sandron, D’Anna), intendendo
quest’ultimo come la summa di diverse qualità come la correttezza, il rispetto dell’altro, la lealtà, e, soprattutto,
l’atteggiamento distaccato nei confronti della sconfitta.
8
La sostanziazione di tali principi, comprendenti l’intera vita associativa dei singoli e delle società, per l’intero
movimento, è avvenuta con l’emanazione del codice di comportamento sportivo, con delibera del Consiglio Nazionale
del CONI n. 1270 in data 15/7/2004.
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52
L’illecito sportivo…
2. - La condotta sanzionata in sede sportiva: il controverso rapporto tra i famigerati art. 1
e 6 del codice di giustizia sportiva della F.I.G.C. a confronto con le analoghe disposizioni delle
altre Federazioni e con il reato di cui all’art. 1, legge n. 401 del 13/12/1989.
Prima di concederci ad una disamina analitica delle condotte contestate ai vari Carraro,
Bergamo, Moggi, Della Valle, Galliani, Foti e compagnia, è opportuno ancor di più soffermarsi
sulla norma nella sua astrattezza, al fine di comprendere quella “sottile linea rossa” che divide la
frode sportiva ex art. 6, C.G.S., dal generico “comportamento scorretto”, ex art. 1, medesimo codice,
e che determina, per una società coinvolta, il passaggio dalla sanzione della retrocessione a quella
della penalizzazione di scarsa o rilevante entità.
Difatti, le due ipotesi di illecito sono chiaramente suddivise: da una parte, è previsto che “coloro
che sono tenuti all'osservanza delle norme federali devono comportarsi secondo i principi di lealtà,
correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva” (art. 1, comma 1: è
un dovere generico di “comportarsi sportivamente”). Differentemente, l’art. 6 sanziona l’illecito
sportivo, come “il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il
risultato di una gara ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica”.
Ben differente è il trattamento sanzionatorio delle fattispecie, laddove la violazione dell’art. 1,
comma 1, stante la residualità della norma incriminatrice e soggiacendo all’ordinario potere
discrezionale conferito al giudice dello sport, comporta usualmente una sanzione tra le meno
afflittive, mentre il c.d. “illecito sportivo”, ovverosia, nella terminologia adottata, la frode sportiva,
comporta, per le società, la retrocessione all’ultimo posto in classifica, e per i singoli, tre anni di
inibizione o squalifica, quali minimi edittali.
La frode sportiva rappresenta l’apice dei comportamenti antisportivi: per questo anche le altre
Federazioni (ma non tutte9) hanno previsto norme incriminatici ad hoc. Tuttavia, alcune di queste
norme differiscono sensibilmente da quelle della F.I.G.C., comprendendo nel novero della frode,
oltre alle condotte corruttive e ingannatorie, anche altre tipologie di atti o omissioni, legati, in ogni
caso, all’alterazione del risultato in classifica: ad esempio, la F.I.P. ritiene atti di frode sportiva tutti
9
Ad es., la F.I.P.A.V. non prevede, né nel regolamento giurisdizionale né nel regolamento organico, alcuna norma
specifica in materia di illecito o frode sportiva.
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53
L’illecito sportivo…
quelli diretti a far partecipare alle gare atleti non in regola con il tesseramento10, mentre la
F.I.D.A.L. si spinge anche oltre, ricomprendendo il doping nella nozione di “illecito sportivo”11.
Simili scelte, seppur particolarmente estensive dell’ambito della fattispecie, appaiono senza
dubbio più consapevoli e chiare, facendo espresso riferimento alla nozione di “alterazione dei
risultati sportivi” recata dal codice di comportamento sportivo del C.O.N.I.12, che, ai fini della
realizzazione della condotta, richiede la produzione – ovvero un atto diretto alla produzione – di un
“indebito vantaggio”, di qualunque natura, nei confronti di un competitore.
L’essenzialità dell’“indebito vantaggio” è così posta in risalto in molte norme degli ordinamenti
federali, ed assume carattere fondante: il bene giuridico tutelato è la correttezza (intesa come “parità
delle armi”) delle competizioni, e le condotte fraudolente sono quelle volte a creare uno “squilibrio”
artificioso tra i contendenti, che non sia derivante dal mero divario tecnico e fisico, ovvero da
legittime penalizzazioni.
Siamo giunti al secondo punto fermo: la “frode sportiva” è la causazione (ovvero il tentativo di
causazione, come vedremo oltre) di questo squilibrio patologico.
Paradossalmente, però, il bene giuridico relativo alla “sportività”, fondante l’ordinamento
sportivo stesso, pur nella petizione di principio dell’autonomia di quest’ultimo in materia tecnicoorganizzativa (così nella citata legge n. 280/2003), è tutelato anche in sede statale,
Difatti, la legge n. 401 del 13 dicembre 1989, a difesa “della correttezza nello svolgimento di
manifestazioni sportive”, ha ritenuto punibile “chiunque offre o promette denaro o altra utilità o
vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva organizzata dalle federazioni
riconosciute dal Comitato olimpico
nazionale italiano (C.O.N.I.), dall'Unione italiana per
l'incremento delle razze equine (U.N.I.R.E.) o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle
associazioni ad essi aderenti, al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al
corretto e leale svolgimento della competizione, ovvero compie atti fraudolenti volti al medesimo
scopo” (art. 1), a titolo di “frode nelle competizioni sportive”.
Appare evidente l’analogia tra le fattispecie – seppur la fattispecie penalistica identifichi
soltanto condotte latu sensu corruttive. Non pare opportuno, in questa sede, dilungarci sulle finalità
10
Art. 43, Regolamento di Giustizia della F.I.P.
Art. 2, comma 2, Regolamento di Giustizia della F.I.D.A.L.: illecito sportivo è “ogni atto, comportamento od
omissione diretto con qualsiasi mezzo ad alterare lo svolgimento di una gara o ad assicurare a chicchessia un indebito
vantaggio, nonché l’uso di sostanze o metodi vietati dalle Norme Sportive Antidoping”.
12
“È fatto divieto ai tesserati, agli affiliati e agli altri soggetti dell’ordinamento sportivo di compiere, con qualsiasi
mezzo, atti diretti ad alterare artificiosamente lo svolgimento o il risultato di una gara ovvero ad assicurare a chiunque
un indebito vantaggio nelle competizioni sportive.”, art. 3, Codice di Comportamento Sportivo, citato. A proposito del
doping, però, deve rilevarsi come il Codice medesimo preveda una apposita norma (art. 4) al riguardo.
11
DOTTRINA
54
L’illecito sportivo…
della legge, e sulla sua controversa applicazione nonché sulle problematiche riguardanti le
duplicazioni di competenza con l’ambito sportivo13: basti ricordare, però, che la possibilità degli
inquirenti penali, con il loro apparato di polizia giudiziaria, di interessarsi delle frodi sportive, ha
avuto negli ultimi anni conseguenze devastanti, atteso che tutti gli scandali del mondo del calcio
affondano le radici in indagini avviate dalle procure della Repubblica, sin’ora mai sfociate in un
dibattimento (se non in alcuni casi di doping), ma sempre sufficienti a fornire materiale probatorio
per i procedimenti sportivi, in un interminabile “gioco di specchi”.
3. - La frode sportiva come illecito di attentato, ovvero di pura condotta a consumazione
anticipata.
Dopo aver abusato della pazienza dei lettori, possiamo adesso affermare di esser giunti
all’essenza della frode sportiva: la condotta sanzionata dall’ordinamento settoriale, ad una lettura
comparata tra norme statali e endoassociative, e non solo calcistiche, appare quella di coloro che
“con qualsiasi atto” pongono in pericolo la regolarità e la correttezza della competizione sportiva,
determinando un “indebito vantaggio” per una parte.
È opportuno, quindi, fare un passo indietro e tornare alle specifiche norme relative al mondo del
calcio. La commissione d’appello federale (d’ora in poi, C.A.F.) della F.I.G.C., nell’analizzare il
capo d’incolpazione (riferito all’art. 6, comma 1, C.G.S.), ha correttamente rinvenuto nella stessa
“tre ipotesi di illecito”, consistenti relativamente:
nel compimento di atti diretti ad alterare lo svolgimento di una gara;
nel compimento di atti diretti ad alterare il risultato di una gara;
ne compimento di atti diretti ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica14.
Dunque, “l’indebito vantaggio” ha una consistenza chiara: per l’esattezza, è il favore di chi
compete con un altro in condizioni illegittimamente favorevoli (alterazione dello svolgimento di
una gara), oppure avendo concordato il risultato (alterazione del risultato di una gara) ovvero
tramite “condizionamenti” ambientali, di tale incidenza e profondità, da “determinare il prevalere di
una squadra rispetto alle altre, a prescindere dal risultato delle singole gare” (ivi, pg. 77).
13
La Legge traeva la propria ratio dalla prevenzione dei fenomeni di corruzione legati alle scommesse clandestine
nell’ambito dello sport; tuttavia, data la genericità della fattispecie, essa ha coinvolto ogni comportamento fraudolento
volto ad alterare il risultato della competizione, con incriminazioni – e condanne – richiamanti le norme di quella legge,
relative anche al fenomeno del doping. Sul punto, A. Traversi, Diritto Penale dello sport, Milano, 2001.
14
Decisione della C.A.F. della F.I.G.C. pubblicata nel comunicato ufficiale (C.U.) n. 1/C del 14 luglio 2006.
DOTTRINA
55
L’illecito sportivo…
Lasciando da parte quest’ultima interpretazione, più avanti discussa, emerge chiaramente come
l’ordinamento sportivo punisca direttamente colui che si attiva al fine di creare quella situazione di
“squilibrio” sopra descritta.
Da ciò consegue che la frode sportiva, in seno alla giustizia delle Federazioni, è reato di
attentato o a consumazione anticipata, e la sua rilevanza, secondo costante giurisprudenza sportiva,
“prescinde dal realizzarsi dell’evento cui l’atto è preordinato”15.
L’attenzione privilegiata del mondo dello sport alla difesa del bene giuridico più importante
giustifica anche l’anticipazione della soglia punibile al livello del tentativo16, con parificazione di
pena tra le due forme di manifestazione, salva una aggravante per la realizzazione dell’evento
naturalistico.
Tale anticipazione, però, non deroga agli ordinari requisiti per la punibilità del tentativo:
l’idoneità degli atti e la loro non equivocità17.
Per questo, e con giurisprudenza allo stato costante, le corti giudicanti federali richiedono, al
fine di operare valutazione prognostica di colpevolezza, che, nel caso di concorso, le condotte
contestate agli incolpati “debbano rivelare una concreta idoneità causale ad attraversare tutta una
serie di apporti necessari per il raggiungimento dello scopo”18.
15
Ivi. In senso conforme, decisione della C.A.F. della F.I.G.C., in C.U. n. 10/C del 23 settembre 2004: l’illecito
sportivo…..costituisce illecito di pura condotta…trattasi di illecito c.d. formale, per il cui perfezionarsi non è necessario
un conseguente evento in senso naturalistico.”, decisione della C.A.F. della F.I.G.C. in C.U. n. 31/C del 10 maggio
2001, caso Atalanta.
16
Scelta sanzionatoria peraltro non condivisa da tutte le Federazioni: ad es., la F.I.D.A.L. prevede espressamente il
tentativo quale forma di commissione meno grave.
17
In tal senso, la frode sportiva compie un percorso storico-interpretativo simile alle figure di “attentato” previste nel
codice Rocco, le quali, pur traendo origine dai crimina laesa majestatis e proteggendo i beni fondanti del nostro
ordinamento, non possono spingersi sino alla punizione dei c.d. “atti preparatori”, stante la preminenza del principio di
legalità all’interno di un ordinamento democratico: così cass. pen., sez. unite, 18 marzo 1970, in Giust. pen., 1971, II,
328-329.
18
Decisione della corte federale della F.I.G.C. in C.U. n. 2/cf del 4 agosto 2006. Analogamente, nel caso di proposta
avanzata da una singola persona, questa è concretamente integrante la fattispecie di frode-illecito sportivo se definita
nelle sue parti e comunicata all’altro contendente: così, decisione commissione disciplinare della Lega Nazionale
Professionisti della F.I.G.C., in C.U. n. 30 del 25 agosto 2004 – caso Marasco/Bettarini.
DOTTRINA
56
L’illecito sportivo…
4.- Le decisioni delle corti di giustizia sportiva della F.I.G.C. dello scorso agosto: dalle
condotte alle norme.
Il processo logico di sussunzione che abbiamo intrapreso procede adesso verso le singole azioni
(e/o omissioni) oggetto dei procedimenti (sportivi, statali e mediatici) degli scorsi mesi.
Vale la pena ripercorrere, brevemente, le origini della vicenda: tra il 2004 e il 2006 alcune
procure della Repubblica recepiscono notitiae criminis relative a vari illeciti che coinvolgono il
mondo del calcio19: in particolare, alcune riguardano l’esistenza di associazioni per delinquere volte
alla commissioni di frodi sportive. La forma associativa contestata consente agli inquirenti di
Napoli, la cui inchiesta appare più consistente, di ottenere dal G.I.P., ex art. 267 c.p.p., decreti
autorizzativi per intercettazioni telefoniche20, durante lo svolgimento delle ultime giornate del
campionato di calcio 2004/2005, nei confronti di più soggetti legati – anche mediante cariche
dirigenziali – al mondo del calcio.
Le intercettazioni sembrano confermare le notitiae criminis: per questo, il procedimento penale
presso la procura della Repubblica di Napoli giunge sino ai c.d. “avvisi di garanzia”21. A questo
punto, le risultanze delle intercettazioni, nella forma dei rapporti di P.G., prendono due vie: da un
lato, giungono sino agli organi di stampa, che le pubblicano interamente; dall’altro, le solerti
procure interessate inviano i fascicoli alla F.I.G.C., per conoscenza ed in ottemperanza al dettato
dell’art. 2, L. 401/1989, che sancisce l’assoluta indipendenza tra il procedimento penale e quello
disciplinare. La Federazione, seguendo l’iter regolamentare, compie un veloce accertamento tramite
il proprio ufficio indagini – rinnovato nei vertici per l’occasione22.
19
La Gazzetta dello sport, in data 5 maggio 2006, riferisce di cinque procure della Repubblica presso le quali sarebbero
aperti fascicoli aventi ad oggetto frodi sportive, reati finanziari e violazioni della normativa sul libero mercato: quelle di
Torino, Parma, Perugia, Roma e Napoli.
20
Difatti, il mezzo di ricerca della prova constitente nelle intercettazione di conversazioni o comunicazioni può essere
legittimamente disposto soltanto per alcuni reati, espressamente indicati, ovvero per quelli puniti con la reclusione
superiore, nel massimo, ad anni cinque, ai sensi dell’art. 266 c.p.p. Poiché il reato di cui all’art. 1, legge 401/1989 non è
né inserito nell’elenco di cui all’art, 266 c.p.p., né prevede una pena nel massimo superiore al limite ivi indicato, le
intercettazioni sono state nella fattispecie possibili soltanto grazie alla contestazione ulteriore del reato di associazione
per delinquere, previsto e punito dall’art. 416 c.p., con pene sino ad anni sette di reclusione; la circostanza è tanto più
interessante perché le corti di giustizia sportiva hanno, di fatto, escluso la sussistenza di “associazione” in senso stretto.
21
L’uso del termine, ormai consuetudine giornalistica, rimanda alla c.d. “informazione di garanzia”, ricevuta dagli
indagati al verificarsi delle condizioni di cui all’art. 369 c.p.p.
22
Corre appena l’obbligo di ricordare come il terremoto mediatico determinato dalle intercettazioni, coinvolgenti i
massimi vertici federali, abbia provocato il commissariamento della F.I.G.C. da parte del C.O.N.I., in forza della
deliberazione della giunta nazionale n. 222 del 16 maggio 2006, ratificata dal consiglio nazionale il 31 maggio 2006,
con deliberazione n. 1332. Conseguenza immediata di ciò è stato un brusco rinnovarsi della quasi totalità degli organi di
giustizia.
DOTTRINA
57
L’illecito sportivo…
All’esito di questa frenetica attività, e a seguito della relazione sottoscritta dal capo dell’ufficio
indagini, la procura federale redige e invia i deferimenti ai soggetti che si assumono coinvolti nella
vicenda23. Tra di loro, il presidente federale, Franco Carraro, uno dei suoi vice-presidenti, Innocenzo
Mazzini, i vertici del settore arbitrale, Tullio Lanese, Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto; inoltre,
sono chiamate a rispondere le dirigenze di F.C. Juventus S.p.A., A.C. Milan S.p.A., A.C.F.
Fiorentina S.p.A., S.S. Lazio S.p.A., Reggina Calcio S.p.A. e A.C. Arezzo S.p.A., oltre che
numerosi arbitri, anche di levatura internazionale.
Le accuse sono particolarmente gravi: a molti deferiti la procura contesta la violazione sia
dell’art. 6 (c.d. illecito sportivo) sia dell’art. 1 (condotta contraria ai principi di lealtà, probità e
correttezza), per aver compiuto azioni e intrattenuto rapporti volti all’alterazione della fisionomia
delle classifiche sportive mediante indebite pressioni e influenze sul settore arbitrale in toto, ovvero
volti all’alterazione dello svolgimento di singole partite, identificate analiticamente nei deferimenti.
Inoltre, specifica incolpazione riguarda anche un tentativo di “combine” tra Fiorentina e Lazio
relativamente ad una partita fra le due squadre nel campionato di calcio 2004/2005.
La maggior parte delle società sono chiamate a rispondere, riguardo all’accusa di frode sportiva,
di responsabilità diretta (con riferimento all’operato dei dirigenti forniti di legale rappresentanza).
Le eccezioni riguardano il Milan, il cui Presidente è deferito esclusivamente per la violazione
dell’art. 1, comma 1, C.G.S. della F.I.G.C., e l’Arezzo, chiamato in giudizio per responsabilità
presunta.
Il dibattimento si celebra avanti alla C.A.F., competente, ai sensi dell’art. 26, comma 1, C.G.S.,
per la presenza, tra i deferiti, di dirigenti federali. Inoltre, i tempi processuali ordinariamente
previsti dal C.G.S. vengono compressi ulteriormente24, stante le esigenze organizzative per i
successivi campionati.
La commissione, respinte tutte le richieste di ordine probatorio dei deferiti e ribadita
l’utilizzabilità delle intercettazioni, la cui presunzione di legittimità deriva dalla provenienza
statualistica, permette una breve discussione. Successivamente, all’esito della camera di consiglio,
sconfessa l’asserto inquisitorio circa “l’esistenza di una rete consolidata di rapporti, di natura non
regolamentare, diretti ad alterare i principi di terzietà, imparzialità e indipendenza del settore
23
In particolare, gli atti di deferimento derivate dalla procedura penale sopra indicata, ad oggi, sono tre: quello inviato il
22 giugno 2006 che ha condotto al processo n. 1 – per intenderci, quello di Juventus, Lazio, Fiorentina e Milan;
successivamente, quelli del 7 e 8 agosto 2006, che hanno incolpato, tra gli altri, la Reggina (il primo) e l’Arezzo (il
secondo).
24
Naturalmente, ed in ossequio ad elementari regole processuali, ciò era avvenuto precedentemente alla fissazione delle
date di celebrazione nei dibattimenti de quibus, avvenuta con il C.U. n. 12 del 15 giugno 2006.
DOTTRINA
58
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arbitrale”, con a capo due dirigenti della Juventus, Luciano Moggi e Antonio Girando, ed esclude la
sussistenza di una “cupola”, come ironizzato dalle difese.
Piuttosto, la decisione di primo grado assume come vi fossero “tanti reticoli quante erano le
squadre del campionato attualmente deferite, le quali si attivavano, ciascuna nel proprio interesse, al
fine di appunto alterare i principi di terzietà, imparzialità e indipendenza del settore arbitrale”.
Quindi non un sistema associativo dedito agli illeciti, quanto “un’atmosfera inquinata, una insana
temperie avvolgente il campionato di serie A”: l’esclusione del “sistema” volto agli illeciti è
importante – pure nella carenza di una previsione di illecito disciplinare in forma associativa –
perché consente, in secondo grado, l’analisi separata delle singole fattispecie, e il loro progressivo
ridimensionamento.
L’organo giudicante di prime cure, comunque, proseguendo il suo iter argomentativo, dopo aver
illustrato la norma incolpatrice nelle sue tre ipotesi già sopra evidenziate, rileva come la frode
sportiva possa ben realizzarsi quale summa di più “comportamenti contrari ai principi di lealtà,
correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”, in quanto “l’insieme
di tali condotte sia stato idoneo a realizzare il condizionamento del regolare funzionamenti del
settore arbitrale”. In questo senso, viene enucleata dalle norme la sussistenza di un possibile reato
composto, nel quale vari comportamenti anti-sportivi ex art. 1, C.G.S., aggiunti tra loro e uniti da
una volontà fraudolenta, possano condurre alla determinazione di “una situazione di disparità” tra
una società e le altre, tramite “quella influenza costante e generalizzata sul settore arbitrale, idonea a
minarne la terzietà”. In questo modo, si compie la violazione dell’art. 6, C.G.S., con assorbimento
delle meno gravi condotte nella raggiunta frode sportiva.
Di un illecito così costruito è ritenuta colpevole la dirigenza della Juventus: peraltro, tale
interpretazione è invero innovativa, ed apre notevoli possibilità creatrici alla giurisprudenza
sportiva. D’altro canto, però, le circostanze peculiari emerse dalle intercettazioni telefoniche
(conoscenza delle c.d. “griglie” di arbitri per il sorteggio prima degli incontri, rapporti commerciali
tra sponsor di società e arbitri, intimidazioni anche fisiche ad arbitri non allineati, etc.) difficilmente
potranno riprodursi, quantomeno nel dato probatorio, nei prossimi anni25.
Di minor carica innovativa appare la decisione della C.A.F. con riferimento alle incolpazioni
relative a singole gare: posto che, nella quasi totalità, i colloqui intercettati sono interpretati come
“movimenti” volti all’influenza anti-sportiva della gara, la punizione degli incolpati per illecito
sportivo è ritenuta soltanto laddove sia raggiunta una prova certa circa il coinvolgimento di un
25
Tuttavia, il calcio attuale accresce ogni anno la propria capacità di stupire anche i più fantasiosi osservatori.
DOTTRINA
59
L’illecito sportivo…
arbitro (momento terminale del movimento stesso). Difatti, poiché “l’influenza” sul settore arbitrale
è l’elemento portante di tutto il piano accusatorio, l’organo giudicante ha ritenuto che vi potesse
essere idoneità e univocità degli atti per una frode sportiva soltanto laddove potesse provarsi il
coinvolgimento (anche solo mediante comunicazione dell’intento stesso) all’arbitro: per questo, è
stata esclusa la frode in relazione alla maggior parte delle gare all’attenzione della giustizia
sportiva26. Significativa, al proposito, è la posizione riguardante la società Lazio: il massimo
dirigente di quest’ultima, in primo grado, con riferimento all’incontro Lazio-Brescia, è ritenuto
colpevole di frode sportiva, unitamente al presidente federale e a un designatore degli arbitri, perché
nei colloqui telefonici è rinvenuta traccia, pure indiretta, delle pressioni effettuate dal designatore,
sul direttore di quella gara, pur emergendo anche che quest’ultimo non aveva favorito la società
romana27. Differentemente, costui viene prosciolto riguardo alle altre partite (Chievo Verona-Lazio;
Lazio-Parma; Bologna-Lazio), perché, a fronte delle telefonate tra il presidente del C.d.A. societario
e un vice-presidente della F.I.G.C., al fine di ottenere arbitraggi favorevoli, “non vi è traccia della
prova del successivo intervento di Mazzini (il vice-presidente federale, ndr) presso i designatori
arbitrali” e soprattutto presso i direttori di gara designati per gli incontri.
Simili decisioni, peraltro conformi alla precedente giurisprudenza sportiva28, hanno però esposto
la sentenza alla critica operata dal Giudice di secondo grado, la corte federale. Difatti, quest’ultima
parte dalla constatazione circa la costante mancanza di prova relativamente alla comunicazione
degli intenti illeciti ai terminali definitivi delle attività illecite, ovvero i direttori delle singole gare,
nella gran parte prosciolti sin dal primo grado.
Con ciò, ne fa conseguire la dichiarazione di non colpevolezza dei deferiti, relativamente alle
presunte frodi, ad eccezione di quella complessiva e composta “attività” nei confronti dell’intero
26
Dovendosi ricordare, però, che gli atti compiuti in relazione alle singole gare la cui alterazione era stata contestata ai
dirigenti della Juventus (Reggina-Juventus, Juventus-Lazio, Bologna-Juventus, Juventus-Udinese nel campionato
2004/2005) fanno parte del complessivo reato di frode ex art. 6 al fine di alterare la classifica, secondo la ricostruzione
descritta in queste pagine.
27
Uno degli elementi dell’accusa è proprio il “pesante richiamo” fatto dal designatore all’arbitro per la mancata
concessione di un rigore nella gara de qua.
28
Alla stessa stregua, i calciatori dell’Atalanta e della Pistoiese coinvolti in una presunta ipotesi di combine furono
assolti “per carenza di prove”, a fronte di consistenti indizi circa l’anomalia del flusso di scommesse sulla gara che li
coinvolgeva, circa i rapporti tra scommettitori e calciatori e il numero di colloqui tra gli stessi atleti, poiché gli indizi a
carico, in assenza di conferme circa il raggiungimento di un “patto” o di una proposta illecita, non erano “caratterizzati
da precisione e concordanza”, e quindi insufficienti per una condanna: decisione C.A.F. della F.I.G.C. in C.U. n. 31/C
del 10 maggio 2001; ugualmente, nel caso della gara Chieti Benevento del campionato di Serie C1 2003/2004, calciatori
e dirigenti coinvolti furono prosciolti dalle accuse, nonostante numerose intercettazioni dal contenuto quantomeno
ambiguo, perché “non risulta, in definitiva, che l’intenzione del Nocerino (l’intermediario, ndr) abbia oltrepassato i
confini della sua sfera interiore e che si sia tradotta in una condotta potenzialmente indonea al compimento dell’illecito,
nonché percepibile al destinatario della medesima”: decisione della C.A.F. della F.I.G.C., in C.U. n. 10/C del 23
settembre 2004.
DOTTRINA
60
L’illecito sportivo…
settore arbitrale, derivante dalla congerie di contatti facenti termine a Moggi e Girando, e ritiene
valida l’accusa soltanto con riferimento alle incolpazioni per le residuali violazioni del principio di
sportività.
Seguendo tale assunto, la corte federale, con la sua decisione pubblicata nel C.U. n. 2/cf del 4
agosto 2006, ha potuto evitare la retrocessione (sanzione minima per la frode sportiva) a Fiorentina
e Lazio, comminandola esclusivamente per la Juventus, con riduzione sensibile delle penalizzazione
e delle squalfiche in capo a tutti i deferiti.
Difatti, come evidenziato nella premessa della decisione, le trascrizioni delle intercettazioni,
argomento e mezzo di prova principe dell’accusa, vengono ritenute “mera circostanza
storica….suscettibile di lettura critica, interpretazione logica, collegamento con altri elementi
probatori acquisiti, in una parola valutazioni di merito”: ciò fa sì che queste valutazioni di merito,
dando preminente risalto alla mancanza di certezza circa il coinvolgimento quantomeno di un
partecipante all’agone (nella fattispecie, l’arbitro), non possono in alcun modo consentire
valutazione positiva circa la sussistenza di idoneità agli atti anti-sportivi affinché si traducano in
frodi. E così i dirigenti di Fiorentina e Lazio, e con essi il presidente federale, vengono prosciolti
dall’incolpazione di cui all’art. 6, C.G.S..
Pertanto, la frode sportiva, secondo la corte federale, è stata commessa dai soli dirigenti della
Juventus, nel tentativo di “inquinare” in generale l’ambiente arbitrale, tramite influenze e pressioni,
che dessero indebiti vantaggi alla Juventus.
Negli altri casi, invece, le prove non consentono di ritenere altro che “contatti” e “colloqui”
inopportuni e sicuramente anti-sportivi, tra dirigenti federali, responsabili del settore arbitrale e
dirigenti di società, senza che questi atti consistano giuridicamente in tentativi di vera e propria
frode, con coinvolgimento dei singoli direttori di gara. Questi ultimi, perciò, con l’eccezione di De
Santis, vengono tutti prosciolti dalle accuse.
Peculiare, infatti, è la posizione del sopra citato arbitro: nei suoi confronti è possibile verificare,
tramite colloqui intercettati ai quali partecipa in prima persona, la sussistenza di una pressione che
lo coinvolge direttamente ad alterare il risultato della gara Parma-Lecce nell’interesse della
Fiorentina. Ecco che, secondo i principi finora esposti, la frode è provata. Per questo, i protagonisti
sono sanzionati con le pene previste dall’art. 6, C.G.S.; tuttavia, la Fiorentina riesce ad evitare la
retrocessione, perché, a detta della corte federale, la condotta illecita è compiuta esclusivamente dal
presidente onorario della stessa, non inserito nell’organigramma ufficiale depositato presso la
F.I.G.C.. Pertanto, poiché i legali rappresentanti del sodalizio sarebbero piuttosto stati “esclusi
DOTTRINA
61
L’illecito sportivo…
dall’accordo”, la Fiorentina risponde esclusivamente di responsabilità presunta, con notevole
diminuzione di pena.
A seguito delle modifiche interpretative – e valutative – della corte federale, anche la
commissione d’appello federale “aggiusta il tiro” e, nelle decisioni relative ai successivi
deferimenti, riguardanti Reggina e all’Arezzo, stabilisce che nessuna frode è certa, pur in presenza
di un dato probatorio del tutto analogo a quello del primo procedimento. Piuttosto, i dirigenti
coinvolti, stanti i loro ambigui contatti con il settore arbitrale prima degli incontri e, in alcuni casi,
una obiettiva opera di “sensibilizzazione”, vengono puniti esclusivamente ai sensi dell’art. 1,
comma 1, C.G.S.29. Le decisioni di primo grado, poi, saranno confermate sostanzialmente in
seconde cure, con decisione comunicata il 26 agosto 2006, a parte qualche, minima, rivisitazione
delle pene irrogate in senso meno afflittivo.
5. - Conclusioni: principi e limiti di un sistema probatorio sui generis
In definitiva, è possibile trarre alcune indicazioni, valide per tutto l’ordinamento sportivo, dalla
congerie di atti, documenti e scoop che hanno infestato l’estate del calcio: in primis, che lo sport nel
suo complesso ha un sistema di giustizia molto peculiare, dove l’esigenza di celerità di giudizio va a
scapito sia delle garanzie dei deferiti30 sia delle esigenze di approfondita istruttoria
predibattimentale31.
A tal proposito, però, è bene ricordare che il sistema giudiziario sportivo resta accusatorio, e, in
tal ottica, la celerità del procedimento spesso va più a discapito dell’accusa, sfornita di poteri
coercitivi tipici delle procure statali, piuttosto che a discapito delle difese, compresse
esclusivamente in una tempistica non usuale.
In secundis, che il discrimine tra la frode sportiva, illecito la cui struttura è ormai canonizzata
nella condotta di chi, in qualsiasi modo, compie atti idonei e diretti a fornire a qualcuno un indebito
vantaggio sportivo, e il semplice comportamento anti-sportivo, con tutte le enormi conseguenze
sanzionatorie che ne derivano, è spesso racchiuso nella mera – e soggettivamente apprezzabile –
interpretazione di un singolo dato probatorio.
29
Decisioni della C.A.F. pubblicate nei CC.UU. nn. 5/c e 6/c del 13 e 14 agosto 2006.
Per esempio, l’uso acritico, in sede disciplinare, dei verbali di intercettazioni telefoniche disposte dagli inquirenti
penali, specialmente se sulla base di una contestazione associativa molto labile, e, vieppiù, senza che coloro che sono in
quella sede inquisiti abbiano la possibilità di ascoltare le conversazioni e ottenere le trascrizioni integrali, presenta molti
dubbi di costituzionalità, con riferimento ai diritti della difesa.
31
È così che debbono esser lette le numerose assoluzioni “per carenza di prove” intervenute negli ultimi anni.
30
DOTTRINA
62
L’illecito sportivo…
Il sistema – comune a tutte le Federazioni – mostra la sua fragilità. È sufficiente una “lettura”
lievemente divergente di uno stesso fatto perché un’incolpazione venga derubricata da “frode
sportiva”, massimo illecito, a violazione del principio di sportività, violazione residuale e generica,
che conferisce massima discrezionalità al giudicante per quel che riguarda l’aspetto sanzionatorio.
Tutti combattono la frode sportiva: lo Stato, le procure federali, i mass media. Nessuno, però, riesce
a definirla compiutamente: la nozione si amplia, si restringe, sfugge, deborda. E consente plurime –
e legittime, quand’anche non condivisibili – interpretazioni delle norme, spesso in contrasto fra
loro.
In claris non fit interpretatio, sostenevano tempo addietro.
(*) Avvocato del Foro di Firenze
DOTTRINA
63
L’ordinamento sportivo…
L’ ORDINAMENTO SPORTIVO E LA GIUSTIZIA SPORTIVA
di Ernesto Russo (*)
SOMMARIO:
L’ORDINAMENTO GIURIDICO SPORTIVO
1. - Istituzionalizzazione del fenomeno sportivo quale realtà ordinamentale.
2. - Pluralità degli ordinamenti giuridici e critiche.
3. - Originarietà e sovranità dell’ordinamento sportivo.
LA GIUSTIZIA SPORTIVA
1. - La necessità di una regolamentazione.
2. - I diversi “tipi” di giustizia individuabili.
3. - Il vincolo di giustizia.
4. - Validità ed effetti del vincolo di giustizia.
5. - La risoluzione delle controversie deferite agli arbitri .
6. - La Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport.
7. - Metodi alternativi di composizione delle controversie sportive.
RELAZIONI E INTERFERENZE TRA ORDINAMENTO SPORTIVO E ORDINAMENTO
GENERALE
1. - Giustizia sportiva e monopolio statale della giurisdizione .
2. - Il riparto di giurisdizione.
3. - Il “caso Catania”.
4. - La legge 17 ottobre 2003, n. 280
DOTTRINA
64
L’ordinamento sportivo…
L’ORDINAMENTO GIURIDICO SPORTIVO
1. - Istituzionalizzazione del fenomeno sportivo quale realtà ordinamentale.
Nel tentativo di analizzare il fenomeno sportivo da un punto di vista giuridico ordinamentale, la
dottrina si è spesso scontrata con una concezione statalistica e totalitaria del diritto, per cui è stata,
in un certo senso, costretta a subire acriticamente delle posizioni teoriche, le quali prendevano
esclusivamente in considerazione “i rapporti tra sport ed educazione fisica, tra dilettantismo e
professionismo sportivo, tra istituzioni sportive e pubblici poteri”1.
Proprio in questo nebuloso clima culturale, ebbe origine la tesi della natura pattizia, e
conseguentemente non giuridica, delle norme sportive, le quali solo in seguito acquisiranno quella
dignità scientifica che le porteranno ad essere la base di partenza di numerosi studi di diritto
sportivo.
Solo quando la concezione statalistica del diritto entrò in crisi, grazie soprattutto agli
importantissimi contributi offerti da Santi Romano2 e dal francese Hauriou3, si fece strada l’idea
della pluralità degli ordinamenti giuridici e dell’effettiva utilizzabilità di questa teoria per la
spiegazione del fenomeno sportivo.
Tale intento è reso palese in numerosi scritti4, nei quali viene evidenziato come le due teorie,
quella pattizia e quella pluralista, si fondino su basi speculative e del tutto conciliabili: infatti, pur
confermando la natura convenzionale e non giuridica delle norme sportive, espressione tipica dello
ius pretorium, è innegabile come non si possa, comunque, prescindere da una loro configurazione di
tipo ordinamentale5. Fondamentale sul punto è una sentenza della Suprema Corte del 19786 che
raccoglie e sintetizza in una lodevole ed accurata motivazione, le prevalenti conclusioni dei
precedenti contributi dottrinari e giurisprudenziali.
1
A. Barbarito Marani Toro, Sport, in Nov. Dig. Ital.,43.
Santi Romano, L’ordinamento giuridico, Firenze 1951.
3
L’Hauriou, infatti, aveva elaborato, analogamente al Romano, e addirittura in epoca precedente, il concetto di
“institution”, che in un certo senso prefigurava quello ben più ampio di “ordinamento giuridico”.
4
W. Cesarini Sforza, Il diritto dei privati, in Coll. Civiltà del diritto, Milano, 1963; W. Cesarini Sforza, La teoria degli
ordinamenti giuridici e il diritto sportivo (Vecchie e nuove pagine di filosofia, storia e diritto), vol. II, Milano, 1963; W.
Cesarini Sforza, Diritto del lavoro e diritto sportivo,(Vecchie e nuove pagine di filosofia, storia e diritto), vol. II,
Milano, 1963.
5
E. Follieri, Appunti dalle lezioni, Primo corso di perfezionamento in “Diritto ed economia dello sport”, Atri, 1995.
6
Cass., sez. III, 11 febbraio 1978, n. 625, in Foro Italiano, 1978, I, 862.
2
DOTTRINA
65
L’ordinamento sportivo…
Il processo di pluralizzazione degli ordinamenti sociali non rappresenta una novità assoluta della
società contemporanea, in quanto specialmente i gruppi con finalità più generali e con pretese di
originarietà ed esclusività (basti pensare alle confessioni religiose o ai gruppi etnici o anche alle
comunità nazionali o territoriali) ma non soltanto essi (si pensi agli ordini cavallereschi), affondano
le loro origini storiche oltre l’affermarsi stesso dello Stato moderno.
Tutte queste esperienze, poi, confluirono, arricchendosi di nuovi sviluppi teorici, nel
fondamentale saggio di Massimo Severo Giannini7, il quale testimonia lo sforzo, da parte
dell’autore, di dare alla materia un impianto organico ed efficiente.
Attraverso una rivisitazione di quelle che erano state le conquiste della teoria pluralista, e
partendo dall’analisi dei principali conflitti normativi che possono sorgere tra i diversi gruppi
sociali, il Giannini cerca di individuare, sull’incerta linea di confine che separa il diritto dalla
sociologia, gli elementi fondamentali di un ordinamento giuridico, identificandoli, poi, nella
plurisoggettività, nell’organizzazione e nella normazione8.
Trasferendo tali tematiche in ambito sportivo, si nota immediatamente come il primo di questi
elementi, la plurisoggettività, risulti prontamente confermato dal fatto che attorno all’atleta,
soggetto per eccellenza dell’ordinamento sportivo, ruotino numerose altre figure soggettive, come
quelle addette all’amministrazione dell’attività sportiva (per usare una terminologia del Giannini si
tratta dei c.d. “ministri dello sport”), o come gli stessi spettatori; inoltre, accanto ai soggetti persone
fisiche, esistono degli enti di tipo associativo, la cui peculiarità
consiste in un duplice
riconoscimento giuridico, ovvero, sia dall’interno, attraverso gli stessi soggetti che vi appartengono,
sia dall’esterno, attraverso l’ordinamento generale.
Per quanto concerne il secondo degli indici rivelatori di un ordinamento giuridico,
l’organizzazione, occorre dire che l’ordinamento sportivo mondiale, essendo originario, risulta
dotato di un’ampia autonomia; tale autonomia è stata foriera di un modulo organizzativo
caratterizzato, in un primo momento, dall’occasionalità e dalla spontaneità, e successivamente con
il progressivo emergere di esigenze economico-programmatiche, dalla stabilità e dalla necessità di
codificarne i principi regolatori.
7
M. S. Giannini, Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Rivista di Diritto Sportivo, 1949, nn. 1 e 2,
10 ss..
8
M. S. Giannini, Sulla pluralità degli ordinamenti giuridici (Atti del XIV Congresso internazionale di sociologia),
Roma, 1950, 445 ss.;ID, Gli elementi degli ordinamenti giuridici, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 1958, 219
ss.
DOTTRINA
66
L’ordinamento sportivo…
Riguardo, infine, alla normazione, terzo elemento di un ordinamento giuridico, si può dire che la
sua esistenza, in ambito sportivo, appaia un dato oramai incontestabile; meno pacifica, invece,
appare la giuridicità delle prescrizioni ivi contenute, nonostante la dottrina, anche in questo caso,
sembri pressoché unanimemente orientata nel riconoscerla9.
La normazione, tuttavia, va opportunamente divisa in tre parti: una, retta da norme
esclusivamente statali, un’altra, retta da norme esclusivamente sportive, ed una terza, intermedia,
nella quale le due normative coesistono ma possono anche confliggere.
In questo modulo normativo si inseriscono alcuni principi di ordine generale i quali
conferiscono ad esso maggiore organicità e gli consentono di elevarsi a sistema; tali principi,
comuni all’ordinamento generale, ricevono nell’ordinamento sportivo una tutela molto più ampia, la
quale comunque, non prescinde da un previo riconoscimento in sede generale per divenire valida ed
efficace.
2. - Pluralità degli ordinamenti giuridici e critiche
La pluralità possibile degli ordinamenti giuridici risulta dalla concepibilità di più di un tipo
di ordinamento (oltre quello statale). I vari tipi di ordinamenti, ossia le species del genus, risultano
dalle differenze distinguibili in ciascuno degli aspetti essenziali del genus.
Così sono possibili altri ordinamenti, rispetto a quello statale, ogni volta che la soggettività è
diversa da quella stabilita dall’ordinamento statale, ogni volta che la normazione non è, almeno in
parte, di provenienza statale, ma è prodotta da un’altra collettività o comunità, ogni volta che
l’organizzazione è distinta, anche non interamente, da quella propriamente statale. La pluralità
politica di ordinamenti è possibile proprio in quanto siano concepibili ordinamenti sociali con una
propria predeterminazione dei soggetti e con proprie (almeno parzialmente) produzioni normative e
aspetti organizzativi.
Con riferimento all’ordinamento sportivo le opinioni inizialmente non potevano certo dirsi
concordi.
Infatti, sebbene l’orientamento prevalente del Giannini sopra illustrato, muovendo dalla teoria
della pluralità degli ordinamenti giuridici e ripudiando la giustificazione contrattualistica del
fenomeno sportivo, derivante dal principio di promanazione del diritto esclusivamente dallo Stato,
9
F. Modugno, Legge-Ordinamento giuridico. Pluralità degli ordinamenti. Saggi di teoria generale del diritto, Milano,
1985.
DOTTRINA
67
L’ordinamento sportivo…
abbia subito considerato l’ordinamento sportivo come giuridico, tuttavia, non è mancato chi, per
contro, abbia sostenuto l’assoluta agiuridicità dell’ordinamento sportivo.
Secondo i fautori di questa tesi, essendo il fenomeno sportivo “nient’altro che un complesso o
un sistema di giochi”, non sarebbe stato “neppure lontanamente configurabile alcuna interferenza e
collisione tra l’ordinamento giuridico statuale e l’ordinamento tecnico sportivo”, trattandosi di
ordini “eterogenei situati su piani differenti”10.
Vi fu poi anche chi, come il Carnelutti, pur non concordando sulla pretesa incompatibilità tra
sport e diritto, dovendo comunque i competitori concordare il reciproco rispetto delle regole
tecniche senza l’osservanza delle quali il gioco non è esercitabile, ha affermato la scarsa utilità del
diritto in questo settore della vita sociale, dominato invece dal principio del fair play 11. Se questa
tesi faticò ad ottenere consensi cinquanta anni or sono, pare comprensibile come oggi venga
avversata dalla quasi totalità della dottrina e, anche ai miei occhi, appaia quanto meno curiosa.
La dottrina dominante, comunque, ha individuato nell’ordinamento sportivo i tratti caratteristici
dell’ordinamento giuridico.
Marani Toro12 ha correttamente individuato il punto nodale della questione nel passaggio
dall’agonismo occasionale ovvero a programma limitato all’agonismo a programma illimitato (gare
collegate senza limiti di tempo o di spazio).
Nelle prime due ipotesi non si configurano particolari problemi organizzativi né dal punto di
vista dell’esecuzione degli esercizi, né sotto l’aspetto della organizzazione dei soggetti.
Nell’agonismo a programma illimitato diventa necessario fissare delle regole scritte e si rendono
altresì necessari meccanismi di controllo nonché di accertamento, di utilizzazione e di archiviazione
dei risultati. Il tutto avviene contestualmente ad un progressivo aumento delle diverse discipline
sportive, favorito anche da uno sviluppo scientifico e tecnologico oltre che politico e culturale, e da
un proporzionale aumento dei soggetti disposti ad esercitare questo tipo di attività.
Bisogna quindi prendere atto che l’ordinamento sportivo si distingue, da un lato,
dall’ordinamento giuridico statuale e, dall’altro, ha al suo interno una serie di differenti categorie o,
se si vuole, di ordinamenti giuridici sportivi particolari. Si viene pertanto a comporre, in ogni
disciplina sportiva, un complesso di regole, istituti, rapporti e posizioni soggettive che forma un
10
C. Furno, Note critiche di giochi, scommesse e arbitraggi sportivi ,in Rivista Trimestrale di diritto processuale civile,
1952, 641.
11
F.Carnelutti, Figura giuridica dell’arbitro sportivo,in Riv. Dir. Proc., 1953, 20.
12
I. Marani Toro, A. Marani Toro, Gli ordinamenti sportivi, Milano, 1977.
DOTTRINA
68
L’ordinamento sportivo…
sistema autonomo e soggettivo di valutazioni normative e, quindi, un ordinamento giuridico
particolare.
Sempre secondo Marani Toro, il fenomeno sportivo presenta una peculiarità: essa consiste nel
fatto che il fine essenziale e fondamentale degli ordinamenti sportivi e dei loro soggetti è quello, del
tutto “inutilitaristico”, del miglioramento continuo del risultato sportivo.
L’attività agonistica a programma illimitato presuppone l’esistenza di regole e tali regole
costituiscono l’ordinamento sportivo.
3. - Originarietà e sovranità dell’ordinamento sportivo
Per definire un ordinamento giuridico originario o derivato, è necessario porlo in relazione
con l’ordinamento giuridico statale: in questo modo esso sarà dell’uno o dell’altro tipo, “a seconda
che trovi il proprio titolo di validità in se stesso o nell’ordinamento statale”13.
Ragionando in questi termini, pressoché tutte le dottrine hanno finito per convergere sull’idea
che la “sportività”, intesa come attività sportiva, sarebbe addirittura “antica come il mondo”14.
Il gioco è definito dal Di Giacomo come “la più umana e libera delle attività”
15
che si
contrappone a quelle dettate dalla legge della sopravvivenza; quest’autore in una prospettiva
assolutamente originale e suggestiva ipotizza che sulla base di un rudimentale ordinamento
sportivo, “la conseguente creazione di ordinamenti complementari sul modello di questo ne abbia
fedelmente riprodotto gli elementi (soggetti, attività normativa e regolamentare, organizzazione,
fine utilitaristico del miglioramento del risultato), introducendoli come Grundnorm”.
Notevoli sono stati gli sforzi, soprattutto da parte delle scienze umanistiche, di definire la nostra
specie come “homo ludens”; in quest’ottica, la nascita e lo sviluppo di numerosi fenomeni naturali
deve individuarsi nella ripetizione agonistica migliorativa, fatta per gioco (e cioè per un fine
primario non utilitaristico) di azioni e gesti elementari.
É ovvio che una teoria del genere sia stata avversata da una critica, come quella marxista, troppo
ancorata ad una concezione materialistica, per la quale la nascita e la crescita del fenomeno
sportivo, sono imprescindibilmente connessi con l’organizzazione dei sistemi di produzione e con la
redistribuzione della ricchezza.
13
T. Martines, Diritto Costituzionale ,IX ediz., Milano 1998, 40.
U. Gualazzini, Premesse storiche ad diritto sportivo, Milano, 1965.
15
A. Di Giacomo, L’origine ludica della cultura e l’ordinamento sportivo come Grundnorm di tutti gli altri
ordinamenti, in Italian Journal of Sport Sciences, 48 ss.
14
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69
L’ordinamento sportivo…
Più cauta ma fondata sulle medesime basi teoriche, l’impostazione maggioritaria, secondo la
quale i fenomeni organizzativi trovano la loro origine nella volontà di raggiungere scopi
essenzialmente utilitaristici e di soddisfare bisogni essenziali16.
È ben vero, dunque, che un rudimentale ordinamento sportivo possa aver influenzato la nascita
di ordinamenti analoghi che ne riproducessero fedelmente gli elementi (plurisoggettività,
organizzazione, normazione), ma si spinge troppo oltre l’opinione di chi considera l’ordinamento
sportivo primigenio addirittura come Grundnorm di tutti gli ordinamenti; diverse sono, infatti, le
caratteristiche degli altri ordinamenti, le esigenze organizzative e le funzioni dei soggetti,
nonostante sia innegabile che nessuno di questi sia caratterizzato dalla compiutezza
dell’ordinamento sportivo, dalla sua rapida capacità di adeguarsi alle nuove esigenze normative ed
amministrative, dalla effettiva cogenza dei suoi principi generali (lealtà sportiva, par condicio),
dalla unitarietà del suo governo.
A questo punto, se appare innegabile l’originarietà dell’ordinamento sportivo, altrettanto non
può dirsi a proposito della sovranità17: essa implica infatti, non solo l’originarietà e l’indipendenza,
ma anche la supremazia sugli ordinamenti minori; questi ultimi quindi, difettando di tale
supremazia, per operare all’interno di un ordinamento sovrano, quale quello statale, devono
necessariamente conformarsi ad esso.
Altra dottrina ritiene, invece, che l’originarietà e la sovranità dell’ordinamento sportivo vadano
considerate unitariamente ed osserva, tuttavia, come “sia l’una che l’altra possono essere fatte
valere esclusivamente all’interno dell’ordinamento sportivo”18. Nei rapporti con l’ordinamento
statale, se non può essere messa in dubbio la originarietà dell’ordinamento sportivo, “la sua
sovranità dovrà cedere di fronte a quella dello Stato nella misura in cui quest’ultimo intende
esercitarla”19.
In altri termini l’ordinamento sportivo può definirsi come un ordinamento di settore, originario,
il quale anche se non è dotato di sovranità, è caratterizzato da un’ampia sfera di autonomia20: tale
autonomia si articola essenzialmente sul piano dell’organizzazione e della normazione interna;
tuttavia, la rilevanza accordata all’ordinamento sportivo impone che vadano necessariamente
16
A. Guttman, Dal rituale al record, Napoli, 1994.
M. Sanino, Sport, in Enciclopedia Giuridica Treccani, 1991, 1ss.
18
R. Perez, Disciplina statale e disciplina sportiva, in Scritti in memoria di M. S. Giannini, Milano, 1988, I, p. 551.
19
R. Perez, cit., p. 511, il corsivo è dell’autrice.
20
Quaranta, Rapporti tra ordinamento giuridico sportivo e ordinamento giuridico, in Riv. Dir. Sport.,1979, I, 32 ss.
17
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70
L’ordinamento sportivo…
preservati, per la stessa volontà statuale da cui promanano, quei principi cardine e le finalità
istituzionali su cui esso si fonda.
La teoria pluralista osserva che il rapporto tra ordinamento statale e ordinamento sportivo è retto
dal principio tendenziale del mutuo non disconoscimento; principio che si è andato rafforzando
nella prospettiva dell’autonomia e dell’organizzazione sportiva.
Deve precisarsi, inoltre, che sinora si è parlato dell’ordinamento sportivo generale, a carattere
sovranazionale, ma non può essere trascurato il diverso angolo prospettico di ciascun ordinamento
sportivo operante in ambito nazionale; ad esso va, del pari, riconosciuta la natura di ordinamento
giuridico, il quale, così concepito, risente di un duplice ordine di condizionamenti: da parte
dell’ordinamento generale, cui deve ovviamente conformarsi, e da parte dell’ordinamento sportivo
sovranazionale, il quale impone a ciascun ordinamento sportivo nazionale il rispetto di norme e
principi regolatori.
LA GIUSTIZIA SPORTIVA
1. La necessità di una regolamentazione
Il mondo dello sport ha ormai assunto dimensioni di massa imponendo, dunque, una ferrea
regolamentazione di ogni suo aspetto. Ma già quando, alla metà circa del diciannovesimo secolo, lo
sport modernamente inteso cominciò rapidamente a diffondersi nel vecchio continente, l’esistenza
di regole che individuassero le linee essenziali del tipo stesso di sport si affermò come un’intrinseca
caratteristica. Ci si rese immediatamente conto che, perchè potesse esistere uno sport, era necessario
che fossero stabiliti i comportamenti leciti e quelli cui i partecipanti dovevano attenersi21.
Non è, quindi, tanto un’esigenza di giustizia che provoca la posizione di regole, quanto un
qualcosa di più radicale: il fatto, cioè, che senza regole non può esistere alcuno sport22. Esso è,
infatti, un’attività estremamente “convenzionale”, nel senso che si fonda esclusivamente su regole
accettate dai gareggianti.
21
22
Carnelutti, Figura giuridica dell’arbitro sportivo, 1953, 24.
Carnelutti, Giuoco e processo, 1951, 105.
DOTTRINA
71
L’ordinamento sportivo…
L’ordinamento sportivo è contraddistinto dai caratteri dell’originarietà, dell’autonomia e, per
taluni, anche della sovranità. É una diretta conseguenza, quindi, che l’ordinamento in questione sia
titolare di proprie norme e propri organi di giustizia chiamati a farle rispettare. La complessità
organizzativa e strutturale dell’ordinamento sportivo non può che riflettersi sul piano della tutela
giurisdizionale accordata al cittadino in quanto soggetto di tale ordinamento.
Sotto la dizione “giustizia sportiva” si ricomprendono, attualmente, tutti quegli istituti previsti
non dalle leggi statali bensì negli statuti e nei regolamenti federali per dirimere le controversie che
insorgono tra gli atleti, le associazioni di appartenenza e le Federazioni.
2. - I diversi “tipi” di giustizia individuabili
L’analisi dei regolamenti delle varie Federazioni sportive nazionali consente di distinguere,
tra le varie ipotesi di controversie la cui risoluzione è demandata agli organi di giustizia sportiva,
quattro tipi di procedimenti: un procedimento tecnico, un procedimento disciplinare, un
procedimento economico ed un procedimento amministrativo23.
É da segnalare, però, che il termine procedimento è usato in senso atecnico e non ha nulla a che
vedere con la nozione di procedimento elaborata dagli studiosi del diritto amministrativo. L’attività
che compiono gli organi di giustizia sportiva, infatti, non sembra possa qualificarsi come attività
procedimentale che dà luogo a provvedimento. Essa non è consentita in virtù di prescrizioni
normative e, quindi, non può ritenersi conforme ai principi di tipicità e articolazione propri del
provvedimento amministrativo24 nè ovviamente appare soggetta alla legge 241/90.
2.1 Procedimento tecnico
Il procedimento tecnico si riferisce a quel particolare tipo di controversie che concernono
precipuamente l’organizzazione delle gare e la regolarità delle stesse.
Il nucleo centrale del momento sportivo è la gara. E per questo motivo le norme che regolano le
competizioni sono spesso raccolte in un codice separato, chiamato appunto “Regolamento tecnico”,
il quale contiene le regole sostanziali relative alle gare, e talvolta quelle processuali, relative al
procedimento di giustizia, che ha per materia le gare stesse.
23
24
F. P. Luiso, La giustizia sportiva, 1975, 33 ss.
S. Cassese, Le basi del diritto amministrativo, 1997, 296.
DOTTRINA
72
L’ordinamento sportivo…
Le caratteristiche principali del procedimento tecnico di giustizia talvolta sembrano avvicinarlo
ad un processo fra privati; talaltra, invece, lo rendono più simile ad un processo in cui la
federazione abbia notevole interesse diretto.
Nel primo senso, si può citare sia il fatto che i soggetti che partecipano al procedimento sono
due o più legittimi contraddittori, tutti quanti parti private, sia il fatto che la controversia fra di essi è
decisa da un organo federale, che è super partes.
Nel secondo, si può citare la possibilità che il procedimento sia instaurato ex officio, e che
l’eventuale appello, in alcune federazioni, sia proponibile da un organo federale (come avviene nel
procedimento disciplinare ed al contrario di quello economico) e, in altre, a richiesta dell’organo
che omologa la gara.
Altre costanti dei procedimenti tecnici federali sono: il ricorso all’organo di giustizia sportiva
(reclamo) è sempre contenuto in strettissimi limiti di tempo e di forma e, spesso, la decisione è
basata solo sugli atti ufficiali.
D’altronde è logico che vi sia un forte interesse diretto della federazione nel procedimento
tecnico, dato che, come si vedrà immediatamente, la controversia tecnica fra affiliati ha un carattere
ben diverso da quello di una controversia economica; e ad un carattere diverso corrisponde un
procedimento diverso25.
Il procedimento tecnico, per costante giurisprudenza26, non può essere devoluto alla cognizione
del giudice statale. Le statuizioni adottate dagli organi di giustizia sportiva, in relazione alle gare
sportive, non determinano la lesione di situazioni giuridicamente rilevanti e, pertanto, non sarebbe
possibile ammettere un intervento del giudice statale.
É bene, concludendo, ribadire ancora una volta che ciò che caratterizza questo procedimento è il
tipo di realtà sostanziale che esso regola, cioè l’attività ludica; ed inoltre che esso è l’unico modo di
manifestarsi della giustizia sportiva che non può mai mancare, poichè è connaturato allo stesso
concetto di gara e la gara è l’ineliminabile fulcro di tutta l’attività sportiva. La giustizia di tipo
tecnico, essendo assoluta ed inderogabile, può dunque essere considerata completamente
indipendente dalla giustizia ordinaria.
25
26
W. Cesarini Sforza, Il diritto dei privati, 1963, 84
In argomento si veda Cass., SS. UU., 26 ottobre 1989, n. 4399, nonchè TAR Lazio, sez. III, 26 agosto 1987, n. 1486.
DOTTRINA
73
L’ordinamento sportivo…
2.2 Procedimento disciplinare
Il procedimento disciplinare trova la propria ragione d’essere nel fatto che le Federazioni
sportive sono figure associative, sicchè è necessaria, per così dire, una gestione della appartenenza
degli associati all’associazione, nel senso di reprimere i comportamenti dei primi che siano contrari
ai valori di base ed agli scopi per i quali la seconda si è costituita e vive. Più precisamente il
procedimento disciplinare ha la funzione di colpire con sanzioni coloro che contravvengono alle
regole che vigono nell’associazione, fino al limite estremo dell’esclusione dell’associato.
Ora, poichè il procedimento disciplinare delle associazioni è molto vicino al processo penale
statale, non può essere considerata solo una coincidenza che esso sia strutturato come una forma di
giustizia, e che quindi si abbiano: un soggetto cui vengono contestati gli addebiti (la cui condotta,
cioè, si pretende essere stata contraria alle regole federali); un organo federale che accerta
l’esistenza o l’inesistenza dell’infrazione e che emette un provvedimento di merito, spesso
sindacabile attraverso una serie di impugnazioni.
Le sanzioni disciplinari possono essere di ordine pecuniario o personale e possono giungere fino
alla misura estrema dell’esclusione dell’associato dall’organizzazione sportiva di appartenenza27. Le
eventuali sanzioni irrogate dagli organi di giustizia sportiva che incidano sugli status di soggetti
dell’organizzazione si ritengono impugnabili dinanzi al giudice. Posto che la giurisprudenza ritiene
trattarsi di uno status pubblicistico, la violazione del relativo interesse legittimo sarà di competenza
del giudice amministrativo28. Naturalmente, ritenuta privatistica la natura dell’affiliazione, la
competenza dovrebbe invece essere della magistratura ordinaria29. Al contrario, si è deciso che
“data la differenza fra tutela dell’attività sportiva in sè considerata (intesa come salvaguardia degli
status soggettivi che consentono l’accesso a tale attività) e tutela dei semplici risultati dell’attività
medesima (nel cui novero rientrano le classifiche), deve escludersi la giurisdizione del giudice
amministrativo in materia di sanzioni disciplinari di natura obiettivamente sportiva destinate ad
esaurirsi in questo ristretto ambito senza incidenza su status subiettivi”30. Ciò considerato, si è
osservato che in materia non vi è margine per un controllo di siffatti provvedimenti stante la loro
irrilevanza per il giudice statale.
27
B. Marchetti, Lo sport, in Trattato di diritto amministrativo di S. Cassese, 2003, 958.
TAR Lazio, Sez. III, 25 Maggio 1989, n. 1979; TAR Lazio, Sez. III, 4 aprile 1985, n. 364; Pret. Novara, 15 dicembre
1979; in dottrina, in questo senso, v. F. P. Luiso, Giustizia sportiva, 1993, 234.
29
A. Quaranta, Rapporti tra ordinamento sportivo ed ordinamento giuridico, 1979, 41.
30
TAR Lazio, Sez. III, 20 agosto 1987, n. 1499; nello stesso senso TAR Lazio, Sez. III, 26 agosto 1987, n. 1486.
28
DOTTRINA
74
L’ordinamento sportivo…
Al fine di stabilire le modalità di intervento della giustizia ordinaria, è stato ritenuto necessario
distinguere i casi in cui la sanzione disciplinare, anche al di là delle cause per le quali è stata inflitta,
determini o meno una sensibile modificazione dello status di affiliato, pregiudicando in maniera
rilevante la possibilità di svolgere attività agonistica31.
In buona sostanza, si è fatto riferimento a quei casi, nei quali per l’obiettiva e concreta entità
della sanzione disciplinare, si è determinata una sensibile scissione del rapporto che lega l’atleta alla
Federazione sportiva.
In queste ipotesi, è stata costantemente affermata la giurisdizione del giudice amministrativo,
rilevando che la posizione dello sportivo, equivalesse ad una situazione giuridica di interesse
legittimo ed in quanto tale ricompresa nelle controversie da sottoporsi al vaglio del giudice statale.
Si deve, comunque, segnalare che, se il principio ora enunciato appare condivisibile nella sua
impostazione generale possono, tuttavia, verificarsi alcune contraddizioni nella applicazione
concreta.
É, infatti, evidente che il concetto di alterazione stabile o di modifica sostanziale del rapporto
sportivo, si presta a non univoche interpretazioni, essendo incentrato su un apprezzamento
prettamente qualitativo di una determinata situazione giuridica. La sospensione di un atleta o la
mancata iscrizione di una società ad un campionato, in dipendenza di un illecito sportivo, connesso
all’inosservanza di regole tecniche, può essere variamente apprezzata in relazione alla peculiare
posizione degli interessati. Rispetto all’ipotesi di sospensione si può osservare che non risulta
affatto soddisfacente la valutazione della sua durata ben potendo derivare danni irreparabili
all’atleta in seguito ad una sospensione, seppur breve, che possa impedire all’interessato di prendere
parte ad un evento sportivo di eccezionale rilevanza. Anche nel caso di una sospensione dell’attività
agonistica relativamente breve, lo status di tesserato e le prerogative ad esso connesse, possono
quindi subire una sensibile alterazione in grado di incidere in maniera rilevante sugli interessi della
società presso la quale è tesserato32.
31
Cfr. Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana, 9 ottobre 1993, ord. n. 929 con nota di G. Vidiri,
Il “caso Catania”: i difficili rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo, secondo cui “gli atti di esclusione
e di non iscrizione di una società sportiva in un torneo o in un campionato, cui partecipano gli altri sodalizi affiliati alle
federazioni, costituiscono esplicazione di poteri pubblici di tali federazioni, sicchè su tale atti, la cui efficacia si
esaurisce all’interno dell’ordinamento sportivo, può essere riconosciuta la giurisdizione del giudice amministrativo”.
32
Cfr. G. Aiello e A. Camilli, in Il caso Rosi: il riparto di giurisdizione sul provvedimento disciplinare sportivo, in Riv.
Dir. Sport., 1996, 277.
DOTTRINA
75
L’ordinamento sportivo…
In presenza di simili presupposti non appare corretto escludere a priori la possibilità di
configurare un intervento dell’Autorità giudiziaria dello Stato al fine di valutare la congruità e la
legittimità della sanzione inflitta.
Utili indicazioni sull’argomento si traggono dall’ordinanza 15 ottobre 1999, n. 938, Consiglio di
Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana, secondo cui “gli interessi sostanziali connessi
all’iscrizione e alla legittima permanenza delle società sportive in un campionato ed in una lega
assurgono alla consistenza di interessi tutelati dalla giurisdizione statale e più precisamente (atteso
il non contestabile potere di supremazia speciale attribuito dall’ordinamento alle federazioni) di
interessi legittimi, come tali rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo”.
Non sembra potersi dubitare che, allorchè il regime delle esclusioni o dei dinieghi di iscrizione
si estrinseca attraverso atti autoritativi in grado di recidere o alterare stabilmente il rapporto
sottostante, instaurato a tutela dell’interesse primario all’esercizio dell’attività sportiva nell’ambito
degli assetti ordinamentali, allora ci si trova di fronte a veri e propri provvedimenti amministrativi
lesivi della sfera giuridica degli interessati e, perciò, sottoposti al sindacato del giudice
amministrativo33.
Il procedimento disciplinare viene dunque esperito in tutti quei casi in cui è necessario reprimere
i comportamenti degli associati che siano contrari ai principi cui deve essere informato lo
svolgimento dell’attività sportiva.
2.3 - Procedimento economico
La giustizia sui rapporti economici, al contrario di quella disciplinare, non si riscontra in tutte le
Federazioni sportive e, anche quando vi sia, occorre distinguere le ipotesi in cui essa si realizza
mediante un procedimento interno ad hoc, dalle ipotesi in cui mette capo ad una soluzione arbitrale.
Nel primo caso competenti a decidere le controversie in parola sono gli organi interni precostituiti,
in genere quegli stessi che sono competenti in materia disciplinare e tecnica; nel secondo, invece,
tutte le controversie fra affiliati sono decise sempre e solo da collegi arbitrali, che si costituiscono
volta per volta, in presenza della singola lite e si sciolgono una volta fornita la decisione di questa.
Pur non potendosi negare che controversie di contenuto economico possano sorgere anche nelle
federazioni costituite esclusivamente da sportivi dilettanti, si è esattamente osservato che
33
V. Cons. Stato. Sez. VI, 16 settembre 1998, n. 1257, secondo cui “rientra nella giurisdizione del g. a. la controversia
avente ad oggetto il provvedimento col quale la Federazione Italiana Giuoco Calcio esclude una società dal campionato
per inadempimento nei confronti della lega professionisti della serie di appartenenza”.
DOTTRINA
76
L’ordinamento sportivo…
“l’espansione di questo settore della giustizia amministrativa trova le sue radici nell’affermarsi
del professionismo”34.
Alla base del procedimento economico non sta, come alla base di quello disciplinare, un
contrasto tra associazione ed associato, bensì una controversia, di natura lato sensu economica, fra
due o più affiliati.
É intuibile come la giustizia sportiva su rapporti economici richiami il processo giurisdizionale
civile dell’ordinamento statale, di cui, mutatis mutandis, conserva le caratteristiche essenziali.
Ritroviamo, infatti, nei regolamenti federali, i presupposti tipici del processo civile statale: la
violazione di un dovere, la lesione del corrispettivo diritto, l’inizio del procedimento a richiesta di
parte, l’imparzialità dell’organo giudicante, il principio del contraddittorio e quello del giudicato.
L’estraneità del giudice alla controversia, non essendo egli il titolare nè del diritto nè del dovere
dedotti in causa, deriva dalla natura stessa dei rapporti sottoposti alla conoscenza degli organi di
giustizia economica, rapporti eminentemente inter privatos, cui la Federazione è, per definizione,
estranea.
La giustizia economica è valutata come attività arbitrale fondata sul patto compromissorio e a
tale proposito, relativamente alla natura dell’arbitrato in cui si converte tale attività, sembra debba
considerarsi irrituale. Ciò discende dalle disposizioni statutarie e regolamentari in materia, le quali
costantemente escludono il deposito del lodo innanzi ai giudici togati35. D’altronde siffatta
normazione non potrebbe essere diversamente formulata se si tiene conto che il vincolo di giustizia
preclude l’accesso al giudice statale. Da tale natura discende che l’impugnativa sarà possibile per i
motivi di annullabilità e di nullità propri dei contratti36. Dottrina e giurisprudenza non sono
concordi sulla necessità della sottoscrizione della clausola compromissoria da parte dell’atleta. C’è
chi afferma che, ai fini dell’art. 1341 cod. civ. , la sottoscrizione non sia necessaria quando, con
l’adozione della qualità di tesserato, il contraente entri a far parte dell’organismo sociale che ha
preventivamente adottato lo statuto e il regolamento in cui detta clausola è contemplata37. Tale
posizione è avversata da chi afferma che quella stessa debolezza contrattuale che costituisce la ratio
dell’art. 1341 cod. civ., ricorra nel caso dell’atleta38.
34
F. P. Luiso, La giustizia sportiva, 1975, 551.
M. Sanino, L’arbitrato sportivo in Italia, in Riv. Dir. Sport., 1993, 352.
36
Cfr. Pret. Grumello del Monte, 5 gennaio 1987, in Riv Dir. Civ., 1987, 475.
37
Cass., Sez. I, 9 aprile 1993, n. 4351, in Riv. Dir. Sport., 1993, 484 ss., con nota critica di F. Caringella,
Sull’inapplicabilità del capoverso dell’art. 1341 c.c. ai contratti associativi.
38
Trib. Bari, Sez. I, 10 giugno 1960.
35
DOTTRINA
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L’ordinamento sportivo…
Il procedimento economico si riferisce a questioni relative a diritti di natura patrimoniale a cui la
Federazione è estranea. La devoluzione ad organi precostituiti o, in presenza di una clausola
compromissoria in tal senso, a collegi arbitrali non contrasterebbe, dunque, con i principi
dell’ordinamento generale in quanto la controversia avrebbe ad oggetto diritti disponibili39.
2.4 - Procedimento amministrativo
Il procedimento amministrativo è l’ultima e meno importante forma di giustizia sportiva
riscontrabile nell’organizzazione facente capo al CONI.
Il procedimento in questione si riferisce alla possibilità prevista dagli statuti di alcune
federazioni di impugnare atti di governo delle stesse. Nelle carte della FIGC, ad esempio, è prevista
una Corte federale competente a decidere in tema di validità delle assemblee, dei provvedimenti
disciplinari, dell’interpretazione e della validità delle norme federali.
L’attività di governo lato sensu pur se assimilabile, a quella statale, non è assolutamente
sindacabile da parte del giudice amministrativo, salvo i rimedi processuali di carattere generale;
pertanto, ai soggetti dell’ordinamento sportivo, i quali non sono legittimati nelle materie di
competenza degli organi di giustizia, rimane il rimedio, riconosciuto dalla prassi, del ricorso
all’organo di controllo gerarchicamente superiore.
La giustizia sportiva, in linea di massima però, non conosce molti rimedi giuridici contro i
provvedimenti degli organi di governo e questo rende il procedimento amministrativo meno
rilevante di quelli trattati in precedenza.
Alla luce di questa breve disamina può, quindi, affermarsi che la giustizia amministrativa non
possa considerarsi attributaria di uno specifico ruolo all’interno della normativa federale sportiva;
tuttavia, una volta assunta la sua natura pubblicistica40 e la conseguente qualificazione degli atti che
da essa promanano come provvedimenti amministrativi, la giustizia amministrativa resta
competente, in via residuale, ogni qual volta si controverta su atti, i quali costituiscono espressione
di potere pubblicistico41.
39
R. Frascaroli, Sport, in Enc. Dir., XLIII, 1990, 430 ss.
Tale qualificazione non può, come è ovvio, estendersi alla normativa strettamente tecnica.
41
E. D’Alesio, La giustizia statale e la giustizia sportiva, in Aspetti giuspubblicistici dello sport, a cura di D.
Mastrangelo, 1994.
40
DOTTRINA
78
L’ordinamento sportivo…
3. - Il vincolo di giustizia
É da rilevare che negli statuti e nei regolamenti di gran parte delle Federazioni è rinvenibile
una disposizione peculiare del sistema di giustizia sportiva che impone agli aderenti due obblighi
fondamentali.
Tale norma dà luogo a quel particolare istituto comunemente identificato con il termine “vincolo
di giustizia”.
Innanzitutto, nel nostro sistema sportivo è dato riscontrare l’obbligo dell’accettazione e del
rispetto delle norme e dei provvedimenti. Trattasi di previsione che non presenta aspetti singolari;
invero chi entra a far parte volontariamente dell’organizzazione sportiva deve conseguentemente
accettare i provvedimenti adottati dagli organi delle Federazioni.
Decisamente più rilevante è il secondo obbligo che viene imposto agli affiliati dalle
organizzazioni sportive. Questo consiste nell’impegno di adire, per le controversie insorte tra gli
affiliati, esclusivamente gli organi federali. Tale obbligo comporta la preclusione per i tesserati di
rivolgersi per la risoluzione delle controversie alle Autorità giurisdizionali dello Stato, sanzionando
addirittura con l’espulsione dai quadri organizzativi l’inottemperanza a tale prescrizione.
La disciplina, però, non è identica per tutte le Federazioni. Per alcune, infatti, il cosiddetto
“vincolo di giustizia” è espressamente limitato alle controversie di carattere tecnico e disciplinare42,
mentre per altre il campo di applicazione del vincolo di giustizia risulta più ampio.
Con riferimento a tale problematica acquista particolare rilievo la distinzione tra i vari
procedimenti (rectius tra l’oggetto delle controversie) di giustizia sportiva.
Ed infatti, allorquando si afferma che i tesserati sono vincolati dalla “clausola compromissoria”,
è necessario sottolineare che tale clausola, di regola, appare pertinente alle controversie di ordine
economico che, secondo alcuni statuti, devono essere obbligatoriamente risolte da Collegi Arbitrali.
Nella prassi è, invece, accaduto che con il termine “clausola compromissoria” si sia indicata
genericamente la posizione nella quale si trova l’atleta nei confronti delle Federazioni
ricomprendendo, quindi, anche la preclusione che allo stesso viene imposta di rivolgersi al giudice
statale, per vicende che attengono a questioni di diversa natura rispetto a quella economica.
42
In tal senso v. Cons. Stato, Sez. VI, 16 settembre 1998, n. 1257; Cass., SS. UU., 29 settembre 1997 n. 9550; Cons.
Stato, Sez. VI, 30 settembre 1995, n. 1050; Cons. Stato, Sez. II, 20 ottobre 1993, n. 612, C.G.A. Sicilia ord. 9 ottobre
1993, n. 536.
DOTTRINA
79
L’ordinamento sportivo…
Il vincolo di giustizia costituisce sostanzialmente una vera e propria barriera tra l’ordinamento
sportivo e quello statale, fatta eccezione per alcune categorie di controversie che non possono essere
sottratte alla cognizione dell’Autorità giurisdizionale dello Stato.
Ci si riferisce, ovviamente, alle questioni inerenti la tutela di diritti indisponibili e degli interessi
legittimi che non possono comunque ritenersi sottratti alla cognizione del giudice statale.
Non si può fare a meno di osservare che, se in linea teorica, la funzione della clausola
compromissoria è quella di tracciare una linea di demarcazione tra i due ordinamenti sopra
menzionati, nella pratica, si assiste ad una sempre più frequente intromissione dello Stato nelle
controversie di natura sportiva al fine di riaffermare il proprio diritto di controllo sullo svolgimento
dell’attività agonistica.
Per contro la reazione degli organi di giustizia sportiva a simile atteggiamento appare sempre
più incisiva.
Al riguardo si deve segnalare che, recentemente, si è addirittura arrivati a sostenere, in
considerazione dell’autonomia degli ordinamenti giuridici sportivi, che le decisioni adottate dalle
massime Autorità giurisdizionali dello Stato, ossia la Corte costituzionale e la Corte di Cassazione,
non possono spiegare alcuna efficacia automatica nei confronti degli organi di giustizia sportiva, i
quali restano liberi di non conformarsi a dette statuizioni43.
Senza entrare nel merito circa l’opportunità di questo sempre più pregnante intervento
dell’Autorità giurisdizionale nelle controversie di natura sportiva, deve comunque riconoscersi che
il giudice statale tende, sempre più frequentemente, a rimuovere il provvedimento adottato dagli
organi di giustizia sportiva, sovrapponendosi alle decisioni adottate dai competenti organi federali.
Le considerazioni ora esposte, peraltro, non trovano applicazione nel caso in cui gli statuti delle
Federazioni prevedano espressamente che la risoluzione di una determinata controversia sia deferita
ad un Collegio Arbitrale. In questo caso non è dato rilevare posizioni di contrasto tra l’ordinamento
sportivo e quello statale in quanto quest’ultimo prevede la possibilità di recepire le statuizioni
adottate dagli arbitri.
Ad ogni modo, lo Stato condiziona il riconoscimento del lodo all’accertamento di presupposti
ben precisi, ritenuti indispensabili affinchè le determinazioni arbitrali possano acquisire efficacia
esecutiva.
43
Cfr. Tribunale nazionale d’appello CSAI, 12 luglio 1996, n. 62, in Riv. Dir. Sport., 1998, 233 con nota di Luca Di
Nella. Il Consesso, oltre ad attribuire agli ordinamenti giuridici sportivi il carattere dell’autonomia, prospetta la
possibilità di ravvisare nel sistema di giustizia sportiva, il carattere della sovranità costantemente negato dalla dottrina e
dalla giurisprudenza maggioritarie.
DOTTRINA
80
L’ordinamento sportivo…
In definitiva si può affermare che la clausola compromissoria comporta, in linea generale,
l’obbligo per gli affiliati alle organizzazioni sportive di accettare e rispettare le norme ed i
provvedimenti federali, nonchè, per le controversie insorte fra di essi, di adire esclusivamente gli
organi delle Federazioni.
La giurisprudenza ha più volte affermato che il vincolo di giustizia può liberamente operare o
nell’ambito strettamente tecnico-sportivo e, come tale irrilevante per l’ordinamento dello Stato,
ovvero nell’ambito dei diritti disponibili.
Un diritto si considera indisponibile quando lo stesso è inalienabile inter vivos, non trasmissibile
mortis causa, irrinunciabile, impignorabile e inusucapibile44.
Sono considerati disponibili, invece, quei diritti soggettivi sui quali può esercitarsi, senza
limitazione, l’autonomia dei soggetti che ne sono titolari.
Secondo la prevalente dottrina sono, quindi, indisponibili, in quanto tesi a soddisfare un
interesse che trascende quello del titolare, i cosiddetti diritti della personalità e, in particolare, il
diritto al nome, allo pseudonimo, all’onore, all’integrità fisica, alla libertà personale, nonchè il
diritto al lavoro e alla retribuzione sufficiente, in quanto connessi con la realizzazione del pieno
sviluppo della persona umana45.
La giurisprudenza ha precisato che il vincolo di giustizia non solo non trova applicazione nei
confronti dei diritti indisponibili, ma non spiega nemmeno la propria efficacia nell’ambito degli
interessi legittimi i quali, in considerazione del loro intrinseco collegamento con un interesse
pubblico e in forza dei principi sanciti dall’art. 113 Cost., non sono suscettibili di formare oggetto di
una rinunzia preventiva, generale e temporalmente illimitata alla tutela giurisdizionale.
Al riguardo assume rilievo il rapporto che si instaura tra i soggetti interessati e le singole
Federazioni. Questo rapporto ha la sua matrice giuridica in un atto, ossia il tesseramento o
l’affiliazione, che non deve essere considerato di natura privata bensì come provvedimento
autoritativo. Per mezzo di esso si inserisce il privato nell’organizzazione, rendendolo così partecipe
di facoltà che solo in questo modo possono essere esercitate.
In definitiva, si deve ritenere che il vincolo di giustizia non comporti alcuna preclusione, per gli
affiliati alle Federazioni sportive, di adire il giudice statale ogniqualvolta si lamenti la lesione di un
44
Così Bigliazzi Geri – Breccia – Businelli – Natoli, Diritto civile, 1, Norme soggetti e rapporto giuridico, Torino,
1987,296.
45
La problematica in esame è trattata in maniera esaustiva con ampie note di richiamo alla migliore dottrina da M.
Ruotolo, Giustizia sportiva e Costituzione, in Riv. Dir. Sport., 1998, 404.
DOTTRINA
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L’ordinamento sportivo…
diritto soggettivo indisponibile ovvero si contesti il non corretto esercizio di un potere pubblicistico
in relazione al quale un soggetto vanta una posizione di interesse legittimo46.
4. - Validità ed effetti del vincolo di giustizia
Dottrina e giurisprudenza si sono interrogati a lungo circa la validità e gli effetti del vincolo
di giustizia e circa la sua idoneità ad escludere, per effetto del solo consenso preventivamente
prestato all’atto del tesseramento ovvero dell’affiliazione, qualsiasi sindacato giudiziale sia sulla
validità delle regole federali sia sulla legittimità e correttezza della loro applicazione da parte degli
organi federali. In sintesi si tratta di stabilire l’idoneità del vincolo di giustizia ad escludere
efficacemente qualsiasi ricorso al giudice statale contro i decisa degli organi federali. Dottrina e
giurisprudenza hanno abbozzato soluzioni differenziate a seconda dei diversi tipi di giustizia
sportiva e cioè della natura, meramente interna, negoziale o pubblicistica, delle norme applicate agli
organi federali e delle diverse situazioni soggettive, diritti o interessi legittimi, su cui le regole e i
provvedimenti di giustizia vengono ad incidere.
La nostra indagine prende spunto da due considerazioni di massima, basate prevalentemente su
contributi dottrinali e giurisprudenziali precedenti al riordino del CONI operato dal D.lgs. n.
242/1999.
Da un lato, non parrebbe da escludersi l’efficacia delle clausole che introducono vincoli di
giustizia con riguardo ai provvedimenti applicativi di norme federali “di relazione”, intese cioè a
disciplinare i rapporti intercorrenti fra i soggetti dell’ordinamento sportivo e con i terzi, su un piede
di parità, come tali incidenti su situazioni di interesse tutelate dall’ordinamento come diritti
soggettivi disponibili. Solo rispetto a questi ultimi, infatti, può darsi in capo ai singoli la
disponibilità delle situazioni giuridiche incise dal provvedimento di giustizia sportiva.
Dall’altro lato, qualora si continuasse ad attribuire alle Federazioni natura solo pubblicistica
(natura che è da ritenersi definitivamente esclusa alla luce del decreto 242/1999) e, comunque, ove
venissero in considerazione norme federali di tipo pubblicistico (che la natura privatistica delle
Federazioni non esclude), si dovrebbe concludere, sempre in linea di principio, o per la radicale
46
Cfr. Cass. Sez. Un., 29 settembre 1997, n. 597, in Riv. Dir. Sport., 1997, con nota di G. Vidiri; Cons. Stato, Sez. VI,
30 settembre 1995, n. 1050, in Foro it., 1995, 275, con nota di G. Vidiri; Trib. Catania, 4 agosto 1994 e 27 agosto 1994,
in Riv. Dir. Sport., 1995, 123 con nota di De Marzo; TAR Lazio, Sez. III, 23 giugno 1994, nn. 1361, 1362, 1363, in Riv.
Dir. Sport., 136 con nota di De Marzo; TAR Lazio, Sez. III ter, ord. 21 aprile 2005, n. 2244, in Rivista di Diritto ed
Economia dello Sport, fascicolo 2/2005, con note di E. Lubrano.
DOTTRINA
82
L’ordinamento sportivo…
illegittimità della preventiva rinuncia al controllo giurisdizionale di provvedimenti incidenti su
situazioni indisponibili di interesse legittimo ovvero per la sua efficacia meramente interna.
Parte della dottrina ritiene che tale vincolo non possa essere considerato una “clausola
compromissoria” a tutti gli effetti. La giustizia endoassociativa, benchè si collochi sul terreno
dell’autonomia contrattuale e trovi fondamento nel preventivo assoggettamento volontario di tutti
gli associati agli accordi interni, secondo la previsione dell’art. 36 cod. civ., differisce tuttavia
dall’arbitrato irrituale sotto più di un profilo47. Innanzitutto il vincolo di giustizia verrebbe ad essere
contenuto in un atto unilaterale, quale è la delibera associativa di approvazione dello statuto e del
regolamento di giustizia, escludendosi così che esso costituisca oggetto di un accordo tra
l’associazione ed i singoli associati, donde la sua irriducibilità allo schema contrattuale proprio della
clausola compromissoria. In secondo luogo la comunione di interessi che caratterizza il fenomeno
associativo esigerebbe, in ipotesi di controversia, un intervento interno piuttosto che l’intervento di
soggetti terzi in funzione di arbitri. Al contrario della clausola compromissoria, la clausola che
prevede la composizione endoassociativa della lite lascerebbe inalterata la riserva statale stabilita
nell’art. 102 Cost.. Infatti, le decisioni degli organi associativi non hanno valore di pronunce
giurisdizionali e non sono provviste del requisito della “esecutività” nè della “efficacia di sentenza”,
sicchè non potrebbero considerarsi un surrogato della giurisdizione statale48.
In ogni caso non sembrerebbero ravvisarsi, nel divieto di istituzione di giudici speciali di cui
all’art. 25 Cost., ostacoli alla validità di clausole statutarie che riservano agli organi interni la
risoluzione di determinati conflitti. Il disposto costituzionale, infatti, si rivolge allo Stato vietando di
imporre, a chi domanda tutela giudiziaria, un organo diverso da quello precedentemente
determinato ex lege, mentre non sancisce il diritto dei cittadini a far risolvere le loro controversie
dai magistrati ordinari.
Discende, invece, dall’art. 24 Cost. il diritto (preventivamente) irrinunciabile dei singoli di agire
innanzi ai giudici dello Stato per la tutela dei propri interessi giuridicamente protetti (sia sub specie
di diritti soggettivi che di interessi legittimi). Tale diritto, nel caso delle associazioni non
riconosciute, deve coordinarsi con la libertà di associazione sancita dall’art. 18 Cost. che verrebbe,
altresì, a “costituzionalizzare” su questo specifico versante il potere di autonomia riconosciuto ai
privati dall’art. 1322 cod. civ. Tale coordinamento potrebbe, dunque, portare a riconoscere
47
Basile, L’intervento dei giudici nelle associazioni, 1975, 267 ss.
V. Galgano, Delle persone giuridiche, in Comm. del cod. civ. Scialoja Branca, 1989, 338 ove si afferma che la regola
endoassociativa che impone di adire determinati organi interni non varrebbe ad escludere la possibilità di rivolgersi al
giudice dello Stato ma imporrebbe all’associato di adire il giudice solo dopo tale ricorso.
48
DOTTRINA
83
L’ordinamento sportivo…
all’insieme degli associati il potere di istituire strutture lato sensu giurisdizionali e ad escludere che
possano essere validamente dedotti all’interno di tale riserva solo i conflitti che mettono in gioco i
diritti fondamentali della persona cui è assicurata tutela giurisdizionale, anche all’interno delle
formazioni sociali, dall’art. 2 Cost.49. Pertanto, anche assumendo la natura privatistica dei poteri
disciplinari delle Federazioni, il vincolo di giustizia risulterebbe inefficace ogniqualvolta la
decisione degli organi di giustizia endoassociativa, soprattutto di tipo disciplinare, venisse ad
incidere su situazioni giuridicamente indisponibili per l’ordinamento statuale, poichè in tal caso lo
stesso provvedimento federale risulterebbe inefficace ab origine, senza necessità di pronunce
costitutive del giudice statuale, atteso il difetto di legittimazione degli organi deliberanti50.
Se invece il provvedimento federale intervenisse su materia disponibile, la clausola di riserva
dovrebbe considerarsi valida sia nel suo contenuto positivo (obbligo di devolvere le controversie
interne e dunque il giudizio in ordine all’applicazione delle regole del gruppo ad organi
endoassociativi), sia nel suo contenuto negativo (divieto di devolvere al giudice statuale sia le
medesime controversie rimesse alla competenza degli organi federali, sia il giudizio in ordine alla
corretta applicazione delle regole del gruppo, fino a che non si sia pronunciato l’organo interno
competente).
Tuttavia, poichè fra i diritti inviolabili della persona ricorre anche quello, costituzionalmente
tutelato, alla difesa, la clausola di riserva non potrebbe produrre in capo agli associati una rinuncia
definitiva alla tutela giurisdizionale statale, riducendo ad un “pactum de non petendo” produttivo
dell’obbligazione negativa di non adire l’autorità giudiziaria prima che sul conflitto si sia
pronunciato l’organo giudicante del gruppo51. In altre parole il vincolo di giustizia andrebbe inteso
come mera sospensione temporanea del diritto di azione dell’interessato avanti ai giudici statuali
fino a che sulla controversia non si sia pronunciato l’organo interno.
La violazione di tale obbligo, che negli statuti federali è sanzionata disciplinarmente, nei limiti
in cui il patto che ne costituisce la fonte debba considerarsi valido sarebbe foriera di responsabilità
contrattuale da inadempimento. La violazione del “pactum de non petendo” non potrebbe, invece,
comportare
anche
l’improponibilità
della
domanda
giudiziale
presentata
dall’associato
49
Per Bianca, Le autorità private, 1977, 49, il ricorso all’autorità giudiziaria deve, comunque, ritenersi ammesso
“quanto meno per le nullità procedurali”. Luiso, in La giustizia sportiva, 1975, 280, afferma che “praticamente tutte le
sanzioni disciplinari sono impugnabili di fronte all’autorità giudiziaria statale”, con la sola esclusione di alcune sanzioni
morali che si rivelino prive di rilevanza patrimoniale (quali il biasimo e l’ammonizione).
50
De Silvestri, Le qualificazioni giuridiche dello sport e nello sport, 1992, 298.
51
Cfr. Cass. S. U. 9 maggio 1986, n. 3091; Cass. S. U. 1 marzo 1983, n. 1531; TAR Lazio, Sez. II, 18 gennaio 1989, n.
43; TAR Lazio, Sez. III, 8 febbraio 1988, n. 135.
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84
L’ordinamento sportivo…
inadempiente, a meno che non si intenda assimilare il vincolo di giustizia a clausola
compromissoria per arbitrato irrituale.
Tale soluzione dovrebbe valere tanto con riguardo ai provvedimenti di natura privatistica quanto
con riguardo ai provvedimenti cui si attribuisce natura amministrativa, nonostante le isolate
opinioni giurisprudenziali che sanciscono in quest’ultimo caso la radicale nullità del vincolo52.
Pertanto, una volta emanato e divenuto definitivo, il provvedimento federale di giustizia sarebbe,
comunque, impugnabile davanti al giudice statuale, anche se non è affatto assodato in quali casi la
competenza appartenga al giudice civile piuttosto che a quello amministrativo. Anzi, a fronte di un
gran numero di precedenti provenienti dai Tribunali amministrativi è soprattutto la dottrina che
argomenta, con maggiore insistenza nei tempi più recenti, la natura privatistica della giustizia
federale e dunque la validità, entro dati limiti, del vincolo di giustizia. A parte i provvedimenti che
irrogano la sanzione della revoca dell’affiliazione delle società sportive, di cui la legge stessa
sancisce la natura amministrativa53, la giurisprudenza maggioritaria considera provvedimenti
amministrativi, incidenti solo su situazioni di interesse legittimo e ricorribili innanzi al giudice
amministrativo, sia quelli di radiazione dei tesserati dai ruoli federali o, comunque, idonei a recidere
o ad alterare stabilmente il rapporto di affiliazione con la Federazione, atteso che anche la sua
costituzione viene ricondotta ad un provvedimento autoritativo e discrezionale delle Federazioni
nonchè quelli irrogativi di sanzioni disciplinari minori54. Nella prospettiva accolta dalla
giurisprudenza amministrativa il “pactum de non petendo” sarebbe inefficace per l’ordinamento
statuale e la clausola che commina una sanzione disciplinare per la sua inosservanza nulla per
contrarietà all’ordine pubblico55.
Maggiormente problematica si presenta la questione della giuridica qualificazione di
provvedimenti che irrogano sanzioni che più direttamente incidono sull’esercizio di attività
sportiva. Così, ad esempio, l’esclusione di una squadra di calcio dal campionato nazionale è stata
talora considerata sanzione disciplinare, assoggettata alla giurisdizione del giudice amministrativo,
in quanto incidente sullo status soggettivo legittimante l’accesso all’attività sportiva, a differenza
delle sanzioni sportive che verrebbero ad incidere solo sui risultati di tale attività e, dunque, su
52
Cfr. TAR Lazio, Sez. III, 8 febbraio 1988, n. 135; TAR Emilia Romagna, sez. I, 4 maggio 1998, n. 998; TAR Lazio,
Sez. III, 24 settembre 1998, n. 2394.
53
L’art. 10, commi 6 ss. L. 91/1981, riecheggiando il disposto dell’art. 24, comma 3 cod. civ. riguardante l’esclusione
dell’associato, prevede che “l’affiliazione può essere revocata dalla federazione sportiva nazionale solo per gravi
infrazioni all’ordinamento sportivo”.
54
Cfr. sul punto Trib. Trani, 17 aprile 1981; TAR Lazio, Sez. III, 12 dicembre 1987, n. 2126.
55
Caprioli, L’autonomia normativa delle Federazioni sportive nazionali nel diritto privato, 1989, 139.
DOTTRINA
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L’ordinamento sportivo…
situazioni soggettive di giuridica irrilevanza per l’ordinamento statale56. Ma non mancano isolate
pronunce che affermano la giurisdizione del giudice ordinario sul provvedimento di irrogazione
della sanzione sportiva della perdita della gara57. In altri casi l’esclusione dal campionato è stata
qualificata come sanzione sportiva, come tale irrilevante per l’ordinamento statuale e sottratta a
qualsiasi forma di sindacato giurisdizionale58.
La tesi maggioritaria in giurisprudenza è proprio quella che nega qualsiasi rilevanza, nell’ambito
dell’ordinamento statuale, alle regole di gioco e che, in caso di impugnativa innanzi all’autorità
giudiziaria statuale di provvedimenti tecnici, afferma l’assoluta carenza di giurisdizione del giudice
adito59. A tale presa di posizione la dottrina oppone che indici legislativi della rilevanza giuridica
delle regole tecniche sarebbero da ravvisare proprio nelle norme che riconoscono l’autonomia
tecnica delle Federazioni sportive, onde sarebbe poi contraddittorio affermare che l’osservanza delle
regole del gioco non assume alcuna rilevanza per l’ordinamento dello Stato.
Sarebbero, inoltre, assoggettati a sindacato giurisdizionale, dopo l’esaurimento delle fasi
procedimentali interne, anche gli atti “amministrativi” di governo della Federazione. Fra questi
devono ricomprendersi sia i provvedimenti di concessione e diniego dell’affiliazione e del
tesseramento, sia gli altri atti di governo delle Federazioni nonchè i provvedimenti pubblicistici
emanati dal CONI o, per sua delega, dalle Federazioni. Inoltre la giurisprudenza attribuisce decisivo
rilievo alla considerazione che le Federazioni non deterrebbero il monopolio legale
dell’organizzazione e del controllo dell’attività sportiva, sicchè il diniego di affiliazione e di
tesseramento non varrebbe ad inibire o a contrastare il libero esercizio dello sport, in forma
individuale o associata, tanto più che neppure sussiste un obbligo di affiliazione alle Federazioni per
coloro che vogliono dedicarsi allo sport. Tale obbligo sussisterebbe solo per coloro che intendono
dedicarsi ad un dato sport sottoponendosi alle condizioni e alla disciplina dettate dalla normativa
federale dall’interno dell’organizzazione facente capo al CONI60. Sulla scorta di tali considerazioni
la Consulta61 ha dichiarato incostituzionali, per contrasto con l’art. 18 Cost., le disposizioni del T.U.
5 giugno 1939, n. 1016 che condizionavano all’iscrizione alla Federcaccia il rilascio della licenza di
caccia e facevano conseguire la revoca della licenza al mancato rinnovo dell’iscrizione o al ritiro
56
Cfr. sul punto TAR Sicilia, ord. 14 settembre 1993, n. 802 e TAR Lazio, 20 agosto 1987, n. 1449.
Cfr. in tal senso Pret. civ. Brindisi, ord. 30 luglio 1985.
58
Cfr. TAR Lazio, Sez. III, 23 giugno 1994, n. 1361 e TAR Lazio, sez. III, 23 giugno 1994, n. 1363.
59
In questo senso si sono pronunciati tanto i giudici civili che i giudici amministrativi. Cfr. sul punto Cass. S. U. 26
ottobre 1989, n. 4399 e TAR Lazio, Sez. III, 15 luglio 1985, n. 1099.
60
C. Alvisi, Autonomia privata e autodisciplina sportiva, 2000, 389.
61
Cfr. Corte cost. 26 giugno 1963, n. 69.
57
DOTTRINA
86
L’ordinamento sportivo…
della tessera. Analoghe considerazioni dovrebbero valere con riguardo ai provvedimenti di
affiliazione di soggetti individuali, di tesseramento ovvero di ammissione in determinati ruoli o di
accesso alle cariche federali.
In definitiva, a conferma di quanto appena rilevato, si può sostenere che la rinuncia
incondizionata alla tutela giurisdizionale dello Stato per la tutela di un interesse legittimo deve
ritenersi, comunque, clausola illecita. Tale va considerata la clausola che ostacoli il controllo di
legittimità da parte dell’ordinamento statale in relazione all’esercizio di funzioni pubblicistiche.
Simili conclusioni non possono essere superate nemmeno adducendo l’argomento dell’adesione
volontaristica del privato all’apparato sportivo, la quale può ritenersi valida ed efficace
esclusivamente in relazione ai diritti soggettivi disponibili.
Ne deriva che competente a decidere su controversie che abbiano per oggetto provvedimenti
disciplinari o provvedimenti adottati dalla Federazione nell’esercizio di funzioni pubblicistiche, era
e continua ad essere il giudice amministrativo.
5. - La risoluzione delle controversie deferite agli arbitri
Nel caso di provvedimenti federali di giustizia incidenti su materie di rilievo patrimoniale
sulle quali insorga controversia fra gli associati, il vincolo di giustizia si configurerebbe quale vera e
propria clausola compromissoria62 che, intervenendo su materia disponibile, realizza una legittima
deroga alla competenza del giudice ordinario.
Le Federazioni sportive, infatti, prevedono che alcuni tipi di controversie siano deferite alla
risoluzione di un Collegio Arbitrale in conformità allo schema del codice di procedura civile63. É
noto che, a norma dell’articolo 806 cod. proc. civ., “le parti possono far decidere da arbitri le
controversie tra di loro insorte” mediante una sentenza (lodo arbitrale), che deve essere dichiarata
esecutiva dal Tribunale, ai sensi dell’articolo 825 cod. proc. civ..
Gli arbitri sono dei privati di cittadinanza italiana nominati, di regola, dalle stesse parti.
Frequente è la tendenza a ricorrere, soprattutto per controversie di notevole portata patrimoniale, al
giudizio arbitrale invece che alla giurisdizione ordinaria, per una maggiore speditezza del primo
istituto.
62
Punzi, Le clausole compromissorie nell’ordinamento sportivo, in Riv. Dir. Sport., 1987, 237.
Persichelli, Le materie arbitrali all’interno delle competenze della giurisdizione sportiva, in Riv. Dir. Sport.,1996,
702.
63
DOTTRINA
87
L’ordinamento sportivo…
Tale tendenza, favorita anche dalla possibilità che le parti o gli arbitri hanno di stabilire le norme
del procedimento, può essere intesa come uno dei sintomi della crisi in cui oggi versa la giustizia in
Italia, a causa della non adeguata riforma del codice di rito e della irrazionale distribuzione dei
magistrati nelle varie sedi giudiziarie.
Sui limiti che dovrebbe incontrare il ricorso ai Collegi Arbitrali si è a lungo discusso. La Corte
Costituzionale ha, però, escluso che l’istituto in esame intacchi il principio di unicità della
giurisdizione e che la funzione arbitrale contraddica alla statualità della giurisdizione, purchè derivi
dalla libera volontà delle parti contendenti64.
Dal punto di vista oggettivo, le clausole compromissorie devolvono ad arbitri (talora nominati
da, o coincidenti con, persone che rivestono determinate cariche negli organi federali) la risoluzione
di controversie economiche e, dunque, di controversie afferenti a materia disponibile.
L’individuazione dell’oggetto del compromesso avviene spesso in via residuale rispetto alle materie
devolute agli organi federali in virtù del vincolo di giustizia. Sfuggono alla competenza arbitrale, sia
pure per ragioni diverse, tanto le controversie di carattere tecnico, ove si assuma l’irrilevanza per
l’ordinamento statuale delle norme tecniche e, dunque, la loro inidoneità ad incidere su situazioni
soggettive, sia di diritto che di interesse legittimo, quanto le controversie di tipo disciplinare.
Si può osservare, dunque, che la clausola compromissoria non costituisce una deroga alla
giurisdizione statale, quanto una forma di giustizia privata in tema di diritti disponibili, quali sono
eminentemente i diritti di credito a contenuto patrimoniale. Giustizia che si realizza per volontà
degli stessi privati che si avvalgono degli strumenti previsti nel nostro ordinamento in tema di
arbitrato.
Una problematica che ha interessato gli studiosi, anche per i riflessi che la questione può avere
sulla compatibilità del sistema della giustizia sportiva con l’ordinamento statale, attiene proprio alla
qualificazione dell’arbitrato sportivo, cioè se esso possa qualificarsi come rituale ovvero come
irrituale.
Con la riforma dell’istituto arbitrale, introdotta dalla legge 9 febbraio 1983, n. 28, si è
notevolmente ridotta la distinzione tra arbitrato rituale ed irrituale, pur mantenendo inalterata la
comune funzione, ovverosia l’intenzione delle parti di devolvere ad arbitri la decisione delle
controversie tra loro insorte.
64
Il principio della facoltatività dell’arbitrato è enunciato in modo inequivocabile in Corte Cost., 14 luglio 1977 n. 127.
DOTTRINA
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L’elemento che differenzia i due tipi di arbitrato è dato dalla circostanza che nell’arbitrato rituale
le parti decidono di conferire al lodo efficacia di sentenza, attraverso l’osservanza delle forme
procedimentali e dei requisiti sanciti dagli artt. 806 e ss. cod. proc. civ.
Il lodo rituale si differenzia, quindi, dal lodo irrituale per gli ulteriori effetti che conseguono alla
dichiarazione di esecutività del Tribunale. Tali effetti, infatti, conferiscono al lodo titolo per
l’esecuzione forzata, per l’iscrizione ipotecaria e per la trascrizione o annotazione sui registri
immobiliari.
Da quanto sopra esposto risulta evidente che in genere una indagine circa la natura rituale o
irrituale dell’arbitrato va effettuata attraverso la ricostruzione e l’interpretazione della comune
volontà delle parti ed una eventuale incertezza va risolta nel senso che le parti abbiano inteso
prevedere un arbitrato irrituale65.
Dottrina e giurisprudenza sono presocchè concordi nel ritenere che l’arbitrato, instaurato ai sensi
dell’art. 4, comma 5, della legge 23 marzo 1981, n. 91 e dalle norme interne delle Federazioni,
abbia natura irrituale66.
Va al riguardo aggiunto che anche il CONI, nel dettare i principi informatori degli statuti
federali, si è espresso a favore della qualificazione dell’arbitrato come irrituale, in quanto non
suscettibile di acquistare l’efficacia di sentenza e di far esaurire le controversie entro la comunità
sportiva.
Esaminando le clausole compromissorie ricorrenti negli ordinamenti delle principali Federazioni
sportive nazionali, si rileva che solo in alcuni di essi, o solo in relazione a date tipologie di
controversie, i meccanismi di nomina degli arbitri sono disciplinati secondo lo schema classico che
attribuisce a ciascuna delle parti il potere di nominare il proprio arbitro e, agli arbitri così nominati,
il potere di decidere concordemente la nomina del terzo arbitro. Assai spesso è invece previsto che
gli arbitri debbano essere scelti fra persone aventi una determinata qualifica all’interno degli organi
federali.
In altre parole le clausole compromissorie ricorrenti nei vigenti statuti e regolamenti federali
rimettono alla competenza arbitrale federale controversie rispetto alle quali gli organi di giustizia
65
Tale orientamento è costante in giurisprudenza: cfr. Cass., 9 giugno 1983; Cass., 11 maggio 1982 n. 2945. Da ultimo
in tal senso, 20 marzo 1990 n. 2315, in Riv. Arb., 1991, 518 con note critiche di F. Falazzari, In dubio... pro arbitrato
rituale. In dottrina contro tale orientamento della giurisprudenza, cfr. anche L. Montesano, Sugli effetti e sulle
impugnazioni del lodo nelle recente riforma dell’arbitrato rituale, in Foro it., 83, V. 163; G. Gabrielli, Considerazioni
sull’interpretazione e sull’individualità della clausola compromissoria, in Vita not., 1998, 978.
66
V. Cass., 17 novembre 1999, n. 12728.
DOTTRINA
89
L’ordinamento sportivo…
federale rimangono terzi, estranei, nei riguardi delle parti in conflitto (come è normale in relazione a
controversie di tipo economico).
Tuttavia non mancano casi in cui vengono devolute al giudizio di collegi denominati “arbitrali”
anche controversie coinvolgenti, da un lato, la Federazione e, dall’altro, gli associati (enti affiliati e
singoli tesserati). In questi casi, pertanto gli organi federali investiti della decisione della
controversia ovvero della nomina dei componenti il collegio arbitrale non rivestono più la
necessaria posizione di terzietà rispetto alle parti in contesa. Onde il vincolo di giustizia, in simile
eventualità, dovrebbe considerarsi nullo per violazione del principio di uguaglianza fra le parti e,
dunque, per contrarietà all’ordine pubblico.
Altro problema è quello concernente la fonte della vincolatività delle clausole compromissorie
previste dagli statuti ovvero dai regolamenti federali. Si discute, infatti, se la previsione statutaria
sia sufficiente a fondare la competenza degli arbitri ovvero se occorra procedere alla specifica
riproduzione e sottoscrizione delle clausole compromissorie ivi previste. Si rileva in proposito che
la devoluzione ad arbitri delle controversie non rientranti nella competenza degli organi federali è
concepita da numerosi statuti e regolamenti federali come necessaria67. Tanto non vale a trasformare
l’arbitrato sportivo in arbitrato obbligatorio poichè esso continua a trovare la sua fonte in un atto
negoziale, ma vale ad escludere la necessità che la clausola compromissoria debba essere riprodotta
in un separato compromesso fra le parti della controversia. L’ulteriore riproduzione della clausola
compromissoria contenuta nello statuto o nei regolamenti federali non parrebbe necessaria neppure
ai fini della doppia sottoscrizione richiesta dagli artt. 1341 comma 2 ovvero dall’art. 1342 comma 2
cod. civ. Si esclude, infatti, che lo statuto e i regolamenti federali possano equipararsi a condizioni
generali di contratto ovvero a moduli standard imposti all’aderente, nè in relazione a negozi
associativi potrebbe darsi, fra predisponente ed aderente, quel conflitto di interessi che, nell’ambito
dei contratti di scambio, giustifica la subordinazione dell’efficacia vincolante di clausole vessatorie
all’adempimento di particolari formalità intese alla tutela dell’effettività del consenso del contraente
debole. Conseguentemente, risulta sufficiente la mera “relatio” effettuata per iscritto nell’atto di
adesione allo statuto o al regolamento contenente la clausola compromissoria, in ottemperanza al
requisito della forma scritta richiesto, a pena di nullità, per il compromesso dall’art. 807 comma 1
cod. proc. civ. e per la clausola compromissoria dall’art. 808 comma 1 cod. proc. civ.
67
M. Sanino, L’arbitrato sportivo in Italia, in Riv. Dir. Sport., 1993, 397.
DOTTRINA
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6. - La Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport
L’art. 12 dello Statuto del CONI disciplina la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo
Sport, introdotta nel 2001 e rappresentante una novità assoluta nell’ambito dell’ordinamento
sportivo nazionale, fino ad allora privo di un organo di garanzia e di giustizia, ispirato al rispetto dei
principi di terzietà, autonomia ed indipendenza, che potesse altresì assicurare sia procedimenti
giurisdizionali più celeri sia la riduzione del numero delle controversie sottoposte alla cognizione
dell’Autorità giudiziaria statuale.
La Camera, nominata dal Consiglio Nazionale del CONI su proposta della Giunta Nazionale, è
composta dal Presidente, da quattro componenti fissi, tra cui il Vice-Presidente Vicario, e da quattro
membri supplenti estratti a rotazione semestrale da un elenco di esperti in materia giuridico
sportiva, non superiore a trenta, predisposto dal Consiglio Nazionale. I componenti e gli esperti
sono scelti fra i magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni ordinaria e amministrativa, i docenti
universitari in materie giuridiche e gli avvocati patrocinanti avanti le supreme corti. L’incarico di
componente e di esperto è incompatibile con cariche rivestite in seno a organi elettivi giurisdizionali
di Federazioni sportive nazionali, Discipline associate ed Enti di promozione sportiva. Il nuovo
Regolamento della Camera ha, inoltre, introdotto un Registro di gratuito patrocinio tenuto presso la
Camera ed istituito dalla Giunta Nazionale del CONI, per facilitare nell’ambito delle procedure
conciliative ed arbitrali la scelta di un difensore d’ufficio in presenza di particolari condizioni
economiche su questioni relative allo sport giovanile e di base.
La Camera ha funzioni consultive, di conciliazione e di arbitrato; tra gli atti della Camera di
Conciliazione ed Arbitrato ritroviamo, dunque, pareri, accordi conciliativi e lodi arbitrali.
I pareri emessi dalla Camera, non vincolanti, possono essere richiesti in ordine a questioni
giuridiche in materia sportiva, con esclusione di quelle aventi natura tecnico-sportiva.
In relazione alle funzioni di conciliazione ed arbitrato, la Camera ha, invece, competenza con
pronunzia definitiva sulle controversie che contrappongono una Federazione sportiva nazionale,
ovvero una Disciplina sportiva associata, o un Ente di promozione sportiva a soggetti affiliati,
tesserati o licenziati, a condizione che siano previamente esauriti i ricorsi interni alla Federazione o
comunque si tratti di decisioni non soggette a impugnazione nell’ambito della giustizia federale.
Sono in ogni caso escluse dalle competenze della Camera le controversie di natura tecnico
disciplinare che comportano l’irrogazione di sanzioni inferiori a 120 giorni ovvero le controversie
per violazione delle norme antidoping. Restano altresì escluse dalla competenza della Camera tutte
DOTTRINA
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L’ordinamento sportivo…
le controversie tra soggetti affiliati, tesserati o licenziati per le quali sono istituiti procedimenti
arbitrali nell’ambito delle Federazioni sportive nazionali, ovvero delle Discipline sportive associate,
ovvero degli Enti di promozione sportiva.
É importante sottolineare che è obbligatorio esperire un tentativo di conciliazione prima
dell’instaurazione di un procedimento arbitrale.
6.1 Funzione consultiva
I pareri emessi dalla Camera, in ordine a questioni giuridiche in materia sportiva con esclusione
di quelle aventi natura tecnico-sportiva, possono essere richiesti da: il Presidente del CONI, il
Segretario Generale del CONI, la Giunta Nazionale del CONI, una Federazione sportiva nazionale,
una Disciplina sportiva associata, un Ente di promozione sportiva.
Su incarico del Presidente della Camera, il parere viene predisposto da un singolo componente,
in qualità di Relatore.
6.2 Funzione conciliativa
Nel procedimento di conciliazione la controversia è sottoposta alla Camera dai soggetti
interessati con istanza da presentare entro 30 giorni dalla data di conoscenza dell’atto contestato.
Lo scopo della procedura di conciliazione è quello di favorire la composizione amichevole di
controversie in tempi brevi e con costi contenuti attraverso l’intervento di Conciliatori. Il
Conciliatore per ciascuna controversia è nominato dal Presidente della Camera tra i componenti
della Camera stessa o dell’elenco degli esperti previsto dallo Statuto del CONI e, dopo
l’accettazione, il suo nominativo viene comunicato alle parti a cura della Segreteria della Camera.
Le parti devono presenziare all’incontro di conciliazione e partecipare in buona fede al tentativo
di conciliazione; possono dichiarare di voler abbandonare la procedura ove si convincano che
questa non abbia prospettiva di successo. La parte che desideri ricorrere alla procedura di
conciliazione sottopone alla Camera la propria istanza di conciliazione depositata in originale più
tre copie presso la Segreteria della Camera e ne invia copia alla controparte.
Le parti sono invitate ad uno o più incontri di conciliazione di regola presso la sede della
Camera. Gli incontri sono condotti senza alcuna formalità procedurale, sentendo le parti
separatamente e congiuntamente, in modo da favorire la ricerca di una soluzione amichevole della
DOTTRINA
92
L’ordinamento sportivo…
controversia. L’accordo, ove raggiunto tra le parti, viene formalizzato per iscritto e firmato dalle
parti stesse e dal Conciliatore. Le parti sono obbligate a dare esecuzione all’accordo nei termini
stabiliti dallo stesso. In caso di mancato accordo tra le parti entro 60 giorni dal deposito dell’istanza
di conciliazione, la procedura è dichiarata estinta.
L’insuccesso della procedura di conciliazione non pregiudica in alcun modo i diritti delle parti;
le dichiarazioni delle parti e quanto verificatosi nel corso di tale procedura non potranno essere
utilizzati in eventuali procedure arbitrali nè potranno essere utilizzati per altri fini.
Il Conciliatore può non sottoscrivere il verbale di conciliazione dandone motivata
comunicazione scritta alle parti, ovvero apporvi le sue osservazioni, qualora ritenga che l’accordo
non sia conforme a norme di diritto o a norme e usi dell’ordinamento sportivo nazionale o
internazionale o ai principi di etica sportiva e di equità.
Di fondamentale importanza per la procedura in questione risulta l’istanza di conciliazione
presentata da una parte, che deve contenere tutte le informazioni e la documentazione necessarie per
la comprensione del caso. Contestualmente all’istanza, e a pena di improcedibilità, deve essere
effettuato il versamento dei diritti amministrativi (€ 1000 per questioni relative allo sport
professionistico ovvero questioni di ordine commerciale; € 500 per tutte le altre questioni).
Entro 7 giorni dalla ricezione dell’istanza di conciliazione, la controparte ha facoltà di
depositare una memoria documentata a sostegno delle sue ragioni, inviandone copia alla parte
istante; entro tale termine deve altresì versare i diritti amministrativi da essa dovuti di cui sopra (le
Federazioni che non siano parti istanti o terzi intervenuti, non sono tenute a versare diritti
amministrativi nei procedimenti di conciliazione).
6.3 Funzione arbitrale
La procedura arbitrale può avere corso solo dopo l’esperimento infruttuoso del tentativo di
conciliazione salvo che per le controversie aventi ad oggetto le iscrizioni ai campionati,
l’accertamento dei requisiti per la partecipazione alle competizioni internazionali e per quelle
individuate in regolamenti speciali o negli accordi tra le parti. L’istanza di arbitrato deve essere
presentata entro 30 giorni dalla data di chiusura della procedura di conciliazione.
Salvo diverso accordo tra le parti, la procedura arbitrale ha natura irrituale e gli arbitri decidono
applicando le norme di diritto nonchè le norme e gli usi dell’ordinamento sportivo nazionale ed
internazionale.
DOTTRINA
93
L’ordinamento sportivo…
La parte che intende instaurare il procedimento arbitrale deve far pervenire alla Camera ed alla
controparte una istanza di arbitrato sottoscritta dalla parte stessa o dal difensore munito di procura.
Fermo restando quanto indicato per la conciliazione, l’istanza deve contenere l’indicazione della
previsione statutaria che consente il ricorso all’arbitrato ovvero la copia dell’atto che contiene la
clausola o il compromesso arbitrale; gli estremi del tentativo di conciliazione rimasto senza esito;
nomina dell’arbitro o indicazioni necessarie per la sua scelta.
La parte attrice deve, a pena d’improcedibilità dell’istanza, versare alla Segreteria della Camera
i diritti amministrativi (€ 1000 per le questioni relative allo sport professionistico ovvero questioni
di ordine commerciale ed € 500 per tutte le altre questioni, per le parti che abbiano esperito la
funzione conciliativa; detti importi sono invece raddoppiati per le altre parti ovvero per i
procedimenti che non prevedono una funzione conciliativa).
L’istanza di arbitrato deve essere depositata in originale più tre copie presso la Segreteria della
Camera; unitamente all’istanza, la parte attrice deve allegare documentazione comprovante
l’avvenuta comunicazione dell’istanza alla controparte e l’avvenuto versamento dei diritti
amministrativi.
La parte convenuta, entro 10 giorni dal ricevimento dell’istanza ovvero nel termine più breve
fissato dal Presidente della Camera in caso d’urgenza, può far pervenire alla Camera e alla
controparte la propria replica, contenente gli stessi elementi richiamati per la parte attrice, atti alla
difesa ed eventuale domanda riconvenzionale, nonchè nomina dell’Arbitro o indicazioni necessarie
per la sua scelta. La replica deve essere depositata in originale più tre copie presso la Segreteria
della Camera; unitamente ad essa deve essere allegata documentazione probatoria dell’avvenuta
comunicazione della risposta alla controparte e dell’avvenuto versamento dei diritti amministrativi.
Le controversie sottoposte ad arbitrato sono decise da un collegio di tre Arbitri o da un Arbitro
unico quando, alternativamente, le parti l’abbiano congiuntamente nominato ovvero quando le parti
ne abbiano richiesto la nomina alla Camera. Gli Arbitri sono individuati all’interno dei componenti
della Camera e dell’elenco degli esperti. Questi debbono pronunciare il lodo completo dei motivi
nel termine di novanta giorni dalla data di deposito dell’accettazione della nomina .
Quando le parti giungono ad una transazione prima che si costituisca l’organo arbitrale, ne
danno comunicazione alla Segreteria per l’archiviazione del procedimento. Se la transazione
interviene dopo la nomina dell’organo arbitrale, quest’ultimo redige un verbale sottoscritto dalle
parti, con il quale viene esonerato dall’obbligo di pronunciare il lodo.
DOTTRINA
94
L’ordinamento sportivo…
6.4 Conclusioni
La Camera di Conciliazione ed Arbitrato ha rappresentato una novità assoluta nell’ambito
dell’ordinamento sportivo nazionale, privo, fino alla sua istituzione, di un organo di garanzia e di
giustizia ispirato al rispetto dei principi, tipici degli organi giurisdizionali, di terzietà, autonomia ed
indipendenza.
L’istituzione di tale organo si giustifica alla luce di rinnovate esigenze deflattive dirette a
rendere i procedimenti giurisdizionali più celeri nonchè a ridurre il numero delle controversie
sottoposte alla cognizione dell’organo giudicante68
Alla luce di quanto esposto, risulta palese che l’efficacia del rimedio di risoluzione delle
controversie sia limitato dall’ampiezza dei casi di esclusione, essendo talvolta previsti procedimenti
arbitrali presso le singole Federazioni nazionali.
Sarebbe forse auspicabile, invece, seppur di difficile attuazione, che la Camera di Conciliazione
ed Arbitrato per lo Sport fungesse in futuro da centro unificatore per la risoluzione delle
controversie sportive.
In questi primi anni di funzionamento della Camera si può notare, infatti, come essa venga
considerata una sorta di “Corte Suprema” alla quale fare ricorso.
7. - Metodi alternativi di composizione delle controversie sportive
Secondo parte della dottrina69 non esisterebbe un’area di controversie relative al diritto
sportivo che non sia suscettibile di definizione attraverso procedimenti di tipo arbitrale.
Accanto alle procedure arbitrali di risoluzione delle controversie appare, però, auspicabile uno
sviluppo dell’utilizzazione dei metodi alternativi (cdd. "alternatives disputes resolution methods”, o
ADR)70. A differenza dell’arbitrato, idoneo a “coprire” qualunque tipo di controversia, gli ADR
appaiono, tuttavia, utilizzabili solo in riferimento alle controversie di natura economica. Essi,
mirando alla conclusione di una transazione tra le parti, presuppongono la disponibilità dei diritti
68
M. Sanino, Diritto sportivo, 2002, 154.
L. Fumagalli, La risoluzione delle controversie sportive. Metodi giurisdizionali, arbitrali ed alternativi di
composizione, in Profili evolutivi di diritto sportivo, 1999, 79 ss.
70
L’impiego di metodi alternativi di risoluzione delle controversie ha conosciuto un notevole recente sviluppo anche
nell’ordinamento generale. Sugli ADR, nella dottrina italiana, v. A. Auletta, Le misure di alternative dispute resolution
allo studio del Ministro di grazia e giustizia, 1997; A. Brunelli, L’arbitrato commerciale negli Stati Uniti e i metodi di
risoluzione alternativa delle controversie, 1987; A. Buonfrate e A. Leogrande, La giustizia alternativa in Italia tra ADR
e conciliazione, 1999; E. Silvestri, Le alternative al processo civile nell’esperienza statunitense, in Foro it., 1987.
69
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L’ordinamento sportivo…
coinvolti, normalmente esclusa (almeno nel sistema vigente) laddove vengano in rilievo questioni
disciplinari.
Tra i metodi alternativi, particolare attenzione deve essere prestata alla conciliazione ed alla
mediazione. Si tratta di procedure del tutto flessibili che presentano indubbi vantaggi rispetto alle
forme classiche di soluzione dei conflitti, le quali impongono una formalizzazione del contenzioso.
Si noti che gli ADR non sono del tutto estranei al mondo della giustizia sportiva. Svariati
regolamenti federali, infatti, impongono, quale preliminare dell’arbitrato, un tentativo di
conciliazione tra le parti.
Ma un esempio particolarmente interessante viene dal sistema del Tribunale Arbitrale Sportivo
(TAS), quale modello che possa essere adottato per generalizzare il ricorso a procedure alternative
all’arbitrato (ed alla giurisdizione) per la composizione di controversie sportive. Accanto alle
procedure di arbitrato è stato di recente istituito un procedimento di mediazione. Più in particolare,
si è introdotta una procedura non vincolante ed informale, fondata sull’accordo delle parti,
attraverso il cui esperimento esse si impegnano a negoziare in buona fede, con l’assistenza di un
mediatore, la soluzione di una controversia legata allo sport.
La mediazione TAS, conformemente ai limiti oggettivi che tali procedure incontrano, può essere
esperita solo per controversie che non mettano in gioco una decisione assunta da una
organizzazione sportiva: pur potendo essere oggetto di arbitrato (attraverso la procedura d’appello),
le questioni disciplinari, comprese quelle relative all’uso di sostanze “dopanti”, sono escluse dalla
mediazione.
Caratteristiche salienti di questa sono la “estrema flessibilità”, dipendendo in tutto e per tutto
(dall’avvio, alla procedura in cui si svolge, all’effetto che produce) dal consenso delle parti e la
“particolare riservatezza” delle questioni trattate e delle proposte formulate: si prevede addirittura,
con regola la cui sanzione, peraltro, potrà porsi solo nel mondo sportivo, il divieto di utilizzare in
sede arbitrale o giudiziaria le informazioni raccolte in sede di arbitrato.
Al di là delle particolari cautele regolamentari, deve comunque ribadirsi come il successo della
mediazione dipenda dalla disponibilità delle parti. La particolare qualificazione (e l’esperienza)
dell’istituzione arbitrale, che amministra la procedura di mediazione, garantisce comunque una cura
ed una competenza nello svolgimento dell’attività del mediatore della quale le parti stesse ed il
“sistema dello sport” non possono che trarne vantaggio.
DOTTRINA
96
L’ordinamento sportivo…
In un importante contributo di Buhring-Uhle71 troviamo una tabella di “raffronto costi/benefici
dei metodi alternativi di risoluzione delle controversie (ADR) rispetto all’arbitrato”.
Tale schema può essere così esplicitato: gli svantaggi degli ADR a livello di costi possono
essere individuati negli onorari e nelle spese del mediatore e di assistenza legale e nel tempo speso
per la mediazione che potrebbe rivelarsi inutile qualora non conduca a transazione; dal punto di
vista procedurale, invece, gli ADR possono avere ad oggetto solo questioni che coinvolgono diritti
disponibili e quindi sono escluse le controversie di carattere disciplinare. Passando ad analizzare i
benefici, gli ADR, in caso di esito favorevole, comportano minori costi, maggiore celerità e, a
livello di procedura, carattere informale, maggiore riservatezza e maggior contatto personale tra le
parti; i benefici degli ADR in caso di esito favorevole sono, invece, la possibilità che si delimitino le
aree controverse, riducendo così costi e durata di un eventuale successivo arbitrato, mentre dal
punto di vista procedurale i benefici sono i medesimi del caso in cui la procedura conduca a
transazione tra le parti.
71
Cfr. Buhring-Uhle, Arbitration and Mediation in International Business, The Hauge-London-Boston, 1996, 342,
riportata da L. Fumagalli nell’op. ult. cit., 102.
DOTTRINA
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L’ordinamento sportivo…
RELAZIONI E INTERFERENZE TRA ORDINAMENTO SPORTIVO E
ORDINAMENTO GENERALE
1. - Giustizia sportiva e monopolio statale della giurisdizione .
Prima di esaminare le relazioni e le possibili interferenze tra la giurisdizione sportiva e
quella ordinaria è bene accertare la compatibilità della giustizia sportiva endoassociativa con il
monopolio statale della giurisdizione sancito dall’art. 102 Cost.72.
La Costituzione, infatti, stabilisce che la funzione giurisdizionale deve essere esercitata da
magistrati ordinari, ovvero da soggetti che assumono tale qualifica in base alle norme costituzionali
e alle norme sull’ordinamento giudiziario dello Stato. La titolarità esclusiva del potere
giurisdizionale è quindi riservata ad organi pubblici.
Se il giudice non ha i carattere dell’imparzialità e la sentenza quelli dell’esecutività, non si ha nè
giudizio nè sentenza nel senso del diritto pubblico. Perciò la clausola che prevede la composizione
endoassociativa della lite se ed in quanto fonda decisioni che non hanno il valore delle pronunzie
statali, cioè non sono “esecutive” nè hanno “efficacia di sentenza”, lascia inalterata la riserva
stabilita nell’art. 102 Cost 73.
La giustizia endoassociativa non si pone quindi in rapporto di incompatibilità ed assume semmai
il ruolo di alternativa o di surrogato rispetto alla funzione giurisdizionale74. Nè può ritenersi per tale
via istituito un giudice speciale sportivo o una forma di arbitrato obbligatorio: la clausola arbitrale
costituisce, infatti, “un atto negoziale che trova fondamento nella libera scelta delle parti”75.
L’istituto arbitrale, infatti, come rilevato dalla Corte Costituzionale, non intacca il principio di
unicità della giurisdizione, e la funzione arbitrale non contraddice alla statualità della giurisdizione,
purchè derivi dalla libera volontà delle parti litiganti.
72
V. pure art. 2907 cod. civ.
M. Basile, L’intervento dei giudici nelle associazioni, 1975, 279.
74
Modugno, Giustizia e sport, 1993, 346.
75
Così Trib. Foggia, sez. I, 26 novembre 1984, sent. N. 969, Accinni c. Sportass, con riferimento alla Commissione
arbitrale prevista dall’art. 19 del Regolamento Sportass (Cassa previdenza per l’assicurazione degli sportivi).
73
DOTTRINA
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L’ordinamento sportivo…
Resta fermo che il bilanciamento tra il diritto di libertà associativa e gli altri principi
costituzionali, primo fra tutti il diritto di ricorrere ai giudici dello Stato per la tutela dei propri
interessi giuridicamente protetti, impone che non possano essere “riservati” agli organi
dell’associazione i conflitti che mettano in gioco i diritti fondamentali e più generalmente, i diritti
indisponibili dei singoli76.
2. - Il riparto di giurisdizione.
La presenza di un ordinamento sportivo impone di considerare i rapporti con l’ordinamento
giuridico statale anche al fine di verificare la conformità delle regole sportive ai principi generali
del diritto dello Stato.
In questa prospettiva è agevole rilevare come nei rapporti tra gli ordinamenti giuridici la
complementarietà comporta sempre più frequentemente la coesione dei complessi di norme.
In alcuni casi è l’ordinamento giuridico dello Stato che rende più elastici i suoi concetti giuridici
per accogliere le norme specifiche dell’ordinamento sportivo, mentre in altre occasioni accade il
contrario, in quanto le regole sportive sono in netta contraddizione con i principi del diritto statale.
Si assiste, così, ad una vera e propria coesistenza dell’ordinamento sportivo e di quello statale.
Ovviamente sussistono limiti ben precisi alla ammissibilità di un intervento dell’Autorità
giurisdizionale dello Stato in ambito sportivo.
Affinchè ciò possa verificarsi è, infatti, necessario riscontrare la presenza di uno specifico
interesse giuridicamente rilevante per l’ordinamento giuridico statale.
Per quanto attiene, poi, ai collegamenti esistenti tra i due ordinamenti, in relazione
all’organizzazione e allo svolgimento delle competizioni agonistiche, bisogna dire che essi hanno
più volte interessato gli studiosi della materia e sono stati, altresì, portati al vaglio della
giurisprudenza, le cui pronunce non sempre sono state coerenti.
Il problema fondamentale è quello di individuare, nell’ambito delle determinazioni degli organi
federali connesse con le gare agonistiche, le decisioni che hanno efficacia meramente interna
all’ordinamento sportivo e quelle che invece possono avere anche rilevanza per l’ordinamento
giuridico dello Stato. Per questa seconda categoria di decisioni occorre, poi, delineare i criteri per
stabilire quale sia la Autorità giurisdizionale dello Stato competente a riesaminare le decisioni degli
organi federali.
76
M. Ruotolo, Giustizia sportiva e costituzione, in Riv. Dir. Sport., 1998, 403 ss.
DOTTRINA
99
L’ordinamento sportivo…
In sostanza, occorre individuare prima le situazioni giuridiche meritevoli di tutela anche da parte
dell’ordinamento statale e poi il settore della giurisdizione cui le stesse sono devolute.
In via preliminare, bisogna ancora una volta sottolineare che una controversia sportiva può
essere sottoposta al vaglio della giurisdizione statale solo a condizione che la determinazione
adottata dagli organi delle federazioni comporti la lesione di un diritto soggettivo o di un interesse
legittimo. Ne consegue il difetto assoluto di giurisdizione statale in mancanza di tale requisito.
Al riguardo si è osservato che le decisioni prese dai competenti organi federali, in sede di
verifica della regolarità di una competizione sportiva e in applicazione delle norme tecniche che
garantiscono il regolare svolgimento della singola gara, non determinano nè la lesione di un diritto
soggettivo, nè la lesione di un interesse legittimo e, pertanto, non possono essere sottoposte al
vaglio del giudice statale. É stato infatti affermato che il risultato delle competizioni agonistiche si
acquisisce mediante applicazione di norme tecniche, tra le quali rientra, appunto, quella che
comporta la verifica di regolarità del punteggio (la c.d. verifica di regolarità della gara). Non vi è
dubbio che dal risultato definitivo di una gara possano sorgere interessi di diversa natura, ma deve
escludersi che possano essere vantati diritti soggettivi con riferimento alle valutazioni degli organi
tecnici (arbitri e giudici) per quanto concerne il risultato definitivo delle competizioni sportive.
Manca, infatti, la possibilità di identificare, nelle regole tecniche in questione e nella disciplina
del riscontro dell’osservanza di esse da parte degli organi federali, l’esistenza di “norme di
relazione” dalle quali derivino diritti soggettivi e contrapposti obblighi in capo ai soggetti coinvolti
nell’esercizio dell’attività sportiva77.
Neanche può ravvisarsi la presenza di interessi legittimi. Perchè questi ultimi siano configurabili
occorre, infatti, che l’atto provvedimentale, suscettibile di annullamento, sia un vero e proprio
“provvedimento amministrativo”, cioè un provvedimento adottato da un soggetto di diritto
pubblico, ovvero da un suo organo, nell’esercizio di una potestà pubblica. Simili presupposti non
sono certamente ravvisabili nelle statuizioni adottate dai soggetti incaricati di regolare e disciplinare
lo svolgimento delle competizioni sportive.
In buona sostanza, si può rilevare che i risultati della attività agonistica conseguono alla
applicazione più o meno corretta di una serie di regole tecniche, le quali risultano indifferenti per
l’ordinamento giuridico statale.
77
M. Di Gennaro, Rapporto tra giustizia sportiva e giustizia e ordinaria: il c.d.” scandalo dei passaporti falsi”, in Riv.
Dir. Sport., 2001, 21 ss.
DOTTRINA
100
L’ordinamento sportivo…
Ne consegue che simili situazioni risultano sostanzialmente prive di un rilevante livello di
giuridicità e, per contro, dotate di un carattere di discrezionalità eccezionalmente ampio, sebbene
nel limitato ambito dell’ordinamento sportivo e dunque in funzione del conseguimento di semplici
interessi di settore.
Tra queste norme, che possiamo definire paragiuridiche, rientrano tutte quelle regole che
incidono sul risultato dell’attività sportiva, mirando le stesse essenzialmente a salvaguardare la
regolarità e la correttezza delle gare.
Si deve ritenere, dunque, che tali regole, proprio per l’assenza di rilievo giuridico per
l’ordinamento generale, sfuggono al sindacato del giudice statale. Si può affermare che il singolo
individuo, in relazione a determinate decisioni dei competenti organi federali, non può vantare nè
un diritto soggettivo nè un interesse legittimo.
Ciò consente di ritenere che nell’ambito dell’ordinamento sportivo sussiste, quale espressione di
una particolare autonomia, la possibilità di emanare determinate norme interne di comportamento,
la cui osservanza o meno, da parte dei destinatari, è assolutamente irrilevante nell’ambito
dell’ordinamento generale78.
Per chiarezza di esposizione, bisogna distinguere le vicende afferenti l’attività organizzativa
delle federazioni da quelle concernenti i provvedimenti adottati in sede di giustizia sportiva.
Sotto tale profilo, la giurisprudenza intervenuta prima del d. lgs. 23 luglio 1999 n. 242 relativo
al riordino del CONI ha costantemente fatto leva sulla duplice natura delle Federazioni sportive, le
quali erano allo stesso tempo associazioni private e organi del CONI, con conseguente possibilità di
adottare atti di diritto privato e veri e propri provvedimenti amministrativi79. Anche in seguito al
recente intervento del Legislatore (d. lgs. 15/2004), gli atti posti in essere dalle Federazioni sportive
nazionali possono considerarsi sia di natura privata sia di natura pubblica e ciò deve essere stabilito
a seguito di un approfondito esame del loro contenuto.
In questo contesto si deve ritenere che, per quanto concerne l’attività organizzativa, l’organo
giudicante va individuato considerando l’essenza della norma che si assume violata, nonchè il fine
perseguito dall’organo federale nell’espletamento della propria attività.
78
Utili indicazioni si traggono da: Cass. Sez. Un., 26 ottobre 1989, n. 4399, ove vengono individuati i criteri che
consentono di stabilire quali questioni possono essere sottoposte alla cognizione del giudice statale.
79
Si veda sul punto, da ultimo TAR Toscana, Sez. I, 19 giugno 1998, n 411.
DOTTRINA
101
L’ordinamento sportivo…
Ed infatti se la norma, la cui applicazione si contesta, attiene alla vita interna della Federazione,
ai rapporti tra società sportive, ai rapporti tra le società stesse e i professionisti sportivi, deve essere
riconosciuta la giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria.
Diversamente, nel caso in cui le norme che si assumono violate perseguano la realizzazione di
interessi fondamentali ed istituzionali dell’attività sportiva deve essere affermata la giurisdizione
del giudice amministrativo.
In sostanza, l’indagine deve essere condotta avendo riguardo, non alla natura del soggetto che
agisce, ma tenendo in considerazione quale sia la natura dell’obiettivo perseguito. Tra gli atti posti
in essere dalle Federazioni sportive bisogna distinguere fra quelli che costituiscono esplicazione di
un potere di natura pubblicistica (atti sostanzialmente amministrativi), e quelli invece che dette
Federazioni compiono in esplicazione della loro capacità d’agire di diritto privato. Solo i primi sono
soggetti alla giurisdizione del giudice amministrativo, ove incidenti su situazione di interesse
legittimo; gli altri, se non riguardanti norme propriamente tecniche “interne”, rientrano nella
competenza dell’Autorità giudiziaria ordinaria.
Ad esempio, quando si tratta di stabilire le regole per l’accesso all’attività sportiva, trattandosi di
sviluppo della personalità umana (art. 3 secondo comma, Cost.) e dovendosi quindi ritenere
virtualmente diritto di tutti, singoli o gruppi, la partecipazione alle associazioni sportive, la
giurisprudenza più recente ha sempre affermato la giurisdizione amministrativa.
In definitiva, si può affermare che l’ordinamento sportivo è un ordinamento eterogeneo,
composto di norme tecniche interne e di norme giuridiche.
Le regole dettate per organizzare l’attività sportiva, e in particolare la partecipazione ai
campionati, non sfuggono ovviamente alla stessa eterogeneità e non possono ritenersi di natura
privata soltanto perchè sono state “predisposte” dalla Federazione sportiva. Anzi tale circostanza, in
considerazione della particolare funzione pubblicistica attribuita alla Federazione sportiva, deve
indurre l’interprete ad analizzare in quale veste di volta in volta la stessa ha agito.
Ne consegue che ogni norma organizzatoria deve essere attentamente vagliata per stabilire se
essa è diretta o meno a conseguire un interesse pubblico. E non vi è dubbio che nel caso in cui la
norma persegua un interesse della collettività debba riconoscersi la giurisdizione del giudice
amministrativo80.
La giurisprudenza dell’ultimo decennio è costellata di pronunce che non fanno altro che
confermare la tendenza del giudice statale ad “interferire” nelle controversie di natura sportiva.
80
Si veda sul punto Trib. Ravenna, decreto 14 settembre 1994.
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L’ordinamento sportivo…
In particolare vanno segnalate le vicende giuridiche della società Calcio Catania, risalenti al
1993, che hanno portato all’individuazione del giudice competente in relazione alle delibere di non
ammissione al campionato nazionale o di revoca dell’affiliazione81. Per tali provvedimenti è stata
dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto i suddetti atti sono stati ritenuti
espressione di una potestà pubblicistica demandata alle Federazioni dal CONI.
La giurisprudenza più remota, invece, appariva orientata nel senso di ammettere la giurisdizione
del giudice amministrativo solo nel caso in cui il provvedimento delle Federazioni riguardasse la
concessione o la revoca dell’affiliazione o del tesseramento, in quanto soltanto tale decisione
avrebbe influito in maniera determinante sul rapporto tra società e singolo da una parte e
Federazione sportiva dall’altra.
Tale impostazione appare attualmente superata da una recente giurisprudenza che ha
riconosciuto la possibilità di sottoporre al vaglio del giudice amministrativo anche il provvedimento
di esclusione da un determinato campionato con contestuale ammissione ad altro di categoria
inferiore.
A simili conclusioni si è giunti dopo aver rilevato che non appare corretto negare natura
sanzionatoria al provvedimento adottato dagli organi di giustizia sportiva, in forza del quale viene
disposta la retrocessione di una squadra da un determinato campionato nazionale. Più in particolare
si è affermato che tutti i provvedimenti di esclusione devono essere ricondotti nella ampia categoria
giuridica delle sanzioni, ove si consideri che in sede di teoria generale la figura della sanzione viene
comunemente delineata come una reazione dell’ordinamento giuridico rispetto alla trasgressione di
una norma.
Ad avviso della giurisprudenza sopra richiamata non si può disconoscere che l’esclusione da un
determinato campionato costituisca espressione del potere disciplinare e cioè del potere
dell’Amministrazione di adottare sanzioni, per avere riscontrato la violazione degli obblighi
connessi con la partecipazione alle competizioni sportive da parte dei destinatari del provvedimento
ablatorio.
Al riguardo, appare opportuno considerare che nell’ambito delle sanzioni disciplinari è possibile
distinguere tra quelle “d’ordine” e quelle “espulsive” a seconda che producano o meno la
cessazione del rapporto principale che consente di configurare il potere disciplinare.
81
Si veda Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia, 9 ottobre 1993, ord. n. 536; Cons. Stato, Sez. VI,
30 settembre 1995, n. 1050. Per la dottrina sull’argomento: C. Coccia, Il caso Catania,in Riv. Dir. Sport., 1993, 247; C.
Coccia, Prosegue il “caso Catania”, in Riv. Dir. Sport., 1995, 150; G. Vidiri, “Il “caso Catania”: i difficili rapporti tra
ordinamento statale e ordinamento sportivo, in Foro It., 1994, III, 511.
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L’ordinamento sportivo…
Dunque, mutando l’orientamento precedente espresso, la più recente giurisprudenza
amministrativa ha affermato, con assoluta fermezza, che il provvedimento attraverso il quale viene
disposta la retrocessione di una squadra da un campionato ad un altro di serie inferiore debba
rientrare nel novero delle sanzioni disciplinari di carattere espulsivo.
In altre parole si è ritenuto che, se da un lato il provvedimento di revoca dell’affiliazione di una
società costituisce la tipica sanzione espulsiva dall’ordinamento sportivo, dall’altro l’esclusione da
un campionato, pur rivestendo una gravità minore rispetto alla rescissione del rapporto tra società e
Federazione, rappresenta pur sempre una misura sanzionatoria di eguale natura. E ciò in quanto
simile determinazione implica la cessazione del rapporto di appartenenza a quella particolare e più
ristretta organizzazione costituita dalle società sportive partecipanti ad un determinato
campionato82.
In definitiva, si può rilevare che i più recenti orientamenti della giurisprudenza appaiono sempre
più favorevoli ad esprimere un giudizio di legittimità sulle statuizioni adottate dagli organi di
giustizia sportiva.
La trattazione proseguirà, ora, con l’analisi del c.d. “caso Catania” che altro non rappresenta se
non la punta di un iceberg contro il quale è andato inevitabilmente ad imbattersi il nostro Sport.
3. - Il “caso Catania”.
L’estate del 2003 sarà ricordata a lungo, da sportivi e non, come quella contrassegnata dal
c.d. “caso Catania”83. La nota vicenda ha portato ad un totale sconvolgimento del mondo del calcio
e dell’intero fenomeno sportivo nazionale tanto da indurre il Governo ad intervenire con un decreto
legge, poi convertito, per permettere l’inizio dei campionati.
Verranno in questa sede
ripercorse le tappe di tale vicenda che ha visto come assoluti
protagonisti gli organi della giurisdizione sportiva e di quella statale. Per meglio comprendere tale
analisi, però, è bene prima tratteggiare brevemente gli aspetti e le peculiarità che concernono gli
organi di giustizia sportiva, nella fattispecie quelli della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC).
82
Cfr. TAR Sicilia, Sez. III, sede di Catania, 7 ottobre 1999, ord. 2147.
In verità, gli addetti ai lavori ricorderanno un precedente “caso Catania” che nel 1993 vide come protagonista sempre
la società etnea. Tale caso culminò con la già citata pronuncia del C.G.A. di Palermo del 9 ottobre 1993. Anche in
quella circostanza si riscontrarono pareri discordanti tra gli organi di giustizia sportiva e quelli appartenenti alla
giurisdizione statale.
83
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L’ordinamento sportivo…
Essi amministrano in condizione di piena autonomia la giustizia nel rispetto di precise
competenze distribuite per gradi. Questi organi sono il Giudice Sportivo, la Commissione
Disciplinare, la Commissione d’Appello Federale (CAF), la Procura Federale e l’Ufficio Indagini.
Per sintesi giova dire che il Giudice Sportivo esamina settimanalmente i referti arbitrali,
sanzionando le condotte antiregolamentari.
La Commissione Disciplinare è organo di secondo grado rispetto alle decisioni adottate dal
Giudice Sportivo e di primo grado per i deferimenti di competenza del Procuratore Federale.
La CAF rappresenta in sostanza la Cassazione calcistica per quanto attiene al merito delle
questioni.
Il Procuratore Federale può essere definito organo requirente, che procede a deferire Società e
tesserati davanti alla Commissione Disciplinare, anche col supporto degli accertamenti dell’Ufficio
Indagini che può essere definito organo inquirente84.
La squalifica del calciatore Martinelli In data 1 aprile 2003 il calciatore Martinelli, tesserato per
l’AC Siena, veniva squalificato per una giornata dal Giudice Sportivo per fatti avvenuti nel corso
della gara del campionato di calcio di serie B Siena-Cosenza, disputatasi il 30 marzo 2003. Il 5
aprile 2003 si svolgeva la successiva gara di campionato di Serie B Siena-Napoli, nella quale il
calciatore Martinelli non veniva schierato; tuttavia nello stesso giorno il Siena schierava il giocatore
nella gara valevole per il campionato Primavera Siena-Ternana. Il successivo 12 aprile 2003, il
Siena schierava Martinelli nella gara di Serie B contro la società Calcio Catania S.p.a. terminata con
il punteggio di 1-1. Il Catania non presentava reclamo per posizione irregolare del giocatore, che ai
sensi dell’art. 24, commi 8 e 9, del Codice di Giustizia Sportiva della FIGC deve essere
preannunciato entro le ore 24 del giorno successivo a quello della gara; in data 17 aprile, però,
sostenendo che il calciatore non avesse scontato la squalifica inflittagli, la società etnea inoltrava
un’istanza al Presidente della Lega Nazionale Professionisti affinchè, ex art. 25, comma 4, CGS,
deferisse alla Commissione Disciplinare il Siena per utilizzo di un giocatore in posizione irregolare,
chiedendo che l’organo di giustizia in questione comminasse al Siena la sanzione della perdita “a
tavolino” della gara Catania-Siena.
La decisione della Commissione Disciplinare In data 24 aprile 2003, la Disciplinare dichiarava
di non dover adottare alcun provvedimento in ordine al deferimento in quanto giudicava la
posizione in campo di Martinelli regolare, ritenendo tassativo il disposto dell’art. 17, comma 3,
84
C. Porceddu, Procuratore Federale della FIGC, Gli organi della giustizia sportiva: le incombenti malattie del mondo
calcistico moderno, 1999.
DOTTRINA
105
L’ordinamento sportivo…
CGS (“Il calciatore colpito da squalifica per una o più giornate di gara deve scontare la sanzione
nelle gare ufficiali della squadra nella quale militava quando è avvenuta l’infrazione che ha
determinato il provvedimento”), e dunque la squalifica regolarmente scontata dal giocatore nella
gara col Napoli. La Commissione Disciplinare riteneva ininfluente nella fattispecie il comma 13
dello stesso articolo 17 (“La squalifica irrogata impedisce al tesserato di svolgere qualsiasi attività
sportiva in ogni ambito federale per il periodo della squalifica, intendendosi per tale, nelle
squalifiche per una o più giornate di gara, le giornate in cui disputa gare ufficiali la squadra
indicata al comma 3”), in quanto la violazione del comma 13 avrebbe piuttosto trovato autonoma e
separata sanzione disciplinare nella perdita “a tavolino” da parte del Siena della gara del
campionato Primavera Siena-Ternana, nella quale effettivamente Martinelli non avrebbe dovuto
essere schierato.
La decisione della CAF Avverso tale pronuncia della Disciplinare, il Catania proponeva ricorso
alla Commissione di Appello Federale, la quale in data 28 aprile 2003 riformava la decisione. La
CAF riteneva che le disposizioni contenute nei citati commi 3 e 13 dell’art. 17 CGS dovessero
“essere interpretate unitariamente” e che il comma 13 stabilisse “gli effetti del provvedimento di
squalifica ed il contenuto afflittivo della stessa”. La CAF, pertanto, giudicava che la posizione del
giocatore bianconero fosse irregolare in quanto, avendo egli svolto attività agonistica, seppure con
altra squadra, nella giornata di squalifica, quest’ultima non dovesse ritenersi scontata al momento
della partita Catania-Siena. Per l’effetto la CAF infliggeva alla società toscana la sanzione della
perdita di tale gara per 0-2. Vi era, quindi, una difforme interpretazione tra i due organi dei termini
“squadra” e “giornate” dei commi 3 e 13 dell’art. 17 del CGS.
Il ricorso di otto società di Serie B alla Corte Federale Successivamente, in data 10 maggio
2003, otto società militanti nel campionato di Serie B (Genoa, Venezia, Verona, Messina, Napoli,
Ascoli e Siena) presentavano ricorso alla Corte Federale ai sensi dell’art. 32, comma 5, dello Statuto
FIGC (“Ogni tesserato o affiliato alla FIGC può ricorrere alla Corte Federale per la tutela dei
diritti fondamentali personali o associativi che non trovino altri strumenti di garanzia
nell’ordinamento federale”) e del pedissequo art. 22, comma 3 CGS per la tutela di diritti
fondamentali che, secondo le società ricorrenti, sarebbero stati lesi dalla sentenza della CAF. In data
22 maggio 2003, con sentenza pubblicata il giorno seguente, la Corte Federale, massima autorità di
garanzia dell’ordinamento della FIGC, si pronunciava a favore dei ricorrenti e, per l’effetto,
confermava il risultato conseguito sul campo della gara Catania-Siena. La Corte Federale, facendo
leva sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 177 del 1995, la quale aveva dichiarato illegittime
DOTTRINA
106
L’ordinamento sportivo…
le norme in materia di giustizia amministrativa nella parte in cui non avevano previsto l’esperibilità
anche in tale ambito dell’opposizione di terzo ordinaria di cui all’art. 404 Cod. Proc. Civ., muoveva
dalla considerazione di ritenere sussistente la medesima lacuna nell’ordinamento FIGC. La Corte
Federale riteneva che a colmare tale vuoto ordinamentale, nelle more dell’adeguamento, non
potesse che essere la Corte Federale stessa. Secondo tale organo, i commi 3 e 13 dell’art. 17 CGS
“disciplinano aspetti diversi della materia della esecuzione delle sanzioni sportive e producono,
dunque, effetti diversi e come tali inidonei a determinare una forma di collegamento tra le stesse”.
Dunque, sempre ad avviso della Corte, “la sanzione della squalifica per una o più giornate di gara
non può, in omaggio al principio della separatezza delle competizioni..., che essere espiata nelle
gare disputate dalla squadra in cui il calciatore squalificato militava al momento dell’infrazione e
all’interno della competizione o del torneo in cui la condotta si è manifestata”. Il Siena aveva
violato nell’ambito del campionato Primavera la previsione del comma 13 dell’art. 17 CGS ed era
pertanto sanzionabile solo in tale contesto, senza alcun riflesso sul campionato di Serie B.
L’ “esposto-ricorso” del Catania alla Giunta Nazionale del CONI La strenua difesa del Catania
era ancora solo agli inizi. In data 28 maggio 2003, la società siciliana indirizzava al CONI un atto
denominato “esposto-ricorso”, nel quale faceva riferimento al d. lgs. 242/99 e allo Statuto del
Comitato Olimpico, rappresentando la legittimazione di quest’ultimo ad intervenire nei confronti
della FIGC sulla base dei poteri di vigilanza, controllo e intervento relativamente all’operato degli
Organi Federali. In particolare, il Catania contestava la legittimità della descritta decisione della
Corte Federale, ritenendo che integrasse gli estremi di una grave violazione dell’ordinamento
sportivo come tale legittimante la Giunta Nazionale del CONI a commissariare la FIGC o
comunque ad intervenire nei suoi confronti riformando la decisione della Corte Federale. Al
riguardo la Giunta chiedeva alla Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport un parere volto a
chiarire quali fossero gli ambiti e le azioni in materia sportiva propri dell’organo richiedente
nell’esercizio del suo potere di vigilanza. La Camera emise il suo parere il 19 giugno e, senza
entrare nel merito della questione, qualificò come “esposto” quello del Catania alla Giunta. La
Camera era dell’avviso, infatti, che “un esposto da parte di una società sportiva, che porti a
conoscenza della Giunta Nazionale circostanze relative ad una Federazione sportiva sia
ammissibile, anche se non determina di per sè un obbligo della Giunta stessa di pronunciarsi e/o
provvedere”. Ne consegue che tale atto non poteva essere qualificato come “ricorso” dal momento
che la Giunta non aveva nessun “dovere” di intervenire. La Camera esplicitò, dunque, i casi in cui si
DOTTRINA
107
L’ordinamento sportivo…
poteva procedere al commissariamento di una Federazione chiarendo le modalità di accertamento di
gravi irregolarità gestionali, gravi violazioni dell’ordinamento e impossibilità di funzionamento.
Tale parere della Camera si sarebbe rivelato di grandissima importanza anche per il futuro, se il
d. lgs. 15/2004 non avesse proceduto a trasferire i compiti di vigilanza e controllo in questione dalla
Giunta al Consiglio Nazionale. Le riflessioni fatte a proposito della Giunta sono, però, mutatis
mutandis, in massima parte ancora valide per l’organo consiliare.
Esaminato il parere della Camera la Giunta, in data 1 luglio, invitava la Federcalcio “a
rimuovere con la massima sollecitudine i provvedimenti adottati al di fuori delle competenze degli
organi federali aventi funzioni giustiziali”. Con questa delibera, in pratica, la Giunta chiedeva alla
FIGC di cassare la decisione della Corte Federale che aveva riformato la sentenza della CAF
togliendo i due punti al Catania. Il giorno dopo la Lega Calcio, preso atto della richiesta fatta dal
CONI, ripristinava il verdetto della CAF favorevole al Catania riammettendolo in B.
Il ricorso al TAR del Catania Contemporaneamente si stava giocando un’altra partita sul campo
della giustizia amministrativa. Il Catania, infatti, aveva deciso di presentare, contestualmente
all’esposto al CONI, il ricorso al Tar siciliano. Da questo momento in poi cominciarono ad
accavallarsi le pronunce della giustizia sportiva e di quella ordinaria, le classifiche venivano riscritte
quasi giornalmente, alcune tifoserie speravano, altre stavano alla finestra in attesa di una soluzione
che era ancora di là da venire.
Il 5 giugno il TAR di Catania sospendeva gli effetti della decisione della Corte Federale e
ordinava alla FIGC di cambiare la classifica. Il 16 giugno il Consiglio di Stato decideva di
sospendere l’esecutività della decisione del Tribunale amministrativo. La FIGC ricorreva al
Consiglio di Giustizia Amministrativa di Palermo il quale, il 26 giugno, respingeva il ricorso e
ammetteva il Catania in Serie B.
Il Consiglio Federale, il 9 luglio, decideva di iscrivere il Catania in Serie B “senza nessuna
condizione”. A questo punto sembrava si fosse messa la parola “fine” a quella che era diventata la
telenovela calcistica dell’estate. Il colpo di scena, però, era dietro l’angolo.
Il “caso Grieco” Il 4 febbraio, il giocatore del Catania Vito Grieco era stato squalificato per una
giornata dal giudice sportivo e aveva pertanto saltato la gara Genoa-Catania del 7 febbraio. Grieco
era poi sceso in campo l'8 febbraio nella partita del campionato Primavera Catania-Salernitana.
Pertanto, il Venezia aveva presentato ricorso, giudicando illegittima la presenza di Grieco in
Catania-Venezia (sempre per violazione dell’art. 17, commi 3 e 13 del CGS), gara successiva (17
maggio 2003) del campionato di B. La Disciplinare aveva ribadito la correttezza della sentenza del
DOTTRINA
108
L’ordinamento sportivo…
giudice sportivo che aveva confermato il risultato di 2-0 per il Catania ottenuto sul campo. La CAF,
però, il 16 luglio accoglieva il ricorso presentato dal Venezia assegnando ai lagunari la vittoria “a
tavolino”. Nello stesso giorno il TAR di Salerno iscriveva la retrocessa Salernitana in Serie B con
riserva. La risposta del TAR Sicilia, in questa particolare disputa tra magistrati, non tardò ad
arrivare e il 21 luglio il TAR di Catania sospendeva la decisione della CAF sul “caso Grieco” e
nominava due commissari ad acta per la reiscrizione del Catania al campionato di Serie B.
Il varo dei calendari
L’assemblea di Serie B si spaccava sul caso e alcuni Presidenti
minacciavano di ritirare le proprie squadre dal campionato il cui inizio era sempre più in dubbio.
I vertici del mondo dello sport e del calcio (Carraro, Petrucci e Galliani) incontravano il
Ministro per i beni e le attività culturali, Giuliano Urbani. Il Governo si diceva pronto a intervenire
con un decreto legge che rafforzasse l’autonomia dello sport e impedisse nuove intrusioni della
magistratura ordinaria.
Nel frattempo, il 29 luglio, il TAR di Salerno riammetteva con riserva la squadra campana in
Serie B e, due giorni dopo, il CGA di Palermo accoglieva il ricorso della FIGC riscontrando un
vizio di forma nella decisione presa dal TAR di Catania.
Il 31 luglio il Consiglio della Federcalcio decideva che la Serie B sarebbe rimasta a 20 squadre e
la società etnea veniva iscritta nel girone B della Serie C1.
Neanche stavolta, però, si trattava della pronuncia decisiva.
La FIGC denunciava per danni il TAR di Catania al Tribunale civile di Roma. Immediata la
replica del club rossoazzurro, con una denuncia alla Procura catanese contro il Presidente della
FIGC, Franco Carraro. L’11 agosto la Procura di Catania iscriveva Carraro nel registro degli
indagati con l’accusa di “minaccia a corpi politici e giudici dello Stato”.
Il 13 agosto il TAR siciliano, riunito con nuovo collegio, si pronunciava nuovamente per il
Catania in B. Il giorno successivo, il TAR di Reggio Calabria giudicava irregolare l’iscrizione del
Napoli alla Serie B e il Catania prendeva il posto della squadra campana. A questo punto la vicenda
in questione si intreccia con quella sulle “false fideiussioni” che vedeva coinvolti, con il Napoli, la
Roma, il Cosenza e la Spal.
Oltre che dal Catania, i Tribunali amministrativi erano stati sollecitati nella stessa estate anche
dal L’Aquila, sempre in ambito calcistico, e dalla Virtus Bologna in quello del basket. I campionati
erano ormai alle porte e i TAR continuavano a darsi battaglia mettendo in crisi l’intero ordinamento
sportivo. Urgeva, pertanto, il promesso intervento del Governo.
DOTTRINA
109
L’ordinamento sportivo…
L’epilogo della vicenda Il 19 agosto, dopo il vertice presso il dicastero dei beni culturali che
aveva visto impegnati i vertici dello sport e il Ministro Urbani, il Consiglio dei Ministri approvava
il decreto legge c.d. “salvacalcio” o “anti-TAR”85. In questa sede giova riportare il quinto comma
dell'articolo 3 del decreto in questione che prevedeva la possibilità “su proposta della federazione
competente, di adottare provvedimenti di carattere straordinario e transitorio - anche in deroga
alle disposizioni vigenti dell'ordinamento sportivo - al fine di assicurare il regolare inizio dei
campionati 2003-04”.
Questa specifica disposizione permetteva ai vertici del calcio di adottare una soluzione dettata
dalle circostanze venutesi a creare. Il 20 agosto il Consiglio Federale prendeva la decisione,
avallata dal CONI il giorno successivo, che il campionato di Serie B sarebbe stato allargato a 24
società. Le quattro squadre ripescate erano il Catania, il Genoa, la Salernitana (squadre retrocesse)
e, tra la sorpresa generale e il malcontento di molti, la Fiorentina. Proprio quest’ultima società,
neopromossa in C1, venne preferita, considerato il bacino d’utenza e i fasti del passato, alle più
autorevoli candidate per meriti sportivi, Pisa e Martina (che l’anno precedente avevano perso la
finale dei play-off di accesso alla serie cadetta). La quarta retrocessa dalla Serie B del campionato
precedente, il Cosenza, tra mille problemi societari e istanze di fallimento, fu costretta a iscriversi al
campionato di Serie D. Nei giorni successivi vennero comunicati i nomi delle società ripescate nelle
serie inferiori che prendevano il posto delle “promosse” in Serie B.
Una soluzione del genere, per di più adottata solo grazie ad un intervento del Governo, è
sembrata agli occhi dei più una soluzione di comodo, un compromesso. Forse, però, allo stato delle
cose, questa era l’unica strada percorribile dopo mesi di “acrobazie giudiziarie”. Lo scopo del
decreto già convertito in legge, che andremo subito ad esaminare, è quello che situazioni del genere
non abbiano più a ripetersi.
85
Decreto legge 19 agosto 2003, n. 220 poi convertito in L. 17 ottobre 2003, n. 280.
DOTTRINA
110
L’ordinamento sportivo…
4. - La legge 17 ottobre 2003, n. 280
Con il decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220 il Governo ha approvato alcune disposizioni
urgenti in materia di giustizia sportiva per porre rimedio alla situazione di crisi nei rapporti fra
giustizia sportiva e giustizia ordinaria, con particolare riferimento al mondo del calcio. Il decreto
220/2003 è stato poi convertito in legge il 17 ottobre dal Senato della Repubblica dopo essere stato
approvato alla Camera dei Deputati il 24 settembre86.
Il provvedimento stabilisce che l’ordinamento sportivo, inteso quale insieme organico di regole
tecniche e disciplinari, applicabili alle discipline sportive ed ai soggetti affiliati alle Federazioni, sia
riconosciuto come ordinamento autonomo (art. 1, comma 1). Il comma 2 dell’art. 1 prevede che i
rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica siano regolati in base al
principio di autonomia salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico statuale di situazioni
giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo. La legge sancisce l’autonomia
dell’ordinamento sportivo con riferimento alle questioni menzionate all’art. 2, comma 1, lett. a) e
b): l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie; i
comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni
disciplinari. In sede di conversione, il legislatore, ravvisando l’indiscutibile “rilevanza” delle
questioni amministrative ha soppresso le lettere c e d dell’art. 2 del Decreto Legge n. 220/2003, che
riservavano all’ordinamento sportivo tutta la materia delle questioni amministrative (con ciò
ritenendo, pertanto, impugnabili innanzi al giudice amministrativo tutti i provvedimenti rientranti in
tale categoria)87. Alla luce, però, della recente ordinanza n. 2244/2005 del TAR Lazio88, anche i
provvedimenti disciplinari sportivi che possano riconoscersi come “rilevanti” (in quanto possano
determinare una lesione di interessi non solo sportivi, ma anche giuridici o economici, dei
destinatari) potrebbero essere impugnati innanzi al TAR. Lazio ai sensi dell’art. 1 della legge n.
280/2003 ed a prescindere dalla “svuotata” riserva contenuta all’art. 2, comma 1, lett. b.
Il comma 2 dell’art. 2 ribadisce che nelle materie di cui al comma precedente, le società, le
associazioni, gli affiliati ed i tesserati hanno l’onere di adire gli organi di giustizia sportiva.
All’articolo 2 è stato aggiunto, durante il dibattito nelle Commissioni riunite, un comma volto a
prevedere che le società calcistiche che siano controllate, anche per interposta persona, da una
86
V. Coccia, De Silvestri, Forlenza, Fumagalli, Musumarra, Selli, Diritto dello Sport,2004.
V. Moro, De Silvestri, Crocetti Bernardi, Lubrano, La giustizia sportiva, 2004.
88
Cfr. TAR Lazio, Sez. III ter, ord. 21 aprile 2005, n. 2244.
87
DOTTRINA
111
L’ordinamento sportivo…
persona fisica o giuridica che detenga una partecipazione di controllo in altra società calcistica,
siano escluse dalle scommesse e dai concorsi pronostici connessi al campionato italiano.
L’articolo più interessante ed innovativo del provvedimento risulta essere il terzo. L’art. 3,
comma 1 prevede che, esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del
giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti, ogni altra controversia
avente ad oggetto atti del CONI o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia
dell’ordinamento sportivo, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In
ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito da clausole compromissorie previste dagli
statuti e dai regolamenti del CONI e delle Federazioni.
Il comma 2 dell’art. 3 stabilisce che la competenza di primo grado spetta, in via esclusiva, anche
per l’emanazione di misure cautelari, al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, con sede a
Roma. Il comma 3, poi, stabilisce che davanti al giudice amministrativo il giudizio è definito con
sentenza succintamente motivata.
Il comma 4 dispone che le norme di cui ai commi precedenti si applicano anche ai processi in
corso e l’efficacia delle misure cautelari emanate da un Tribunale amministrativo diverso da quello
di cui al comma 2 è sospesa fino alla conferma, modifica o revoca da parte del TAR del Lazio cui la
parte interessata può riproporre il ricorso e l’istanza cautelare.
In sede di esame degli emendamenti nelle Commissioni riunite Giustizia e Cultura è stato
approvato un emendamento volto a fare salvi gli effetti prodotti dal citato comma 5 dell’art. 3 del
decreto legge fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione. Tale comma, che è stato
soppresso con un emendamento del relatore, prevedeva che il CONI, su proposta della Federazione
competente, a seguito della eccezionale situazione determinatasi per il contenzioso in essere,
adottasse i provvedimenti di carattere straordinario e transitorio anche in deroga alle disposizioni
vigenti per assicurare l’avvio dei campionati 2003-2004. Venuti meno i presupposti di
straordinarietà e di transitorietà, con i campionati partiti ormai da diverso tempo, tale disposizione
non aveva più motivo per continuare a trovare spazio nel testo convertito.
La L. 280/2003, quindi, intende chiarire in modo preciso gli ambiti che assumono rilevanza per
l’ordinamento giuridico dello Stato separandoli da quelli che non ne hanno. Tutto ciò che
l’ordinamento ritiene per sè indifferente non può naturalmente dare luogo a situazioni giuridiche
soggettive qualificate e, come tali, tutelabili davanti agli organi giurisdizionali dello Stato.
Al contrario il sindacato giurisdizionale rimane pieno nei confronti di tutte le altre situazioni
giuridicamente rilevanti, rispetto alle quali, peraltro, occorre realisticamente prendere atto che il
DOTTRINA
112
L’ordinamento sportivo…
giudice deve intervenire solo quando siano esauriti i rimedi interni alla giustizia sportiva e
comunque nel rispetto delle clausole compromissorie eventualmente previste da statuti e
regolamenti.
Vale la pena rilevare che la legge n. 280/2003, nella parte in cui fa salve le clausole
compromissorie, non intendeva certo salvare anche l’istituto del vincolo di giustizia. Una simile
conclusione è confermata non solo dalla semplice lettura della norma in questione (che parla
testualmente solo di “clausole compromissorie” e non di “vincolo di giustizia”), ma anche
dall’interpretazione logica e teleologica della stessa. Va da sè, dunque, che sarebbero da
considerarsi illegittimi provvedimenti sanzionatori posti in essere dalle federazioni nei confronti di
propri affiliati e/o tesserati rei di aver adito la magistratura statale senza aver previamente richiesto
l’autorizzazione alla federazione stessa allorchè la disputa verta su situazione rilevanti sotto il
profilo giuridico.
In considerazione, dunque, dell’ultimo intervento legislativo e delle più recenti pronunce
giurisprudenziali89 può affermarsi che l’oggetto dell’istituto del vincolo di giustizia dovrebbe essere
costituito esclusivamente dalla preclusione di proporre ricorso innanzi alla magistratura ordinaria
per l’impugnazione di provvedimenti non rilevanti sotto il profilo giuridico, siano essi di natura
tecnica o disciplinare.
Dall’analisi compiuta emerge come il fenomeno sportivo attraversi una fase di transizione che
può essere più agevolmente superata con l’aiuto del Diritto. Solo una regolamentazione chiara e
generale e non una “legislazione d’emergenza” potrà consentire allo Sport nazionale di superare
questo impasse e rifondarsi dalle radici al professionismo.
(*) Dottore in Giurisprudenza e praticante Avvocato
89
V. nota precedente
DOTTRINA
113
PARTE SECONDA
GIURISPRUDENZA
SOMMARIO:
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA’ EUROPEE, sentenza
pag.114
18 luglio 2006 : causa C-519/04P
TRIBUNALE DI UDINE , 16 gennaio 2006 – Giudice Grisaffi – Avv. S.L –S.A.
pag.130
TRIBUNALE DI MAGLIE , ordinanza 12 maggio 2006 – G.D. dott.ssa
pag.143
Portaluri
114
Corte di Giustizia delle comunità europee…
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA’ EUROPEE –
SENTENZA 18 LUGLIO 2006 – CAUSA C-519/04 P
L’attività sportiva è disciplinata dal diritto comunitario in quanto sia configurabile come
attività economica ai sensi dell’art. 2 CE.
La sola circostanza che una norma abbia un carattere puramente sportivo non sottrae
dall’ambito di applicazione del Trattato la persona che esercita l’attività disciplinata da tale norma
o l’organo che l’ha emanata.
Se un’attività sportiva rientra nell’ambito di applicazione del Trattato, i requisiti per il suo
esercizio sono sottoposti a tutti gli obblighi derivanti dalle varie disposizioni del Trattato. Le norme
che disciplinano la detta attività devono soddisfare i presupposti d’applicazione delle disposizioni
che, in particolare, sono finalizzate a garantire la libera circolazione dei lavoratori, la libertà di
stabilimento, la libera prestazione dei servizi o la concorrenza.
La circostanza che un regolamento puramente sportivo sia estraneo all’attività economica (artt.
39 e 49 CE) non significa che esso sia estraneo ai rapporti economici che interessano la
concorrenza (artt. 81 ed 82 CE).
La natura repressiva della regolamentazione antidoping e la gravità delle sanzioni applicabili
in caso di sua violazione sono in grado di produrre effetti negativi sulla concorrenza.
Per potersi sottrarre al divieto sancito dall’art. 81, n. 1, CE, le restrizioni imposte dalla
regolamentazione antidoping devono limitarsi a quanto è necessario per assicurare il corretto
svolgimento della competizione sportiva.
GIURISPRUDENZA
115
Corte di Giustizia delle comunità europee…
1. Con la presente impugnazione, i sigg. Meca-Medina e Majcen (in prosieguo, insieme: i
«ricorrenti») chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità
europee 30 settembre 2004, causa T-313/02, Meca-Medina e Majcen/Commissione (Racc. pag.
II-3291; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), per aver quest’ultimo respinto il loro ricorso di
annullamento della decisione della Commissione delle Comunità europee 1° agosto 2002, che
respinge la denuncia, depositata dai ricorrenti contro il Comité international olympique (Comitato
olimpico
internazionale;
in
prosieguo:
il
«CIO»)
intesa
ad
ottenere
l’accertamento
dell’incompatibilità di alcune disposizioni normative adottate da questo ed attuate dalla Fédération
internationale de natation (Federazione internazionale nuoto; in prosieguo: la «FINA») nonché di
alcune pratiche relative ai controlli antidoping con le norme comunitarie in materia di concorrenza e
di libera prestazione dei servizi (caso COMP/38158 – Meca-Medina e Majcen/CIO, in prosieguo: la
«decisione impugnata»).
Fatti della controversia
2. Il Tribunale ha riassunto la regolamentazione antidoping di cui trattasi (in prosieguo: la
«regolamentazione antidoping controversa») ai punti 1-6 della sentenza impugnata:
«1. Il (…) CIO è l’autorità suprema del Mouvement olympique (in prosieguo: il “Movimento
olimpico”), che riunisce le differenti federazioni sportive internazionali, tra cui la (…) FINA.
2. La FINA applica al nuoto, attraverso le sue Doping Control Rules (regole per il controllo
antidoping, nel testo vigente all’epoca dei fatti; in prosieguo: le “DC”), il codice antidoping del
Movimento olimpico. La regola DC 1.2, lett. a), definisce il doping come la “violazione che si
verifica quando una sostanza vietata viene trovata nei tessuti solidi o liquidi del corpo di uno
sportivo”. Tale definizione corrisponde a quella enunciata all’art. 2, n. 2, del citato codice
antidoping, secondo cui è qualificabile come doping “la presenza nell’organismo dell’atleta di una
sostanza vietata, la constatazione dell’uso di una tale sostanza o la constatazione dell’applicazione
di un metodo vietato”.
3. Il nandrolone e i suoi metaboliti, il norandrosterone (NA) e il noretiocolanolone (NE) (in
prosieguo denominati, collettivamente: il “nandrolone”) sono sostanze anabolizzanti vietate.
Tuttavia, secondo la prassi dei 27 laboratori accreditati dal CIO e dalla FINA e per tenere conto
della possibilità di una produzione endogena, e dunque non colpevole, di nandrolone, la presenza
GIURISPRUDENZA
116
Corte di Giustizia delle comunità europee…
di questa sostanza nei tessuti di atleti di sesso maschile è qualificata come doping soltanto oltre una
soglia di tolleranza di 2 nanogrammi (ng) per millilitro (ml) di urina.
4. Qualora si accerti un primo caso di doping con un anabolizzante, la regola DC 9.2, lett. a),
esige che l’atleta sia sospeso dalle competizioni per almeno quattro anni. Tale sanzione può tuttavia
essere ridotta, in applicazione della regola DC 9.2, ultima frase, e delle regole DC 9.3 e DC 9.10,
se l’atleta dimostra di non aver assunto scientemente la sostanza vietata oppure come detta
sostanza potesse essere presente nei suoi tessuti senza negligenza da parte sua.
5. Le sanzioni vengono irrogate dal Doping Panel (Comitato antidoping) della FINA, le cui
decisioni possono costituire oggetto di ricorso in appello dinanzi al Tribunal arbitral du sport
(Tribunale arbitrale dello sport; in prosieguo: il “TAS”), in virtù della regola DC 8.9. Il TAS, che
ha sede in Losanna, è finanziato e amministrato da un organismo indipendente dal CIO, il Conseil
international de l’arbitrage en matière de sport (Consiglio internazionale per l’arbitrato nello
sport; in prosieguo: il “CIAS”).
6. Le sentenze del TAS possono costituire oggetto di ricorso dinanzi al Tribunal fédéral suisse
(Tribunale federale svizzero), giudice competente per la riforma delle sentenze di arbitrato
internazionale emesse in Svizzera».
3. I fatti all’origine della controversia sono stati riassunti dal Tribunale ai punti 7-20 della
sentenza impugnata:
«7. I ricorrenti sono due atleti professionisti che praticano il nuoto di lunga distanza,
equivalente acquatico della maratona.
8. Nel corso di un controllo antidoping effettuato il 31 gennaio 1999 durante le competizioni di
Coppa del mondo di questa disciplina a Salvador de Bahia (Brasile), in occasione delle quali si
erano classificati, rispettivamente, primo e secondo, i ricorrenti sono risultati positivi al test contro
il nandrolone. Il tasso rilevato per il sig. D. Meca-Medina è stato di ng/ml 9,7 e per il sig. I. Majcen
di ng/ml 3,9.
9. L’8 agosto 1999 il Doping Panel della FINA ha adottato una decisione di sospensione dei
ricorrenti per un periodo di quattro anni.
10. Su appello dei ricorrenti, il TAS ha confermato, con sentenza arbitrale 29 febbraio 2000, la
decisione di sospensione.
GIURISPRUDENZA
117
Corte di Giustizia delle comunità europee…
11. Nel gennaio 2000, esperimenti scientifici hanno dimostrato che i metaboliti di nandrolone
possono essere prodotti in modo endogeno dall’organismo umano, ad un tasso che potrebbe
superare la soglia di tolleranza consentita, con il consumo di alcuni alimenti, come la carne di
verro.
12. Visti tali sviluppi, la FINA ed i ricorrenti hanno convenuto, con accordo arbitrale 20 aprile
2000, di deferire di nuovo la causa al TAS, ai fini di un riesame.
13. Con sentenza arbitrale 23 maggio 2001, il TAS ha ridotto la sanzione di sospensione dei
ricorrenti a due anni.
14. I ricorrenti non hanno proposto ricorso contro questa sentenza arbitrale dinanzi al Tribunal
fédéral suisse.
15. Con lettera del 30 maggio 2001, i ricorrenti hanno depositato una denuncia presso la
Commissione, a norma dell’art. 3 del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo
regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, n. 13, pag. 204),
lamentando la violazione degli artt. 81 CE e/o 82 CE.
16. Nella loro denuncia i ricorrenti hanno messo in discussione la compatibilità di alcune
disposizioni regolamentari adottate dal CIO ed applicate dalla FINA, oltre che di alcune prassi
relative al controllo antidoping, con la normativa comunitaria sulla concorrenza e sulla libera
prestazione dei servizi. In primo luogo, la fissazione della soglia di tolleranza a ng/ml 2
costituirebbe una pratica concordata tra il CIO ed i 27 laboratori da esso accreditati. Tale soglia
avrebbe scarse basi scientifiche e potrebbe condurre all’esclusione di atleti innocenti o
semplicemente negligenti. Nel caso dei ricorrenti, il superamento accertato della soglia di
tolleranza avrebbe potuto derivare dalla consumazione di un piatto contenente carne di verro. In
secondo luogo, l’adozione da parte del CIO di un meccanismo di responsabilità oggettiva oltre che
l’instaurazione di organi competenti per la soluzione arbitrale delle controversie in materia di
sport (il TAS ed il CIAS), insufficientemente indipendenti rispetto al CIO, rafforzerebbero il
carattere anticoncorrenziale della soglia in causa.
17. Secondo la detta denuncia, l’applicazione di questa normativa (in prosieguo denominata
indistintamente: le «regole antidoping controverse» o la «regolamentazione antidoping
controversa») condurrebbe alla violazione delle libertà economiche degli atleti, garantite in
particolare dall’art. 49 CE, e, dal punto di vista del diritto della concorrenza, alla violazione dei
diritti che gli atleti possono invocare a norma degli artt. 81 CE e 82 CE.
GIURISPRUDENZA
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Corte di Giustizia delle comunità europee…
18. Con lettera dell’8 marzo 2002, la Commissione, in applicazione dell’art. 6 del regolamento
(CE) della Commissione 22 dicembre 1998, n. 2842, relativo alle audizioni in taluni procedimenti a
norma dell’articolo [81 CE] e dell’articolo [82 CE] (GU L 354, pag. 18), ha indicato ai ricorrenti i
motivi per cui essa riteneva di non dover accogliere la denuncia.
19. Con lettera dell’11 aprile 2002, i ricorrenti hanno presentato alla Commissione le loro
osservazioni relative alla lettera dell’8 marzo 2002.
20. Con decisione 1º agosto 2002 (…), la Commissione ha respinto la denunzia dei ricorrenti,
dopo aver esaminato la regolamentazione antidoping controversa secondo i criteri di valutazione
del diritto della concorrenza e dopo essere pervenuta alla conclusione che tale regolamentazione
non ricadeva nell’ambito del divieto previsto dagli artt. 81 CE ed 82 CE (…)».
Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata
4. L’11 ottobre 2002 i ricorrenti hanno proposto dinanzi al Tribunale un ricorso diretto
all’annullamento della decisione controversa, deducendo tre motivi a sostegno del loro ricorso.
Innanzi tutto, la Commissione avrebbe commesso un errore manifesto di valutazione in fatto ed in
diritto ritenendo che il CIO non sia un’impresa ai sensi della giurisprudenza comunitaria. Inoltre,
essa avrebbe erroneamente applicato i criteri stabiliti dalla Corte nella sentenza 19 febbraio 2002,
causa C-309/99, Wouters e a. (Racc. pag. I-1577), ritenendo che la regolamentazione antidoping
controversa non costituisca una restrizione della concorrenza ai sensi dell’art. 81 CE. Infine, la
Commissione avrebbe commesso un errore manifesto di valutazione in fatto ed in diritto al punto 71
della motivazione della decisione impugnata, respingendo gli addebiti fatti valere dai ricorrenti ai
sensi dell’art. 49 CE nei confronti della regolamentazione antidoping.
5. Il 24 gennaio 2003 la Repubblica di Finlandia ha chiesto di intervenire a sostegno della
Commissione. Con ordinanza 25 febbraio 2003, il presidente della Quarta Sezione del Tribunale ha
ammesso tale intervento.
6. Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto il ricorso dei ricorrenti.
7. Ai punti 40 e 41 della sentenza impugnata, il Tribunale ha considerato, fondandosi sulla
giurisprudenza della Corte, che se i divieti sanciti dagli artt. 39 CE e 49 CE si applicano alle norme
adottate nel campo dello sport che riguardano l’aspetto economico che l’attività sportiva può
rivestire, invece i divieti che queste disposizioni del Trattato CE sanciscono non riguardano le
GIURISPRUDENZA
119
Corte di Giustizia delle comunità europee…
regole puramente sportive, cioè quelle regole che riguardano le questioni che interessano
esclusivamente lo sport e che, come tali, sono estranee all’attività economica.
8. Il Tribunale ha rilevato, al punto 42 della sentenza impugnata, che la circostanza che un
regolamento puramente sportivo sia estraneo all’attività economica, con la conseguenza che tale
regolamento non ricade nell’ambito di applicazione degli artt. 39 CE e 49 CE, significa, parimenti,
che esso è estraneo ai rapporti economici che interessano la concorrenza, con la conseguenza che
esso non ricade nemmeno nell’ambito di applicazione degli artt. 81 CE ed 82 CE.
9. Ai punti 44 e 47 della sentenza impugnata, il Tribunale ha considerato che il divieto del
doping si basa su considerazioni puramente sportive ed è dunque estraneo a qualsiasi
considerazione economica. Esso è pervenuto alla conclusione che le regole per la lotta antidoping
non possono rientrare nell’ambito di applicazione delle disposizioni del Trattato sulle libertà
economiche e, in particolare, degli artt. 49 CE, 81 CE ed 82 CE.
10. Il Tribunale ha considerato, al punto 49 della sentenza impugnata, che la regolamentazione
antidoping controversa, che non persegue alcuno scopo discriminatorio, è intimamente legata allo
sport in quanto tale. Esso ha poi rilevato, al punto 57 della sentenza impugnata, che la circostanza
che il CIO abbia potuto anche aver presente la preoccupazione, legittima secondo i ricorrenti stessi,
di preservare il potenziale economico dei Giochi olimpici in occasione della fissazione della
regolamentazione antidoping controversa non comportava, di per sé, la conseguenza di non dover
riconoscere a tali regole una natura puramente sportiva.
11. Al punto 66 della sentenza impugnata, il Tribunale ha inoltre precisato che, avendo la
Commissione concluso nella decisione controversa che la regolamentazione antidoping controversa
esulava dall’ambito di applicazione degli artt. 81 CE ed 82 CE, il riferimento contenuto nella
medesima decisione al metodo di analisi della citata sentenza Wouters e a. non può comunque porre
nuovamente in dubbio tale conclusione. Il Tribunale ha poi considerato, al punto 67 della sentenza
impugnata, che la contestazione della detta regolamentazione rientrava nella competenza degli
organi di composizione delle controversie sportive.
12. Il Tribunale ha parimenti respinto il terzo motivo dedotto dai ricorrenti, considerando, al
punto 68 della sentenza impugnata, che la regolamentazione antidoping controversa, essendo
puramente sportiva, non rientrava nell’ambito di applicazione dell’art. 49 CE.
GIURISPRUDENZA
120
Corte di Giustizia delle comunità europee…
Conclusioni dell’impugnazione
13. Nel loro ricorso di impugnazione, i ricorrenti chiedono che la Corte voglia:
– annullare la sentenza impugnata;
– accogliere le conclusioni presentate dai ricorrenti dinanzi al Tribunale;
– condannare la Commissione alle spese dei due gradi di giudizio.
14. La Commissione chiede che la Corte voglia:
– in via principale, respingere interamente il ricorso;
– in subordine, accogliendo le conclusioni presentate in primo grado, respingere il ricorso diretto
all’annullamento della decisione controversa;
– condannare i ricorrenti alle spese, ivi comprese quelle del procedimento di primo grado.
15. La Repubblica di Finlandia chiede che la Corte voglia:
– respingere interamente il ricorso.
Sull’impugnazione
16. Con la loro argomentazione, i ricorrenti deducono quattro motivi a sostegno della loro
impugnazione. Con il primo motivo, il quale si suddivide in più parti, essi lamentano che la
sentenza impugnata sarebbe viziata da un errore di diritto in quanto il Tribunale ha considerato che
la regolamentazione antidoping controversa non rientrava nell’ambito di applicazione degli artt. 49
CE, 81 CE e 82 CE. Con il secondo motivo, essi sostengono che la sentenza impugnata sarebbe
viziata da snaturamento del contenuto della decisione controversa. Con il terzo motivo, essi
lamentano che la detta sentenza sarebbe viziata da errori di forma a causa di motivazioni
contraddittorie e di motivazione insufficiente. Con il quarto motivo, essi sostengono che la sentenza
impugnata sarebbe stata pronunciata al termine di una procedura irregolare, poiché il Tribunale ha
violato i diritti della difesa.
Sul primo motivo
17. Il primo motivo attinente ad un errore di diritto si suddivide in tre parti. I ricorrenti
sostengono, in primo luogo, che il Tribunale ha interpretato erroneamente la giurisprudenza della
Corte relativa al rapporto tra le regolamentazioni sportive e l’ambito d’applicazione delle
GIURISPRUDENZA
121
Corte di Giustizia delle comunità europee…
disposizioni del Trattato. Essi lamentano, in secondo luogo, che il Tribunale non ha tenuto conto
della portata, in merito a tale giurisprudenza, delle norme che vietano il doping in generale e della
regolamentazione antidoping controversa in particolare. Essi sostengono, in terzo luogo, che il
Tribunale ha ingiustamente considerato che la detta regolamentazione non poteva essere assimilata
ad un comportamento di mercato rientrante nell’ambito di applicazione degli artt. 81 CE e 82 CE e
quindi non poteva essere assoggettata al metodo di analisi elaborato dalla Corte nella sua citata
sentenza Wouters e a.
Sulla prima parte
– Argomenti delle parti
18. Secondo i ricorrenti, il Tribunale avrebbe male interpretato la giurisprudenza della Corte
secondo la quale l’esercizio dell’attività sportiva sarebbe disciplinato dal diritto comunitario solo in
quanto sia configurabile come un’attività economica. In particolare, contrariamente a quanto
dichiarato dal Tribunale, la Corte non avrebbe mai escluso in maniera generale regolamentazioni
puramente sportive dall’ambito di applicazione delle disposizioni del Trattato. Sebbene la Corte
abbia considerato che la formazione delle squadre nazionali era una questione che riguardava
unicamente lo sport e, come tale, era estranea all’attività economica, il Tribunale non poteva
dedurne che ogni regola relativa ad una questione riguardante unicamente lo sport sia, come tale,
estranea all’attività economica, e sfugga quindi ai divieti sanciti dagli artt. 39 CE, 49 CE, 81 CE e
82 CE. Quindi, il concetto di regola puramente sportiva dovrebbe essere limitato alle sole regole
relative alla composizione e alla formazione delle squadre nazionali.
19. I ricorrenti sostengono inoltre che il Tribunale avrebbe erroneamente considerato che una
regolamentazione che riguarda unicamente lo sport inerisca necessariamente all’organizzazione e al
corretto svolgimento della competizione, mentre, secondo la giurisprudenza della Corte, essa
dovrebbe riguardare anche la natura ed il contesto specifico degli incontri sportivi. Essi sostengono
altresì che, data la natura materialmente indivisibile dell’attività sportiva professionistica, la
distinzione operata dal Tribunale tra la dimensione economica e la dimensione non economica del
medesimo atto sportivo sarebbe del tutto artificiosa.
20. Per la Commissione, il Tribunale ha fatto una corretta applicazione della giurisprudenza
della Corte secondo la quale le regolamentazioni puramente sportive si sottrarrebbero, in quanto
tali, alle norme sulla libertà di circolazione. Si tratterebbe dunque effettivamente di un’eccezione di
GIURISPRUDENZA
122
Corte di Giustizia delle comunità europee…
portata generale per le regole puramente sportive, che non sarebbe quindi limitata alla composizione
e alla formazione di squadre nazionali. Peraltro, essa non rileva in che modo una norma che
riguarda unicamente lo sport e che attiene alla specificità degli incontri potrebbe non inerire al
corretto svolgimento degli incontri.
21.
Per il governo finlandese, l’approccio del Tribunale sarebbe conforme al diritto
comunitario.
– Giudizio della Corte
22.
Si deve ricordare che, considerati gli obiettivi della Comunità, l’attività sportiva è
disciplinata dal diritto comunitario in quanto sia configurabile come attività economica ai sensi
dell’art. 2 CE (v. sentenze 12 dicembre 1974, causa 36/74, Walrave e Koch, Racc. pag. 1405, punto
4; 14 luglio 1976, causa 13/76, Donà, Racc. pag. 1333, punto 12; 15 dicembre 1995, causa
C-415/93, Bosman, Racc. pag. I-4921, punto 73; 11 aprile 2000, cause riunite C-51/96 e C-191/97,
Deliège, Racc. pag. I-2549, punto 41, e 13 aprile 2000, causa C-176/96, Lehtonen e Castors Braine,
Racc. pag. I-2681, punto 32).
23. Così, quando un’attività sportiva riveste il carattere di una prestazione di lavoro subordinato
o di una prestazione di servizi retribuita come nel caso dell’attività degli sportivi professionisti o
semiprofessionisti (v., in tal senso, citate sentenze Walrave e Koch, punto 5, Donà, punto 12, e
Bosman, punto 73), essa ricade in particolare nell’ambito di applicazione degli artt. 39 CE e segg. o
degli artt. 49 CE e segg.
24. Tali disposizioni comunitarie in materia di libera circolazione delle persone e di libera
prestazione dei servizi non disciplinano soltanto gli atti delle autorità pubbliche, ma si estendono
anche alle normative di altra natura dirette a disciplinare collettivamente il lavoro subordinato e le
prestazioni di servizi (citate sentenze Deliège, punto 47, nonché Lethonen e Castors Braine, punto
35).
25. La Corte ha tuttavia dichiarato che i divieti che queste disposizioni del Trattato sanciscono
non riguardano le regole che vertono su questioni che interessano esclusivamente lo sport e che,
come tali, sono estranee all’attività economica (v., in tal senso, sentenza Walrave e Koch, cit., punto
8).
26. Per quanto riguarda la difficoltà di separare gli aspetti economici da quelli sportivi di
un’attività sportiva, la Corte ha riconosciuto, nella citata sentenza Donà, punti 14 e 15, che le norme
comunitarie sulla libera circolazione delle persone e dei servizi non ostano a normative o a prassi
giustificate da motivi non economici, inerenti alla natura e al contesto specifici di talune
GIURISPRUDENZA
123
Corte di Giustizia delle comunità europee…
competizioni sportive. La Corte, però, ha sottolineato che tale restrizione delle sfera d’applicazione
delle dette norme deve restare entro i limiti del suo oggetto specifico. Pertanto, essa non può essere
invocata per escludere un’intera attività sportiva dalla sfera d’applicazione del Trattato (citate
sentenze Bosman, punto 76, e Deliège, punto 43).
27. Alla luce di tutte queste considerazioni, si evince che la sola circostanza che una norma
abbia un carattere puramente sportivo non sottrae dall’ambito di applicazione del Trattato la persona
che esercita l’attività disciplinata da tale norma o l’organo che l’ha emanata.
28. Se l’attività sportiva di cui trattasi rientra nell’ambito di applicazione del Trattato, i requisiti
per il suo esercizio sono allora sottoposti a tutti gli obblighi derivanti dalle varie disposizioni del
Trattato. Ne consegue che le norme che disciplinano la detta attività devono soddisfare i presupposti
d’applicazione di tali disposizioni che, in particolare, sono finalizzate a garantire la libera
circolazione dei lavoratori, la libertà di stabilimento, la libera prestazione dei servizi o la
concorrenza.
29. Così, nel caso in cui l’esercizio di tale attività sportiva debba essere valutato alla luce delle
disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei lavoratori o alla libera prestazione dei
servizi, occorrerà verificare se le norme che disciplinano la detta attività soddisfino i presupposti
d’applicazione degli artt. 39 CE e 49 CE, ossia non costituiscano restrizioni vietate dai detti articoli
(sentenza Deliège, cit., punto 60).
30. Del pari, nel caso in cui l’esercizio della detta attività debba essere valutato alla luce delle
disposizioni del Trattato relative alla concorrenza, occorrerà verificare se, tenuto conto dei
presupposti d’applicazione propri degli artt. 81 CE e 82 CE, le norme che disciplinano la detta
attività provengano da un’impresa, se quest’ultima limiti la concorrenza o abusi della sua posizione
dominante, e se tale restrizione o tale abuso pregiudichi il commercio tra gli Stati membri.
31. Parimenti, quand’anche si consideri che tali norme non costituiscono restrizioni alla libera
circolazione perché non riguardano questioni che interessano esclusivamente lo sport e, come tali,
sono estranee all’attività economica (citate sentenze Walrave e Koch nonché Donà), tale circostanza
non implica né che l’attività sportiva interessata si sottragga necessariamente dall’ambito di
applicazione degli artt. 81 CE e 82 CE né che le dette norme non soddisfino i presupposti
d’applicazione propri dei detti articoli.
32. Orbene, al punto 42 della sentenza impugnata, il Tribunale ha considerato che la circostanza
che un regolamento puramente sportivo sia estraneo all’attività economica, con la conseguenza che
tale regolamento non ricade nell’ambito di applicazione degli artt. 39 CE e 49 CE, significa,
GIURISPRUDENZA
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Corte di Giustizia delle comunità europee…
parimenti, che esso è estraneo ai rapporti economici che interessano la concorrenza, con la
conseguenza che esso non ricade nemmeno nell’ambito di applicazione degli artt. 81 CE ed 82 CE.
33.
Ritenendo che una regolamentazione poteva in tal modo essere sottratta ipso facto
dall’ambito di applicazione dei detti articoli soltanto perché era considerata puramente sportiva alla
luce dell’applicazione degli artt. 39 CE e 49 CE, senza che fosse necessario verificare previamente
se tale regolamentazione rispondesse ai presupposti d’applicazione propri degli artt. 81 CE e 82 CE,
menzionati al punto 30 della presente sentenza, il Tribunale è incorso in un errore di diritto.
34. Pertanto, i ricorrenti hanno ragione a sostenere che il Tribunale, al punto 68 della sentenza
impugnata, ha ingiustamente respinto la loro domanda con la motivazione che la regolamentazione
antidoping controversa non rientrava né nell’ambito di applicazione dell’art. 49 CE né nel diritto in
materia di concorrenza. Occorre, quindi annullare la sentenza impugnata, senza che occorra
esaminare né le altre parti del primo motivo né gli altri motivi dedotti dai ricorrenti.
Nel merito
35. Conformemente all’art. 61 dello Statuto della Corte di giustizia, poiché lo stato degli atti lo
consente, va statuito nel merito sulle conclusioni delle ricorrenti dirette all’annullamento delle
decisioni controverse.
36. Occorre ricordare al riguardo che i ricorrenti hanno dedotto tre motivi a sostegno del loro
ricorso. Essi hanno addebitato alla Commissione di aver considerato, da un lato, che il CIO non era
un’impresa ai sensi della giurisprudenza comunitaria, dall’altro, che la regolamentazione antidoping
controversa non costituiva una restrizione della concorrenza ai sensi dell’art. 81 CE, infine, che la
loro denuncia non conteneva fatti che potessero portare alla conclusione che poteva essersi
verificata una violazione dell’art. 49 CE.
Sul primo motivo
37. I ricorrenti sostengono che la Commissione avrebbe sbagliato a non qualificare il CIO come
impresa ai fini dell’applicazione dell’art. 81 CE.
38. È tuttavia pacifico che, per decidere sulla denuncia di cui era investita dai ricorrenti alla
luce delle disposizioni degli artt. 81 CE e 82 CE, la Commissione ha inteso considerare, come
risulta esplicitamente dal punto 37 della decisione controversa, che il CIO doveva essere qualificato
GIURISPRUDENZA
125
Corte di Giustizia delle comunità europee…
come impresa e, in seno al movimento olimpico, come una associazione di associazioni
internazionali e nazionali di imprese.
39. Tale motivo, essendo fondato su una lettura errata della decisione controversa, è ininfluente
e per tale ragione deve essere respinto.
Sul secondo motivo
40. I ricorrenti sostengono che la Commissione ha ingiustamente considerato, per respingere la
loro denuncia, che la regolamentazione antidoping controversa non costituiva una restrizione della
concorrenza ai sensi dell’art. 81 CE. Secondo loro, la Commissione ha erroneamente applicato i
criteri stabiliti dalla Corte nella citata sentenza Wouters e a. per giustificare gli effetti restrittivi della
regolamentazione antidoping controversa sulla libertà d’azione dei ricorrenti. A loro avviso, da un
lato, la detta regolamentazione, infatti, non inerirebbe per niente, contrariamente a quanto ritenuto
dalla Commissione, ai soli obiettivi intesi a preservare l’integrità della competizione e quella della
salute degli atleti, ma mirerebbe a garantire gli interessi economici del CIO. Dall’altro, tale
regolamentazione, fissando il limite massimo a 2 ng/ml di urina, che non risponde ad alcun criterio
di certezza scientifica, sarebbe eccessiva e andrebbe oltre quanto necessario per combattere
efficacemente il doping.
41. Occorre rilevare, innanzi tutto, che sebbene i ricorrenti sostengano che la Commissione ha
commesso un errore manifesto di valutazione assimilando il contesto globale in cui il CIO ha
adottato la regolamentazione controversa a quello in cui l’ordine olandese degli avvocati aveva
adottato il regolamento su cui la Corte è stata chiamata a pronunciarsi nella sentenza Wouters e a.,
essi non corredano tale motivo di precisazioni che consentano di valutarne la fondatezza.
42. Occorre rilevare inoltre che la compatibilità di una regolamentazione con le norme
comunitarie in materia di concorrenza non può essere valutata in astratto (v., in tal senso, sentenza
15 dicembre 1994, causa C-250/92, DLG, Racc. pag. -5641, punto 31). Non ogni accordo tra
imprese o ogni decisione di un’associazione di imprese che restringa la libertà d’azione delle parti o
di una di esse ricade necessariamente sotto il divieto sancito all’art. 81, n. 1, CE.
Infatti, ai fini dell’applicazione di tale disposizione ad un caso di specie, occorre innanzi tutto
tener conto del contesto globale in cui la decisione dell’associazione di imprese di cui trattasi è stata
adottata o dispiega i suoi effetti e, più in particolare, dei suoi obiettivi. Occorre poi verificare se gli
GIURISPRUDENZA
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Corte di Giustizia delle comunità europee…
effetti restrittivi della concorrenza che ne derivano ineriscano al perseguimento di tali obiettivi
(sentenza Wouters e a., cit, punto 97) e siano ad essi proporzionati.
43. Per quanto riguarda il contesto globale in cui la regolamentazione controversa è stata
adottata, la Commissione ha potuto considerare a giusto titolo che l’obiettivo generale di tale
regolamentazione è inteso, la qual cosa non è contestata da nessuna delle parti, a combattere il
doping in vista di uno svolgimento leale della competizione sportiva e include la necessità di
assicurare la parità di chances tra gli atleti, la loro salute, l’integrità e l’obiettività della
competizione nonché i valori etici nello sport.
44. Peraltro, dato che per garantire l’esecuzione del divieto del doping sono necessarie sanzioni,
l’effetto di queste ultime sulla libertà d’azione degli atleti va considerato, in linea di principio, come
inerente alle regole antidoping.
45. Quindi, anche qualora si ritenga che la regolamentazione antidoping controversa vada
considerata una decisione di associazioni di imprese che limita la libertà d’azione dei ricorrenti,
essa non può, tuttavia, costituire necessariamente una restrizione di concorrenza incompatibile con
il mercato comune ai sensi dell’art. 81 CE, perché è giustificata da un obiettivo legittimo. Infatti,
una limitazione del genere inerisce all’organizzazione ed al corretto svolgimento della competizione
sportiva ed è proprio finalizzata ad assicurare un sano spirito di emulazione tra gli atleti.
46. I ricorrenti, anche se non contestano che tale obiettivo sia reale, sostengono però che la
regolamentazione antidoping controversa ha anche lo scopo di garantire gli interessi economici del
CIO e che per preservare tale scopo sono state adottate regole eccessive come quelle contestate nel
caso di specie. Secondo loro, tali regole non possono quindi essere considerate inerenti al corretto
svolgimento della competizione e sottrarsi ai divieti sanciti dall’art. 81 CE.
47. A questo proposito, occorre ammettere che la natura repressiva della regolamentazione
antidoping controversa e la gravità delle sanzioni applicabili in caso di sua violazione sono in grado
di produrre effetti negativi sulla concorrenza perché potrebbero, nel caso in cui tale sanzioni
s’avverassero, alla fine, immotivate, comportare l’ingiustificata esclusione dell’atleta dalle
competizioni e dunque falsare le condizioni di esercizio dell’attività in questione. Ne consegue che,
per potersi sottrarre al divieto sancito dall’art. 81, n. 1, CE, le restrizioni così imposte da tale
regolamentazione devono limitarsi a quanto è necessario per assicurare il corretto svolgimento della
competizione sportiva (v., in tal senso, sentenza DLG, cit., punto 35).
GIURISPRUDENZA
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Corte di Giustizia delle comunità europee…
48. Una regolamentazione del genere potrebbe infatti rivelarsi eccessiva, da un lato nella
determinazione delle condizioni atte a fissare la linea di demarcazione tra le situazioni che rientrano
nel doping sanzionabili e quelle che non vi rientrano, e dall’altro nella severità delle dette sanzioni.
49.
Nel caso di specie, tale linea di demarcazione è individuata nella regolamentazione
antidoping controversa dalla soglia di 2 ng/ml di urina oltre la quale la presenza di nandrolone nel
corpo dell’atleta costituisce doping. I ricorrenti contestano tale regola sostenendo che la soglia così
calcolata sarebbe fissata ad un livello eccessivamente basso, il quale non poggerebbe su alcun
criterio di certezza scientifica.
50. Tuttavia, i ricorrenti non dimostrano che la Commissione avrebbe commesso un errore
manifesto di valutazione ritenendo legittima tale regola.
51. Infatti, è noto che il nandrolone è una sostanza anabolizzante la cui presenza nel corpo degli
atleti è in grado di migliorare le loro prestazioni e di falsare lo svolgimento leale delle competizioni
cui gli interessati partecipano. Il principio alla base del divieto che colpisce tale sostanza è pertanto
giustificato, tenuto conto dell’obiettivo della regolamentazione antidoping.
52. È altresì pacifico che tale sostanza può essere prodotta a livello endogeno e che, per tener
conto di tale fenomeno, le istanze sportive, e segnatamente il CIO tramite la regolamentazione
antidoping controversa, hanno ammesso che la presenza della detta sostanza è qualificata come
doping solo quando oltrepassa una certa soglia. Quindi, è soltanto nell’ipotesi in cui, tenuto conto
dello stato delle conoscenze scientifiche al momento dell’adozione della regolamentazione
antidoping controversa o anche al momento dell’applicazione che ne è stata fatta per sanzionare i
ricorrenti, nel 1999, la soglia di tolleranza sia fissata ad un livello talmente basso da dover ritenere
che non tenga sufficientemente conto di tale fenomeno, che la detta regolamentazione dovrebbe
essere considerata ingiustificata alla luce dell’obiettivo cui era finalizzata.
53.
Orbene, dagli elementi del fascicolo risulta che al momento rilevante, la produzione
endogena media osservata in tutti gli studi allora pubblicati era 20 volte inferiore a 2 ng/ml di urina
e che il valore massimo della produzione endogena osservata era inferiore di circa un terzo.
Nonostante i ricorrenti sostengano che, a partire dal 1993, il CIO non poteva ignorare il rischio
segnalato da un esperto che il semplice consumo di una quantità limitata di verro poteva portare
atleti perfettamente innocenti ad oltrepassare la soglia in questione, comunque non è accertato che
al momento rilevante tale rischio sia stato confermato dalla maggioranza della comunità scientifica.
Inoltre, i risultati degli studi e degli esperimenti condotti in materia dopo l’adozione della decisione
controversa sono, comunque, ininfluenti sulla legittimità di quest’ultima.
GIURISPRUDENZA
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Corte di Giustizia delle comunità europee…
54. Ciò premesso, e poiché i ricorrenti non precisano a quale livello la soglia di tolleranza in
questione doveva essere fissata al momento rilevante, non risulta che le restrizioni che impongono
tale soglia agli sportivi professionisti vadano al di là di quanto necessario per assicurare lo
svolgimento e il corretto funzionamento delle competizioni sportive.
55.
Poiché i ricorrenti non hanno peraltro lamentato la natura eccessiva delle sanzioni
applicabili e irrogate nel caso di specie, non è stata dimostrata la sproporzionatezza della
regolamentazione antidoping controversa.
56. Di conseguenza occorre respingere il secondo motivo.
Sul terzo motivo
57. I ricorrenti sostengono che la decisione controversa è viziata da un errore di diritto in
quanto respinge, al punto 71, la loro tesi secondo la quale le regole del CIO violano le disposizioni
dell’art. 49 CE.
58. Si deve tuttavia rilevare che l’istanza formulata dai ricorrenti dinanzi al Tribunale verte
sulla legittimità di una decisione adottata dalla Commissione al termine di un procedimento aperto
per una denuncia depositata in conformità del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17,
primo regolamento d’applicazione degli articoli [81] e [82] del Trattato (GU 1962, n. 13, pag. 204).
Ne consegue che il controllo giurisdizionale su tale decisione deve necessariamente essere
circoscritto alle regole di concorrenza quali risultano dagli artt. 81 CE e 82 CE, e che quindi non
può estendersi al rispetto delle altre disposizioni del Trattato (v., in tal senso, ordinanza 23 febbraio
2006, causa C-171/05 P, Piau, non pubblicata nella Raccolta, punto 58).
59. Pertanto, a prescindere dalla ragione per la quale la Commissione ha respinto l’argomento
fatto valere dai ricorrenti rispetto all’art. 49 CE, il motivo da essi dedotto è ininfluente e deve quindi
essere anch’esso respinto.
60. Alla luce di tutto quanto precede, occorre dunque respingere il ricorso proposto dai
ricorrenti contro la decisione controversa.
GIURISPRUDENZA
129
Corte di Giustizia delle comunità europee…
Sulle spese
61. A norma dell’art. 122, primo comma, del regolamento di procedura, quando l’impugnazione
è respinta, o quando l’impugnazione è accolta e la controversia viene definitivamente decisa dalla
Corte, quest’ultima statuisce sulle spese. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del medesimo regolamento,
applicabile al procedimento di impugnazione in forza del successivo art. 118, la parte soccombente
è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. In forza dell’art. 69, n. 3, dello stesso
regolamento, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, ovvero per motivi
eccezionali, la Corte può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese.
Quanto al n. 4, primo comma, della medesima disposizione, esso dispone che gli Stati membri
intervenuti nella causa sopportino le proprie spese.
62. Poiché la Commissione ha concluso chiedendo la condanna dei ricorrenti e questi ultimi
sono rimasti sostanzialmente soccombenti, occorre condannarli alle spese relative sia al presente
giudizio sia a quello dinanzi al Tribunale. La Repubblica di Finlandia sopporterà le proprie spese.
Per questi motivi la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:
1) La sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 30 settembre 2004, causa
T-313/02, Meca-Medina e Majcen/Commissione, è annullata.
2) Il ricorso proposto dinanzi al Tribunale di primo grado con il numero di causa T-313/02 e
diretto all’annullamento della decisione della Commissione 1° agosto 2002 che respinge la
denuncia dei sigg. Meca-Medina e Majcen è respinto.
3) I sigg. Meca-Medina e Majcen sono condannati alle spese relative sia al presente giudizio sia
a quello dinanzi al Tribunale.
4) La Repubblica di Finlandia sopporterà le proprie spese.
GIURISPRUDENZA
130
Tribunale di Udine…
TRIBUNALE DI UDINE , 16 GENNAIO 2006 - GIUDICE GRISAFFI
AVV. S.L – S.A
Quando l’oggetto del mandato professionale, conferito dal calciatore professionista
all’avvocato, iscritto anche all’albo dei procuratori sportivi, coincide nella sostanza con l’attività
tipica del “procuratore sportivo”, così come veniva definita dal “Regolamento per l’esercizio
dell’attività di procuratore sportivo, tale attività non può essere sottratta alle regole
dell’ordinamento sportivo.
Non appare contestabile la potestà dell’ordinamento sportivo, nell’esercizio della potestà
organizzativa riconosciuta alle federazioni sportive dall’art. 14 2° comma L. 23/3/1981 n. 91, di
prevedere con regolamento che il procuratore dell’atleta sia dotato di una specifica preparazione
professionale sia giuridica che sportiva e che lo stesso sia soggetto alla potestà disciplinare per le
prestazioni propriamente sportive fornite in contrasto con il Regolamento.
Anche l’avvocato, iscritto nel relativo albo, qualora svolga un’attività corrispondente a quella
dell’agente di calciatore è tenuto, a norma dell’art. 12 dello stesso Regolamento all’osservanza
delle norme federali statutarie e regolamentari della F.I.G.C.
Con l’iscrizione all’apposito albo, i soggetti manifestano la volontà di rispettare anche tutte
quelle regole che disciplinano i futuri contratti esplicanti effetti nell’ambito sportivo ed il mancato
rispetto di queste norme se non comporta la nullità dei contratti per violazione di norme
imperative, rileva comunque sotto il profilo della meritevolezza.
Ogni mandato conferito dal calciatore professionista al procuratore sportivo, a pena di nullità,
oltre a dover essere conferito per atto scritto, utilizzando i moduli predisposti per ciascuna stagione
sportiva dal F.I.G.C., deve essere conforme alle prescrizioni del modello-tipo allegato B al
Regolamento e poi entro venti giorni dal conferimento deve essere depositato presso la F.I.G.C. La
sanzione per tale inosservanza è radicale, in quanto “gli incarichi non depositati o non spediti sono
irrilevanti nell’ordinamento federale” e non hanno giuridica efficacia nell’ordinamento federale.
Non può essere meritevole di tutela nell’ordinamento statale ciò che non è efficace
nell’ordinamento sportivo per i soggetti che alle regole di quest’ultimo hanno accettato di
assoggettarsi.
GIURISPRUDENZA
131
Tribunale di Udine…
- omissis –
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 10/1/03 l’Avv. L. S. conveniva in giudizio il calciatore
professionista S. A. esponendo:
che con contratto in data 24/6/99 il calciatore professionista S. A. aveva conferito all’Avv. L. S.,
che svolgeva anche l’attività di consulenza e assistenza in materia sportiva ed è iscritto
nell’apposito albo, l’incarico in via esclusiva e per la durata di anni cinque, di rappresentarlo ed
assisterlo nell’attività diretta alla definizione della durata e del compenso del contratto di
prestazione sportiva con società di calcio professionistico, all’assistenza nel rapporto con la Società,
alla cessione, anche a favore di soggetti diversi dalle Società di calcio, dell’utilizzo dell’immagine,
del nome o di quant’altro consimile del predetto calciatore professionista e, comunque, alla
redazione e stipula di tutti i relativi contratti; che con tale contratto era stato pattuito un
corrispettivo, comprensivo di ogni spesa, dovuto dal calciatore nelle misure percentuali massime del
10% per i contratti di prestazione sportiva e del 25% dei contratti di cessione dell’utilizzo
dell’immagine, del nome o di quant’altro consimile; che inoltre nel contratto era stata stabilita una
penale di lire 500 milioni a carico del calciatore qualora lo stesso avesse sottoscritto un qualsiasi
documento contratto, compromesso, senza le presenza o l’autorizzazione scritta dell’attore; che in
data 21/7/99, grazie all’opera ed all’assistenza professionale dell’attore era stato stipulato un
contratto di prestazioni sportive tra il convenuto e la Hellas Verona FC spa; che con tale contratto il
convenuto si era impegnato a prestare la propria attività sportiva in detta squadra per le stagioni
sportive dal 1999 sino al 2003 per i seguenti compensi: 1999/2000 lire 908.000.000; 2000/2001 lire
1.103.000.000; anno 2001/2002 lire 1.288.400.000; anno 2002/2003 lire 1.381.000.000; che
pertanto il compenso, pari al 10%, spettante all’attore in forza del contratto stipulato tra le parti
ammontava a complessive lire 468.120.000 oltre l’IVA e CPA di legge; che, limitatamente al
compenso relativo alla prima stagione, la soc. Hellas si era accollata parte del compenso, ossia lire
40 milioni, residuando un debito del convenuto verso l’attore di lire 428.120.000 oltre l’IVA e CPA;
che inoltre il convenuto in violazione del contratto aveva stipulato in data 31/8/2002 il contratto di
prestazioni sportive con la soc.
Brescia con grave pregiudizio del nome e del nome dell’immagine professionale dell’attore e
che pertanto il convenuto era obbligato a pagare all’attore anche la penale prevista contrattualmente
pari a lire 500 milioni.
GIURISPRUDENZA
132
Tribunale di Udine…
Concludeva quindi l’attore chiedendo la condanna del convenuto al pagamento della
complessiva somma di lire 928.120.000, pari ad Euro 479.333,97 oltre accessori.
Si costituiva il convenuto contestando la fondatezza della pretesa attorea.
In linea di fatto aggiungeva a quanto esposto dall’attore: che le parti del giudizio erano entrambi
soggetti dell’ordinamento sportivo, il convenuto in quanto calciatore professionista tesserato alla
F.I.G.C., l’attore quale procuratore sportivo iscritto nell’apposito albo tenuto dalla F.I.G.C.; che
prima del contratto per cui era causa, in data 23/9/98, l’Avv. S. aveva sottoscritto con la Parma a.c.
Spa una scrittura avente per oggetto un mandato a perfezionare l’accordo per il trasferimento del
calciatore S. A. dalla società croata Hajduk Spalato allo stesso Parma, e che perfezionatosi
l’accordo il Parma aveva versato all’Avv. S. lire 400.000.000 oltre IVA e CPA e che in data 2/3/1999
il convenuto aveva per parte sua versato l’importo di 300.000 marchi. In linea di diritto esponeva:
che le norme che regolano i rapporti tra le società e gli sportivi professionisti sono regolate dalla
legge n. 91 del 23/3/81 il cui art. 2 stabilisce l’applicabilità della legge stessa agli atleti, agli
allenatori, ai direttori tecnico sportivi ed ai preparatori atletici; che tali norme debbono ritenersi
applicabili, così come riconosciuto dalla giurisprudenza sul punto, anche ai procuratori sportivi, la
cui attività era all’epoca dei fatti di cui è causa relativa dall’allora vigente “Regolamento
dell’attività di procuratore sportivo”; che a norma dell’allora vigente regolamento l’incarico al
procuratore sportivo avrebbe dovuto essere conferito, a pena di nullità, “per atto scritto conforme
alle prescrizioni del modello-tipo allegato al regolamento, utilizzando i moduli predisposti, per
ciascuna stagione sportiva dalla F.I.G.C. In mancanza dell’incarico, il procuratore non può
svolgere alcuna attività a favore e nell’interesse del calciatore; all’atto del conferimento
dell’incarico devono redigersi e sottoscriversi tre copie.
Di queste: due copie vengono trattenute dal procuratore sportivo per essere una conservata
definitivamente anche al fine della esibizione alla società e/o alla persona fisica o giuridica di cui
all’art. 1 comma 2; l’altra depositata ai sensi del successivo comma 3 (…)”;
che sebbene la nullità fosse prevista non da una legge, bensì da un mero “contratto normativo”
vincolante per entrambe le parti, in quanto appartenenti all’ordinamento sportivo che l’ha prevista,
tali formalità dovevano configurarsi quali forme convenzionali regolate dall’art. 1352 c.c.; che
inoltre, in base alle successive norme del regolamento, che imponevano formalità di deposito, gli
incarichi non depositati o non spediti dovevano considerarsi irrilevanti e privi di giuridica efficacia
per l’ordinamento federale e quindi anche per l’ordinamento statale.
GIURISPRUDENZA
133
Tribunale di Udine…
Ciò premesso il convenuto rilevava che il contratto sul quale l’attore aveva fondato le sue
pretese di condanna, pur essendo stato stipulato tra soggetti dell’ordinamento, e pur perseguendo lo
scopo pratico dei modelli predisposti dalla F.I.G.C. era stato stipulato in dispregio sia della “forma
in senso stretto” che della “forma in senso lato”, nonché conteneva una serie di clausole in contrasto
con i regolamenti federali, quali quella relativa al compenso, la durata e la penale; che pertanto tale
contratto doveva considerarsi non idoneo a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo
l’ordinamento giuridico ex art. 1322 comma II c.c..
Osservava ancora il convenuto che con il tesseramento il convenuto e con l’iscrizione
nell’apposito albo l’attore, entrambe le parti si erano obbligate a stipulare i futuri contratti
rispettando le forme previste dall’ordinamento sportivo cui avevano aderito, e quindi al “contratto
normativo” che quest’ultimo aveva predisposto e che vincolava i soggettivi appartenenza.
Concludeva quindi chiedendo la reiezione della domanda attorea per radicale inefficacia ed
invalidità del contratto “azionato”.
In via subordinata, per l’ipotesi in cui il contratto di mandato fosse stato ritenuto valido ed
efficace, il convenuto eccepiva la sussistenza di un conflitto di interessi per aver l’Avv. S. stipulato
anche con la Hellas Verona F.C. spa il giorno prima della stipula del contratto di data 21/7/99 una
scrittura privata avente ad oggetto proprio l’attività di “consulenza ed assistenza professionale per la
stipula del contratto economico del calciatore S. A. verso il complessivo pagamento di 40 milioni di
vecchie lire.
Essendo riconoscibile da parte del terzo contraente, Hellas Verona F.C. spa il conflitto di
interessi tra il rappresentante Avv. L. S. ed il rappresentato sig. S., rilevava la sussistenza dei
requisiti di cui all’art. 1394 c.c. per l’annullamento del contratto di mandato del 24/6/99.
In via ancor più subordinata il convenuto, per l’ipotesi che il Tribunale reputasse l’attività
dell’attore svolta dallo stesso nella veste di “avvocato” e non quale “procuratore sportivo”,
eccepiva: a) la nullità del contratto di mandato del 24/6/99 in quanto il compenso era correlato al
risultato pratico dell’attività svolta realizzandosi così il cd. patto di quota lite vietato ai sensi e per
gli effetti dell’art. 2233 comma 1 c.c.; il compenso doveva essere quindi determinato in base alle
tariffe forensi in materia stragiudiziale di assistenza alla redazione di un contratto, in applicazione
delle quali l’onorario dell’Avv. S. non poteva superare l’importo di vecchie lire 99.800.000; b)
l’eccessività della penale da ridurre ad equità ai sensi dell’art. 1384 c.c..
La causa, istruita con l’acquisizione della documentazione prodotta e l’assunzione di prove
testimoniali e il deferimento di interrogatorio formale di parte attrice veniva trattenuta a sentenza
GIURISPRUDENZA
134
Tribunale di Udine…
sulle conclusioni precisate dalle parti come in epigrafe, con assegnazione alle parti dei termini di
legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda attorea ad avviso del giudicante non può trovare accoglimento.
L’attore, a fondamento della sua pretesa, ha posto il contratto di mandato stipulato tra le parti in
data 24/6/99, specificando in atto di citazione che “il calciatore professionista S. A. aveva conferito
all’Avv. L. S., che svolgeva anche l’attività di consulenza e assistenza in materia sportiva ed è
iscritto nell’apposito albo, l’incarico in via esclusiva e per la durata di anni cinque, di
rappresentarlo ed assisterlo nell’attività diretta alla definizione della durata e del compenso del
contratto di prestazione sportiva con società di calcio professionistico, all’assistenza nel rapporto
con la Società, alla cessione, anche a favore di soggetti diversi dalle Società di calcio, dell’utilizzo
dell’immagine, del nome o di quant’altro consimile del predetto calciatore professionista e,
comunque, alla redazione e stipula di tutti i relativi contratti.”
Sostenendo quindi che, nonostante l’attività prestata, non gli era stato corrisposto (tranne un
anticipo di lire 40 milioni ad opera della società sportiva Hellas Verona spa) il compenso maturato
per l’intervenuta stipula in data 21/7/99 di un contratto di prestazioni sportive tra il convenuto e la
società sportiva Hellas Verona FC spa ed assumendo inoltre che il convenuto si era reso
inadempiente, in quanto nel 2002, prima della scadenza del mandato in esclusiva, a sua insaputa
aveva stipulato un contratto di prestazioni sportive con la soc.
Brescia Calcio spa alle cui dipendenze si era trasferito, ha chiesto la condanna del convenuto al
pagamento della complessiva somma di circa Euro 480.000,00 a titolo di adempimento del contratto
e penale.
A fronte dell’eccepita inefficacia e/o nullità del contratto di mandato per contrasto con le
“forme” imposte dal “Regolamento dell’attività di procuratore sportivo”, l’attore precisa, da un lato,
di aver ricevuto l’incarico professionale, e di aver conseguentemente agito, non quale “procuratore
sportivo” bensì quale “avvocato” regolarmente iscritto all’”Albo”; dall’altro che, in ogni caso, al
procuratore sportivo non sarebbe applicabile la legge 23/2/81 n. 91 sia in quanto soggetto non
qualificabile quale “sportivo professionista” (in base all’art. 2 della medesima legge), sia perché
lavoratore autonomo e non subordinato: da tale ultimo assunto deriverebbe che non sussistendo
alcun rinvio formale della legge dello Stato alle norme emanate dalla Federazione sportiva per i
GIURISPRUDENZA
135
Tribunale di Udine…
“procuratori sportivi”, il regolamento federale dell’attività di procuratore sportivo e la sua
violazione sarebbero irrilevanti in quanto non applicabili nel presente giudizio.
Orbene, in primo luogo, va osservato che l’oggetto del mandato professionale conferito dal
convenuto all’attore coincide nella sostanza con l’attività tipica del “procuratore sportivo”, così
come veniva definita dal “Regolamento per l’esercizio dell’attività di procuratore sportivo” vigente
all’epoca della stipula del contratto. L’art. 1 del Regolamento infatti così recitava: “E’ procuratore
sportivo la persona fisica che, avendo ricevuto incarico in conformità al presente Regolamento,
presta opera di consulenza a favore e nell’interesse del calciatore professionale nell’attività diretta:
a) alla definizione della durata, compenso ed ogni altra pattuizione del contratto di prestazione
sportiva, nonché di assistenza del calciatore per tutto il periodo di efficacia del rapporto;
b) alla cessione, se prevista dall’incarico, a favore di persone fisiche o giuridiche diverse dalle
società di calcio, dell’utilizzo dell’immagine, del nome e di quanto consimile del professionista.” Il
nuovo regolamento, emanato nel novembre 2001, si limita ad ampliare e a specificare l’attività del
procuratore (denominato ora “agente di calciatori”) senza modificare la sostanza della figura.
Il “contratto di mandato” oggetto di causa riproduce quasi testualmente il citato art. 1 del Reg.
Nel dettaglio, infatti, nel punto b) 1) del contratto si legge: “il calciatore conferisce incarico, in via
esclusiva, all’Avv. S., affinché lo rappresenti e lo assista nell’attività diretta alla definizione della
durata e del compenso del contratto di prestazione sportiva con società di calcio professionistico;
all’assistenza del calciatore professionista nel rapporto con la società; alla cessione, anche a
favore di persone fisiche o giuridiche diverse dalle società di calcio professionistico, dell’utilizzo
dell’immagine, del nome ….”.
Premesso che l’attività per la quale l’attore chiede il compenso nel presente giudizio rientra
nella previsione della prima parte del punto b) 1) del contratto, ovverosia quella relativa alla
“definizione della durata e del compenso del contratto di prestazione sportiva con società di calcio
professionistico”, appare evidente che vi è un’assoluta coincidenza di contenuto tra l’attività
professionale svolta dall’attore e quella propria del “procuratore sportivo”.
Si è trattato infatti di un’attività di consulenza prestata ad un calciatore professionista che ha
condotto alla conclusione con società sportiva di un contratto di prestazione sportiva, destinato ad
operare, o meglio ad esplicare i suoi “effetti” nell’ambito dell’ordinamento sportivo, e quindi con
uno scopo pratico identico a quello perseguito dai modelli predisposti dalla F.I.G.C..Risulta inoltre
pacifico che, non solo il convenuto è un calciatore professionista tesserato alla Federazione Italiana
Giuoco Calcio (F.I.G.C.) ma anche l’Avv. S., oltre ad essere iscritto all’albo degli avvocati e
GIURISPRUDENZA
136
Tribunale di Udine…
procuratori, è iscritto nell’apposito albo dei procuratori sportivi, tenuto dalla F.I.G.C. e ciò a far
data dal 26/11/92.
Tenuti presenti questi elementi di fatto della fattispecie, ad avviso del giudicante appare evidente
che la circostanza che l’attore nel contratto di mandato in questione si sia qualificato quale
“avvocato” che “nella sua qualità professionale è abilitato ad assistere ed a rappresentare terzi in
ogni atto legale e giuridico” e l’invocare nel presente giudizio tale qualità, sono evidentemente solo
espedienti “tecnici” che mirano ad eludere (ed a evitare in tal modo le conseguenze della loro
violazione) le specifiche disposizioni dell’ordinamento sportivo, obbligatorie per i soggetti che
operano al suo interno in quanto poste non solo a tutela dell’interesse pubblico alla trasparenza
dell’attività “economica” svolta dalle società sportive, ma anche a tutela dei calciatori
professionisti.
Il dato meramente formale, rappresentato dalla circostanza che nel caso concreto il “procuratore
sportivo” è iscritto anche all’albo avvocati, non può consentire che la specifica attività svolta
dall’attore a favore del convenuto rimanga sottratta alle regole dell’ordinamento sportivo, regole
che – si ripete – entrambi i soggetti si sono impegnati a rispettare, l’uno tesserandosi alla F.I.G.C. e
l’altro iscrivendosi all’apposito e specifico Albo dei Procuratori, iscrizione quest’ultima che oltre a
tutto sola consentiva al calciatore di rivolgersi a lui legittimamente, in base all’art. 12 del
Regolamento vigente all’epoca.
Né appare rivestire rilievo determinante, al fine di riconoscere o negare la soggezione
dell’attività oggetto di causa alla disciplina dettata dal “Regolamento dell’attività di procuratore
sportivo”, la questione se il “procuratore sportivo” (oggi “agente di calciatori”) sia effettivamente –
come contesta l’attore – un vero e proprio “soggetto” dell’ordinamento sportivo.
Come si è osservato in dottrina, anche se per giungere ad altre conclusioni, in realtà non può
essere negata una sorta di “soggettività riflessa” al procuratore sportivo. La disposizione dell’art. 12
del Regolamento (sopra citato), norma per così dire di chiusura dalla quale si ricava la ratio
dell’intera disciplina, faceva divieto ai calciatori di farsi assistere nella loro attività, così come
faceva divieto “a tutti gli altri soggetti dell’ordinamento federale” di svolgere trattative o di
intrattenere rapporti ai fini della conclusione di un contratto, da e con soggetti che non fossero
“procuratori sportivi” ai sensi dell’ordinamento federale allora vigente.
Il procuratore sportivo (oggi agente di calciatori), soggetto che fa parte di un vero e proprio
ordine professionale cui si accede superando un esame e prestando una garanzia, pur non essendo
iscritto alla Federazione, per il fatto di essersi volontariamente iscritto all’albo dei procuratori
GIURISPRUDENZA
137
Tribunale di Udine…
sportivi, non può non essere costretto – ogni qualvolta presta la tipica attività del procuratore
sportivo, come definito dal Regolamento – al rispetto delle regole dell’ordinamento sportivo nel cui
ambito opera.
Né, ad avviso del giudicante, appare contestabile la potestà dell’ordinamento sportivo,
nell’esercizio della potestà organizzativa riconosciuta alle federazioni sportive dall’art. 14 2°
comma L. 23/3/1981 n. 91, di prevedere con regolamento che il procuratore dell’atleta sia dotato di
una specifica preparazione professionale sia giuridica che sportiva e che lo stesso sia soggetto alla
potestà disciplinare per le prestazioni propriamente sportive fornite in contrasto con il Regolamento.
Del resto a tale riguardo non privo di rilievo era proprio la previsione dell’art. 10 del Regolamento
il quale disponeva che “nei rapporti con i colleghi, i calciatori ed i tesserati in genere, il
procuratore sportivo deve osservare le norme federali e regolamentari…”.
A conclusioni non diverse si perverrebbe se trovasse applicazione il nuovo Regolamento
dell’”agente di calciatori” (non applicabile alla fattispecie in quanto emanato in data successiva al
contratto di mandato de quo).
Se è vero infatti che, a differenza del previdente regolamento, oggi è consentito ai calciatori e
alle società sportive di avvalersi dell’opera di un agente non iscritto nell’albo apposito nell’ipotesi
in cui si tratti di “un avvocato iscritto nel relativo albo” e per un’attività conforme alla normativa
professionale vigente, anche l’avvocato iscritto nel relativo albo qualora svolga un’attività
corrispondente a quella dell’agente di calciatore (curando e promovendo i rapporti tra un calciatore
ed una società sportiva in vista della stipula di un contratto di prestazione sportiva, ovvero tra due
società per la conclusione del trasferimento o la cessione di contratto di un calciatore) è tenuto, a
norma dell’art. 12 dello stesso Reg., all’osservanza delle norme federali statutarie e regolamentari
della F.I.G.C. “garantendo che ogni contratto di prestazione sportiva concluso, a seguito della
propria attività, sia conforme alle sopraccitate norme…”
Orbene, ciò premesso e rilevato, il giudicante ritiene che sia nella sostanza condivisibile la
giurisprudenza, anche di recente confermata (Cass. 23/2/2004 n. 3545; Cass. 28/7/81 n. 4845; Cass.
5/1/94 n. 75), che ha ritenuto che il contratto di cessione di un calciatore che contrasti con le
prescrizioni dettate dall’art. 9 (ora art. 10) del regolamento determina l’invalidità e l’inoperatività
del contratto stesso in relazione al disposto del secondo comma dell’art. 1322 c.c..
GIURISPRUDENZA
138
Tribunale di Udine…
Ha rilevato infatti la corte che “Le violazioni di norma dell’ordinamento sportivo non possono
non riflettersi sulla validità di un contratto concluso tra soggetti sottoposti alle regole del detto
ordinamento anche per l’ordinamento dello Stato, poiché se esse non ne determinano direttamente
la nullità per violazione di norme imperative, incidono necessariamente sulla funzionalità del
contratto medesimo, vale a dire sulla sua idoneità a realizzare un interesse meritevole di tutela
secondo l’ordinamento giuridico; non può infatti ritenersi idoneo sotto il profilo della meritevolezza
della tutela dell’interesse perseguito dai contraenti, un contratto posto in essere in frode alle regole
dell’ordinamento sportivo, e senza l’osservanza delle prescrizioni formali all’uopo richieste e,
come tale inidoneo ad attuare la sua funzione proprio in quell’ordinamento sportivo nel quale detta
funzione deve esplicarsi.”
Con l’adesione alle varie federazioni o, nel caso del “procuratore sportivo”, con l’iscrizione
all’apposito albo, i soggetti manifestano la volontà di rispettare anche tutte quelle regole che
disciplinano i futuri contratti esplicanti effetti nell’ambito sportivo ed il mancato rispetto di queste
norme se non comporta la nullità dei contratti per violazione di norme imperative, rileva comunque
sotto il profilo della meritevolezza.
Nel caso in esame il contratto di mandato non ha rispettato nella forma e nella sostanza alcune
fondamentali regole poste dall’ordinamento sportivo.
Quanto alla “forma” in senso lato, a norma dell’art. 9 del Reg. previgente (l’attuale art. 10 non si
discosta sul punto) dispone infatti che ogni incarico del tipo di quello conferito dal convenuto
all’attore a pena di nullità, oltre a dover essere conferito per atto scritto, utilizzando i moduli
predisposti per ciascuna stagione sportiva dal F.I.G.C., deve essere conforme alle prescrizioni del
modello-tipo allegato B al Reg. e poi entro venti giorni dal conferimento deve essere depositato
presso la F.I.G.C..
La sanzione per tale inosservanza è radicale, in quanto “gli incarichi non depositati o non
spediti sono irrilevanti nell’ordinamento federale” e non hanno giuridica efficacia nell’ordinamento
federale.
Già un tanto basterebbe a ritenere il contratto di mandato in questione privo di idoneità a
realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico secondo l’espressione
contenuta nel comma 2 dell’art. 1322 c.c..
Ma anche nella sostanza il contratto è in palese contrasto quanto meno con due fondamentali
prescrizioni, ossia quella relativa alla durata dell’impegno di “esclusiva” per il calciatore e quella
relativa al compenso.
GIURISPRUDENZA
139
Tribunale di Udine…
Mentre nel mandato sottoscritto dal convenuto la durata del contratto è di cinque anni,
rinnovabili tacitamente se non inviata una disdetta tre mesi prima della scadenza e con penale (di
ben lire 500 milioni) in caso di violazione; nel regolamento, invece, a tutela evidentemente della
libertà contrattuale del calciatore, è previsto che “gli incarichi hanno durata dal 1° aprile al 31
marzo e si rinnovano tacitamente di anno in anno in mancanza di disdetta da inviare entro il 20
febbraio”.
Quanto al compenso, a fronte di un compenso pattuito dall’attore nella misura del 10% del
corrispettivo (lordo!) risultante dal contratto, l’art. 11 del Regol. prevede una misura massima del
5%. Da notare poi che mentre nel Regolamento non è previsto alcun compenso per il procuratore
nell’ipotesi di stipula diretta del contratto da parte del calciatore, nel contratto di mandato
predisposto dall’Avv. Sorrentino il calciatore per la durata di ben cinque anni era vincolato a non
stipulare, senza la presenza o autorizzazione scritta dell’Avv. Sorrentino, alcun contratto.
Va solo rilevato, per quanto concerne il contenuto delle pattuizioni, che il Regolamento prevede,
per l’ipotesi di contrasto con le disposizioni del Regolamento (art. 9 comma 5), che “le clausole
degli incarichi non conformi al presente Regolamento sono sostituite di diritto dalle clausole del
modello tipo.”
Nel caso in esame non vi è spazio per tale inserimento automatico, peraltro neppure richiesto
dall’attore, in quanto trattasi per l’ordinamento federale di contratto privo di giuridica efficacia..
È noto al giudicante che nei più recenti indirizzi dottrinali è oggetto di notevoli critiche il ricorso
al giudizio di meritevolezza le quali suggeriscono una sostanziale disapplicazione dell’art. 1322 II
comma c.c..
Tali critiche non si condividono ma nella fattispecie in esame, in ogni caso, è determinante la
circostanza che il contratto de quo è stato stipulato tra soggetti che volontariamente, l’uno con il
tesseramento e l’altro con l’iscrizione, si sono obbligati a stipulare i futuri contratti rispettando
forme determinate e si tratta di contratto che, come detto, è assolutamente privo di efficacia proprio
nell’ordinamento sportivo, riconosciuto dall’ordinamento giuridico statale, ove è destinato ad
esplicare i suoi effetti.
Ne consegue che non può essere meritevole di tutela nell’ordinamento statale ciò che non è
efficace nell’ordinamento sportivo per i soggetti che alle regole di quest’ultimo hanno accettato di
assoggettarsi. A tale riguardo si è anche osservato che, trattandosi di negozio inidoneo ad operare
all’interno dell’ordinamento sportivo, si potrebbe anche parlare di “impossibilità” giuridica della
prestazione.
GIURISPRUDENZA
140
Tribunale di Udine…
Si tratterebbe cioè di un contratto con oggetto giuridicamente impossibile in quanto pur non
essendo illecito non è suscettibile di tutela. Non pare che il cambio di prospettiva modifichi le
conclusioni.
Trattasi comunque di un contratto invalido e comunque privo di effetti anche nell’ordinamento
statale.
Non si passa all’esame delle restanti eccezioni e domande riconvenzionali proposte dalla parte
convenuta (peraltro in parte fondate come quelle relative alla violazione del c.d. patto di quota lite e
della violazione delle tariffe professionali) in quanto da ritenersi assorbite.
Viene pertanto accolta la prima domanda riconvenzionale proposta dal convenuto di
accertamento dell’invalidità ed inefficacia del contratto di mandato del 24/6/99 stipulato tra le parti.
L’attore, nella memoria autorizzata ai sensi dell’art. 180 c.p.c. di data 26/6/03 (non in citazione),
per l’ipotesi in cui il contratto fosse ritenuto invalido e/o inefficace, ha rilevato nella parte
espositiva dell’atto che avrebbe in ogni caso diritto al riconoscimento di un “indennizzo” ai sensi
dell’art. 2041 c.c. per arricchimento senza causa da parte del convenuto.
Tale pretesa subordinata, non è stata però formalizzata né nell’atto introduttivo del giudizio, né
in alcun’altra memoria successiva, né in sede di precisazione delle conclusioni.
Trattasi di una domanda nuova e comunque diversa da quella di adempimento e risarcimento
proposta in citazione, sotto il profilo del “petitum” e della “causa petendi”, che non può in alcun
modo ritenersi implicita in quella proposta e che, quanto meno, avrebbe dovuto essere
espressamente formulata in sede di precisazione delle conclusioni.
La domanda deve ritenersi quindi inammissibile.
Passando alle restanti domande riconvenzionali proposte dal convenuto, ritiene il giudicante che
non sia fondata la domanda di rimborso ai sensi dell’art. 2033 c.c. di 300.000 (vecchi) marchi,
asseritamene versati dal convenuto all’attore senza titolo. In primo luogo non vi è alcun elemento
che consenta di ritenere che tale versamento sia stato effettuato in adempimento del contratto di
mandato che qui viene dichiarato nullo.
Anzi tale circostanza risulta piuttosto inverosimile considerato che il versamento è avvenuto
quattro mesi prima della stipula del contratto di mandato di cui dovrebbe rappresentare parziale
esecuzione.
Ciò escluso, va rilevato che il convenuto non ha neppure fornito la prova dell’inesistenza o del
venir meno della “causa debendi” di tale versamento.
GIURISPRUDENZA
141
Tribunale di Udine…
Va infatti osservato che se è vero che vi è prova, anche per stessa ammissione dell’attore in sede
di interpello, che l’Avv. S. ebbe a ricevere dal convenuto nel marzo del 1999, tramite trasferimento
bancario all’estero, l’importo di marchi 300.000, il teste M. D. V., sentito in istruttoria, ha
confermato la giustificazione che l’attore ha fornito di tale versamento, ossia che si è tratto in realtà
e nella sostanza di un pagamento effettuato “fuori busta” dal giocatore stesso, per il tramite
dell’Avv. S. che agiva quale garante (in quanto non doveva risultare un pagamento diretto da parte
del S.), al dirigente della società calcistica croata che aveva acconsentito al trasferimento del
calciatore al Parma A.C. spa.
Il teste ha confermato di essere stato presente, appena fuori della banca dove risultavano essere
stati trasferiti i soldi, al momento in cui l’Avv. Sorrentino consegnò il denaro in mani del sig. S. I.,
Dirigente per l’appunto della società calcistica HNK Hjduk.
Non può trovare neppure accoglimento la domanda di risarcimento danni ex art. 89 comma II
c.p.c. in quanto tale pretesa (pur richiamata nella comparsa conclusionale) non è stata riprodotta in
sede di precisazione delle conclusioni ed è pertanto da ritenersi abbandonata.
La domanda di risarcimento ex art. 96 c.p.c. pur potendosi ravvisare gli estremi per un suo
accoglimento nell’”an”, va respinta non essendo stato fornito dal convenuto alcun elemento che
consenta di ritenere sussistente un danno risarcibile ed alcun elemento per valutarne, pur in via
equitativa, l’entità.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo in assenza di nota spese, seguono la soccombenza.
GIURISPRUDENZA
142
Tribunale di Udine…
P.Q.M.
Il Tribunale di Udine, definitivamente pronunciando tra le parti, disattesa ogni contraria istanza,
eccezione e deduzione, così provvede:
respinge ogni domanda attorea;
accerta e dichiara l’invalidità ed inefficacia del contratto di mandato stipulato tra le parti in data
24/6/99 per le ragioni di cui in motivazione;
respinge la domanda riconvenzionale di pagamento di cui al punto 3.2 delle conclusioni di parte
convenuta;
respinge la domanda riconvenzionale di condanna ex art. 96 c.p.c.;
condanna l’attore al pagamento delle spese processuali a favore del convenuto…..
GIURISPRUDENZA
143
Tribunale di Maglie…
TRIBUNALE DI MAGLIE , ORDINANZA 12 MAGGIO 2006 , GD.
DOTT.SSA PORTALURI
Ugento Sporting Club S.r.l. c. CSAI e Federazione Italiana Karting
Sport - Automobilismo - Karting – Assegnazione di una gara ad una pista - Provvedimenti
di urgenza – Lesione del diritto alla chance – Lamentata mancata conclusione del
procedimento amministrativo - Difetto di giurisdizione ordinaria - Giurisdizione esclusiva
amministrativa - L. n. 7 ottobre 2003, n. 280 – Assenza di ‘mero comportamento’ della P.A.
In base ai criteri di riparto di cui all’art. 3 della L. n. 280/2003, appartiene alla giurisdizione
esclusiva amministrativa la controversia in ordine all’assegnazione della pista per lo svolgimento
di un gara di karting del Campionato Italiano Open Masters 2006, la quale concreta - ancorché si
lamenti che il relativo procedimento non si sarebbe concluso - tipica attività provvedimentale della
P.A., ed in particolare decisioni amministrative aventi rilevanza per l’ordinamento dello Stato.
La giurisdizione deve essere infatti determinata sulla scorta del cd. petitum sostanziale, sicché
la lesione del diritto alla chance lamentata dalla pista esclusa dall’assegnazione - di cui si chiede
l’attuazione in via urgente in forma specifica – risulta assolutamente collegata sul piano eziologico
all’esplicazione di un pubblico potere.
La giurisdizione esclusiva amministrativa sussiste anche su un piano generale, non potendosi
parlare nel caso di specie di meri ‘comportamenti’ della P.A., ossia di azioni di diritto comune poste
in essere dalla P.A. medesima al di fuori di qualunque esplicazione del potere.
GIURISPRUDENZA
144
Tribunale di Maglie…
Il Giudice,
visto il ricorso ex art 700 cpc proposto, in data 8.5.2006, dalla SPORTING CLUB UGENTO
SRL nei confronti della CSAI (Commissione Automobilistica Italiana) e della FIK (Federazione
Italiana Karting);
viste le comparse di costituzione dell’ACI (Automobile Club Italia) e della FIK, entrambe
depositate nell’odierna udienza;
letti gli atti e la documentazione prodotta;
sciogliendo la riserva che precede, osserva:
la società ricorrente chiede, in particolare, a questo giudice di:
“ordinare alla CSAI, in persona dei rispettivi rappresentanti di SOSPENDERE la gara OPEN
MASTER 2006 in corso di organizzazione sul Kartodromo La Conca in Muro Leccese per la data
del 12-14.5.2006;
inibire alla CSAI ed alla FIK qualsiasi attività dispositiva connessa alla preparazione ed
attuazione della manifestazione, così come programmata per la data del 12-14.05.2006”;
ciò sulla base della dedotta illiceità della condotta della CSAI:
per avere sostanzialmente quest’ultima reso noto l’esito della gara per l’assegnazione della pista
per lo svolgimento del Campionato Italiano Karting OPEN MASTERS 2006 soltanto attraverso un
“comunicato CSAI” pubblicato sul sito informatico della FIK il 4.5., senza cioè che lo stesso fosse
stato preceduto da un deliberato dell’ente…. che si assume mai pronunciato, né dall’approvazione
del verbale che avrebbe dovuto contenerlo;
nonché, per avere violato la predetta CSAI, con l’assegnazione fatta in favore della pista “La
Conca” di Muro Leccese, la norma di regolamento Karting (art. 1.10.9) per la quale agli
organizzatori di una prova di Campionato Italiano non è consentito organizzare gare sulla stessa
pista nei 7 gg. precedenti;
se con riguardo a tale ultimo addebito, che indiscutibilmente involge direttamente il merito della
scelta operata dalla CSAI tra i concorrenti alla gara per l’assegnazione della pista per il campionato
in discorso, il difetto di giurisdizione di questo giudice risulta di evidenza macroscopica (costituisce
questione indiscussa la natura di ente pubblico dell’ACI), non lo è meno anche con riferimento al
primo di essi;
c’è da sottolineare che è la stessa società ricorrente, in calce al ricorso, a richiamare testualmente
il procedimento concorsuale istruito con il parere della Commissione Consultiva (doc. 9-10-11) in
GIURISPRUDENZA
145
Tribunale di Maglie…
relazione al quale effettua una produzione (doc. n. 8), a dimostrazione che detto procedimento non è
stato concluso;
con ciò si vuol dire che, nonostante la diversa prospettazione, anche la società ricorrente
riconosce alla fin fine di trovarsi, non di fronte ad un comportamento materiale antigiuridico, bensì
innanzi ad una vera e tipica attività provvedimentale di una P.A. della quale in definitiva si contesta
la legittimità sia sotto il profilo formale (il primo dei rilievi innanzi riportati, che sostanziale (il
secondo di essi);
e difatti, nel mentre si contesta - sembra di capire addirittura - l’esistenza ontologica della
delibera del comitato esecutivo della CSAI, perché ancora alla firma del Presidente, ovvero del
verbale della riunione del comitato esecutivo del 2.5.2006, perché non ancora approvato, si deduce
al contempo e soprattutto l’illegittimità di quello stesso deliberato perché avvenuto in violazione di
regolamenti;
premesso che la giurisdizione deve essere determinata, sulla scorta del cosiddetto petitum
sostanziale da individuarsi mediante il collegamento della statuizione richiesta al giudice con
l’intrinseca consistenza della posizione soggettiva allegata quale causa petendi cogliendo l’effettiva
valenza giuridica dei fatti addotti e della tutela per essi accordata dall’ordinamento (cfr. Cassaz.
SS.UU. ordinanze 28.12.2001 n. 16218 e 3 marzo 2003 n. 3145), è indubbio che nel caso di specie
la lesione del diritto (diritto alla chance e tutela del rischio di perdita) di cui la ricorrente chiede
l’attuazione in forma specifica, prima ancora che il risarcimento per equivalente, risulta, sulla base
dei fatti esposti in ricorso assolutamente collegata sul piano eziologico all’esplicazione di un
pubblico potere (per la mancata conclusione del procedimento e per violazione dei regolamenti);
la controversia ha come presupposto imprescindibile dunque l’impugnazione di atti di una
federazione sportiva nazionale che si configurano come decisioni amministrative aventi rilevanza
per l’ordinamento dello Stato (cfr. Cassaz. SSUU n. 5775/2004);
ciò significa che, in base ai criteri di riparto di cui all’art. 3 del D.L. 19.8.2003 convertito nella
L. 280/2003, essa resta devoluta, in ogni caso, alla giurisdizione esclusiva amministrativa, cui
compete anche l’esame dei diritti patrimoniali consequenziali (art. 35 comma 1 D L.vo n. 80/98);
ma anche, su un piano assolutamente generale, esse non potrebbe mai ricadere nell’ambito della
giurisdizione ordinaria vertendosi in fattispecie in cui non si può parlare di “comportamenti”,
essendo rimasto chiarito (a proposito dell’art. 34 D.L.gvo n. 80/98 come sostituito dall’art. 7, lettera
a) della L. n. 205/2000, dopo l’intervento amputatorio della sentenza n. 204/2004 della Corte
Costituzionale), che con tale espressione si intende fare riferimento non “ad attività materiali
GIURISPRUDENZA
146
Tribunale di Maglie…
sorrette dall’esplicazione del potere (sia pure di un potere manifestatosi con atti illegittimi poi
cadutati), ma a condotte poste in essere dalla pubblica amministrazione muovendo (magari anche
in vista del perseguimento di interessi pubblici) fuori dall’esplicazione del potere (con attività
materiale, voi de fait, manifestazioni abnormi del pubblico potere etc.), ad azioni di diritto comune,
insomma, poste in essere dalla pubblica amministrazione al di fuori di qualunque esplicazione del
potere” (cfr. Consiglio di Stato Adunanza plenaria 16.5.2005 e 20.6.2005; e Cassaz. SS.UU. ord. n.
21944/2004 e n. 6745/2005);
il rilevato difetto di giurisdizione nei termini di cui innanzi rende superflua la verifica
dell’integrità del contraddittorio per mancata chiamata in causa de “la Conca Sporting Club di Muro
Leccese”;
a maggior ragione, resta preclusa qualsivoglia valutazione relativa all’accertamento dei
presupposti in fatto e diritto della tutela invocata;
quanto all’ACI, si prende atto della ritualità della sua costituzione ex art. 21 statuto ACI,
nonostante la notifica del ricorso sia di fatto avvenuta nei confronti della CSAI, organo della stessa
(artt. 1,2,3 6 e 10 del Regolamento CSAI);
la particolarità e difficoltà delle questioni trattate rende opportuna la compensazione delle spese
di lite;
P.Q.M.
Dichiara il proprio difetto di giurisdizione a decidere della presente controversia, essendo la
stessa devoluta, in ogni caso, alla giurisdizione esclusiva amministrativa;
dichiara integralmente compensate tra le parti costituite le spese della procedura.
GIURISPRUDENZA
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