Federazione Toscana di AICCRE Firenze, via Cavour 18 19 gennaio, ore 14,30, terzo incontro- Programma di laboratorio In applicazione dell’art.6 della “Carta europea per l’uguaglianza di donne e uomini nella vita locale e regionale” Laboratorio sugli stereotipi di genere www.aiccre.it 2005- 2006 Carta europea per l'uguaglianza e la parità delle donne e degli uomini nella vita locale. Elaborata dal Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa, in collaborazione con numerosi partners e con il sostegno della Commissione europea. Iniziative per l’ applicazione dell’ Articolo 6 - Neutralizzare gli stereotipi 1.Il firmatario s’impegna a neutralizzare e a prevenire, per quanto possibile, pregiudizi, azioni, utilizzo di espressioni verbali e di immagini basate sull’idea della superiorità o dell’inferiorità dell’uno o dell’altro sesso, e/o il perpetuarsi di ruoli femminili e maschili stereotipati. 2. A tal fine, il firmatario dovrà accertarsi che la comunicazione, sia interna all’ente che verso il pubblico, sia conforme all’impegno assunto, promovendo immagini sessuate positive o esempi ugualmente positivi. 3. Il firmatario aiuterà i collaboratori e le collaboratrici, attraverso la formazione o con altri mezzi, ad identificare e ad eliminare le attitudini e i comportamenti stereotipati, adottando codici di comportamento al riguardo. 4. Il firmatario realizzerà attività e campagne di comunicazione volte a favorire la presa di coscienza sul ruolo controproducente degli stereotipi di genere nei confronti della realizzazione della parità tra donne e uomini. http://www.funzionepubblica.gov.it/media/277361/linguaggio_non_sessista.pdf Il linguaggio, parole no e parole si Laboratorio “Insieme per confrontarsi, sperimentare e produrre” per la costruzione di una didattica volta a distinguere gli stereotipi femminili e maschili valorizzandone i contenuti e le differenze Laboratorio a cura di Emanuela Periccioli [email protected] Per iniziare: Simuliamo l’aula, la classe come grande opportunità di crescita - simulazione in laboratorio, allestimento aula, accoglienza e presentazione fornendo informazioni su cosa faremo insieme, consegna cartellina con materiale inclusi allegati Per conoscersi: formare casualmente le coppie ( attività con cartoline o foto o immagini pubblicitarie) far presentare tra sé i partecipanti ( successivamente l’uno presenta l’altro al gruppo) Per stare insieme e favorire il processo del gruppo verso l’obiettivo: costruire abilità/competenze sociali ( osservare, chi fa cosa, esercitazioni pratiche attraverso stimoli, il corpo importante in tutte le relazioni, proviamo a partire da lì) attività: La mia mappa http://www.sigonio.com/files/file/fare_scuola_insieme/35_relZanfi.pdf Per socializzare le diverse esperienze già compiute: la comunicazione tra pari ( scegliere le parole per raccontare, raccogliere i termini che possono interessare per costruire un glossario o una tabella, consegna fogli predisposti da conservare per prossimo incontro) Per comunicare e promuovere coesione: il messaggio Io di Gordon e L’agire incoraggiante. Il significato delle parole far riflettere su corpo e parola, il linguaggio e il femminile, in passato la sottomissione all’uomo si traduceva in un docile silenzio( esempi e stimoli per confrontarsi) Alessandra Ghimenti, Cortometraggio “Ma il cielo è sempre più blu” Per raccontare e ad ascoltare: la narrazione, la comprensione e la rielaborazione (Costruzione di un ambiente modificante) e successiva narrazione ( Il sasso nella minestra o altra storia- dibattito indotto sul ruolo della donna e dell’uomo, sul saper stare insieme e sulla collaborazione) Proposta-Vedere e agire il testo: attività psicomotoria per mimare parole e personaggi Per alimentare il dibattito: Quali abilità ritieni essere necessarie per “agire empatia”: conoscenza ed accettazione di sé, inoltre… PER l’uso del problem solving ( analisi delle strategie per affrontare e risolvere un problema, infatti occorrono accordi per raggiungere gli obiettivi e una sentita, condivisa concertazione) Riflessione/confronto: l’apprendere cooperativo abbassa l’ansia di prestazione Inclusione/esclusione- in classe Saper aprire Squarci di gioia Per entrare nel vivo attivaMente: attività in cooperative learning informal, in allegatoscheda Brainstorming 1) Abc, dizionario, sillabario, glossario, quaderno di genere… (attività a coppie o a gruppi di quattro a seconda del numero dei partecipanti) • Individuazione di un titolo per il Percorso/Prodotto da ideare • Ipnotizzazione sintetica dei modi e contenuti, tenendo presente che gli indicatori della progettazione necessariamente da definire e condividere sono: Obiettivi- Contenuti-Tecniche-Strumenti-Prodotto 2) Attività sul lessico ( ricerca, discussione e confronto su 3 parole significative da scegliere in sottogruppo. Lettera A: (Amore, affettività, accoglienza, accettazione, ascolto, abuso. Comunicazione, concertazione, disparità, diritti…Come presentarle?Che tipo di coinvolgimento implicare? Esempi e suggerimenti) http://www.scudit.net/mddonne_sessismo.htm 3) Attività sugli Stereotipi: http://leadershipfemminile.com/stereotipi-genere/ Da Maschio e Da Femmina Si sentono frequentemente certi luoghi comuni o modi di dire che non fanno che alimentare una mentalità sessista ( stai composta, non fare il maschiaccio-smetti di frignare come una femminuccia- per far felice una ragazza basta comprarle un paio di carpe nuove- donna al volante pericolo costante- i lavori domestici sono cose da donne-auguri e figli maschi-se bella devi apparire un poco devi soffrire- la curiosità è donna-prima o poi vedrai troverai il tuo principe azzurro- vestite così cercano rogne… es. in power point ( da inviare se richiesto) Domanda stimolo- Dietro il sessismo linguistico si nasconde un modello di società? Come contrastarli fin dall’infanzia? Come agire per demolirli al fine di costruire insieme principi di parità? (riflessioni personali, domande stimolo per alimentare il dibattito) Da vedere Pink- Stupid girls- youtube, per tutte le donne che credono in sé senza bisogno di diventare veline 4) Rilevazione delle aspettative e degli obiettivi dell’incontro: confronto e dibattito a 4, due coppie. Sintesi del percorso tematico del laboratorio odierno ( consegna fogli bianchi su cui annotare) Per verbalizzare utilizzare la struttura “La mappa nel mezzo” allo scopo di trovare infine una sintesi condivisa Da cosa ripartire: suggerimenti in coppia Come procedere, lanciare idee per confrontarsi, rielaborazione in sottogruppo previa assegnazione dei ruoli ed esposizione: uso di strutture del cooperative learning per attivare lavoro di gruppo( es.carta a T) Per lasciarci con empatia SE DAVVERO LO VUOI: LOTTERAI L’OTTERRAI LO TERRAI Gli stereotipi sono come l’acqua per i pesci, proprio perché ci circondano e sono ovunque non li vediamo più Foster Wallace In uscita il 28 gennaio “L’atlante dei pregiudizi” diYanko Tsvetkov, Rizzoli Per approfondire: Chiara Volpato Essere donna, essere uomo: Stereotipi di genere e modelli di socializzazione Ancora “Dalla parte delle bambine” di Loredana Lipperini Le eroine dei fumetti le invitano a essere belle. Le loro riviste propongono test sentimentali e consigli su come truccarsi. Nei loro libri scolastici, le mamme continuano ad accudire la casa per padri e fratelli. La pubblicità le dipinge come piccole cuoche. La moda le vuole in minigonna e tanga. Le loro bambole sono sexy e rispecchiano (o inducono) i loro sogni: diventare ballerine, estetiste, infermiere, madri. Questo è il mondo delle nuove bambine. Negli anni settanta, Elena Gianini Belotti in Dalla parte delle bambini raccontò come l’educazione sociale e culturale all’inferiorità femminile si compisse nel giro di pochi anni, dalla nascita all’ingresso nella vita scolastica. Le cose non sono cambiate, anche se le apparenze sembrano andare nella direzione contraria. Nessuno, è vero, impone più il grembiulino rosa alle bambine dell’asilo, ma in tutti i toni del rosa è dipinto il mondo di Barbie e delle sue molte sorelle. Libri, film e cartoni propongono, certo, più personaggi femminili di un tempo: ma confinandoli nell’antico stereotipo della fata e della strega. Ancora: l’immaginario recente tende a fotografare una scuola divisa in bulli e brave alunne, ma è proprio nel (presunto) rispetto delle regole che si fonda, da sempre, la creazione di un piccolo branco femminile che, crescendo, tramanderà a sua volta frustrazione, sudditanza, impotenza, rancore alle proprie figlie.... http://www.comune.torino.it/cultura/biblioteche/ricerche_cataloghi/pdf/bibliografie/narrativatemgenere.pdf Concetti chiave e Fonti “Il concetto di pari opportunità riassume l'intento di garantire uguali condizioni e prospettive di vita a tutti i cittadini, attraverso la definizione di politiche e iniziative finalizzate alla rimozione degli ostacoli che impediscono un'effettiva parità. In ambito comunitario il termine pari opportunità è utilizzato in riferimento a interventi a favore di gruppi svantaggiati e, principalmente, alle azioni volte a ridurre le disparità tra uomini e donne. Esempi: Il glossario di genere rappresenta un utile strumento di lavoro che permette di sintetizzare termini, parole chiave e concetti che attendono al tema delle pari opportunità. Considerata la presenza sul web di glossari già ben strutturati e completi, si è pensato di non crearne uno nuovo ma di indicare i link a quelli che ci sono sembrati più interessanti Da “Città di Torino” Pari opportunità http://www.comune.torino.it/politichedigenere/po/po_glossario/index.shtml http://www.comune.torino.it/politichedigenere/bm~doc/glossario-provincia.pdf L'incoerenza educativa e gli stili educativi a rischio che favoriscono l'insorgenza delle condotte aggressive nei bambini Cittadinanza di genere di Maria Piscitelli-Traccia di intervento, Potenza, 1 dicembre 2014 In questi ultimi 30 anni abbiamo fatto molti passi in avanti riguardo alla cittadinanza di genere. Sul piano legislativo ricordiamo: l'art. 48 della Costituzione, il diritto di voto; la legge 898 sullo scioglimento del matrimonio (1970); la legge 1204 sulle lavoratrici madri (1971);la legge 151 sulla riforma del diritto di famiglia che sanziona la parità dei coniugi (1975); la legge 903 sulla parità di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro (1977; la legge sulla tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza n.194 (1978). Sul piano sociale la presenza delle donne in politica e nei vari ambienti di lavoro è notevolmente aumentata. L’Italia è al 67° posto per rappresentatività delle donne in Parlamento. Certi mestieri e professioni (medico, ingegnere, fisico, autista, imprenditore, ecc.) non sono solo appannaggio maschile, tanto che sono mutate le stesse rappresentazioni femminili. Alla casalinga e alla seduttrice vediamo affiancate: la manager, la donna in carriera, la donna intraprendente, determinata nella ricerca di spazi una volta negati (donna sportiva e con abbigliamento trasgressivo, ecc.). Complessivamente le donne in Europa godono di diritti civili, giuridici e politici. Nonostante ciò vi è parecchia strada da far e tanti sono gli ostacoli da rimuovere. A tal proposito interessante è il documento del Consiglio d’Europa per l’uguaglianza tra uomini e donne 2014-2017 ( febbraio 2014) teso a promuovere la partecipazione delle donne e a realizzare l’uguaglianza di fatto tra i sessi negli stati membri del Consiglio d’Europa. In esso sono indicate cinque azioni, che toccano un'ampia gamma di tematiche: i média, la cultura, l’educazione, i minori, l’immigrazione, i Rom, i diritti dei bambini, la bioetica, la coesione sociale, i giovani, lo sport, la corruzione, la tratta degli esseri umani, l’abuso degli stupefacenti. Rispetto a queste azioni vorrei soffermarmi sulla prima, gli stereotipi di genere per addentrarmi nel rapporto genere e lingua, che si riferisce all’ampia problematica di studi sui risvolti sociali e culturali delle differenze sessuali e biologiche che si riflettono in determinati usi della lingua. Da tempo la lingua rappresenta un argomento di riflessione non soltanto per la comunità scientifica internazionale, ma anche per il mondo politico e, oggi, sempre più anche per quello economico. Basta accennare ai lavori di Alma Sabatini tra cui Il sessismo nella lingua italiana, pubblicato nel 1987 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in cui viene messo in evidenza che la figura femminile è sovente svilita dall’uso di un linguaggio stereotipato che ne dà un’immagine negativa, o quanto meno subalterna rispetto all’uomo. A questo volume aggiungiamo le Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana sempre di Alma Sabatini (Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri 1986) che costituiscono un vademecum prezioso. Il linguaggio, come sappiamo, non è neutro. Esso trasmette in modo capillare e sistematico i valori e i pregiudizi impliciti in una cultura e, proprio perché vi hanno larga parte i fattori inconsci, i mutamenti di linguaggio possono essere più gravosi degli stessi mutamenti di idee. La lingua manifesta e condiziona il nostro modo di pensare, incorporando una visione del mondo che ci impone. Anch'essa ha un sesso e dietro al sessismo linguistico si nasconde un modello di società... Vedi power point in questo sito http://w ww.fucinadelleidee.eu/redazione/?id_pagina=146 https://www.facebook.com/maria.piscitelli.1884 di Cecilia Robustelli* Con l’espressione sessismo linguistico si fa riferimento alla nozione linguistic sexism elaborata negli anni ’60-’70 negli Stati Uniti nell’ambito degli studi sulla manifestazione della differenza sessuale nel linguaggio. Era emersa infatti una profonda discriminazione nel modo di rappresentare la donna rispetto all’uomo attraverso l’uso della lingua, e di ciò si discuteva anche in Italia soprattutto in ambito semiotico e filosofico. Nel 1987 l’uscita di un rivoluzionario volumetto, Il sessismo nella lingua italiana di Alma Sabatini, pubblicato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, allarga il dibattito all’ambito sociolinguistico e arriva a interessare attraverso la stampa anche il grande pubblico. Lo scopo del lavoro era politico e si riallacciava a quello di (ri)stabilire la “parità fra i sessi” – obiettivo all’epoca di primaria importanza – attraverso il riconoscimento delle differenze di genere (inteso come gender, concetto elaborato anch’esso in ambito statunitense, cioè l’insieme delle caratteristiche socioculturali che si legano all’appartenenza a uno dei due sessi). Al linguaggio viene riconosciuto un ruolo fondamentale nella costruzione sociale della realtà e, quindi, anche dell’identità di genere maschile e femminile: è perciò necessario che sia usato in modo non “sessista” e non privilegi più, come fa da secoli, il genere maschile né tantomeno continui a tramandare tutta una serie di pregiudizi negativi nei confronti delle donne, ma diventi rispettoso di entrambi i generi. Cap. 3 Forme linguistiche sessiste da evitare e proposte NO-SI-Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana estratto Da “ Il sessismo nella lingua italiana di Alma Sabatini, scaricabile e leggibile per intero WWW.funzionepubblica.gov.it/media/277361/linguaggio_non_sessista.pdf Da evitare Cene con una bionda Tra le pieghe del linguaggio si nasconderebbero infatti trabocchetti sessisti nei quali finiscono regolarmente i parlanti meno accorti ma inciampano anche quelli più scaltriti: l’espressione i diritti dell’uomo escluderebbe di fatto la donna, un titolo di giornale come Cena con bionda rivelerebbe un uso discriminante della sineddoche, per non parlare dei casi di polarizzazione semantica, ovviamente a danno della donna, come nella coppia il/la governante. Per aiutare i parlanti a evitare usi sessisti, il terzo capitolo del volumetto, Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, segnala cosa evitare: per esempio la concordanza al maschile di aggettivi o participi passati riferiti a uomini e donne (perché dire Anna, Giulia e Andrea non sono ancora arrivati e non arrivate?; le forme in -essa, come avvocatessa, ridicolizzate già a fine Ottocento dagli oppositori all’emancipazione femminile, e soprattutto l’uso della forma maschile degli agentivi che indicano cariche o titoli professionali prestigiosi riferiti a donne, come in il ministro Tina Anselmi, pericoloso retaggio di un tempo non troppo lontano in cui questi erano loro preclusi. La stampa dà in pasto al grande pubblico ministra, chirurga, ingegnera suscitando alternativamente dileggio e timida approvazione. Le articolate proposte delle Raccomandazioni resteranno a lungo in una sorta di limbo lessicale ma ciò, in fondo, prova che lo stato non intendeva intervenire in modo autoritario sull’uso della lingua italiana, come alcuni pensavano nonostante la netta dissociazione della loro autrice, e che in fin dei conti le scelte sulla lingua sono davvero in mano a chi la usa. Possiamo davvero dire ciò che vogliamo? La questione del sessismo linguistico non può essere certo ridotta alla scelta fra le forme ministro/ministra, come hanno fatto i media, e infatti molti studiosi ne hanno colto gli aspetti scientifici enucleandone alcune questioni linguistiche di tipo generale (Lepschy e Marcato fra i primi) che innescheranno il dibattito rivitalizzando anche filoni di ricerca cari agli studiosi del passato, come la relazione tra lingua e pensiero e l’ipotesi che la lingua condizioni il modo di pensare (Sapir-Whorf). Così già nel 1988 compare il capitolo “Lingua e sesso” nel Lexicon der Romanistischen Linguistik, cui seguiranno negli anni numerosissimi saggi sulla variazione linguistica legata al genere che costituiscono oggi un’ampia bibliografia. Di sessismo linguistico e di gender, grazie anche ai concetti di empowerment e mainstreaming sviluppati a metà degli anni ’90, si parla e si scrive anche fuori dell’accademia: oltre alla stampa, in rete, nelle stanze della politica attente al politically correct, nelle amministrazioni pubbliche, con riferimento ai testi scolastici (ricordo il progetto POLITE, Pari Opportunità e libri di testo). Triplicano le ministre L’italiano attuale testimonia molti tentativi di eliminare tutti quegli usi della lingua che possono dare della donna un’immagine negativa, come provano i numerosi convegni e corsi di formazione finalizzati a richiamare i parlanti a una maggiore consapevolezza del potere simbolico del linguaggio. La situazione è in movimento, ma il piatto della bilancia che la tradizione aveva appesantito di usi linguistici sessisti si va lentamente alleggerendo. Si notano una maggiore attenzione, da parte dei media, a usare il genere femminile per i titoli professionali e i ruoli istituzionali – sui maggiori quotidiani l’uso di ministra e deputata è triplicato nel quinquennio 2006-2010 rispetto al precedente – e a evitare il maschile “inclusivo”, cosicché i diritti dell’uomo viene riformulato in diritti della persona, e molti interventi “antidiscriminatori” sul linguaggio amministrativo (vedi le Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo di Comune di Firenze e Accademia della Crusca). Vivo è anche l’interesse di interpreti, traduttori, e di tutti coloro che operano in contesti internazionali (la Rete per l’eccellenza dell’italiano istituzionale (www.reterei.eu) ha dedicato la sua X giornata al tema “Politicamente o linguisticamente corretto?”, la Confederazione Svizzera ha pubblicato nel 2012 la Guida al pari trattamento linguistico di donna e uomo nei testi ufficiali della Confederazione), a riprova che lo sforzo di evitare gli usi linguistici sessisti, condiviso da altre lingue europee, è ormai diventato un fattore di mutamento linguistico transnazionale. Bibliografia di riferimento G. Lepschy, Lingua e sessismo, in Nuovi Saggi di linguistica italiana, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 61-84. G. Marcato (a cura di), Donna e Linguaggio, Atti del Convegno Internazionale di studi Dialettologia la femminile (Sappada-Plodn, 26-30.6.1995), Padova, Cleup, 1995. C. Robustelli, Lingua e identità di genere, «Studi Italiani di Linguistica Teorica e Applicata», XXIX, 2000, 507-527. C. Robustelli, Lingua, genere e politica linguistica nell’Italia dopo l’Unità, in Storia della lingua e storia dell’Italia unita. L’italiano e lo stato nazionale, Atti del IX Convegno dell’Associazione per la Storia della lingua italiana (Firenze, 2-4 dicembre 2010), Firenze, Cesati, 2011, pp. 587-600. C. Robustelli, Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo, con prefazione di Nicoletta Maraschio, Progetto Genere e linguaggio. Parole e immagini delle comunicazione, Firenze, Comune di Firenze, 2012 (scaricabile da http://unimore.academia.edu/CeciliaRobustelli). Sapegno Maria Serena (a cura di), Che genere di lingua? Sessismo e potere discriminatorio delle parole, Roma, Carocci, 2010. *Cecilia Robustelli (Pontedera, 1957) è professoressa associata di Linguistica italiana presso l’Università di Modena e Reggio Emilia. Si è laureata a Pisa e ha proseguito gli studi e condotto attività scientifica e didattica in Inghilterra (Università di Reading, Master e PhD) e USA (Cornell University, Fulbright Visiting Scholar). Si è occupata di sintassi storica, storia della grammatica, grammatica dell’italiano contemporaneo. Ha pubblicato studi filologico-linguistici sulla complementazione verbale nell'italiano antico, sull’elaborazione della norma dell’italiano nel Cinque e nel Seicento, sulla tradizione testuale dei testi grammaticali italiani cinque-seicenteschi, e una grammatica dell’italiano per apprendendi anglofoni (in collaborazione con Martin Maiden). Collabora con l’Accademia della Crusca per le questioni relative alla politica linguistica europea. È autrice di numerosi lavori sul rapporto tra lingua e genere. Storia di genere di Simona Feci Le donne diventano oggetto di storia. A partire dalla seconda metà degli anni Settanta del Novecento, ricerche dedicate alla storia delle donne si propongono di dare visibilità a un soggetto – le donne, appunto – tenuto ai margini delle indagini storiche tradizionali. Senza essere una «minoranza» in termini numerici, le donne sono state affiancate a quei gruppi subalterni, nelle società del passato (insieme con i contadini e gli operai, i criminali, i devianti ecc.), che la storiografia otto-novecentesca ha ignorato e che, invece, la storiografia recente, in convergenza con l’antropologia e poi con la storia sociale, intende recuperare … SENZA CHIEDERE IL PERMESSO, FELTRINELLI, DI LORELLA ZANARDO Esce oggi il mio nuovo libro SENZA CHIEDERE IL PERMESSO. Dedicato alle ragazze e ai ragazzi. L’ho scritto mentre presentavo il nostro progetto di Media Education in giro per le scuole. Li ho ascoltati e ho creduto in loro. Inizia da ciò che mi hanno detto e scritto, tiene conto di quello che mi hanno domandato e propone un modo concreto per continuare. Ci ho messo, anzi ci abbiamo messo, tutta la passione possibile. Spero vi coinvolgerà. “Ho iniziato a scrivere queste pagine nell’autunno del 2011 mentre gli indicatori della nostra economia e i dati di disoccupazione giovanile erano preoccupanti. Consegno le bozze all’editore mentre ha inizio l’estate del 2012, preludio di un futuro quanto mai incerto. La disoccupazione giovanile e il tasso di abbandono scolastico a livelli allarmanti raccontano di adulti che hanno fallito la promessa che regola il patto intergenerazionale: cercare di restituire alle generazioni che seguiranno un mondo migliore. Non aspettate, ragazzi. Non attendete istruzioni, ragazze, perché non arriveranno o forse arriveranno troppo tardi, e il tempo è prezioso. Alcuni tra noi adulti vi daranno una mano, il tempo necessario per costruire ponti sulle macerie prodotte dai crolli di questo mondo in disarmo. Voi percorreteli. Poi sarà ora. Non attendete oltre. Tocca a voi. Senza chiedere il permesso” … La «storia delle donne», dunque, nasce con un intento aggiuntivo e integrativo alla storia corrente. Tuttavia includere le donne nel panorama dei soggetti attivi nei processi storici non è mai stato inteso e proposto come un obiettivo fine a sé stesso. Piuttosto, fin dall’inizio, l’operazione addizionale fu perseguita con il convincimento che anche la semplice collocazione delle donne negli scenari storici costituisse di per sé un’alterazione delle ricostruzioni dominanti e conducesse con sé la messa in discussione delle acquisizioni tradizionali, la individuazione di paradigmi nuovi e il riorientamento delle risultanze. Da ciò sarebbero scaturite letture nuove e meno parziali del passato che avrebbero scosso le «narrazioni» consolidate (S. Rosa, Un supplemento dal nome poco cospicuo. Linguaggio, genere e studi storici, «Storica», 20-21, 2001). La sola inclusione, infatti, bastava a denunciare l’occultamento compiuto, dietro a un soggetto apparentemente universale (il protagonista della vicenda storica ma anche il suo storico), di un soggetto in realtà esclusivamente maschile. «In sostanza, la storia delle donne rappresenta una sfida sia alla pretesa della storia di fornire un racconto unitario, sia alla completezza e all’autonoma esistenza del soggetto della storia – l’Uomo universale» (J. Scott, La storia delle donne, in La storiografia contemporanea, a cura di P. Burke, 1993). Il concetto di «genere» (gender) e la sua introduzione in campo storico. Nel 1976 N. Zemon Davis invitava a considerare «il peso dei ruoli sessuali nella storia» (La storia delle donne in transizione: il caso europeo, in Altre storie. La critica femminista alla storia, a cura di P. Di Cori, 1996), cogliendone la storicità e, insieme, la necessità di includere il genere sessuale tra le categorie fondamentali di interpretazione dei fenomeni del passato insieme con classe, stratificazione sociale e razza. Dieci anni più tardi J. Scott proponeva una definizione di «genere» costituita da due proposizioni connesse: «il genere è un elemento costitutivo delle relazioni sociali fondate su una cosciente differenza tra i sessi, e il genere è un fattore primario del manifestarsi dei rapporti di potere» (J. Scott, Il “genere”: un’utile categoria di analisi storica, in Altre storie). La proposta metodologica della storica statunitense muoveva dal riconoscere che «uomo» e «donna» sono categorie al tempo stesso vuote e sovrabbondanti. «Vuote perché non hanno un significato definitivo e trascendente; sovrabbondanti perché, anche quando sembrano fisse, continuano a contenere al proprio interno definizioni alternative, negate o soppresse» (ivi). La differenza tra uomini e donne, dunque, non può essere ristretta a quella che è la distinzione di sesso (espressa in inglese dalla locuzione sexual difference), né può essere postulata a priori, assumendo acriticamente il dato biologico. Piuttosto, seguendo la lezione dell’antropologia, che dimostra appunto come la fisiologia sia sempre oggetto di interpretazione nelle diverse culture (G. Pomata, La storia delle donne. Una questione di confine, in Il mondo contemporaneo, X, Gli strumenti della ricerca. Questioni di metodo, 1983), la «differenza» (o, se vogliamo, la differente condizione) tra uomini e donne diviene l’oggetto stesso della ricerca, la domanda che l’orienta e il problema da analizzare. La storia di genere (gender history), dunque, si disinteressa della mera differenza dei sessi, ritenendo che questa, da un lato, sia insufficiente a rendere conto di un fenomeno più ampio quali sono appunto le identità di genere e, dall’altro lato, corra il rischio di identificare sulla base della comune fisiologia un gruppo astratto, le «donne», i cui caratteri (ma anche funzioni e ruoli sociali, spesso stabili nelle diverse culture) siano fondati in modo «essenzialista» sulla biologia, siano cioè «naturali». La storia di genere indaga, piuttosto, come le identità di genere si costruiscano reciprocamente attraverso le relazioni e le pratiche quotidiane, i rapporti di potere, i sistemi di norme e le istituzioni, i linguaggi e le culture dei diversi contesti spazio-temporali (ivi). È questo, d’altronde, il senso autentico del termine inglese gender, qualunque siano le varianti semantiche che in altre lingue conoscono termini assonanti così come, appunto, in italiano «genere» (P. Di Cori, Dalla storia contemporanea alla storia di genere, «Rivista di storia contemporanea», IV, 1987). Rispetto all’accezione disciplinare «storia delle donne», il concetto di genere opera, dunque, una correzione sostanziale in due direzioni correlate: non riguarda in senso stretto le donne, definite come un insieme univoco e uniforme costituito dall’essere femmine (dalla sessualità femminile e dal corpo potenzialmente materno), ma quello che esse storicamente sono; riguarda tanto le donne quanto gli uomini (come recepiscono gli studi più lenti a svilupparsi, ma sempre più numerosi sulle identità maschili e la costruzione della mascolinità e il proliferare di ricerche nel settore dei gay e lesbian studies). Non si tratta più tanto di rintracciare, con una sottile ansia di competizione, spazi di protagonismo femminili che ne accreditino la presenza sulla scena storica e ne legittimino gli studi, quanto di stabilire la «relazione concettuale, determinata storicamente, [della categoria “donne”] con la categoria ‘uomini’» (Scott, La storia delle donne, cit.). Un debito importante, nella riflessione e nella messa a punto teorica della storia di genere e dei suoi strumenti interpretativi, è stato contratto nei confronti del decostruzionismo di J. Derrida e del post-strutturalismo di M. Foucault. L’uno ha denunciato il sistema binario che costruisce i significati per opposizione rispetto a un termine innalzato a norma «universale» (per es. maschile/femminile) e ne ha proposto il superamento proponendo la logica del «supplemento». L’altro ha indicato, nei suoi studi sul potere, che i «saperi» sono sistemi di ordinamento della realtà, al quale contribuiscono le relazioni sociali attraverso istituzioni e strutture, pratiche quotidiane e rituali. Da qui è scaturita un’analisi più fine dei significati stessi dei termini «uomo» e «donna» e della loro elaborazione attraverso i processi discorsivi che producono la differenza. Per quanto riguarda, invece, il confronto con le scienze sociali, l’antropologia e la psicanalisi sono state inizialmente le discipline con cui coordinare la riflessione, vista l’attenzione che esse riservano «al ruolo svolto dalla differenza sessuale nella formazione dell’identità individuale e collettiva» (Di Cori, Dalla storia contemporanea). In seguito è stata soprattutto la sociologia, con cui la storia sociale aveva contemporaneamente aperto un proficuo confronto, a diventare l’interlocutore privilegiato. Temi e fonti della storia di genere. La ricerca delle storiche – conviene parlare al femminile vista l’ancora attuale prevalenza di studiose – ha preso le mosse attraverso pratiche di indagine e di scrittura che si legavano, in modo più o meno stretto, all’esperienza dei movimenti femministi (nella misura in cui questi esprimevano una critica teorica al sistema patriarcale del passato e intendevano denunciarne e scardinarne l’assetto anche attraverso forme di attivismo). Tuttavia l’esigenza di ricostruire il passato delle donne era avvertita come un’operazione che dovesse svolgersi all’insegna del massimo rigore scientifico. Si trattava non solo di recuperare uno spazio di visibilità, dilatando alle donne il campo della memoria, ma anche di riattivare un’attività intellettuale, quella di scrivere di storia, da cui queste erano state espunte come autrici a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, da quando cioè la storiografia si è posta come disciplina accademica, positivista, scientifica, distanziandosi dalla storiografia romantica e dalla matrice letteraria (G. Pomata, Storia particolare e storia universale: in margine ad alcuni manuali di storia delle donne, «Quaderni storici», 74, XXV, 1990). Nel far ciò, si puntava il dito sulla soggettività dello storico e, in particolare, sulla rilevanza della sua identità sessuale contro ogni pretesa di ritenere non solo neutro lo sguardo dell’osservatore e ininfluente la sua partecipazione al fenomeno osservato, ma anche indifferente la sua identità di genere, perlopiù reputata, rispetto ad altre appartenenze, un dato privato e pertanto trascurabile. Da qui muovono le prime ricerche condotte da studiose universitarie e diffuse in riviste scientifiche. Soprattutto nel corso degli anni Ottanta, infatti, mentre si avviano filoni tematici di grande spessore, si organizza anche la pubblicazione di riviste specializzate – come, tra le molte, «Gender and History» (1980), «Memoria» (1981), «L’Homme» (1990), «Clio» (1995) –, che rinunciano all’approccio multidisciplinare praticato da riviste già esistenti, come per es. «Donna Woman Femme» (1975). A queste sedi si affiancano contributi singoli e a sezioni monografiche di riviste di storia generale come «Quaderni storici» (dal 1980) e «Rivista di storia contemporanea» (dal 1985). In Italia, la separatezza tra produzione scientifica e impegno militante «femminista», cioè tra cultura e politica, è stata abbastanza rigorosa, e, sebbene discussa nella comunità delle storiche, non ha conosciuto una ribalta pubblica ed è stata ribadita anche quando si è costituita la Società italiana delle storiche (1989). Diverso, invece, è quanto sembra essersi verificato altrove, specie negli Stati Uniti, il cui insieme eterogeneo di studiose è stato ispiratore e interlocutore privilegiato delle esperienze europee. Tuttavia è innegabile che, anche in Italia, la consapevolezza della propria soggettività e identità di genere abbiano indicato l’agenda dei temi da affrontare. Prima di indicarli, conviene segnalare come le tradizioni storiografiche «nazionali» abbiano contribuito a indirizzare la ricerca nei vari paesi, tanto più che sia la storia delle donne sia la storia di genere hanno fatto ricorso a metodologie della ricerca convenzionali. Questi due filoni di studio, quindi, non hanno inaugurato un metodo specifico, ma hanno adottato nuovi presupposti, un diverso ordine delle rilevanze e uno specifico questionario cui sottoporre la raccolta dei dati e la loro interpretazione. Ciò è avvenuto mentre la storiografia, nel suo complesso, sperimentava una generale torsione che la apriva a settori nuovi della ricerca, a una diversa articolazione tematica e a differenti gerarchie di postulati. Non a caso, quindi, la storia sociale ha rappresentato un alleato degli studi sulle donne e un volano importante per favorirne il rafforzamento e la diffusione, contemplando al suo interno l’interrogativo su «i molteplici modi con i quali le donne hanno potuto re-interpretare e rielaborare i […] significati» dei contenuti, dal carattere storico e mobile, del maschile e femminile (E. Varikas, Genere, esperienza e soggettività. A proposito della controversia Tilly-Scott, in «Passato e presente», 26, 1991). Il confine tra storia delle donne e storia di genere, che appunto si definiva insieme allo svolgersi dell’attività di ricerca, è rimasto perlopiù ambiguo. Non sempre le rispettive premesse sono condivise e gli obiettivi, diversi, coerentemente individuati e perseguiti rispetto al nome dato a ciò che si stava facendo. D’altronde, postulare la storia di genere come una versione più matura (e moderna) della storia delle donne non è propriamente possibile (Scott, La storia delle donne, cit., p. 52) e, per certi versi, è operazione discutibile. Infatti, la storia di genere ha conosciuto anche, in alcuni settori perlopiù statunitensi, una deriva scettica, mostrando l’attitudine a considerare le donne solo come la costruzione dei «discorsi» religiosi, giuridici, letterari, filosofici, medici ecc. di cui erano oggetto. In tal modo è stato privilegiato l’esame del «significato» piuttosto che lo studio delle donne quali soggetti operanti di fatto nella realtà del passato. La storia delle donne, invece, ha insistito sulla identità collettiva delle donne e sulla separatezza della esperienza storica femminile da quella maschile. Permane tuttavia una fondamentale e per certi versi insolubile ambiguità tra i due campi di studio. Da un lato, infatti, la dizione «storia di genere» è stata spesso usata per schermare l’oggetto autentico della ricerca condotta, cioè le donne (o la condizione femminile) e per presentare il proprio operato come sessualmente neutro, insospettabile di «militanza femminista» e, in definitiva, scientifico, specie agli occhi dell’accademia. Si tratta di una contraddizione che ha condotto a esiti opposti, invece, laddove, come per es. negli Stati Uniti, la individuazione del soggetto di studio (in questo caso le donne) rientrava nella politica accademica di protezione e incoraggiamento degli studi settoriali. D’altro lato, l’ambiguità deriva anche dalla persistente difficoltà di formulare il concetto di «genere», attorno al quale si spendono studiose di diverso indirizzo teoretico e filosofico, e di individuare e definire in modo stabile e costante la soggettività «femminile» (S. Piccone Stella, C. Saraceno, Introduzione. La storia di un concetto e di un dibattito, in Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, 1996). Le storiche hanno scelto, almeno in Italia, di porsi in modo pragmatico di fronte alle differenze rilevabili nel passato e, per questo motivo, in definitiva l’oggetto di studio sembra essere sovente, al di là delle etichette, un’analisi congiunta di uomini e donne o delle relazioni tra i sessi. Per quanto riguarda i temi che raccolgono l’interesse della ricerca, questi individuano i contesti e gli eventi in cui l’esperienza storica femminile si sperimenta e in cui, contemporaneamente, si costruiscono in modo relazionale le identità di genere: la famiglia, il lavoro, la cittadinanza, la sfera pubblica e quella domestica, ma anche la guerra, il corpo e la maternità, la storia religiosa, l’istruzione, l’associazionismo e il diritto. L’obiettivo, in questi studi, è stato tanto di accumulare dati e ricavare informazioni che fornissero ricostruzioni attendibili sul vissuto delle donne, quanto di individuare i «discorsi» che avevano contribuito alla costruzione culturale dei sessi (assumendo con reciprocità la controparte maschile e femminile), la loro interpretazione e peculiare traduzione nella esperienza storica di individui e gruppi sociali. IL VOCABOLARIO DELLA QUESTIONE DEI GENERI di Irene Biemmi HTTP://WWW.NUOVIOCCHIPERIMEDIA.IT/VOCABOLARIO_GENERI/ Per progettare percorsi di educazione di genere nelle scuole è utile in primo luogo padroneggiare e condividere un vocabolario specialistico costituito da termini quali: sesso, genere, differenze sessuali, differenze di genere, mascolinità, femminilità, stereotipo, sessismo. Alcuni di questi termini (genere, sessismo) sono neologismi creati nell'ambito del neo-femminismo per inaugurare un linguaggio che si faccia portatore di un nuovo sguardo per osservare la "questione dei generi": le differenze tra uomini e donne – che si configurano tradizionalmente in termini di disparità di un sesso sull’altro – non sono un dato biologico, innato, ma sono il frutto di un condizionamento socio-culturale messo in atto all’interno della famiglia, della scuola e del più ampio contesto sociale. Ci sono due nozioni preliminari da cui partire: quelle di sesso e genere. La distinzione tra i due termini palesa a livello linguistico due differenti prospettive teoriche attraverso le quali si possono studiare le tematiche in oggetto e rimanda ad un antico dibattito, quello tra natura e cultura, che è stato applicato anche alla discussione delle origini delle differenze tra i sessi. La questione può essere così espressa: donne e uomini imparano ad essere differenti, oppure la responsabilità delle differenze va attribuita esclusivamente al loro patrimonio biologico ereditario? Le differenze nei comportamenti e nella costituzione psichica sono determinate da dati biologici/genetici/ormonali o sono piuttosto il prodotto di condizionamenti culturali e influenze ambientali? In sostanza, le differenze tra maschi e femmine sono innate o sono apprese? I termini sesso e genere rimandano, rispettivamente, alle due prospettive: quella innatista e quella culturale. Il termine sesso allude ad una caratteristica fisica biologicamente definita che distingue i maschi dalle femmine, nasce infatti in biologia per designare una specifica coppia di cromosomi contenuti nelle cellule. Ogni cellula del corpo umano contiene quarantasei cromosomi, che si presentano in coppie di due elementi caratterizzati dalla forma uguale. I cromosomi sessuali costituiscono un ventitreesimo del patrimonio cromosomico totale: si tratta dei cosiddetti cromosomi X e Y, perché la loro forma è approssimativamente simile a queste due lettere maiuscole. Le donne hanno due cromosomi X, gli uomini hanno un cromosoma X e un cromosoma Y. Questi cromosomi sessuali, XX nella femmina e XY nel maschio, sono responsabili dello sviluppo delle caratteristiche femminili e maschili perché producono – nella norma – due differenti schemi di sviluppo somatico: appunto, quello maschile e quello femminile. Dunque è indubbio, e pacifico, che maschi e femmine siano biologicamente differenti. La situazione è però complicata dal fatto che le diversità che da sempre hanno connotato i due sessi si sono allargate ben oltre la sfera biologica per andare ad investire la sfera dei ruoli sociali e familiari fino ad arrivare a determinare una diversità nei comportamenti, nelle attitudini, nei tratti psicologici e comportamenti che sono ritenuti peculiari di ciascun sesso. Ci possiamo domandare se questo secondo ordine di diversità derivi direttamente dalla diversità primordiale, biologica, o se invece sia frutto di condizionamenti sociali e culturali. Per lungo tempo gli studiosi hanno abbracciato la prima posizione, quella innatista, sostenendo che il ruolo di subalternità che la donna riveste nella società sia la diretta conseguenza di una sua inferiorità fisica e mentale. Il movimento femminista inaugura una prospettiva antitetica, arrivando a sostenere che le diverse caratteristiche, i diversi ruoli e comportamenti di donne e uomini sono appresi nel processo di socializzazione. Si arriva in questo modo alla definizione del concetto di genere. Genere è un neologismo che viene introdotto nella lingua italiana negli anni ’80 e deriva dal corrispondente termine inglese gender. Il concetto di gender si sviluppa a partire dagli anni ’60 in area anglo-americana per designare il carattere sessuato dell’identità psicologica e socioculturale delle persone, dei ruoli nella famiglia e nella società, delle relazioni tra i sessi. Genere è dunque il significato sociale assunto dalle differenze sessuali e può essere definito come l’insieme di caratteristiche, comportamenti, norme di condotta che finiscono per essere rispettivamente associati ai maschi e alle femmine e perciò da loro attesi all’interno di una particolare società. In altre parole è un termine che designa i concetti di mascolinità e femminilità intesi come le attese sociali e culturali nei confronti della donna e dell’uomo. La distinzione tra differenze di genere e differenze sessuali ha quindi un significato sostanziale perché rimanda a due diversi presupposti teorici. Quando si fa riferimento alle differenze di sesso si allude ad una distinzione essenzialmente biologica che si fonda sulle caratteristiche anatomiche e fisiologiche degli individui; quando invece si fa riferimento alle differenze di genere si sottolinea il fatto che c’è una caratteristica socioculturale che assegna convenzionalmente a uomini e donne comportamenti e stili riconosciuti propri di ciascun sesso. Arriviamo quindi alla nozione di sessismo, neologismo derivante dall’inglese sexism a sua volta creato in analogia a racism (razzismo), nasce negli anni '70 negli Stati Uniti. Come con "razzismo" si intende discriminazione secondo la razza, con "sessismo" si intende discriminazione secondo il sesso. Il termine indica quindi qualunque arbitraria stereotipizzazione di maschi e femmine in base al sesso. Questa definizione ci rimanda ad altre tre nozioni che vanno a chiudere il nostro piccolo vocabolario: pregiudizio, stereotipo/stereotipo di genere, discriminazione. Il pregiudizio è un atteggiamento e, in quanto tale, è composto da tre aspetti: una componente affettiva o emozionale, che rappresenta il tipo di emozione collegata all’atteggiamento (ad esempio, la rabbia o la gioia, l’ansia, l’ostilità); una componente cognitiva, che comprende le credenze o i pensieri (cognizioni) che compongono l’atteggiamento; una componente comportamentale, collegata alle azioni dell’individuo. Il pregiudizio (componente emotiva) è un atteggiamento ostile o negativo nei confronti di un gruppo, basato unicamente sull’appartenenza a quel determinato gruppo. I pregiudizi sono frutto di categorizzazioni sociali. Lo stereotipo (componente cognitiva) è un’opinione comune, ritenuta valida, relativa a caratteristiche e credenze di gruppi e/o istituzioni, spesso semplificata e rigida che non tiene in nessun conto le differenze individuali. Gli stereotipi sono l’effetto di generalizzazioni. Una sua sottocategoria è lostereotipo di genere che consiste in una visione semplificata e rigida che attribuisce a donne e uomini ruoli determinati e limitati dal loro sesso. Infine, la discriminazione(componente comportamentale) è un’azione ingiustificata negativa o dannosa verso i membri di un gruppo, semplicemente a causa dell’appartenenza a quel determinato gruppo. Per approfondimenti: BROWN RUPERT, Psicologia sociale del pregiudizio (1995), trad. it., Il Mulino, Bologna 1997. BURR VIVIEN, Psicologia delle differenze di genere (1998), trad. it., Il Mulino, Bologna 2000. PICCONE STELLASIMONETTA - SARACENO CHIARA [a cura di], Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, Il Mulino, Bologna 1996. ROGERS LESLEY, Sesso e cervello (1999), trad. it., Einaudi, Torino 2000. Appunti :