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Quinta Sessione
La valutazione di particolari
fattispecie medico-legali
QUANTIFICAZIONE DEL DANNO DEL CAMPO VISIVO:
INDICAZIONI OPERATIVE E NUOVE IPOTESI VALUTATIVE
IN AMBITO ASSICURATIVO SOCIALE
E. ZINZINI*, G. ALÌ**, M.L. CAPUTO***
* SPECIALISTA OCULISTA SEDE INAIL DI BRESCIA
** DIRIGENTE MEDICO I LIV. SOVRINTENDENZA MEDICA REGIONALE INAIL DELLA LOMBARDIA
*** DIRIGENTE MEDICO II LIV. SOVRINTENDENZA MEDICA REGIONALE INAIL DELLA LOMBARDIA
RIFERIMENTI NORMATIVI
La funzione visiva globalmente intesa comprende numerose capacità percettive specifiche quali l’acutezza visiva, il campo visivo, la sensibilità al contrasto, il riconoscimento
dei colori, il senso del rilievo, la stereopsi, la resistenza all’abbagliamento, la capacità di
adattamento, la percezione del movimento ecc.
Dal punto di vista clinico le due principali capacità percettive, quelle che cioè consentono all’individuo di interagire con l’ambiente e di mantenere una completa autonomia
nella vita di tutti i giorni, sono tuttavia l’acutezza visiva ed il campo visivo.
In passato la valutazione medico legale dei deficit della funzione visiva è stata esclusivamente incentrata sulla classificazione della compromissione della acutezza visiva,
facendo di fatto coincidere la complessità funzionale dell’ apparato visivo con la visione per lontano.
Al riguardo, infatti, le tabelle allegate al DPR n. 1124 del 1965, utilizzate per tutti gli
infortuni avvenuti prima del 25.7.2000, prevedevano una specifica tabella solo per i
deficit dell’acuità visiva.
Per la valutazione degli eventuali deficit perimetrici conseguenti a determinate fattispecie infortunistiche si ricorreva allora alla più articolata “Guida alla valutazione medico
legale del danno biologico e dell’invalidità permanente” di Luvoni - Bernardi in cui anche nella ultima edizione del 2001 - sono proposte valutazioni indicative dei deficit
del campo visivo nei tre settori valutativi principali: infortunistica del lavoro, infortunistica privata e responsabilità civile.
La SIMLA (Soc. Italiana di medicina legale e delle assicurazioni) nella “Guida orientativa per la valutazione del danno biologico permanente” pubblicata per la prima volta nel
1996, recependo le indicazioni proposte dalla SIOL (Soc. italiana di oftalmologia legale)
introduceva apposite sezioni valutative per le alterazioni del cristallino, (afachia e pseudoafachia), per i deficit del campo visivo, per la diplopia, per le alterazioni del senso cromatico, dei deficit della sensibilità al contrasto e per le alterazioni degli annessi.
In particolare per quanto riguarda la valutazione del campo visivo la Guida della
SIMLA ha impostato la trattazione dei difetti perimetrici fornendo l’esplicazione della
metodologia operativa senza peraltro proporre valutazioni tabellari riservate, invece,
ad altri voci di danno del settore oculistico.
Anche nella più recente versione della Guida (a. 2001) viene proposto l’utilizzo del
perimetro di Goldmann usando la mira luminosa III/4 ed un apposito diagramma su
cui riportare il tracciato del campo binoculare, infine è proposta l’applicazione di
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ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
una formula per il calcolo della percentuale di invalidità riferita al deficit del campo
binoculare.
In ambito assicurativo sociale le Tabelle delle menomazioni ex DM 12.7.2000 e previste
dall’art. 13 del D.lgs n. 38/2000, colmano le carenze contenute nel già citato DPR n.
1124/1965 proponendo alcune articolate indicazioni valutative circa i deficit del campo
visivo:
- utilizzo della perimetria computerizzata,
- attribuzione ai punti del campo visivo esaminati, di valori pari a 0.8 per i difetti
“assoluti” e di 0.4 per i difetti “relativi”,
- attribuzione di valori pari ad 1 per i difetti “assoluti” e di 0.5 per quelli “relativi” nei
casi in cui i punti con difetti assoluti siano stati pari o superiori a 70 su 100 esaminati.
La più recente legge n. 138 del 3.4.2001 in ambito di invalidità civile (“Classificazione e
quantificazione delle minorazioni visive e norme in materia di accertamenti oculistici; accertamento della cecità civile”) ha introdotto notevoli innovazioni alla materia introducendo
una nuova classificazione tecnico - scientifica che tiene conto, oltre che della riduzione del
visus, anche del residuo perimetrico binoculare quale causa di disabilità valutabile.
In particolare la definizione di:
- cieco totale (art. 2) comprende anche coloro che hanno un residuo binoculare perimetrico inferiore al 3%,
- cieco parziale (art. 3) comprende anche coloro che hanno un residuo perimetrico
binoculare inferiore al 10%,
- ipovedente grave comprende anche coloro che hanno un residuo perimetrico binoculare inferiore al 30%,
- ipovedente medio - grave comprende anche coloro che hanno un residuo perimetrico
binoculare inferiore al 50%,
- ipovedente lieve comprende anche coloro che hanno un residuo perimetrico binoculare inferiore al 60%.
Nella relazione tecnica di accompagnamento del Consiglio Superiore di Sanità allegata
alla circolare applicativa del Ministero dell’Economia n. 464 del 19.11.04 è precisato che
per la valutazione percentuale del danno perimetrico è preferibile l’utilizzo della perimetria computerizzata ed in particolare del programma diagnostico di Zingirian e Gandolfo.
Per ultimo anche le “Tabelle delle menomazioni previste dall’art. n. 138 del D.lgs
209/2005” (relative all’accertamento ed alla valutazione del danno biologico derivante
da circolazione di motori e natanti) nel capitolo relativo alle menomazioni dell’apparato
visivo hanno recepito le più recenti indicazioni scientifiche - normative esplicando che:
- la determinazione del campo visivo deve essere eseguito mediante perimetria computerizzata,
- la valutazione del deficit campimetrico deve essere confermata da ripetuti accertamenti da eseguirsi lungo il decorso della patologia fino alla stabilizzazione della
lesione,
- la valutazione vada effettuata tenendo conto dei punti confluenti e non di quelli singoli attribuendo un valore differente a seconda del settore ove il deficit perimetrico è
localizzato: per l’emicampo inferiore si attribuisce un valore di 1 per i difetti assoluti
e 0.5 per quelli relativi, per l’emicampo superiore un valore di 0.8 per i difetti assoluti
e 0.4 per i difetti relativi.
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ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
Venendo ora al merito delle problematiche relative alla valutazione in ambito assicurativo sociale si osserva preliminarmente come certamente la vigente tabella delle menomazioni ex DM 12.7.2000 nell’allegato 3 parte B, ha avuto l’indubbio merito di introdurre notevoli innovazioni procedurali e valutative nell’accertamento delle menomazioni del campo visivo.
Allo stato dei più recenti contributi scientifici e dottrinari di cui s’è detto risulta oggi,
però, inadeguata a fornire un preciso inquadramento medico legale di questo tipo di
menomazioni, soprattutto per quanto riguarda l’impatto funzionale che determinano.
Infatti, ferma restando la scelta, uniformemente condivisa in ambito medico legale,
dell’utilizzo della perimetria computerizzata come metodica di primo livello per la
misurazione del campo visivo, si precisa l’importanza che la valutazione del danno
periferico tenga conto, non solo della capacità complessiva dell’esaminato di percepire
gli stimoli luminosi proposti, bensì anche di definire in termini valutativi il settore campimetrico interessato dalla lesione.
Da un punto di vista funzionale, infatti, la zona del campo visivo più importante è
quella posta tra i 5° ed i 30° di eccentricità: l’area posta entro i 5° è utile soprattutto per
le capacità risolutive mentre quella oltre i 30° è più importante per la capacità di orientamento spaziale.
RIFERIMENTI CLINICI
La quantificazione del danno perimetrico in ambito INAIL ha sempre rappresentato
un problema di non facile soluzione sia per la non uniformità delle metodiche di indagine utilizzate, sia per la difficoltà di tradurre in termini numerici un danno puramente
sensoriale quale è il deficit perimetrico. Il D.L. 38/2000 ha consentito di affidarsi alla
perimetria computerizzata per l’analisi del deficit perimetrico, rendendo inoltre più
agevole, ma soprattutto più uniforme, la traduzione numerica del danno funzionale.
Persiste comunque per gli specialisti il problema di confrontarsi con una folta schiera di
programmi computerizzati disponibili ed è lasciata all’esperienza ed alla scienza
dell’oculista, nonché alla tipologia degli strumenti disponibili sul territorio, la scelta del
programma da impiegare nell’analisi del deficit perimetrico. Naturalmente la scarsità di
indicazioni in merito, contribuisce a sostenere la non uniformità della valutazione.
Il campo visivo fornisce la mappa topografica dello spazio (la cosiddetta mappa visuotopica), al centro della quale localizziamo mentalmente il nostro corpo, ed entro la quale progettiamo le azioni e moduliamo i movimenti, inclusi i movimenti coniugati degli occhi.
Nell’esplorazione dello spazio circostante, quello che abitualmente facciamo é regolare
la posizione degli occhi sugli oggetti interessanti, che hanno segnalato la loro presenza
in aree retiniche periferiche.
Muoviamo gli occhi in modo che l’immagine dell’oggetto cada sulle due fovee, che lo fissano per meno di mezzo secondo per riconoscerlo. Immediatamente dopo, le fovee sono
attratte da altri segnali e puntate verso un’altra zona del campo visivo che è stata notata
perché ha un contrasto differente, perché è in movimento o perché è interessante.
Il meccanismo con cui il cervello ricostruisce il mondo circostante, avviene componendo simultaneamente le informazioni che pervengono dal campo visivo (visione d’insieme) e dalla sequenza delle fissazioni (visione dei particolari); in altre parole, la percezione visiva si basa in buona parte su stimoli luminosi “mai fissati” dalle fovee ma che originano dalla retina periferica.
Lo studio del campo visivo è da sempre stato oggetto di numerose ricerche e sperimenta287
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zioni che hanno portato alla realizzazione di programmi di perimetria computerizzata
altamente specifici e sensibili nell’individuare la sede, la profondità e le caratteristiche dei
deficit perimetrici derivanti da varie patologie oculari, nonché nell’individuare indici predittiviti della sua evolutività, ed ad affrontare quindi l’aspetto clinico di tali patologie.
Nell’ambito puramente valutativo che più ci compete, ciò che invece è rilevante è poter
disporre di programmi in grado di quantificare il danno perimetrico. Non è quindi
necessario, né proficuo, avvalersi di metodiche d’indagine particolarmente sofisticate,
ma che abbiano una strategia d’esame sufficientemente sensibile nel rilevare l’ampiezza
e la sede del deficit, che possa identificare difetti assoluti e relativi e possa indicare la
proporzione dei difetti rilevati; in pratica che consenta di applicare agevolmente la formula del danno oculare complessivo dell’all. 3 delle tabelle INAIL vigenti.
NOSOLOGIA DEL DANNO PERIMETRICO IN AMBITO INAIL
Trattando di patologia oculare lavorativa, un danno perimetrico può essere conseguenza sia di eventi traumatici a carico del bulbo oculare, sia in seguito a lesioni del sistema
nervoso centrale, come pure, anche se in misura meno rilevante, in ragione di esposizione professionale a sostanze tossiche per il Sistema Nervoso Centrale.
Di gran lunga più frequente è l’eziologia traumatica sia bulbare che cranica. I traumi
oculari possono determinare danni del campo visivo sia in seguito a contusioni dirette
del bulbo stesso o in modo indiretto in caso di traumatismi fratturativi della cavità
orbitaria. I traumi cranici, soprattutto se fratturativi, possono ledere direttamente la
via visiva dai tratti ottici alla corteccia occipitale, ma essa può pure subire un’insulto
ischemico o compressivo secondario a lesioni cerebrali in altri distretti encefalici.
Pertanto la patogenesi del danno perimetrico può essere quanto mai varia. Non volendo addentrarsi nella fattispecie delle singole evenienze tramati
che, le modalità con le quali un trauma del sistema visivo può esitare in deficit perimetrico sono sintetizzate nello schema seguente (TAB. 1):
Tabella 1
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Vi è da sottolineare che le otticopatie traumatiche possono determinare sia una riduzione visiva anche grave per l’amputazione centrale del campo visivo, sia una sua riduzione concentrica; nel primo caso il sintomo prevalente sarà rappresentato da una riduzione dell’acutezza visiva, e di conseguenza la valutazione del danno farà riferimento a
tale parametro, nel secondo caso l’acutezza visiva è di solito conservata e pertanto il
danno emergente sarà perimetrico.
Inoltre in tali specificità patologiche il danno del nervo ottico, e quindi perimetrico si
instaura repentinamente, può subire modificazioni migliorative da valutare nell’arco di
12 mesi circa dal trauma, e giunge poi ad una stabilizzazione.
In caso di glaucoma post-traumatico invece il danno perimetrico può non essere evidenziabile inizialmente ma stabilirsi nel tempo; si impone pertanto in questi casi un
periodico controllo per evidenziare i danni emergenti.
Dal punto di vista epidemiologico, purtroppo in bibliografia non sono presenti dati di
prevalenza specifici. E stato recentemente istituito il Registro Italiano dei Traumi
Oculari (R.I.T.O) dal quale si auspica in futuro di poter trarre dati epidemiologici preziosi anche con il contributo dell’INAIL; allo stato esistono solo dati generici di traumatologia oculare desunti da casistiche locali. Da queste casistiche risulta che la frequenza delle otticopatie traumatiche da causa lavorativa sarebbe valutata nell’ordine
del 20% dei traumi oculari.
PROGRAMMI DI PERIMETRIA COMPUTERIZZATA DISPONIBILI
Come precedentemente accennato la gamma di programmi di perimetria computerizzata disponibile per l’oculista è veramente ampia, come dimostrato dalla seguente tabella
(2) che illustra le strategie e le caratteristiche dei programmi per lo studio dei deficit
periferici, dei due perimetri più diffusi in ambito clinico:
Tabella 2
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Tuttavia attenendosi strettamente a quanto viene richiesto dalla formula di calcolo del
danno oculare complessivo e cioè il computo dei punti visti, non visti e dei difetti relativi, la scelta si restringe significativamente.
Nella mia esperienza ho trovato consono, visti i fini esclusivamente valutativi del
nostro ambito, il programma Screening 120 punti, 3 zone del perimetro Humphrey.
Tale perimetro è sicuramente quello più diffuso nella maggioranza delle Cliniche
Oculistiche italiane.
In merito alle caratteristiche specifiche, ritengo che possa consentire una valutazione
attendibile per i seguenti motivi:
- il pattern dell’esame è costituito da 120 punti di esplorazione in un’area monoculare
compresa fra 0-55°, quindi con discreta densità di punti esplorati ed altrettanto utile
ampiezza del campo visivo esplorato.
- La strategia soprasoglia tre zone consente appunto di rilevare i punti visti, i difetti
relativi e quelli assoluti.
- La durata dell’esame è contenuta nell’ordine dei 10 minuti per occhio esaminato e le
modalità esecutive sono semplici, quindi consente di ottenere un significativo indice
di attendibilità anche in pazienti non ‘esperti’o collaboranti.
Dal punto di vista pratico c’è in effetti una certa indaginosità del calcolo dovuta anche
alla necessità di trasformare in proporzione a base 100, necessaria al calcolo successivo,
quella a base 120 fornita dal programma; tuttavia il problema pare superabile abbastanza agevolmente.
Si propongono qui di seguito due casi pratici:
1) Contusione bulbare OD del 1992 con otticopatia post-traumatica in infortunato di 29
anni. Visto per revisione nel 2004; il quesito del medico legale riguardava la congruità
della precedente valutazione (12%) effettuata sulla base di una perimetria manuale.
VOD: 9-10/10 nat.
VOS: 10/10 nat.
Eseguito campo visivo computerizzato programma Screening 120 punti tre livelli con i
seguenti rilievi:
OD(leso): punti visti 66/120
Difetto assoluto 48/120
Difetto relativo 6/120
CALCOLO (difetto assoluto < 70%)
Difetto assoluto 48x100/120= 40%
Difetto relativo 6x100/120= 5%
Danno oculare complessivo: (40x0.8) + (5x0.4)= 34%
Danno biologico permanente: 34x 28/100= 9.5%
In conclusione il danno è stato confermato perché trattandosi di deficit perimetrico del
campo visivo inferiore, funzionalmente più importante, si è ritenuta comunque congrua
la valutazione del 12%.
2) Grave trauma cranico fratturativo e commotivo con lesioni cerebrali anche a livello
delle radiazioni ottiche con residua quadrantopsia bilaterale in soggetto di 28 anni.
Visto per valutazione postumi permanenti relativi al danno visivo.
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ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
VOD: 10/10 con correzione (già in uso precedentemente)
VOS: 9-10/10 con correzione (già in uso precedentemente)
Eseguito campo visivo computerizzato programma Screening 120 punti tre livelli con i
seguenti rilievi:
OD: punti visti 72/120
Difetto assoluto 37/120
Difetto relativo 11/120
CALCOLO
Difetto assoluto 37x100/120= 30.9%
Difetto relativo 11x100/120= 9.1%
Danno oculare complessivo OD: (30.9x0.8) + (9.1x0.4)= 28.3%
OS: punti visti 88/120
Difetto assoluto 19/120
Difetto relativo 13/120
CALCOLO
Difetto assoluto 19x100/1
20= 15.8%
Difetto relativo 13x100/120= 10.8%
Danno oculare complessivo OD: (15.8x0.8) + (10.8 x0.4)= 17.1%
Trattandosi di danno binoculare: (28.3% + 17.1%) /2 = 22.7%
Danno biologico permanente: 22.7x85/100= 19.3%
IL CAMPO VISIVO BINOCULARE: RAZIONALE, BASI SCIENTIFICHE ED
ATTUALE APPLICAZIONE IN AMBITO INVALIDITÀCIVILE E CIECHI
CIVILI
La valutazione del campo visivo binoculare è riconosciuta ormai da alcuni decenni
come la più efficiente nella quantificazione del danno perimetrico; rappresenta la quantificazione che meglio esprime la funzione di visione d’insieme ed i suoi difetti in quanto esistono meccanismi di compenso del deficit perimetrico sia a livello dell’organo
periferico che a livello centrale. E noto infatti che entro certi limiti aree mancanti del
CV di un occhio possono essere efficacemente compensate da aree indenni dell’occhio
controlaterale.
In condizioni di binocularità poi si verifica la sommazione delle soglie che consente prestazioni visive migliori rispetto a quelle misurate monocularmente.
A questi fenomeni oculari si aggiungono altri meccanismi corticali di tipo psicosensoriale come il filling in, che consente, entro certil imiti, di colmare aree mancanti del
campo visivo.
Come illustrato nella prima parte di questa relazione, in ambito d’invalidità civile e
delle commisioni ciechi (legge 138/2001), tale tipo di valutazione è stata riconosciuta
congrua dal Consiglio Superiore della Sanità e, dal novembre 2004, in seguito a pronunciamento del Ministero dell’Economia, il deficit perimetrico periferico valutato
binocularmente è stato equiparato al deficit di acutezza visiva, in termini di attribuzione dei benefici economici ed assistenziali (TAB 3).
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ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
Tabella 3
La normativa quindi, in base agli assunti scientifici, ha riconosciuto valida la quantificazione della minorazione visiva perimetrica in base al concetto funzionale di campo
visivo binoculare. Da ciò è quindi emersa la necessità di individuare programmi perimetrici binoculari in grado non solo di rappresentare il risultato con un punteggio percentuale ma che fossero anche il più possibile rappresentativi della reale disabilità visiva vissuta dal paziente.
A tale scopo è stata pure riconosciuta la validità scientifica e pratica di un programma
perimetrico binoculare ideato dal Prof. Enrico Gandolfo, massimo esperto italiano in
perimetria recentemente scomparso, e dai suoi collaboratori.
Tale programma detto CV% (fig.1) presenta un pattern di 100 punti distribuiti in modo
da privilegiare le aree perimetriche più importanti dal punto di vista funzionale (CV paracentrale ed inferiore) e cioè quelle zone la cui integrità è fondamentale per assicurare
l’autonomia nell’ambiente; infatti 60 punti sono situati nell’emicampo inferiore, 40 in
quello superiore; 64 punti sono collocati tra i 5 ed i 30° e 36 in quello periferico (30-60°).
In questo programma l’intensità dello stimolo è correlata alla classe d’età del paziente
ed al gradiente fisiologico della sensibilità; la strategia è sopraliminare del tipo 3 zone
che consente la classificazione dei difetti perimetrici in assoluti e relativi.
E’ un esame di rapida esecuzione e di agevole gestione anche con pazienti poco collaboranti.
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ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
Figura 1
Il programma CV% fornisce la stampa del valore percentuale dei difetti relativi e di
quelli assoluti; inoltre definisce come difetto relativo i punti visti con stimolo massimale
ed assegna ad essi un punteggio di 0.5; i punti non visti hanno valore 0 e quelli visti con
lo stimolo appena sopraliminare hanno valore 1. Il calcolo del residuo perimetrico percentuale, come richiesto dalla legge, risulta quindi di agevole esecuzione.
Il programma CV% quindi, presenta requisiti formali ed esecutivi tali da renderlo
conforme a quanto previsto dalla legge 138/2001; la sua validità ha trovato riscontro in
alcuni studi effettuati su pazienti affetti da ipovisione periferica ed in essi ha mostrato
efficacia nel quantificare il danno perimetrico in modo rispondente alla reale disabilità
dei pazienti con deficit perimetrico periferico.
Dal punto di vista pratico il calcolo del danno biologico derivante da deficit perimetrico periferico, dovrebbe quindi essere condotto considerando sempre il fattore 85 (relativo al valore della perdita dei due occhi) e non il 28, in quanto l’esame viene condotto
in condizioni di binocularità.
CONCLUSIONI
Le indicazioni operative e di legge attualmente disponibili, per quanto abbiano apportato un significativo contributo prima di tutto nel riconoscimento come entità nosologica e poi nella quantificazione del deficit perimetrico (D.L.38/2000, L.138/2001, tabelle
ex art. n.138 del D.lgs 209/2005), presentano ancora alcuni punti di discussione.
E’ del tutto condivisibile il fatto che se già è arduo poter tradurre in termini percentuali
un qualsiasi deficit motorio, in modo che tale valutazione sia il più possibile risponden293
ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
te alla reale disabilità vissuta dal paziente, forse ancora più arduo è tale compito quando ci si confronta con danni sensoriali.
Grazie ai riferimenti normativi illustrati nella prima parte di questa relazione, l’attenzione al problema è stata sollecitata con contributi rilevanti:
- Il D.L. 38/2000 sottolinea la necessità di una quantificazione percentuale, assegnando coefficienti diversi a seconda dell’entità del deficit perimetrico (punti non visti >
o< di 70%).
- L’art 138 del Decreto Legislativo n. 209/2005 pone in rilievo la sede del deficit stesso
(campo visivo superiore o inferiore) con attribuzione di valore diverso al deficit in
base alla sua sede.
- La legge 138/2001 ha riconosciuto la disabilità perimetrica come entità nosologica,
l’ha equiparata alle minorazioni dell’acutezza visiva in termini valutativi e di attribuzione dei benefici economici ed assistenziali in ambito invalidità civile ed ha ritenuto
scientificamente valida la valutazione binoculare del deficit perimetrico.
In pratica ogni ambito propone un criterio e tutti sono indubbiamente validi in pari
misura.
Si ritiene quindi, nell’intento di perseguire l’obiettivo di giungere a criteri di quantificazione scientificamente validi, rispondenti alla reale disabilità ma soprattutto uniformi,
che sia veramente importante elaborare una sintesi.
Volendo esprimere un’ipotesi di lavoro, il deficit perimetrico potrebbe essere valutato
binocularmente attribuendo coefficienti maggiori ai deficit localizzati nei settori più
nobili del CV (inferiore e paracentrale), eventualmente differenziando i deficit perimetrici più ampi (punti non visti
70%) da quelli meno estesi.
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ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
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295
LE NUOVE TECNICHE DI INDAGINE OFTALMOLOGICHE:
UN VALIDO CONTRIBUTO NELL’ITER
DIAGNOSTICO-VALUTATIVO DELLE PATOLOGIE DEL
SEGMENTO POSTERIORE
M. TALONI*, R. MIGLIORINI**
* OFTALMOLOGO - AZIENDA OSPEDALIERA S. CAMILLO - FORLANINI ROMA
** OFTALMOLOGO, MEDICO-LEGALE - COORDINAMENTO GENERALE MEDICO-LEGALE INPS
Diagnosi è un termine greco che significa “riconoscimento, discernimento, distinzione”
ma anche “valutazione, decisione”. Tale concetto trova la sua piena espressione anche nel
percorso da seguire in ambito medico-legale dove alla finalità diagnostico-terapeuticoprognostica, propria della clinica, si sostituisce il giudizio valutativo quali - quantitativo.
Tale obiettivo si raggiunge attuando una attenta analisi degli elementi che emergono da
una esaustiva anamnesi, da un accurato esame obiettivo e da un attento esame di tutti gli
accertamenti clinico-strumentali che devono essere utili e non ripetitivi, non invasivi né
pericolosi , non essendo propedeutici ad un trattamento terapeutico1.
L’utilità clinica di un test si basa su parametri, spesso convergenti:
1) conoscenze fisiopatologiche;
2) valutazione della sensibilità, specificità e valore predittivo di un accertamento in
rapporto alla incidenza della patologia nella popolazione esaminata;
3) conoscenza delle linee guida diagnostico-valutative elaborate dalle principali società
scientifiche
4) conoscenza dei rischi e delle controindicazioni.
Il raggiungimento di un modello diagnostico adeguatamente circostanziato, consentirà
di esprimere un giudizio medico-legale completo, in cui si tenga conto delle concrete
prospettive evolutive dei diversi quadri patologici anche in relazione alle terapie. Infatti
la metodologia medico-legale che è condizionata dall’istituto della prova e perciò è
rigorosamente obiettiva dovrà essere assolutamente aderente alla realtà dei dati clinici e
strumentali rilevati.
Inoltre la valutazione di essi al fine del giudizio medico-legale dovrà fondarsi su motivazioni logiche e plausibili che tengano conto dell’anamnesi, dell’esame obiettivo, della
documentazione medica e dell’analisi degli accertamenti strumentali, alla luce delle
conoscenze scientifiche più moderne e, conseguentemente, di quali siano i comportamenti più appropriati nelle specifiche circostanze2. Ciò vale in qualsiasi ambito giuridico, ove ci troviamo ad operare.
1 M. PICCIONI, M.L. CRISAFULLI. Il consenso informato nella diagnostica specialistica a fini medicolegali. In Rassegna di Medicina Legale Previdenziale, Supplemento al n. 3/2002, Anno XV, Atti Comitato
Tecnico-Scientifico.
2 M.PICCIONI , G BILOTTA, F ANTONELLI. Valutazione anatomo-funzionale del danno linee guida
internazionali Jura Medica,maggio 2002-anno XV, n. 2.
297
ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
Orbene non sempre è facile tradurre medico-legalmente la menomazione del soggetto
specialmente nell’ambito di malattie che colpiscono il senso visivo, persino in un campo
ad alto contenuto tecnologico come quello dell’oftalmologia. All’uopo l’esempio più
calzante è rappresentato dalla semeiotica strumentale del segmento posteriore: infatti
l’oftalmoscopia indiretta, la biomicroscopia con lampada a fessura e la fluorangiografia retinica sono tecniche da lungo tempo utilizzate con successo nella diagnostica delle
alterazioni coroideali, retiniche e del nervo ottico.
Peraltro negli ultimi anni si sono rese disponibili una serie di tecniche di imaging che
hanno determinato un importante miglioramento delle conoscenze anatomiche e fisiopatologiche di tali strutture anatomiche.
Tra queste vanno considerate OCT, GDx e HRT che, per la loro diffusione, affidabilità e
riproducibilità dei dati, hanno assunto una notevole importanza per la loro diffusione.
La tomografia a coerenza ottica3 (OCT) è una tecnica diagnostica che consente, grazie
alle sue peculiari caratteristiche, lo studio morfologico in vivo ed in sezione delle strutture del polo posteriore del bulbo oculare, senza alcun contatto con l’occhio.
Si tratta, infatti, di una tecnica non invasiva che non prevede l’uso di mezzi di contrasto
(come avviene nella fluorangiografia retinica).
Il funzionamento di questo strumento è basato su una particolare tecnica di misurazione ottica: l’interferometria a bassa coerenza. Questa tecnica di misurazione presenta
aspetti in comune con l’ecografia, ma a differenza di questa ultima utilizza la velocità
della luce che è infinitamente superiore a quella del suono impiegata nell’ecografia.
Questo rende ragione del maggior potere di risoluzione (10 micron) dell’OCT rispetto
agli ultrasuoni (100-150 micron).
L’interferometria confronta due fasci di luce di lunghezza d’onda pari a 820 nm, uno
riflesso dai diversi strati retinici e l’altro riflesso da uno specchio di riferimento posto
ad una distanza nota. L’OCT rileva ed elabora i tempi di propagazione dell’eco di luce
riflessa dalla struttura retinica, i dati adeguatamente processati vengono presentati
bidimensionalmente in scala di grigi od in falsi colori.
La tomografia a coerenza ottica è impiegata nella valutazione della struttura retinica e
maculare e nello studio dei rapporti vitreo- retinici.
E’ particolarmente utile nello studio dei fori maculari, delle trazioni vitreoretiniche
(membrane epiretiniche, pucker maculare), nelle distrofie maculari (degenerazione
maculare senile), nell’edema maculare della retinopatia diabetica o dei disturbi circolatori retinici, nelle patologie infiammatorie corioretiniche e nella traumatologia retinica.
Inoltre è utilizzata nella misurazione dello spessore dello strato delle fibre nervose retiniche, per una valutazione del danno anatomico nella patologia glaucomatosa.
L’interpretazione dei risultati è basato sull’analisi dei protocolli previsti.
All’analisi morfologica-qualitativa (rappresentazione bidimensionale in falsi colori) si
associa un’analisi quantitativa della retina (valutazione dei diametri verticali ed orizzontali delle diverse strutture esaminate), che consente un più agevole studio delle patologie del segmento posteriore, non solo per quanto riguarda la diagnosi ma anche e
soprattutto per il follow up e per una corretta valutazione prognostica.
La misura dello spessore maculare é fondamentale nella valutazione dell’edema maculare, della degenerazione maculare senile, dei fori e pseudofori maculari e di tutte quelle
patologie che possono indurre una consistente e significativa diminuzione dell’acutezza
visiva. Si tratta quindi di un esame di rilievo ai fini medico-legali, in quanto fornisce
3 C. SCASSA ,G. RIPANDELLI. Tomografia a coerenza ottica Dall’interpretazione alla Diagnosi. Editore
I.N.C Roma novembre 2005.
298
ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
una valutazione quantitativa e oggettiva di un danno funzionale (acutezza
visiva,campo visivo) su base necessariamente soggettiva.
Un altro strumento che misura lo strato delle fibre nervose retiniche è il GDx, polarimetro a scansione laser che sfrutta la birifrangenza delle fibre nervose retiniche4.
L’apparecchio proietta sulle fibre nervose retiniche un raggio di luce laser di 780 nm,
che, in virtù della peculiare birifrangenza delle fibre nervose viene polarizzato e si divide in due distinti raggi che viaggiano ad una diversa velocità. La differenza di velocità
tra i due raggi riflessi risulterà essere direttamente proporzionale allo spessore dello
strato del tessuto attraversato e ci fornirà, quindi, in maniera indiretta, la misura dello
spessore dello strato delle fibre nervose retiniche.
Dall’analisi dei dati registrati vengono calcolati una serie di parametri rappresentati
graficamente o sotto forma di numeri.
I parametri espressi graficamente (TSNIT e RFNL Thickness Map) rappresentano, settore per settore, i valori dello spessore dello strato delle fibre nervose retiniche del
paziente esaminato, valutati sulla base di un database normativo di riferimento.
Vengono, inoltre, forniti una serie di parametri numerici, tra i quali il più significativo è
il Nerve Fiber Indicator (NFI). Tale parametro viene espresso con un valore compreso
tra 0 e 100: più alto è il suo valore maggiore è la probabilità che l’occhio in esame sia
affetto da glaucoma.
Tale strumento ci consente, quindi, di valutare lo strato delle fibre nervose retiniche,
che sappiamo essere la sede dell’iniziale danno anatomico nel glaucoma, precedendo
anche di anni la riduzione della sensibilità retinica misurabile con l’esame del campo
visivo.
L’HRT5 (Heidelberg Retina Tomograph) è un oftalmoscopio laser a scansione confocale che utilizza una luce laser con lunghezza d’onda di 675 micron. Lo strumento analizza tridimensionalmente la papilla ottica e la retina peripapillare fornendo dati topografici, volumetrici e morfologici.
Il raggio laser viene focalizzato ed opportunamente deviato da specchi oscillanti in
modo da scannerizzare un settore di retina alla volta. La luce riflessa viene misurata,
punto per punto, da un rilevatore di luce così da determinare un’immagine bidimensionale della retina esaminata, rappresentando una sezione ottica all’altezza del piano di
messa a fuoco. Lo strumento acquisisce una serie di immagini -sezioni ottiche- utilizzando diversi piani focali, al fine da realizzare un’immagine tridimensionale stratificata. Questa tecnica che consente di ottenere immagini tridimensionali viene definita
“tomografia a scansione laser”. Il computer elabora l’altezza della superficie della retina per ogni punto esaminato in modo da ottenere un’immagine topografica che contiene le informazioni relative alla forma spaziale della superficie retinica.
Lo strumento consente l’elaborazione di una serie di parametri globali e relativi ai sei
settori nei quali viene suddivisa la papilla.
Di particolare rilevanza clinica sono: disk area, cup/disk area ratio, rim area, rim volume e cup shape measure.
I parametri possono essere mostrati singolarmente o come dati medi e confrontati stati-
4 REUS N,COLEN T, LEMILJ H, Visualization of localized retinal nerve fiber layer defects with GDx
wth,individualized and with fixed compensation of anterior segment birefringence. Ophthalmology 2003
110:1512 -16.
5 HEIDELBERG Retina Tomograph. Operating instructions Software version 3.0
Heidelberg Engineering GmBh; 2003.
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ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
sticamente nel tempo, in modo da valutare un eventuale peggioramento al livello della
papilla ottica.
GDx e HRT, utilizzati per lo studio della papilla ottica e per la valutazione dello strato
delle fibre nervose retiniche, rappresentano esami strumentali di indiscutibile valore
diagnostico nell’ambito della patologia glaucomatosa e delle otticopatie in generale
(tossiche dismetaboliche, post-traumatiche etc..), in quanto consentono di evidenziare
un danno anatomico anche molti anni prima della comparsa di un danno funzionale
(del campo visivo), in particolar modo nella patologia glaucomatosa6.
OCT, GDx e HRT sono quindi esami sofisticati, che rappresentano un miglioramento
delle tecniche strumentali fin qui disponibili.
Si tratta, indubbiamente, di apparecchi non sempre accessibili (ridotta disponibilità e
costo elevato) ma di semplice uso, di agevole interpretazione e, soprattutto, favorevolmente accolti dal paziente per la non- invasività.
Con questi strumenti valutiamo il danno anatomico, che deve essere sempre correlato
al danno funzionale (vedi ad esempio il campo visivo)7.
Infatti è noto come nell’ambito dei disturbi “sensoriali” spesso sia complesso ottenere
un evidente riscontro tra alterazioni strutturali e modificazioni funzionali; ciò al fine di
chiarire la visione diagnostica e prognostica e conseguentemente di ottimizzare il
nostro giudizio medico-legale.
In sintesi questi esami possono fornire un valido aiuto ogni qual volta sia necessario
disporre di un dato oggettivo, con l’obiettivo di confutare un’ipotesi derivante da un
dato soggettivo funzionale. Tale semeiotica strumentale ci fornisce le informazioni
morfologiche che costituiscono il necessario complemento della valutazione funzionale
sempre nell’ambito di un completo, accurato ed insopprimibile raccordo con l’aspetto
clinico- anamnestico.
A tal fine è doveroso sottolineare che la tecnologia di per se stessa è un mezzo e non un
fine e non ci dovremmo mai far sedurre da immagini colorate prodotte da sistemi complessi.
6 REUS N,LEMILJ H, Scanning.Laser polarimetry of the retinal nerve fiber layer in perimetrically unaffected eyes of glaucoma patients . Ophthalmology 2004 111: 2199-203.
7 REUS N,LEMILJ H,The relationship between standard automatic perimetry and GDx VCC measurements Invest Ophthalmol Vis Sci 2004; 45:840-5.
300
VALUTAZIONE MEDICO-LEGALE DELLE DISFONIE
IN AMBITO INAIL
L. MACI*, A.M. STASI**
* CONSULENTE O.R.L. CENTRI MEDICO-LEGALI INAIL BRINDISI, LECCE, TARANTO
** DIRIGENTE MEDICO I LIVELLO CENTRO MEDICO-LEGALE INAIL TARANTO
INTRODUZIONE
Dal punto di vista fisico la voce è l’espressione del suono, prodotto dalla vibrazione
delle corde vocali e modificato dall’azione delle “cavità di risonanza” con valenza
informativa o comunicativa.
Per produrre la voce è necessaria l’interazione funzionale di organi appartenenti a differenti sistemi corporei. Questo insieme ha preso impropriamente il nome di “apparato
fonatorio”, espressione ormai da tutti accettata e di uso corrente, che non esiste come
unità fisica ma che deve funzionare in maniera armonica.
La voce segue parallelamente lo sviluppo organico dell’individuo. Quando l’armonia
dei muscoli interessati è mantenuta si ottiene un suono detto “di qualità” per chi ascolta e che è prodotto senza difficoltà o disagio da parte di chi parla: “eufonia” si definisce
il corretto trasmettere di un messaggio vocale. Al contrario, quando i parametri minimi
di armonia e comfort non sono rispettati e la voce non riesce a completare il suo percorso di base per trasmettere il messaggio verbale ed emozionale dell’individuo, ci troviamo di fronte ad una “disfonia”.
La voce rappresenta lo strumento di comunicazione umana per eccellenza. Qualsiasi
alterazione sia quantitativa sia qualitativa comporta significative ripercussioni sulla
capacità relazionale, ivi compresa quindi quella lavorativa, del soggetto colpito.
Sebbene statisticamente non frequente, l’accertamento medico-legale delle disfonie
appare sempre molto impegnativo sia dal punto di vista clinico sia soprattutto per
l’apprezzabilità e successivamente per la quantificazione del danno. (6,16).
La vigente normativa sul danno biologico individua le Voci 325 e 326 per la regolamentazione della materia, che, pur non rispondendo completamente alla complessità
delle patologie ed al tumultuoso progredire delle indagini strumentali foniatriche, ha
il difficile onere di coniugare la realtà di un handicap e di una disability, mutuando la
terminologia anglosassone, così invalidante nell’accezione e nello spirito del danno
biologico.
Molto spesso ,specie in casi di fratture laringee importanti, alla disfonia possono associarsi dispnea e/o disfagia.
Il DM 27 aprile 2004 ha inserito nella lista II (malattie la cui origine lavorativa è di
limitata probabilità) al gruppo 2 (malattie da agenti fisici) punto 04 “sforzi prolungati
delle corde vocali “.
L’elaborato si propone prima di tutto d’inquadrare il momento clinico delle disfonie
con un panorama delle indagini strumentali aggiornate, descrivendo anche la comples301
ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
sità di un organico indirizzo classificativo a tutt’oggi non omogeneo, pur in presenza di
numerosissimi barèmes di varie ed autorevoli Scuole foniatriche.
In seconda istanza verrà rimarcato l’impegno del medico legale di tradurre le risultanze
dello specialista in una quantificazione alla luce di accezioni spesso labili e spesso di
non univoca interpretazione.
Sarà infinite formulato l’auspicio di rivedere, magari aggiungendo altre Voci, l’attuale
regolamentazione della materia, che deve essere semplificata, chiara e al passo con i
progressi dell’attuale scienza foniatrica.
RIASSUNTO
La valutazione medico-legale delle disfonie in ambito INAIL, alla luce delle tematiche
apportate dalla vigente normativa in materia di danno biologico, pone interessanti e
complesse questioni sull’apprezzabilità del danno e sulla successiva quantificazione. Lo
specialista O.R.L. ha il compito, dopo un adeguato iter clinico-strumentale, di inquadrare correttamente la patologia denunciata e di supportare adeguatamente il collega
medico-legale nelle sue valutazioni.
Parole chiave: disfonia - INAIL - voce - laringe - danno biologico
ASPETTI CLINICI
La disfonia è una alterazione qualitativa e/o quantitativa della voce parlata che consegue ad una modificazione strutturale e/o funzionale di uno o più organi coinvolti nella
sua produzione o ad una
inadeguatezza delle relazioni dinamiche fra le diverse componenti dell’apparato pneumo-fonatorio. (18)
La complessità sintomatologica, che rende sicuramente più adeguata la definizione di
“sindrome disfonica” è caratterizzata da segni oggettivi, di tipo acustico (alterazioni di
intensità, frequenza, timbro, tessitura), clinico (ispettivi; endoscopici: morfologici e
dinamici), e/o soggettivi, di tipo fisico (fonastenia, parestesie faringo-laringee), psicologico (sensazione di sgradevolezza od inadeguatezza della propria voce), saltuariamente
o costantemente presenti, in tutte o solo in particolari situazioni comunicative.
Le strutture anatomiche essenziali per generare il prodotto acustico vocale (suono
periodico complesso) sono: il mantice polmonare, che genera la corrente aerea espiratoria e deve fornire flussi e pressioni adeguati; la laringe che attraverso la vibrazione
(componente bio-meccanica) e l’ondulazione della mucosa (effetto Bernoulli) genera
l’energia sonora; le cavità sopraglottiche che modificando volumi, forma e caratteristiche di risonanza delle pareti sono in grado di influenzare la distribuzione dell’energia
nello spettro vocale. Su questi effettori periferici il sistema nervoso con diversi livelli di
coinvolgimento in rapporto ai vari aspetti della produzione vocale esercita una funzione di programmazione, attivazione e controllo.
Qualsiasi alterazione anatomica o funzionale di questi molteplici distretti determina un
disordine vocale.
A tuttora non esistono razionali classificazioni ed elencazioni dei quadri clinici delle
disfonie. (15)
Rosen sostiene che “non è ancora stato sviluppato un dizionario sistematico dei termini
relativi alle alterazioni della voce in rapporto ai miglioramenti delle misure ed allo svi302
ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
luppo di standards. Non esiste quindi una nomenclatura standardizzata riguardante le
alterazioni della voce e le condizioni patologiche delle corde vocali”.
È inoltre necessario definire le modalità per il riconoscimento e la diagnosi dei vari tipi
di disturbo vocale utilizzando indagini il più possibile obiettive e tecnologie non eccessivamente sofisticate e quindi disponibili dalla maggioranza degli addetti ai lavori
(7,14). Fra i numerosi strumenti a disposizione segnaliamo come essenziali: anamnesi e
valutazione delle modalità e del contesto d’uso della voce, videostrobolaringoscopia
con registrazione delle immagini utilizzando fibroscopi rigidi (ottimale definizione delle
lesioni organiche) e flessibili (indispensabili per cogliere gli atteggiamenti muscolo-tensivi della laringe ed eventuali disturbi deglutitori associati alla disfonia), analisi elettroacustica (M.D.V.P., fonetogramma), indici aerodinamici (T.M.F., Q.F.).
In alcuni casi di immobilità laringea può essere indispensabile, per una diagnosi differenziale, l’elettromiografia e talvolta per confermare il sospetto di una patologia da
reflusso gastro-esofageo una ph-metria ed un’esofagogastroscopia.
È sicuramente più utile da un punto di vista pratico una classificazione che preveda
disfonie organiche (sono presenti alterazioni morfologiche o neuromuscolari di uno o
più organi od apparati implicati nella produzione e nel controllo della voce) e disfonie
non organiche o funzionali (assenza di lesioni e di turbe motorie) (8,17,19).
Un sistema di semplice applicazione nella valutazione della voce è la scala cosiddetta
GRBAS (Hirano, 1981) che prende in esame cinque parametri qualitativi quali:
1. il grado generale di disfonia (G dall’inglese GRADE) cioè il grado di anormalitàdella voce;
2. la raucedine (R da ROUGHNESS) rappresenta l’impressione psicoacustica dell’irregolarità nella vibrazione delle corde vocali;
3. la voce più o meno soffiata (B da BREATHY) che indica l’estensione di fuga d’aria
attraverso la glottide;
4. la voce più o meno astenica (A da ASTHENIC) cioè la debolezza o la mancanza di
forza nella voce che spesso si correla a debole intensità nella sorgente glottica e mancanza di armoniche nelle frequenze acute;
5. la voce più o meno strozzata (S da STRAINED) che rappresenta l’impressione psicoacustica degli stati iperfunzionali di fonazione, caratterizzati da elevata frequenza
fondamentale, rumore e ricchezza di armoniche nelle frequenze acute.
Recentemente è stato introdotto un sesto parametro: I dall’inglese INSTABILITY che
fornisce indicazioni sulla stabilità nel tempo della funzionalità vocale.
La valutazione clinica della voce si articola in quattro punti fondamentali:
1) anamnesi ed autovalutazione, 2) valutazione percettiva 3) valutazione per immagini
e 4) analisi elettroacustica.
È quindi evidente che la valutazione percettiva rappresenta un momento che non può
essere disatteso e per il quale si deve disporre di strumenti di sufficiente validità e affidabilità.
La valutazione percettiva può essere definita come quell’insieme di procedure che
fanno riferimento alle abilità del clinico indipendentemente da misurazioni strumentali.
Ad essa si deve ricorrere ogniqualvolta ci si trovi a valutare la voce di un paziente e pertanto deve potersi applicare sia alle condizioni di eufonia (nelle voci parlata, cantata e
urlata) sia a quelle di disfonia.
303
ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
L’utilizzo della valutazione percettiva può essere plurimo: diagnostico; di valutazione;
in itinere; come strumento per studi di outcome ed efficacia; come sistema di comunicazione valida, efficace e ed efficiente fra operatori diversi.
Uno fra i problemi di maggior rilievo nella valutazione percettiva della voce è la mancanza di una terminologia universalmente accettata.
Le lesioni traumatiche della laringe comprendono un insieme piuttosto eterogeneo di
quadri clinici di differente eziopatogenesi e gravità; essi comportano alterazioni più o
meno marcate dell’anatomia e delle funzioni della laringe tra le quali la difficoltà respiratoria può rappresentare l’aspetto prioritario, da trattare in maniera efficace e tempestiva; nella maggior parte delle situazioni le alterazioni della funzione fonatoria rappresentano comunque un elemento pressoché costante che va sempre tenuto in debita considerazione per evitare esiti invalidanti che possono condizionare sensibilmente la qualità della vita del paziente.
Tradizionalmente vengono distinte tre entità nosografiche: traumi esterni, traumi iatrogeni e traumi vocali.
I traumi esterni della laringe possono essere suddivisi secondo differenti criteri classificativi:
1. modalità dell’evento traumatico: traumi aperti e chiusi;
2. sede laringea del danno: sopraglottica, glottica, sottoglottica, mista;
3. struttura anatomica coinvolta: osso ioide, cartilagine tiroide, cricoide, aritenoide,
legamenti ecc.;
4. gravità del trauma: per i traumi chiusi sono state proposte diverse classificazioni in
base alla gravità delle lesioni.
Ai fini pratici la classificazione più utile è quella che distingue i traumi aperti da quelli
chiusi. Sulla base delle lesioni riscontrate sono state proposte classificazioni in stadi di
gravità, cui corrispondono differenti modalità di trattamento. La più utilizzata è la
classificazione di Schaefer, modificata da Fuhrman:
- Stadio I: ematoma o lacerazioni endolaringee minori; assenza di frattura laringea
dimostrabile e minima alterazione del lume respiratorio.
- Stadio II: edema, ematoma o lesioni mucose minori, senza esposizione endoluminale
della cartilagine; fratture laringee non scomposte, alterazioni del lume respiratorio di
vario grado.
- Stadio III: edema massivo, lacerazioni mucose importanti, esposizione endoVIluminale della cartilagine, fratture scomposte, paralisi cordale, alterazione del
lume respiratorio di vario grado.
- Stadio IV: lesioni come allo stadio III, con rottura anteriore del laringe o fratture
instabili.
- Stadio V: disinserzione laringo-tracheale.
La comunicazione verbale, sebbene risponda a ben precisi vincoli organici, notoriamente risente non solo della reciproca coordinazione tra le varie strutture pneumofonoarticolatorie ma anche di quella esistente tra queste ed i complessi meccanismi di
modulazione centrale, che, quantunque non del tutto conosciuti nelle loro intime
modalità funzionali, possono tuttavia considerarsi ben difficilmente scindibili dalle
componenti emotive, le quali quindi possono così condizionare in modo assai rilevante
l’atto fonatorio, anche in assenza di una specifica volontà in tal senso dell’esaminando.
304
ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
Occorre pertanto valutare:
- validità, soddisfatta esclusivamente dall’indagine che sia non solo adeguata alle sue
stesse finalità ma rispettosa anche di ogni disposto procedurale o deontologico;
- verificabilità, sinonimo di accettabilità, controllabilità e provabilità;
- attendibilità, derivante dalla correttezza dell’accertamento, tanto più affidabile e credibile quanto maggiore sia stata la capacità dell’esaminatore di individuare l’obiettiva realtà, indipendentemente dal grado di collaborazione offerto dal soggetto esaminato;
- completezza, che può considerarsi raggiunta solo quando il medico sia , sulla scorta
delle risultanze emerse dalla propria attività , in grado di comprendere appieno il
significato delle varie problematiche inerenti il caso indagato e sia in grado altresì di
individuarne gli elementi clinici più utili a risolverlo e consentirgli di rispondere correttamente ai quesiti propostigli.
La disfonia può manifestarsi sia bruscamente e in evidente rapporto cronologico con
eventi traumatici (quali interventi chirurgici o intubazioni endotracheali) sia insidiosamente e senza apparente nesso cronologico e/o causale con circostanze chiaramente
individuabili come lesive da parte dell’esaminando, quali ad esempio le infezioni alle vie
respiratorie superiori, l’aumento delle prestazioni vocali, l’uso di farmaci, la presenza di
reflusso gastro-esofageo o malattie neurologiche, endocrine, autoimmuni, allergiche,
psichiatriche e neoplastiche.
In ambito di Medicina del Lavoro(1) Calcinoni (4) riporta una classificazione delle
sostanze, che possono provocare disturbi faringolaringei:
Sostanze
Lesioni faringolaringee.
Arsenico paralisi laringee monossido d’azoto e biossido d’azoto minima irritazione
prime vie aeree
benzolo e derivati mucose buccofaringee tumefatte, cianotiche, con lesioni simili allo
scorbuto nei casi più gravi bromo irritante prime vie aeree; edema e spasmo glottide
caustici: prevalenza pressochè totale di infortuni per ingestione accidentale con lesione
acuta e vari gradi di necrosi: sono lesioni che variano da soggetto a soggetto, possono
dare cronicizzazioni, come pure complicanze funzionali e settiche cloro irritante prime
vie aeree cromo rinofaringite; faringo-laringo-tracheiti; ulcere laringee e cordali fosforo
lesioni del mascellare e in particolare della mandibola (necrosi osteomielitica paradentaria da fosforo bianco, ora rarissima); faringite cronica catarrale ribelle, specie se
vapori acido solforico associati a fosforo iodio irritante prime vie aeree manganese nel
periodo intermedio del manganismo si descrive comparsa di disturbi del linguaggio con
voce monotona e lenta (bradilalia) mercurio stomatite, faringite (mucosa per lo più pallida con zone iperemiche alternate a zone bluastre), solo talora ulceronecrotica osmio
irritante prime vie aeree piombo e composti stomatite con lesioni gengivali (saturnismo) faringolaringite e/o tracheite catarrali, parotite da saturnismo, angina pseudodifterica, paralisi laringee (rare) polveri cemento, porcellana, carbone faringolaringite cronica polveri metalliche faringolaringite cronica polveri vegetali (farine o tessuti) faringolaringite allergica rame paralisi laringee selenio irritante prime vie aeree (ossicloruro
è un vescicante) titanio irritante prime vie aeree vanadio irritante prime vie aeree (residuo della combustione della nafta) cloruro di zinco caustico sulle vie aeree
305
ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
La disfonia inoltre può discendere da situazioni psicologiche non volontariamente
mantenute dall’esaminando.
L’accertamento e l’apprezzabilità del danno foniatrico possono essere verificate attraverso il “minimal set of basicrequirements” incluso nelle linee guida formulate dal
Committee on Phoniatrics della European Laryngological Society.
Occorre ricordare sia “il problema delle unità di misura e della valutazione della voce”
sia la suddivisione che individua come “oggettive” (cioè espresse in dati numerici, senza
interpretazione dell’esaminatore) l’analisi acustica multiparametrica della voce, il fonetogramma e gli indici aerodinamici, “semioggettive” (implicanti cioè un certo grado di
soggettività nella valutazione da parte dell’esaminatore) la spettrografia e la videolaringostroboscopia e “soggettive”, per definizione, le valutazioni percettive della voce
(20,21,22).
Solo la corretta esecuzione standardizzata di ogni singolo “step” diagnostico consente
di potere ritenere attendibili le risultanze conseguite anche in ambito medico- legale, nel
quale comunque permane inalterata, analogamente a quanto avviene in quello clinico,
la necessità di una valutazione multiparametrica, cioè non limitata ad una singola indagine della voce.
Primo atto dell’indagine è sicuramente la valutazione morfologica della laringe, da
effettuarsi preferibilmente, così come risulta in letteratura, mediante videolaringostroboscopia, che riduce enormemente i limiti diagnostici e le interpretazioni soggettive
gravanti invece sulla visione in laringoscopia indiretta.
In particolare ancora, proprio la videolaringostroboscopia con fibra ottica rigida a 70°
e 90° è in generale preferibile alla valutazione mediante endoscopia con ottica flessibile
e luce alogena fissa che, pure potendosi attuare in condizioni più fisiologiche (non
necessitando dell’estrusione della lingua) e pur essendo comunque utile ad indagare
grossolanamente la motilità globale del distretto ipofaringo-laringeo, fornisce comunque immagini meno grandi e definite, quindi non in grado di evidenziare dettagli qualiquantitativi sul movimento e sulla vibrazione cordale, quali quelle invece ottenibili
dalla videolaringostroboscopia stessa, della quale, peraltro, del tutto recentemente,
sono state proposte modalità attuative con fibre ottiche flessibili, proprio al fine di renderla più tollerabile da parte del soggetto e ottenere una valutazione della vibrazione
cordale in condizioni assai più vicine a quelle fisiologiche.
Anche la possibilità di archiviare le immagini offerta dalla videolaringostroboscopia è,
al pari delle registrazione vocale, di grande importanza pratica nell’esecuzione di indagini medico legali, permettendo essa non solo di fissare visivamente situazioni che possono essere radicalmente modificate da interventi correttivi, ma anche loro successive
revisioni consultive.
Venendo ora alla considerazione della valutazione percettiva delle caratteristiche vocali
(cioè dei parametri acustici quali l’altezza, l’intensità, il timbro, la durata e la capacità
vocale), tra i vari metodi a tal fine proposti quello attualmente più utilizzato è il
G.I.R.B.A.S.,originariamente proposto da Hirano e successivamente ripreso ed aggiornato da altri Autori, la cui corretta attuazione richiede la valutazione della voce (e
quindi della disfonia intesa come “hoarseness”, cioè raucedine) da parte di almeno due
esperti (solitamente un foniatra/O.R.L. ed un tecnico logopedista), mediante il ricorso
ad una griglia di sei parametri (Grade, Instability, Roughness, Breathiness,
Asthenicity, Strain) graduati quantitativamente in scala da 0 a 3, in accertamenti medico legali, in quanto riconosciuti come assai affidabili e scarsamente condizionabili dalla
soggettività percettiva.
Tra le indagini diagnostiche obiettive o semi-obiettive, particolare rilievo pratico assu306
ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
me quella quali-quantitativa spettrografica, in relazione al rapporto fra le intensità
delle componenti di rumore e di quelle armoniche in diverse regioni di frequenza, in
quattro classi: tale classificazione è stata riproposta anche di recente, pur se parzialmente mutata nei parametri di riferimento, al fine di essere utilizzata sulla base della
sola vocale “ a “.
L’evoluzione dei programmi informatici ed il ricorso a spettrografi digitali hanno
recentemente assai esteso sia il numero dei parametri, sia gli indici quantitativi acustici
di tipo obiettivo utilizzabili agli scopi qui considerati: così ad esempio il Multi
Dimensional Voice Program (MDVP, della Kay Elemetries) è in grado di fornire ed
elaborare molteplici parametri (tra i quali i più utili ai presenti fini sono il Jitter %, che
è l’indice della perturbazione della Fo a breve termine, correlabile con quello
Roughness della scala G.I.R.B.A.S., e lo Shimmer %, che indica invece la perturbazione della ampiezza dell’onda a breve termine, correlabile secondo alcuni Autori con il
parametro Breathiness e secondo altri con il Roughness della citata scala 10 ed indici
correlati alla presenza di rumore, o meglio al rapporto tra le componenti di rumore e le
componenti armoniche, quale l’Harmonic to Noise Ratio (H/N) o il Noise to
Harmonic Ratio (NHR)) indicativi la qualità della voce in generale.
La durata della emissione vocale, indice dell’efficienza fonatoria dell’esaminando, deve
essere valutata mediante la rilevazione del tempo massimo fonatorio (condizionato da
fattori aerodinamici e glottici), espressa in secondi e realizzata facendo emettere la
vocale “a” per il maggior tempo possibile dopo una inspirazione massima, ad intensità
e altezza vocale confortevoli per il soggetto; il range di normalità che interessa è ovviamente il valore minimo, di circa 15 sec. nell’uomo e 10 sec. nella donna.
La capacità vocale è indagata mediante fonetogrammi analogici (con fonometro e
tastiera musicale) o digitali (con fonetografo computerizzato), il cui utilizzo consente
sia di potere rappresentare graficamente il campo dinamico vocale ottenuto mediante
la quantificazione delle intensità sonore minime e massime in funzione dell’altezza
tonale del suono fondamentale su tutta
l’estensione della voce, sia di fornire informazioni tanto solo sulla funzione vocale propriamente detta, quanto sulle ripercussioni funzionali assunte da una determinata lesione: fra i dati così ottenuti, quelli maggiormente correlabili ad una alterazione della qualità della voce sembrano essere la frequenza massima e la minima intensità, mentre di
interesse minore risulta la frequenza minima.
Oltre ai fonetogrammi, è in tal senso utilizzabile anche il cosiddetto Dysphonia Severity
Index, cioè il valore numerico dedotto con formula matematica utilizzando come parametri il Jitter %, la Fo massima, l’intensità minima e il tempo massimo fonatorio:
l’indice così ottenuto sarebbe riferibile al livello globale di alterazione della voce e consentirebbe la ricostruzione di una attendibile classificazione della disfonia.
Il profilo vocale è formato a sua volta da dodici parametri:
1)
2)
3)
4)
5)
6)
7)
8)
9)
timbro laringeo (soffiato, rauco),
altezza tonale (troppo grave, troppoacuta),
intensità (troppo elevata, troppo ridotta),
risonanza nasale (ipernasale, iponasale),
risonanza orale,
supporto respiratorio,
muscolatura (tensione elevata o ridotta),
abuso vocale (quantità e grado),
frequenza della parola (troppo lenta, troppo veloce),
307
ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
10) ansietà vocale (quantità e grado),
11) intelligibilità della parola e
12) valutazione complessiva della voce.
Per ognuno di questi parametri si fornisce un punteggio di gravità compreso fra 1 (voce
nei limiti di norma) e 5 (voce con alterazione molto grave).
Nella valutazione laringea e sopralaringea si prendono in considerazione:
1) lo sfintere labiale (protrusione, apertura, labiodentalizzazione, range di movimento
ridotto o eccessivo),
2) i movimenti mandibolari (apertura, chiusura, protrusione, range di movimento
ridotto o aumentato),
3) l’apice linguale (avanzato, retratto),
4) il corpo linguale (avanzato, retratto, innalzato, abbassato, range di movimento
ridotto o aumentato),
5) lo sfintere velo-faringeo (nasalizzazione, fuga d’aria nasale udibile, denasalizzazione),
6) la faringe (costrizione),
7) la posizione laringea (innalzata, abbassata),
8) il tipo di fonazione (rauca, soffiata, gracchiante, in registro pieno, in registro di falsetto),
9) la tensione sopralaringea (tensione, lassità) e
10) la tensione laringea (tensione, lassità).
Per quanto riguarda gli aspetti prosodici vengono presi in considerazione:
1) l’altezza tonale (mediamente acuta o grave, range ridotto o allargato, variabilità
alta o bassa);
2) l’intensità (mediamente elevata o abbassata, range ridotto o allargato, variabilità
alta o bassa).
Proprio per raggiungere questo impegnativo risultato è stato recentemente costituito,
all’interno della Società Europea di Laringologia (ELS), un Comitato per la Foniatria,
composto dai maggiori esperti del settore, che ha elaborato delle linee guida per la definizione di un protocollo di accertamenti da ritenere essenziali nella valutazione dei
disturbi della voce.
La serie di esami da ritenere essenziali nella valutazione dei più comuni disturbi della
voce prevede:
1)
2)
3)
4)
5)
la laringostroboscopia;
la valutazione percettiva della voce;
l’analisi acustica della voce;
lo studio degli indici aerodinamici;
l’autovalutazione della voce da parte del paziente.
ASPETTI MEDICO-LEGALI
Le indagini clinico-strumentali espedite devono supportare il medico-legale, una volta
assolto il doveroso onere dell’accertamento del nesso di causalità,(2,9) nel poter rispon308
ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
dere almeno a questi quesiti essenziali: se la voce in esame sia da considerarsi nei limiti
della normalità o sia patologica; laddove la voce sia patologica, quale sia la gravità
della alterazione; quale aspetto o meccanismo della produzione della voce sia interessato nella genesi della disfonia; eventuale concomitanza di patologie “ comuni “ (G.E.R.,
tabagismo,allergie,flogosi croniche delle V.A.S., polipi o noduli cordali,malmènage e
surmènage vocale ) e loro specifico determinismo nell’etiologia. L ‘accertamento
dell’esistenza di una invalidità fonatoria e quindi il necessario presupposto che conduce
al risarcimento deve prevedere una procedura che si realizza con l’assolvere due complesse e difficili operazioni valutative.
La prima operazione consiste nel verificare e nell’accertare la presenza di tre condizioni
correlate tra di loro da due necessari nessi causali. In particolar modo deve essere
accertato se ci sia stata una lesione intesa come detrimento dell’integrità psico-fisica e
se tale lesione abbia comportato una effettiva diminuzione della funzione ed infine se
tale ipofunzione abbia in qualche modo provocato un peggioramento delle capacità esistenziali del soggetto in esame. (3,12)
Questa particolare operazione valutativa può essere riassunta, proponendosi a cascata
su tre principi elementari che sostengono dottrinalmente e giuridicamente l’esistenza
del danno permanente: il rimaneggiamento strutturale conseguente all’evento lesivo, la
compromissione funzionale eventualmente correlabile (condizione che gli anglosassoni
definiscono con il temine di “disabilità”) che rappresenta la minorazione della capacità
vocale ed alla fine lo svantaggio (“handicap”).
Per “danno biologico permanente” si intende tutto ciò che tende a ridurre quella integrità psicofisica, a compromettere il suo modo di essere e di vivere e a condizionare le
sue abitudini di rapportarsi con l’ambiente, caratteristiche e prerogative che l’individuo
possedeva prima dell’evento dannoso.(11,13)
La seconda operazione , che conduce alla valutazione del danno biologico , è del tutto
assimilabile ad una sottrazione dallo stato di salute in cui viveva il soggetto prima del
fatto e quello in cui si trova dopo. Il danno biologico, quindi, altro non è che una differenza i cui parametri percentuali devono essere ricavati da risultati commensurabili e
da quantificazioni il più possibilmente precise ed aderenti alla realtà fonatoria.
Una più razionale sistematizzazione del danno biologico viene pertanto rappresentata da:
- esistenza di una lesione psico-fisica;
- possibilità di valutare l’esistenza e la gravità della lesione secondo principi, metodologie, regole e tabelle medico-legali;
- irrilevanza del reddito del soggetto danneggiato ai fini della liquidazione del risarcimento.
Il danno non può essere identificato con la lesione ma ragionevolmente deve uniformarsi all’importanza della menomazione da essa direttamente o indirettamente derivante e che significativamente incide sulla vita, sulla salute e sul benessere comune e
sull’esistenza del soggetto. Nell’allestimento della tabella sul danno biologico in ambito
INAIL, oltre alla sintomatologia collegata alla diminuita intensità e/o alla fatica vocale, non si parla assolutamente di valutazioni foniatriche Per l’importanza dell’argomento in questione ed in relazione a tutto ciò che riguarda l’effettivo valore e la possibilità
di ponderazione delle alterazioni della voce e di conseguenza la reale stima dei suoi
ampi pregiudizi nei confronti della vita di relazione, intesa nella sua totalità sia pratica
che esistenziale, patrimoniale, morale ed estetica risulta più che opportuno ricordare il
notevole sviluppo tecnologico ed il relativo progresso clinico della foniatria.
309
ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
Lo studio della fonazione pertanto deve essere a tutti gli effetti e in tutti i settori di
applicazione considerato una disciplina di elevato ceto scientifico e non una funzione il
cui semplice esame, come sinora è accaduto, viene sostenuto da una serie di procedimenti interpretativi alimentati unicamente apprezzamenti ed osservazioni puramente e
solamente empirici di cui, tuttavia e come è noto, non può esserne negata l’utilità in
particolar modo quando viene elaborata da personale esperto ed equilibrato.
Se la valutazione percettiva della voce eseguita da specialisti della disciplina ha raggiunto livelli di significatività ed affidabilità ragguardevoli, l’approssimazione, l’incerta
competenza, l’ampia discrezionalità e spesso l’arbitrio, che hanno caratterizzato sin qui
le interpretazioni a finalità medico-legali , devono essere rapidamente superate in quanto non corrispondono più alle reali ed obiettive possibilità offerte della tecnologia ed
alla razionalizzazione delle giuste esigenze interpretative per una loro equa ed omogenea applicazione nel rispetto delle norme dettate dal diritto.
Indipendentemente dalla complessità di alcune nuove metodologie e dalla possibilità
del loro impiego in strutture facilmente accessibili, la tabellazione delle disfonie inserite
per legge nell’ambito del danno biologico, entità giuridica di cui va ormai riconosciuta
l’insostituibile collocazione dottrinale e giuridica, avrebbe dovuto prevedere l’inserimento dell’accertamento medico-legale in un contesto ed in una dimensione più specialistica e in una più decisa e definita posizione scientificamente più vasta dai connotati
più significativi ed più aderenti alla realtà rispetto a quelli che che hanno dato contenuto alle relative voci tabellate L’art. 13 del decreto legislativo n. 38/2000 sostiene al
primo comma che “... ai fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali il danno biologico è la lesione dell’integrità
psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale “ ed al secondo
comma che “... Le prestazioni per il ristoro del danno biologico sono determinate in
misura indipendente della capacità di produzione di reddito del danneggiato “.
La vigente normativa sul danno biologico prevede in materia di patologie laringee
Voce 325: esiti di lesioni traumatiche o malattia cronica del laringe che incidono
apprezzabilmente sulla funzione fonatoria; fino a 8 %
Voce 326: esiti di lesioni traumatiche o malattia cronica del laringe che determinano
una disfonia molto grave ovvero subtotale; fino a 30 %
Alla voce 326, nel cui capoverso è presente l’espressione di “disfonia molto grave ovvero subtotale”. Questa affermazione non riesce a precisare il massimo grado della disfonia , ammettendo ma non concedendo come tale la definizione di disfonia totale con la
conseguenza che non viene stabilito il margine estremo della menomazione.
Cimaglia e Rossi (5) nelle note esplicative alle tabelle del danno biologico inquadrano il
contesto della materia con queste suddivisioni: 325 Esiti di lesioni traumatiche o malattia cronica del laringe che incidono apprezzabilmente sulla funzione fonatoria
Disfonia leggera voce parlata di intensità subnormale, fatica vocale alla fine della giornata, proiezione vocale possibile ma poco efficace, voce cantata difficile fino al 5%
Disfonia moderata voce parlata di intensità diminuita (da 40 a 50 dB) fatica vocale
assai rapida (telefono), voce nel chiamare difficile e forzata , grido senza portata efficace, nessuna possibilità di voce cantata Dal 5 al 10%,
326 Esiti di lesioni traumatiche o malattia cronica del laringe che determinano una
disfonia molto grave ovvero subtotale
Disfonia importante voce parlata di debole intensità, che non supera i 35 dB, con una
forzatura permanente, fuga d’aria in endoscopia, affaticamento vocale rapido, impossibilità di comunicare oralmente in atmosfere rumorose, assenza di voce nel chiamare o
nel gridare, nessuna voce proiettata nel canto Dal 10 al 20%
310
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Disfonia molto grave o afonia completa
Voce parlata di intensità molto debole (20 dB di insieme) o poca voce udibile, assenza
completa o sub completa di voce di chiamata: la funzione di allerta della voce non è più
possibile. La comunicazione scritta è praticamente la sola possibile con l’ambiente ,
l’uso del telefono è impossibile
Dal 20 al 30% Appare più che sufficiente, indipendentemente dai necessari presupposti
in grado di definire i confini sintomatologici, non solo segnalare ulteriormente che il
termine “subtotale” non può essere a tutti gli effetti considerato quale sinonimo di afonia ma anche che non è necessario e quindi del tutto superfluo aggiungere alla dizione
afonia l’aggettivo “completa”. Mutuando altre classificazioni analoghe in materia
d’invalidità civile possiamo definire:
- Disfonia importante - Voce parlata di debole intensità, che non supera i 35 dB, con
forzatura permanente, fuga d’aria in endoscopia, affaticamento vocale rapido,
impossibilità di comunicare oralmente in atmosfere rumorose, assenza di voce nel
chiamare o nel gridare, nessuna voce proiettata nel canto
- Disfonia molto grave o afonia completa - Voce parlata di intensità molto debole (20
dB di insieme), o poca voce udibile, assenza completa o sub completa di voce di chiamata (la funzione di allerta della voce non è più possibile), la comunicazione scritta è
praticamente la sola possibile con l’ambiente, l’uso del telefono è impossibile.
La definizione valutativa si basa sul deficit dell’intensità di emissione della voce e su
alcune sue non ben articolate e ponderate alterazioni qualitative segnalando in termini
relativamente precisi la possibilità o l’impossibilità della comunicazione orale
Definire l’intensità della voce solamente con la misurazione in dB non è assolutamente
un procedimento corretto in quanto la voce rappresenta un insieme di frequenze e
quindi, rappresentando un suono complesso a componenti multiple, si sarebbe dovuto
segnalare l’entità del “livello sonoro” in decibel ponderati in rapporto alle singole componenti spettrali della voce.
Sulla base di numerose proposte dottrinali, non poche tabelle e barèmes internazionali
(francese, belga, portoghese, etc.), fin dagli albori di questa problematica e sempre con
riferimento all’incapacità lavorativa più sostenuta dai disturbi respiratori laringei che
di quelli fonatori, hanno identificato nel 25-30% il massimo livello della disfonia (afonia) con la necessità talvolta di conglobare nella classificazione anche la sintomatologia
più importante e più menomante rappresentata dalla dispnea. In alcune tabelle non
vengono presi in considerazione i disturbi della voce in sé e per sé considerati, ma vengono conglobati nella più generale dizione di “alterazioni della favella”.
Quest’ultima, tuttavia, non fa alcun riferimento alle alterazioni legate a patologie
dell’apparato fono-articolatorio né a quello pneumo-fonico e non prende in considerazione il fatto che le patologie laringee traumatiche o neoplastiche possono determinare,
a seconda delle situazioni e delle compromissioni strutturali, oltre a quella fonatoria,
varie limitazioni sull’espletamento della funzione respiratoria e deglutitoria che non si
sa bene se debbano essere considerate come invalidità concomitanti o concorrenti e di
conseguenza quale debba essere la tipologia e la modalità di valutazione in base alla
loro collocazione.
Mancano del tutto quelle segnalazioni che possono far riferimento all’attuale stato di
conoscenze foniatriche e a particolar riguardo rivolga l’attenzione allo sviluppo tecnologico al fine di ricondurre l’entità dell’invalidità alla effettiva gradazione ed alla reale
estensione della stima della menomazione.
311
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313
PATOLOGIE GINECOLOGICHE E ATTIVITÀ LAVORATIVE:
METODOLOGIA DIAGNOSTICO-VALUTATIVA
CRISAFULLI M.L. *, MILITE V.**, RUBBIANI M.***
* COORDINAMENTO GENERALE MEDICO-LEGALE INPS, ROMA
** AZIENDA OSPEDALIERA S. FILIPPO NERI, ROMA
*** ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ
INTRODUZIONE
E’ noto che spesso le patologie ginecologiche, ad esclusione dell’oncologia ginecologica, sono sottovalutate come causa di apprezzabile riduzione della capacità lavorativa.
Al fine di fare chiarezza sulla reale incidenza di tali malattie sulla salute della donna, si
prendono in esame le patologie ginecologiche che possono insorgere a seguito dell’attività lavorativa o che da essa sono aggravate.
Esse sono essenzialmente:
1)
2)
3)
4)
patologie della statica pelvica
il varicocele pelvico
le irregolarità mestruali
l’infertilità di coppia
Patologie della statica pelvica
Le patologie della statica pelvica comprendono il prolasso urogenitale e l’incontinenza
urinaria; per prolasso si intende la protrusione di un organo o di una struttura oltre i
suoi normali confini anatomici. La pelvi può essere divisa in tre compartimenti: anteriore, medio e posteriore;
a) il prolasso genitale consiste nella dislocazione di uno o più componenti pelviche:
* il prolasso del componente anteriore, che contiene l’uretra e la vescica, si definisce rispettivamente uretrocele e cistocele;
* il prolasso del compartimento medio, che comprende l’utero e la volta vaginale
cui fa seguito un’ernia intestinale, corrisponde rispettivamente al prolasso uterino e all’enterocele;
* il prolasso del compartimento posteriore contenente il retto, si definisce rettocele.
Per stabilire i diversi gradi di prolassamento, sono state adottate varie classificazioni di
cui le più utilizzate sono: una prima, molto semplice ma poco accurata che distingue un
prolasso di:
- primo grado, quando il collo dell’utero è contenuto ancora nel canale vaginale;
- secondo grado, quando il collo raggiunge la rima vulvare, senza però sporgere da essa;
- terzo grado, quando la portio uterina e la vagina sporgono dall’orifizio vulvare.
315
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Una seconda classificazione assai più accurata utilizza invece come punti di riferimento
alcune strutture anatomiche fisse: il piano delle spine ischiatiche, il piano dell’imene e il
piano di massima discesa del viscere prolassato e in base ai rapporti tra il viscere prolassato e i punti anatomici scelti, distingue i seguenti gradi di prolasso:
grado 0: grado di normalita, perchè non c’è protrusione oltre la metà della vagina;
grado 1: la protrusione è a metà strada tra spine ischiatiche e imene;
grado 2: la protrusione arriva all’imene;
grado 3: la protrusione è a metà tra l’imene la protrusione massima
grado 4: la protrusione è totale al di là dell’imene.
La patogenesi del prolasso genitale è multifattoriale; si distinguono:
fattori generali acquisiti, quali le patologie croniche che provocano un costante aumento della pressione addominale, e congeniti, come le alterazioni biochimiche delle fibre
collagene;
fattori locali congeniti, quali le alterazioni congenite dell’innervazione dei muscoli elevatori o il deficit della componenete connettivale del pavimento pelvico o anche una
brevità eccessiva della vagina e quelli locali acquisiti rappresentati da tutti quei fattori
che comportando una fibrosi del pavimento pelvico alterano la funzione dinamica,
come nel caso di danni anatomo-funzionali in esito a parti distocici.
La valutazione diagnostica dei difetti del supporto pelvico deve essere eseguita sotto
spinta massimale da parte della paziente, in posizione supina oppure in posizione eretta. le tecniche di imaging radiografiche ed ecografiche possono risultare utili nei casi di
maggiore complessità e consistono in: ecografia transvaginale, colpocistodefecografia,
RM dinamica ecc.;
La forma più comune è rappresentata dal cistouretrocele, seguita dal prolasso uterino e
dal rettocele.
La sintomatologia varia non solo in base al grado di prolasso ma soprattutto in base al
tipo e alla sede anatomica dello stesso:
- il prolasso di vescica e uretra può causare sensazione di stiramento, di tumefazione
di vagina e sintomi urinari dei quali il più frequente è l’incontinenza urinaria da
stress;
- il prolasso uterino provoca dolore o dolenzia lombosacrale che si riduce con il riposo
in posizione supina, inoltre la paziente può riferire la protrusione della cervice
all’interno o all’esterno della vagina e la presenza di abnormi secrezioni vaginali sieroematiche o purulente;
- il prolasso della volta vaginale o enterocele, che spesso è una complicanza di interventi di laparoisterectomia, colpoisterectomia o colposospensione, spesso determina
vaghi sintomi di fastidio a livello vaginale e solo raramente le anse intestinali fuoriescono dalla rima vulvare andando incontro a strozzamento.
La terapia medica del prolasso uterino può consistere nell’applicazione di pessari essenzialmente nel caso di donne anziane o inoperabili ma generalmente la risoluzione è di
tipo chirurgico con interventi preferenzialmente per via vaginale, riservando la via transaddominale ai casi di recidiva o complicanze (1,2).
b) Si definisce incontinenza urinaria la perdita involontaria di urina obiettivamente
dimostrabile. Attualmente si utilizza la classificazione adottata dalla Società
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ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
Internazionale della Continenza che ne distingue cinque tipi, tutti correlati a danni
delle strutture neuromuscolari del pavimento pelvico e quindi di competenza uroginecologica:
- incontinenza urinaria da sforzo o stress incontinence: la fuga di urina dall’uretra
in concomitanza di un aumento della pressione endoaddominale, cioè perdita
che si verifica quando la pressione vescicale supera la pressione uretrale, in
assenza di attività del detrusore. E’ dovuta a due meccanismi patogenetici:
l’insufficienza uretrale per una riduzione delle resistenze uretrali dovuta a incompetenza dello sfintere uretrale che può essere correlata a ptosi del collo vescicale
e a ipermobilità uretrale oppure a riduzione della resistenza e della pressione uretrale, in assenza di attività contrattile del muscolo detrusore. La causa più frequente è il parto per via vaginale, ma sono importanti anche altri fattori in
grado di indebolire le strutture muscololegamentose del pavimento pelvico, quali
interventi chirurgici, traumi, carenza di estrogeni.
- Incontinenza urinaria d’urgenza (o urge incontinence). E’ caratterizzata
dall’aumento della frequenza minzionale per spasmo involontario del detrusore;
infatti vi è una instabilità dello stesso (per ridotta compliance vescicale o per iperattività del detrusore) che determina improvvisa urgenza menzionale; talvolta è
conseguenza di traumi o malattie nervose quali mielodisplasie, esiti di interventi
chirurgici sull’utero, vescica o retto; è caratterizzata da spontanee esacerbazioni
e remissioni e si associa e/o si aggrava in presenza di eretismo neuropsichico
della paziente.
- Incontinenza urinaria mista che è caratterizzata dalla presenza di entrambe le
condizioni sopra citate.
- Incontinenza urinaria da rigurgito o iscuria paradossa. La perdita di urina si
verifica quando la pressione all’interno della vescica supera la pressione uretrale
massima, per sovradistensione del viscere e senza attività contrattile del detrusore. E’ tipica delle pazienti con ostruzione cervico-uretrale oppure con ipocontrattilità detrusoriale.
- Incontinenza urinaria continua goccia a goccia. E’clinicamente caratterizzata
dallo scolo continuo di urina dall’uretra, ed è riscontrabile in pazienti con funzione sfinterica gravemente compromessa, in seguito a traumi, interventi chirurgici oppure con grave riduzione della compliance vescicale in seguito a radioterapia o tubercolosi.
E’ necessario comunque menzionare alcuni tipi di incontinenza urinaria che non appartengono al capitolo dell’uroginecologia; esse sono:
- enuresi notturna, minzione completa ed involontaria che si verifica la notte, nei
bambini di età superiore ai 5 anni, in assenza di patologie organiche o neurologiche
in atto. Le cause non sono del tutto chiare ma si ipotizzano i seguenti fattori: immaturità vescico-sfinterica, iperattività detrusoriale, alterato ritmo circadiano della produzione di vasopressina;
- incontinenza urinaria funzionale. In questi casi la perdita involontaria d’urine è
dovuta prevalentemente a fattori estrinseci alle vie urinarie, quali disabilità fisiche
e/o cognitive (Alzhaimer), riscontrabili in età geriatria, in condizioni generali defedate, in seguito a terapie mediche o eccessiva idratazione, ecc;
- incontinenza urinaria da causa neurologica, caratterizzata dalla perdita involontaria
di urina, dovuta a lesioni neurologiche midollari basse (3-5).
317
ATTI - VI CONVEGNO NAZIONALE DI MEDICINA LEGALE PREVIDENZIALE
Le forme di incontinenza urinaria più frequenti sono quelle da sforzo e da urgenza;
nell’incontinenza urinaria da sforzo pura, specie se associata a prolasso genitale, possono risultare sufficienti, ai fini della diagnosi, un’accurata raccolta anamnestica ed un
attento esame obiettivo ginecologico, mentre nei casi di incontinenza da urgenza o nelle
forme miste, diventa essenziale il ricorso agli esami urodinamici.
Nella raccolta dell’anamnesi bisognerà prestare attenzione agli esiti di interventi chirurgici ginecologici, ad una storia ostetrica di multiparità o di parti operativi (ventosa, forcipe, travaglio prolungato, lacerazioni perineali, ecc) e ad eventuali patologie neurologiche associate; ed inoltre si dovrà interrogare la donna sulla frequenza e caratteristiche
della minzione giornaliera (diario minzionale).
La valutazione clinica obiettiva prevede: l’ispezione che potrebbe anche evidenziare
una associazione di prolasso genitale ed incontinenza urinaria; l’utilizzo di pannolino
che se imbibito di urina (pad test) prevede l’esecuzione di alcuni tests specifici diagnostici per la stress incontinence, di cui si possono praticare, con facilità, i seguenti:
• Test del muscolo pubo-coccigeo (P.C. test): valuta la funzionalità del muscolo pubococcigeo e cioè lo spostamento dell’’uretra sotto sforzo (ad es. colpo di tosse)
• Stress test: ha lo scopo di oggettivare e quantificare una incontinenza urinaria da
sforzo: si esegue a vescica piena, in clino ed ortostatismo, invitando la paziente a
compiere una serie di colpi di tosse.
Completerà la diagnosi l’esecuzione di esame urodinamico che comprende alcune tecniche di indagine:
- Uroflussimetria: valuta le caratteristiche del flusso urinario, fornisce informazioni
sulla funzione contrattile del muscolo detrusore e sulla resistenza alla fuoriuscita
dell’urina;
- Elettromiografia dello sfintere striato uretrale: esprime l’efficienza del meccanismo
relativo alla pressione uretrale di chiusura;
- Cistometria: misura la pressione e la capacità vescicale. In condizioni normali la
pressione del detrusore non aumenta più di 15 cm/H2O durante la fase di riempimento; in caso di instabilità del detrusore (urge incontinence) compaiono contrazioni a livelli superiori ai 60 cm di acqua immessa in vescica.
In corso di esame urodinamico è fondamentale il profilo pressorio uretrale (PPU) che
esprime la resistenza dell’uretra alla fuoriuscita di urina. Il PPU indica due parametri
importanti: la pressione massima di chiusura e la lunghezza funzionale dell’uretra nella
quale la pressione, in condizioni di normalità, deve essere superiore alla pressione vescicale basale. Quando questa è diminuita si creano le condizioni per l’incontinenza urinaria da sforzo e la diminuzione del PPU è il marker più tipico di questa perdita involontaria di urina.
Il trattamento conservativo della stress incontinence si basa sull’uso di pessari e tamponi
vaginali; inoltre molto importante è la terapia riabilitativa che è consigliata anche nella
urge incontinence e che sembra dare una buona percentuale di guarigioni, nelle forme
lievi di entrambe le forme di incontinenza (Kinesiterapia, biofeedback ed elettrostimolazione per incrementare il tono del pavimento pelvico) (6, 7, 8).
La terapia farmacologica, indicata tradizionalmente nella incontinenza da urgenza,
recentemente è stata proposta anche nella incontinenza da sforzo, con la somministrazione della duloxetina che agisce inibendo il tono dello sfintere striato dell’uretra.
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Nell’urge incontinence la rieducazione vescicale e le modificazioni del comportamento
costituiscono importanti forme di trattamento associate alla terapia farmacologica con
anticolinergici che invece ha solo un’azione sintomatica.
I trattamenti chirurgici, indicati in caso di fallimento dei trattamenti conservativi, e
essenzialmente riservati solo all’incontinenza da sforzo, vengono effettuati per via vaginale o per via addomino-perineale; attualmente i migliori risultati si ottengono con la
Tension Fre Vaginal Tape (TVT), che consiste nel passaggio in sospensione, di una
banderella di materiale plastico, sotto l’uretra ma senza metterla in tensione.
Frequenti sono le recidive soprattutto se non si tiene conto dell’urodinamica della
paziente. La diagnosi viene suggerita dai sintomi e confermata dai tests urodinamici.
L’elevato numero di donne, ancora in età lavorativa, affette e lo stresso rapporto tra
evoluzione della patologia e attività lavorativa, chiarisce l’importanza, in ambito sociale e medico-legale previdenziale, di questa problematica.
In base ai dati INPS attualmente disponibili si può evidenziare che:
• il maggior numero di domande di assegno d’invalidità o pensione d’inabilità viene
presentato da donne di età compresa tra i 40 e i 60 anni, epoca in cui si manifestano
maggiormente i danni a carico del piano perineale, e le relative patologie associate,
sia per gli esiti gravidici che per i problemi relativi all’involuzione dell’apparato genitale dovuti al climaterio;
• la necessità di avvalersi di un metodo oggettivo e universalmente accettato per la
classificazione del descensus pelvico è irrinunciabile ai fini di un corretto inquadramento scientifico e, di conseguenza, di un’attenta valutazione medico legale, di
modo che questa risulti la più obiettiva possibile e meno dipendente da valutazioni
soggettive;
• le forme lievi di patologia della statica pelvica, se emendabili con opportuna terapia farmacologica o riabilitativa, non incidono sulla capacità di lavoro delle
donne affette, ai sensi della legge 222/1984 (es. cistorettocele di I grado o urge
incontinence isolata) soprattutto se svolgono un’attività di tipo sedentario e si
tratta di patologia isolata;
• le forme più gravi di patologia della statica pelvica (cistorettoceli di II-III-IV grado
se associati a stress incontinence o a prolassi della volta vaginale o se vi sono cistorettoceli recidivati a precedenti interventi chirurgici) possono determinare quadri di
graduale di invalidità, se la donna svolge attività lavorativa che richiede la stazione
eretta prolungata e/o sforzi fisici di entità medio elevata, che tendono ad aggravare
ancor più il danno anatomo funzionale della statica pelvica, anche in considerazione
del grave disagio psichico che questa patologia comporta;
• nella valutazione medico-legale bisogna tener conto anche di patologie associate
che aggravano le condizioni della statica pelvica quali obesità, affezioni tussigene
croniche, eccessivo dimagrimento, menopausa, stipsi cronica, esiti di interventi
chirurgici, ecc.;
• l’incontinenza urinaria da urgenza isolata, che non è legata a danni anatomo-funzionali del piano perineale, nelle fasi di esacerbazioni e nelle forme particolarmente resistenti alla terapia farmacologica, può comunque comportare incapacità temporanea
al lavoro soprattutto se associata a infezioni genito-urinarie ribelli alla terapia farmacologica;
• Va infine considerato il grave disagio psichico che questa patologia comporta.
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Varicocele pelvico
Il varicocele femminile o più esattamente l’insufficienza venosa pelvica consiste
nell’incontinenza delle vene ovariche, con il conseguente reflusso a valle nelle vene del
sistema salpingo-ovarico; esso determina la sindrome da congestione pelvica che generalmente insorge dopo almeno una gravidanza ed è caratterizzato sempre da dolore
pelvico cronico, spesso dispareunia, e con una certa frequenza dismenorrea; si associa
spesso a varici del pavimento pelvico (vulvari e perineali) e a varici in zone atipiche
degli arti inferiori ( vulvari, ischiatiche, inguinali). nelle donne affette, sono comuni le
recidive a seguito di intervento per la correzione di varici degli arti inferiori, come
espressione del reflusso proveniente dal plesso ovarico o ipogastrico.
In presenza di sintomatologia la diagnosi viene confermata dall’ecocolor-doppler transvaginaleche mette ihn evidenza le vene pelviche e le loro anastomosi con le vene addominali e degli arti inferiori.
La terapia consiste nell’interruzione del reflusso attraverso l’intervento di “embolizzazione” o sclerosi endovasale percutanea, delle varici ovariche.
Il varicocele pelvico, come del resto le altre patologie da insufficienza venosa, si aggravano con gli sforzi fisici e la prolungata persistenza in stazione eretta e ne rende evidente il rapporto con l’ attività lavorativa (9).
Sterilità
Si definisce sterilità l’assenza di concepimento dopo 12-24 mesi di rapporti sessuali
regolari, non protetti. Le cause di infertilità sono suddivise in 4 gruppi: da fattore femminile (35%); da fattore maschile (30%); da fattori combinati (20%) e da causa inspiegata (15%). I dati a cui si fa riferimento sono una media di quelli riferiti da molti
Autori Europei e Americani, poichè il fenomeno è in progressivo aumento nel mondo
occidentale (10).
I fattori di rischio dell’infertilità femminile comprendono, in primis, la tendenza, tra le
donne occidentali, a procrastinare la prima gravidanza, con l’ineluttabile invecchiamento biologico dei gameti, ma il crescere dell’età della donna si accompagna anche
all’aumentata frequenza di altri fattori negativi quali: la riduzione del numero di rapporti sessuali; l’invecchiamento del partner; la maggior esposizione a stati patologici
dell’apparato riproduttivo femminile, l’abitudine tabagica, le malattie infiammatorie
pelviche, le patologie tubariche, i fibromi uterini, le irregolarità del mestruo correlate a
cicli anovulatori e l’endometriosi .
Un fattore di rischio meno indagato, ma assai attuale, è quello correlato all’inquinamento ambientale attraverso l’emissioni di sostanze chimiche tossiche, con azione
diretta sull’apparato riproduttivo o attraverso interferenze con la produzione ormonale. L’unione Europea e altri organismi internazionali (WHO, OECD) stanno
richiamando una sempre maggior attenzione nei confronti di un gruppo eterogeneo
di sostanze chimiche con potenziale interferenzane nei confronti del funzionamento
endocrino, i cosiddetti Endocrine Disrupters (ED). I limiti nell’individuazione e dello
studio degli effetti dell’intossicazione cronica sull’uomo, di tali sostanze, sono dovuti
a più fattori: la loro eterogeneicità, le diverse vie di contaminazione degli alimenti e
dell’ambiente; la frequente esposizione combinata a più tossici con possibili effetti
additivi, una insufficiente conoscenza dei biomarcatori precoci, dei livelli e della
durata dell’esposizione (11).
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I principali ED comprendono:
1) contaminanti alogenati persistenti negli alimenti e nell’ambiente: tra di essi i policlorobifenili (PCB) precursori della diossina (sottoprodotto di reazioni chimiche in
industria e dell’incenerimento e combustione) che sono idrocarburi alogenati clorurati (composti organoclorurati) principalmente usati per il raffreddamento e la
lubrificazione di impianti elettrici, i quali sembrano avere effetti complessi sull’attività degli steroidi e della tiroide; in particolare alcuni PCB e le diossine sono agonisti del recettore arilico con effetti antiaestrogenici (12);
2) pesticidi e biocidi: organofosforici che possono danneggiare i gameti e avere effetto
teratogeno sul feto (13); alcuni organoclorurati come il DDT, il lindano e l’endrin,
con effetti estrogenici e/o antiandrogeni (13); i triazoli (antimicotici) che sono inibitori dell’aromatasi e riducono la sintesi dell’estradiolo; altri funghicidi che possono
provocare interferenze ormonali come ad esempio il vinclozolin che è un antagonista del testorone; alcuni funghicidi ed erbicidi tireostatici come gli etilenebisditiocarbammati; le triazine (composti eterociclici azotati, formati da un anello esatomico
con alternanza di atomi di carbonio e azoto con gruppi sostituenti in posizione 2 di
cloro, S-CH3, OH oppure O-CH3 e in posizione 4 e 6 con gruppi alchilici come la
etilammina, l’isopropilammina, la terbutilammina) usate come erbicidi; tra le triazine una delle più pericolose è la atrazina ormai vietata in Italia ma in uso in altri
paesi, che sembra poter causare danni agli ovociti e interferire sull’asse ipotalamoipofisario (13-15).
3) plastiche, solventi, detergenti, loro metaboliti e sottoprodotti industriali: bisfenolo
A, octil e nonil-fenoli come agonisti del recettore estrogeno a ; gli esteri ftalati (nelle
plastiche e nei solventi che sono prodotti da alcooli come il metanolo e l’etanolo,
per reazione tra anidrite ftalica e un alcool), che sono oggetto di controversie
riguardo la loro potenziale azione simil-estrogenica; lo stirene, idrocarburo aromatico omologo superiore del benzene, usato come solvente, che sembra provocare
disturbi del ciclo mestruale e alterazioni neuroendocrine a livello dell’asse ipotalamo-ipofisario (13).
4) per quanto riguarda l’esposizione ai metalli pesanti, merita qualche accenno il
piombo che provocherebbe una riduzione dei livelli di gonadotropine ipofisarie e
del 17/beta estradiolo.
Meno studiato è l’effetto abortivo precoce dei tossici chimici anche se sono incriminati
molti delle stesse sostanze già citate. Più studiati sono i pesticidi organoclorurati come
il dicofol e il metossicloro (alterata steroidogenesi ovarica e luteolisi), disinfettanti e
pesticidi come gli erbicidi fenossiacetici, le triazine, i tiocarbammati e infine gli stessi
triazoli (16-21).
Per quanto riguarda l’infertilità maschile sono assai noti alcuni fattori di rischio comuni
a quelli delle donne come l’età più tardiva della I gravidanza, lo stress, l’abuso di farmaci , droghe e alcool, il fume di sigarette che è un tossico per gameti di entrambi i sessi e le
malattie sessualmente trasmesse; altri fattori noti sono i ripetuti microtraumatismi, l’uso
degli anabolizzanti e il varicocele pelvico. Di crescente interesse è l’esposizione a sostanze tossiche in ambientale lavorativo ed extralavorativo, tra le sostanze chimiche più note
vi sono i fitoestrogeni, di origine vegetale che hanno attività simil strogenica e la presenza occulta negli alimenti di estrogeni. Altrettanto importanti sono gli xeno-estrogeni,
che si comportano da distrutturi endocrine disruptes (ED), derivati dalla biodegradazione di detersivi, pesticidi, solventi e dai metaboliti delle plastiche; alcune di queste sostanze, tra gli altri effetti ormonali, hanno quello di ridurre i livelli di testosterone, altre quel321
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lo di legarsi a a un recettore diverso da quelli abituali dell’estradiolo, attivando in modo
abnorme il citocromo P450 (che normalmente metabolizza l’estradiolo e lo trasforma
nei suoi metaboliti) con il risultato di incrementare i metaboliti dell’estradiolo capaci di
produrre danni all’apparato riproduttivo e dotati anche di effetti cancerogeni (22). Tra i
più studiati sono gli ftalati, il DDT, il policlorinato bifenile (PCB), i pesticidi vinclozolina e procimidone, che sperimentati sul ratto hanno provocato anomalie di sviluppo
dell’apparato riproduttivo maschile (criptorchidismo, agenesia degli epididimi, ipospadia ecc) e in alcuni casi come quello dell’esposizione agli ftalati, hanno indotto una femminilizzazione dei neonati maschi. Anche i metalli pesanti, quali il piombo e il cadmio,
possonodanneggiare gli organi riproduttivi, alterando la funzione dei canali per gli ioni
calcio e potassio coinvolti nella reazione acrosomiale (23,24).
Saranno necessari ulteriori approfondimenti, considerato che gran parte degli studi
sono riferiti al sistema di riproduzione degli animali, che le dosi sperimentate sono
spesso molto elevate e perciò non rapportabili a quelle molto più basse ma protratte nel
tempo, a cui sono comunemente esposti i lavoratori, anche in considerazione della frequente presenza delle stesse sostanze in ambienti extralavorativi con i conseguenti, inevitabili, effetti addittivi (25).
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