azzeruolo, corbezzolo, corniolo, cotogno, gelso, giuggiolo, nespolo

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Frutti dimenticati:
azzeruolo, corbezzolo, corniolo, cotogno, gelso, giuggiolo, nespolo, biancospino.
Dimenticati, snobbati, sottovalutati, disprezzati e perfino sconosciuti: quanti aggettivi negativi hanno collezionato
col passare del tempo alcuni prodotti della terra e quanta ‘memoria’, quante ‘tradizioni’, quanti valori e quanti
sapori di una volta sono spariti con loro?
Ancora oggi queste piante antiche rappresentano un patrimonio inestimabile per la biodiversità che vale la pena
tutelarle e ricominciare ad apprezzare, quando si vanno a scovare frutti esotici provenienti da paesi lontani,
estranei alla nostra tradizione, magari pagandoli a caro prezzo.
Ti potrebbe interessare sapere che: Nell’ultimo secolo l’Italia ha perso il 75% della varietà della frutta
e se apri questo collegamento puoi leggere quello che sta accadendo alla nostra agro-biodiversità!
Diverse prodotti alimentari stanno scomparendo, compresa la conoscenza locale e la cultura e le competenze
delle donne e degli uomini agricoltori e non. Con questo rapido declino l’ agrobiodiversità è in pericolo e
purtroppo è ampia l’entità della perdita di specie e varietà.
L'azzeruolo (Crataegus azarolus) è una pianta da frutto della famiglia delle Rosaceae, detto anche "lazzeruolo".
Gran parte dei botanici ritiene che questa specie sia originaria dell'Asia Minore o dell'isola di Creta, da cui si
sarebbe diffusa come coltivazione in tutto il resto del bacino del Mediterraneo, in particolare nel Nord Africa e
dell'Europa. L'azzeruolo cresce sino ad un'altezza massima di 3-5 metri, con rami spinosi che possono divenire
contorti allo stato selvatico, ma che si mantengono lineari quando la pianta viene coltivata.
Le foglie, di color verde brillante, sono caduche ed ingialliscono prima della caduta.
La fioriture avviene da aprile a maggio e i fiori sono bianchi e si dispongono in infiorescenze da 3 a 18 fiori..
Il frutto, l'azzeruolo, di forma globosa, varia da 1 a 2 cm di diametro ed è di color rosso amaranto, bianco o giallo
alla maturazione (a seconda delle tipologie), e contiene una polpa carnosa commestibile dal sapore agrodolce con
tre piccoli semi al suo interno; è una fonte naturale di provitamina A e C. La maturazione si conclude a settembre.
Le azzeruole inoltre sono dissetanti, rinfrescanti, diuretiche e ipotensive, la polpa ha proprietà antianemiche e
oftalmiche. Passata la stagione della produttività dei frutti, per continuare a consumare il prodotto della pianta
durante l'anno, l'azzeruolo può essere utilizzato per confetture e gelatine, nonché per la preparazione di insalate e
macedonie di frutta. Le bacche sono utilizzate anche in pasticceria per la decorazione di torte e normalmente si
conservano sotto spirito o grappa.
La pianta è tipicamente termofila e pertanto predilige per la propria crescita i pendii collinari che si trovano in
buona esposizione solare, crescendo in maniera ottimale nella stessa fascia climatica della roverella e del leccio;
predilige terreni argillosi o calcarei.
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Il corbezzolo, (Arbutus Unedo) detto anche albatro (e i suoi frutti albatrelle), è un cespuglio o un piccolo albero
sempre verde che durante la fioritura offre una cascata di fiorellini
bianchi a campanella che sbocciano durante l’autunno e che l’anno
successivo si trasformano in coloratissimi frutti a bacca rosso vivo
dalla polpa fresca e dolcissima. appartenente alla famiglia delle
Ericaceae, diffuso nei paesi del Mediterraneo occidentale e nelle coste
meridionali d'Irlanda.
La pianta si trova quindi a ospitare contemporaneamente fiori e frutti
maturi, cosa che la rende particolarmente ornamentale, per la presenza
sull'albero di tre vivaci colori: il rosso dei frutti, il bianco dei fiori e il
verde delle foglie.
L'origine del nome generico, dovuto probabilmente al sapore aspro del
frutto e delle foglie, ha radici antiche da ricercarsi nel celtico 'ar' = aspro e 'butus' = cespuglio. Inoltre l'origine del
nome specifico "unedo" deriva da Plinio il Vecchio che, in contrasto con l'apprezzamento che in genere riscuote il
sapore del frutto, sosteneva che esso fosse insipido e che quindi dopo averne mangiato uno (unum = uno e edo =
mangio) non veniva voglia di mangiarne più.
Dal nome greco del corbezzolo (κόμαρος - pron. kòmaros) derivano molti nomi dialettali della pianta (Marche,
Calabria, Campania), e anche il nome del Monte Cònero, promontorio sulle cui pendici settentrionali sorge la città
di Ancona, e la cui vegetazione è appunto ricca di piante di corbezzolo.
Con il corbezzolo si prepara un ottimo aceto aromatizzato che serve per condire insalate e pietanze o ci si
fanno marmellate, decotti e infusi utili a disintossicare reni, fegato e vie urinarie e a combattere stati febbrili e
diarree per le proprietà antisettiche e astringenti.
La leggenda: i Latini erano attribuivano al corbezzolo poteri magici e secondo la testimonianza di Virgilio
riportata nell’Eneide, sulle tombe dei defunti venivano lasciati dei ramoscelli di corbezzolo a simbolo della stima
nutrita nei confronti del defunto.
Il corniolo (Cornus Mas) deve il suo nome alla durezza del legno e alla caratteristica corteccia screpolata: cornus,
corno.
Si presenta come un arbusto o un piccolo albero alto fino a 5 m. I rami sono di colore rosso-bruno e rametti brevi.
I fiori sono ermafroditi cioè
hanno organi per la
riproduzione sia maschili che
femminili. La corolla è a 4
petali acuti, glabri (senza il
pelo, lisci), di colore giallodorato, odorosi. Fiorisce da
dicembre a marzo e i fiori
gialli si aprono ad ombrello.
I frutti del corniolo sono delle
drupe, come piccole olive che
durante la maturazione
cambiano frequentemente
colore passando dal verde al giallo, dall’arancio al rosso accesso fino ad acquisire una colorazione ‘vinaccia’
quando è il momento di raccoglierle e contengono un seme durissimo. Il loro sapore è acidulo, ma zuccherino al
punto giusto, estremamente dissetante.
In Italia si trova in tutta la penisola ma è più frequente nelle regioni settentrionali; ama terreni umidi e
ombreggiati calcarei, per cui è facile trovarlo nei boschi d'alta collina o di montagna. Caduta in disuso come
pianta da frutto, oggi è molto diffuso nei giardini come specie ornamentale.
Si possono mangiare i frutti anche crudi, ma sono buoni solo quelli ben maturati che sono appena caduti o che
cadono dallo stelo in seguito ad un leggero tocco. I piccoli frutti rossi vengono elaborati oltre che per succhi di
frutta e per marmellate (ottime come accompagnamento al bollito di carne), per eccezionali bevande anche come
aromatizzante per alcuni tipi di alcolici come ad esempio la grappa e per un ottimo aceto. Dai frutti maturi
appassiti è spremibile, a freddo, un olio verde, limpido che non gela, atto alla fabbricazione di saponi da ardere.
Nella campagna emiliana e romagnola, i frutti del corniolo venivano utilizzati per produrre aceti, liquori, gelatine
e dolci. L’azione tonico-astringente rende il frutto un ottimo rimedio per curare dermatiti, dolori articolari e
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disturbi del metabolismo.
I prezzi per questi prodotti sono relativamente alti a causa del grosso apparato di lavoro dovuto alla bassa fertilità
e al basso contenuto di alcool.
Il legno del Corniolo è di colore bruno-chiaro nelle parti interne (alburno) mentre nella corteccia è rossastro, con
anelli poco distinti. Questo legno durissimo e molto resistente (il più duro presente in Europa) viene utilizzato tra
l'altro anche per la produzione di pipe. Nel passato era usato per la fabbricazione di pezzi di macchine soggetti a
forte usura (per es. raggi e denti da ruota) e per lavori di tornio. Tutta la pianta ha proprietà tintorie in giallo.
La leggenda: si narra che il Cavallo di Troia fosse costruito proprio con il legno di corniolo, così come il
giavellotto con il quale Romolo tracciò i confini di Roma. E’ certo comunque che la sarissa, la picca usata dalla
falange macedone, fosse di legno di corniolo.
Cotogno, mele e pere cotogne (Cydonia oblonga) è una pianta della famiglia delle Rosacee.
È una delle più antiche piante da frutto conosciute: era coltivato già nel 2000 a.c. dai Babilonesi, tra i Greci era
considerato frutto sacro ad Afrodite e in epoca romana era ben noto, venendo citato da Catone, Plinio e Virgilio.
Si presenta come un piccolo albero deciduo, che può raggiungere i 5–8 m di altezza, le foglie sono finemente
pelose e i fiori sbocciano alla fine di maggio e sono bianchi o rosa con 5 petali con corolla grande fino a 5-7 cm
di diametro. I frutti, di colore giallo oro intenso, sono di dimensioni variabili, a volte molto grandi in alcune
varietà, asimmetrici, maliformi o piriformi. La buccia del frutto è fittamente ricoperta di peluria che scompare a
maturazione ed è comunque facilmente rimossa. La polpa è facilmente ossidabile (scurisce all'aria), poco dolce ed
astringente.
Data la limitata dimensione propria delle piante di cotogno, governata anche da opportune potature, i cotogni
trovano spazio e sono ancora coltivati in orti e frutteti domestici.
Le varietà con i frutti a forma di mela sono dette meli cotogni, mentre quelle con i frutti più allungati sono detti
peri cotogni, tuttavia è una pianta distinta da meli e peri. Le mele e le pere cotogne sono utilizzate per la
preparazione di marmellate, gelatine, mostarde, distillati e liquori e per la famosa ‘cotognata’, una gelatina
semisolida in pezzi tipica del ragusano. Vista la loro aromaticità, i frutti del cotogno venivano utilizzati anche
come profuma biancheria per armadi. Fino agli anni Sessanta la produzione del cotogno in Italia era florida e
abbondante ma la minor richiesta del mercato ha indotto una netta contrazione della lavorazione a livello
industriale tanto che il suo seme è oggetto di salvaguardia da parte dei
SeedSaver.
La leggenda: nell’antica città di Cydon (Creta), i meli e peri cotogni erano
soprannominati ‘pomi d’oro’ e offerti in dono agli Dei. Fino al XVII secolo,
questi frutti furono considerati un toccasana per l’azione astringente e come
antidoto contro i veleni. Veniva inoltre somministrato per la cura dei mal di
stomaco, in caso di inappetenze e per migliorare il funzionamento delle vie
biliari.
Originario
dell'Asia
Minore e della
zona del
Caucaso, oggi
è diffuso
nell'area del
Mediterraneo
occidentale ed
in Cina; un tempo molto diffuso anche in Italia, dagli anni '60 ad oggi si è
verificata una notevole contrazione della produzione dato che la distribuzione
dei frutti non interessa le grandi reti commerciali. Date le limitate dimensione
della pianta e la buona affinità, il cotogno è usato oggi nelle coltivazioni
industriali come portainnesto per le cultivar del pero.
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A sinistra c’è un pezzetto di cotognata. Questa
confettura, impropriamente marmellata, è stata
riconosciuta dalla Regione Abruzzo come
Prodotto agroalimentare tipico. La parola
marmellata viene dal portoghese “marmelo” che
è il nome lusitano del cotogno.
Ecco a destra gli indimenticabili Fruttini Zuegg
che scandivano i momenti dolci più amati da noi
ragazzi. Era la merendina solida dei pomeriggi
degli anni ‘60 e ’70; la marmellatina fatta a
parallelepipedo e avvolta nella plastica
trasparente.
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Il frutto è commestibile sia cotto che crudo. Crudo è alquanto aspro e indigesto, mentre cotto è molto
gradevole e è usato per la preparazione di confetture, gelatine, mostarde, distillati e liquori..
La condizione di limitata dolcezza della polpa non significa assenza di zuccheri, ma la loro presenza
sotto forma di lunghe catene glucidiche, c confetture, gelatine, mostarde, distillati e liquori.he danno
l'effetto soggettivo della scarsa dolcezza; con la cottura, nella preparazione di confetture, e quindi con
la frammentazione dei polisaccaridi la polpa assume una dolcezza intensa, e la liberazione di un
profumo di miele.
L'elevato contenuto di pectina produce un veloce addensamento della confettura o della gelatina,
limitando i tempi di cottura.
In epoca precedente la diffusione dello zucchero raffinato la confettura semisolida di cotogne era con il
miele (costosissimo) uno dei pochi cibi dolci facilmente disponibili e soprattutto ben conservabili.
I frutti venivano anche posti negli armadi e nei cassetti per profumare la biancheria.
Un liquore a base di cotogna denominato sburlon viene prodotto nel parmense e in particolare più
precisamente nella Bassa vicino a Roccabianca.
La cotognata, gelatina semisolida in piccoli pezzi, è famosissima nel Ragusano, nell'area dell'Etna e
nel Basso Lodigiano, soprattutto a Codogno.
Viene usata anche per la preparazione della chicha morada, bevanda analcolica peruviana preparata
facendo bollire il mais "morado'" (una varietà tipica della zona) in acqua, con scorza di ananas,
melacotogna, un pizzico di cannella e chiodi di garofano.
In Iran e in Afghanistan i semi di cotogna vengono bolliti e ingeriti come rimedio alla polmonite
A Malta un cucchiaino di marmellata di cotogna sciolto in acqua bollente viene usato contro il disagio
intestinale
Nel subcontinente pakistan-indiano la cotogna viene utilizzata dagli erboristi come rimedio a eruzioni
cutanee e ulcerazioni, se immerso in un gel contro le infiammazioni alle corde vocali.
La pianta si adatta anche a suoli relativamente poveri purché ben drenati, soffre per eccesso di calcare.
Quasi tutte le varietà sono autosterili, quindi per avere frutto occorre impiantare, o avere presenti,
almeno due varietà diverse; a chiarimento: le piante originate da due semi diversi sono varietà diverse,
due piante innestate con la stessa varietà sono lo stesso clone e quindi non sono varietà diverse.
Il frutto del cotogno è usato come nutrimento dalle larve (bruchi) di alcune specie di lepidotteri
(farfalle)
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Il gelso (Morus Latifolia) è un genere di piante della famiglia delle Moracee originario dell'Asia, ma anche
diffuso, allo stato naturale, in Africa e in Nord America. Comprende alberi o arbusti di taglia media.
Il gelso fu scoperto da Marco Polo nel 1271 in Cina, dove egli si era recato per conoscere l'Oriente e per stabilire
rapporti amichevoli con il Gran Khan.
Le foglie sono caduche, alterne, di forma ovale o a base cordata con margine dentato. Le principali specie
conosciute e rinvenibili inItalia e in Europa sono il Gelso bianco (Morus alba) e il Gelso nero (Morus nigra).
Come tutti i gelsi la pianta preferisce suoli umidi, ma sopporta
anche suoli poveri, la coltivazione è attualmente poco diffusa; la
coltivazione in suoli aperti al traffico di persone ed automobili è
evitata, dato che i frutti, che sono molto succosi e colorati, se non
sono raccolti, cadono ed imbrattano le persone ed gli automezzi.
In Sicilia, il frutto di tale albero è utilizzato sia come frutta da
tavola, che come componente di dolci e guarnizioni. Famosa è la
granita di gelso.
Le specie del genere Morus vengono coltivate per diversi scopi:
 I frutti (more nere e more bianche) sono eduli.
 Le foglie sono utilizzate in bachicoltura come alimento base per l'allevamento dei bachi da seta.
 Come piante ornamentali.
 Per ricavarne legname da lavoro, buona legna da ardere e per ricavarne pertiche flessibili e vimini per la
fabbricazione di cesti.
Il giuggiolo (Ziziphus jujuba) è una pianta a foglie decidue della famiglia delle Ramnacee, noto anche come
dattero cinese, natsume o tsao.
Qui sotto un gigantesco giuggiolo a Asciano e accanto le drupe, quasi mature, ai primi di ottobre.
Sembra che il giuggiolo sia originario
dell'Africa settentrionale e della Siria, e
che sia stato successivamente esportato
in Cina e in India, dove viene coltivato
da oltre 4000 anni. I romani lo
importarono per primi in Italia, e lo
chiamarono ziziphum, nel VI secolo d.C.
era detto zizoulà. Per loro, il giuggiolo
simboleggiava il silenzio e per questo
motivo era utilizzato per adornare i
templi della dea Prudenza. In Romagna
e in generale nelle case coloniche la pianta del giuggiolo veniva piantata vicino
l’uscio, nella zona più esposta al sole, poiché ritenuta un portafortuna.
L'albero può arrivare ad un'altezza che va dai 5 ai 12 metri, le foglie sono di un
verde brillante. La struttura dell'albero è molto articolata ed i rami sono
ramificati e contorti con una corteccia molto corrugata; i rami sono spesso
ricoperti di spine. Il giuggiolo produce, oltre che un gran numero di fiori di piccole dimensioni dal colore bianco
verdastro, dei frutti grandi più o meno quanto un'oliva, con buccia di colore dal rosso porpora al bruno rossastro, e
polpa giallastra.
La zizifina, un composto che si trova nelle foglie del giuggiolo, sopprime nell'uomo la percezione del sapore
dolce.
Se colto quando non ancora maturo (ossia quando presenta un colore verde uniforme), il frutto del giuggiolo, la
giuggiola, ha un sapore simile a quello di una mela. Con il procedere della maturazione tuttavia, il colore si
scurisce, la superficie si fa rugosa e il sapore diviene via via più dolce, fino ad assomigliare a quello di un dattero.
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Le giuggiole si consumano sia fresche, appena colte dall'albero, sia quando sono leggermente raggrinzite. C'è un
solo nocciolo all'interno del frutto, simile a quello di un'oliva, che nella cucina persiana è noto come annab.
La leggenda: si pensa che una specie affine al giuggiolo sia una delle due piante che servirono a preparare la
corona di spine di Gesù.
Modi di dire: - Andare in brodo di giuggiole - Mandare in brodo di giuggiole - gongolare per la gioia,
è un’espressione attestata nell’italiano scritto a partire dal ‘700. Il significato figurato deriva forse dalla “pasticca
impastata con decotto di giuggiole, un tempo usata per rimedio contro la tosse”. Il significato comunque è quello
di andare il solluchero per qualcosa o qualcuno che ti fa godere di molto. Probabile anche un’alterazione
dell’antica “andare in broda di succiole”, espressione toscana riferita alle castagne bollite con la buccia “succiare
le succiole”.
Il Nespolo del Giappone e il Nespolo Comune.
Il nespolo comune non deve essere confuso con il nespolo del Giappone
(Eriobotrya japonica) anche questo appartenente alla Famiglia delle
Rosaceae, una pianta di tipo arboreo coltivata a scopo ornamentale.
Si ritiene che il nespolo del Giappone sia originario della Cina, dove il
frutto prende il nome di pipà o pipà guo, cioè frutto del pipà, in riferimento
allo strumento musicale tradizionale di cui ricorda la forma e qui sono
presenti numerose varietà in tutte le taglie.
In Giappone il frutto è chiamato biwa dove sono state selezionate diverse
varietà a frutto più grande di quelle selvatiche cinesi; questo è avvenuto in
epoca antica e precedente al contatto con l'Europa.
Il frutto iniziò la diffusione in Europa all'inizio del 1800, il primo esemplare infatti fu impiantato nel giardino
Botanico di Parigi nel 1784, ed in seguito, ai Kew Gardens di Londra nel 1787.
Il Nespolo Comune (Mespilus germanica) è anch’esso un genere di piante della famiglia delle Rosacee di antica
coltivazione in Europa, oggi raramente commercializzato
A sinistra il nespolo comune (Mespilus germanica)
A destra i frutti di Sorbus aucuparia.
Questo genere di pianta comprende oltre 200 specie fra le quali sono da citare le numerose varietà del Sorbus:
 Sorbus aria
 Sorbus aucuparia
 Sorbus chamaemespilus
 Sorbus domestica
 Sorbus torminalis
Dante Alighieri lo cita come frutto aspro, in contrapposizione al fico, che ha frutti dolci.
« ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi
si disconvien fruttare al dolce fico. »
(Dante, Inferno, XV, 65-65)
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A seconda della specie può essere un arbusto, un alberello o anche un albero alto fino a 12 metri. Ha la corteccia
grigia con chiazze bianche; rami giovani pubescenti, poi glabri, bruno-rossicci. Anche i frutti sono simili fra loro,
ma diversi per grandezza e per colore.
È ampiamente diffuso nei boschi e nei luoghi rocciosi. Nella regione mediterranea è diffuso anche sui monti.
È una pianta molto resistente al freddo, inoltre la fioritura tardiva è largamente successiva alle ultime gelate.
L’albero della sorba (sorbus domestica) è originario dell’Europa Meridionale ed è facile trovarlo selvatico nei
boschi di latifoglie sotto gli 800 metri.
Il nespolo comune è un albero di dimensioni medio grandi (fino 4–5 m di altezza) di larghezza spesso superiore
all'altezza, a foglie caduche, (perde le foglie in inverno). I fiori tardivi fioriscono a maggio e sono ermafroditi, di
colore bianco puro, sono semplici, a cinque petali; la fioritura nel complesso è molto decorativa. E’ diffuso
nell’Europa meridionale , fino alla Germania, nell’Asia Minore e nell’Italia settentrionale e centrale.
Il legno di alcune specie trova vari utilizzi.
A scopo forestale, le specie usate sono il sorbo degli uccellatori, il sorbo ciavardello e il sorbo montano.
La bellezza della pianta, del suo fogliame e dei fiori, ha fatto sì che con gli anni venisse usata nei giardini come
pianta ornamentale ma la bontà dei frutti giunti a maturazione meriterebbe altre glorie… magari le stesse che gli
riservavano gli antichi romani che già nel 400 a.c. ne esaltavano le proprietà benefiche sull’intestino derivate
dall’alta concentrazione di tannino, flavonoidi e vitamina C. Ancora oggi le sorbe si utilizzano in erboristeria
come rimedio per la dissenteria e per la cura di varie patologie a carico del sistema circolatorio.
Le sorbe domestiche sono dei frutti antichi e erano entrate in passato a far parte dell’alimentazione umana, ma
oggi non vengono più consumate. Il frutto è ricco di proprietà benefiche e di vitamina C, ottimo per confezionare
marmellate o per la preparazione di un sidro molto apprezzato in alcune regioni della Francia e della Germania.
C’è un antico proverbio italiano riferito a questo frutto conosciuto da tempo immemorabile che non può essere
mangiato appena raccolto per il forte sapore acido e stringente:
"Col tempo e con la paglia / maturano le sorbe e la canaglia" che deriva dall’uso contadino di far maturare a
lungo le nespole, in cesti fra la paglia.
La trasformazione enzimatica che si ha nell’“ammezzimento”trasforma la polpa e cancella il forte sapore acido
ed astringente, rendendole commestibili.
I significati nascosti nel proverbio sono vari:
- ci vuole pazienza e attendere una soluzione che prima o poi arriverà. Occorre aspettare per vedere i risultati;
- questo proverbio ha una correlazione con un altro che dice: Con il tempo una foglia di gelso diventa seta;
- forse c’è la speranza che anche i manigoldi, la canaglia, gettata in prigione e che dorme sui pagliericci, col
tempo maturi dei comportamenti più sociali.
In dialetto bolognese, poi, l’esclamazione ‘sorbole!’ indica stupore e meraviglia.
Fiori di Sorbus aria con infiorescenze a corimbi eretti di 5–8 cm con fiori bianchi; fiorisce a maggio-giugno.
I frutti sono pomi ovoidali o rotondi, di dimensioni variabili da 1 a 3 cm, rosso aranciati quando maturi.
La leggenda: nella cultura europea il sorbo serviva a tenere lontani gli spiriti maligni dalle case.
Le feste: La pianta è al centro di feste tradizionali in alcuni comuni delle vallate piemontesi, in provincia di Cuneo
a Farigliano a fine novembre, inizio dicembre per la festa dedicata a San Nicolao abbinata alla “Fiera dei Puciu”
appunto i nespoli, a Virle Piemonte e a Trinità l’ultima domenica di novembre c’è la “Fera del Pocio e Bigat”, la
Fiera del nespolo e del baco da seta.
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Biancospino
Ritorno sull’argomento delle piccole mele azzarole per parlare di un’altra varietà di Crataegus e cioè del
biancospino
Il genere Crataegus del biancospino comprende circa 280 specie. Tra queste ne troviamo alcune che possono
vivere anche fino a 500 anni e raggiungere l’altezza di oltre 6 metri.
Crataegus monogyna
È un arbusto o un piccolo albero molto ramificato con rami spinosi facilissimo da trovare lungo le nostre strade in
campagna e può raggiungere altezze fra 2 e i 6 metri.
I fiori sono bianco-rosati a ombrella terminale, a gruppi di 5-25.
Le foglie sono picciolate, romboidali e incise, con punte dei lobi
seghettate.
La fioritura avviene tipicamente tra maggio e giugno, in autunno i
fiori lasciano il posto a piccole drupe tondeggianti, di colore
rosso, che rimangono sulla pianta fino alla fine dell'inverno,
contenenti un singolo seme. Noi ragazzi facevamo concorrenza
agli uccelli e si mangiava i frutti che avevano un buon sapore
dolce; ricordo che si chiamavano “ le meline della Gigia”.
Questa pianta è molto adatta ad essere coltivata come bonsai,
poiché è abbastanza facile da coltivare, è resistente alle avversità.
Presenta un legno particolarmente duro, per questo motivo, la denominazione generica di Crataegus, proviene
dalla parola la cui etimologia rivela una radice ellenica: kràtos, vocabolo che ha significato di forza, robustezza.
Crataegus oxyacantha
E’ un’altra specie di biancospino perenne con rami spinosi chiamati akantha e dalle foglie caduche a tre lobi
finemente dentati che in aprile-maggio produce fiori bianchi o rosacei raccolti in corimbi ed in settembre drupe
rosse carnose con 2-3 semi ciascuno.
La pianta ha proprietà curative eccezionali.
Il biancospino è ottimo per combattere i più svariati disturbi cardiaci (la sua azione è conosciuta e sfruttata fin
dall'antichità, ma per essere efficace, l’assunzione di biancospino
deve essere costante e reiterata.
Il principio attivo del biancospino è contenuto all’interno delle sue
bacche rosse, che si trovano in autunno, nelle foglie, che invece sono
reperibili in tutte le stagioni, tranne che in inverno e infine nei fiori
che si colgono in primavera o in estate e dai quali si ricava la tintura
madre di biancospino.
Il fitocomplesso “che rinforza il cuore e calma i nervi”agisce sul SNC
come blando sedativo che migliora i disturbi dell’umore e del
comportamento.
Sull’apparato cardio-circolatorio esercita un effetto:/p> :
- aumento della forza contrattile cardiaca (inotropo positivo);
- aumento della conducibilità (dromotropo positivo);
- diminuisce la eccitabilità ( batmotropo negativo);
- regola la frequenza cardiaca (cronotropo positivo e negativo);
- stimolante del flusso sanguigno coronarico e miocardico;
- riducente la resistenza dei vasi periferici;
- rafforzante la tolleranza del miocardio.