Tesi Cicco - AGD Piemonte

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DEL PIEMONTE ORIENTALE
“Amedeo Avogadro”
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA SALUTE
Prof. Ilario Viano
Via Solaroli, 17 - 28100 – NOVARA
CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA PEDIATRICA
Presidente: Prof. Gianni BONA
TESI DI LAUREA
EDUCARE AL DIABETE:
USO DEL MICROINFUSORE IN ETA’
PEDIATRICA
Relatore:
Dott.ssa Antonella Petri
Correlatore:
Inf.Ped. Maria Concetta Iozzo
Candidata:
Valentina Cicco
Anno Accademico 2011-12
“Tutto ciò che siamo :
giovani, belli, a volte un po’ ribelli, pazzi e sempre col sorriso.
Affinché questo sia da esempio:
per tutti coloro che ancora non hanno capito che la vita ce la creiamo noi stessi,
per tutti coloro che ancora non hanno capito che anche dal buio e dal male può
nascere la luce,
per tutti coloro che ancora non hanno capito che noi non siamo il nostro diabete,
non è lui che ci tiene in pugno ma noi che teniamo in pugno lui:
NOI NON SIAMO LA NOSTRA GLICEMIA"
II
INDICE
Abstract
Introduzione
CAPITOLO I:
LA PATOLOGIA DIABETICA .................................................... 1
1.1
DEFINIZIONE ........................................................................................................ 1
1.2
STORIA ................................................................................................................... 1
1.3
EZIOPATOGENESI................................................................................................ 2
1.3.1
Genetica ........................................................................................................... 4
1.3.2
Immunologia .................................................................................................... 5
1.4
1.4.2
1.5
SCREENING ........................................................................................................... 7
Interesse dello screening nella popolazione..................................................... 9
DIAGNOSI CLINICA E BIOLOGICA E STRUMENTI DI CURA .................... 10
1.5.1
Insulina........................................................................................................... 13
1.5.2
Alimentazione ................................................................................................ 19
1.5.3
Attivita’ Fisica ............................................................................................... 20
1.6
COMPLICANZE DEL DIABETE ........................................................................ 21
1.6.1
Le Complicanze Acute................................................................................... 21
1.6.2
Le Complicanze Croniche.............................................................................. 22
1.6.3
Fattori Di Rischio........................................................................................... 23
1.7
EPIDEMIOLOGIA ................................................................................................ 25
1.7.1
Italia .............................................................................................................. 25
1.7.2
Europa ............................................................................................................ 25
1.7.3
Nel Mondo ..................................................................................................... 25
1.8
1.8.1
TIPOLOGIE DI DIABETE MELLITO ................................................................. 27
Diabete Tipo 2: Cause.................................................................................... 27
III
1.8.2
Diabete Mitocondriale.................................................................................... 28
1.8.3
Diabete Gestazionale...................................................................................... 28
1.8.4
Diabete Associato Ad Altre Patologie ........................................................... 29
CAPITOLO II: ASSISTENZA AL BAMBINO DIABETICO ................................. 31
2.1
ASSISTENZA NELLA FASE DI ESORDIO ....................................................... 31
2.2
EDUCAZIONE AL PAZIENTE DIABETICO PER L’AUTOGESTIONE E
L’AUTOCONTROLLO .................................................................................................... 35
2.3
ASSISTENZA NELLA FASE DI FOLLOW UP.................................................. 36
2.4
CAMPI SCUOLA ................................................................................................. 37
CAPITOLO III:
IL MICROINFUSORE ................................................................ 39
3.1
COS’È IL MICROINFUSORE.............................................................................. 39
3.2
VANTAGGI E SVANTAGGI............................................................................... 40
3.3
ISTRUZIONE AI PAZIENTI E AI CARE-GIVER .............................................. 44
3.3.1
Calcolo Dei Carboidrati ................................................................................. 46
3.3.2.
L’attività Fisica .............................................................................................. 47
CAPITOLO IV:
OBIETTIVI, MATERIALI E METODI..................................... 49
4.1
OBIETTIVO DELLO STUDIO............................................................................. 49
4.2
POPOLAZIONE DI INDAGINE .......................................................................... 49
4.3
STRUMENTI DI INDAGINE .............................................................................. 52
4.4
ANALISI DEI DATI ............................................................................................. 53
CAPITOLO V:
RISULTATI ................................................................................ 54
5.1
GRUPPO SMALL (7-12 ANNI) ........................................................................... 54
5.2
IL GRUPPO JUNIOR (13-18 ANNI) .................................................................... 58
CAPITOLO VI: DISCUSSIONE DEI RISULTATI .............................................. 63
6.1
IL GRUPPO SMALL (7-12 anni).......................................................................... 63
IV
6.2
IL GRUPPO JUNIOR (13-28 anni) ....................................................................... 65
CAPITOLO VII: CONCLUSIONI........................................................................... 67
CAPITOLO VIII: BIBLIOGRAFIA ......................................................................... 68
ALLEGATI
-
Scheda del trattamento della chetoacidosi
-
Questionario
V
Abstract
Introduzione. Il diabete di tipo 1 è una malattia in crescente aumento. Sempre più
casi vengono diagnosticati prima dei 14 anni e l’accettazione di una malattia che
dovrà essere curata per tutta la vita è una fase molto delicata, che per alcuni soggetti
arriva dopo molti anni dall’esordio della patologia. Questo è solo uno dei motivi per i
quali ogni anno si organizzano settimane di vacanza/studio per pazienti diabetici.
Queste esperienze sono le uniche occasioni in cui bambini/ragazzi sono stimolati ad
interessarsi e capire a fondo la propria patologia, ed è questo l’obiettivo primario di
queste vacanze/studio: educarli all’autocontrollo ed all’autogestione.
Obiettivo. Per poter giungere all’autocontrollo ed all’autogestione bisogna che i
bambini e i ragazzi conoscano a fondo la patologia diabetica, compresi gli strumenti
a loro disposizione. Per tale motivo ho creato questo intervento riguardo l’uso del
microinfusore, così che tutti possano scegliere con coscienza e conoscenza la terapia
più adatta al proprio stile di vita.
Materiali e metodi. Il campione di indagine prendeva in esame tutti i bambini e i
ragazzi partecipanti al campo per insulino-dipendenti organizzato dal gruppo JADA
(Associazione Diabetici Alessandria Junior) svoltosi a Caldirola (AL) dal 16/06/2012
al 23/06/2012, provenienti da tutti i centri di diabetologia pediatrica del Piemonte. Il
gruppo è stato suddiviso in: 30 bambini facenti parte del gruppo Small (7-12 anni) e
14 ragazzi facenti parte del gruppo Junior (13-18 anni). Lo strumento utilizzato per
lo studio è stato un questionario costruito ad hoc per sondare le conoscenze dei
bambini e dei ragazzi. In seguito è stato effettuato un intervento di carattere
educativo-informativo incentrato sugli argomenti espressi nel questionario svoltosi
separatamente per i due diversi gruppi.
Dopo l’intervento sono stati risomministrati i questionari per verificare le conoscenze
acquisite dai soggetti.
Risultati. Nel complesso i dati dimostrano che l’intervento ha avuto un buon esito: le
percentuali delle risposte corrette sono migliorate notevolmente nel post-intervento
sia per il gruppo Small sia per il gruppo Junior. I due interventi sono stati svolti
adottando un linguaggio appropriato all’età degli interlocutori e trattavano tutti gli
argomenti indispensabili per poter fornire un quadro generale sulle loro conoscenze.
Conclusione. Alla luce dei risultati ottenuti si può affermare che i pazienti, avendo
una conoscenza più generale delle terapie che possono adottare, hanno una visione
più ampia delle possibilità di scelta più specifica e idonea al proprio stato e al proprio
modo di essere. Questo ha portato a comprendere che c’è più bisogno di
consapevolezza e motivazione alla terapia tra i bambini e i ragazzi, un’educazione
periodica, un continuo follow up di insegnamento, per far conoscere al meglio sia la
patologia, sia gli strumenti a disposizione e sia l’ottimizzazione del loro utilizzo. Il
ruolo dell’infermiere insieme al medico, dovrebbe essere fondamentale, per arrivare
a un solo fine, migliorare la qualità di vita del paziente, poiché “il paziente diabetico
più informato sulla propria malattia vive più a lungo” (dottor Elliot P. Joslin, 1940 ).
VI
Introduzione
Ogni due giorni un bambino si ammala di diabete. Sono più di 180 i bambini tra 0 e
14 anni di età che ogni anno si ammalano; negli ultimi 20 anni i casi sono passati da
9 a 14 ogni 100.000 abitanti e dati odierni affermano che più di 200.000 persone
sono affette da diabete di tipo 1.1
Il diabete di tipo 1 è una malattia in crescente aumento, sempre più casi vengono
diagnosticati prima dei 14 anni e l’accettazione di una malattia che dovrà essere
curata per tutta la vita è una fase molto delicata, che per alcuni arriva dopo molti anni
dall’esordio. Questo è solo uno dei motivi per i quali ogni anno l’associazione JADA
(Associazione Diabetici Alessandria Junior) organizza settimane di vacanza/studio
per gruppi di bambini diabetici provenienti da diversi centri del Piemonte. Uno degli
obiettivi è far interagire bambini e ragazzi con la stessa patologia, le stesse
problematiche; farli confrontare per far si che l’uno apprenda dall’altro e che si
facciano forza a vicenda, ognuno con le proprie esperienze e il proprio bagaglio di
nozioni.
L’interesse per la patologia diabetica nasce proprio dalle esperienze personali
derivanti dalla partecipazione ai campi-scuola, prima come animatrice/tutor, poi
come tirocinante in infermieristica pediatrica.
Queste esperienze sono le uniche occasioni in cui i bambini/ragazzi sono invogliati
ad interessarsi e capire a fondo la propria patologia, ed è questo l’obiettivo primario
di queste vacanze/studio: educare i bambini e i ragazzi all’autocontrollo e
all’autogestione, ma per arrivare a tal fine bisogna che conoscano a fondo il Diabete
Mellito Tipo 1 e gli strumenti a loro disposizione. Per tale motivo ho creato questo
intervento riguardo l’uso del microinfusore, così che tutti possano scegliere con
coscienza e conoscenza la terapia più adatta al proprio stile di vita.
L’educazione è una componente fondamentale della cura (intesa come “care”,
prendersi cura), se il paziente non è informato o non viene formato, il personale
sanitario non sta compiendo il proprio lavoro: poiché dobbiamo far si che la qualità
della vita dei pazienti sia la migliore possibile.
1
Dati raccolti dallo studio Ridi in collaborazione con i servizi di diabetologia pediatrica, 06/2012
VII
CAPITOLO I: LA PATOLOGIA DIABETICA
1.1
DEFINIZIONE
Il diabete mellito (DMT1) o insulino-dipendente (IDDM) è una malattia autoimmune
e cronica, caratterizzata da una iperglicemia causata da un’imperfetta secrezione o
azione dell’insulina, oppure da entrambe, che necessita di una terapia sostitutiva
quotidiana.
L’azione dell’insulina sul metabolismo energetico e sui livelli plasmatici di glucosio
è ridotta o del tutto assente. Il sintomo più importante è la persistenza di iperglicemia
come conseguenza della ridotta attività dell’insulina.
Le parole "diabete mellito" descrivono "l’eccesso di urina dolce" infatti la glicosuria
è uno dei primi segni in associazione con i caratteristici sintomi della poliuria e della
polidipsia. (1)
1.2
STORIA
Il diabete Mellito è una malattia antica; era già nota 20 secoli fa e se ne ritrovano le
tracce nella storia della medicina. La definizione “diabete” fu coniata da Areteo di
Cappadocia (81 - 133 d.C.). In greco antico il verbo diabainein significa
"attraversare" (dià: attraverso; baino: vado) alludendo al fluire dell'acqua, come in un
sifone, poiché il sintomo più appariscente della malattia nella fase conclamata è
l'eccessiva produzione di urina. Nel Medioevo la parola fu "latinizzata" in diabètés. Il
suffisso mellito (dal latino mel: miele, dolce) è stato aggiunto dall'inglese Thomas
Willis nel 1675 per il fatto che il sangue e le urine dei pazienti diabetici avevano un
sapore dolce, caratteristica già conosciuta da lungo tempo dagli Indiani, Greci, Cinesi
ed Egiziani.
Gli egiziani hanno citato la malattia diabetica in un papiro del 1550 a.C. mentre nella
medicina tradizionale indiana, che risale al V secolo d.C, viene riportato che esistono
due tipi di diabete, uno che si presenta nelle persone magre e di ogni età ed un altro
comune nelle persone in sovrappeso.
A lungo, nella storia della medicina, si pensò che il diabete fosse una malattia renale;
nel 1679 Thomas Willis, descrisse come siano “magnificamente dolci” le urine dei
1
pazienti diabetici. Circa 100 anni dopo un medico di Oxford per primo osservò che
c’erano alti livelli di zucchero anche nel sangue dei diabetici; ciò lo spinse a supporre
che lo zucchero venisse perso con le urine prima di essere utilizzato.
Solo nel 1889 venne scoperta la chiave per capire la reale causa della malattia
diabetica. In quell’anno infatti Paul Langerhans scoprì che all’interno del tessuto
pancreatico erano presenti dei gruppi di cellule non connessi con gli altri processi
digestivi pancreatici; inoltre egli osservò che se venivano danneggiate si sviluppava
una situazione simile al diabete. Da allora questi agglomerati vennero chiamati “Isole
di Langerhans” e si cominciò a pensare che fossero in grado di produrre una sostanza
chimica (ormone) in grado di opporsi al diabete.
Gli studi furono confermati da Joseph Von Mering (1849-1908) e Oskar Minkowski
(1858-1931), che scoprirono che era possibile causare il diabete in un animale da
esperimento con la rimozione del pancreas. Da qui i ricercatori si indirizzarono ad
individuare l’estratto pancreatico che fosse in grado di curare il diabete fino ad allora
era considerata una malattia incurabile. Così nel 1921 i canadesi Banting e Best
isolarono l’insulina e la utilizzarono nel famoso esperimento sul cane Margjorie.
Il giovane Leonard Thomson è passato alla storia come il primo diabetico curato con
l’insulina nel 1922; dopo alcuni anni l’insulina fu posta in commercio e ad essa
devono la vita milioni di persone. (2)
1.3
EZIOPATOGENESI
L’insorgenza della malattia è dovuta ad una distruzione selettiva delle cellule β del
pancreas (che compongono le isole del Langerhans) per un processo autoimmune che
porta ad una profonda carenza di produzione di insulina, con conseguente alterazione
glucidica che coinvolge anche il metabolismo proteico e lipidico. L‘insulina è un
ormone la cui funzione più nota è quella di regolatore dei livelli di glucosio ematico
che permette di ridurre la glicemia mediante l'attivazione di diversi processi
metabolici e cellulari.
Le Isole del Langherans vengono infiltrate da linfo-monociti provocando l’insulite
(infiammazione delle cellule deputate alla produzione di insulina).
2
Dentro questi infiltrati sono stati ritrovato principalmente i linfociti T CD8 diretti
contro gli auto-antigeni delle cellule β con la coesistenza dei linfociti T CD4, dei
linfociti B e dei macrofagi. I processi di distruzione implicano essenzialmente
l’immunità della mediazione cellulare e potrebbero aumentare grazie ad altri
meccanismi di apoptosi.
Il corso della malattia è classicamente rappresentato in tre fasi successive:
-
Una fase di latenza, caratterizzata da una suscettibilità genetica (in cui si
evidenziano delle interazioni tra i geni di suscettibilità sbilanciati e geni di
resistenza)
-
Una fase preclinica, silente, caratterizzata dall’attivazione del sistema
immunitario contro le cellule β delle isole (insulite), lo sviluppo di
autoanticorpi contro gli antigeni delle cellule e la progressiva distruzione
delle cellule β.
-
Una fase clinica, iperglicemica, che si verifica quando rimane solo una
piccola percentuale di cellule β funzionanti.
Le cause esatte della malattia restano ancora oggi sconosciute; secondo il modello
tradizionale, il diabete di tipo 1 è il risultato clinico di una cascata di avvenimenti
immunologici sequenziali che si verificano in individui geneticamente predisposti.
La cascata è attivata da fattori ambientali ipotetici e anche se fino ad oggi, non è stato
identificato un principale agente ambientale ne sono stati identificati alcuni:
infezione virale ( rosolia, cytomealovirus, rotavirus, enterovirus, ecc), il tipo di
alimentazione durante l'infanzia (l'allattamento al seno rispetto ad una precoce
esposizione alle proteine del latte vaccino, l'introduzione precoce o tardiva dei
cereali), il tipo e l’età di vaccinazione, l'esposizione alle tossine, le influenze
climatiche, ecc.
Recentemente, alcuni autori hanno riportato l'esistenza di variazioni delle
caratteristiche dei profili metabolici di pazienti che successivamente si sono evoluti
verso un diabete di tipo 1 (ridotti livelli sierici di succinato, la fosfatidilcolina,
fosfolipidi e citoleuchine e aumenti dei tassi di acido glutammico), e questi
potrebbero definire una nuova strada di ricerca in fisiopatologia del diabete di tipo 1
con un approccio metabolico.
3
1.3.1 Genetica
Il diabete di tipo 1 presenta un eredità eterogenea e poligenica. Alcuni studi hanno
dimostrato che vi è un aumentato rischio di malattia nei parenti di primo grado
(fratello, sorella, genitore, figlio) di un soggetto diabetico di tipo 1 rispetto alla
popolazione generale. Dal 10% al 13% circa, dei bambini in cui il diabete di tipo 1 è
appena stato diagnosticato possedeva già un parente di primo grado malato, mentre la
prevalenza del diabete nella popolazione generale è dello 0,3%. La concordanza di
diabete tra gemelli monozigoti è in media del 33%. Uno studio ha localizzato dei
marcatori polimorfici che coprono l'intero genoma dei soggetti diabetici in una
ventina di regioni; per cui il soggetto che presenta questi marcatori ha una
predisposizione genetica associata alla malattia. i geni sono corrispondenti al
complesso principale di antigene leucocitario umano (HLA) di classe II e il gene
dell’insulina. L'idea è che i geni delle molecole HLA di classe II codificano DR e
DQ e uno o più altri geni del locus HLA (geni della classe I HLA complesso
molecole codificante la HLA-A e HLA-B) contribuiscono principalmente al rischio
genetico di diabete di tipo 1. I geni, invece, che si trovano all'esterno di HLA
possono contribuire al rischio di diabete, ma in misura minore rispetto a quelli di
HLA. SPIEGARE
Regione del complesso maggiore di istocompatibilità di classe II (IDDM1)
Situato sul braccio corto del cromosoma 6 (6p21), questa regione spiegherebbe il
50% della predisposizione genetica al diabete. Esso contiene i geni che codificano
per le molecole DR e DQ (DRB1 e DQB1 geni), la cui funzione è quella di
presentare il peptide delle cellule T CD4. Dei recenti studi europei hanno confermato
che gli antigeni HLA-DR3 e DR4-DQ2 DQ8 hanno un rischio di circa 1 su 20 di
sviluppare un diabete di tipo 1 prima dell'età di 15 anni; e se il bambino ha un
fratello o una sorella diabetici allora il rischio sale al 55%. In parallelo, altri studi di
coorte hanno dimostrato che i bambini con fenotipo HLA ad 'alto rischio' hanno un
maggior rischio di sviluppare gli autoanticorpi nell’infanzia. Tuttavia, sembra che la
percentuale dei soggetti diabetici di tipo 1 che hanno dei genotipi HLA ad alto
rischio, oggi sia minore di quanto lo fosse alcuni decenni fa, al contrario dei fattori
4
ambientali che attualmente hanno una crescente responsabilità nella genesi del
diabete di tipo 1.
Il polimorfismo allelico del gene HLA di classe II contribuisce al rischio genetico di
diabete determinando la selettività del legame dei peptidi antigenici e la loro
interazione con il recettore T. Così, il fenotipo HLA pregiudicherebbe la grandezza
della reazione autoimmune; se il soggetto presenta l’antigene HLA ha più probabilità
di riscontrare la malattia. Comunque il rischio assoluto di diabete associato a queste
molecole è ancora troppo debole per affermare che la presenza del gene HLA basti
per fare diagnosi di diabete nella popolazione generale o anche in un parente di grado
primo di una persona diabetica.
1.3.2 Immunologia
L’attivazione anormale dell’immunità cellulo-mediata di Th1 (cellule T) in individui
predisposti provoca una reazione infiammatoria all'interno delle isole di Langerhans
(insulite).
L'immunità
umorale
Th2
(cellule
B),invece,
viene
attivata
secondariamente, portando alla formazione di anticorpi diretti contro gli antigeni
delle isole e ciò è rilevabile nella maggior parte dei soggetti diabetici durante
l’insorgenza della malattia. Sono stati identificati diversi autoantigeni insulari negli
esseri umani. All’esordio si evidenzia una reazione autoimmune contro un numero
limitato di autoantigeni che andrà, poi, ad estendersi; l'autoantigene che innesca la
cascata di reazioni fino a provocare la malattia resta sconosciuto, ma la pro-insulina
rimane il miglior candidato. La presenza di uno o anche più autoanticorpi possono
precedere la comparsa dei sintomi clinici di diabete di tipo 1 diversi anni prima; la
maggior parte dei bambini sviluppando un diabete di tipo 1 prima dei 10 anni ha
avuto anticorpi rilevabili già prima dell'età di 2 anni.
Il rischio assoluto di diabete associato alla rivelazione di autoanticorpi in un parente
di primo grado, con la rilevazione di suscettibilità HLA, sono la base per la ricerca
verso la creazione di uno screening per il diabete autoimmune di tipo 1. Gli anticorpi
anti-cellule insulari (anticorpi delle isole pancreatiche ICA) sono anticorpi diretti
contro specificità antigeniche intracitoplasmatiche; queste sono misurate mediante
immunofluorescenza indiretta incubando il siero in presenza di sezioni di pancreas
umano congelato; sono presenti nell’ 80% dei bambini diabetici a insorgenza della
5
malattia, contro meno dell’ 1% della popolazione generale. Dal 2% al 4% dei parenti
di primo grado dei diabetici tipo 1 possiedono gli anticorpi ICA, e di questi dal 30%
al 100% saranno affetti da diabete di tipo 1.
Gli anticorpi anti-glutammato decarbossilasi (GAD), un enzima espresso nel cervello
e nelle cellule beta, sono presenti in circa l’80% dei bambini diabetici insulinodipendenti all’esordio della malattia e nel 3% dei parenti di primo grado. L'anti-IA2
(proteina transmembrana con attività tirosin-fosfatasi) è presente dal 38% al 51% dei
pazienti affetti da diabete giovanile e nel 7% dei parenti di primo grado. Tra i vari
autoanticorpi, l’anti-IA2 è associato al più alto rischio di insorgenza di diabete di tipo
1. Infine, gli anticorpi anti-insulina (IAA) sono presenti dal 30% al 40% dei bambini
diabetici in esordio di malattia, più frequentemente prima dell'età di 5 anni (nella
storia naturale della malattia, spesso sono i primi anticorpi a comparire e la loro
prevalenza nei parenti di primo grado è inversamente correlata all'età). Al momento
della diagnosi di diabete di tipo 1 prima dei 20 anni, il 96% dei bambini hanno
almeno un autoanticorpo rivelabile; il 70% dei bambini hanno almeno tre dei quattro
autoanticorpi positivi (ICA è il più frequente). In pratica questo significa che
l'assenza di autoanticorpi all’esordio di diabete insulino-dipendente in un bambino
deve far discutere la natura autoimmune di esso. Al contrario, gli autoanticorpi
scompaiono gradualmente con la durata del diabete, in 5- 10 anni. Altri
autoanticorpi, anti-GLIMA38, anti-ZnT8, H anticarboxypeptidase, sono stati descritti
meno presenti;
la loro ricerca
non è stata effettuata nella pratica.
Recentemente, sono stati rilevati altri marcatori di autoimmunità diretti contro le
cellule β, grazie ad una nuova tecnica basata sulla rivelazione e la quantificazione
delle cellule T CD8 attivate da autoantigeni delle cellule β (pro-insulina, GAD,
isolotto glucosio-6-fosfatasi, subunità catalitica proteica correlata IGRP) in campioni
di sangue, ma non sono ancora utilizzati di routine nella diagnosi e nello studio del
diabete. Tuttavia, la rivelazione di cellule T attive utilizzando queste tecniche
permette di distinguere tra un soggetto con diabete mellito tipo 1 da un soggetto
normale con una sensibilità del 86% e una specificità del 91%. Inoltre, la sensibilità
del test potrebbe raggiungere il 100% se associato alla rivelazione di autoanticorpi.
6
1.4
SCREENING
1.4.1 Identificazione dei soggetti a rischio
L'esistenza di una fase preclinica, durante la quale emergono sequenzialmente
autoanticorpi associati al diabete, offre la possibilità di identificare gli individui a
rischio prima delle manifestazioni cliniche della malattia. Siccome la prevalenza del
diabete tra i parenti di primo grado è superiore rispetto a quella della popolazione
generale (5% per il fratello o la sorella contro lo 0,3% della popolazione generale),
sono state utilizzate le famiglie dei pazienti diabetici per condurre studi di screening.
Grazie a loro sono state sviluppate diverse strategie di screening basate sul
rilevamento di marcatori sierologici (autoanticorpi diretti contro determinati
antigenici delle isole pancreatiche), sul rilevamento di marcatori genetici di
suscettibilità al diabete tipo 1 e sulla valutazione della secrezione di insulina residua.
Il valore dello screening è comunque discusso, in quanto ogni strategia di
prevenzione rispetto ai soggetti ad alto rischio non ha finora dimostrato la sua
efficacia; è comunque un valido strumento, poichè nella maggior parte dei casi, le
famiglie nel cui nucleo vi è un malato di diabete desidera conoscere il rischio di
contrarre diabete per tutti i parenti di primo grado. È possibile stimare il rischio di
diabete nei parenti di primo grado di soggetti diabetici attraverso:
• La misura di autoanticorpi
Il rischio di contrazione del diabete di tipo 1 è legata alla specificità di autoanticorpi
espressi, al titolo, alla presenza di autoanticorpi multipli e all'età in cui sono espressi
gli autoanticorpi.
Il rischio di diabete avendo un parente di primo grado diabetico insulino-dipendente
è tra il 40% e il 60% quando i marcatori ICA sono superiori a 20 JDF U. Il rischio
sale all’80% nei bambini sotto i 10 anni il cui titolo anticorpale supera i 40 JDF U di
ICA. Il valore predittivo positivo del combinato anti-GAD e IA2 è vicino al valore
predittivo di rischio di contrarre il diabete quando sono presenti i marcatori ICA.I
marcatori IAA sono i primi anticorpi che appaiono in figli di madre o di padre
diabetici che hanno il rischio di contrare il diabete; tuttavia, essi sono meno frequenti
all'inizio del diabete di altri autoanticorpi (tranne che in bambini sotto i 5 anni) e il
7
valore predittivo positivo è inferiore. Per tutti questi autoanticorpi, aumenta il valore
predittivo positivo fino al raggiungimento del 100%.
In pratica, la determinazione del rischio di diabete tra parenti di primo grado di un
soggetto diabetico è attualmente basata principalmente sulla rilevazione di antiGAD, e IA2, o anti-insulina (sensibilità superiore al 85% , specificità del 98%); il
rischio di diabete entro 5 anni è il 50% in presenza di due autoanticorpi e del 70% in
presenza di tre autoanticorpi. Se il bambino ha un’età sotto i 10anni, il rischio si
avvicina al 100%.
• La ricerca di marcatori genetici di suscettibilità al diabete tipo 1
Se l'associazione tra diabete di tipo 1 e alcuni autoanticorpi HLA è ben dimostrato la
presenza di questi autoanticorpi non è sufficiente per sviluppare un diabete di tipo 1.
In associazione con la rivelazione di autoanticorpi nei apparenti di primo grado dei
soggetti diabetici, aumentano il valore predittivo positivo di quest'ultimo. La
rilevazione di autoanticorpi rimane solo consigliato in prima intenzione per il
rilevamento di parenti di primo grado.
• La valutazione della secrezione insulinica
Un altro metodo usato per lo screening del diabete in parenti di primo grado di
pazienti diabetici è lo studio della secrezione insulinica durante la curva di tolleranza
al glucosio; esso consente la stima della massa delle cellule β . La curva di tolleranza
al glucosio comporta l'iniezione endovenosa di glucosio con un digiuno di circa 1012 ore. Il dosaggio di insulina è misurato a 1 minuto e 3 minuti dall'iniezione. La
perdita della prima fase di secrezione insulinica (somma di insulina plasmatica a 1
minuto e 3 minuti inferiore a 50 mcg/U/ml) è altamente predittivo di progressione
verso il diabete di tipo 1; ancor di più se vi sono presenti gli autoanticorpi. In pratica,
il rischio stimato di contrarre il diabete di tipo 1 nei parenti di grado primo tiene
conto dell'età del soggetto, della presenza di autoanticorpi, del loro titolo e del loro
numero, e in un secondo tempo e della fenotipizzazione dell’HLA.
La valutazione della secrezione insulinica non è indicata per una diagnosi diabete
autoimmune, eccetto nel contesto di studi clinici; questo esame è importante solo se
il diabete non è autoimmune. La secrezione di insulina può essere valutata misurando
C-peptide di base e dopo stimolazione con glucagone o dopo un pasto di prova.
8
• Peptide C
Il peptide C è una molecola di 31 amminoacidi rilasciata durante la maturazione della
pro-insulina in insulina. Quest'ormone proteico, infatti, non viene prodotto come tale,
bensì in una forma preocorritrice chiamata pre-proinsulina; una volta sintetizzata nel
reticolo endoplasmatico rugoso delle cellule βeta pancreatiche, la pre-proinsulina
subisce alcune reazioni enzimatiche che la trasformano in proinsulina. Sempre per
intervento di alcuni enzimi, all'interno dei granuli secretori, la proinsulina si
trasforma in insulina definitiva tramite allontanamento di un peptide, il cosiddetto
peptide di coniugazione o peptide C. Ogni molecola di insulina viene messa in
circolo anche una molecola di peptide C.
Nei pazienti insulinodipendenti, il dosaggio ematico del peptide C permette di
valutare quanta insulina viene prodotta dall'organismo, dal momento che quella
esogena (iniettata) è priva del peptide di coniugazione. Per lo stesso motivo, se la
concentrazione di glucosio nel sangue è bassa (ipoglicemia), così come i livelli di
peptide C, allora tale condizione è stata presumibilmente generata da una dose
eccessiva di insulina (ipoglicemia con iperinsulinemia) o di ipoglicemizzanti orali
(ipoglicemia con ipoinsulinemia).
Monitorando nel tempo i livelli di peptide C, il medico ha la possibilità di stabilire
con esattezza l'andamento e l'utilizzo della secrezione residua delle cellule β.
Infine, il dosaggio ematico di peptide C - valutato anche dopo iniezione di i
glucagone - è utile nella diagnosi di insulinoma, un tumore che colpisce le cellule β
pancreatiche provocando iperinsulinemia associata ad ipoglicemia e ad elevati livelli
di peptide C nel sangue (anche dopo iniezione di glucagone).
1.4.2 Interesse dello screening nella popolazione
L'85% dei malati sviluppa la malattia in assenza di una storia familiare di diabete,
per questo motivo la valutazione dello screening per il diabete nella popolazione in
generale rappresenta un interesse evidente. Diversi studi sono stati condotti nella
popolazione in età scolare. La presenza di anticorpi è stata trovata nel 2-3% dei
neonati facenti parte dello studio (autoanticorpi anti-insulina nel 90% dei casi,
anticorpi diversi nel 10% dei casi). La presenza di autoanticorpi è associata ad un
aumentato rischio di diabete, che arriva fino al 75%. Anche se tecnicamente
9
possibile, lo screening del diabete nella popolazione generale è molto costoso, non
porta alla certezza del diabete nella maggior parte dei casi, e affronta ancora molte
questioni etiche, in quanto nessuna strategia terapeutica preventiva ha davvero
dimostrato la sua efficacia; non è pertanto raccomandato.(3)
1.5
DIAGNOSI CLINICA E BIOLOGICA E STRUMENTI DI CURA
I criteri per la diagnosi sono principalmente i sintomi: la classica triade poliuriapolidipsia-polifagia (riscontrata in circa il 75% dei pazienti) associata a calo
ponderale inspiegabile, astenia, irritabilità, nicturia ed enuresi secondaria e infezioni
ricorrenti. La diuresi osmotica è responsabile delle minzioni frequenti (poliuria), il
tempo medio di insorgenza e la diagnosi di diabete è di circa un mese; questa
provoca disidratazione intra ed extra cellulare. Il calo ponderale, invece, è secondario
alla disidratazione e si lega allo stato catabolico per carenza di insulina con
conseguente lipolisi e catabolismo muscolare (la perdita di peso equivale al 6,5%
della massa corporea di media ed è un sintomo che si presenta nel 45% dei bambini);
tutto ciò può portare ad una produzione di sostanze acide derivate dalla parziale
trasformazione dei grassi a livello del fegato in corpi chetonici, che accumulandosi
nel sangue possono aumentare il normale grado di acidità e portare a disturbi (dolori
e crampi addominali, nausea, vomito, respiro frequente e profondo, stato
confusionale). I sintomi devono essere associati ad un valore di glicemia casuale,
cioè indipendentemente dal momento della giornata, superiore o uguale ai 200 mg/dl,
oppure associati ad una glicemia a digiuno superiore o uguale a 126 mg/dl. Il digiuno
è definito come mancata assunzione di cibo da almeno 8 ore.
L’esame per eccellenza è l'OGTT (Oral Glucose Tolerance Test); si tratta di un test
clinico utilizzato per controllare se il metabolismo del glucosio è nella normalità;
viene anche chiamato test orale di tolleranza al glucosio, curva da carico orale di
glucosio o semplicemente curva da carico. Il paziente deve presentarsi a digiuno da
almeno 8-14 ore, deve aver avuto una dieta alimentare equilibrata nei tre giorni
precedenti e non dovrebbe essere malato al momento del test, perché gli stati
patologici potrebbero alterare il metabolismo glucidico.
10
Si esegue un primo prelievo, cioè il basale, a partire dal quale viene conteggiato
il tempo; pertanto il prelievo basale corrisponde al tempo 0'. Si controlla che
la glicemia del tempo 0' sia inferiore a 126 mg/dL e si procede, poi, con la
somministrazione di una soluzione contenente 75 g di glucosio in 300-500 ml di
acqua che deve essere assunta in un tempo massimo di 5 minuti. Si procede
successivamente con i prelievi.
Esistono due tipi di curve da carico di glucosio:
•
un OGTT "a due tempi" in cui si esegue un prelievo basale a 0 minuti e uno a
120 minuti di distanza;
•
un OGTT "a cinque tempi" in cui si esegue il prelievo basale e poi uno ogni
30 minuti fino alle 2 ore: 0', 30', 60' 90', 120'. In alcuni casi si può fare il
prelievo "a sei tempi" prolungando l'esame fino a 180': 0', 30', 60', 90', 120',
180'.
Al test dell’OGTT viene generalmente associato quello della insulinemia, cioè la
concentrazione di insulina nel sangue, che viene dosata in tutti i prelievi fatti per la
glicemia. In questo caso verranno quindi prelevate due provette di sangue ad ogni
tempo di prelievo.
L' OGTT permette di valutare come la concentrazione di glucosio (e di insulina nel
caso in cui venga associato a dosaggio dell'insulina) cambia nel sangue dopo
l'assunzione di una dose nota di glucosio. In condizioni normali, dopo un carico orale
di glucosio, nel sangue aumenta la glicemia dopo qualche minuto. Le cellule beta
del pancreas vengono
stimolate
dall'alta
concentrazione
di
glucosio
a
secernere insulina, che è già pronta all'interno del loro citoplasma immagazzinata
in vescicole di secrezione ed attraverso il processo dell'esocitosi riversano l'insulina
nel sangue. L'insulina è una piccola molecola con la funzione di un ormone che
stimola i tessuti a captare il glucosio presente nel sangue (glicemia) ed abbassa la
concentrazione di quest’ultimo perché stimola i tessuti a prelevarlo ed utilizzarlo nel
giro di qualche ora per permettere così alla glicemia di scendere a livelli simili a
quelli basali.
Se i valori di glicemia sono alterati significa che il metabolismo del glucosio non è
normale, e questo porta a fare diagnosi di diabete.
11
La diagnosi differenziale tra diabete di tipo I e II si può fare associando all'OGTT
anche la valutazione dell'insulinemia. Nel diabete di tipo I la produzione di insulina è
minore rispetto alla norma perché ci sono meno cellule beta pancreatiche rispetto al
normale
a
causa
della
loro
distruzione
da
parte
del
sistema
immunitario (patologia autoimmune). Per quanto riguarda il diabete di tipo II la
produzione dell’ormone è superiore rispetto alla norma come già precedentemente
descritto.
In questa tabella sono riportati i parametri di lettura di un OGTT in due tempi, quindi
a 0' e 120'.
Criteri secondo l'OMS - Interpretazione dell' OGTT
Concentrazione
Glucosio
Plasma venoso
NORMALE
Alterata
Ridotta
glicemia
a tolleranza
digiuno (IFG)
A
Dopo A
(mmol/l)
<6.0
<7.8
(mg/dl)
<100
<140
glucosio (IGT)
Dopo A
digiuno 2 ore digiuno 2 ore
> 6.1 &
<7.0
>110 &
<126
al
Diabete
Mellito (DM)
Dopo A
Dopo
digiuno 2 ore
digiuno 2 ore
<7.8
<7.0
>7.8
>7.0
>11.1
<140
<126
>140
>126
>200
Tabella n°1
I valori normali di glicemia a digiuno dovrebbero essere inferiori a 100 mg/dl,
mentre dopo due ore dall'ingestione di 75g di glucosio inferiori a 140 mg/dl.
Se i valori a digiuno sono alterati (da 110 mg/dl fino a 126 mg/dl) e, invece, i valori a
120' dall'ingestione di 75g di glucosio sono minori di 140 mg/dl si parla di IGF
(Impaired Fasting Glucose cioè alterata glicemia a digiuno).
Se la glicemia a digiuno è inferiore o uguale a 126 mg/dl e la glicemia dopo 2 ore è
compresa tra i 140 mg/dl e i 200 mg/dl significa che nei tessuti periferici il glucosio
non viene captato; questo è dovuto a un deficit dell'insulina oppure del recettore per
l'insulina o della via di trasduzione si parla di IGT (Impaired Glucose Tolerance cioè
12
ridotta tolleranza al glucosio). In questo caso bisognerebbe attivare dei controlli
regolari iniziando con l’assunzione di una dieta adeguata per evitare la progressione
a diabete.
Entrambe sono situazioni cosiddette di “pre-diabete”, che indicano un elevato rischio
di sviluppare la malattia diabetica anche se non rappresentano una situazione di
malattia vera; spesso sono associati a sovrappeso, dislipidemia e/o ipertensione e si
accompagnano a un maggior rischio di eventi cardiovascolari.
Per la diagnosi certa di diabete mellito bisogna riscontrare una glicemia a digiuno
superiore a 126 mg/dl e una glicemia dopo 2 ore dell’assunzione di glucosio uguale o
superiore a 200 mg/dl; in questo caso c'è un alto deficit del metabolismo del
glucosio, con numerose conseguenze per i tessuti.(4)
1.5.1 Insulina
La terapia del diabete si basa sulla somministrazione di insulina esogena,
(ormone proteico secreto da specifiche cellule del pancreas isole di Langerhans) che
agisce sul fegato, stimolando la formazione di glicogeno e inibendo la conversione di
sostanze diverse dai carboidrati in glucosio; inoltre promuove anche la diffusione del
glucosio attraverso le membrane cellulari e stimola la sintesi e l'immagazzinamento
dei
grassi
nelle cellule adipose. La
secrezione
dell'insulina
è
regolata
dalla concentrazione di glucosio nel sangue.
In una persona non affetta da diabete, l'insulina prodotta dal pancreas viene
distribuita ogni qual volta il fisico lo richiede. Quando la concentrazione di glucosio
è
alta,
come
dopo
un
pasto,
il
pancreas
rilascia
l'insulina;
quando
la glicemia diminuisce, la secrezione di insulina si riduce. In particolare si può dire
che essa viene liberata in una quantità definita 'basale' (per permettere al fegato di
produrre il glucosio utile alle funzioni fisiologiche) ed in una quantità superiore in
prossimità dei pasti.
Nei pazienti affetti da diabete mellito si deve cercare di simulare al meglio la
secrezione del pancreas, iniettando dall'esterno l'insulina necessaria al fisico con lo
scopo di evitare l’iperglicemia, l’evoluzione verso il coma chetoacidosico,
permettere il normale accrescimento dell’organismo (compreso lo sviluppo puberale)
e prevenire o ritardare la comparsa della microangiopatia diabetica.
13
L’insulina era in passato ottenuta mediante processi di purificazioni da animali
(maiale); ora è sintetizzata in laboratorio con la tecnica del DNA ricombinante del
gene umano. L’uso dell’insulina umana sintetica ha permesso di ridurre o eliminare
gli inconvenienti legati all’uso dell’insulina di
origine animale come la lipodistrofia2 nelle sedi di
iniezione e la comparsa di anticorpi antisulina.
Questo
farmaco
và
somministrato
per
via
sottocutanea ruotando le sedi di iniezione per
evitare l’insorgenza di accumuli adiposi localizzati;
ma in caso di urgenza, come per il coma
chetoacidosico si può somministrare per via
endovenosa.
Figura n°1
L’iniezione in:
addome garantisce un assorbimento più rapido, costante e progressivo nel
tempo, non è influenzato dall’attività fisica;
deltoide determina una maggiore rapidità di assorbimento;
le gambe a metà tra ginocchio e inguine nella parte anteriore, sono
naturalmente sottoposte ad una variabilità dovuta alla diversità dei flussi
sanguigni nei vari momenti della giornata;
le natiche, hanno un più lento assorbimento per la presenza di maggior tessuto
adiposo.
La dose di insulina da somministrare va ottimizzata giornalmente dal paziente e dalla
sua famiglia con l’ausilio di strisce reattive per il controllo della glicemia. Questo
deve essere eseguito prima di ogni somministrazione di insulina.
Uno dei momenti importanti è l’educazione del paziente e dei familiari alla gestione
domiciliare del diabete (controllo della glicemia, della glicosuria e della chetonuria,
somministrazione dell’insulina, dieta appropriata, modifiche di gestione in caso di
malattie febbrili, attività fisica o altre situazioni fuori dall’ordinario, individuazione e
trattamento degli episodi ipoglicemici e iperglicemici).
2
Si intende una manifestazione clinica caratterizzata da un anomala o degenerativa
condizione del tessuto adiposo.
14
Le insuline possono essere conservate a temperatura ambiente, per quanto riguarda i
flaconi in uso (durata di un mese), mentre i flaconi di scorta si devono conservare in
frigorifero fra i 2 e gli 8°C per massimo 24-30 mesi. Alterazioni quali la presenza di
cristalli o un colore bruno chiaro indicano che il prodotto è alterato e quindi deve
essere gettato. I flaconi non devono essere congelati ed è da evitare la loro
esposizione diretta ai raggi solari e alle temperature superiori ai 40°c.
L’insulina non deve essere iniettata fredda, poiché provoca dolore e viene assorbita
più lentamente a causa della vasocostrizione; pertanto prima di iniettare dell’insulina
deve essere portata a temperatura ambiente.
Tipi di insulina
Vi sono diversi tipi di insuline: ultrarapida, rapida, ritardata, ultralenta e
premiscelata. Si differenziano non per il principio attivo che è lo stesso per tutte, ma
per la velocità di assorbimento. La possibilità di associare insuline con diversa durata
d’azione permette il raggiungimento di un buon controllo glicemico. Il concetto
fondamentale è quello di utilizzare l’insulina ad azione rapida o ultrarapida in
corrispondenza dei pasti per quanto riguarda l’ insulina ritardata o ultralenta è utile
per coprire il fabbisogno insulinico notturno ed eventuali periodi della giornata
caratterizzati da iperglicemia.
INSULINA ULTRARAPIDA
È definita un analogo dell’insulina umana in quanto è ottenuta modificandone la
struttura in modo da ottenere una velocità di assorbimento superiore rispetto alla
rapida tradizionale, con una modalità di azione che si avvicina di più alla produzione
insulinica postprandiale del soggetto non diabetico.
È una soluzione acquosa sterile, limpida ed incolore e sono disponibili le
formulazioni sia per siringa che per penna oltre che la forma premiscelata ultrarapida
+ ritardata. L’insulina ultrarapida inizia la sua attività 5-10 minuti dopo l’iniezione,
ha un picco d’azione tra i 30 e i 60 minuti e una durata totale di 2-5 ore.
INSULINA RAPIDA
Come l’insulina ultrarapida è un insulina utilizzata per coprire il fabbisogno postprandiale; è un insulina pura, anch’essa di aspetto chiaro e trasparente. L’insulina
15
rapida inizia la sua attività 30 minuti dopo l’iniezione, ha un picco d’azione a 2-3 ore
ed una durata totale di 5-6 ore.
INSULINA RITARDATA
Per la presenza di protamina (NPH)3 o di ioni di zinco presenta un lento
assorbimento della sede di iniezione; ha un aspetto lattescente. L’insulina ritardata
inizia la sua attività 1-2 ore dall’iniezione, ha un picco d’azione dopo le 5-6 ore e una
durata totale di 10-12 ore.
INSULINA LENTA
L'insulina lenta, che contiene zinco, ha caratteristiche abbastanza simili alla Nph:
latenza di una-due ore, picco di 6-12 ore e durata di 18-24 ore. Come la precedente,
in linea teorica consente un soddisfacente controllo della glicemia con sole due
iniezioni quotidiane.
INSULINA ULTRALENTA
L'insulina ultralenta contiene una maggiore quantità di zinco, che ritarda
ulteriormente la sua azione. Così, la latenza sale a quattro-sei ore ed il picco ad ottoquindici ore, mentre la scomparsa dell'effetto avviene dopo 18-24 ore.
INSULINA PREMISCELATA
È un tipo di insulina contenete una parte di insulina rapida e una ritardata. Le più
comuni sono NpH : normale in rapporto 70:30 o 50:50, hanno in media una latenza
di mezz'ora, un tempo di picco variabile secondo la formulazione e una durata
d'azione fino a 18-24 ore. Il loro impiego consente di personalizzare al massimo la
terapia insulinica. (5)
3
Le protammine o protamine sono piccole proteine nucleari ad alto contenuti di arginina che
rimpiazzano gli istoni alla fine della fase aploide della spermatogenesi; sono ritenute
essenziali per la stabilizzazione del DNA e la condensazione dei spermatociti.
16
Figura n°2
Somministrazione dell'insulina
Vi sono diversi apparecchi per la somministrazione dell'insulina: siringa; penna;
microinfusore; iniettore.
Dal punto di vista dell'efficacia, delle dosi e dei tempi di risposta non esistono
differenze significative tra i diversi tipi. La differenza sostanziale sta nella facilità e
comodità d'uso.
- Penna
La penna, o stiloiniettore, è un sistema molto semplice e comodo da usare e
trasportare. Per questi motivi è adatto in particolar modo ai bambini. E' fatto come
una penna la cui ricarica è la fiala di insulina (flacone formato penfil), e la punta è
l'ago della siringa.
I vantaggi che offre sono molti:
•
non ha bisogno di stare in frigorifero;
•
la quantità di insulina viene impostata con estrema semplicità (tramite
un selettore numerico);
•
è di dimensioni ridotte;
•
è estremamente robusta;
•
ne esistono modelli di diverse forme e colorazioni.
Un
unico
svantaggio:
le
unità
predisposte
non
sono
frazionabili.
Gli aghi vengono forniti sigillati e sterilizzati, in modo da prevenire qualsiasi
17
contaminazione. Se si usano più tipi di insulina, è bene avere una penna per ogni tipo
usato. Prima di ogni iniezione, è consigliabile buttare fuori una o due unità, in modo
da rendere più precisa la dose iniettata. L'iniezione dell'insulina, va eseguita
possibilmente in zone del corpo sempre diverse, soprattutto quando si
usano terapie di tipo intensivo (3-4 iniezioni giornaliere), in modo da non
sensibilizzare eccessivamente la zona dell'iniezione o creare lipo-ipertrofie.
- Microinfusore
E' un apparecchio di dimensioni ridotte, costituito da una pompa di precisione che, su
comando di circuiti elettronici miniaturizzati, inietta sottocute 24 ore su 24 le dosi d'
insulina programmata. Normalmente viene portato alla cinta ed è alimentato da una
piccola batteria, termina con un’agocannula costantemente inserita nel tessuto
sottocutaneo, solitamente dell’addome o, più di rado, dei glutei (parte superiore).
Viene utilizzato prevalentemente quando il controllo metabolico non è realizzabile
tramite le solite 3-4 iniezioni giornaliere.
- Iniettore
E' un apparecchio in grado di somministrare farmaci sottocute, senza l'ausilio di aghi.
Producono un getto sottilissimo ad alta pressione, in grado di oltrepassare lo spessore
della pelle. Normalmente sono usati per le vaccinazioni, anche se da poco si pensa di
usarli anche per le iniezioni d'insulina. Il vantaggio offerto da questo apparecchio è la
riduzione del dolore rispetto alle somministrazioni effettuate in modo tradizionale.
Vi sono però alcuni elementi contrari all'utilizzo di tale metodo: l'insulina può subire
modificazioni; possibile formazione di piccoli ematomi nelle sedi di iniezione;
l'apparecchio è molto più scomodo e ingombrante rispetto ai sistemi tradizionali; è
molto costoso.
Conservazione dell'insulina
L'insulina è un preparato particolare, che richiede alcune attenzioni nella sua
conservazione per evitare che essa perda le sue caratteristiche naturali.
Se si è a casa, le fiale di insulina già in uso, possono essere conservate anche fuori
dal frigorifero. Anzi, si consiglia la somministrazione del farmaco a temperatura
ambiente, in quanto a temperature basse, l'iniezione può risultare dolorosa. Invece le
18
confezioni di riserva, vanno tenute in frigorifero tra i +4° C e i +8° C. L'insulina non
deve mai essere portata al congelamento.
Nel caso si debba intraprendere un viaggio piuttosto lungo, si consiglia di trasportare,
se possibile, le insuline di riserva in borse frigo e di non lasciare mai l'insulina al sole
o a temperature sotto lo zero
Effetti collaterali
L'uso di insulina iniettata dall'esterno, anche se si tratta di quella di tipo umano,
provoca inevitabilmente la formazione nel proprio organismo di anticorpi antiinsulina. Tali anticorpi possono provocare un allungamento dei normali tempi
d'azione dell'insulina. Questo fatto, di per sé non grave, provoca una condizione
favorevole, può proteggere contro eventuali stati di chetoacidosi in caso di
somministrazione
ritardata, ed
una
sfavorevole,
cioè
aumenta
il
rischio
di ipoglicemie.
Sembra invece che gli anticorpi anti-insulina non influiscano sulla quantità di
insulina di cui l'organismo ha bisogno.4
1.5.2 Alimentazione
La terapia della malattia diabetica ha come cardine l’attuazione di uno stile di vita
adeguato. Per stile di vita si intendono le abitudini alimentari, l’attività fisica e
l’astensione dal fumo.
La dieta del soggetto con diabete (definita negli USA: Medical Nutrition Therapy,
cioè terapia medica nutrizionale) ha l’obiettivo di ridurre il rischio di complicanze
del diabete e di malattie cardiovascolari attraverso il mantenimento di valori di
glucosio, lipidi plasmatici e dei livelli della pressione arteriosa il più possibile vicini
alla normalità.
Si raccomanda che la dieta includa carboidrati che siano provenienti da frutta,
vegetali, grano, legumi e latte scremato, non inferiori ai 130 g/giorno, ma
controllando che siano assunti in maniera equilibrata attraverso la loro misurazione e
4
Publicis healthware international
19
l’uso alternativo; inoltre bisognerebbe evitare l’uso di saccarosio e sostituirlo con
dolcificanti. Come per la popolazione generale, si raccomanda di consumare cibi
contenenti fibre. Invece riguardo i grassi, è importante limitare il loro apporto a <7%
delle calorie totali giornaliere, con particolare limitazione ai grassi saturi e al
colesterolo.
L’osservanza di alcune regole alimentari è importante per ottenere un buon controllo
metabolico del diabete e di conseguenza per mantenere il paziente in buono stato
nutrizionale. Le principali regole da seguire sono:
• frazionare il fabbisogno calorico giornaliero in 5/6 pasti ( 3 pasti principali e
2/3 spuntini) per evitare picchi glicemici troppo elevati.
• Evitare gli zuccheri semplici responsabili di fluttuazioni ampie della glicemia
(molto utili nel caso delle correzioni delle ipoglicemie).
• Variare il contenuto di ogni pasto che deve contenere glucidi, lipidi e protidi
(in misura del 60%, 30% e 10% circa rispettivamente). In media un bambino
di 10 anni necessita di 2000 kcal (+100 kcal per ogni anno di età aggiuntivo);
mentre un’attività fisica può richiedere mediamente 500 kcal suppletive.
1.5.3 Attivita’ Fisica
L’attività fisica del paziente diabetico con un buon controllo metabolico non è
prescritta ma è da incentivare. È dimostrato che l’attività fisica regolare migliori
l’effetto della terapia insulinica e di conseguenza il controllo metabolico del
paziente.
I pazienti con diabete mellito sono più soggetti a infezioni, in particolare infezioni
cutanee e delle mucose ( micosi per esempio da candida) e a infezioni urinarie;
pertanto, la frequenza di palestre e piscine richiede l’osservanza di alcuni consigli
igienici (indumenti intimi di cotone, prescrizione di prodotti cosmetici non irritanti,
cura delle ferite, uso dei calzini ed evitare di camminare a piedi nudi).
Un’attività fisica di tipo aerobico e di grado moderato per almeno 150 minuti a
settimana oppure di tipo più intenso per 90 minuti a settimana è raccomandata per
migliorare il controllo glicemico e mantenere il peso corporeo. Dovrebbe essere
distribuita in almeno tre volte a settimana e con non più di due giorni consecutivi
senza attivitàI diabetici tipo 1 hanno necessità di regolare in maniera più stretta la
20
terapia insulinica all’apporto dietetico e all’attività fisica, mentre per i diabetici tipo
2, che in genere sono anche sovrappeso o francamente obesi, assume maggior
importanza un adeguato stile di vita che comprenda riduzione dell’apporto calorico,
soprattutto dei grassi, e aumento dell’attività fisica per migliorare la glicemia, la
dislipidemia e livelli della pressione arteriosa.
Il consiglio di non fumare, valido per ogni attività sportiva e in tutti gli adolescenti, è
ulteriormente da incentivare come
facente parte del trattamento nel soggetto
diabetico. (2)
1.6
COMPLICANZE DEL DIABETE
Le complicanze del diabete possono essere suddivise in acute o croniche.
1.6.1 Le Complicanze Acute.
Sono più frequenti nel diabete tipo 1 che nel diabete di tipo 2 e sono in relazione alla
carenza di insulina. In questi casi il paziente può andare incontro a chetoacidosici
diabetica ( dal 25 al 40% dei casi il diabete viene diagnosticato a causa di una cheto
acidosi), dovuto ad una lipolisi eccessiva, una beta-ossidazione degli acidi grassi che
da inizio alla produzione di corpi chetonici i, che causano perdita di coscienza,
disidratazione e gravi squilibri idro-elettrolitici. I segni clinici, oltre all’iperglicemia
e alla disidratazione intra ed extra cellulare sono le conseguenze dell’acidosi. I segni
respiratori sono una tachipnea o un’importante dispnea: il respiro di Kussmaul,
talvolta chiamato anche respiro grosso, è una forma di respiro patologico associato
a acidosi metabolica grave. Quest’ultimo provoca iperventilazione compensatoria,
l'aumento della frequenza respiratoria ha lo scopo di incrementare l'eliminazione
dell'anidride carbonica per compensare la riduzione del pH del sangue;
è
caratterizzato da atti respiratori molto lenti, ed in particolare da una inspirazione
profonda
e
rumorosa,
a
cui
segue
una
breve apnea inspiratoria,
quindi
una espirazione breve e gemente, infine una pausa post-espiratoria decisamente
prolungata, accompagnato da un odore tipico di acetonuria.
I segni dell’apparato gastrointestinale comprendono nausea, vomito e dolori
addominali; il dolore addominale può orientare verso una patologia gastrointestinale
ma la diagnosi è facilmente fatta se si associa al dolore la poliuria costantemente
21
presente. Un altro segno importante è l’alterazione dello stato di coscienza: il coma è
presente nel 10% dei casi, la sonnolenza nel 40% dei casi, mentre nel 50 % dei
bambini non vi è alterazione di coscienza.
Ipoglicemia
1.6.2 Le Complicanze Croniche.
Questa patologia può dare complicanze che riguardano diversi organi e tessuti, tra
cui gli occhi, i reni, il cuore, i vasi sanguigni e i nervi periferici.
•
Retinopatia diabetica: è un danno a carico dei piccoli vasi sanguigni che
irrorano la retina, con perdita delle facoltà visive. Inoltre, le persone diabetiche
hanno maggiori probabilità di sviluppare malattie oculari come glaucoma e
cataratta.
I glaucomi sono un gruppo molto diversificato di malattie oculari, accomunate
dalla presenza di un danno cronico e progressivo del nervo ottico, con alterazioni
caratteristiche dell'aspetto della sua "testa" (che si può osservare con esame del
fondo oculare) e dello strato delle fibre nervose retiniche; può provocare lesioni
non reversibili, se non diagnosticato in tempo e se non curato a dovere potrebbe
causare seri danni alla vista e, in alcuni casi, ipovisione fino alla cecità. Negli
stadi più avanzati si ha una visione cosiddetta 'tubulare' poiché si è persa la
visione periferica. I meccanismi attraverso i quali si sviluppa un glaucoma sono
ancora in parte sconosciuti; ma sono stati individuati numerosi fattori di rischio,
che
si
associano
alla
malattia
diabetica,
tra
cui
si
segnalano,
in
particolare, pressione oculare elevata, età, etnia, familiarità, miopia, spessore
corneale centrale e fattori vascolari.
La cataratta è un processo di progressiva perdita di trasparenza del cristallino.
Questo processo, legato a fenomeni di ossidazione delle proteine che lo
costituiscono, è il risultato di un fenomeno biochimico che si verifica con
l'aumentare dell'età. L'allungamento della vita media ha portato a un aumento del
numero di casi, tanto che oggi l'intervento di asportazione della cataratta è uno
dei più eseguiti in tutti gli ospedali del mondo e anche se si tratta di una patologia
tipica della senescenza, può interessare anche età meno avanzate legata a fattori
22
secondari
come
diabete, fenomeni
infiammatori,
esposizione
eccessiva
a radiazione infrarossa o ultravioletta, cause iatrogene e congenite.
•
Nefropatia diabetica: si tratta di una riduzione progressiva della funzione di
filtro del rene, è una frequente causa di danno renale e si colloca al secondo posto
come causa di insufficienza renale terminale che può condurre sino alla necessità
di dialisi e/o trapianto del rene.
•
Malattie cardiovascolari: il rischio di malattie cardiovascolari è da 2 a 4 volte
più alto nelle persone con diabete che nel resto della popolazione, causando oltre
il 50% delle morti per diabete, nei paesi industrializzati. Questo induce a
considerare il rischio cardiovascolare nel paziente diabetico pari a quello
assegnato a un paziente che ha avuto un evento cardiovascolare. Il diabete è un
fattore di rischio indipendente per le patologie macrovascolari e condizioni
coesistenti, quali ipertensione, dislipidemia, fumo di sigaretta ecc., sono
altrettanti fattori di rischio cardiovascolari indipendenti.
•
Neuropatia diabetica: è una delle complicazioni più frequenti e secondo
l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si manifesta a livelli diversi nel
50% dei diabetici. Può causare perdita di sensibilità, dolore di diversa intensità e
danni agli arti, con necessità di amputazione nei casi più gravi. Può comportare
disfunzioni del cuore, degli occhi, dello stomaco ed è una delle principali cause
di impotenza maschile
•
Piede diabetico: le modificazioni della struttura dei vasi sanguigni e dei nervi
possono causare ulcerazioni e problemi a livello degli arti inferiori, soprattutto
del piede, a causa dei carichi che sopporta. Questo può rendere necessaria
l'amputazione degli arti e statisticamente costituisce la prima causa di
amputazione degli arti inferiori di origine non traumatica
•
Complicanze in gravidanza: nelle donne in gravidanza, il diabete può
determinare conseguenze avverse sul feto, da un elevato peso alla nascita a
malformazioni congenite, sino a un alto rischio di mortalità perinatale.
1.6.3 Fattori Di Rischio
Le complicanze croniche del diabete possono essere prevenute o se ne può rallentare
la progressione attraverso uno stretto controllo di tutti i fattori di rischio correlati.
23
• Glicemia ed emoglobina glicata (HbA1c). Sono stati effettuati importanti
studi clinici che hanno evidenziato l’importanza di un buon controllo
metabolico per prevenire l’insorgenza di complicanze. I livelli medi di
glicemia nel corso della giornata possono essere valutati mediante la
misurazione dell’emoglobina glicata (HbA1c%). L’emoglobina, che è
normalmente trasportata dai globuli rossi, può legare il glucosio in maniera
proporzionale alla sua quantità nel sangue. In considerazione del fatto che la
vita media del globulo rosso è di circa tre mesi, la quota di emoglobina cui si
lega il glucosio sarà proporzionale alla quantità di glucosio che è circolato in
quel periodo. Otteniamo, quindi, una stima della glicemia media dei tre mesi.
Nei soggetti non diabetici, il livello d’emoglobina glicata si mantiene attorno
al 4-7 per cento, che significa che solo il 4-7 per cento di emoglobina è legato
al glucosio. Nel paziente diabetico questo valore deve essere mantenuto entro
il 7% per poter essere considerato in “buon controllo metabolico”.
• Pressione sanguigna. Nei diabetici c’è un aumentato rischio di malattia
cardiovascolari,
quindi
il
particolarmente
importante,
controllo
in
quanto
della
pressione
livelli
elevati
sanguigna
di
è
pressione
rappresentano già un fattore di rischio. Il controllo può prevenire l’insorgenza
di patologie cardiovascolari (malattie cardiache e ictus) e di patologie a carico
del microcircolo (occhi, reni e sistema nervoso)
• Controllo dei lipidi nel sangue. Anche le dislipidemie rappresentando un
aggiuntivo fattore di rischio per le patologie cardiovascolari. Un adeguato
controllo del colesterolo e dei lipidi (HDL, LDL e trigliceridi) può infatti
ridurre l’insorgenza di complicanze cardiovascolari, in particolare nei
pazienti che hanno già avuto un evento cardiovascolare.
L’elevata frequenza di complicanze vascolari impone uno stretto monitoraggio degli
organi bersaglio (occhi, reni e arti inferiori). Per questo, è necessario che le persone
con diabete si sottopongano a periodiche visite di controllo, anche in assenza di
sintomi.(2)
24
1.7
EPIDEMIOLOGIA
1.7.1
Italia
In Italia il 4,9% degli italiani (5,2% delle donne e 4,5 % degli uomini), pari a circa
2.960.000 persone è affetto da diabete.
Negli ultimi tre anni la percentuale delle persone che riferiscono di aver ricevuto una
diagnosi di diabete è del 5%. Si evidenziano discrepanze tra Nord e Sud: nella
provincia di Bolzano si registra il valore più basso (2%), mentre in Basilicata quello
più alto (8%). Riguardo ai fattori di rischio associati al diabete: tra i diabetici, il 55%
ha ricevuto una diagnosi di ipertensione e il 45% di ipercolesterolemia, il 75% è in
eccesso ponderale (IMC ≥25), il 39% è sedentario e il 22% fumatore.
In Italia il 10% degli uomini e il 7% delle donne è diabetico, l’8% degli uomini e il
4% delle donne è in una condizione border line (intolleranza al glucosio) e il 23%
degli uomini e il 21% delle donne è affetto da sindrome metabolica. Tra gli anziani
(di età compresa fra 65 e 74 anni), è diabetico il 20% degli uomini e il 15% delle
donne mentre il 12% delle donne in menopausa (età media 62 anni) è diabetico. 5
1.7.2 Europa
Secondo l’Oms Europa, 52 milioni di persone all’interno della Regione europea
vivono con il diabete. La prevalenza di questa malattia è in crescita in tutta la
Regione arrivando, in alcuni Stati, a tassi del 10-14% della popolazione. Questo
aumento è in parte dovuto all’invecchiamento generale della popolazione ma
principalmente alla diffusione di condizioni a rischio come sovrappeso e obesità,
scorretta alimentazione, sedentarietà e disuguaglianze economiche.
1.7.3 Nel Mondo
Secondo l’Oms, sono circa 346 milioni le persone affette da diabete in tutto il mondo
e più dell’80% delle morti correlate a questa patologia avvengono in Paesi a basso e
medio reddito. L’Oms stima inoltre che i decessi per diabete sono destinati a
raddoppiare tra il 2005 e il 2030 (nel 2004, i dati riferiscono di 3,4 milioni di persone
scomparse a causa delle conseguenze di un alto livello di zucchero nel sangue).
5
Secondo i dati dell’Osservatorio epidemiologico cardiovascolare, raccolti a partire
dal 1998 e pubblicati sul sito del Progetto Cuore.
25
DAL MINISTERO DELLA SALUTE
La patologia diabetica mostra una chiara tendenza, in tutti i paesi industrializzati, ad
un aumento sia dell’incidenza sia della prevalenza.
L’accresciuta prevalenza nel mondo del diabete tipo 2, soprattutto legata all’aumento
del benessere ed allo stile di vita, ha portato l’OMS a parlare di vera e propria
“epidemia”. Stime e proiezioni sul periodo 1994-2010 indicano la triplicazione a
livello mondiale dei casi di diabete mellito tipo 2. Per l'Europa Occidentale è stato
previsto un aumento dei casi di diabete mellito tipo 2 del 27.5% dal 1994 al 2000 e
del 54.9% dal 1994 al 2010. Il numero dei diabetici negli Stati Uniti (dove il diabete
rappresenta la settima causa di morte) è salito da 1.6 milioni nel 1958 ad 8 milioni
nel 1995, mentre in Italia la prevalenza è aumentata dal 2,5% (negli anni ’70)
all’attuale 4-4,5%.
Anche per il diabete tipo 1 molti dati epidemiologici evidenziano un aumento
dell’incidenza (circa il raddoppio per ogni generazione in taluni casi). Per l'Europa
occidentale è stato previsto un aumento dei casi di diabete tipo 1 del 18.3% dal 1994
al 2000 e del 36% dal 1994 al 2010 (6)
(Dati ISTAT 2003) Figura n°3 (7)
26
1.8
Si
TIPOLOGIE DI DIABETE MELLITO
possono
distinguere
due
forme
principali
di
Diabete
Mellito:
Diabete Tipo 1 (definito anche Insulino - Dipendente IDDM, di Tipo giovanile,
infantile,
o
chetosico)
che
necessita
di
insulina
sin
dall’esordio;
Diabete Tipo 2 (in passato detto Non Insulino - Dipendente – NIDDM, di Tipo
adulto, senile, grasso o non chetosico) che non necessita di insulina;
La classificazione comprende anche il Diabete Associato ad altre patologie ed
il Diabete Gestazionale (una forma di diabete che compare durante la gravidanza e
che solitamente si risolve con essa).
1.8.1 Diabete Tipo 2: Cause
La causa di questa forma di diabete è un deficit parziale, della secrezione di insulina,
associata ad una resistenza dei tessuti periferici all’azione dell’ormone stesso.
Questa forma di Diabete all’esordio non necessita di terapia insulinica ed esordisce
in modo molto subdolo dando pochi segni e permettendo una vita pressoché normale
fino alla comparsa delle complicanze croniche.
Tutto ciò porta inevitabilmente ad un ritardo nella diagnosi, a volte anche 10 o 20
anni, e conseguentemente nella cura; molto spesso la diagnosi viene fatta in modo
fortuito in seguito ad esami fatti per altri motivi in assenza completa di sintomi
specifici del diabete. In alcuni casi la diagnosi viene sospettata perché possono essere
presenti dei sintomi dovuti al passaggio di glucosio nelle urine: poliuria (aumento del
volume urinario), polidipsia (sete), polifagia (fame) ed affaticabilità; ma anche in
questi casi non si può escludere che la malattia fosse già presente.
Esiste una suscettibilità genetica: infatti, circa il 30% dei familiari di primo grado di
un
paziente
con
diabete
di
tipo
2
presenta
la
malattia.
Tuttavia la malattia è concomitante con fattori ambientali come l’ obesità, l’apporto
calorico e la sedentarietà inoltre i tessuti non ricevono in modo adeguato il segnale
da parte dell'insulina, solitamente per un deficit del recettore o della via di
trasduzione del segnale.
L’obesità, infatti, è presente in circa l’80% dei pazienti con diabete di tipo 2 e
determina insulino-resistenza (ovvero rende meno efficace l’insulina); pertanto il
paziente diabetico, per mantenere i valori glicemici nei limiti di norma, deve
27
produrre una quantità di insulina maggiore rispetto ad un paziente non affetto da tale
patologia determinando un iperinsulinismo cioè una concentrazione elevata di
insulina nel sangue. (8)
1.8.2 Diabete Mitocondriale
Le forme monogeniche di diabete legate a mutazioni mitocondriali dell'acido
desossiribonucleico sono molto rare; si possono, talvolta, presentare come diabete di
tipo 1 (nel 20% dei casi), ma,
soprattutto, come diabete di tipo 2. L'origine
mitocondriale può essere evocata in assenza di autoanticorpi associati al diabete di
tipo 1, se si presenta una storia personale o familiare compatibile con la trasmissione
della malattia mitocondriale (diabete, la sordità bilaterale, deficit neurosensoriali,
intellettuale o muscolare).
L’anomalia molecolare più frequente è la mutazione puntiforme nel gene codificante
l’acido ribonucleico da trasferimento anomalo di leucina; la sua frequenza è stimata a
meno dell’1% della frequenza totale di esordio di diabete.
L'età di esordio è tra i 20 ei 70 anni (media 38 anni).
Il diabete mitocondriale diventa insulino-dipendente entro 2 anni nella maggior parte
dei casi. Lo studio di quasi 200 portatori di questa mutazione ha permesso di stabilire
la frequenza dei sintomi: il 50% ha il diabete e sordità, il 21% ha il diabete isolato, il
15% sordità isolata e il 13% ha il diabete, la sordità e altre comorbilità (sindrome
MELAS:
miopatia-encefalopatia-acidosi
lattica-ictus,
cardiomiopatia,
retinite
pigmentosa, disturbi gastrointestinali, danni renali). L'intolleranza al glucosio è
legato ad un progressivo deterioramento, con l'età, di secrezione di insulina dalle
cellule beta pancreatiche, relativa a una diminuzione delle concentrazioni di ATP
citosolici / adenosina di-fosfato.(3)
1.8.3 Diabete Gestazionale
Il diabete gestazionale una forma di diabete che compare durante la gravidanza e che
solitamente si risolve con essa; tuttavia questo tipo di patologia è indicativo di una
predisposizione a sviluppare, prima o poi, una forma di diabete in forma
conclamata.6
6
L’ultima classificazione del diabete proposta dall’ADA (American Diabetes Association) Dott.
Sciangula Luigi
28
1.8.4 Diabete Associato Ad Altre Patologie
Si tratta di forme molto rare di Diabete associate ad altre patologie.
Un difetto genetico della funzione delle beta-cellule determina una particolare forma
di diabete detto MODY (Maturity Onset Diabetes in the Young , il Diabete mellito
non insulino-dipendente a esordio giovanile:).
Il diabete si può associare a difetti genetici dell’azione insulinica come nel
leprecaunismo7 o nell’acanthosis nigricans8 oppure può presentarsi in seguito a
patologie croniche come la pancreatite cronica e l’ emocromatosi.9
Anche molte malattie endocrine (come l’acromegalia10 o la sindrome di Cushing11)
determinano alterazioni del controllo glicemico e nei casi più grave delle vere e
proprie forme di diabete. Solitamente, però, in questi casi, una volta risolta la
patologia
endocrina
sottostante,
si
risolve
anche
il
diabete.
Infine anche alcune sindromi genetiche come la distrofia miotonica e la sindrome di
Down si associano al diabete.
7
Il leprecaunismo (sindrome di Donohue) é una malattia rara a trasmissione autosomica recessiva
causata da mutazioni nel gene del recettore insulinico e caratterizzata da ridotto accrescimento
intrauterino e postnatale, lipodistrofia, tratti somatici peculiari, acantosi nigricans, alterata omeostasi
glucidica e grave insulino-resistenza. Solitamente porta a morte entro il primo anno di vita.
(Kosztolanyi G. Leprechaunism/Donohue syndrome/insulin receptor gene mutations: a syndrome
delineation story from clinicopathological description to molecular understanding. Eur J Pediatr.
1997;156(4):253-5).
8
L'Acantosi nigricans (o acanthosis nigricans) è una manifestazione cutanea caratterizzata da zone
iperpigmentate, mal delimitate, che compaiono tipicamente a livello delle pieghe cutanee (collo,
ombelico, inguine, ascelle). La pelle si presenta ispessita e vellutata, di colore più scuro (dal brunastro
al nero) rispetto alle zone circostanti.
9
L'emocromatosi (greco hàima sangue, e chroma, -atos colore), in passato chiamato anche diabete
bronzino, è una malattia metabolica genetica dovuta all'accumulo di notevoli quantità di ferro in
diversi organi e tessuti quali: fegato, pancreas, cute, cuore ed alcune ghiandole endocrine.
10
L'acromegalia è un quadro clinico patologico derivato dall'esposizione dell'organismo ad un eccesso
di ormone della crescita (GH) nell'età postprepuberale.Loeper S, Ezzat S. (marzo 2008). Acromegaly:
re-thinking the cancer risk.. Rev Endocr Metab Disord. 9: 41-58.
11
La sindrome di Cushing è la condizione clinica caratterizzata dall'eccesso di ormoni glucocorticoidi
nel circolo ematico. Fu descritta nel 1932 dal chirurgo americano Harvey Williams Cushing
considerato il padre della neurochirurgia. La dizione "sindrome di Cushing" si riferisce alla sindrome
clinica, la quale può avere cause molteplici. Con il termine di "morbo di Cushing" si identifica
l'adenoma ipofisario ACTH-secernente. (The basophil adenomas of the pituitary body and their
clinical manifestations. Bull Johns Hopkins Hosp 1932;50:137-195).
29
Un’ultima causa di diabete è l’uso cronico di alcuni farmaci (soprattutto il cortisone)
che determina il cosiddetto diabete metasteroideo.(9)
30
CAPITOLO II: ASSISTENZA AL BAMBINO DIABETICO
2.1
ASSISTENZA NELLA FASE DI ESORDIO
L'esordio della malattia è solitamente acuto e si sviluppa in un periodo di alcuni
giorni o settimane. Vengono spesso riscontrati una storia familiare di diabete mellito
tipo 1, celiachia o altri disturbi endocrini di natura autoimmune.
Il primo passo dell’assistenza ad un bambino con diabete all’esordio è l’accoglienza
che può avvenire in un pronto soccorso o direttamente nel reparto pediatrico di
diabetologia per invio da parte del pediatra curante. All’arrivo del paziente
accompagnato dai familiari vi può essere il sospetto di diabete a causa dei vari
sintomi di malessere, per esperienza o per familiarità. All’entrata in pronto soccorso
l’infermiere di triage deve valutare se le condizioni del bambino sono compromesse,
ABC della rianimazione, dalle iniziali delle parole inglesi Airway ( vie aeree),
Breathing (respiro), Circulation (circolo). In seguito si valuta subito lo stato di
coscienza, tramite la Glasgow Coma Scale12, la presenza di sintomi quali cefalea,
vomito, dolore addominale e valutazione della disidratazione. Inoltre viene rilevato
il peso corporeo, l’altezza, la frequenza cardiaca, la frequenza respiratoria, la
temperatura; si esegue un test delle urine. Dopo la valutazione in triage si procede
con il reperimento di due accessi venosi, per eseguire esami ematici urgenti, tra cui
un EGA venoso, e dare inizio alla terapia infusiva prescritta dal medico13. Si procede
poi, con l’esecuzione di un ECG, si inizia la raccolta della diuresi per instaurare un
bilancio idro-elettrolitico e viene impostata la cartella infermieristica. Da qui
possiamo proseguire con la formulazione e l’accertamento della diagnosi.
Innanzitutto stabilizziamo i parametri vitali, impostiamo il protocollo per
chetoacidosi e si procede con il trasferimento del paziente nel reparto di degenza. In
reparto l’infermiere pediatrico deve accogliere il bambino e collocare nella propria
stanza di degenza, possibilmente singola o con altri pazienti con la stessa patologia.
12
Glasgow Coma Scale definito anche come punteggio del coma di Glasgow o scala GCS è stata
sviluppata dai neurochirughi Graham Teasdale e Bryan Jennet per tenere traccia dell'evoluzione
clinica dello stato del paziente in coma. Essa si basa su tre tipi di risposta agli stimoli (oculare, verbale
e motoria) e si esprime sinteticamente con un numero che è la somma delle valutazioni di ogni singola
funzione. Questa scala è meno adatta ai bambini sotto i 36 mesi che non hanno ancora sviluppato il
linguaggio per i quali vi è la Pediatric Glasgow Coma Scale.
13
Secondo il protocollo dell’azienda ospedaliera O.I.R.M. di Torino, vedi allegato n°1.
31
Il primo passo consiste nel riequilibrio della chetoacidosi, con un infusione
endovenosa di soluzione fisiologica (SEEP)per correggere la glicemia e reidratare,
bisogna poi correggere lo squilibrio elettrolitico, correggere l’acidosi, arrestare la
chetogenesi e monitorare la prevenzione delle complicanze quali: edema cerebrale (il
più importante), valutare anche se presenta cefalea, vomito, ipertensione, bradicardia,
variazioni dello stato neurologico (tramite l’utilizzo della GCS), ad esempio se
presenta agitazione, irritabilità, incontinenza e sonnolenza, se presenta alterazioni
della temperatura corporea e convulsioni fino al rischio di arresto respiratorio. (10)
Scoprire all’improvviso che il proprio figlio soffre di diabete costituisce un evento
traumatico nella storia di una famiglia e rende necessaria una riorganizzazione della
gestione familiare con continue e pesanti interferenze nella vita del paziente:
insistenti attenzioni dei genitori sul bambino per monitorare l’andamento metabolico
con i ripetuti interventi terapeutici quotidiani.
Durante i primi giorni si manifestano prevalentemente emozioni confuse,
caratterizzate da ansietà, incredulità e stordimento; alcuni genitori possono
sperimentare uno stato di continua tensione e preoccupazione, altri manifestano
sintomi depressivi. È importante che in base alla propria competenza tecnica il team
diabetologico assuma un ruolo di supporto, osservando ed ascoltando i genitori,
rendendoli liberi di potersi sfogare e di poter chiedere per qualsiasi dubbio.
Al momento dell’esordio della malattia diabetica, le reazioni più frequentemente
riscontrate nei bambini e nei loro genitori sono:
•
La ferita narcisistica: il bambino malato ed i suoi genitori vivono la malattia
come una minaccia della propria integrità ed una ferita del sentimento di
salute ed onnipotenza. La malattia rappresenta un’esperienza di perdita per i
genitori e per il figlio, un attacco al senso di onnipotenza della madre nel
soddisfare tutte le esigenze del figlio prima di tutto la necessità di essere
riparato dagli eventi negativi. Nei genitori si sviluppano forti sensi di colpa e
responsabilità, perché essi vivono la malattia del figlio come una punizione o
come una prova della loro presunta inadeguatezza. Il potenziale disagio
psichico è connesso anche con l’età del bambino al momento dell’esordio
diabetico. La percezione della gravità e della cronicità della malattia è infatti
32
connessa con lo sviluppo dell’organizzazione mentale spazio-temporale e
quindi della capacità prospettica e progettuale.
•
La reazione depressiva: la ferita narcisistica induce sentimenti di angoscia ed
inadeguatezza di tipo depressivo. Queste reazioni sono più facilmente
osservabili nei genitori. Spesso essi lamentano una perdita del gusto della
vita, si vergognano inconsapevolmente della condizione di malattia del figlio,
sentono gravemente le limitazioni di vita connesse con la conduzione della
malattia, amplificano le possibili complicanze future del diabete. Nei bambini
si possono osservare sia un calo della prestazione scolastica, una maggiore
irritabilità generalizzata, oppure l’insorgere di atteggiamenti regressivi, come
il dormire nel letto dei genitori.
•
L’atteggiamento di rifiuto e negazione: molti soggetti negano lo stato di
malattia e banalizzano o trascurano la terapia quotidiana. L’apparente
tranquillità del paziente lascia credere ad una completa padronanza della
situazione, ma può invece nascondere profonde angosce depressive.
•
L’atteggiamento dipendente: il bambino dipende dai genitori in tutto, quindi
anche nella gestione della sua malattia. Intorno ai circa 10-11anni egli
acquista invece la possibilità di un buon livello di autonomia, poiché è in
grado di svolgere da solo la prassi dei controlli clinici e della terapia. Da
questo momento i genitori dovrebbero assumere un ruolo di supervisione, non
più direttamente esecutivo. Nei casi in cui gli adulti non riescono a tollerare il
raggiungimento dell’autonomia del proprio figlio, i bambini tendono a
diventare passivi e dipendenti, sia nella malattia sia in altre aree
comportamentali.
•
L’atteggiamento perfezionista: consiste in un atteggiamento eccessivamente
preciso, ordinato, scrupoloso, nel seguire le indicazioni terapeutiche. Il
diabete viene curato in modo ossessivo, non lasciando niente al caso.
L’angoscia del paziente è contenuta dai rituali intorno alla malattia.
Nella crisi familiare legata all’esordio diabetico sono inevitabilmente coinvolti anche
i fratelli, i quali possono percepire i genitori lontani affettivamente, in quanto troppo
preoccupati ed ansiosi per il figlio malato. Spesso si osservano comportamenti che
33
denotano aggressività, gelosia, o sensi di colpa nel fratello che si sente ingiustamente
sano. L’atteggiamento iperprotettivo che hanno i genitori verso il figlio diabetico
costituisce un fattore aggravante per il normale sviluppo psicologico del bambino:
esso provoca spesso una condizione di immaturità affettiva ed un difficile
raggiungimento dell’autonomia dalle figure genitoriali ed il sentimento d’identità
personale.
Anderson (1980, 1981 e 1984) ha preso in esame tre gruppi di adolescenti con un
controllo metabolico buono, discreto, scarso. Dal confronto è emerso che gli
adolescenti con un adeguato controllo erano incoraggiati dai genitori ad essere
maggiormente indipendenti, nelle loro famiglie erano presenti meno conflitti, erano
meno ansiosi ed avevano una immagine di sé migliore.(10)
Gli studi condotti da Minuchin (1980) hanno dato il maggior contributo allo studio
delle famiglie con pazienti diabetici. Le caratteristiche che l’autore ha riscontrato
nella maggior parte delle famiglie con sintomi psicosomatici sono: l’iperprotettività,
rigidità, e non risoluzione dei conflitti.(11)
Per questo nella fase dell’esordio, durante il ricovero ospedaliero, vengono presi
contatti con i genitori e viene effettuata un’osservazione clinica del bambino. Si
raccolgono informazioni da utilizzare per formulare una prima ipotesi sulle
dinamiche interattive ed affettive della famiglia, e si individuano le potenziali risorse
auto-terapeutiche del sistema familiare. Si offre un intervento di sostegno psicologico
alla sofferenza emotiva, mettendo a disposizione uno spazio riservato al genitore che
gli possa consentire di esprimere il proprio disagio, solitamente represso per tutelare
il figlio. Per il protagonista della vicenda, invece, viene proposto un intervento
mirato a fornire una spiegazione comprensibile della sua malattia, con linguaggio e
strategie comunicative adeguate all’età. Lo psicologo integra le spiegazioni fornite
dal medico e dai genitori al bambino, favorendo la comunicazione diretta sulla
malattia ed aiutando i genitori a calibrare la comunicazione con il figlio.
34
2.2 EDUCAZIONE AL PAZIENTE DIABETICO PER L’AUTOGESTIONE E
L’AUTOCONTROLLO
“L’educazione terapeutica dovrebbe permettere ai pazienti di acquisire e di
conservare le capacità e competenze che li aiutano a vivere in maniera ottimale la
loro vita con la malattia. Si tratta quindi di un processo permanente integrato alle
cure e centrato sul paziente. L’educazione implica attività organizzate di
sensibilizzazione, d’informazione, di apprendimento dell’autogestione, di sostegno
psicologico riguardo la malattia, il trattamento prescritto, le cure, il quadro
ospedaliero, le informazioni relative all’organizzazione e i comportamenti di salute e
di malattia. Essa mira ad aiutare i pazienti e le loro famiglie a comprendere la
malattia e il trattamento, a collaborare con i curanti, a vivere in maniera più sana e a
conservare o migliorare la qualità della loro vita”.(12)
L’autocontrollo è una pratica che fornisce al paziente ed alla famiglia un adeguato
compenso ed una miglior conoscenza della malattia, questo può risultare utile,
vantaggioso e necessario per tutti gli attori dell’assistenza:
• deve essere percepito come utile dal diabetico stesso;
• deve essere inserito in un programma di assistenza e cura;
• deve essere educato, cosciente e proporzionato agli obiettivi;
• non può prescindere da un programma di educazione terapeutica
• deve ridurre e non aumentare l’ansia e la depressione, deve migliorare la qualità di
vita del diabetico;
• i programmi di autocontrollo devono essere compatibili con le risorse disponibili.
Tali concetti sono riassunti anche nel documento ufficiale dell’American Diabetes
Association (Consensus statement on Self Monitoring of Blood Glucose) che
definisce l’autocontrollo come un mezzo per raggiungere un obiettivo prestabilito
piuttosto che un obiettivo di per sé. Ribadisce inoltre che l’autocontrollo è di utilità
limitata se non è inserito in un programma integrato di trattamento e che i pazienti
devono essere messi in grado di impararne l’uso appropriato, essere motivati e
rassicurati con misure accurate ed orientati, assieme al personale sanitario, a
modificare in modo costruttivo i piani di cura in risposta al feed-back.
35
Il team (infermiere pediatrico, medico, psicologo e dietista) dovrà dedicare del tempo
alla famiglia per elargire una buona educazione sanitaria, con l’obiettivo di portare i
genitori e il bambino ad una completa autogestione. È importante che le nozioni
siano comprese sia dal bambino che dai care-giver per favorire una maggiore
compliance e minimizzare il rischio di errori.
L’intervento di educazione comprende tutto ciò che bisogna sapere sulla patologia:
•
Spiegazione della diagnosi e sue cause.
•
Terapia insulinica specificando: tipi d’insulina e conservazione, scelta dello
strumento, tecnica dell’iniezione, sedi e motivazioni, complicanze.
•
Autocontrollo domiciliare: auto-monitorizzazione della glicemia, della
glicosuria e della chetonemia che rendono il bambino capace di gestire la
patologia permettendo la riduzione delle complicanze a carico degli organi
bersaglio e garantendo l’autosufficienza al bambino stesso.
•
Esercizio fisico: deve essere regolare, scelto liberamente e bisogna fare
particolare attenzione alla sede di iniezione.
•
Prevenzione e trattamento dell’ipoglicemia dell’iperglicemia e delle altre
complicanze acute e croniche.
•
Educazione alimentare con un eventuale incontro con il dietista.
•
Invitare i genitori a rivolgersi ad un’associazione per diabetici così da
favorire un incontro con altri bambini con la stessa patologia.
•
Un punto di importanza rilevante è la legge n. 115/87 art.3 che sancisce che
ogni paziente affetto da diabete deve esigere presidi sanitari e terapeutici
gratuiti.
2.3
ASSISTENZA NELLA FASE DI FOLLOW UP
Nella fase di stabilizzazione della malattia, i contatti con la famiglia avvengono
attraverso i periodici ricoveri in Day Hospital o visite ambulatoriali. Viene allora
effettuata una valutazione psicodiagnostica del bambino, al fine di individuare il
profilo di personalità e l’eventuale compresenza di problematiche psicopatologiche.
Vengono inoltre proposti protocolli d’indagine, utilizzati in campo nazionale, che
includono anche la valutazione dei genitori.
36
Nella fase di adattamento alla malattia cronica l’obbiettivo del Pediatra e dello
Psicologo è il sostegno e la compliance al trattamento, sapendo che attraverso un
buon controllo metabolico si contengono le possibili complicanze diabetiche e si
ottimizzano i livelli terapeutici dell’insulina. L’istruzione ha un ruolo fondamentale e
l’ultimo atto di questo processo è rappresentato dal cambio della dose insulinica da
parte del paziente stesso, sulla base delle informazioni che gli giungono dai test
glicemici e urinari. Bisogna inoltre che siano chiari quali sono gli obbiettivi della
terapia del diabete: ottenere un buon controllo glicemico, affrontare la vita con
autostima, svilupparsi e crescere regolarmente facendo le stesse attività dei coetanei.
La conoscenza della malattia e l’educazione all’autogestione rappresentano il punto
di partenza nella cura del diabete. Educare all’autocontrollo significa fornire al
ragazzo diabetico, e ai genitori dei bambini più piccoli, gli strumenti necessari per
affrontare senza incertezze le prove che il diabete ti propone sia nella vita quotidiana
che in situazioni particolari. L’istruzione teorica e l’addestramento agli aspetti pratici
vengono impartiti dai medici, dagli infermieri e dalla dietista durante il ricovero in
ospedale, i controlli ambulatoriali e talvolta in riunioni organizzate a questo scopo,
anche con la collaborazione delle associazioni dei pazienti diabetici e delle loro
famiglie. Un’iniziativa particolarmente interessante per i ragazzi diabetici è
rappresentata dai campi scuola molto utili per affrontare i problemi, più
frequentemente osservati nei bambini sono la "fobia del buco" e dei controlli medici,
nonché la difficoltà a far rispettare il regime dietetico.(13)
2.4
CAMPI SCUOLA
I campi scuola sono soggiorni di istruzione all’autogestione in cui i ragazzi diabetici,
senza i genitori, trascorrono un periodo (una o due settimane) assieme a medici,
infermieri, dietista ed animatori del tempo libero; vengono organizzati in località di
vacanza che offrono anche la possibilità di praticare varie attività sportive.
In questa occasione, oltre ad approfondire aspetti teorici della cura del diabete, è
possibile discutere con i medici le modalità di comportamento durante l’attività
sportiva, le escursioni o situazioni particolari. Anche il confronto con altri ragazzi
diabetici può fornire utili spunti e soluzioni sui problemi posti dal diabete.
37
Il primo fu nel 1925, realizzato da Wendt a Detroit; ma il vero primo premonitore di
un campo è stata l’esperienza di Elisabeth Devine, infermiera diplomata della Joslin
Clinic, quando ospitò nella sua casa di vacanza un ragazzo diabetico (1925).
Successivamente nel 1953 Lestradet e Francois realizzarono in Francia la prima
esperienza europea e in Italia arrivarono nel 1973 a Trieste e a Torino. (14)
38
CAPITOLO III:
3.1
IL MICROINFUSORE
COS’È IL MICROINFUSORE
“Il microinfusore o pompa di insulina è un piccolo strumento programmabile nel
quale un motore alimentato da una batteria infonde
insulina (basale) in minime quantità in maniera
continua e in quantità più grandi dette ‘boli’ in
occasione dei pasti, attraverso un set di infusione
che consiste in un catetere lungo e flessibile
Pompa d’insulina
Figura n°4
terminante con una cannula inserita sottocute. Il
paziente
che
lo
utilizza
programma
il
microinfusore e gli fornisce istruzioni per ottenere dosi di insulina coerenti con le sue
esigenze”
La terapia con microinfusore nasce negli anni Sessanta, ma i primi apparecchi per
l'infusione, poiché di grandi dimensioni e difficilmente indossabili, rendevano la
somministrazione di insulina molto rudimentale e permettevano nella maggior parte
dei casi una sola velocità di infusione basale che risultava complessa da gestire. Per
questo venne presto abbandonata a favore di altri tipi di somministrazione più pratici,
e per molti anni la terapia più all’avanguardia fu la multiniettiva tramite siringhe o
penne da insulina.
All'inizio degli anni Novanta venne, però, dimostrato come il controllo glicemico ha
un ruolo fondamentale nella prevenzione delle complicanze croniche legate al
diabete
(retinopatia,
nefropatia,
neuropatia,
piede
diabetico
e
malattie
cardiovascolari) e la terapia con microinfusore tornò di grande attualità: da quel
momento sono stati studiati e sviluppati microinfusori di dimensioni sempre più
ridotte e meglio gestibili, e la somministrazione di insulina è stata sempre più precisa
e modulabile.
Il microinfusore è in grado di somministrare insulina nel tessuto sottocutaneo con un
infusione basale continua, indispensabile per mantenere normali i valori della
glicemia nel periodo di digiuno, e con un’infusione di boli rapidi, cioè con una
somministrazione insulinica regolata e attivata direttamente dal paziente, in base alle
esigenze del momento (pasto o valori glicemici troppo elevati).
39
Ma ciò che ha reso questi strumenti ottimali, è la possibilità di infondere insulina in
maniera continua con la possibilità di variare la velocità di infusione durante la
giornata, di ora in ora, secondo le necessità dell’individuo, riproducendo, così, in
modo più preciso la presenza fisiologica dell’ormone naturale nel corpo che varia
nell'arco della giornata.
Oggi ne esistono di diversi modelli e i più recenti sono dei veri e propri computer, in
grado di emettere segnali acustici in caso di problemi tecnici di funzionamento (per
esempio occlusione del set di erogazione oppure batteria scarica). Il funzionamento è
garantito da una batteria che consente un'autonomia variabile da due settimane a due
mesi. Grazie all'azione di un motore interno e di un set d'infusione, l'insulina
contenuta in un'apposita cartuccia viene iniettata nel tessuto sottocutaneo.
Il set di infusione si compone di un piccolo ago cannula di plastica collocato
sottocute e collegato ad un tubicino flessibile, anch’esso in materiale plastico. Ogni
due-tre giorni il set deve essere sostituito per evitare infezioni nel sito di infusione e
il suo inserimento è facilitato dall'uso di un ago introduttore. Le sedi in cui si
posiziona la cannula equivalgono alle sedi usate per la terapia multiniettiva: gli arti
superiori e inferiori, l’addome e i glutei, facendo attenzione a ruotare le sedi di
inserzione per evitare la formazione di lipodistrofie locali.
Alcuni microinfusori possono anche essere integrati con sistemi di monitoraggio
continuo della glicemia, per un controllo dei valori glicemici ancora più precisi. Si
tratta di sistemi all’avanguardia costituiti da un sensore adeso alla cute che rileva la
glicemia con una costanza di cinque minuti e invia i dati tramite bluetooth
direttamente al microinfusore così che questo, tramite un segnale acustico avvisa il
paziente quando la glicemia non è entro il target voluto.
3.2
VANTAGGI E SVANTAGGI
Vantaggi.
Il microinfusore consente di infondere insulina a velocità variabile durante la
giornata permettendo di creare un dose insulinica il più aderente possibile alle reali
esigenze di ogni singolo individuo nei diversi momenti della sua vita quotidiana.
Questo comporta da un lato la possibilità di controllare in maniera più precisa la
40
glicemia nelle diverse fasi della giornata, migliorando il controllo metabolico globale
(con conseguente riduzione dei livelli di emoglobina glicata) e dall'altro, di poter
infondere insulina a velocità variabile riducendo il rischio di ipoglicemia poiché si
infonde minor quantità di insulina in quei momenti della giornata dove il fabbisogno
è minimo. Inoltre i microinfusori utilizzano un solo tipo di insulina sia per i boli che
per l'infusione basale e attualmente nella quasi totalità dei casi vengono impiegati
analoghi rapidi dell'insulina, la cui azione è più veloce e più breve dell'insulina
tradizionale (regolare umana). Questo fa sì che, in caso di ipoglicemia, la riduzione o
sospensione dell'insulina porti a una rapida cessazione degli effetti della terapia
stessa riducendo il rischio di un aggravarsi della situazione cercando, quindi, di
evitare un’ipoglicemia severa e permettendo un più rapido ritorno a valori glicemici
normali.
La terapia multiniettiva richiede una iniezione ogni volta che c'è necessità di
insulina: generalmente 3 iniezioni di insulina rapida per coprire i pasti e una di
insulina a lunga durata di azione per coprire i periodi di digiuno. Se durante la
giornata si scoprono valori troppo alti o se il soggetto desidera mangiare oltre i pasti
regolari, come ad esempio la merenda, per poter mantenere buoni valori glicemici è
necessario aggiungere ulteriori iniezioni, arrivando quindi anche a un numero globale
di 6-7 o più iniezioni quotidiane. Fatto che non sussiste con terapia con
microinfusore che consente uno stile di vita flessibile.
L'apparecchio, inoltre, è particolarmente indicato nei pazienti che presentano una
ipersensibilità rispetto all'insulina, poiché consente di somministrare la quantità di
ormone necessaria in frazioni più piccole e meglio tollerate.
Il microinfusore è ottimo per il controllo del fenomeno alba (è un fenomeno
fisiologico per lo più presente nei pre-adolescenti e negli adolescenti, in cui vi è un
rialzo dei valori glicemici intorno alle 4.00-5.00 del mattino); modificando la terapia
basale si è facilitati a mantenere i valori di glicemia entro i target voluti. È utile per
migliorare la gestione della glicemia nei pazienti con gastroparesi (paralisi o anomala
peristalsi intestinale) permettendo di suddividere il bolo in due parti o di sostituirlo
con un aumento temporaneo della basale, così anche in caso di malattie quali le
gastroenteriti. Aumenta la flessibilità nella vita quotidiana, consentendo al paziente
41
di mangiare quando desidera eseguendo un rapido bolo di insulina, invece di
adeguare l’assunzione di cibo ai picchi di azione previsti dallo schema insulinico
seguendo la terapia multiniettiva, in cui si è molto più legati a degli orari fissi.
Aumenta il benessere e migliora la qualità di vita del paziente offrendo la libertà
necessaria per far fronte, a scuola, a lavoro, nell’esercizio fisico e nel tempo libero a
imprevisti e a variazione d’orari.
Svantaggi.
La terapia con microinfusore comporta per il team un impegno nell’educazione e
nello sviluppo di capacità da parte del paziente. Inizialmente nella gestione e, ancora
prima, nell’accompagnare il paziente e i care-giver (le persone che se ne prendono
cura) che stanno valutando la terapia con microinfusore per quanto riguarda la
decisione finale, che spetta al paziente stesso. Il paziente e i care-giver devono
conoscere il calcolo dei carboidrati, devono saper adeguare le dosi di insulina
all’introito di carboidrati e alla sua insulinizzazione basale; inoltre devono conoscere
l’utilizzo di tutti i comandi dell’apparecchio; devono sapere come si riempie la
cartuccia e come -quando si cambia il set d’infusione.
Nelle prime settimane dopo l’inserimento, è necessario un follow-up intensivo che
include un diario dettagliato delle glicemie, dei boli di insulina praticati,
dell’esercizio fisico sostenuto e dei carboidrati assunti. Per quanto riguarda il
paziente pediatrico un ulteriore impegno va chiesto anche ai genitori e ai care-giver.
Inoltre bisogna effettuare quattro controlli della glicemia giornalieri, aggiungendo,
almeno nelle prime settimane, ulteriori determinazioni tra i pasti e durante il sonno,
prima e dopo l’esercizio fisico, durante la malattia e le fasi di stress. Boli e variazioni
al profilo basale vanno calcolati per adeguarsi all’assunzione di cibo, per anticipare
l’esercizio fisico e per correggere la glicemia.
Ci possono essere delle ipoglicemie che possono manifestarsi se le basali non sono
definite correttamente, se il paziente erra nei calcoli e infonde un bolo di insulina
eccessivo o non prevede l’effettuazione di esercizio fisico: saper gestire queste
situazioni è molto importante. Al contrario si può andare incontro a iperglicemie
impreviste nel caso in cui il paziente erra nei calcoli o imposta erroneamente boli e
basale. Anche i rari guasti del microinfusore e le occasionali occlusioni nel sito di
42
infusione possono sfociare in una iperglicemia, riducendo o impedendo l’infusione di
insulina.
Una errata impostazione della basale o un malfunzionamento del microinfusore
possono portare alla totale o parziale interruzione dell’infusione di insulina. Dato che
le pompe utilizzano solo insuline ultrarapide, il paziente non gode di una riserva
disponibile in caso di iperglicemia e, quindi, la formazione di chetoni (la quale
avviene quando la glicemia supera i 250 mg/dl) è molto più probabile e rapida per
questo può trovarsi molto rapidamente in chetoacidosi. Studi effettuati negli anni ’90
evidenziano una non maggiore frequenza di episodi di chetoacidosi fra gli utilizzatori
di microinfusore.
Inoltre i pazienti con la cute sensibile possono sviluppare arrossamenti, gonfiore,
pruriti o eruzioni cutanee nel sito di infusione a causa del cerotto o dello strato
adesivo del set di infusione. Chi suda molto o fa sport in acqua può avere problemi
nel mantenere il set aderente alla pelle.
Vi possono essere inoltre delle infezioni al sito di infusione sono causate da una
tecnica di inserimento approssimativa o da una ritardata sostituzione del set di
infusione.
Come ultimo ma non meno importante rimane la questione di come indossare il
microinfusore. Questo pesa circa un etto e ha le dimensioni di un cellulare, ma
indossarlo mantenendo la necessaria privacy richiede una certa attenzione.
Nonostante offra flessibilità negli stili di vita, molte persone possono trovare
spiacevole o intollerante l’idea di essere collegati 24h su 24 ad un oggetto. Il
microinfusore può essere assicurato alla cintura con un fermaglio, con una custodia o
con una clip ai passanti dei pantaloni; alcune persone preferiscono tenerlo nelle
tasche, mentre altri preferiscono indossarlo discretamente sotto gli indumenti.
Intimità, doccia o bagno, esercizio fisico e sport di contatto creano ulteriori sfide al
paziente che usa il microinfusore, spetta ad ognuno la decisione di sospendere
l’infusione e disconnetterlo o tenerlo in sede. Un paziente motivato e ben formato
può far fronte a tutti gli svantaggi che anche la terapia con microinfusore può avere.
43
3.3
ISTRUZIONE AI PAZIENTI E AI CARE-GIVER
Molti pazienti trovano il microinfusore un’ottima risorsa e non potrebbero farne a
meno, ma non tutti. Alcuni devono superare degli ostacoli prima che esso divenga
una risorsa per la loro salute, altri semplicemente non hanno l’interesse o le capacità
per impadronirsi di questa terapia, per questo la persona con diabete e la sua famiglia
devono condividere appieno questa decisione.
L’educazione al paziente può essere suddivisa in tre fasi: la formazione precedente
all’inserimento, la fase di inserimento e la gestione del follow-up.
La formazione preliminare si svolge normalmente nell’arco di alcune settimane, con
visite di durata minima di 1-3 ore; la fase di inserimento consiste in un incontro di 23 ore e la fase di follow-up può durare da qualche settimana a qualche mese.
1. Formazione precedente all’inserimento
Una volta che il paziente ha deciso di passare alla terapia con microinfusore occorre
definire insieme al team degli obiettivi appropriati in termini di glicemia e di
emoglobina glicata. È da sottolineare che la nuova terapia non garantisce
automaticamente un miglioramento del controllo, ma rende più facile il
raggiungimento del controllo glicemico offrendo flessibilità alla vita quotidiana. È il
paziente responsabile del suo miglioramento. Bisogna ricordargli quanto è
importante tenere dei diari dettagliati sia nella fase preliminare sia in un periodo che
va da uno a quattro mesi dall’inserimento; bisogna effettuare frequenti controlli della
glicemia prima e dopo il pasto e durante la notte (verso le 3.00). nel diario bisogna
segnare l’apporto alimentare, cioè i grammi di carboidrati assunti; la dose di insulina
sia basale che a boli; l’esercizio fisico praticato (l’ora, la durata e l’intensità); lo
stress percepito; le malattie avute; e bisogna segnalare il ciclo mestruale. Rassicurare
il paziente che con l’impegno e il tempo necessari si potranno raggiungere gli
obiettivi prefissati.
2. Fase di inserimento
Una sessione di educazione al microinfusore varia dalle 2 alle 3 ore e richiede la
completa attenzione sia del paziente che dei genitori. Può avvenire in ambulatorio,
nello studio del diabetologo oppure nella casa del paziente (previo accordo con il
44
diabetologo, il rappresentante del microinfusore può tenere il suo intervento
direttamente a casa del paziente).
Il diabetologo tende a far dimezzare le unità di insulina lenta del giorno prima così da
iniziare la nuova terapia in mattinata; il paziente e i care-giver si devono presentare
con il lettore della glicemia e il diario glicemico compilato. Nel corso di questa
seduta è opportuno ripassare i problemi che si potrebbero creare con il microinfusore,
con il set o con il sito di infusione e si deve educare il paziente a identificarli e a
risolverli . Inoltre verranno forniti i contatti col rappresentante del microinfusore e il
numero del servizio clienti per l’assistenza tecnica.
Il diabetologo definisce il profilo basale iniziale, il rapporto insulina-carboidrati e il
fattore di sensibilità insulinica14 e fornisce istruzioni sulla frequenza e gli orari delle
autodeterminazioni glicemiche.
Alla fine della fase preparatoria, il paziente è pronto per inserire il microinfusore
nella sua vita quotidiana, quindi con l’ausilio del rappresentante della ditta
produttrice imposta, prepara e indossa lo strumento. Restano da spiegare semplici
regole che il paziente dovrà attuare per le prime settimane:
1
Controllare la glicemia 6 volte al giorno (3.00 del mattino, prima di ogni pasto e
prima di andare a letto) e annotare tutti i valori. È utile controllare i livelli di
glicemia anche dopo i pasti e una volta controllato l’effetto alba il controllo delle
3.00 del mattino non è più necessario.
2. Registrare i grammi di carboidrati assunti per valutare se i boli per i pasti sono
adeguati.
3. Non assumere alcol, cibi ad alto contenuto di grassi (pizza, dolci, snack) o cibi di
cui non si fa uso abitualmente.
4. Evitare l’esercizio fisico moderato e intenso.
5. Registrare tutti i boli (dei pasti e di correzione).
6. Annotare ogni fatto inaspettato o inusuale che potrebbe aver influenzato la
glicemia (stress o malattia).
7. Tenersi in contatto con il team, chiedere appuntamento se ne si ha la necessità.
14
Si tratta di un valore che indica quanto un’ unità di insulina può abbassare la glicemia, si calcola
tramite la così detta regola del 1800, spiegata nel capitolo 3.3.1.
45
3. Follow-up
È necessario chiedere al paziente delle scadenze regolari in cui incontrarsi e valutare
il controllo glicemico, le dosi di insulina e l’utilizzo delle opzioni offerte dal
microinfusore.
La terapia è davvero personalizzata quando: sia gli schemi basali, sia i boli preprandiali e quelli di correzione ottengono il risultato di mantenere la glicemia negli
obiettivi prefissati. La gestione della terapia richiede la definizione e la valutazione
di eventuali modifiche al profilo basale, al rapporto insulina-carboidrati e al fattore di
sensibilità insulinica. Spiegare sempre al paziente perché si attuano le variazioni
terapeutiche, ciò lo aiuterà a comprendere i fondamenti della terapia, si aumenterà la
fiducia nelle sue capacità di identificare i problemi e di sviluppare appropriate
capacità di autogestione. Una volta che l’insulina basale e i boli sono stati
determinati, il team e il paziente possono continuare a personalizzare la terapia
stabilendo una pluralità di schemi basali adatti ad ogni occasione, così come la scelta
di boli che cambia in base alle occasioni. Oltre al bolo standard esisteno il bolo
prolungato e il bolo multiwave detto anche a onda doppia o combo bolo che si
utilizza per i pasti prolungati o per cibi a lunga digestione con alti contenuti di CHO
e grassi, come ad esempio la pizza; una parte di bolo viene somministrata
immediatamente e l’altra parte viene distribuita in un periodo di tempo prolungato
scelto dal paziente. Il bolo prolungato o bolo a onda quadra, invece, consente di
somministrare l’insulina in un arco di tempo prefissato; è particolarmente utile per i
pasti prolungati con pause tra una portata e l’altra, come matrimoni, battesimi o feste
(esempio: invece di somministrare subito 12 unità se ne possono somministrare 3 per
ogni ora nell’arco di 4 ore).
3.3.1 Calcolo Dei Carboidrati
Per la terapia con microinfusore è essenziale che il paziente e i genitori siano ben
educati sul conteggio dei carboidrati (CHO). Il rapporto insulina-carboidrati dipende
dalla sensibilità specifica del paziente all’insulina. Nella gran parte delle persone la
sensibilità all’insulina cambia nell’arco della giornata. Esiste una semplice regola che
aiuta a calcolare il rapporto carboidrati-insulina, la regola del 500. Questa è una
46
regola empirica basata sul rapporto tra la dose totale di insulina giornaliera e il
numero 500 il cui risultato definisce la quantità di CHO che una unità di insulina
rapida può assimilare per mantenere la glicemia nel target voluto. Un’altra regola
molto importante è la regola del 1800; si riferisce ad una costante che esprime la
relazione tra la dimensione del corpo e l’azione dell’insulina. Dividendo la dose di
insulina totale giornaliera per 1800 si ottiene il fattore di sensibilità insulinica (FSI),
cioè la quantità di glucosio, in mg/dl, ridotta da un’unità di insulina rapida nell’arco
di 2/4 ore. Mantenendo dei diari dettagliati con i dati della glicemia pre e postprandiale, i carboidrati assunti e le dosi di insulina, si ottengono utili informazioni
per definire meglio il rapporto insulina-carboidrati. Alcuni pazienti avranno bisogno
di differenti rapporti insulina-carboidrati da applicare alle diverse fasce orarie ma è
meglio determinarle una volta che il profilo basale è stato attentamente designato e
personalizzato.
Esistono appositi diari in cui un’illustrazione della pietanza associata al peso in
grammi (gr)
esprime la quantità di CHO in essa contenuta. Il calcolo risulta
semplice: una volta che si capisce quanti CHO sono contenuti in quel dato alimento,
si dividono per il rapporto insulina-carboidrati ed il risultato equivale alle unità di
insulina rapida che bisogna fare per coprire quel pasto e avere una glicemia entro il
target prefissato a due ore dal pasto.
3.3.2.
L’attività Fisica
La messa a punto del profilo basale e dei boli prandiali può richiedere diversi mesi ,
fino a quando questi non sono personalizzati, il paziente dovrebbe astenersi
dall’esercizio fisico, a seconda del tipo, dell’ intensità e della durata, può ridurre i
livelli di glicemia anche per trentasei ore; inoltre lo sport può influire sulla
secrezione di ormoni dello stress: glucagone, cortisolo, epinefrina, con un
conseguente aumento della glicemia. Per la messa a punto del profilo per l’attività
sportiva sono necessari i diari dettagliati con misurazioni glicemiche prima, durante e
dopo l’attività fisica e annotazioni sull’introito di CHO e sulle dosi di insulina.
In genere è meglio iniziare l’attività quando la glicemia è compresa tra i 100 e i 150
mg/dl; il microinfusore permette di modificare le basali prima, durante e dopo
l’attività così da stabilizzare e controllare meglio la glicemia. La basale andrebbe
47
ridotta almeno 30 minuti prima di iniziare l’attività e andrebbe tenuta ridotta durante
l’attività e anche dopo. Uno sforzo moderato o limitato richiede una riduzione del
10-30% nella dose basale e in alcuni casi per prevenire l’ipoglicemia converrebbe
assumere dei CHO prima di iniziare. La gran parte delle attività sportive può essere
praticata tenendo il microinfusore in sede, assicurandolo ad apposite custodie; nel
corso, invece, di sport da contatto o per esercizi prolungati ,il microinfusore viene
generalmente rimosso. Un set di infusione staccabile, rende facile questa operazione:
set e catetere si sigillano con appositi cappucci da applicare sia all’estremità del
catetere sia alla base del set di infusione (si consiglia di non restare staccati per più di
un’ora, poiché si utilizzano insuline ad azione rapida); se è necessario si potrà fare un
bolo di insulina per sopperire. (2,14, 15, 16, 17, 18)
48
CAPITOLO IV:
OBIETTIVI, MATERIALI E METODI
L’interesse per la patologia diabetica nasce da esperienze personali derivanti dalla
partecipazione ai campi-scuola per bambini diabetici, come tirocinante in
infermieristica pediatrica, predisposti dall’associazione JADA (Associazione
Diabetici Alessandria Junior), che, ogni anno, organizza settimane di vacanza/studio
per gruppi di bambini provenienti da diversi centri del Piemonte.
4.1
OBIETTIVO DELLO STUDIO
L’obiettivo primario di questo studio riguarda l’assistenza e l’educazione del
bambino diabetico presso una realtà extra ed intra-ospedaliera. In particolare, oggetto
del mio studio è la realizzazione di un intervento educativo-formativo all’uso del
microinfusore in tutte le sue potenzialità al fine di fornire una sempre più adeguata
assistenza a questi piccoli pazienti .
4.2
POPOLAZIONE DI INDAGINE
Il campo scuola della diabetologia pediatrica della regione Piemonte
Il campo scuola dei ragazzi diabetici afferenti al servizio di diabetologia dell’area
Pediatrica del Piemonte si è tenuto a Caldirola (AL) dal 16/06/2012 al 23/06/2012 ed
è stato organizzato dal gruppo JADA in collaborazione con l’Ospedaletto Infantile
Cesare Arrigo di Alessandria, l’Ospedale Maggiore della Carità di Novara,
l’Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino e l’Ospedale Santa Croce di
Cuneo.
I ragazzi sono stati divisi in due gruppi: il primo, gruppo small, composto da 30
bambini dai 7 ai 12 anni, e il secondo, gruppo junior, composto da 14 ragazzi tra i 13
e i 18 anni.
Questo soggiorno ha diverse finalità: di tipo medico-terapeutico, educativo,
psicologico e sociale; infatti le diverse figure presenti ai campo-scuola ricoprono
tutte le aree delle finalità che sono scopo del miglioramento della vita del bambino e
della sua famiglia.
Oltre alla presenza di medici pediatri diabetologi e infermieri, che si occupano della
parte medico-terapeutica ed educazionale: si impegnano nel migliorare la terapia del
49
bambino/ragazzo e nell’educarlo all’autogestione e all’autocontrollo, sia per quanto
riguarda le tecniche strettamente manuali (iniezione, cambio set, misurarsi la
glicemia ecc.) sia per quanto riguarda la parte più teorica della terapia ( saper
calcolare le unità da somministrare in base al calcolo dei carboidrati,saper calcolare
ogni possibile variabile e sapere quando intervenire e come intervenire in ogni
occasione ecc.); vi è la presenza di dietisti che sono la parte fondamentale per
l’educazione alimentare, uno dei tre cardini per un ottimo controllo e gestione della
malattia. Gli psicologi, a disposizione 24 ore su 24 per tutti i bambini e ragazzi del
campo, organizzano attività per aiutare i partecipanti a far uscire tutti i loro problemi
e il loro io. E infine, parte fondamentale dell’equipe, formante ciò che da vita ad una
grande esperienza, sono gli educatori e gli animatori che si occupano delle attività
dei ragazzi (canto, teatro, ballo, attività di rilassamento e di sfogo, e giochi) sia
programmate che libere e che diventano un po’ gli intrattenitori e le figure di
riferimento per qualsiasi problema di ogni bambino e ragazzo.
In primo luogo il campo scuola ha la finalità di rendere autonomi i ragazzi
nell’autocontrollo e nell’autogestione della patologia. Per autocontrollo si intendono
le pratiche di automonitoraggio della glicemia, della glicosuria, della chetonemia e
l’auto somministrazione dell’insulina; mentre per autogestione si intende la capacità
del bambino/ragazzo di essere in grado di gestire la sua condizione riuscendo a
regolarizzare le dosi di insulina (basali e boli), le correzioni dell’ipoglicemia in
relazione al calcolo di carboidrati, gestendo in sicurezza tutti gli strumenti che ha in
possesso per poter esprimere tutte le potenzialità terapeutiche; sia con erogazione
continua della terapia insulinica tramite microinfusore, sia tramite terapia multiiniettiva (tutto ciò gli permette di eseguire attività sportive a livello agonistico,
valutare l’inattività ed immobilità, la presenza o meno del ciclo mestruale nelle
ragazze o di un gravidanza,…).
Durante questo soggiorno si cerca di trasferire i concetti di cura al bambino/ragazzo,
perfezionando le tecniche manuali, ed è anche un’occasione per valutare l’efficacia
terapeutica al di fuori dell’ospedale.
Gli obiettivi che si propongono sono: ottenere il miglior controllo glicemico e
metabolico possibile, ridurre la prevalenza di complicanze e far in modo che la
50
malattia interferisca il meno possibile sulla qualità di vita del bambino e della sua
famiglia.
Il metodo per trasmettere le nozioni teoriche è quello diretto tramite lezioni, che
durano all’incirca un’ora, basate su priorità, individuate da specifici questionari
somministrati all’ingresso del campo scuola. Per quanto riguarda, invece, le altre
tematiche si è cercato di rinforzare il saper fare e pensare del bambino/ragazzo in
ogni momento della giornata. Inoltre vengono fatti svolgere delle verifiche di
apprendimento tramite questionari, poster, gare e giornalini.
Per quanto riguarda le finalità psicologiche e sociali il campo scuola rappresenta
un’occasione eccezionale di crescita e maturazione individuale. E’ prioritario, come
obiettivo di questi campi scuola, migliorare la capacità di convivere con la malattia
(il diabete non è invalidante e si può vivere serenamente come qualsiasi altro
bambino), attraverso il confronto con gli altri grazie alla compartecipazione del
proprio vissuto, favorendo così l’autonomia rispetto alla famiglia. Inoltre, per quanto
riguarda i campi scuola organizzati dall’associazione Jada viene ogni anno scelto un
tema conduttore (sempre improntato all’accettazione della malattia), a cui le varie
attività saranno rivolte: attività sportive, ad esempio alpinismo, e ricreative, quali
canto, ballo e teatro (che hanno lo scopo di far conseguire al ragazzo una buona
immagine di sé) e laboratori di manipolazione (allo scopo di potenziare l’abilità
motoria fine).
E’
fondamentale
che
l’équipe
(medici,
infermieri,
educatori)
“pensi” al ragazzo globalmente, considerandone tutti gli aspetti, non solo quelli
medici, ma anche alle dinamiche psicologiche precedentemente descritte nella
reazione alla diagnosi che spesso sono ancora presenti nel paziente. Il
bambino/ragazzo si dovrà impegnare per superare i meccanismi di difesa propri del
bambino e dell’adolescente, come la rimozione, la regressione e la negazione per
poterlo condurre alla conoscenza di sé, con conseguente crescita dell’autonomia, e
degli altri, per integrarlo nel gruppo dei pari.
È altresì importante la disponibilità alla discussione di tematiche proprie dell’età
adolescenziale tra cui vi sono trasformazioni sul piano corporeo e comportamentale,
la maturazione sessuale, lo sviluppo affettivo e quello relazionale del confrontarsi
51
con i coetanei, modificare il rapporto con i genitori e gli adulti in generale il tutto alla
conquista dell'autonomia e creazione dell’identità personale.
È importante educare il bambino diabetico perché: “il paziente diabetico più
informato sulla propria malattia vive più a lungo” (dottor Elliot P. Joslin, 1940 ).
4.3
STRUMENTI DI INDAGINE
Sulla linea organizzativa e strutturata del campo-scuola, lo strumento utilizzato per lo
studio è stato un questionario costruito ad hoc, in quanto non è stato possibile
reperirne uno validato in letteratura. Il questionario (allegato n°2) è presentato da una
nota introduttiva che spiega i motivi di indagine e l’obiettivo dello studio. È
composto da una prima parte in cui si indagano le variabili anagrafiche (sesso, età) e
quelle inerenti la patologia (anno di esordio, partecipazione ad altri campo-scuola e
se sono portatori di microinfusore), nella seconda parte vi sono 12 domande in cui si
esaminano le conoscenze che i bambini/ragazzi hanno riguardo al microinfusore.
Dopo la somministrazione del questionario di sondaggio sulle conoscenze dei
bambini e dei ragazzi, è stato effettuato un intervento di carattere educativoinformativo incentrato sugli argomenti espressi nel questionario che è stato svolto
separatamente per i due gruppi.
Il primo intervento, tenutosi nel salone principale dell’edificio ospitante l’evento per
i bambini dai 7 ai 12 anni, è stato strutturato con l’ausilio di slides precedentemente
preparate, proiettate a muro, per supportare le conoscenze da esporre. È durato 40
minuti circa: il linguaggio, gli esempi e i concetti sono stati improntati all’età degli
interlocutori.
Il secondo intervento, tenutosi in una stanza più informale, con i ragazzi dai 13 ai 18
anni, è stato realizzato con l’ausilio di slide proiettate a muro, la sua durata è stata di
20 minuti circa, utilizzando in questo caso un linguaggio e concetti interattivi. Le
nozioni espresse durante l’intervento sono state organizzate in modo da descrivere e
ampliare tutti quelli presenti all’interno del questionario. Inizialmente è stata
presentata una parte introduttiva che spiegava e descriveva il microinfusore come
strumento per l’autogestione con vantaggi e svantaggi correlati, in seguito sono state
spiegate le diverse modalità di boli possibili (bolo a onda doppia, bolo prolungato e
52
basali) con relativo conteggio dei carboidrati e le accortezze da adottare per l’attività
fisica.
Dopo l’intervento sono stati somministrati nuovamente i questionari per verificare le
conoscenze acquisite dai soggetti, quest’ultimo presentava solo una domanda
aggiuntiva al precedente, in cui veniva chiesto di esprimere un giudizio
sull’intervento tenutosi.
4.4
ANALISI DEI DATI
I dati rilevati dai questionari sono stati trattati separatamente per i due gruppi di
pazienti, mantenendo
l’anonimato e valutando l’esito dell’intervento grazie ai
risultati estratti ed analizzati tramite l’utilizzo del programma Excel, del pacchetto
Office.
53
CAPITOLO V:
RISULTATI
Il campione preso in esame è composto da 30 bambini dai 7 ai 12, facente parte del
gruppo small, e 14 ragazzi dai 13 ai 18 anni, gruppo junior, appartenenti ai centri di
diabetologia dell’ Ospedale Maggiore della Carità di Novara (11), Ospedaletto
Infantile Cesare Arrigo di Alessandria (12), Ospedale Infantile Regina Margherita di
Torino (15), Ospedale Santa Croce di Cuneo (6).
5.1
GRUPPO SMALL (7-12 ANNI)
Nel gruppo small solo 5 sono portatori di microinfusore.
Dalla prima domanda del questionario introduttivo si è evinto che il 74 % preferisce
la terapia multi-iniettiva mentre il 26% predilige la terapia con microinfusore; dopo
l’intervento vi è stato un lieve incremento delle preferenze per la terapia con
microinfusore,
33%, mentre il 67% resta favorevole invece alla terapia multi-
iniettiva.
Per quanto riguarda la conoscenza dei boli, domanda 3-4 (figura n° 5 e 6), si è
riscontrato che il 17% dei soggetti è consapevole dell’esistenza del bolo a onda
doppia ed il 7% del bolo prolungato. Le informazioni, date tramite lezione e slide,
sui tipi di boli, sull’azione e sull’utilizzo, hanno apportato un incremento dell’
acquisizione di nozioni: il 60% dei bambini ha appreso cos’è e come si utilizza il
bolo a onda doppia ed il 63% il bolo prolungato.
Figura n°5
54
Figura n°6
La domanda numero 5 (figura n° 7) è incentrata sul fattore di sensibilità insulinica
(FSI). Prima dell’intervento il 63% dei bambini non è a conoscenza del suo possibile
utilizzo, il 17% lo gestisce in modo ottimale e il 20% sa anche come usarlo e
calcolarlo; dopo l’intervento, in cui è stato spiegato cos’ è il FSI, come si determina
(regola del 1800), quando e come si utilizza il 44% continua a non conoscerlo e a
non usarlo, il 23% lo ha appreso ed il 33%, oltre a conoscerlo, lo calcola ed utilizza.
Figura n°7
La domanda numero 6 (figura n° 8) ha ricercato la competenza dei bambini sul
bersaglio glicemico, cioè il range di riferimento dei valori di glicemia in base alla
fascia della giornata in cui ci si trova. Si è riscontrato che prima dell’intervento il
43% non ha o non sa di avere un bersaglio glicemico, non avendo conoscenze a
riguardo, mentre il 57 % possiede un bersaglio glicemico e lo utilizza. Dopo
55
l’addestramento, il 60% è consapevole e conosce il proprio bersaglio glicemico, al
contrario del 40% che continua a non utilizzarlo.
Figura n°8
La domanda numero 7 (figura n° 9) ha portato alla consapevolezza del fatto che il
10% dei bambini non sa cos’è il calcolo dei carboidrati, il 33% lo conosce ma non ne
fa utilizzo e il 57% lo comprende e lo adopera; dopo l’intervento, in cui sono state
spiegate le modalità con cui si esegue questo tipo di conto, avendo cura di spiegare
attentamente anche la cosiddetta “regola del 500”, indispensabile per un corretto
conteggio: il 73% dei bambini ne fa utilizzo, mentre il 27% lo conosce ma non lo
usa; nessuno ignora il calcolo dei carboidrati.
Figura n°9
Dalla domanda 8 alla 10 sono stati esposti ai bambini una serie di problemi per
mettere alla prova le conoscenze riguardo l’utilizzo della terpaia insulinica ed
eventuali correzioni in caso di ipoglicemie, iperglicemie e come comportarsi in caso
di attività fisica.
56
Prima dell’intervento hanno risposto correttamente il 36% al
quesito inerente
l’ipoglicemia (“Sei portatore di microinfusore, hai una glicemia di 50 mg/dl un’ora
prima di pranzo, come ti comporti?”); il 30% per quanto riguarda la domanda
relativa all’iperglicemia (“Hai un valore di glicemia pari a 250 mg/dl a digiuno, la
correggi con 3 unità di insulina ,in base al tuo fattore di sensibilità insulinica, dopo
due ore è ancora alta: 180 mg/dl, come ti comporti?”) ed il 23,4% al problema
dell’attività fisica (“Quali fattori devo prendere in considerazione se ho intenzione di
praticare sport?”). In seguito all’intervento tenutosi, in cui si è esplicato quali sono i
comportamenti adeguati da attuare è risultato che hanno risposto correttamente il
73% al quesito riguardo l’ipoglicemia, il 40% alla domanda dell’iperglicemia,
mentre per quanto riguarda il problema incentrato sull’attività fisica, molti
presentano ancora dubbi, infatti solo il 20% dei bambini ha risposto in maniera
corretta.
Alla domanda 11 (figura n°10) in cui si è chiesto di indicare “Qual è la complicanza
che si presenta più frequerntemente nei portatori di microinfusore che presentano un
quadro metabolico ben compensato”, il 43,4 % ha risposto correttamente,
l’ipoglicemia.
Figura n°10
Nel post intervento è stato spiegato che l’ipoglicemia è la complicanza più frequente
nei portatori di microinfusore ben compensati soprattutto a causa di piccole
dimenticanze o imperfezioni di terapia:
per i pasti inadeguati rispetto ai grammi di carboidrati calcolati, a causa dei pasti
posticipati o interrotti, per un eccessiva somministrazione di insulina oppure a causa
dei boli sovrapposti e quindi dell’insulina residua, per la velocità basale eccessiva
57
oppure per la sensibilità all’insulina acuita da un pregresso esercizio fisico, per
un’attività fisica non prevista o per l’assunzione di sostanze alcoliche. Al termine il
60% dei bambini ha risposto in maniera corretta.
Alla domanda numero 12 (figura n°11) si è chiesto se “indossare il microinfusore
avrebbe potuto o costituisce un problema estetico”. Per il 47% dei bambini
costituisce un problema, per il 50% non lo avrebbe rappresentato e un 3% ha
risposto che lo potrebbe diventare solo in particolari occasioni. Dopo l’intervento, in
cui è stato esplicato ed illustrato i vari strumenti appositi (cinture, clip, fasce, cordini)
per indossare il microinfusore, per il 13% continua a costituire un problema mentre
l’87% conferma il fatto che non lo presenta.
Figura n°11
5.2
IL GRUPPO JUNIOR (13-18 ANNI)
Nel gruppo Junior solo 3 ragazzi sono portatori di microinfusore.
Nel questionario introduttivo si è evinto che il 53 % preferisce la terapia multiiniettiva e il 47% preferisce il microinfusore; dopo l’intervento il 69% predilige il
trattamento multi-iniettivo ed il 31% il microinfusore.
Per quanto riguarda la conoscenza dei boli (figura n° 12 e 13) si è riscontrato che il
27% dei soggetti è a conoscenza dell’esistenza del bolo a onda doppia e il 47% è a
conoscenza del bolo prolungato; mentre dopo l’intervento in cui è stato spiegato i tipi
di boli, come agiscono e quando si utilizzano il 92% dei ragazzi ha appreso cos’è e
come si utilizza sia il bolo a onda doppia che il bolo prolungato.
58
Figura n°12
Figura n°13
La domanda numero 5 (figura n° 14) si è incentrata sul fattore di sensibilità
insulinica (FSI). Prima dell’intervento il 20% dei ragazzi non è a conoscenza della
sua esistenza, al 27% è noto, il 53% oltre a conoscerlo ed usarlo conosce le modalità
di calcolo con cui si ricava. Dopo l’intervento, in cui è stato spiegato cosa è il fattore
di sensibilità insulinica, come si calcola (regola del 1800), quando e come si utilizza
nesuno afferma di non conoscerlo, al 15% dei ragazzi è noto e l’85% oltre ad averlo
appreso, sa calcolarlo e lo utilizza.
Figura n°14
59
La domanda numero 6 (figura n° 15) ha indagato la conoscenza dei ragazzi sul
bersaglio glicemico, cioè il range di riferimento dei valori di glicemia in base alla
fascia della giornata in cui ci si trova. Si è riscontrato che prima dell’intervento il
40% non ha o non sa di avere un bersaglio glicemico, non avendo consapevolezze a
riguardo, mentre il 60% lo possiede e ne fa uso; dopo l’intervento, il 92% è
consapevole del proprio bersaglio glicemico e ne fa uso, al contrario dell’8% che
continua a non utilizzarlo.
Figura n°15
La domanda numero 7 (figura n° 16) ha portato alla consapevolezza del fatto che il
7% dei ragazzi non conosce il calcolo dei carboidrati, il 6% sa di cosa si tratta ma
non ne fa utilizzo e l’87% lo padroneggia e ne fa utilizzo. Dopo l’intervento, in cui
sono state spiegate le modalità con cui si effettua il calcolo dei carboidrati, avendo a
cura di chiarire attentamente anche “la regola del 500”, indispensabile per un corretto
conteggio: il 69% dei ragazzi utilizza il calcolo dei carboidrati, mentre al 31% è noto
ma non ne fa utilizzo e nessuno afferma di non conoscere il calcolo dei carboidrati.
Figura n°16
60
Dalla domanda 8 alla 10 sono stati esposti ai ragazzi una serie di problemi per
mettere alla prova le conoscenze riguardo l’utilizzo della terpaia insulinica ed
eventuali correzioni in caso di ipoglicemie, iperglicemie e come comportarsi in caso
di attività fisica.
Prima dell’intervento hanno risposto correttamente il 54%
al
quesito inerente
l’ipoglicemia (“Sei portatore di microinfusore, hai una glicemia di 50 mg/dl un’ora
prima di pranzo, come ti comporti?”); il 33,4% per quanto riguarda la domanda
esponente l’iperglicemia (“Hai un valore di glicemia pari a 250 mg/dl a digiuno, la
correggi con 3 unità di insulina ,in base al tuo fattore di sensibilità insulinica, dopo
due ore è ancora alta: 180 mg/dl, come ti comporti?”) ed il 40% al problema
dell’attività fisica (“Quali fattori devo prendere in considerazione se ho intenzione di
praticare sport?”). In seguito all’intervento tenutosi, in cui si è esplicato quali sono i
comportamenti adeguati da attuare è risultato che il 69% per quanto riguarda il
quesito riguardo l’ipoglicemia, il 69,3% per la domanda dell’iperglicemia e l’84,8%
per quanto riguarda il problema incentrato sull’attività fisica, hanno risposto
adeguatamente.
Alla domanda 11 (figura n°17) in cui si è chiesto di indicare “qual è la complicanza
che si presenta più frequentemente nei portatori di microinfusore che presentano un
quadro metabolico ben compensato” l’80 % ha risposto correttamente: l’ipoglicemia.
Figura n°17
Nel post intervento in cui si è stato spiegato che l’ipoglicemia è la complicanza
considerata più frequente e, soprattutto, perché è la complicanza più frequente nei
portatori di microinfusore ben compensati, il 100% ha risposto in maniera corretta.
61
Alla domanda numero 12 (figura n°18) si è chiesto se “indossare il microinfusore
costituisce un problema estetico”. Per il 27% dei ragazzi costituisce un problema,
mentre, per il 73% non costituituisce nessuna difficoltà; dopo l’intervento in cui sono
stati anche illustrati i vari strumenti appositi (cinture, clip, fasce, cordini) per
indossare il microinfusore, per l’8% continua a rappresentare un problema, per il
69% non lo costituisce, invece per il 23% lo è in base alle occasioni e alle esigenze.
Figura n°18
62
CAPITOLO VI:
DISCUSSIONE DEI RISULTATI
Alla luce dei risultati ottenuti è possibile effettuare delle considerazioni in merito alle
conoscenze dei ragazzi e dei bambini sul microinfusore prima e dopo l’intervento,
considerando così l’efficacia di quest’ultimo. Il fatto che solo 8 partecipanti su 44
sono portatori di microinfusore è un fattore limitante ma anche importante.
L’intervento in principio avrebbe avuto lo scopo di approfondire le conoscenze già
apprese sul microinfusore, quindi sarebbe stato incentrato sui portatori di
microinfusore, ma la carenza di questo tipo di paziente ha reso possibile dirigere il
progetto su una presentazione e spiegazione della terapia, in maniera generale, così
da dare a tutti la possibilità di scegliere in modo autonomo e consapevole quale tipo
di terapia adottare.
6.1
IL GRUPPO SMALL (7-12 anni)
Già dalla prima domanda si percepisce che l’intervento ha influito sulla scelta tra le
due direttive di terapia probabilmente avendo una conoscenza più ampia di entrambe
le terapie, i bambini hanno compiuto una scelta più consapevole.
Il quesito numero 2 (Perché hai deciso di utilizzare un microinfusore?) non è stato
considerato valido poiché solo 5 bambini sono portatori di microinfusore, un numero
troppo esiguo per poter conoscere quali sono le principali cause per cui si inizia una
terapia con lo strumento.
Per quanto riguarda le domande incentrate sulle conoscenze dei bambini (3, 4, 7, 8,
11, vedi allegato n°2) le percentuali di risposte corrette sono nettamente migliorate
nel post intervento, ciò dimostra che la lezione tenutosi ha avuto un’efficacia
rilevante.
Le percentuali del quesito riguardo il fattore di sensibilità insulinica sono migliorate
solo leggermente (del 15% circa) ciò potrebbe essere a causa del livello di difficoltà
dell’argomento; infatti per usare il fattore di sensibilità insulinica vi è bisogno di
alcune conoscenze di base (come la regola del 1800) che spiegata nell’ insieme
potrebbe non aver avuto sufficiente spazio per essere capita e appresa appieno.
63
Per quanto riguarda il bersaglio glicemico vi è stato un miglioramento del 3% dopo
l’intervento, legato al fatto che alcuni bambini conoscevano in pratica il bersaglio
glicemico, ma non sapevano la sua definizione.
Nella parte incentrata sullo sport la percentuale di risposte corrette è lievemente
scesa nel post-intervento ciò si potrebbe attribuire al fatto che il questionario essendo
troppo lungo e dettagliato avrebbe potuto stancare i bambini svogliandoli a leggere le
risposte troppo estese di questa domanda, infatti la maggior parte di essi ha posto
come corretta la prima opzione (la più corta).
La quasi totalità dei bambini dopo l’intervento riferisce che non percepisce il
problema estetico nell’indossare il microinfusore, ciò dimostra che illustrare e
spiegare quanti e quali tipi di dispositivi ci sono sul mercato per poter indossare e
nascondere al meglio il microinfusore li ha aiutati a superare i problemi tra cui il non
sapere come indossarlo o il mostararlo a tutti.
Nel complesso l’intervento è andato a buon fine ma ci sono satti alcuni limiti
importanti. Il linguaggio espresso nel questionario utilizzava termini specifici per cui
alcuni bambini hanno avuto qualche difficoltà nel compilarlo, ma sono sempre stati
aiutati nel comprendere le parole tecniche a loro sconosciute.
L’intervento che si è tenuto ha adottato un linguaggio più semplice e adatto, con
esempi approprati all’età degli interlocutori, ma è stato svolto in un ambiente troppo
grande e dispersivo; inoltre l’attenzione dei bambini è andata decrescendo a causa
della notevole mole di informazioni fornitagli. E’ stato poi coinvolto un bambino,
portatore di microinfusore, per far vedere a tutti, dal vivo, le caratteristiche dello
stumento in questione e sono state poste delle domande a quest’ultimo sul suo
rapporto con lo strumento.
L’ultima domanda del questionario conclusivo chiedeva ai bambini di dare una loro
opinione all’intervento tenutosi; molti di loro hanno ringraziato per le conoscenze
acquisite, sinceri del fatto di non saper nulla sullo strumento, ma non sono mancate
delle lamentele: ‘un po’ noioso e lungo e un po’ troppo difficile, ma comunque
interessante’.
64
6.2
IL GRUPPO JUNIOR (13-28 anni)
Vi è stato un leggero incremento, dopo l’intervento per quanto riguarda la
predilezione della terapia con microinfusore rispetto alla terapia con multi-iniettiva,
ciò denota che le informazioni esposte hanno contribuito ad avere una visione più
ampia delle loro possibilità di scelta per la terapia.
Il quesito n° 2 (Perché hai deciso di utilizzare un microinfusore?) non è stato
possibile ritenerlo valido a causa della scarsa presenza di ragazzi portatori di
microinfusore (solo 3 su 15) e ciò ha reso non validi i dati raccolti per conoscere al
meglio i motivi della scelta di terapia con microinfusore.
Per quanto riguarda le domande incentrate sulle conoscenze dei ragazzi ( domande n°
3,4,5,6,8, 9,10,11, vedi allegato n°2) le percentuali di risposte corrette sono
nettamente migliorate nel post intervento, ciò dimostra che l’intervento tenutosi ha
avuto un’efficacia rilevante.
Le percentuali del quesito riguardanti il calcolo dei carboidrati sono leggermente
variate. Nel pre intervento l’87% dichiarava di conoscere e utilizzare il calcolo dei
CHO contro il 6% che sosteneva di conoscerlo ma non utilizzarlo e un 7% che
affermava di non conoscerlo affatto. Nel post intervento la percentuale dei ragazzi
che afferma di utilizzare il calcolo è scesa al 69 % mentre il restante 31% afferma di
conoscerlo ma di non farne utilizzo. Ciò potrebbe essere dedotto dal fatto che alcuni
di loro pensava di fare in modo corretto il calcolo dei carboidrati e dopo l’intervento
ha dovuto rivedere il proprio modo di calcolare i carboidrati e le proprie conoscenze
sulla propria dieta alimentare.
Nel complesso i dati dimostrano che l’intervento ha avuto un buon esito: il
questionario aveva un linguaggio appropriato all’età dei ragazzi e toccava tutti i punti
indispensabili per poter fornire un quadro generale sulle loro conoscenze, così
l’intervento che tenuto li ha stimolati a dibattiti, interazioni tra loro, scambi di
opinioni, di pensieri e sono sempre stati incoraggiati a porre domande qual’ora
l’esposizione non fosse stata abbastanza chiara. L’intervento si è tenuto in una stanza
più intima, nessuno era disattento o annoiato e la maggior parte ha partecipato
attivamente.
65
La domanda conclusiva del questionario post intervento chiedeva ai ragazzi di
esprimere la loro opinione sull’intervento tenutosi; tutti sono stati entusiasti e si sono
profusi in complimenti per come è stato condotto, ringraziando di aver avuto la
possibilità di potersi esprimere liberamente.
66
CAPITOLO VII:
CONCLUSIONI
L’indagine condotta ha permesso di determinare le conoscenze dei bambini e dei
ragazzi riguardo alla terapia con microinfusore. Alla luce dei risultati ottenuti si può
affermare che i pazienti avendo una conoscenza più generale delle terapie che
possono adottare hanno una visione più ampia sulle possibilità di scelta, che possono
essere più specifiche e idonee al proprio stato e al proprio modo di essere. Questo ha
portato a comprendere che c’è un bisogno maggiore di conoscenze tra i bambini,
verosimilmente perché il flusso di informazioni è ancora rivolto più ai genitori o ai
care-giver piuttosto che ai bambini stessi. Tra i ragazzi,che affrontano il periodo
adolescenziale, fase ribelle e caratterizzata da negazione della malattia e dalla
riluttanza a voler ricercare ulteriori informazioni, si è osservato il bisogno di
rafforzare le motivazioni ad una maggior compliance finalizzata al miglioramento
della propria vita.
Per arrivare al fine ultimo dell’autogestione e dell’autocontrollo vi è bisogno di
un’educazione di base che porti a conoscenza tutti i pazienti e i care-giver di ogni
caratteristica della patologia così da avere le nozioni indispensabili per autogestirsi.
Oltre a ciò, vi è anche bisogno di offrire una panoramica delle varie opzioni a
disposizione e delle nuove tecnologie per poter avere il miglior autocontrollo
possibile in base ad un’ampia gamma di strumenti. Dovrebbe esserci un’educazione
periodica, un continuo follow up di insegnamento per rendere noti e capire in toto gli
strumenti a disposizione così da sfruttarli in modo adeguato. Il ruolo dell’infermiere
dovrebbe essere fondamentale, insieme al medico, in questi follow up, per arrivare a
un solo fine, migliorare la qualità di vita del paziente.
Inoltre sarebbe utile organizzare, in parallelo agli incontri di informazioneeducazione, altri colloqui per gli aspetti più psicologici della malattia; quali
l’accettazione della stessa e come la patologia abbia influito sulla vita del
bambino/ragazzo e sull’intera famiglia. In base alle problematiche e alla fascia d’età
dovrebbero essere organizzati riunioni ad hoc, di gruppo, singoli o con la famiglia,
con figure esperte sia nel campo della patologia sia nel campo emotivo-sociale,
poiché “il paziente diabetico più informato sulla propria malattia vive più a lungo”
(dottor Elliot P. Joslin, 1940 ).
67
CAPITOLO VIII:
BIBLIOGRAFIA
1 Stanfield C. l. Germann W. j. Principles of Human
Physiology.3.Pearson,2009.
2 Chiumiello G. Bonfanti R. Meschi F. Vademecum del giovane
diabetico.2.Milano:Aassociazione per l’aiuto ai Giovani Diabetici e Clinica
pediatrica e centro di endocrinologia dell’infanzia e dell’adolescenzauniversità di Milano, H San Raffaele,2001
3 Bouhours-Nouet N. Coutant R. Aspects cliniques et diagnostiques du diabete
de l’enfant. ECM-Elsevier Masson SAS 2011, Paris
4 www.medline.com
5
www.portalediabete.org
6 www.epicentro.iss.it
7 www.salute.gov.it
8 www.diabete.it
9 Loeper S. Ezzat S. Acromegaly: re-thinking the cancer risk.. Rev Endocr
Metab Disord 2008; 9: 41-58.
10 Anderson B.J. Auslander W.F. Research on diabetes management and the
family: a critique. Diabetes Care 1980; 6: 696-702
68
11 Minuchin S. Rosman B.L. Baker L. Famiglie psicosomatiche. Roma:
Astrolabio, 1980.
12 Rapporto dell’OMS Europa, 1998
13 M.Bolderman K. Mettiamo il microinfusore: il team e il paziente nei primi
passi della terapia.1. Milano: In Pagina, 2002.
14 Lera R. Perché un campo scuola.Convegno sui campi diabetic Jada 2011;
presentazione in slide.
15 Warshaw H, Bolderman KM. Pratical Carbohydrate Counting: A How-toteach Guide for Health Professionals.1.Alexandria:American Diabetes
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16 Bending J, Pickup JC. Complications of insulin infusion pump therapy.
1.Jama,1985.
17 Bruttomesso D. Miselli V. Sulli N. Amici per davvero.1.Milano: Roche
Diagnostic e Accu-Chek, febbraio 2006.
18 Balstri M. Obiettivo:qualità della vita. Modus 2007; 25 Novembre: 22-24.
69
70
ALLEGATI
SCHEDA DEL TRATTAMENTO DELLA CHETOACIDOSI
I
QUESTIONARIO
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DEL PIEMONTE ORIENTALE
“Amedeo Avogadro”
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA SALUTE
Prof. Ilario Viano
Via Solaroli, 17 - 28100 – NOVARA
CORSO DI LAUREA IN
INFERMIERISTICA PEDIATRICA
Presidente: Prof. Gianni BONA
QUESTIONARIO
Ciao ragazzi, sono Valentina una studentessa del terzo anno di infermieristica
pediatrica ed avrei bisogno del vostro aiuto per raccogliere i dati per la mia tesi di
laurea dal titolo: educare al diabete: uso del microinfusore in età pediatrica.
Il seguente questionario è rivolto ai ragazzi affetti da diabete mellito tipo 1 di età
compresa tra i 7 e 18 anni ed ha lo scopo di raccogliere dati per la progettazione di
un intervento educativo - formativo all’uso del microinfusore in tutte le sue funzioni.
Vi prego di rispondere con la massima sincerità, non sarete giudicati o valutati
essendo il questionario in forma anonima; vi ringrazio anticipatamente.
• Età: …………
• Sesso:
F
M
• In che anno hai avuto
l’esordio?...........................................................................................................
Si
No
• Hai già partecipato a campi?
Quanti?.................................................................
• Sei portatore di un microinfusore? Si
No
Se si, da quanto tempo?................................................................
II
1. Preferisci:
Penna (terapia multiniettiva)
Microinfusore
Perché?
…………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………
2. Perché hai deciso di utilizzare un microinfusore? (si possono barrare anche
più di una casella)
è stata un’indicazione del medico curante
a causa di un diabete scompensato
a causa di ipoglicemie ricorrenti
per migliorare la qualità di vita
per combattere il fenomeno alba
non lo so
Si
No
3. Conosci il bolo a onda doppia?
Quando lo useresti?
...................................................................................................................................
...................................................................................................................................
............................................
4. Conosci il bolo prolungato?
Si
No
Quando lo useresti?
……………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………
…………………………………….
5. Sai cos’è il fattore di sensibilità insulinica? Si
No
Se si, sai come si fa a calcolarlo?
...................................................................................................................................
...................................................................................................................................
............................................
6. Hai un bersaglio glicemico?
Si
No
Se si, varia durante la giornata?
...................................................................................................................................
...................................................................................................................................
............................................
III
7. Sai cos’è il calcolo dei carboidrati e ne fai utilizzo?
Si, ma non lo utilizzo
Si e lo utilizzo
No
8. Sei portatore di microinfusore, hai una glicemia di 50 mg/dl un’ora prima del
pranzo, come ti comporti?
Stacco il microinfusore lasciandolo in standby fino al pranzo e mangio
un panino ricontrollando la glicemia dopo 15 minuti
Stacco il microinfusore e assumo 3 bustine di zucchero ricontrollando
la glicemia dopo 15 minuti
Assumo 3 bustine di zucchero e controllo la glicemia dopo 15 minuti
9. Quali fattori devo prendere in considerazione se ho intenzione di praticare
sport?
La glicemia iniziale e finale e lo spuntino prima dell’attività
La glicemia iniziale, lo spuntino da effettuare prima dell’attività, i boli
eseguiti meno di 4 ore prima di iniziare l’attività
La glicemia iniziale, cibo assunto prima dello sport o che assumerò
poco dopo, lo spuntino per l’attività e i boli eseguiti meno di 4 ore
prima di iniziare l’attività
La glicemia iniziale, il tipo,la durata e l’intensità dello sforzo, l’ora del
giorno in cui viene effettuata l’attività, il cibo assunto prima o durante
l’attività (spuntino) e dei boli effettuati meno di 4 ore prima
dell’inizio.
10. Hai un valore di glicemia pari a 250 mg/dl (a digiuno), la correggi con 3 unità
di insulina (in base al tuo fattore di sensibilità) e dopo due ore è ancora alta:
180 mg/dl come ti comporti?
Correggo ulteriormente per portare la glicemia a valori ottimali
Aspetto e la ricontrollo dopo un’ora
Pratico esercizio fisico per portarla a valori ottimali
11. Qual è la complicanza che si presenta più frequentemente nei portatori di
microinfusore che presentano un quadro metabolico ben compensato?
ipoglicemia
IV
iperglicemia
chetoacidosi
…………………………………..
12. Indossare il microinfusore per te costituisce un problema estetico?
No
Si
A volte
Se hai risposto si o a volte, perché?
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13. Come ti è sembrato l’intervento tenutosi?
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V
RINGRAZIAMENTI
Un immenso GRAZIE ad Eliana Paglia, perché senza il suo esempio a quest’ora non
sarei stata laureanda in infermieristica pediatrica; lei è stato e sarà per sempre il
perfetto connubio tra professionalità ed emotività, un’infermiera che mi ha fatto
scoprire questo meraviglioso mondo fatto di splendidi sorrisi, di enormi cuori e di
manine pronte ad attaccarsi a te per essere aiutate.
Al corso di Laurea:
perché ci avete accompagnato fino alla fine, ci avete sopportato e aiutato per tre
lunghi (ma piuttosto brevi) anni, perché siete riuscite a fare maternage e contenere le
nostre ansie e perché ci avete sempre lodato per ogni piccolo passo avanti. Grazie a
Bordone, Rosy, Roby e Antonella che ci ha aperto la strada prima ancora che tutto
iniziasse. E un grazie anche a tutti i nostri splendidi professori, e alcuni anche
insegnanti di vita, vi dico grazie per aver scelto la strada dell’insegnamento di una
professione così bella.
Alla mia relatrice Dott.ssa Antonella Petri per avermi seguito in questo progetto e
soprattutto per aver trovato il tempo di farlo, perché un medico a cui piace il suo
lavoro e che lavora esclusivamente per gli altri è carente solo di una cosa: del tempo.
Alla mia correlatrice Maria Concetta Iozzo, scusa per i casini con l’ortografia e scusa
della promessa non mantenuta (non avevo voglia di rileggere sempre tutto =P), ma
grazie di tutto Conci, di tutto il tempo che hai passato al pc per correggere e grazie
per le 1000 volte che l’hai riletta; grazie per il sostegno durante il campo, solo
un’infermiera con la testa dura come te poteva non farmi scoraggiare, ti voglio bene.
Un grazie speciale al DOC LERA, un omone immensamente buono. Mi ricordo
ancora la prima volta che lo vidi, mi incusse subito timore, ma le apparenze non sono
quasi mai giuste e imparai a conoscerlo per quello che effettivamente è: un medico
eccezionale e un uomo ancora più eccezionale, grazie Doc per tutto l’aiuto che mi hai
dato.
Grazie e ancora grazie alla mia family, guardandomi alle spalle, adesso capisco, che
posso essere stata veramente difficile da sopportare e che sono mancata parecchio da
casa e tutti voi vi siete dovuti ‘sacrificare’ per farmi arrivare alla fine di un mio
desiderio, quindi vi dico grazie.
Vorrei anche ringraziare tutti i miei compagni, senza di loro questi tre anni non
sarebbero stati così belli, entusiasmanti e pieni di risa, senza di loro non avrei avuto
nessun supporto nei momenti di sconforto o nessuna rassicurazione nei momenti di
ansia, avrei fatto dei viaggi insignificanti sul treno verso casa, non avrei potuto
raccontare le mie esperienze in ospedale a qualcuno che poteva capirmi e ridere o
VI
piangere insieme a me e invece mi porto un bagaglio di cultura e di felicità grazie a
tutti loro, siete stati veramente dei compagni di vita, sono cresciuta anche grazie a
voi: GRAZIE PEDIATRICI!
E il grazie più sentito va a tutti i bambini a cui tocca passare il loro prezioso tempo in
un posto odiato da tutti. Noi saremo lì per rendere il tutto meno pesante, saremo lì
per riuscire a strapparvi qualche sorriso, perché sono quelli i riconoscimenti più
importanti del nostro lavoro, sono quelli che ci riempiono il cuore che ci fanno capire
di aver preso la strada giusta e che ci incoraggiano ad andare avanti. Grazie
soprattutto a voi, che con le vostre vite ci fate crescere, sempre in meglio.
VII
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